Capitolo XXVI
So
kiss me goodbye
Honey, I'm gonna make it out alive
So kiss me goodbye
I can see the venom in their eyes
(Bring
It, Cobra Starship¹)
Draco Malfoy non aveva mai
capito suo figlio. Ma lo aveva amato da quando gliel’avevano
posato tra le braccia.
All’epoca era un
ventenne
pieno di rancore. Suo padre aveva salvato la famiglia, ma a duro
prezzo.
Avevano venduto quasi tutte le loro proprietà, le fabbriche
e persino le
partecipazioni nella nazionale di Quidditch, che la sua famiglia
finanziava da
generazioni.
Erano finiti, non ci voleva
certo l’esperienza di Lucius Malfoy per capirlo.
Ma i Malfoy avevano un solo,
forse unico, grande merito: sapevano sempre cadere in piedi.
Il matrimonio con Astoria
era
stato solo uno dei passi necessari per tornare agli antichi fasti: con
i
capitali dei Greengrass avevano potuto ripagare i debiti contratti e
con
l’arrivo di un primogenito, maschio, Draco si era sentito
finalmente parte del
meccanismo di riabilitazione della propria famiglia. Non era
più un ragazzo
magro e terrorizzato da qualcosa più grande di lui. Lucius
stava invecchiando,
ed era ora compito suo far sì che i Malfoy non perissero
mentre tante altre
famiglie magiche prosperavano.
Aveva incanalato la sua
rabbia
e quella paura mai sopita nel diventare il nuovo capofamiglia, nel fare
in modo
che la propria Casata non sprofondasse tra le malelingue e
più prosaicamente,
che i loro soldi venissero di nuovo accettati nei negozi e alla
Gringott.
La nascita di Scorpius aveva
cambiato tutto.
Era diventato padre, ed era
qualcosa a cui non si era preparato. L’aveva sempre vista
come una conseguenza
utile, ma collaterale, del suo essere Lord Malfoy.
Scorpius non era mai stato
una
conseguenza. Da quando Tory gli aveva sfiorato il braccio, stanca e
sfinita dopo
il parto e sorridendogli gli aveva detto: ‘ecco il nostro
bambino’.
Lì aveva
realizzato che
qualcosa era cambiato. Che lui era
cambiato. Un nome, per la prima volta, era stato più
importante di un cognome.
Scorpius era sempre stato
diverso. Da lui, ma in generale da tutti i Malfoy.
Rideva molto e non
pretendeva
mai, chiedeva piuttosto con un gran sorriso a cui era difficile
resistere. Non
era mai riuscito ad essere severo come un tempo era stato Lucius con
lui. Non
era mai riuscito a dirgli che mostrare in giro le proprie emozioni come
un
merito era inappropriato, strappargliele via gli era sembrato una
crudeltà. Non
era mai riuscito a proibirgli alcunché, perché
Scorpius otteneva sempre ciò che
voleva. Ma non c’era mai malignità nelle sue
pretese o nelle sue azioni.
Sapeva che suo figlio era
diverso da lui. A volte non lo capiva. Quando gli aveva annunciato di
essere
stato smistato a Grifondoro non era riuscito a scrivergli per
più di un mese.
Scorpius aveva aspettato pazientemente che venisse a patti con
l’idea, e alla
fine l’aveva fatta accettare a tutta la famiglia.
Scorpius aveva un
lasciapassare unico nel suo genere, per il suo cuore: era suo figlio.
24
Novembre 2022
Hogwarts, Campo di Quidditch.
Astoria strinse con forza la
mano del marito quando il Basilisco puntò con crudele
precisione verso il
figlio. Draco rispose alla stretta, senza guardarla, ma cercando di
infonderle
il coraggio che un marito doveva donare alla propria consorte in quei
frangenti.
Poi Scorpius fece qualcosa
che
nessuno, di primo acchito, capì.
Fischiò.
Per un attimo non accadde
nulla. Poi uno stridio ferì le orecchie di molti e Draco
sentì un violento
rumore d’ali, proprio sopra la sua testa. La alzò,
come molti e vide la sagoma…
No,
non è possibile.
Quegli zoccoli e quelle
lunghe
ali d’aquila era riconoscibilissime, persino per chi, come
lui, aveva sempre
reputato le creature magiche bestie assolutamente indegne della sua
considerazione.
Era un ippogrifo.
Un ippogrifo che
piombò in
mezzo all’arena, frapponendosi tra Scorpius e il Basilisco:
quest’ultimo si
tirò indietro, intimorito.
Sembrava incredibile: una
creatura che anni prima lo aveva ferito, stava difendendo suo figlio.
Naturalmente non era quell’ippogrifo –
sperava fosse morto in
tutta franchezza – ma non era quello il punto.
“Scorpius mi aveva
parlato di
un’arma segreta…” Mormorò
lentamente Astoria, sempre con la mano stretta alla
sua. “Ma non pensavo…” Si produsse in
uno di quei suoi sorrisi quieti e
intelligenti. “Mio caro, nostro figlio è una
continua sorpresa. Non trovi?”
Draco non sapeva cosa pensare esattamente in merito. Scorpius aveva il
raro
dono di lasciarlo senza parole sin da quando aveva memoria.
“Davvero…”
“Oh, Merlino
Benedetto… quello
non è Artiglio?”
Albus era l’unico a ricordare l’orrendo nome di
quella bestia terrificante.
Rose in ogni caso
deglutì,
mentre annuiva meccanicamente. Era da un paio di minuti che meditava
con
serietà sull’eventualità di mordere la
sciarpa per la tensione.
“Se fossi in voi,
mi
concentrerei sull’altro
orrore. L’ippogrifo,
dopotutto, è considerabile come male minore.” Fu
la pacata intrusione di
Thomas, che studiava l’arena come se dovesse vivisezionare un
vermicolo. Analiticamente. Senza
la minima traccia
di ansia o di angoscia.
Rose cambiò
anelito: desiderò strozzare
lui con la suddetta sciarpa.
Grifondoro,
tra l’altro. Morirebbe tra atroci
sofferenze, maledetto serpente che non è altro…
“Come diavolo ha
fatto a farlo
venire qui?” La domanda di Al era piuttosto legittima, ma a
quella Rose
purtroppo aveva una risposta abbastanza sicura.
“Scorpius mi ha
detto che ci
stava facendo amicizia…” Fece una breve pausa in
cui assimilò lei stessa il
reale significato della frase. “… ma pensavo si
limitasse a dargli da
mangiare.”
“Mi sa che non
è così… voglio
dire, l’ha chiamato.”
Ribadì il
cugino impietoso. “Vuol dire che gli dà retta. Che
gli obbedisce! È
impressionante…”
“Sì,
vero.” Disse di nuovo
Thomas, in quello snervante tono monocorde. Roxanne, probabilmente non
angosciata quanto lei, ma sicuramente più diretta, a quel
punto ritenne
doveroso scoccargli un’occhiataccia.
“Per le mutande di
Merlino, si
vede che sei preoccupato! Sei sempre stato così stronzo o un
Dissennatore ti ha
succhiato via l’anima da bambino?”
Rose vide Tom irrigidirsi a
quella frecciatina, e poi piegare le labbra in una smorfia. Perlomeno,
quella, era
indizio di emotività. “Ce l’ho,
un’anima.” Rispose brusco.
“E sì,
è sempre stato così.” Aggiunse
Al gentile, ma con un’occhiata ammonitrice alla cugina.
“Comunque non credo ci
sia da preoccuparsi. È chiaro che Malfoy ha un
piano.”
“Ah
sì?” Rose se lo sentì
quasi scivolare fuori dalle labbra, e fu felice che nessuno
l’avesse sentita:
perché non sapeva qual’era il favoloso
piano di Scorpius. Era ridicolo, visto che era praticamente la sua
assistente
in incognito.
Ma
è la verità… non ho idea di cosa
voglia fare adesso.
“Vai
adesso.”
La voce di Sören, allo stesso possessore, era talmente
incolore da non
sembrargli la sua.
Poliakoff gli
lanciò
un’occhiata. Sören poteva leggergli negli occhi la
tensione di sapere che ciò
che stava per fare era l’ultima parte del piano: quella
cruciale, quella che
avrebbe permesso ai Dissennatori di entrare nell’arena.
“Non ti sta
guardando nessuno,
sono tutti presi a cercare di indovinare se Malfoy ce la sta
facendo…”
Continuò. “Vai. Sono io quello che non
può allontanarsi finché la Prova non è
conclusa, non tu.”
Il russo annuì e
con poche
falcate lasciò la tenda. Sören fissò un
punto oltre le sue spalle, in nessuna
direzione particolare.
È
ora.
Chiuse gli occhi.
Tutte
queste persone. Sono innocenti. E non ci serve
che rischino la vita. Quindi perché coinvolgerle?
Era una domanda silenziosa,
che non avrebbe mai posto a nessuno perché non era concesso
che la pronunciasse
ad alta voce. Ma la pensò.
Scorpius si leccò
le labbra.
Sentì il sapore del sangue e capì di essersele
morse in una delle sue
spettacolari cadute. Non gli facevano male, ma forse era solo grazie
all’adrenalina.
Artiglio gli
lanciò un grido
di allerta, frapposto tra lui e il Basilisco.
Non era una situazione
destinata a durare: il mostro era stato colto di sorpresa, e sembrava
non aver
mai visto un ippogrifo, ma a giudicare dallo sferzare della sua coda e
dai
sibili, stava lentamente capendo che testa d’aquila o meno,
non era un rapace
di cui doveva preoccuparsi.
Scorpius fece qualche passo
verso l’ippogrifo, prima di passargli una mano sul dorso
equino, sentendo i
muscoli fremere caldi e nervosi.
“Lo so
bello… grazie.”
Sussurrò a mezza voce. “Vediamo di finirla in
fretta, così ce ne andiamo entrambi.”
Lo scalpitare degli zoccoli
e
il frustare delle ali fu un assenso più che sufficiente.
Scorpius afferrò
il garrese
dell’animale con entrambe le mani e poi balzò su.
Ringraziò mentalmente
l’allenamento decennale da Quidditch o sarebbe ruzzolato a
terra.
Sentiva tutti gli occhi
puntati su di sé.
E
adesso guardate questo. Sangue mangiamorte un paio di
palle.
Diede una pacca sul collo
dell’ippogrifo che stese le ali e spiccò il volo.
Il Basilisco, che per
fortuna
non sapeva volare, sibilava sotto di lui.
“Adesso!”
La picchiata che
compì
l’ippogrifo fu veloce e repentina, ma Scorpius a questa era
preparato: non eri
portiere della squadra di Quidditch più forte della scuola
senza essere
assuefatto alla velocità in volo e alla rapidità
di pensieri.
Si gettò contro
il Basilisco.
Perché sì, aveva un piano. Suicida, ma non era
quello il punto.
Nessuno aveva mai detto che
il
Tremaghi fosse innocuo, no?
Al fu quasi strangolato
dalla
presa da boa costrinctor di Rose, quando gli nascose il viso contro la
spalla, per
soffocare un urlo.
Sì, poteva
capirla.
Per
le palle di Merlino.
Persino Tom sembrava
spaventato
dallo spettacolo del folle Malfoy che si scagliava a testa bassa contro
la
gigantesca serpe, in sella a nientemeno che un
ippogrifo. Una, più volte. Sembrava aizzarlo,
senza riprese e per
inferocirlo sempre di più.
Che
diavolo ha in mente?
“Iconografico.
L’Orlando
Furioso…” Borbottò comunque
a mezza
voce Tom, perché non poteva mai rinunciare ad elargire
all’universo mondo perle
della sua infinita cultura binaria.
“Citazione
letteraria?” Gli
chiese allora. “Adesso. Sul serio?”
“Se avessi visto quel dipinto…” Gli
rispose senza staccare gli occhi dalla
scena. “Malfoy è un pazzo. Ma lo sta stancando,
dico, il Basilisco. Suppongo
sia questo il punto.” Assottigliò lo sguardo.
“A giudicare dalla stazza, direi
che quella bestia ha superato il bicentenario da un po’. Non
avrà più la stessa
resistenza della giovinezza.”
“Sicuro. Tutto torna. Lo sta stancando.
Malfoy è matto.” Fu la chiosa
dell’essenziale Roxanne, e Albus non poté che
dargli totalmente ragione. La stretta terrorizzata di Rose, pure.
Fu un attimo.
Quell’attimo, quel
briciolo o
scampolo di secondo in cui sai che può essere un trionfo o
un completo
disastro. Magari addizionato a morte certa, perché no.
Scorpius e destriero si
scagliarono contro il Basilisco. Senza scartare all’ultimo
secondo.
Attacco
frontale. I predatori non si aspettano mai che
li attacchi.
Lezione che aveva imparato
nei
suoi primi anni a Grifondoro. Allora il suo cognome era un continuo
bersaglio
dipinto sulla sua schiena. Non si era mai piegato.
Artiglio si gettò
contro la
creatura, sotto il collo della
creatura. E Scorpius riuscì a sporgersi abbastanza
– non era stabile come un
manico di scopa il dorso di un animale, neanche vagamente paragonabile.
Comunque riuscì
a sporgersi abbastanza da agganciare quel maledetto moschetto.
Sentì il click, lo scatto secco. E capì
di avercela fatta. Strappò la
bandiera e diede di sprone all’ippogrifo.
Non
distrarti, non adesso.
Serrò le mani
sulla criniera
di Artiglio e poi sentì il sibilo del Basilisco a pochi
millimetri dalle
orecchie, il tanfo del veleno delle sue fauci. Ma poi anche una ventata
di aria
fresca.
Se l’era lasciato
alle spalle,
l’ippogrifo stava riprendendo quota.
Ce
l’ho fatta!
Il
boato della folla glielo confermò.
Oh, sì. Ce
l’aveva proprio
fatta.
A quel punto non gli
restò che
alzare le braccia al cielo.
“C’è
riuscito! Rosie, c’è
riuscito!”
Aveva appena perso qualcosa come dieci anni di vita. Quindi era certa,
in tali
condizioni, di avere allucinazioni uditive, anche se Al la scuoteva con
sufficiente forza e c’erano acclamazioni della folla attorno
a sé.
Si staccò,
guardandolo
confusa. Oh, bene. Sorrideva.
È
una cosa buona.
Sì?
“Ehi, sveglia!
Malfoy ha superato la Prova!”
La seconda volta fu quella
buona. Rose agganciò con confusione lo sguardo di Roxanne e
notò che la cugina sembrava
entusiasta. Il che era piuttosto inconsueto visto che normalmente
possedeva un
cipiglio degno del Soldato Jane – sì, aveva visto
il film.
Si voltò verso
l’arena,
cautamente, come se avesse una paresi. Come se non volesse vedere il
ragazzo
che amava morto.
E invece
c’era Scorpius, su quel maledetto ronzino con il becco. Con
le braccia alzate al cielo, scompigliato come non mai. E trionfante.
Morgana…
ce l’ha fatta. Davvero!
Sentì gli occhi
riempirlesi di
lacrime. Le ricacciò indietro indietro, perché
piangere voleva dire esporsi, e
non era una buona idea. Tom e Al sapevano, ma non Roxanne.
Il cugino allora la
abbracciò.
Perché poteva vestire i colori della Casa rinomatamente
più gelida di Hogwarts,
ma era la persona più empatica che conoscesse.
“Va bene, nessuno
ti sta
guardando…” Le sussurrò
all’orecchio. “Va bene.”
Singhiozzare un
po’, per
scaricare la tensione, poteva andare bene, giusto?
Kirill aveva un compito. Era
molto più semplice che affrontare un’acromantula
ad onor del vero, e della cosa
era ben lieto.
Uscire dall’arena
non fu
difficile, visto che si prevedeva che un assistente uscisse, sebbene la
tenda
fosse sorvegliata da due auror.
“Dove stai andando
ragazzo?”
Gli chiese il più anziano.
“In
bagno.” Scrollò le spalle.
“Qui dentro non c’è.”
Gli fu fatto cenno di andare, perché nessuno sospettava di
un adolescente con
indosso un uniforme.
Aggirò le mura di
legno del campo.
C’erano auror dislocati all’entrata principale e
nelle immediata vicinanze
della stessa, pronti a produrre patronus. Decine
di patronus.
O
almeno è ciò che pensano loro.
Lasciò cadere a
terra una
fialetta contenente un liquido limaccioso: il colore somigliava a
quello che
poteva scorgersi sulle rive di un fiume inquinato. Nessuno
notò il gesto,
perché nessuno prestava mai attenzione ad un ragazzo come
lui.
Polvere
Buiopesto peruviana² mischiata a… altra roba.
Spero che il contatto di papà in Serbia abbia detto al
verità sulla sua
efficacia.
L’erba soffice e
alta la fece
scomparire.
Non ci volle molto prima un
sottile filo di fumo, si alzasse da quel punto. Ben
presto si tramutò in una nuvola
sfilacciata e infine in un’impenetrabile cortina.
“Cosa
diavolo…”
“Ehi, cos’è questo fumo?!”
Non
il vostro problema principale, inglesi.
Kirill si sentiva trionfante
come non mai quando potè scivolare indisturbato alle spalle
degli uomini di
guardia e metterli fuori gioco uno ad uno. Erano distanziati
l’uno dall’altro
da almeno dieci metri buoni e non si sentirono cadere a vicenda, anche
a causa
della cacofonia proveniente dallo stadio.
Fu un lavoro veloce e pulito.
Il piccolo Hohehnheim poteva
trattarlo con sprezzo, ma Kirill Poliakoff non era stato scelto
pescando a caso
nel mucchio. Era stato scelto perché il Magister
si fidava di lui.
E
non di te, principino.
È
questo l’errore di tutti voi superbi. Non guardate
mai in basso. Ed è questa la vostra debolezza principale.
****
Tornare trionfante alla
tenda era
doveroso.
Scorpius salutò
gli spalti,
una marea coi colori di Hogwarts. Guardò verso la torretta
dove sapeva esserci
i genitori, e sorrise a vedere sua madre applaudire – forse
sollevata?
Suo padre la stava imitando
con meno trasporto, ma sapeva che era tutta scena.
Diede una pacca sul dorso di
Artiglio, che fu preso successivamente in consegna da uno sconcertato
Tremayne
accorso sul campo.
“Ehi, ma da quando
dà retta a
te, pivello?” Chiese con quel suo forte accento gallese, reso
ancora più aspro
dalla sorpresa.
Scorpius
sogghignò. “Oh, siamo
diventati buoni amici!”
Con tutta la carne cruda di cui l’ho
rimpinzato… e con tutte le volte che mi ha fatto ruzzolare a
terra per puro
divertimento equino.
Non sapeva ancora come si
era
classificato, ma ce l’aveva fatta.
Per
il momento mi basta. Sono tutto intero. Mica male.
C’era una cosa
però che doveva
fare, prima di tornare alla tenda. Tornò sui suoi passi,
perlustrò con lo
sguardo ogni centimetro cubo d’erba e infine raccolse la
propria bacchetta: si
era rotta.
Serrò le labbra,
ma notò con
sollievo che il danno non era grave: la punta era stata scheggiata, ma
il
manico era intatto.
Mi
dispiacerebbe buttarla.
Se la infilò in
tasca,
dirigendosi verso la tenda.
Non si rese subito conto che
si stava alzando la nebbia: era troppo pieno di adrenalina per
percepire con
chiarezza cosa gli stesse accadendo attorno a sé.
Quando lo notò,
gli spalti
erano già dipinti di colori brumosi ed incerti. Sentiva la
gente muoversi, ma
non vedeva che ombre.
E poi arrivò il
freddo.
Non come quello che poteva
derivare dal vento, né tantomeno da un cambiamento repentino
del tempo.
Freddo che ti si infilava
dentro, come essere buttati dentro un lago ghiacciato.
Sentì il sorriso
scomparirgli
dalle labbra, quasi forzatamente.
Cosa
cazzo?
Sentì lo stridio
acuto di
Artiglio e un’imprecazione da parte di Tremayne, poco
distante da lui. Lo vide
trascinarlo via recalcitrante, con difficoltà.
Si
è spaventato, ma perché…?
Scorpius si
guardò attorno,
troppo confuso per decidere il da farsi. Poi vide qualcosa di
incomprensibile,
di assurdo.
Il terreno attorno a lui era
gelato come di brina del primo mattino.
“Harry!”
Harry si sentì afferrare per un braccio dalla moglie e
voltò il viso prima
verso la sua espressione ansiosa, poi verso quella tesa di Ron. Strinse
il
braccio di Ginny per comunicarle che aveva capito.
Sì,
c’era qualcosa che non
andava.
“Da dove
è uscita questa
nebbia?” Fu la domanda di Ron, mentre si guardava attorno.
Potevano vedere al
massimo due file avanti a loro. Era come se un enorme nuvole si fosse
adagiata
rapidamente attorno al perimetro del campo di Quidditch.
Harry riusciva a vedere
Malfoy
e consorte e i loro vicini di panca, ma nessun’altro.
“Non lo so, ma non
è normale.
Fino ad un momento fa c’era il sole. Harry?”
Articolò piano Hermione. Non era
una domanda, era un attestato di attesa.
L’uomo
annuì, tirando fuori la
bacchetta dal risvolto del mantello. “Facciamo uscire tutti
di qui.”
Come l’anno scorso… ma
stavolta il
perimetro è sorvegliato. Ci sono almeno tre squadre di
Tiratori.
Se
ci fosse qualcosa di anomalo lo avrebbero già
rilevato.
Tirò fuori uno
specchio
comunicante. Il brevetto del geniale George era passato, e la prima
cosa che
aveva fatto, come Direttore dell’Ufficio Auror, era stato
rifornire tutti i
suoi agenti di quel comodo mezzo di comunicazione. Non
c’era voluto molto prima che l’Ufficio dei
Tiratori Scelti seguisse il loro esempio.
Chiamò Smith.
Sapeva che era a
capo delle operazioni. Aveva impiegato quasi due settimane per farsi
dare il suo
contatto, ma alla fine l’aveva avuta vinta.
Il nome però
rimase a
galleggiare sulla superficie per una manciata di minuti. Senza risposta.
Dannazione.
A quel punto Harry
lanciò
un’occhiata a moglie e amici. Doveva decidere in fretta il da
farsi, se comportarsi
come un genitore qualsiasi o come il solito Harry Potter.
Intercettò con lo
sguardo
Teddy, che si era alzato prontamente quando la McGrannit aveva dato
cenno di
voler lasciare gli spalti.
Non ebbe dubbi.
“Ted,
professoressa… dobbiamo
far uscire le persone di qui, possibilmente senza scatenare il
panico.”
“Ma fuori saranno
più al
sicuro?” Interloquì Ron.
“Sicuramente
più di quanto
possano essere ammassate qui dentro. Se si scatena il panico, potrebbe
esserci
una strage.”
Più di mille persone… .
Smith
avrà tutto il tempo del mondo per indignarsi per
la mia ingerenza. Dopo.
Teddy annuì
subito. “Va bene.”
Fece una breve pausa confusa. “Ma come?” Aggiunse,
mentre tutt’attorno a loro
si potevano già udire i primi segni di inquietudine.
“Molto semplice.
Cerchiamo il
Preside, lo informiamo e facciamo in modo che faccia allontanare tutti
da qui.
Questa è Hogwarts, e il suo Preside è
l’autorità suprema.” Replicò
la strega. “Adesso
mi dia il braccio, professor Lupin. Con questa scarsa
visibilità rischierei di
mettere il piede in fallo. Vorrei evitare.”
Harry si sentì
incredibilmente
sollevato quando i due professori – anziana e giovane
– si fecero largo lungo
le scale di collegamento.
Nessuno
prende decisioni come la professoressa…
“Miseriaccia…
non vedo al di
là del mio naso!” Borbottò Ron,
castando un lumos.
Rimasero tutti sbalorditi quando videro che la punta della sua
bacchetta
rifletteva poco più che un tenue lucore.
“Non mi
piace…” Mormorò Ginny.
“Che vuol dire?”
“Non credo sia nebbia normale. Non se il lumos
è inefficace.” Fu il commento finale di Hermione.
“Sbrighiamoci a ricongiungerci
ai ragazzi e tornare al castello… c’è
qualcosa che non va.”
Albus aveva appena smesso di
sentire il peso di Rose su di sé che si rese conto che era
calata una spessa
cortina umidiccia. Niente di insolito per quel periodo, tranne il fatto
che
fosse incredibilmente gelata.
Si strinse nella sciarpa,
serrando un brivido trai denti.
“E da dove viene
fuori questa
roba? Fino a due secondi fa c’era il sole!”
Commentò seccata Roxanne.
“Vero,
è salita velocemente…”
Replicò
Rose imitandolo nel gesto di serrarsi la sciarpa al collo.
“Sto morendo di
freddo, speriamo non ci mettano troppo a dare la classifica.”
“Già…
non vedo l’ora di
scaldarmi i piedi di fronte al camino, credo di averli
ghiacciati.” Concluse
Al, lanciando un’occhiata distratta verso Tom.
Magari
mi lascia la sua sciarpa.
L’altro non parve
notarlo:
fissava un punto, in linea d’aria parallelo a loro. Sembrava
guardare tutto e
niente. Ed era impallidito.
“Tom, che
c’è?”
“Andiamocene.” Si scollò dal palato.
“Adesso.”
“Cosa?” Al non poté evitare che le due
ragazze gli lanciassero un’occhiata
perplessa. “Perché?”
“… non
lo sentite questo
freddo?” Lo sguardo di Tom faceva paura, realizzò
Al con una certa dose di
inquietudine. Teneva la mascella serrata. Non ebbe bisogno di abbassare
lo
sguardo per sapere che stava impugnando la bacchetta.
Gli aveva visto
quell’espressione addosso poche volte, e tutte
l’anno prima.
E
visto cos’è successo…
“Certo che lo
sentiamo!” Lo
apostrofò irritata Rose. “Se vuoi andare, vai,
nessuno ti ferma. Ma qualcuno
qui vuole sapere come si è piazzato Mal…
Hogwarts.” Si corresse all’ultimo
momento.
Tom a quel punto
lanciò loro
un’occhiata bruciante. “Ma non lo
sentite?” Ripeté con la voce ridotta ad un
sibilo. “Questo freddo non è normale! Siamo
coperti da capo a piedi e stiamo
battendo i denti!”
“Tu
stai battendo i denti.” Replicò Roxanne, inarcando
le
sopracciglia. “Ehi, ma che gli prende?” Si
sentì in dovere di chiedere poi a
terza persona.
Al non rispose, anche se la domanda forse era diretta a lui. Prese
invece per
un braccio Tom, tirandolo contro di sé: era vero, stava
tremando.
“Che succede? Cosa
ti senti?”
L’altro inspirò.
“Freddo…” Buttò fuori.
“… non ho mai sentito così freddo in
vita mia. Cioè, sì, ma… è
come…” Si bloccò.
“È assurdo.” Aggiunse. “No,
è
assurdo.” Ripeté.
“Come
cosa?”
“… come
quando ero con Doe,
nella caverna. Mi sento in quel modo. Come se non … come se
fosse tutto
perduto.”
Si guardarono e forse lo capirono nello stesso istante.
“Come se non
potessi più
essere felice?” Mormorò Al, attendo a non farsi
sentire dalle ragazze.
Tom annuì.
Forse Al non aveva la sua
velocità
di ragionamento, ma l’associazione mentale lì era
semplice, specie perché i
dati a disposizioni erano freschi.
Patronus.
Ci hanno fatto esercitare con i Patronus.
Freddo. Felicità sparita.
Dissennatori.
“Sì, ma
non sembra che gli
altri…” Tentò nonostante tutto.
“Tom, sembri star male soltanto tu.”
“Ti ricordi quello
che ci ha
raccontato tuo padre? Di come … quelle cose…”
Serrò appena le labbra, quando non riuscì a
pronunciare il nome. “… di come
avessero fatto svenire solo lui sull’Espresso per Hogwarts?
Per via delle sue
esperienze? Non credo che ci sia molta gente qui che è stata
rapita di
recente.” Aggiunse con una smorfia ironica.
Al a quel punto non
poté
ribattere. “Okay. Ha senso.” Sussurrò
soltanto. “Ma la nebbia?”
“Non lo so. Ma so cosa non è. Nebbia.”
Al si morse le labbra.
“Che
facciamo?”
Tom non rispose subito. Gli
diede invece un colpetto sul fianco, indicando qualcosa affianco a lui.
Era
ancora più pallido, se possibile, come se stesse davvero per
svenire.
“Tom,
stai…”
“La balaustra. Guarda la balaustra.”
Al obbedì. Ed
ebbe la riprova,
anche se avrebbe implorato Voldemort in persona di non averla.
Il corrimano era
completamente
gelato.
Rose a quel punto parve
accorgersi delle loro espressioni, perché scoccò
loro un’occhiata incerta.
Al ebbe un rapido momento di
lucidità, nel panico più puro. E sorrise a
Roxanne.
“Roxie, quanto sai
dei
Patronus?”
Ted era preso dal duplice
compito di guidare la McGrannit – quella foschia era davvero
insidiosa – e al
contempo evitare che qualcuno si insospettisse, alla loro improvvisa
discesa
verso la tenda dei Campioni, dove avrebbe dovuto trovarsi Vitious.
La gente era nervosa: il
repentino cambiamento di tempo aveva messo tutti sulla difensiva.
Si sentì
afferrare per il
gomito, un po’ bruscamente. Avrebbe riconosciuto quella presa
tra mille.
“Jamie!”
“Ehi.” Replicò il ragazzo, con le
braccia conserte e il giubbotto di pelle
chiuso fino alla gola. “Che sta succedendo?”
Ted ringraziò
silenziosamente
la capacità dell’altro di fiutare subito una
situazione anomala.
“Dissennatori.”
Gli rispose,
quando fu sicuro che nessuno attorno a loro li stesse ascoltando: se
c’era
qualcuno in grado di sopportare una bomba del genere, quello era il suo
ragazzino.
Dà
il meglio di sé quando è sottopressione. E non mi
lascerebbe andare senza una spiegazione, tra l’altro.
James sgranò gli
occhi e
masticò un’imprecazione. “Quelli che
sono stati avvistati sul Ben Nevis?”
Ted si scambiò un’occhiata con la McGrannit: la
donna esibiva una delle sue
espressioni anodine, difficili da leggere. Ma le sopracciglia corrugate
la
dicevano lunga.
“Ben Nevis,
Potter?” Chiese
infatti la strega.
“Il Cavillo. Ne parlavano nello scorso numero. Okay,
c’è roba assurda come
quegli studi sui Mooncalf ma alcuni articoli meritano
un’occhiata. Tipo questo
articolo, dove dicevano che c’erano stati degli avvistamenti
in montagne e…” Vedendo
che andava troppo per le lunghe, andò dritto alla domanda
principale. “È vero
allora? Sono tornati? E sono qui?”
“Sì.”
Annuì Ted. “E dobbiamo
far uscire tutti dall’arena. Ci sono delle barriere e dei
Tiratori, ma tuo
padre non riesce a contattare il loro caposquadra.”
“Merda.”
Commentò James. Appropriato,
pensò Teddy, anche se non
apertamente visto l’occhiata severa dell’altra
professoressa.
“Vengo con
voi.” Aggiunse poi,
ignorando ogni principio di protesta. “Sono allievo auror,
Teddy. Ti sarò più
utile di gran parte di questa gente, e lo sai.”
“Dobbiamo
sbrigarci.” Tagliò
corto la McGrannit. “Che Potter venga con noi, se serve a
tenerlo buono.”
In ogni caso, con l’aiuto di James riuscirono ad arrivare
alla tenda dei
Campioni in pochi attimi.
Vitious era lì,
apparentemente
ignaro di cosa stava accadendo all’esterno; la tenda infatti
era chiusa da
tutti i lati, proprio per tenere all’oscuro fino
all’ultimo i Campioni
dell’esito della Prova.
Erano tutti dentro, stanchi
e
variamente provati.
Ted lanciò uno
sguardo a Scorpius:
forse era l’adrenalina che doveva ancora scemare, ma sembrava
molto inquieto.
“Professor Lupin,
Minerva! Ah,
c’è anche il giovane Signor
Potter…” Li accolse Vitious, non senza qualche
imbarazzo. “Non dovreste essere qui.” Soggiunse un
po’ sconcertato.
“Infati.”
Li apostrofò Madame Maxime. “È una
tenda riservata!”
“Ma dobbiamo
parlare con il
Preside!” Obiettò James d’istinto, prima
di essere tacitato da un’occhiataccia
della McGrannit. “Però è
vero…” Protestò piano.
“Filius,
permettimi una
parola.” Disse Minerva, facendogli cenno di seguirla in fondo
alla tenda.
A quel punto venne loro
incontro Scorpius: aveva il labbro inferiore piuttosto malconcio
coperto da una
crema bluastra e un occhio pesto, ma considerando il tutto, se
l’era cavata con
nulla. “Complimenti per la prova…”
Iniziò Ted pieno di buona intenzioni.
“Sì,
sicuro.” Lo interruppe,
come se non gli interessasse. “Perché il campo
è congelato ed è salita quella
strana nebbia?”
“Che vuoi farci
Teddy,
Malfuretto è un ragazzo sveglio.”
Commentò James con aria divertita. “Non se li
beve i complimenti.”
“Non
c’è nulla di cui
preoccuparsi…” Iniziò, sperando che
Malfoy non avesse letto il Cavillo come
James.
Furono le ultime, classiche
parole famose.
Improvvisamente fu come se
nella tenda fosse stata risucchiata via tutta la luce, già
di per sé non particolarmente
presente, portata solo da un paio di candelabri.
Cadde la penombra e un
freddo
abbacinante, anormale.
Si udì un gemito
provenire
dall’entrata che dava sul retro dell’arena, quella
sorvegliata dagli agenti e
poi un lampo violento e color argento. Poi di nuovo buio.
“Che sta
succedendo?!” La voce
sembrava quasi non appartenere a nessuno in particolare.
James era accanto a lui e
aveva già estratto la bacchetta. Ci fu un gran trambusto
tutto attorno, ma Ted
non riuscì a percepire le figure, o chi stesse facendo cosa.
“Regardez-là!”
Sussurrò una voce di ragazzo, in francese. “Il ya quelque chose là!”
“Mael, vieni
qua!” Quella era
la voce di Dominique. Era la prima volta che Ted sentiva quella
ragazzina
scapestrata avere quel tono d’urgenza e di paura nella voce.
E poi una mano scheletrica
scostò i lembi delle tende. Inconfondibile per Ted, anche se
l’aveva vista solo
in figura.
Un Dissennatore.
Era troppo tardi
perché le
cose si concludessero in modo tranquillo, pensò Teddy in una
frazione di
secondo.
Poi la tenda venne
illuminata
come a giorno dal lucore argentato dei Patronus e non ci fu
più tempo per
pensare.
Fu un momento, un attimo.
L’ottica della
folla era
spesso qualcosa di spaventoso.
Al lo vide quel
Dissennatore,
arrampicarsi lungo le scalinate con il suo frusto mantello nero.
Un’ombra,
nient’altro.
Dietro di lui, altre ombre.
Troppe.
Non fu l’unico a
vederle. Una
voce, o forse più voci cominciarono a gridare, dopo un lungo
momento di silenzio
denso e cattivo.
La realizzazione,
semplicemente.
L’atmosfera era
cambiata: il
momento di festa e competizione era stato spazzato via da una
strisciante
sensazione di disagio.
L’urlo della folla
fu simile
ad un mugghio, un terribile boato. La gente cominciò a
scappare da tutte le
parti, spintonandosi.
“Albus!”
Esclamò spaventata Rose, mentre la folla si insinuava tra
di loro come un mare impetuoso, dividendoli. Cercò di
trattenerla, ma gli venne
violentemente strappata dalle mani.
Venne spinto
all’indietro e
letteralmente sollevato da un muro
di
corpi. Fece parecchi metri prima di sbattere contro la balaustra che
divideva
gli spalti dal campo. Il mantello gli si era attorcigliato addosso e
quando
cercò di tirarsi su e di correre via si accorse che la
stoffa si era impigliata
da qualche parte: con quella nebbia non vedeva dove.
Vide Tom lontano, spinto via
dalla calca: lo vedeva bene perché la sua altezza lo faceva
spiccare tra folla.
“Tom!”
Lo chiamò, mentre la
nebbia inghiottiva mantelli, mani e volti di persone, restituendoli
alla vista
solo per brevi attimi. “Raggiungi Rosie e Rox!”
Riuscì ad urlargli, sperando di
essere stato udito; Tom poteva essere un sacco di cose, ma non avrebbe
mai
permesso a nessuno di schiacciare o calpestare due ragazze.
L’altro parve
udirlo, perché
cercò senza risultato ma tenacemente di tornare da lui, ma
cercare di risalire
il flusso non solo era pericoloso per lui, ma rischiava anche di
provocare
danni agli altri.
“Al!” Lo
guardò con rabbia e
impotenza, prima di gridare. “La bacchetta! Non perdere la
bacchetta!”
Poi venne trascinato via.
Albus tirò di
nuovo il
mantello e finalmente, con un potente strattone, riuscì a
toglierselo per
impugnare la bacchetta.
Beh, non li vedeva, quegli
inferi mascherati. Ma sapeva che erano lì vicino: forse
addirittura gli
volteggiavano sopra la testa. Se avesse dato loro le spalle, per
correre via e
raggiungere gli altri, lo avrebbero ghermito. O forse no. Non poteva
saperlo,
non si era mai trovato in una situazione del genere.
E
avrei gradito tantissimo
non trovarmici…
Ad ogni buon conto, era
fottutamente spaventato, quindi c’era un’unica cosa
da fare; affidarsi alla sua
impulsività, afferrare una manciata di ricordi felici e
lasciar galoppare
libera la sua stupida parte grifondoro.
“Expecto
Patronum!”
****
Hogwarts,
Castello. Dormitorio femminile del Quinto
anno.
Lily si svegliò
stordita.
Si svegliò nel
suo letto, e
fin qui, niente di strano. Poi si guardò: felpa, gonna,
scarpe. La sciarpa
riposava vicino a lei. Non era in pigiama, era vestita.
Si guardò attorno
confusa.
…
mi sono riposata un attimo prima di uscire? Mi sono
appoggiata sul letto e sono crollata?
Non una di quelle frasi
aveva
senso, anche se era evidente che fosse accaduto quello.
Aveva ricordi confusi sulla
mattina: sapeva di essersi alzata ad un’ora adeguata e di
aver trascorso molto
tempo a truccarsi per essere perfetta; in un’occasione
pubblica come quella non
poteva limitarsi a spazzolarsi i capelli ed indossare qualcosa di
coordinato
come faceva Rosie.
Certo, era possibile che si
fosse seduta un attimo ed assopita: le era fortemente estraneo il
concetto di
alzarsi presto la mattina, di sabato. Spesso saltava la colazione solo
per
poter oziare tra le coperte.
Dev’essere
sicuramente così.
Aveva inoltre una leggera
emicrania: forse era per quello che aveva deciso di aspettare?
Si avvicinò allo
specchio,
controllandosi sommariamente. A parte i capelli scompigliati dal
cuscino, era
pronta per uscire.
Che
cavolo.
Uscire.
Le balzò il cuore
in gola:
doveva essere in assoluto e totale ritardo!
Guardò con angoscia l’orologio da polso e
notò con orrore che era passato
mezzogiorno. La prova doveva essere già finita, o in
dirittura di conclusione.
Com’è
possibile che mi sia addormentata?! Che razza di
idiota!
Fece per aprire la porta e
gettarsi per le scale, quando qualcosa la trattenne; forse solo una
sensazione
o un’eco. Delle grida.
Grida?
Ma certo, dal campo di Quidditch!
Però non
sembravano grida di
incitamento o di plauso. Sembravano spaventate.
Perplessa tornò
sui suoi passi
e d’istinto si affacciò al bovindo della finestra.
Lo spettacolo che gli si
presentò le fece gelare il sangue nelle vene, anche se non
ne capì subito il
motivo: l’intero perimetro in cui sorgeva lo stadio, compreso
dei terreni
circostanti, fino alla Foresta Proibita, era immerso in una spessa
cortina di
nebbia scura, come quella che precede una notte senza luna.
Eppure il tempo, sebbene
nuvoloso, non minacciava pioggia: addirittura il sole si poteva
scorgere,
pallido ma pieno, dietro la coltre di nubi.
Che
sta succedendo laggiù?
Qualsiasi cosa fosse, laggiù c’era la sua
famiglia e i suoi
amici.
Non era un eroina, e non si
sarebbe
gettata nel pericolo a braccia spalancate: ma non sarebbe neppure
rimasta come
una principessa nella torre, in attesa che qualcuno le portasse
notizie.
Non si dimenticò
di prendere
la bacchetta e corse giù per le scale.
****
Note:
Non odiatemi. È
il periodo dei
cliffhanger pare. :P
1.La canzone è
questa
2. Polvere Buiopesto peruviana: la conosciamo perché
importata dai gemelli
Weasley. Crea una cortina spessa e nera nel luogo in cui viene
lanciata.
L’incantesimo lumos non funziona con essa.
|