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Autore: Dira_    02/04/2011    24 recensioni
“Mi chiamo Lily Luna Potter, ho quindici anni e credo nel Fato.
Intendiamoci: niente roba tipo scrutare il cielo. Io credo piuttosto che ciascuno di noi sia nato più di una volta e che prima o poi si trovi di fronte a scelte più vecchie di lui.”
Tom Dursley, la cui anima è quella di Voldemort, è scomparso. Al Potter lo cerca ancora. All’ombra del riesumato Torneo Tremaghi si dipanano i piani della Thule, società occulta, che già una volta ha tentato di impadronirsi dei Doni della Morte.
“Se aveste una seconda possibilità… voi cosa fareste?”
[Seguito di Doppelgaenger]
Genere: Azione, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, Lily Luna Potter, Nuovo personaggio, Rose Weasley, Scorpius Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Doppelgaenger's Saga'
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Capitolo XXVI
 

 
 
So kiss me goodbye
Honey, I'm gonna make it out alive
So kiss me goodbye
I can see the venom in their eyes
(Bring It, Cobra Starship¹)
 
 
Draco Malfoy non aveva mai capito suo figlio. Ma lo aveva amato da quando gliel’avevano posato tra le braccia.
All’epoca era un ventenne pieno di rancore. Suo padre aveva salvato la famiglia, ma a duro prezzo. Avevano venduto quasi tutte le loro proprietà, le fabbriche e persino le partecipazioni nella nazionale di Quidditch, che la sua famiglia finanziava da generazioni.
Erano finiti, non ci voleva certo l’esperienza di Lucius Malfoy per capirlo.
Ma i Malfoy avevano un solo, forse unico, grande merito: sapevano sempre cadere in piedi.
Il matrimonio con Astoria era stato solo uno dei passi necessari per tornare agli antichi fasti: con i capitali dei Greengrass avevano potuto ripagare i debiti contratti e con l’arrivo di un primogenito, maschio, Draco si era sentito finalmente parte del meccanismo di riabilitazione della propria famiglia. Non era più un ragazzo magro e terrorizzato da qualcosa più grande di lui. Lucius stava invecchiando, ed era ora compito suo far sì che i Malfoy non perissero mentre tante altre famiglie magiche prosperavano.   
Aveva incanalato la sua rabbia e quella paura mai sopita nel diventare il nuovo capofamiglia, nel fare in modo che la propria Casata non sprofondasse tra le malelingue e più prosaicamente, che i loro soldi venissero di nuovo accettati nei negozi e alla Gringott.
La nascita di Scorpius aveva cambiato tutto.
Era diventato padre, ed era qualcosa a cui non si era preparato. L’aveva sempre vista come una conseguenza utile, ma collaterale, del suo essere Lord Malfoy.
Scorpius non era mai stato una conseguenza. Da quando Tory gli aveva sfiorato il braccio, stanca e sfinita dopo il parto e sorridendogli gli aveva detto: ‘ecco il nostro bambino’.
Lì aveva realizzato che qualcosa era cambiato. Che lui era cambiato. Un nome, per la prima volta, era stato più importante di un cognome.
Scorpius era sempre stato diverso. Da lui, ma in generale da tutti i Malfoy.
Rideva molto e non pretendeva mai, chiedeva piuttosto con un gran sorriso a cui era difficile resistere. Non era mai riuscito ad essere severo come un tempo era stato Lucius con lui. Non era mai riuscito a dirgli che mostrare in giro le proprie emozioni come un merito era inappropriato, strappargliele via gli era sembrato una crudeltà. Non era mai riuscito a proibirgli alcunché, perché Scorpius otteneva sempre ciò che voleva. Ma non c’era mai malignità nelle sue pretese o nelle sue azioni. 
Sapeva che suo figlio era diverso da lui. A volte non lo capiva. Quando gli aveva annunciato di essere stato smistato a Grifondoro non era riuscito a scrivergli per più di un mese. Scorpius aveva aspettato pazientemente che venisse a patti con l’idea, e alla fine l’aveva fatta accettare a tutta la famiglia.
Scorpius aveva un lasciapassare unico nel suo genere, per il suo cuore: era suo figlio.
 
 
24 Novembre 2022
Hogwarts, Campo di Quidditch.

 
Astoria strinse con forza la mano del marito quando il Basilisco puntò con crudele precisione verso il figlio. Draco rispose alla stretta, senza guardarla, ma cercando di infonderle il coraggio che un marito doveva donare alla propria consorte in quei frangenti.
Poi Scorpius fece qualcosa che nessuno, di primo acchito, capì.
Fischiò.
Per un attimo non accadde nulla. Poi uno stridio ferì le orecchie di molti e Draco sentì un violento rumore d’ali, proprio sopra la sua testa. La alzò, come molti e vide la sagoma…
No, non è possibile.
Quegli zoccoli e quelle lunghe ali d’aquila era riconoscibilissime, persino per chi, come lui, aveva sempre reputato le creature magiche bestie assolutamente indegne della sua considerazione.
Era un ippogrifo.
Un ippogrifo che piombò in mezzo all’arena, frapponendosi tra Scorpius e il Basilisco: quest’ultimo si tirò indietro, intimorito.
Sembrava incredibile: una creatura che anni prima lo aveva ferito, stava difendendo suo figlio.
Naturalmente non era quell’ippogrifo – sperava fosse morto in tutta franchezza – ma non era quello il punto.
“Scorpius mi aveva parlato di un’arma segreta…” Mormorò lentamente Astoria, sempre con la mano stretta alla sua. “Ma non pensavo…” Si produsse in uno di quei suoi sorrisi quieti e intelligenti. “Mio caro, nostro figlio è una continua sorpresa. Non trovi?”
Draco non sapeva cosa pensare esattamente in merito. Scorpius aveva il raro dono di lasciarlo senza parole sin da quando aveva memoria.

“Davvero…”
 
“Oh, Merlino Benedetto… quello non è Artiglio?”
Albus era l’unico a ricordare l’orrendo nome di quella bestia terrificante.

Rose in ogni caso deglutì, mentre annuiva meccanicamente. Era da un paio di minuti che meditava con serietà sull’eventualità di mordere la sciarpa per la tensione.
“Se fossi in voi, mi concentrerei sull’altro orrore. L’ippogrifo, dopotutto, è considerabile come male minore.” Fu la pacata intrusione di Thomas, che studiava l’arena come se dovesse vivisezionare un vermicolo. Analiticamente. Senza la minima traccia di ansia o di angoscia. 
Rose cambiò anelito: desiderò strozzare lui con la suddetta sciarpa.
Grifondoro, tra l’altro. Morirebbe tra atroci sofferenze, maledetto serpente che non è altro…
“Come diavolo ha fatto a farlo venire qui?” La domanda di Al era piuttosto legittima, ma a quella Rose purtroppo aveva una risposta abbastanza sicura.
“Scorpius mi ha detto che ci stava facendo amicizia…” Fece una breve pausa in cui assimilò lei stessa il reale significato della frase. “… ma pensavo si limitasse a dargli da mangiare.”
“Mi sa che non è così… voglio dire, l’ha chiamato.” Ribadì il cugino impietoso. “Vuol dire che gli dà retta. Che gli obbedisce! È impressionante…”   
“Sì, vero.” Disse di nuovo Thomas, in quello snervante tono monocorde. Roxanne, probabilmente non angosciata quanto lei, ma sicuramente più diretta, a quel punto ritenne doveroso scoccargli un’occhiataccia.
“Per le mutande di Merlino, si vede che sei preoccupato! Sei sempre stato così stronzo o un Dissennatore ti ha succhiato via l’anima da bambino?”
Rose vide Tom irrigidirsi a quella frecciatina, e poi piegare le labbra in una smorfia. Perlomeno, quella, era indizio di emotività. “Ce l’ho, un’anima.” Rispose brusco.
“E sì, è sempre stato così.” Aggiunse Al gentile, ma con un’occhiata ammonitrice alla cugina. “Comunque non credo ci sia da preoccuparsi. È chiaro che Malfoy ha un piano.”
“Ah sì?” Rose se lo sentì quasi scivolare fuori dalle labbra, e fu felice che nessuno l’avesse sentita: perché non sapeva qual’era il favoloso piano di Scorpius. Era ridicolo, visto che era praticamente la sua assistente in incognito.
Ma è la verità… non ho idea di cosa voglia fare adesso.
 
“Vai adesso.”
La voce di Sören, allo stesso possessore, era talmente incolore da non sembrargli la sua.

Poliakoff gli lanciò un’occhiata. Sören poteva leggergli negli occhi la tensione di sapere che ciò che stava per fare era l’ultima parte del piano: quella cruciale, quella che avrebbe permesso ai Dissennatori di entrare nell’arena.
“Non ti sta guardando nessuno, sono tutti presi a cercare di indovinare se Malfoy ce la sta facendo…” Continuò. “Vai. Sono io quello che non può allontanarsi finché la Prova non è conclusa, non tu.”
Il russo annuì e con poche falcate lasciò la tenda. Sören fissò un punto oltre le sue spalle, in nessuna direzione particolare.
È ora.
Chiuse gli occhi.
Tutte queste persone. Sono innocenti. E non ci serve che rischino la vita. Quindi perché coinvolgerle?
Era una domanda silenziosa, che non avrebbe mai posto a nessuno perché non era concesso che la pronunciasse ad alta voce. Ma la pensò.
 
Scorpius si leccò le labbra. Sentì il sapore del sangue e capì di essersele morse in una delle sue spettacolari cadute. Non gli facevano male, ma forse era solo grazie all’adrenalina.
Artiglio gli lanciò un grido di allerta, frapposto tra lui e il Basilisco.
Non era una situazione destinata a durare: il mostro era stato colto di sorpresa, e sembrava non aver mai visto un ippogrifo, ma a giudicare dallo sferzare della sua coda e dai sibili, stava lentamente capendo che testa d’aquila o meno, non era un rapace di cui doveva preoccuparsi.
Scorpius fece qualche passo verso l’ippogrifo, prima di passargli una mano sul dorso equino, sentendo i muscoli fremere caldi e nervosi.
“Lo so bello… grazie.” Sussurrò a mezza voce. “Vediamo di finirla in fretta, così ce ne andiamo entrambi.”
Lo scalpitare degli zoccoli e il frustare delle ali fu un assenso più che sufficiente.
Scorpius afferrò il garrese dell’animale con entrambe le mani e poi balzò su. Ringraziò mentalmente l’allenamento decennale da Quidditch o sarebbe ruzzolato a terra.
Sentiva tutti gli occhi puntati su di sé.
E adesso guardate questo. Sangue mangiamorte un paio di palle.
Diede una pacca sul collo dell’ippogrifo che stese le ali e spiccò il volo.  
Il Basilisco, che per fortuna non sapeva volare, sibilava sotto di lui.
Adesso!
La picchiata che compì l’ippogrifo fu veloce e repentina, ma Scorpius a questa era preparato: non eri portiere della squadra di Quidditch più forte della scuola senza essere assuefatto alla velocità in volo e alla rapidità di pensieri.  
Si gettò contro il Basilisco. Perché sì, aveva un piano. Suicida, ma non era quello il punto.
Nessuno aveva mai detto che il Tremaghi fosse innocuo, no?
 
Al fu quasi strangolato dalla presa da boa costrinctor di Rose, quando gli nascose il viso contro la spalla, per soffocare un urlo.
Sì, poteva capirla.
Per le palle di Merlino.   
Persino Tom sembrava spaventato dallo spettacolo del folle Malfoy che si scagliava a testa bassa contro la gigantesca serpe, in sella a nientemeno che un ippogrifo. Una, più volte. Sembrava aizzarlo, senza riprese e per inferocirlo sempre di più.
Che diavolo ha in mente?
“Iconografico. L’Orlando Furioso…” Borbottò comunque a mezza voce Tom, perché non poteva mai rinunciare ad elargire all’universo mondo perle della sua infinita cultura binaria. 
“Citazione letteraria?” Gli chiese allora. “Adesso. Sul serio?”
“Se avessi visto quel dipinto…” Gli rispose senza staccare gli occhi dalla scena. “Malfoy è un pazzo. Ma lo sta stancando, dico, il Basilisco. Suppongo sia questo il punto.” Assottigliò lo sguardo. “A giudicare dalla stazza, direi che quella bestia ha superato il bicentenario da un po’. Non avrà più la stessa resistenza della giovinezza.”
“Sicuro. Tutto torna. Lo sta stancando. Malfoy è matto.” Fu la chiosa dell’essenziale Roxanne, e Albus non poté che dargli totalmente ragione. La stretta terrorizzata di Rose, pure.

 
Fu un attimo.
Quell’attimo, quel briciolo o scampolo di secondo in cui sai che può essere un trionfo o un completo disastro. Magari addizionato a morte certa, perché no.
Scorpius e destriero si scagliarono contro il Basilisco. Senza scartare all’ultimo secondo.
Attacco frontale. I predatori non si aspettano mai che li attacchi.
Lezione che aveva imparato nei suoi primi anni a Grifondoro. Allora il suo cognome era un continuo bersaglio dipinto sulla sua schiena. Non si era mai piegato.
Artiglio si gettò contro la creatura, sotto il collo della creatura. E Scorpius riuscì a sporgersi abbastanza – non era stabile come un manico di scopa il dorso di un animale, neanche vagamente paragonabile.
Comunque riuscì a sporgersi abbastanza da agganciare quel maledetto moschetto.
Sentì il click, lo scatto secco. E capì di avercela fatta. Strappò la bandiera e diede di sprone all’ippogrifo.
Non distrarti, non adesso.
Serrò le mani sulla criniera di Artiglio e poi sentì il sibilo del Basilisco a pochi millimetri dalle orecchie, il tanfo del veleno delle sue fauci. Ma poi anche una ventata di aria fresca.
Se l’era lasciato alle spalle, l’ippogrifo stava riprendendo quota.
Ce l’ho fatta!
Il boato della folla glielo confermò.
Oh, sì. Ce l’aveva proprio fatta.
A quel punto non gli restò che alzare le braccia al cielo.
 
“C’è riuscito! Rosie, c’è riuscito!”
Aveva appena perso qualcosa come dieci anni di vita. Quindi era certa, in tali condizioni, di avere allucinazioni uditive, anche se Al la scuoteva con sufficiente forza e c’erano acclamazioni della folla attorno a sé.

Si staccò, guardandolo confusa. Oh, bene. Sorrideva.
È una cosa buona. Sì?
Ehi, sveglia! Malfoy ha superato la Prova!”
La seconda volta fu quella buona. Rose agganciò con confusione lo sguardo di Roxanne e notò che la cugina sembrava entusiasta. Il che era piuttosto inconsueto visto che normalmente possedeva un cipiglio degno del Soldato Jane – sì, aveva visto il film.
Si voltò verso l’arena, cautamente, come se avesse una paresi. Come se non volesse vedere il ragazzo che amava morto.
E invece c’era Scorpius, su quel maledetto ronzino con il becco. Con le braccia alzate al cielo, scompigliato come non mai. E trionfante.
Morgana… ce l’ha fatta. Davvero!
Sentì gli occhi riempirlesi di lacrime. Le ricacciò indietro indietro, perché piangere voleva dire esporsi, e non era una buona idea. Tom e Al sapevano, ma non Roxanne.
Il cugino allora la abbracciò. Perché poteva vestire i colori della Casa rinomatamente più gelida di Hogwarts, ma era la persona più empatica che conoscesse.
“Va bene, nessuno ti sta guardando…” Le sussurrò all’orecchio. “Va bene.”
Singhiozzare un po’, per scaricare la tensione, poteva andare bene, giusto?
 
Kirill aveva un compito. Era molto più semplice che affrontare un’acromantula ad onor del vero, e della cosa era ben lieto.
Uscire dall’arena non fu difficile, visto che si prevedeva che un assistente uscisse, sebbene la tenda fosse sorvegliata da due auror.
“Dove stai andando ragazzo?” Gli chiese il più anziano.
“In bagno.” Scrollò le spalle. “Qui dentro non c’è.”
Gli fu fatto cenno di andare, perché nessuno sospettava di un adolescente con indosso un uniforme.

Aggirò le mura di legno del campo. C’erano auror dislocati all’entrata principale e nelle immediata vicinanze della stessa, pronti a produrre patronus. Decine di patronus.
O almeno è ciò che pensano loro.
Lasciò cadere a terra una fialetta contenente un liquido limaccioso: il colore somigliava a quello che poteva scorgersi sulle rive di un fiume inquinato. Nessuno notò il gesto, perché nessuno prestava mai attenzione ad un ragazzo come lui.
Polvere Buiopesto peruviana² mischiata a… altra roba. Spero che il contatto di papà in Serbia abbia detto al verità sulla sua efficacia.
L’erba soffice e alta la fece scomparire.
Non ci volle molto prima un sottile filo di fumo, si alzasse da quel punto.  Ben presto si tramutò in una nuvola sfilacciata e infine in un’impenetrabile cortina.
 
“Cosa diavolo…”
“Ehi, cos’è questo fumo?!”

 
Non il vostro problema principale, inglesi.
Kirill si sentiva trionfante come non mai quando potè scivolare indisturbato alle spalle degli uomini di guardia e metterli fuori gioco uno ad uno. Erano distanziati l’uno dall’altro da almeno dieci metri buoni e non si sentirono cadere a vicenda, anche a causa della cacofonia proveniente dallo stadio.
Fu un lavoro veloce e pulito.
Il piccolo Hohehnheim poteva trattarlo con sprezzo, ma Kirill Poliakoff non era stato scelto pescando a caso nel mucchio. Era stato scelto perché il Magister si fidava di lui.
E non di te, principino.
È questo l’errore di tutti voi superbi. Non guardate mai in basso. Ed è questa la vostra debolezza principale.
 
****
 
Tornare trionfante alla tenda era doveroso.
Scorpius salutò gli spalti, una marea coi colori di Hogwarts. Guardò verso la torretta dove sapeva esserci i genitori, e sorrise a vedere sua madre applaudire – forse sollevata?
Suo padre la stava imitando con meno trasporto, ma sapeva che era tutta scena.
Diede una pacca sul dorso di Artiglio, che fu preso successivamente in consegna da uno sconcertato Tremayne accorso sul campo.
“Ehi, ma da quando dà retta a te, pivello?” Chiese con quel suo forte accento gallese, reso ancora più aspro dalla sorpresa.
Scorpius sogghignò. “Oh, siamo diventati buoni amici!”
Con tutta la carne cruda di cui l’ho rimpinzato… e con tutte le volte che mi ha fatto ruzzolare a terra per puro divertimento equino.

Non sapeva ancora come si era classificato, ma ce l’aveva fatta.  
Per il momento mi basta. Sono tutto intero. Mica male.
C’era una cosa però che doveva fare, prima di tornare alla tenda. Tornò sui suoi passi, perlustrò con lo sguardo ogni centimetro cubo d’erba e infine raccolse la propria bacchetta: si era rotta.
Serrò le labbra, ma notò con sollievo che il danno non era grave: la punta era stata scheggiata, ma il manico era intatto.
Mi dispiacerebbe buttarla.   
Se la infilò in tasca, dirigendosi verso la tenda.
Non si rese subito conto che si stava alzando la nebbia: era troppo pieno di adrenalina per percepire con chiarezza cosa gli stesse accadendo attorno a sé.
Quando lo notò, gli spalti erano già dipinti di colori brumosi ed incerti. Sentiva la gente muoversi, ma non vedeva che ombre.
E poi arrivò il freddo.
Non come quello che poteva derivare dal vento, né tantomeno da un cambiamento repentino del tempo.
Freddo che ti si infilava dentro, come essere buttati dentro un lago ghiacciato.
Sentì il sorriso scomparirgli dalle labbra, quasi forzatamente.
Cosa cazzo?
Sentì lo stridio acuto di Artiglio e un’imprecazione da parte di Tremayne, poco distante da lui. Lo vide trascinarlo via recalcitrante, con difficoltà.
Si è spaventato, ma perché…?
Scorpius si guardò attorno, troppo confuso per decidere il da farsi. Poi vide qualcosa di incomprensibile, di assurdo.
Il terreno attorno a lui era gelato come di brina del primo mattino.
 
“Harry!”
Harry si sentì afferrare per un braccio dalla moglie e voltò il viso prima verso la sua espressione ansiosa, poi verso quella tesa di Ron. Strinse il braccio di Ginny per comunicarle che aveva capito.

Sì, c’era qualcosa che non andava.
“Da dove è uscita questa nebbia?” Fu la domanda di Ron, mentre si guardava attorno. Potevano vedere al massimo due file avanti a loro. Era come se un enorme nuvole si fosse adagiata rapidamente attorno al perimetro del campo di Quidditch.
Harry riusciva a vedere Malfoy e consorte e i loro vicini di panca, ma nessun’altro.
“Non lo so, ma non è normale. Fino ad un momento fa c’era il sole. Harry?” Articolò piano Hermione. Non era una domanda, era un attestato di attesa.
L’uomo annuì, tirando fuori la bacchetta dal risvolto del mantello. “Facciamo uscire tutti di qui.”
Come l’anno scorso… ma stavolta il perimetro è sorvegliato. Ci sono almeno tre squadre di Tiratori.

Se ci fosse qualcosa di anomalo lo avrebbero già rilevato.
Tirò fuori uno specchio comunicante. Il brevetto del geniale George era passato, e la prima cosa che aveva fatto, come Direttore dell’Ufficio Auror, era stato rifornire tutti i suoi agenti di quel comodo mezzo di comunicazione.  Non c’era voluto molto prima che l’Ufficio dei Tiratori Scelti seguisse il loro esempio.
Chiamò Smith. Sapeva che era a capo delle operazioni. Aveva impiegato quasi due settimane per farsi dare il suo contatto, ma alla fine l’aveva avuta vinta.
Il nome però rimase a galleggiare sulla superficie per una manciata di minuti. Senza risposta.
Dannazione.
A quel punto Harry lanciò un’occhiata a moglie e amici. Doveva decidere in fretta il da farsi, se comportarsi come un genitore qualsiasi o come il solito Harry Potter.
Intercettò con lo sguardo Teddy, che si era alzato prontamente quando la McGrannit aveva dato cenno di voler lasciare gli spalti.
Non ebbe dubbi.
“Ted, professoressa… dobbiamo far uscire le persone di qui, possibilmente senza scatenare il panico.”
“Ma fuori saranno più al sicuro?” Interloquì Ron.
“Sicuramente più di quanto possano essere ammassate qui dentro. Se si scatena il panico, potrebbe esserci una strage.”
Più di mille persone…  .

Smith avrà tutto il tempo del mondo per indignarsi per la mia ingerenza. Dopo.
Teddy annuì subito. “Va bene.” Fece una breve pausa confusa. “Ma come?” Aggiunse, mentre tutt’attorno a loro si potevano già udire i primi segni di inquietudine.
“Molto semplice. Cerchiamo il Preside, lo informiamo e facciamo in modo che faccia allontanare tutti da qui. Questa è Hogwarts, e il suo Preside è l’autorità suprema.” Replicò la strega. “Adesso mi dia il braccio, professor Lupin. Con questa scarsa visibilità rischierei di mettere il piede in fallo. Vorrei evitare.”
Harry si sentì incredibilmente sollevato quando i due professori – anziana e giovane – si fecero largo lungo le scale di collegamento.
Nessuno prende decisioni come la professoressa…
“Miseriaccia… non vedo al di là del mio naso!” Borbottò Ron, castando un lumos. Rimasero tutti sbalorditi quando videro che la punta della sua bacchetta rifletteva poco più che un tenue lucore.
“Non mi piace…” Mormorò Ginny. “Che vuol dire?”
“Non credo sia nebbia normale. Non se il lumos è inefficace.” Fu il commento finale di Hermione. “Sbrighiamoci a ricongiungerci ai ragazzi e tornare al castello… c’è qualcosa che non va.”

 
Albus aveva appena smesso di sentire il peso di Rose su di sé che si rese conto che era calata una spessa cortina umidiccia. Niente di insolito per quel periodo, tranne il fatto che fosse incredibilmente gelata.
Si strinse nella sciarpa, serrando un brivido trai denti.
“E da dove viene fuori questa roba? Fino a due secondi fa c’era il sole!” Commentò seccata Roxanne.
“Vero, è salita velocemente…” Replicò Rose imitandolo nel gesto di serrarsi la sciarpa al collo. “Sto morendo di freddo, speriamo non ci mettano troppo a dare la classifica.”
“Già… non vedo l’ora di scaldarmi i piedi di fronte al camino, credo di averli ghiacciati.” Concluse Al, lanciando un’occhiata distratta verso Tom.
Magari mi lascia la sua sciarpa.
L’altro non parve notarlo: fissava un punto, in linea d’aria parallelo a loro. Sembrava guardare tutto e niente. Ed era impallidito.
“Tom, che c’è?”
“Andiamocene.” Si scollò dal palato. “Adesso.”
“Cosa?” Al non poté evitare che le due ragazze gli lanciassero un’occhiata perplessa. “Perché?”

“… non lo sentite questo freddo?” Lo sguardo di Tom faceva paura, realizzò Al con una certa dose di inquietudine. Teneva la mascella serrata. Non ebbe bisogno di abbassare lo sguardo per sapere che stava impugnando la bacchetta.
Gli aveva visto quell’espressione addosso poche volte, e tutte l’anno prima.
E visto cos’è successo…
“Certo che lo sentiamo!” Lo apostrofò irritata Rose. “Se vuoi andare, vai, nessuno ti ferma. Ma qualcuno qui vuole sapere come si è piazzato Mal… Hogwarts.” Si corresse all’ultimo momento.
Tom a quel punto lanciò loro un’occhiata bruciante. “Ma non lo sentite?” Ripeté con la voce ridotta ad un sibilo. “Questo freddo non è normale! Siamo coperti da capo a piedi e stiamo battendo i denti!”
Tu stai battendo i denti.” Replicò Roxanne, inarcando le sopracciglia. “Ehi, ma che gli prende?” Si sentì in dovere di chiedere poi a terza persona.
Al non rispose, anche se la domanda forse era diretta a lui. Prese invece per un braccio Tom, tirandolo contro di sé: era vero, stava tremando.  

“Che succede? Cosa ti senti?”
L’altro inspirò. “Freddo…” Buttò fuori. “… non ho mai sentito così freddo in vita mia. Cioè, sì, ma… è come…” Si bloccò. “È assurdo.” Aggiunse. “No, è assurdo.” Ripeté.

“Come cosa?”
“… come quando ero con Doe, nella caverna. Mi sento in quel modo. Come se non … come se fosse tutto perduto.”
Si guardarono e forse lo capirono nello stesso istante.

“Come se non potessi più essere felice?” Mormorò Al, attendo a non farsi sentire dalle ragazze.
Tom annuì.
Forse Al non aveva la sua velocità di ragionamento, ma l’associazione mentale lì era semplice, specie perché i dati a disposizioni erano freschi.
Patronus. Ci hanno fatto esercitare con i Patronus. Freddo. Felicità sparita.
Dissennatori.  
“Sì, ma non sembra che gli altri…” Tentò nonostante tutto. “Tom, sembri star male soltanto tu.”
“Ti ricordi quello che ci ha raccontato tuo padre? Di come … quelle cose…” Serrò appena le labbra, quando non riuscì a pronunciare il nome. “… di come avessero fatto svenire solo lui sull’Espresso per Hogwarts? Per via delle sue esperienze? Non credo che ci sia molta gente qui che è stata rapita di recente.” Aggiunse con una smorfia ironica.
Al a quel punto non poté ribattere. “Okay. Ha senso.” Sussurrò soltanto. “Ma la nebbia?”
“Non lo so. Ma so cosa non è. Nebbia.”

Al si morse le labbra. “Che facciamo?”
Tom non rispose subito. Gli diede invece un colpetto sul fianco, indicando qualcosa affianco a lui. Era ancora più pallido, se possibile, come se stesse davvero per svenire.
“Tom, stai…”
“La balaustra. Guarda la balaustra.”

Al obbedì. Ed ebbe la riprova, anche se avrebbe implorato Voldemort in persona di non averla.
Il corrimano era completamente gelato.
Rose a quel punto parve accorgersi delle loro espressioni, perché scoccò loro un’occhiata incerta.
Al ebbe un rapido momento di lucidità, nel panico più puro. E sorrise a Roxanne.
“Roxie, quanto sai dei Patronus?”  
 
Ted era preso dal duplice compito di guidare la McGrannit – quella foschia era davvero insidiosa – e al contempo evitare che qualcuno si insospettisse, alla loro improvvisa discesa verso la tenda dei Campioni, dove avrebbe dovuto trovarsi Vitious.
La gente era nervosa: il repentino cambiamento di tempo aveva messo tutti sulla difensiva.
Si sentì afferrare per il gomito, un po’ bruscamente. Avrebbe riconosciuto quella presa tra mille.
“Jamie!”
“Ehi.” Replicò il ragazzo, con le braccia conserte e il giubbotto di pelle chiuso fino alla gola. “Che sta succedendo?”

Ted ringraziò silenziosamente la capacità dell’altro di fiutare subito una situazione anomala.  
“Dissennatori.” Gli rispose, quando fu sicuro che nessuno attorno a loro li stesse ascoltando: se c’era qualcuno in grado di sopportare una bomba del genere, quello era il suo ragazzino.
Dà il meglio di sé quando è sottopressione. E non mi lascerebbe andare senza una spiegazione, tra l’altro.
James sgranò gli occhi e masticò un’imprecazione. “Quelli che sono stati avvistati sul Ben Nevis?”
Ted si scambiò un’occhiata con la McGrannit: la donna esibiva una delle sue espressioni anodine, difficili da leggere. Ma le sopracciglia corrugate la dicevano lunga.

“Ben Nevis, Potter?” Chiese infatti la strega.
“Il Cavillo. Ne parlavano nello scorso numero. Okay, c’è roba assurda come quegli studi sui Mooncalf ma alcuni articoli meritano un’occhiata. Tipo questo articolo, dove dicevano che c’erano stati degli avvistamenti in montagne e…” Vedendo che andava troppo per le lunghe, andò dritto alla domanda principale. “È vero allora? Sono tornati? E sono qui?”   

“Sì.” Annuì Ted. “E dobbiamo far uscire tutti dall’arena. Ci sono delle barriere e dei Tiratori, ma tuo padre non riesce a contattare il loro caposquadra.”
“Merda.” Commentò James. Appropriato, pensò Teddy, anche se non apertamente visto l’occhiata severa dell’altra professoressa.
“Vengo con voi.” Aggiunse poi, ignorando ogni principio di protesta. “Sono allievo auror, Teddy. Ti sarò più utile di gran parte di questa gente, e lo sai.”
“Dobbiamo sbrigarci.” Tagliò corto la McGrannit. “Che Potter venga con noi, se serve a tenerlo buono.”
In ogni caso, con l’aiuto di James riuscirono ad arrivare alla tenda dei Campioni in pochi attimi.

Vitious era lì, apparentemente ignaro di cosa stava accadendo all’esterno; la tenda infatti era chiusa da tutti i lati, proprio per tenere all’oscuro fino all’ultimo i Campioni dell’esito della Prova.  
Erano tutti dentro, stanchi e variamente provati.
Ted lanciò uno sguardo a Scorpius: forse era l’adrenalina che doveva ancora scemare, ma sembrava molto inquieto.
“Professor Lupin, Minerva! Ah, c’è anche il giovane Signor Potter…” Li accolse Vitious, non senza qualche imbarazzo. “Non dovreste essere qui.” Soggiunse un po’ sconcertato.
“Infati.” Li apostrofò Madame Maxime. “È una tenda riservata!”
“Ma dobbiamo parlare con il Preside!” Obiettò James d’istinto, prima di essere tacitato da un’occhiataccia della McGrannit. “Però è vero…” Protestò piano.
“Filius, permettimi una parola.” Disse Minerva, facendogli cenno di seguirla in fondo alla tenda.
A quel punto venne loro incontro Scorpius: aveva il labbro inferiore piuttosto malconcio coperto da una crema bluastra e un occhio pesto, ma considerando il tutto, se l’era cavata con nulla. “Complimenti per la prova…” Iniziò Ted pieno di buona intenzioni.
“Sì, sicuro.” Lo interruppe, come se non gli interessasse. “Perché il campo è congelato ed è salita quella strana nebbia?”
“Che vuoi farci Teddy, Malfuretto è un ragazzo sveglio.” Commentò James con aria divertita. “Non se li beve i complimenti.”
“Non c’è nulla di cui preoccuparsi…” Iniziò, sperando che Malfoy non avesse letto il Cavillo come James.
Furono le ultime, classiche parole famose.
Improvvisamente fu come se nella tenda fosse stata risucchiata via tutta la luce, già di per sé non particolarmente presente, portata solo da un paio di candelabri.
Cadde la penombra e un freddo abbacinante, anormale.
Si udì un gemito provenire dall’entrata che dava sul retro dell’arena, quella sorvegliata dagli agenti e poi un lampo violento e color argento. Poi di nuovo buio.
“Che sta succedendo?!” La voce sembrava quasi non appartenere a nessuno in particolare.
James era accanto a lui e aveva già estratto la bacchetta. Ci fu un gran trambusto tutto attorno, ma Ted non riuscì a percepire le figure, o chi stesse facendo cosa.
Regardez-là!” Sussurrò una voce di ragazzo, in francese. “Il ya quelque chose !
“Mael, vieni qua!” Quella era la voce di Dominique. Era la prima volta che Ted sentiva quella ragazzina scapestrata avere quel tono d’urgenza e di paura nella voce.
E poi una mano scheletrica scostò i lembi delle tende. Inconfondibile per Ted, anche se l’aveva vista solo in figura.
Un Dissennatore.  
Era troppo tardi perché le cose si concludessero in modo tranquillo, pensò Teddy in una frazione di secondo.
Poi la tenda venne illuminata come a giorno dal lucore argentato dei Patronus e non ci fu più tempo per pensare.
 
Fu un momento, un attimo.
L’ottica della folla era spesso qualcosa di spaventoso.
Al lo vide quel Dissennatore, arrampicarsi lungo le scalinate con il suo frusto mantello nero. Un’ombra, nient’altro.
Dietro di lui, altre ombre. Troppe.
Non fu l’unico a vederle. Una voce, o forse più voci cominciarono a gridare, dopo un lungo momento di silenzio denso e cattivo.
La realizzazione, semplicemente.
L’atmosfera era cambiata: il momento di festa e competizione era stato spazzato via da una strisciante sensazione di disagio.
L’urlo della folla fu simile ad un mugghio, un terribile boato. La gente cominciò a scappare da tutte le parti, spintonandosi.
Albus!” Esclamò spaventata Rose, mentre la folla si insinuava tra di loro come un mare impetuoso, dividendoli. Cercò di trattenerla, ma gli venne violentemente strappata dalle mani.
Venne spinto all’indietro e letteralmente sollevato da un muro di corpi. Fece parecchi metri prima di sbattere contro la balaustra che divideva gli spalti dal campo. Il mantello gli si era attorcigliato addosso e quando cercò di tirarsi su e di correre via si accorse che la stoffa si era impigliata da qualche parte: con quella nebbia non vedeva dove.
Vide Tom lontano, spinto via dalla calca: lo vedeva bene perché la sua altezza lo faceva spiccare tra folla.
“Tom!” Lo chiamò, mentre la nebbia inghiottiva mantelli, mani e volti di persone, restituendoli alla vista solo per brevi attimi. “Raggiungi Rosie e Rox!” Riuscì ad urlargli, sperando di essere stato udito; Tom poteva essere un sacco di cose, ma non avrebbe mai permesso a nessuno di schiacciare o calpestare due ragazze.
L’altro parve udirlo, perché cercò senza risultato ma tenacemente di tornare da lui, ma cercare di risalire il flusso non solo era pericoloso per lui, ma rischiava anche di provocare danni agli altri.
“Al!” Lo guardò con rabbia e impotenza, prima di gridare. “La bacchetta! Non perdere la bacchetta!”   
Poi venne trascinato via.
Albus tirò di nuovo il mantello e finalmente, con un potente strattone, riuscì a toglierselo per impugnare la bacchetta.
Beh, non li vedeva, quegli inferi mascherati. Ma sapeva che erano lì vicino: forse addirittura gli volteggiavano sopra la testa. Se avesse dato loro le spalle, per correre via e raggiungere gli altri, lo avrebbero ghermito. O forse no. Non poteva saperlo, non si era mai trovato in una situazione del genere.
E avrei gradito tantissimo non trovarmici…
Ad ogni buon conto, era fottutamente spaventato, quindi c’era un’unica cosa da fare; affidarsi alla sua impulsività, afferrare una manciata di ricordi felici e lasciar galoppare libera la sua stupida parte grifondoro.
Expecto Patronum!
 
****
 
Hogwarts, Castello. Dormitorio femminile del Quinto anno.
 
Lily si svegliò stordita.
Si svegliò nel suo letto, e fin qui, niente di strano. Poi si guardò: felpa, gonna, scarpe. La sciarpa riposava vicino a lei. Non era in pigiama, era vestita.  
Si guardò attorno confusa.
… mi sono riposata un attimo prima di uscire? Mi sono appoggiata sul letto e sono crollata?
Non una di quelle frasi aveva senso, anche se era evidente che fosse accaduto quello.
Aveva ricordi confusi sulla mattina: sapeva di essersi alzata ad un’ora adeguata e di aver trascorso molto tempo a truccarsi per essere perfetta; in un’occasione pubblica come quella non poteva limitarsi a spazzolarsi i capelli ed indossare qualcosa di coordinato come faceva Rosie.
Certo, era possibile che si fosse seduta un attimo ed assopita: le era fortemente estraneo il concetto di alzarsi presto la mattina, di sabato. Spesso saltava la colazione solo per poter oziare tra le coperte.  
Dev’essere sicuramente così.
Aveva inoltre una leggera emicrania: forse era per quello che aveva deciso di aspettare?
Si avvicinò allo specchio, controllandosi sommariamente. A parte i capelli scompigliati dal cuscino, era pronta per uscire.
Che cavolo.
Uscire.
Le balzò il cuore in gola: doveva essere in assoluto e totale ritardo!
Guardò con angoscia l’orologio da polso e notò con orrore che era passato mezzogiorno. La prova doveva essere già finita, o in dirittura di conclusione.

Com’è possibile che mi sia addormentata?! Che razza di idiota!
Fece per aprire la porta e gettarsi per le scale, quando qualcosa la trattenne; forse solo una sensazione o un’eco. Delle grida.
Grida? Ma certo, dal campo di Quidditch!
Però non sembravano grida di incitamento o di plauso. Sembravano spaventate.
Perplessa tornò sui suoi passi e d’istinto si affacciò al bovindo della finestra.
Lo spettacolo che gli si presentò le fece gelare il sangue nelle vene, anche se non ne capì subito il motivo: l’intero perimetro in cui sorgeva lo stadio, compreso dei terreni circostanti, fino alla Foresta Proibita, era immerso in una spessa cortina di nebbia scura, come quella che precede una notte senza luna.
Eppure il tempo, sebbene nuvoloso, non minacciava pioggia: addirittura il sole si poteva scorgere, pallido ma pieno, dietro la coltre di nubi.
Che sta succedendo laggiù?
Qualsiasi cosa fosse, laggiù c’era la sua famiglia e i suoi amici. 
Non era un eroina, e non si sarebbe gettata nel pericolo a braccia spalancate: ma non sarebbe neppure rimasta come una principessa nella torre, in attesa che qualcuno le portasse notizie.
Non si dimenticò di prendere la bacchetta e corse giù per le scale.
 
 
****
 
Note:
Non odiatemi. È il periodo dei cliffhanger pare. :P
1.La canzone è questa
2. Polvere Buiopesto peruviana: la conosciamo perché importata dai gemelli Weasley. Crea una cortina spessa e nera nel luogo in cui viene lanciata. L’incantesimo lumos non funziona con essa.

  
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