10. FRITTELLE E
SIDRO DI MELE
It’s times like these
you learn to live again
– Times Like These,
Foo Fighters –
Ancora
quegli occhi. Quello
sguardo autunnale dal coraggioso languore. Quel viso,
quell’espressione.
Squarci vermigli su calda seta bianca.
“Non ti preoccupare.”
Quel
sorriso incontaminato dal
dolore.
Abbracciava
quel corpo fragile e
debole, imbrattando sé stessa del sangue che colava da
troppe piccole ferite e
piangeva spaventata, mentre una voce paziente tentava inutilmente di
lenire la
sua agitazione.
“Non ti preoccupare per me.”
La
sensazione di una frattura là
dove sgorgavano i sentimenti. Il bisogno fisico di respirare, di
smettere di
tremare. Il terrore di restare di nuovo sola.
“Sto bene, davvero.”
L’angosciante
consapevolezza di
avere per la prima volta qualcosa da perdere.
–
Regan! Regan! Regan! –
Aprì
gli occhi come
risvegliandosi da una prigione onirica da cui finora le era stato
impossibile
uscire. I suoi polmoni si riempirono d’aria come se non ne
avessero mai
respirata prima.
–
Regan, svegliati! – cantilenava
la voce briosa di Calien, che le saltava sul letto agitandosi come un
matto. –
Dai, svegliati! Svegliati! –
–
Ma che succede? – mugolò,
stropicciandosi gli occhi.
Qualcuno
aveva aperto le tende e
la luce forte del mattino inoltrato inondava prepotentemente la stanza.
Era una
bellissima giornata.
–
Lucius ci porta alla Fiera
d’Inverno a Shjarna! –
–
Cosa? –
Per
tutta risposta, Calien saltò
giù dal letto e le strappò letteralmente le
coperte di dosso. Regan si
rannicchiò su sé stessa al contatto improvviso
con l’aria fredda.
–
Muoviti, dai! La mamma ti ha
preparato la colazione! –
Regan
lo guardò correre fuori e
un secondo dopo sentì i tonfi dei suoi salti giù
per le scale.
Non
aveva idea di che cosa fosse
esattamente la Fiera d’Inverno, ma, benché il suo
corpo la stesse supplicando
di recuperare le coperte e rituffarsi nel sonno, la sua testa invece
non
chiedeva altro che obbedire agli ordini di Calien, sia
perché la prospettiva di
andare a visitare una fiera le sembrava molto promettente, sia
perché più tardi
si fosse riaddormentata, più possibilità avrebbe
avuto di evitare quegli incubi
terribili che non le davano tregua.
Si
sciacquò il viso con uno
spruzzo di acqua gelida e si vestì in fretta. Quando scese
di sotto, non trovò
nessuno, segno che erano tutti riuniti nella cucina di Eleonora.
–
Ecco la nostra dormigliona! –
la salutò Eleonora, quando la vide fare in suo ingresso
nella stanza. Come al
solito era tutta presa a rassettare.
Lucius
era seduto a capotavola con
Calien accanto e stava finendo di sbocconcellare una grossa fetta di
torta alle
mele, una tazza di tisana scura davanti. Le sorrise e lei
ricambiò
distrattamente, andando a occupare la sedia più lontana da
lui. Da una
settimana a quella parte, dalla conversazione con Anneli, non era
più riuscita
a guardarlo nello stesso modo. Non gli aveva nemmeno parlato dei suoi
sogni,
perché di punto in bianco non ne aveva più alcuna
voglia. Era quasi come se
tacendogli quel particolare gli facesse un qualche dispetto e la cosa
le procurasse
soddisfazione.
Quando
lo sentiva parlare di
qualche donna, cercava di intuire nei suoi sguardi e nelle sue parole
possibili
tracce di sentimenti nascosti, ma finora non aveva mai scorto nulla di
diverso.
–
Non ho capito bene dove stiamo
andando – disse con uno sbadiglio, mettendo eccessiva
concentrazione nel
versarsi del latte dal paiolo bollente che Eleonora aveva lasciato in
tavola.
–
Alla Fiera d’Inverno! – esclamò
Calien, con il tono impaziente di un adulto che ripeteva per
l’ennesima volta
un concetto elementare a un bambino.
–
È una fiera che si tiene ogni
anno a Shjarna la settimana prima del Solstizio d’Inverno
– le spiegò meglio
Lucius, dopo essersi passato un tovagliolo sulla bocca. – Una
specie di
gigantesco mercato a cui accorrono mercanti da ogni angolo delle Sette
Terre.
Ci sono merci di ogni tipo, bancarelle di dolciumi,
spettacoli… –
–
E ci sono i duelli con i
cavalieri! – si infervorò Calien, saltando in
piedi sulla sedia.
–
Hey, giovanotto, rimettiti
seduto come si deve, o tutto ciò che vedrai della fiera
sarà una manciata di
coriandoli che ti porteranno questi due come ricordo – lo
ammonì Eleonora,
puntellandosi le mani sui fianchi in un modo che a Regan
ricordò molto Donna
Melyor.
Atterrito
dalla minaccia, Calien
si affrettò a ricomporsi e lanciò alla madre uno
sguardo supplichevole, come a
chiedere conferma che fosse tutto risolto. Lei rise e gli
scompigliò i capelli.
–
Sei proprio figlio di tuo padre.
–
Fu
solo un istante: un’ombra
nostalgica apparve sul suo viso per poi scomparire subito dopo senza
lasciare
tracce. Regan provò pena per lei: non riusciva a immaginare
cosa si potesse
provare a perdere per sempre la persona amata e aveva
l’assoluta certezza che
lei non sarebbe mai sopravvissuta a un dolore simile. Ma Eleonora non
era come
lei: era una donna forte, combattiva, e aveva avuto un figlio per cui
continuare a vivere e sperare. Nonostante la sua vita fosse
condizionata dalla
necessità di rimanere confinata entro quelle quattro mura
per la maggior parte
del tempo, bastava guardarla per capire che Eleonora, a dispetto di
tutto, era
una persona indiscutibilmente felice.
–
Come lo presentiamo Calien in
pubblico, per curiosità? –
–
Ufficialmente è il figlio di
una vicina di casa – la informò Lucius.
– Il che non è nemmeno una bugia, no? –
Quando
uscirono, Calien ricevette
una discreta sequela di raccomandazioni, compreso l’assoluto
divieto di
approfittarsi delle mani bucate di Lucius. Se la presero comoda,
percorrendo a
piedi quel paio di miglia che separavano la casa dalla
città. Ci misero poco
più di mezz’ora a raggiungere il centro e per
tutto il tragitto fino alla
Piazza Vecchia Calien non smise un secondo di chiacchierare eccitato.
–
Lucius mi porta tutti gli anni!
L’anno scorso c’erano i draghi! Ma poi li hanno
portati via perché un ragazzo
li ha stuzzicati e se lo sono mangiato. –
Regan
era rimasta esclusa dagli
eccessi di entusiasmo, almeno finché Lucius non aveva
accennato agli Edelberg.
Aveva avuto qualche altra occasione di trascorrere del tempo con loro
dalla
cena al loro castello – davanti a una tazza di the fumante in
una taverna, o a
fare a palle di neve nella Piazza del Vecchio Regno – e pian
piano stava
realizzando che se, pur non rammentandola, la sua vita precedente non
le
causava alcuna nostalgia, allora forse non doveva essere stata meglio
dei
giorni che stava vivendo adesso.
–
La fiera pullulerà di giovani,
oggi. È il primo giorno di vacanze invernali alla Domus.
–
Fu
la prima volta che attraversò
un Portale senza lamentarsi.
Era
quasi mezzogiorno quando
arrivarono. La prima cosa che udì fu musica festosa che
proveniva da ogni dove
e un vociare alto e incessante. Il Portale di arrivo sboccava
direttamente
sulla fiera, nel cuore di Shjarna, offrendo una visuale di notevole
impatto:
l’arteria principale della città, che la
percorreva da parte a parte
divedendola a metà, era finita ridotta a uno stretto
passaggio affollato su cui
si affacciavano due interminabili file di bancarelle, alcune semplici e
rustiche, altre più grandi e fastose, sormontate da tendoni
colorati e fastose
decorazioni. Dietro una delle prime, una nano in piedi su uno sgabello
sgangherato decantava a voce alta e stridula il pregio e la bellezza
delle
gemme che esponeva su cuscini di velluto nero e rosa; poco
più avanti, una
donna bellissima stava mostrando a un nugolo di dame non più
giovanissime gli
effetti portentosi di un unguento che lei stessa aveva creato assieme a
colui
che presentava come suo marito, un ometto basso e calvo
dall’aspetto poco
raccomandabile. Ogni tre parole, le dame emettevano un coro di
“Oooh!”
estasiati e si mettevano a parlottare e annuire tra loro.
Regan
era così presa dai colori e
dal chiacchiericcio intenso che ci mise un po’ a ricordarsi
dove si trovava:
Shjarna, la città delle strade di vetro. Eleonora le aveva
raccontato
meraviglie su quel posto. Abbassò lo sguardo non senza una
punta di scetticismo
e per la sorpresa le sfuggì un piccolo gemito soffocato: una
decina di braccia
sotto i suoi piedi, protette da spesse lastre di vetro lustro,
riposavano
rovine antiche di almeno un migliaio di anni, retaggio delle notevoli
imprese
urbanistiche finanziate dall’allora monarchia locale. Era una
strada antica,
blocchi di pietra accostati l’uno all’altro in un
grigio tappeto dalla
superficie irregolare che si estendeva davanti a lei a perdita
d’occhio sotto i
piedi incuranti delle centinaia di passanti. In pochi si soffermavano a
guardare stupiti sotto di sé: forestieri, per lo
più, a giudicare dalle fogge
del vestiario e dai tratti somatici, e bambini che si divertivano a
saltare sul
vetro cercando di romperlo.
–
Possono continuare a saltare
per il resto della loro vita. Il vetro di sabbia vulcanica di Asante
non
cederebbe nemmeno sotto il peso dell’intera città.
Non per niente si chiama
Vetro Eterno – sghignazzò Lucius.
C’era
veramente gente ogni
genere: da ricchi signorotti dall’aria annoiata che
scortavano le consorti e i
figli a servette e garzoni che si trascinavano tra la folla portando
grossi
panieri pieni di cibarie e sacchi di farina. La confusione regnava
incontrastata, ma Regan scoprì che quell’atmosfera
caotica non le dispiaceva.
Aveva un che di rassicurante, di rilassante.
–
Andiamo – Lucius prese Calien e
se lo mise in spalla. – So dove trovare quei perdigiorno.
–
Nella
manciata di minuti che ci
volle per percorrere poche decine di metri, Calien aveva già
additato un
centinaio di bancarelle e ottenuto da Lucius un sacchetto di mandorle
candite e
una sciarpa con due serpenti intrecciati ricamati in un angolo che a
Eleonora
non sarebbe affatto piaciuta.
Appena
oltre un baracchino che
vendeva erbe e spezie, la schiera di bancarelle si interrompeva per un
breve
tratto, aprendosi su una piazzetta in cui era stata allestita una
specie di
mensa all’aperto, dove i passanti potevano fermarsi a
mangiare il cibo
acquistato per strada. In un angolo, inoltre, l’osteria
locale aveva avuto
l’ottima idea di aprire un banco esterno e le loro botti di
vino, birra e sidro
di mele riempivano a fiumi i
numerosi boccali che si presentavano, chiedendo di essere riempiti.
Inutile dubitare
che una sistemazione così ghiotta avesse attirato i giovani
come mosche:
ragazze e ragazze delle età più disparate erano
riuniti in gruppi chiassosi
attorno a molti dei tavoli disponibili e di tanto in tanto
l’esplosione di una
risata generale faceva sollevare e voltare qualche testa curiosa.
E
ovviamente, nel mezzo di tutta
questa frizzante baldoria, chi altri avrebbe potuto tenere pubblico
comizio, se
non i gemelli Edelberg in persona?
Una
piccola folla era adunata
attorno a loro e pendeva dalle loro labbra. Aeden e Anneli, invece,
sedevano in
disparte al tavolo accanto in compagnia di qualche amico più
tranquillo, tra
cui Regan riconobbe i fratelli Emeric e Breys Devore, che aveva
già conosciuto
alla Quercia d’Argento.
C’era anche
un altro ragazzo con loro, un biondo grosso e piuttosto sgraziato, che
guardava
un’indifferentissma Anneli come fosse stata il sole in
persona e una ragazza
che sorseggiava una bevanda rosata sfogliando un libro, una spessa
treccia
castana appoggiata morbidamente sulla spalla.
–
Hey, Lucius! Aspettavamo solo
te, vecchio! – urlò uno dei gemelli, sventolando
in aria un boccale di birra,
il cui contenuto si sparse in giro senza controllo. Non era ubriaco, ma
sicuramente un po’ alticcio.
Lucius
rise e sollevò un braccio
per salutare.
–
Eccomi qua! –
–
Mademoiselle Regan! – esclamò
l’altro gemello, profondendosi in un inchino instabile.
– Benvenuta! Gradireste
del vino? Birra? Me? –
Dal
loro tavolo, Aeden e Anneli
sollevarono gli occhi al cielo. Tutto il resto della compagnia invece
scoppiò
in una risata collettiva. Ora tutti la stavano guardando. Regan suppose
che
essere la destinataria dell’attenzione di chi a sua volta
deteneva l’attenzione
di una folla intera fosse un modo perfetto per farsi notare. Peccato
solo che
lei teoricamente avrebbe preferito passare inosservata, cosa
già abbastanza
dura di per sé, visto il suo aspetto, anche senza ulteriori
aiuti.
Non
si lasciò tuttavia scomporre
dall’improvvisa visibilità che le era stata
praticamente imposta. Sorrise
affabilmente al gemello che le aveva parlato.
–
Vi ringrazio, Lord Edelberg, ma
non gradisco particolarmente le prime due cose, e, in quanto alla
terza, non mi
sento degna di averne il monopolio. –
Mariek
– e Regan ipotizzò che
fosse lui solo quando si ricordò che era Mariek quello a cui
piaceva portare i
capelli legati – si portò teatralmente una mano al
petto e strizzò penosamente
gli occhi.
–
Voi mi spezzate il cuore,
milady! –
–
Avete sentito, signore? –
esclamò Ember, rivolgendosi alle ragazze che lo
circondavano. – Qualcuna è
interessata a sanare il cuore spezzato di questo povero ragazzo?
–
Diverse
mani scattarono in aria,
qualcuna anche appartenente a qualche ragazzo spiritoso, ma una sola
ragazza
ebbe la faccia tosta di arrampicarsi personalmente sul tavolo e
arraffare il braccio
di Mariek come fosse stato il suo cagnolino smarrito. Era piuttosto
bella, la
pelle olivastra messa in risalto dal ricco abito rosa antico, una
cascata di
riccioli neri che le solleticavano il collo e le spalle.
La
folla applaudì e iniziarono
tutti a cantilenare:
–
Bacio! Bacio! –
Né
Mariek né la ragazza diedero
alcun segno di imbarazzo. Sembravano anzi godere dello spettacolo che
stavano
dando. Senza troppe pudicizie, Mariek prese la ragazza per la vita e la
reclinò
tra le proprie braccia, e gli spettatori fischiarono;
avvicinò il viso al suo
fino a che quasi non si toccarono, poi, proprio quando le loro labbra
stavano
per incontrarsi, chinò la testa di lato le stampò
un bacio fulmineo sulla
guancia.
Mentre
tutti gli altri applaudivano
e ridevano a crepapelle, soggetti della messinscena compresi, Anneli
sbuffava
irritata.
–
Che c’è? – le chiese Lucius,
mentre con Regan e Calien occupava i posti liberi al suo tavolo.
Anneli
scoccò un’occhiata obliqua
e sprezzante alla ragazza che stava ancora sul tavolo tra i due
fratelli, ma
preferì tacere.
–
Adora Shephard – rispose Aeden
per lei, e di certo non sembrava meno infastidito. –
L’arrampicatrice sociale
più spudorata che la storia abbia conosciuto. –
–
Arrampicatrice? Meretrice, vorrai
dire – lo corresse la
ragazza che sedeva con Anneli. Sia lei che il ragazzo robusto vestivano
in modo
molto più discreto degli altri, meno ricercato.
Probabilmente non potevano
vantare gli stessi agi economici degli amici.
–
Che cos’è una meretrice? –
volle sapere Calien, ancora occupato a sgranocchiare le sue mandorle.
Lucius
fulminò la ragazza con lo
sguardo.
–
Grazie tante, Lisandra! Calien,
se non dici a tua madre che hai sentito questa parola, ti compro un
intero
vassoio di frittelle. –
Gli
occhioni furbi di Calien
luccicarono fiutando un affare.
–
Quale parola? – tubò con la
voce più innocente che si potesse immaginare.
Regan
conobbe così Lisandra
Grenet e Ascot Wood, due compagni di accademia dei ragazzi Edelberg,
entrambi
provenienti da famiglie umili, che si stavano sudando la loro
formazione a suon
di meriti e borse di studio. C’erano solo due vie per
migliorare la propria
condizione, se si nasceva nei ranghi più bassi del popolo: o
si otteneva un
titolo formativo presso la Domus Aurea per potere aspirare a una
carriera nella
Lega, o si riusciva a incastrare qualche nobile o ricco borghese in un
bel
matrimonio vantaggioso.
Esistevano
anche casi in cui
nemmeno i ricchi si accontentavano, come nel caso di Adora Shephard,
figlia del
più facoltoso mercante di Glazor, della Terra di Asante, che
da anni si era
impegnata a scondinzolare attorno ai rampolli Edelberg e agli altri
figli delle
storiche famiglie nobili, in cerca di un fidanzato che le procurasse un
ambitissimo titolo di lady.
Regan
aveva appreso tutto questo
tra un sorso di sidro e l’altro, dalle chiacchiere stizzite
di Aeden e Anneli e
dalla lingua biforcuta di Lisandra, che sembrava non conoscere il
significato
della parola diplomazia.
Ascot
era invece un tipo
taciturno e poco propenso all’interazione. Non era stato
particolarmente felice
di veder apparire Lucius, perché da lì in poi
Anneli sembrava aver rimosso
dalle proprie percezioni tutto il resto del mondo. Gli occhi blu scuro
di Ascot
però avevano indugiato diverse volte su Regan, ma senza un
reale interesse. Ormai
ci era abituata: gli estranei fissavano per un po’ i suoi
capelli, forse
chiedendosi se il colore non fosse frutto di qualche abile tintura, e
poi, una
volta appurato che era esattamente una ragazza come tutte le altre,
finivano
per lasciarla perdere.
Quando
vassoi di carne e patate
arrosto iniziarono a comparire sui primi tavoli, il pubblico di Ember e
Mariek
si diradò pian piano e a quel punto anche i due ragazzi si
degnarono finalmente
di scendere dal loro palcoscenico improvvisato e raggiunsero il resto
della
combriccola per il pranzo.
–
Aspetti qualcuno? – chiese a
Lucius, quando notò che per l’ennesima volta da
che si erano seduti stava
allungando il collo per scrutare attraverso il viavai di persone alle
loro
spalle.
–
Oh, no, nessuno. Curiosavo
soltanto. –
Non
gliela diede a bere, ma Regan
non se ne preoccupò. Si stava divertendo troppo per dare
peso alle stranezze di
Lucius, tanto più che lui subito dopo si alzò per
andare a salutare una
combriccola di giovani uomini ridanciani che lo avevano chiamato
dall’altro
lato della piazza. Regan ebbe l’impressione che avesse
accolto l’invito con più
premura del necessario.
Restò
a guardare una scena che
ormai era solo l’ennesima replica per lei: nel gruppo erano
tutti di diversi
anni più adulti di Lucius, eppure lo avevano accolto tra
loro come un pari, tra
pacche e offerte repentinamente declinate di boccali di birra
aromatizzata.
Ovunque lui andasse, sembrava riuscire a far pendere chiunque dalle
proprie
labbra. Eccezion fatta per Castalia Reis.
–
Assurdo, non è vero? –
Regan
per poco non trasalì quando
la voce bassa e sinuosa di Aeden le solleticò
l’orecchio. Capì che stavano
osservando il medesimo spettacolo.
–
È un incantatore di folle –
commentò Anneli da dietro il suo bicchiere di sidro, che non
riuscì a celare
del tutto lo sguardo devoto che lei allungò in quella
direzione.
–
E di folli – sghignazzò
Lisandra, ma anche in lei trapelava una certa ammirazione.
–
Lucius è quel raro tipo di
persona che decide al posto tuo se lo devi amare, odiare o essergli
indifferente – disse Aeden. – Ha questa sottile
abilità di importi uno
specifico sentimento nei suoi confronti, senza che tu te ne accorga
–
–
Questo significa che ha scelto
lui di farsi detestare dal Coordinatore Generale? –
Anneli
si gettò i capelli dietro
le spalle, la forchetta che rigirava le patate arrosto nel piatto senza
troppo
interesse.
–
Secondo Prince, e
contrariamente al professo parere di Lucius, Castalia non è
stupida. Ha
riconosciuto subito i suoi indiscutibili e molti talenti e ha capito
che era
meglio averlo con sé che contro di sé. –
–
Anche in caso contrario,
comunque, non avrebbe potuto fare altrimenti, no? – Sul viso
rotondo di
Lisandra si era dipinta un’espressione furba. – Lui
ha sempre avuto Soile dalla
sua. –
Anneli
la guardò storto.
–
Be’, che c’è? È la
verità. –
Le
sue nocche dell’altra
sbiancarono da quanto duramente stringevano il vetro spesso del
bicchiere
appena riafferrato, in cui le unghie sembravano voler affondare fino a
spaccarlo.
Regan
stava iniziando a perdersi.
–
Soile? –
–
Il Coordinatore del Nucleo di
Norden – specificò Ascot burbero, in un raro
slancio socializzante.
–
Il più giovane e attraente
Coordinatore della storia! – esclamò Ember
sognante, piombando all’improvviso
alle spalle dei due fratelli minori.
–
La dama dal cuore di ghiaccio
che tutti sognano di riuscire a sciogliere – gli fece eco
Mariek, con uno
spettacolare sospiro di venerazione.
–
Soile la Splendida. –
–
L’ultima, preziosa figlia della
stirpe reale. –
–
La Luce del Nord. –
Nel
crescendo di pathos
egregiamente esibito dai gemelli, ormai del tutto dimentichi del pranzo
già
servito in tavola, Regan si rese conto che, diversamente da quel che
credeva,
aveva già sentito parlare di quella donna. Solo non riusciva
a ricordare da
chi, né quando.
–
Smettetela di fare i buffoni,
voi due – li riprese Aeden, ricacciandoli ai loro posti.
– Il Coordinatore non
merita una simile mancanza di rispetto. –
–
Suvvia, fratellino, rilassati,
stavamo solo scherzando! E poi non stavamo mancando di rispetto a
nessuno. Stavamo
solo tessendo le lodi della nostra musa. –
–
Fareste meglio a tesservi un
bavaglio, piuttosto – sbuffò Anneli.
–
Che cos’è tutta questa
animazione? –
Guardarono
tutti in su: Lucius
era ritornato al tavolo e li occhieggiava tutti curioso.
–
Stavamo illustrando a Regan il
nostro punto di vista sulle bellezze autoctone della nostra amata Terra
–
rispose prontamente Ember. Sia lui che il fratello gemello non
mostravano
nemmeno un minimo sforzo di coprire le facce da monelli che erano
perennemente
scolpite sui loro volti ormai più vicini a quello di un uomo
che di un bambino.
Lucius
sorrise con una certa
consapevolezza.
–
Oh, sì, posso ben immaginare. –
Si
rimisero tutti a sedere e
finalmente il pranzo poté continuare normalmente. Erano
stati disposti dei bracieri
qua e là in tutta la piazza per riscaldare
l’ambiente ed era un piacere
starsene semplicemente lì seduti in compagnia, consumando
pietanze deliziose
tra un pettegolezzo e l’altro, sensazioni che le ricordavano
qualcosa che, per
quanto si affannasse, non riusciva ad afferrare.
Regan
chiuse gli occhi per un
momento e vide un grande falò che infuocava la notte.
C’era musica, qualcuno
batteva le mani a ritmo, qualcun altro danzava. Capanne e stalle sparse
nei
paraggi. Una ragazza florida e graziosa danzava tra un gruppo di
amiche, i
capelli color grano che rimandavano i riflessi bronzei del fuoco, e
faceva ondeggiare
con le mani la gonna rattoppata. Guardò verso di lei,
sorrise. Sembrava felice.
Poi tutto evaporò in una vampata di buio.
Regan
si massaggiò la fronte,
mentre il dissolversi di quell’immagine lasciava subentrare
di nuovo la realtà.
Si
chiese se per caso non potesse
essere un segno che la sua memoria stesse tornando a galla.
La
sua coscienza restava
intrappolata nel perfetto equilibrio di un dissidio: da un lato il
desiderio di
ritrovare la propria identità e la propria storia,
dall’altro il timore che
questo potesse farle perdere ciò che aveva appena trovato,
quello stesso mondo
in cui si trovava adesso, e si sentiva a
casa.
–
Come mai Prince non c’è? –
domandò, versandosi della densa salsa speziata
sull’arrosto.
–
Lavoro – riuscì a risponderle
Ember, masticando un brano di maiale grosso quanto lui mentre, seduta
di
fronte, Anneli bofonchiava un “Disgustoso”.
–
Lui lavora per la Lega. È un
Cacciatore – biascicò Calien a bocca piena. Dal
suo tono si intuiva una certa
ammirazione. – Anch’io voglio fare il Cacciatore,
da grande! –
–
Che cos’è un… –
–
Sono coloro che danno la caccia
ai ricercati – la precedette Lucius. – Sai, quei
personaggi simpatici tipo i
tizi che abbiamo incrociato a Sonnerg. Gentaglia così.
–
Regan
ebbe un moto di nausea a
ripensare all’insopportabile odore selvatico di
quell’uomo che per poco non
l’aveva soffocata, alle sue mani sudice che la toccavano.
Provò un istintivo
bisogno di tuffarsi nella fontana che zampillava al centro della piazza
per
lavarsi via il ricordo di quella brutta sensazione.
Si
alzarono da tavola che era la
terza pomeridiana passata. Il sole era ancora alto nel cielo, rispetto
a quello
che Regan si era abituata a vedere a Norden, e non sarebbe tramontato
del tutto
prima di un altro paio d’ore.
Abbandonò
non senza remore la
comodità della piazzetta riscaldata e una porzione di dolce
di castagne
lasciato a metà, ma c’era ancora molto da vedere e
non voleva perdersi nulla.
Mentre
camminavano tra le
bancarelle, erano molte le persone che rivolgevano saluti a qualcuno
del gruppo
ed altrettanti che accennavano sguardi incuriositi ai capelli di Regan.
Lucius
scrutava spesso la folla, come se temesse di incontrare la persona
sbagliata,
ma in giro c’erano solo volti innocui e comuni.
A
un certo punto Ember e Mariek si
fermarono per portare Calien a giocare al tiro al bersaglio a un banco
che
offriva in premio frutta caramellata e giocattolini di poco conto
scolpiti nel
legno. Lei e Lucius se ne rimasero in disparte a guardare mentre tutti
gli
altri tifavano per loro.
Anche
la grande semplicità di
quella giornata a Regan appariva come qualcosa di straordinario, le
sembrava di
poter vivere per la prima volta cose di cui aveva solo sentito parlare,
favole
scritte in libri sfogliati lunghi anni addietro di cui aveva conservato
un
geloso ricordo, un insoddisfatto desiderio. Guardava Calien giocare,
ridere a
crepapelle, e non riusciva a trovare dentro di sé un
riflesso di quelle
emozioni così quotidiane da passare quasi per banali. Tra le
poche, nebulose
cose che si riuscivano a leggere a caratteri spesso sbiaditi sulle
pagine
bianche, consunte e strappate della sua memoria non c’erano
accenni alle risate
di una bambina, né a giochi spensierati, né ad
amici con cui condividerli, e
chissà se da qualche parte esisteva qualcuno che lei una
volta aveva chiamato
papà e mamma. Chissà se qualcuno stava pensando a
lei, soffrendone la mancanza,
se c’era un letto vuoto, in qualche casa delle Sette Terre,
su cui qualcuno
soleva sedere chiedendosi se mai avrebbe di nuovo cullato i suoi sogni.
Chissà se l’amnesia mi ha
rubato tesori preziosi o soltanto cumuli di
polvere senza valore…
–
Dobbiamo iniziare a pensare alla
tua istruzione, cerbiattina. È il caso che tu impari
seriamente a sfruttare il
tuo potere. –
La
voce pensosa di Lucius la
accarezzò assieme a un soffio di vento freddo, facendo
cadere il velo
alienazione dietro cui si era rifugiata.
Aggrottò
la fronte di fronte a
quell’uscita priva di contesto.
–
Non riesco nemmeno a spegnere
una candela, che cosa ti aspetti che io sia in grado di imparare?
–
Era
una mezza scusa, e nemmeno
troppo valida. Lo sapeva lei esattamente come lo sapeva lui.
Da
lontano, Anneli azzardò uno
sguardo frettoloso verso di loro. Da esso traspariva qualcosa di
remotamente
simile alla gelosia, ma meno velenoso, un sentimento dettato
dall’istinto su
cui la ragione non riusciva a imporsi.
–
Non riuscire a fare una cosa
non implica necessariamente che tu non ne sia in grado – le
rispose infatti
Lucius, in un tono che sembrava voler dissipare la sua mancanza di
fiducia, o
piuttosto redarguire una pigrizia. – Le tue conoscenze della
Madre e dei legami
che le sue creature hanno con lei sono sommarie e approssimative, come
quelle delle
persone poco erudite. Non ti piacerebbe ampliare un po’ i
tuoi ristretti
orizzonti? –
Regan
non rispose.
–
Perché Shin? – gli chiese
invece, lo sguardo perso nel vuoto. – Perché non
tu? –
Avevano
un’ottima sintonia, loro
due. Nonostante la reticenza che lei si ostinava a mostrare
nell’obbedire a
istruzioni precise – ma era più per una
sua pecca caratteriale che per un
reale intento di ribellione – avevano fatto in fretta a
stabilire un rapporto,
e persino Eleonora le aveva detto più di una volta quanto
Lucius si fosse
affezionato a lei in quelle poche settimane.
E
lui se ne stava lì, come se non
ci fosse davvero, seguendo un filo di pensieri che lei poteva solo
sforzarsi di
intuire senza poterlo veramente cogliere, senza poter sapere,
perché lui, ne
era sicura, non le stava dicendo qualcosa.
–
Te l’ho già detto: è un ottimo
insegnante. E sono certo che saprebbe comprendere i tuoi limiti e i
tuoi punti
di forza molto meglio di me. È il momento che tu prenda in
mano la situazione e
decida cosa vuoi fare di te stessa. –
–
Come faccio a decidere cosa
voglio fare di me stessa se non so chi sono? O cosa,
tanto per andare sul sicuro… –
I
severi occhi di Lucius, cerulei
in quella giornata di sole, sembrarono volerla scuotere da dentro.
–
Regan, io capisco il tuo senso
di smarrimento, ma dobbiamo considerare
l’eventualità che la tua memoria possa
non tornare mai più. –
–
Io spero che non torni, così
resterai sempre con noi – disse Calien. Era comparso alle
loro spalle, reggendo
felicemente tra le mani un cavallino dipinto di rosso. Adesso
c’era Ember a
buttare giù cubetti di legno al suo posto.
Lei
fu commossa da quelle parole,
tanto che per quell’attimo fu quasi felice di non avere un
passato che la
ricollegasse ad altre persone al di fuori di loro. Ma c’erano
troppi punti
irrisolti che pendevano su di lei ed era giusto quantomeno tentare di
trovare
qualche risposta. Lo doveva a sé stessa e a qualunque cosa
fosse rimasto
sepolto nel suo passato.
O qualunque persona.
Ma
nessuno aveva denunciato la
sua scomparsa, Lucius glielo aveva detto. Alla Lega non risultavano
persone
scomparse corrispondenti alla sua inequivocabile descrizione,
né negli ultimi
anni né mai.
–
Sai, è anche possibile che
questi tuoi colori strani non siano frutto della follia di Desmond e
che tu sia
stata volontariamente abbandonata, o venduta, o barattata per qualche
manciata
di corone. –
Lucius
parlò così piano che fu
quasi un sussurro dolente.
Per
qualche motivo l’insinuazione
non la disturbò. Qualcosa in cuor suo sentiva
– o voleva
sentire – che non era così che erano andate le
cose. Sapeva
che non era maturo da parte sua voltarsi dall’altra parte e
rifiutare tutte le
potenziali verità scomode, ma era il solo modo che avesse
per difendersi,
almeno finché non avesse recuperato il suo passato.
O eventualmente anche in seguito.
Calien
aveva distratto Lucius
reclamando le frittelle che gli erano state promesse quando
l’attenzione di
Regan fu attratta da un crepitio proveniente da dietro la fila di
bancarelle,
come se qualcuno stesse rovistando in un mucchio di foglie secche. Un
verso
strano, simile a un gorgoglio, si mescolava a quel rumore di sottofondo.
Una
curiosità irresistibile si
impose su di lei, attirandola come un richiamo, e il buonsenso
capitolò in
fretta. Regan si disse che non c’era nulla di male a dare una
controllata: gli
altri erano tutti lì, a pochi passi, ed era impossibile che
là dietro ci fosse
qualcosa di pericoloso.
C’erano
montagne di sacchi e
casse ammassati alla rinfusa sulla retrovia creata dalla schiera di
banchetti.
I venditori le davano le spalle, affannandosi a seguire le rumorose
richieste
della clientela e nessuno badò a lei. Scandagliò
la zona ristretta, scarsamente
illuminata poiché prigioniera tra le mura dei palazzi e le
strutture della
fiera; quando vide agitazione tra un mucchio di fogliame dagli
straordinari
colori autunnali che il vento aveva raccolto lungo il profilo di una
casa, si
fermò. Parecchie foglie scricchiolavano, mosse da qualcosa
che si nascondeva al
di sotto di essere, e tante altre volavano in aria, galleggiando prive
di peso
fino a che fluttuando non ritornavano a terra. Poteva essere un gatto,
o un
topo, o qualche altra bestia che cercava cibo.
Si
avvicinò con circospezione,
chinandosi in avanti per cercare di vedere. Le foglie smisero di
agitarsi.
Non
voleva allungare la mano:
qualunque cosa fosse, avrebbe potuto avventarsi contro di lei, se lo
avesse
spaventato. Si ritrovò quindi a pensare che quel che ci
voleva era una folata
di vento che, così come le aveva portate lì,
soffiasse via le foglie. Successe
esattamente come con le Myrkae: ancora prima che il pensiero avesse
assunto una
forma concreta nella sua mente, una brezza decisa si sollevò
dal nulla e prese
ad accanirsi con una certa insistenza esattamente nel punto dove lei
stava
guardando, spingendo il fogliame altrove. Regan ci mise qualche secondo
a
vederlo, perché era dello stesso colore delle foglie in cui
si era rifugiato:
un gomitolo di pelo di un marrone fulvo, lucente,
dall’aspetto morbido, e due
grandi occhi neri spalancati a fissarla sorpresi.
Altrettanto
sorpresa, Regan lo
riconobbe subito: era lo strano animaletto che aveva salvato a Kauneus.
Non
sapeva come potesse esserne così sicura; per quanto fosse
assurdo, lo sentiva.
–
E tu come diavolo ci sei
arrivato qui? –
Ben
stretta tra le sue zampette
sottili c’era qualcosa di luccicante: un moneta
d’oro da cinque corone.
Appena
notò dove puntava lo
sguardo Regan, la bestiola strinse più forte il suo piccolo
tesoro e se lo
affondò nella folta pelliccia fino a quasi farlo sparire. I
suoi occhi, però,
non lasciarono per un solo istante quelli di lei.
–
Che c’è? Hai ancora paura di
me? –
Si
avvicinò di un passo e lui non
si mosse. Si limitò a stringersi in sé stesso, la
coda voluminosa che lo
circondava come una barriera protettiva, fino a sembrare una pelosa
palla
rossiccia.
–
Tranquillo – gli disse Regan,
una mano protesa esitante verso di lui. – Non voglio la tua
moneta. –
La
bestiola era agitata. Regan
poteva distintamente sentire il suo minuscolo cuore battere
all’impazzata,
eppure, anche se lei aveva appena mosso un altro passo verso di lui,
ancora non
scappava. Era come se il contatto visivo che si era stabilito fra loro
lo
avesse ipnotizzato.
–
Non voglio farti del male. Ti
ho aiutato, ti ricordi? –
Schiacciato
contro il muro di pietra,
l’animale era immobile. Solo le piccolissime orecchie rotonde
vibravano di
tensione e il nasino nero si alzava e abbassava rapido a ogni respiro.
Regan
si rese conto di non essere
meno ipnotizzata di lui.
–
Non ti fidi di me? –
Ormai
era così vicina da poterlo
quasi toccare.
Non
appena la punta del suo dito
sfiorò superficialmente il pelo soffice, la bestiola, con
uno scatto fulmineo,
fuggì via lungo lo stretto passaggio ingombro di merci,
saltando tra un
ostacolo e l’altro con agilità.
Senza
pensarci, gli corse dietro.
Nemmeno udì il fruscio pesante che la seguì
dall’alto.