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Autore: Lady Vibeke    18/04/2011    7 recensioni
Una donna urla, la voce frammentata da singhiozzi.
Tutto è buio.
Battiti di cuore come tamburi attorno a lei, stretta tra braccia esili. Occhi innocenti di bambina si sgranano nell’angoscia dell’incapacità di comprendere quel caos improvviso.
– Dammi la bambina – Sentenzia la persona senza volto, ed è un ordine ineluttabile che impregna l’oscurità.
C’è il terrore che spadroneggia nella bimba. Troppo piccola per capire, ma abbastanza grande per rendersi conto del pericolo. E intanto quelle braccia insistono a volerla proteggere.
– Se la consegnate a me, sarà salva. Loro stanno arrivando. Se riescono a trovarla, la prenderanno e la uccideranno sotto ai vostri occhi. Datela a me. –
– Cosa vuoi da lei? –
Un lampo squarcia le tenebre. Il volto di una donna appare per un brevissimo istante al di sotto del cappuccio.
– Voglio salvarle la vita. –
Il silenzio della tensione calca sulle loro teste, impietoso. In lontananza, nitriti selvaggi si mescolano a un rumore di zoccoli in corsa.
Le braccia della ragazza si allentano attorno al corpicino indifeso della piccola. Altre due braccia sottili si aprono in un invito. Tutto è preda di una tensione innaturale. Tutto è immobile.
Poi un lampo di luce rossa divora ogni cosa.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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10. FRITTELLE E SIDRO DI MELE

 

It’s times like these you learn to live again

– Times Like These, Foo Fighters –

 

 

Ancora quegli occhi. Quello sguardo autunnale dal coraggioso languore. Quel viso, quell’espressione. Squarci vermigli su calda seta bianca.

“Non ti preoccupare.”

Quel sorriso incontaminato dal dolore.

Abbracciava quel corpo fragile e debole, imbrattando sé stessa del sangue che colava da troppe piccole ferite e piangeva spaventata, mentre una voce paziente tentava inutilmente di lenire la sua agitazione.

“Non ti preoccupare per me.”

La sensazione di una frattura là dove sgorgavano i sentimenti. Il bisogno fisico di respirare, di smettere di tremare. Il terrore di restare di nuovo sola.

“Sto bene, davvero.”

L’angosciante consapevolezza di avere per la prima volta qualcosa da perdere.

– Regan! Regan! Regan! –

Aprì gli occhi come risvegliandosi da una prigione onirica da cui finora le era stato impossibile uscire. I suoi polmoni si riempirono d’aria come se non ne avessero mai respirata prima.

– Regan, svegliati! – cantilenava la voce briosa di Calien, che le saltava sul letto agitandosi come un matto. – Dai, svegliati! Svegliati! –

– Ma che succede? – mugolò, stropicciandosi gli occhi.

Qualcuno aveva aperto le tende e la luce forte del mattino inoltrato inondava prepotentemente la stanza. Era una bellissima giornata.

– Lucius ci porta alla Fiera d’Inverno a Shjarna! –

– Cosa? –

Per tutta risposta, Calien saltò giù dal letto e le strappò letteralmente le coperte di dosso. Regan si rannicchiò su sé stessa al contatto improvviso con l’aria fredda.

– Muoviti, dai! La mamma ti ha preparato la colazione! –

Regan lo guardò correre fuori e un secondo dopo sentì i tonfi dei suoi salti giù per le scale.

Non aveva idea di che cosa fosse esattamente la Fiera d’Inverno, ma, benché il suo corpo la stesse supplicando di recuperare le coperte e rituffarsi nel sonno, la sua testa invece non chiedeva altro che obbedire agli ordini di Calien, sia perché la prospettiva di andare a visitare una fiera le sembrava molto promettente, sia perché più tardi si fosse riaddormentata, più possibilità avrebbe avuto di evitare quegli incubi terribili che non le davano tregua.

Si sciacquò il viso con uno spruzzo di acqua gelida e si vestì in fretta. Quando scese di sotto, non trovò nessuno, segno che erano tutti riuniti nella cucina di Eleonora.

– Ecco la nostra dormigliona! – la salutò Eleonora, quando la vide fare in suo ingresso nella stanza. Come al solito era tutta presa a rassettare.

Lucius era seduto a capotavola con Calien accanto e stava finendo di sbocconcellare una grossa fetta di torta alle mele, una tazza di tisana scura davanti. Le sorrise e lei ricambiò distrattamente, andando a occupare la sedia più lontana da lui. Da una settimana a quella parte, dalla conversazione con Anneli, non era più riuscita a guardarlo nello stesso modo. Non gli aveva nemmeno parlato dei suoi sogni, perché di punto in bianco non ne aveva più alcuna voglia. Era quasi come se tacendogli quel particolare gli facesse un qualche dispetto e la cosa le procurasse soddisfazione.

Quando lo sentiva parlare di qualche donna, cercava di intuire nei suoi sguardi e nelle sue parole possibili tracce di sentimenti nascosti, ma finora non aveva mai scorto nulla di diverso.

– Non ho capito bene dove stiamo andando – disse con uno sbadiglio, mettendo eccessiva concentrazione nel versarsi del latte dal paiolo bollente che Eleonora aveva lasciato in tavola.

– Alla Fiera d’Inverno! – esclamò Calien, con il tono impaziente di un adulto che ripeteva per l’ennesima volta un concetto elementare a un bambino.

– È una fiera che si tiene ogni anno a Shjarna la settimana prima del Solstizio d’Inverno – le spiegò meglio Lucius, dopo essersi passato un tovagliolo sulla bocca. – Una specie di gigantesco mercato a cui accorrono mercanti da ogni angolo delle Sette Terre. Ci sono merci di ogni tipo, bancarelle di dolciumi, spettacoli… –

– E ci sono i duelli con i cavalieri! – si infervorò Calien, saltando in piedi sulla sedia.

– Hey, giovanotto, rimettiti seduto come si deve, o tutto ciò che vedrai della fiera sarà una manciata di coriandoli che ti porteranno questi due come ricordo – lo ammonì Eleonora, puntellandosi le mani sui fianchi in un modo che a Regan ricordò molto Donna Melyor.

Atterrito dalla minaccia, Calien si affrettò a ricomporsi e lanciò alla madre uno sguardo supplichevole, come a chiedere conferma che fosse tutto risolto. Lei rise e gli scompigliò i capelli.

– Sei proprio figlio di tuo padre. –

Fu solo un istante: un’ombra nostalgica apparve sul suo viso per poi scomparire subito dopo senza lasciare tracce. Regan provò pena per lei: non riusciva a immaginare cosa si potesse provare a perdere per sempre la persona amata e aveva l’assoluta certezza che lei non sarebbe mai sopravvissuta a un dolore simile. Ma Eleonora non era come lei: era una donna forte, combattiva, e aveva avuto un figlio per cui continuare a vivere e sperare. Nonostante la sua vita fosse condizionata dalla necessità di rimanere confinata entro quelle quattro mura per la maggior parte del tempo, bastava guardarla per capire che Eleonora, a dispetto di tutto, era una persona indiscutibilmente felice.

– Come lo presentiamo Calien in pubblico, per curiosità? –

– Ufficialmente è il figlio di una vicina di casa – la informò Lucius. – Il che non è nemmeno una bugia, no? –

Quando uscirono, Calien ricevette una discreta sequela di raccomandazioni, compreso l’assoluto divieto di approfittarsi delle mani bucate di Lucius. Se la presero comoda, percorrendo a piedi quel paio di miglia che separavano la casa dalla città. Ci misero poco più di mezz’ora a raggiungere il centro e per tutto il tragitto fino alla Piazza Vecchia Calien non smise un secondo di chiacchierare eccitato.

– Lucius mi porta tutti gli anni! L’anno scorso c’erano i draghi! Ma poi li hanno portati via perché un ragazzo li ha stuzzicati e se lo sono mangiato. –

Regan era rimasta esclusa dagli eccessi di entusiasmo, almeno finché Lucius non aveva accennato agli Edelberg. Aveva avuto qualche altra occasione di trascorrere del tempo con loro dalla cena al loro castello – davanti a una tazza di the fumante in una taverna, o a fare a palle di neve nella Piazza del Vecchio Regno – e pian piano stava realizzando che se, pur non rammentandola, la sua vita precedente non le causava alcuna nostalgia, allora forse non doveva essere stata meglio dei giorni che stava vivendo adesso.

– La fiera pullulerà di giovani, oggi. È il primo giorno di vacanze invernali alla Domus. –

Fu la prima volta che attraversò un Portale senza lamentarsi.

 

 

Era quasi mezzogiorno quando arrivarono. La prima cosa che udì fu musica festosa che proveniva da ogni dove e un vociare alto e incessante. Il Portale di arrivo sboccava direttamente sulla fiera, nel cuore di Shjarna, offrendo una visuale di notevole impatto: l’arteria principale della città, che la percorreva da parte a parte divedendola a metà, era finita ridotta a uno stretto passaggio affollato su cui si affacciavano due interminabili file di bancarelle, alcune semplici e rustiche, altre più grandi e fastose, sormontate da tendoni colorati e fastose decorazioni. Dietro una delle prime, una nano in piedi su uno sgabello sgangherato decantava a voce alta e stridula il pregio e la bellezza delle gemme che esponeva su cuscini di velluto nero e rosa; poco più avanti, una donna bellissima stava mostrando a un nugolo di dame non più giovanissime gli effetti portentosi di un unguento che lei stessa aveva creato assieme a colui che presentava come suo marito, un ometto basso e calvo dall’aspetto poco raccomandabile. Ogni tre parole, le dame emettevano un coro di “Oooh!” estasiati e si mettevano a parlottare e annuire tra loro.

Regan era così presa dai colori e dal chiacchiericcio intenso che ci mise un po’ a ricordarsi dove si trovava: Shjarna, la città delle strade di vetro. Eleonora le aveva raccontato meraviglie su quel posto. Abbassò lo sguardo non senza una punta di scetticismo e per la sorpresa le sfuggì un piccolo gemito soffocato: una decina di braccia sotto i suoi piedi, protette da spesse lastre di vetro lustro, riposavano rovine antiche di almeno un migliaio di anni, retaggio delle notevoli imprese urbanistiche finanziate dall’allora monarchia locale. Era una strada antica, blocchi di pietra accostati l’uno all’altro in un grigio tappeto dalla superficie irregolare che si estendeva davanti a lei a perdita d’occhio sotto i piedi incuranti delle centinaia di passanti. In pochi si soffermavano a guardare stupiti sotto di sé: forestieri, per lo più, a giudicare dalle fogge del vestiario e dai tratti somatici, e bambini che si divertivano a saltare sul vetro cercando di romperlo.

– Possono continuare a saltare per il resto della loro vita. Il vetro di sabbia vulcanica di Asante non cederebbe nemmeno sotto il peso dell’intera città. Non per niente si chiama Vetro Eterno – sghignazzò Lucius.

C’era veramente gente ogni genere: da ricchi signorotti dall’aria annoiata che scortavano le consorti e i figli a servette e garzoni che si trascinavano tra la folla portando grossi panieri pieni di cibarie e sacchi di farina. La confusione regnava incontrastata, ma Regan scoprì che quell’atmosfera caotica non le dispiaceva. Aveva un che di rassicurante, di rilassante.

– Andiamo – Lucius prese Calien e se lo mise in spalla. – So dove trovare quei perdigiorno. –

Nella manciata di minuti che ci volle per percorrere poche decine di metri, Calien aveva già additato un centinaio di bancarelle e ottenuto da Lucius un sacchetto di mandorle candite e una sciarpa con due serpenti intrecciati ricamati in un angolo che a Eleonora non sarebbe affatto piaciuta.

Appena oltre un baracchino che vendeva erbe e spezie, la schiera di bancarelle si interrompeva per un breve tratto, aprendosi su una piazzetta in cui era stata allestita una specie di mensa all’aperto, dove i passanti potevano fermarsi a mangiare il cibo acquistato per strada. In un angolo, inoltre, l’osteria locale aveva avuto l’ottima idea di aprire un banco esterno e le loro botti di vino,  birra e sidro di mele riempivano a fiumi i numerosi boccali che si presentavano, chiedendo di essere riempiti. Inutile dubitare che una sistemazione così ghiotta avesse attirato i giovani come mosche: ragazze e ragazze delle età più disparate erano riuniti in gruppi chiassosi attorno a molti dei tavoli disponibili e di tanto in tanto l’esplosione di una risata generale faceva sollevare e voltare qualche testa curiosa.

E ovviamente, nel mezzo di tutta questa frizzante baldoria, chi altri avrebbe potuto tenere pubblico comizio, se non i gemelli Edelberg in persona?

Una piccola folla era adunata attorno a loro e pendeva dalle loro labbra. Aeden e Anneli, invece, sedevano in disparte al tavolo accanto in compagnia di qualche amico più tranquillo, tra cui Regan riconobbe i fratelli Emeric e Breys Devore, che aveva già conosciuto alla Quercia d’Argento. C’era anche un altro ragazzo con loro, un biondo grosso e piuttosto sgraziato, che guardava un’indifferentissma Anneli come fosse stata il sole in persona e una ragazza che sorseggiava una bevanda rosata sfogliando un libro, una spessa treccia castana appoggiata morbidamente sulla spalla.

– Hey, Lucius! Aspettavamo solo te, vecchio! – urlò uno dei gemelli, sventolando in aria un boccale di birra, il cui contenuto si sparse in giro senza controllo. Non era ubriaco, ma sicuramente un po’ alticcio.

Lucius rise e sollevò un braccio per salutare.

– Eccomi qua! –

– Mademoiselle Regan! – esclamò l’altro gemello, profondendosi in un inchino instabile. – Benvenuta! Gradireste del vino? Birra? Me? –

Dal loro tavolo, Aeden e Anneli sollevarono gli occhi al cielo. Tutto il resto della compagnia invece scoppiò in una risata collettiva. Ora tutti la stavano guardando. Regan suppose che essere la destinataria dell’attenzione di chi a sua volta deteneva l’attenzione di una folla intera fosse un modo perfetto per farsi notare. Peccato solo che lei teoricamente avrebbe preferito passare inosservata, cosa già abbastanza dura di per sé, visto il suo aspetto, anche senza ulteriori aiuti.

Non si lasciò tuttavia scomporre dall’improvvisa visibilità che le era stata praticamente imposta. Sorrise affabilmente al gemello che le aveva parlato.

– Vi ringrazio, Lord Edelberg, ma non gradisco particolarmente le prime due cose, e, in quanto alla terza, non mi sento degna di averne il monopolio. –

Mariek ­– e Regan ipotizzò che fosse lui solo quando si ricordò che era Mariek quello a cui piaceva portare i capelli legati – si portò teatralmente una mano al petto e strizzò penosamente gli occhi.

– Voi mi spezzate il cuore, milady! –

– Avete sentito, signore? – esclamò Ember, rivolgendosi alle ragazze che lo circondavano. – Qualcuna è interessata a sanare il cuore spezzato di questo povero ragazzo? –

Diverse mani scattarono in aria, qualcuna anche appartenente a qualche ragazzo spiritoso, ma una sola ragazza ebbe la faccia tosta di arrampicarsi personalmente sul tavolo e arraffare il braccio di Mariek come fosse stato il suo cagnolino smarrito. Era piuttosto bella, la pelle olivastra messa in risalto dal ricco abito rosa antico, una cascata di riccioli neri che le solleticavano il collo e le spalle.

La folla applaudì e iniziarono tutti a cantilenare:

– Bacio! Bacio! –

Né Mariek né la ragazza diedero alcun segno di imbarazzo. Sembravano anzi godere dello spettacolo che stavano dando. Senza troppe pudicizie, Mariek prese la ragazza per la vita e la reclinò tra le proprie braccia, e gli spettatori fischiarono; avvicinò il viso al suo fino a che quasi non si toccarono, poi, proprio quando le loro labbra stavano per incontrarsi, chinò la testa di lato le stampò un bacio fulmineo sulla guancia.

Mentre tutti gli altri applaudivano e ridevano a crepapelle, soggetti della messinscena compresi, Anneli sbuffava irritata.

– Che c’è? – le chiese Lucius, mentre con Regan e Calien occupava i posti liberi al suo tavolo.

Anneli scoccò un’occhiata obliqua e sprezzante alla ragazza che stava ancora sul tavolo tra i due fratelli, ma preferì tacere.

– Adora Shephard – rispose Aeden per lei, e di certo non sembrava meno infastidito. – L’arrampicatrice sociale più spudorata che la storia abbia conosciuto. –

– Arrampicatrice? Meretrice, vorrai dire – lo corresse la ragazza che sedeva con Anneli. Sia lei che il ragazzo robusto vestivano in modo molto più discreto degli altri, meno ricercato. Probabilmente non potevano vantare gli stessi agi economici degli amici.

– Che cos’è una meretrice? – volle sapere Calien, ancora occupato a sgranocchiare le sue mandorle.

Lucius fulminò la ragazza con lo sguardo.

– Grazie tante, Lisandra! Calien, se non dici a tua madre che hai sentito questa parola, ti compro un intero vassoio di frittelle. –

Gli occhioni furbi di Calien luccicarono fiutando un affare.

– Quale parola? – tubò con la voce più innocente che si potesse immaginare.

Regan conobbe così Lisandra Grenet e Ascot Wood, due compagni di accademia dei ragazzi Edelberg, entrambi provenienti da famiglie umili, che si stavano sudando la loro formazione a suon di meriti e borse di studio. C’erano solo due vie per migliorare la propria condizione, se si nasceva nei ranghi più bassi del popolo: o si otteneva un titolo formativo presso la Domus Aurea per potere aspirare a una carriera nella Lega, o si riusciva a incastrare qualche nobile o ricco borghese in un bel matrimonio vantaggioso.

Esistevano anche casi in cui nemmeno i ricchi si accontentavano, come nel caso di Adora Shephard, figlia del più facoltoso mercante di Glazor, della Terra di Asante, che da anni si era impegnata a scondinzolare attorno ai rampolli Edelberg e agli altri figli delle storiche famiglie nobili, in cerca di un fidanzato che le procurasse un ambitissimo titolo di lady.

Regan aveva appreso tutto questo tra un sorso di sidro e l’altro, dalle chiacchiere stizzite di Aeden e Anneli e dalla lingua biforcuta di Lisandra, che sembrava non conoscere il significato della parola diplomazia.

Ascot era invece un tipo taciturno e poco propenso all’interazione. Non era stato particolarmente felice di veder apparire Lucius, perché da lì in poi Anneli sembrava aver rimosso dalle proprie percezioni tutto il resto del mondo. Gli occhi blu scuro di Ascot però avevano indugiato diverse volte su Regan, ma senza un reale interesse. Ormai ci era abituata: gli estranei fissavano per un po’ i suoi capelli, forse chiedendosi se il colore non fosse frutto di qualche abile tintura, e poi, una volta appurato che era esattamente una ragazza come tutte le altre, finivano per lasciarla perdere.

Quando vassoi di carne e patate arrosto iniziarono a comparire sui primi tavoli, il pubblico di Ember e Mariek si diradò pian piano e a quel punto anche i due ragazzi si degnarono finalmente di scendere dal loro palcoscenico improvvisato e raggiunsero il resto della combriccola per il pranzo.

– Aspetti qualcuno? – chiese a Lucius, quando notò che per l’ennesima volta da che si erano seduti stava allungando il collo per scrutare attraverso il viavai di persone alle loro spalle.

– Oh, no, nessuno. Curiosavo soltanto. –

Non gliela diede a bere, ma Regan non se ne preoccupò. Si stava divertendo troppo per dare peso alle stranezze di Lucius, tanto più che lui subito dopo si alzò per andare a salutare una combriccola di giovani uomini ridanciani che lo avevano chiamato dall’altro lato della piazza. Regan ebbe l’impressione che avesse accolto l’invito con più premura del necessario.

Restò a guardare una scena che ormai era solo l’ennesima replica per lei: nel gruppo erano tutti di diversi anni più adulti di Lucius, eppure lo avevano accolto tra loro come un pari, tra pacche e offerte repentinamente declinate di boccali di birra aromatizzata. Ovunque lui andasse, sembrava riuscire a far pendere chiunque dalle proprie labbra. Eccezion fatta per Castalia Reis.

– Assurdo, non è vero? –

Regan per poco non trasalì quando la voce bassa e sinuosa di Aeden le solleticò l’orecchio. Capì che stavano osservando il medesimo spettacolo.

– È un incantatore di folle – commentò Anneli da dietro il suo bicchiere di sidro, che non riuscì a celare del tutto lo sguardo devoto che lei allungò in quella direzione.

– E di folli – sghignazzò Lisandra, ma anche in lei trapelava una certa ammirazione.

– Lucius è quel raro tipo di persona che decide al posto tuo se lo devi amare, odiare o essergli indifferente – disse Aeden. – Ha questa sottile abilità di importi uno specifico sentimento nei suoi confronti, senza che tu te ne accorga –

– Questo significa che ha scelto lui di farsi detestare dal Coordinatore Generale? –

Anneli si gettò i capelli dietro le spalle, la forchetta che rigirava le patate arrosto nel piatto senza troppo interesse.

– Secondo Prince, e contrariamente al professo parere di Lucius, Castalia non è stupida. Ha riconosciuto subito i suoi indiscutibili e molti talenti e ha capito che era meglio averlo con sé che contro di sé. –

– Anche in caso contrario, comunque, non avrebbe potuto fare altrimenti, no? – Sul viso rotondo di Lisandra si era dipinta un’espressione furba. – Lui ha sempre avuto Soile dalla sua. –

Anneli la guardò storto.

– Be’, che c’è? È la verità. –

Le sue nocche dell’altra sbiancarono da quanto duramente stringevano il vetro spesso del bicchiere appena riafferrato, in cui le unghie sembravano voler affondare fino a spaccarlo.

Regan stava iniziando a perdersi.

– Soile? –

– Il Coordinatore del Nucleo di Norden – specificò Ascot burbero, in un raro slancio socializzante.

– Il più giovane e attraente Coordinatore della storia! – esclamò Ember sognante, piombando all’improvviso alle spalle dei due fratelli minori.

– La dama dal cuore di ghiaccio che tutti sognano di riuscire a sciogliere – gli fece eco Mariek, con uno spettacolare sospiro di venerazione.

– Soile la Splendida. –

– L’ultima, preziosa figlia della stirpe reale. –

– La Luce del Nord. –

Nel crescendo di pathos egregiamente esibito dai gemelli, ormai del tutto dimentichi del pranzo già servito in tavola, Regan si rese conto che, diversamente da quel che credeva, aveva già sentito parlare di quella donna. Solo non riusciva a ricordare da chi, né quando.

– Smettetela di fare i buffoni, voi due – li riprese Aeden, ricacciandoli ai loro posti. – Il Coordinatore non merita una simile mancanza di rispetto. –

– Suvvia, fratellino, rilassati, stavamo solo scherzando! E poi non stavamo mancando di rispetto a nessuno. Stavamo solo tessendo le lodi della nostra musa. –

– Fareste meglio a tesservi un bavaglio, piuttosto – sbuffò Anneli.

– Che cos’è tutta questa animazione? –

Guardarono tutti in su: Lucius era ritornato al tavolo e li occhieggiava tutti curioso.

– Stavamo illustrando a Regan il nostro punto di vista sulle bellezze autoctone della nostra amata Terra – rispose prontamente Ember. Sia lui che il fratello gemello non mostravano nemmeno un minimo sforzo di coprire le facce da monelli che erano perennemente scolpite sui loro volti ormai più vicini a quello di un uomo che di un bambino.

Lucius sorrise con una certa consapevolezza.

– Oh, sì, posso ben immaginare. –

Si rimisero tutti a sedere e finalmente il pranzo poté continuare normalmente. Erano stati disposti dei bracieri qua e là in tutta la piazza per riscaldare l’ambiente ed era un piacere starsene semplicemente lì seduti in compagnia, consumando pietanze deliziose tra un pettegolezzo e l’altro, sensazioni che le ricordavano qualcosa che, per quanto si affannasse, non riusciva ad afferrare.

Regan chiuse gli occhi per un momento e vide un grande falò che infuocava la notte. C’era musica, qualcuno batteva le mani a ritmo, qualcun altro danzava. Capanne e stalle sparse nei paraggi. Una ragazza florida e graziosa danzava tra un gruppo di amiche, i capelli color grano che rimandavano i riflessi bronzei del fuoco, e faceva ondeggiare con le mani la gonna rattoppata. Guardò verso di lei, sorrise. Sembrava felice. Poi tutto evaporò in una vampata di buio.

Regan si massaggiò la fronte, mentre il dissolversi di quell’immagine lasciava subentrare di nuovo la realtà.

Si chiese se per caso non potesse essere un segno che la sua memoria stesse tornando a galla.

La sua coscienza restava intrappolata nel perfetto equilibrio di un dissidio: da un lato il desiderio di ritrovare la propria identità e la propria storia, dall’altro il timore che questo potesse farle perdere ciò che aveva appena trovato, quello stesso mondo in cui si trovava adesso, e si sentiva a casa.

– Come mai Prince non c’è? – domandò, versandosi della densa salsa speziata sull’arrosto.

– Lavoro – riuscì a risponderle Ember, masticando un brano di maiale grosso quanto lui mentre, seduta di fronte, Anneli bofonchiava un “Disgustoso”.

– Lui lavora per la Lega. È un Cacciatore – biascicò Calien a bocca piena. Dal suo tono si intuiva una certa ammirazione. – Anch’io voglio fare il Cacciatore, da grande! –

– Che cos’è un… –

– Sono coloro che danno la caccia ai ricercati – la precedette Lucius. – Sai, quei personaggi simpatici tipo i tizi che abbiamo incrociato a Sonnerg. Gentaglia così. –

Regan ebbe un moto di nausea a ripensare all’insopportabile odore selvatico di quell’uomo che per poco non l’aveva soffocata, alle sue mani sudice che la toccavano. Provò un istintivo bisogno di tuffarsi nella fontana che zampillava al centro della piazza per lavarsi via il ricordo di quella brutta sensazione.

Si alzarono da tavola che era la terza pomeridiana passata. Il sole era ancora alto nel cielo, rispetto a quello che Regan si era abituata a vedere a Norden, e non sarebbe tramontato del tutto prima di un altro paio d’ore.

Abbandonò non senza remore la comodità della piazzetta riscaldata e una porzione di dolce di castagne lasciato a metà, ma c’era ancora molto da vedere e non voleva perdersi nulla.

Mentre camminavano tra le bancarelle, erano molte le persone che rivolgevano saluti a qualcuno del gruppo ed altrettanti che accennavano sguardi incuriositi ai capelli di Regan. Lucius scrutava spesso la folla, come se temesse di incontrare la persona sbagliata, ma in giro c’erano solo volti innocui e comuni.

A un certo punto Ember e Mariek si fermarono per portare Calien a giocare al tiro al bersaglio a un banco che offriva in premio frutta caramellata e giocattolini di poco conto scolpiti nel legno. Lei e Lucius se ne rimasero in disparte a guardare mentre tutti gli altri tifavano per loro.

Anche la grande semplicità di quella giornata a Regan appariva come qualcosa di straordinario, le sembrava di poter vivere per la prima volta cose di cui aveva solo sentito parlare, favole scritte in libri sfogliati lunghi anni addietro di cui aveva conservato un geloso ricordo, un insoddisfatto desiderio. Guardava Calien giocare, ridere a crepapelle, e non riusciva a trovare dentro di sé un riflesso di quelle emozioni così quotidiane da passare quasi per banali. Tra le poche, nebulose cose che si riuscivano a leggere a caratteri spesso sbiaditi sulle pagine bianche, consunte e strappate della sua memoria non c’erano accenni alle risate di una bambina, né a giochi spensierati, né ad amici con cui condividerli, e chissà se da qualche parte esisteva qualcuno che lei una volta aveva chiamato papà e mamma. Chissà se qualcuno stava pensando a lei, soffrendone la mancanza, se c’era un letto vuoto, in qualche casa delle Sette Terre, su cui qualcuno soleva sedere chiedendosi se mai avrebbe di nuovo cullato i suoi sogni.

Chissà se l’amnesia mi ha rubato tesori preziosi o soltanto cumuli di polvere senza valore…

– Dobbiamo iniziare a pensare alla tua istruzione, cerbiattina. È il caso che tu impari seriamente a sfruttare il tuo potere. –

La voce pensosa di Lucius la accarezzò assieme a un soffio di vento freddo, facendo cadere il velo alienazione dietro cui si era rifugiata.

Aggrottò la fronte di fronte a quell’uscita priva di contesto.

– Non riesco nemmeno a spegnere una candela, che cosa ti aspetti che io sia in grado di imparare? –

Era una mezza scusa, e nemmeno troppo valida. Lo sapeva lei esattamente come lo sapeva lui.

Da lontano, Anneli azzardò uno sguardo frettoloso verso di loro. Da esso traspariva qualcosa di remotamente simile alla gelosia, ma meno velenoso, un sentimento dettato dall’istinto su cui la ragione non riusciva a imporsi.

– Non riuscire a fare una cosa non implica necessariamente che tu non ne sia in grado – le rispose infatti Lucius, in un tono che sembrava voler dissipare la sua mancanza di fiducia, o piuttosto redarguire una pigrizia. – Le tue conoscenze della Madre e dei legami che le sue creature hanno con lei sono sommarie e approssimative, come quelle delle persone poco erudite. Non ti piacerebbe ampliare un po’ i tuoi ristretti orizzonti? –

Regan non rispose.

– Perché Shin? – gli chiese invece, lo sguardo perso nel vuoto. – Perché non tu? –

Avevano un’ottima sintonia, loro due. Nonostante la reticenza che lei si ostinava a mostrare nell’obbedire a istruzioni precise ­– ma era più per una sua pecca caratteriale che per un reale intento di ribellione – avevano fatto in fretta a stabilire un rapporto, e persino Eleonora le aveva detto più di una volta quanto Lucius si fosse affezionato a lei in quelle poche settimane.

E lui se ne stava lì, come se non ci fosse davvero, seguendo un filo di pensieri che lei poteva solo sforzarsi di intuire senza poterlo veramente cogliere, senza poter sapere, perché lui, ne era sicura, non le stava dicendo qualcosa.

– Te l’ho già detto: è un ottimo insegnante. E sono certo che saprebbe comprendere i tuoi limiti e i tuoi punti di forza molto meglio di me. È il momento che tu prenda in mano la situazione e decida cosa vuoi fare di te stessa. –

– Come faccio a decidere cosa voglio fare di me stessa se non so chi sono? O cosa, tanto per andare sul sicuro… –

I severi occhi di Lucius, cerulei in quella giornata di sole, sembrarono volerla scuotere da dentro.

– Regan, io capisco il tuo senso di smarrimento, ma dobbiamo considerare l’eventualità che la tua memoria possa non tornare mai più. –

– Io spero che non torni, così resterai sempre con noi – disse Calien. Era comparso alle loro spalle, reggendo felicemente tra le mani un cavallino dipinto di rosso. Adesso c’era Ember a buttare giù cubetti di legno al suo posto.

Lei fu commossa da quelle parole, tanto che per quell’attimo fu quasi felice di non avere un passato che la ricollegasse ad altre persone al di fuori di loro. Ma c’erano troppi punti irrisolti che pendevano su di lei ed era giusto quantomeno tentare di trovare qualche risposta. Lo doveva a sé stessa e a qualunque cosa fosse rimasto sepolto nel suo passato.

O qualunque persona.

Ma nessuno aveva denunciato la sua scomparsa, Lucius glielo aveva detto. Alla Lega non risultavano persone scomparse corrispondenti alla sua inequivocabile descrizione, né negli ultimi anni né mai.

– Sai, è anche possibile che questi tuoi colori strani non siano frutto della follia di Desmond e che tu sia stata volontariamente abbandonata, o venduta, o barattata per qualche manciata di corone. –

Lucius parlò così piano che fu quasi un sussurro dolente.

Per qualche motivo l’insinuazione non la disturbò. Qualcosa in cuor suo sentiva ­­– o voleva sentire – che non era così che erano andate le cose. Sapeva che non era maturo da parte sua voltarsi dall’altra parte e rifiutare tutte le potenziali verità scomode, ma era il solo modo che avesse per difendersi, almeno finché non avesse recuperato il suo passato.

O eventualmente anche in seguito.

Calien aveva distratto Lucius reclamando le frittelle che gli erano state promesse quando l’attenzione di Regan fu attratta da un crepitio proveniente da dietro la fila di bancarelle, come se qualcuno stesse rovistando in un mucchio di foglie secche. Un verso strano, simile a un gorgoglio, si mescolava a quel rumore di sottofondo.

Una curiosità irresistibile si impose su di lei, attirandola come un richiamo, e il buonsenso capitolò in fretta. Regan si disse che non c’era nulla di male a dare una controllata: gli altri erano tutti lì, a pochi passi, ed era impossibile che là dietro ci fosse qualcosa di pericoloso.

C’erano montagne di sacchi e casse ammassati alla rinfusa sulla retrovia creata dalla schiera di banchetti. I venditori le davano le spalle, affannandosi a seguire le rumorose richieste della clientela e nessuno badò a lei. Scandagliò la zona ristretta, scarsamente illuminata poiché prigioniera tra le mura dei palazzi e le strutture della fiera; quando vide agitazione tra un mucchio di fogliame dagli straordinari colori autunnali che il vento aveva raccolto lungo il profilo di una casa, si fermò. Parecchie foglie scricchiolavano, mosse da qualcosa che si nascondeva al di sotto di essere, e tante altre volavano in aria, galleggiando prive di peso fino a che fluttuando non ritornavano a terra. Poteva essere un gatto, o un topo, o qualche altra bestia che cercava cibo.

Si avvicinò con circospezione, chinandosi in avanti per cercare di vedere. Le foglie smisero di agitarsi.

Non voleva allungare la mano: qualunque cosa fosse, avrebbe potuto avventarsi contro di lei, se lo avesse spaventato. Si ritrovò quindi a pensare che quel che ci voleva era una folata di vento che, così come le aveva portate lì, soffiasse via le foglie. Successe esattamente come con le Myrkae: ancora prima che il pensiero avesse assunto una forma concreta nella sua mente, una brezza decisa si sollevò dal nulla e prese ad accanirsi con una certa insistenza esattamente nel punto dove lei stava guardando, spingendo il fogliame altrove. Regan ci mise qualche secondo a vederlo, perché era dello stesso colore delle foglie in cui si era rifugiato: un gomitolo di pelo di un marrone fulvo, lucente, dall’aspetto morbido, e due grandi occhi neri spalancati a fissarla sorpresi.

Altrettanto sorpresa, Regan lo riconobbe subito: era lo strano animaletto che aveva salvato a Kauneus. Non sapeva come potesse esserne così sicura; per quanto fosse assurdo, lo sentiva.

– E tu come diavolo ci sei arrivato qui? –

Ben stretta tra le sue zampette sottili c’era qualcosa di luccicante: un moneta d’oro da cinque corone.

Appena notò dove puntava lo sguardo Regan, la bestiola strinse più forte il suo piccolo tesoro e se lo affondò nella folta pelliccia fino a quasi farlo sparire. I suoi occhi, però, non lasciarono per un solo istante quelli di lei.

– Che c’è? Hai ancora paura di me? –

Si avvicinò di un passo e lui non si mosse. Si limitò a stringersi in sé stesso, la coda voluminosa che lo circondava come una barriera protettiva, fino a sembrare una pelosa palla rossiccia.

– Tranquillo – gli disse Regan, una mano protesa esitante verso di lui. – Non voglio la tua moneta. –

La bestiola era agitata. Regan poteva distintamente sentire il suo minuscolo cuore battere all’impazzata, eppure, anche se lei aveva appena mosso un altro passo verso di lui, ancora non scappava. Era come se il contatto visivo che si era stabilito fra loro lo avesse ipnotizzato.

– Non voglio farti del male. Ti ho aiutato, ti ricordi? –

Schiacciato contro il muro di pietra, l’animale era immobile. Solo le piccolissime orecchie rotonde vibravano di tensione e il nasino nero si alzava e abbassava rapido a ogni respiro.

Regan si rese conto di non essere meno ipnotizzata di lui.

– Non ti fidi di me? –

Ormai era così vicina da poterlo quasi toccare.

Non appena la punta del suo dito sfiorò superficialmente il pelo soffice, la bestiola, con uno scatto fulmineo, fuggì via lungo lo stretto passaggio ingombro di merci, saltando tra un ostacolo e l’altro con agilità.

Senza pensarci, gli corse dietro. Nemmeno udì il fruscio pesante che la seguì dall’alto.

 


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A/N
: innanzitutto devo dire una cosa: sono molto, molto, molto colpita dalle osservazioni che voi ragazze avete scritto nei commenti, perché sono di un acume incredibile! Per non rovinare niente a nessuno, non dirò quali sono vicine e quali un po' meno alla verità, ma lasciate che vi faccia i miei più sinceri e ammiratissimi complimenti! Come dicevo ieri alla mia "correggitrice di bozze" (e all'inizio credevo foste tutte lei sotto mentite spoglie, visto che lei ha già letto tutta la storia XD), non pensavo che ci potessero essere lettori con un tale spirito di osservazione, ma ne sono molto felice. :) Quindi un COMPLIMENTI enorme a:

Maharet: Anneli è molto antipatica, e non solo perché è gelosa come una vipera. XD Però, se riesce a tenere a bada il suo caratterino, sa essere quasi piacevole. Magari avrà modo di dimostrarlo, più in là. :) Per il famoso "grande amore di Lucius" ci sarà da aspettare ancora qualche capitolo, ma presto arriverà il momento della sua introduzione. Comunque, sì, ricordi bene: Shin è al secondo posto. ;)
XxKinxX: ho notato una vaga preoccupazione da parte tua nei confronti di Regan... ma se pensi che al momento siamo solo al capitolo 10 del primo dei cinque libri nei quali la storia intera è stata concepita, direi che siamo letteralmente solo all'inizio. ;)
Milou_ : anche a te Anneli non sta simpatica, ma va tutto bene, è così che deve essere. Anche perché una storia in cui sono tutti perfetti e adorabili non è nè credibile, nè interessante, a mio modesto parere. Sono felice che ti piacciano i gemelli! Non è del tutto sbagliato dire che ricordano Fred e George di Harry Potter, perchè amo molto sia loro che la saga, e sicuramente un tratto comune è la sfrontata allegria, ma Ember e Mariek hanno anche una malizia smaccata e qualche tendenza autocelebrativa che ai Weasley mancavano. XD Il motivo reale per cui sarà SHin e non Lucius a iniziare a fare da "maestro" a Regan verrà in parte spiegato più avanti, ma le ragioni reali e più complicate non verrano svelate in questo libro, quindi ci sarà da accontetntarsi. :) Per il resto, come ho già detto, ottimo intuito!
   
 
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