11. LA FONTE DELLA
VITA
Tell me the story
The one about eternity
And the way it's all gonna be
– Wake Up Dead Man, U2
–
Regan
era scomparsa.
Si
era distratto per un solo
minuto e quando si era voltato di nuovo a cercarla, lei non
c’era più.
Lucius
aveva trattenuto a fatica
una serie di imprecazioni che gli sarebbero costate molto
più del paniere di
frittelle che aveva appena comprato per mettere a tacere la lingua
lunga di
Calien davanti a Eleonora. Aveva chiesto ai ragazzi se
l’avessero vista e la risposta
di tutti era stata un vacuo cenno di diniego.
Maledetta irresponsabile, aveva ringhiato
fra sé e sé. Giuro che
se ti ritrovo tutta intera, ti
faccio a pezzi con le mie mani.
Ovunque
si voltasse, non c’era
traccia di una testa rossa tra la folla.
Poteva
essere ovunque. Poteva
esserle già successo di tutto.
Poi
sentì gridare.
Si
voltò: in fondo alla strada,
dove la fiera si apriva sul parco cittadino, la gente aveva iniziato a
urlare e
un fuggi fuggi generale si stava rapidamente propagando per tutta la
folla.
Lucius distinse, in punto lontano, la mole imponente e nera di un drago
che si
stagliava contro l’azzurro del cielo, dibattendo furioso le
ali diafane tra gli
alberi, sollevando polvere e spezzando rami. Le sue strida riempivano
l’aria
vibrando acute al di sopra delle teste di tutti. Le catene che lo
avevano
vincolato al terreno si agitavano con lui, alcune spezzate, altre
fissate agli
aguzzi paletti di metallo alti come persone che erano stati conficcati
nel
terreno. La gente correva in tutte le direzioni, abbandonando acquisti
e
bancarelle che finivano distrutte dall’avanzare prepotente
dell’enorme animale,
aizzato dall’improvvisa esplosione di frastuono nel suo udito
sensibile.
Qualcosa
non tornava: i draghi
esibiti alla fiera erano strettamente sorvegliati e tenuti sotto
controllo da
addetti estremamente competenti. Era pressoché impossibile
che quella bestia
fosse riuscita a liberarsi.
Perlomeno non senza un provvidenziale aiuto.
–
Lucius! –
Calien
gli si era aggrappato alla
gamba e fissava pietrificato l’avanzare inesorabile del drago
verso di loro.
Lo
prese in braccio e gli ordinò
di chiudere gli occhi e tapparsi le orecchie, poi cercò con
lo sguardo il resto
dei ragazzi. Scorse Ember non molto distante: aveva preso per mano
Anneli e
stava cercando di trascinarla assieme ai fratelli verso il punto in cui
si
trovava lui. Tutt’intorno, centinaia di migliaia di persone
in preda al panico
e all’isteria stavano rendendo una semplice strada di
città un’arena da cui
nessuno aveva la certezza di riuscire a uscire, illeso o vivo che fosse.
E
Regan poteva essere ovunque là
in mezzo.
Nel
migliore dei casi.
Un
urlo mostruoso squarciò
l’aria.
Regan
si coprì istintivamente le
orecchie. Le testa le doleva come se quel suono stridente fosse giunto
assieme
a migliaia di aghi che le avevano perforato la testa di una violenta
pioggia
metallica. Si accovacciò su sé stessa,
stringendosi nelle spalle, mentre il
verso continuava, sempre più alto e furente, e le pungeva
dentro con più
insistenza.
Riuscì
a sentire il lamento
terrorizzato della bestiolina dal pelo rossiccio. Aprì gli
occhi e vide che le
sue zampette affondavano gli artigli nella sua gonna, senza
però lasciare
andare la moneta d’oro, e i suoi enormi occhi neri la
guardavano pieni di
paura.
Impietosita,
provò ad allungarsi
per prenderlo. Lui la lasciò fare. Regan se lo strinse al
seno, abbandonata
contro il muro ruvido, mentre i versi assordanti non accennavano a
cessare. La
bestiola, tremante, si lasciò avvolgere dalle sue braccia.
Emetteva guaiti
simili a quelli di un cucciolo di cane spaurito.
Scoprì
che la causa di tutto quel
caos improvviso era un drago solo quando la sua sagoma imponente si
librò nel
cielo, oscurando il sole.
Regan
si morse le labbra. Lucius
le avrebbe fatto una lavata di testa memorabile, non appena
l’avesse ritrovata.
Se l’avesse ritrovata.
–
Tranquillo – disse alla
creatura. – Ora andiamo a cercare i miei amici. –
Si
mise a ripercorrere a ritroso
lo stretto passaggio lungo cui poco prima si era avventurata,
inciampando in
teloni caduti e casse d. Dall’altra parte della barriera di
bancarelle, la
gente strillava e spingeva, travolgeva indistintamente cose e altre
persone,
come insetti prigionieri in un barattolo sigillato, e intanto il drago
continuava
a sorvolare nervosamente l’area, chiamando a gran voce,
suppose lei, uno o più
compagni rimasti intrappolati a terra, le cui risposte comunicavano la
medesima
frustrazione.
A
Regan sembrava impossibile
riuscire a distinguere qualcuno in mezzo a tutta
quell’agitazione. Non sarebbe
mai riuscita a orientarsi, è a ritrovare Lucius e gli altri.
Un
uomo grosso tre volte lei la
buttò in là con una spallata e un insulto non
certo signorile. Regan inciampò
in un rotolo di fune abbandonato e rovinò a terra di petto,
sbattendo
violentemente una tempia contro la durissima superficie di vetro della
strada.
Stordita, riuscì appena a rendersi conto che la bestiola le
scalpitava tra le
mani e fuggiva via con un singulto di protesta. I rumori e le immagini
del
mondo esterno divennero una specie di miscuglio sfocato, rimbombandole
contro
da ogni direzione. Piedi pesanti le passavano accanto senza
considerarla,
calpestandole i capelli, strappandole il vestito. Qualcuno
incespicò nelle sue
gambe e la rivoltò come un sacco di noci.
Fu
allora che sentì.
Era
come se avesse poggiato
l’orecchio sopra una parete sottile e fosse in ascolto dei
rumori rinchiusi
dall’altra parte. Sussurri e respiri antichi di secoli
indugiavano nei corridoi
in rovina sotto di lei, presenze silenziose e guardinghe che si
ridestavano
dopo un sonno troppo lungo, quasi avessero avvertito che qualcuno era
in
ascolto. Non erano solo nella sua testa, come le voci che sovente le
dilaniavano la mente. C’erano davvero, echi senza nome
né volto raccolti sotto
di lei, prigionieri in carceri di vetro che relegavano il passato
lontano dal
presente. Qualcuno, là sotto, si era perso durante il suo
ultimo viaggio e da
centinaia di anni invocava preghiere d’aiuto che non erano
mai state raccolte,
o forse mai udite. A differenza delle altre
voci, quelle non la facevano impazzire; piuttosto la trascinavano con
sé in
un’altra dimensione, in un tempo che aveva avuto quel luogo
per teatro e di cui
ora non restavano che poveri resti in pietra e storie raccontate da
padre a
figlio nelle sere d’inverno per rievocare remoti stralci di
storia passata che
nessuno si augurava di rivedere mai.
Il
dolore alla testa aumentava
sensibilmente. L’incapacità di muoversi la
costringeva in una posizione
scomoda, che le stava facendo perdere sensibilità agli arti
inferiori.
La
cosa migliore da fare sarebbe
stata togliersi di lì e cercare un posto riparato, o almeno
chiamare aiuto, ma
aveva a stento la forza di tenere gli occhi aperti e quasi non riusciva
a
muovere le dita della mano che le giaceva accanto al viso. Sentiva il
calore viscoso
del sangue scenderle lungo la fronte, e poi scivolare giù,
sulle guance, sulla
bocca, e lambirle il collo per morire infine sul petto, tra le pieghe
dell’abito e il bavero del mantello. La testa pulsava come se
volesse
scoppiare. Le palpebre si stavano facendo insostenibilmente pesanti.
D’un
tratto, da qualche parte in
mezzo alla confusione, udì una voce. Era remota e flebile,
simile all’eco di un
sogno. Sembrava quella di Lucius e stava chiamando a squarciagola un
nome, ma
non era il suo.
–
SHIN!
–
Qualcosa
di pesante le cadde
addosso, duro e solido, bloccandola dalla vita in giù.
E
la voce di Lucius continuava a
urlare.
–
SHIN!
–
Regan
esalò un gemito soffocato,
l’aria che iniziava a mancarle, mentre il suo inconscio si
chiedeva perché
Lucius insistesse a chiamare Shin, che non c’era, e non
chiamasse invece lei.
Tutto
ciò che vide prima di
perdere i sensi fu il ghigno trionfante di un uomo dietro la cui
maschera si
apriva un occhio solo e i bagliori metallici della sua spada sguainata.
Aveva
cominciato a correre prima
ancora di aver sentito Lucius invocare il suo nome con
quell’urgenza quasi
feroce. I suoi sensi erano arrivati prima di tutto il resto: il nitido
richiamo
che sentiva lo stava guidando attraverso un tragitto imprecisato, ma
che aveva
una meta ben definita, anche in mezzo a un simile parapiglia.
–
Trovala! – gli aveva comandato
Lucius, reggendosi Calien in braccio, la spada già in pugno
e all’erta.
Qua
e là erano iniziati ad
apparire membri della Lega, alcuni addetti alla sicurezza, altri
capitati lì
per caso o appena precipitatisi, tra cui riconobbe Prince e alcuni suoi
colleghi e persino un’insegnante della Domus Aurea. I demoni
si erano
concentrati tutti sul drago in libertà, orchestrando
simultaneamente il vento
perché lo spingesse verso la terra; gli angeli stavano
invece soccorrendo i
molti feriti rimasti a terra, portandoli in salvo e cercando di guarire
là dove
possibile. Con una stretta al cuore Shin vide che c’erano tre
persone
abbandonate in un angolo, coperte di sangue, a cui nessuno badava.
Morti.
Avrebbe
potuto essere d’aiuto, in
un’altra circostanza, ma ora aveva cose ben più
importanti a cui pensare:
doveva ritrovare Regan prima che fosse tardi.
Si
fece largo tra la folla che
andava diradandosi, scrutandola nella speranza di riuscire a scorgere
quegli
inconfondibili capelli da qualche parte. Sentiva che era vicina, e
debole, ma
non riusciva a vederla. Poteva essersi nascosta, oppure poteva essere
stata
scaraventata a terra come tanti altri.
Scartò
per un pelo un cavallo che
schizzava imbizzarrito nella direzione opposta, la bocca schiumosa per
lo
sforzo e lo spavento. Regan era lì vicno, da qualche parte.
Tenne
la spada nella fodera. Non
era abile come Lucius nel combattimento armato: gli risultava molto
più
semplice sfruttare il proprio potere piuttosto che affrontare
direttamente un
avversario.
Iniziò
a ispezionare il suolo.
Scostò un paio di grosse travi massicce e un tendone
completamente lacero, ma
niente.
Eppure
lei era lì…
Poi
notò qualcosa che lo
insospettì: tra tutte le persone in fuga, un uomo ammantato
di nero stava
tranquillamente fermo accanto a una bancarella di frutta completamente
devastata e guardava in basso con un’espressione che non
lasciava certo
intendere buone intenzioni. Ci fece caso solo in un secondo momento:
volto
sfigurato, uno strano simbolo ricamato sul mantello nero…
Corrispondeva
alla descrizione
del cavaliere misterioso che Lucius aveva affrontato alla Corte.
Abbassò
lo sguardo e la vide:
riversa a terra priva di sensi, un taglio aperto sulla tempia e il
sangue che
colava sul suo viso e a terra, fino a mescolarsi in un’unica
pozza purpurea con
i capelli.
Un
brivido di incertezza lo
attraversò, ma lo scacciò immediatamente.
C’era un punto che avrebbe senz’altro
giocato in suo favore: se il cavaliere aveva scelto di battersi con
Lucius a
colpi di spada, significava che forse c’era qualche
possibilità che in quanto a
forza interiore Shin avesse qualche possibilità di tenergli
testa.
In
quell’esatto istante il
cavaliere alzò lo sguardo su di lui. Il suo unico occhio,
scuro e apatico,
riluceva di una determinazione che incuteva timore, ma Shin non poteva
permettersi di farsi intimidire da un semplice sguardo.
Balzò
di fronte all’uomo con un
tempismo tanto pericolosamente perfetto che il suo braccio
bloccò il polso
dell’avversario proprio quando la punta della spada che egli
stringeva stava
per affondare verso il petto di Regan. Non ebbe nemmeno il tempo di
tirare un
sospiro di sollievo: si rese subito conto che qualcosa non tornava.
È stato troppo facile.
–
Sei uno sciocco, ragazzino! –
ruggì l’uomo. La sua mano libera si
sollevò rapida in aria, un pugnale che
scintillava in essa, e si avventò senza pietà
verso il punto delicato tra il
collo e la spalla di Shin.
Sebbene
il suo corpo fosse
bloccato in quella posa, la sua mente riuscì a impedire al
colpo di andare a
segno. Il notevole sforzo non bastò comunque a fermare del
tutto l’offesa,
perché la lama mancò il punto prescelto, ma cadde
poco più in basso, sferzando
la tenera pelle della spalla anche attraverso gli strati di vestiti.
Godette
nello scorgere una nota
di palese sorpresa sul volto deturpato del nemico.
–
Forse sono uno sciocco più
abile di quanto credevate. –
Non
gli lasciò il tempo di
riaversi: sfruttò a proprio vantaggio la mole decisamente
più imponente del
cavaliere e, con una spinta ben calibrata assestata con un gomito in
pieno
addome, lo fece rovinare a terra. Un cenno fulmineo della mano e spada
e
pugnale volarono a diverse decine di passi di distanza, atterrando
sopra un
mucchio di verdura fuoriuscita da un carretto ribaltato.
Shin
agì che ancora l’urlo di
rabbia dell’uomo gli risuonava nelle orecchie. Si
chinò e raccolse Regan tra le
proprie braccia, sentendola inerte come una bambola svuotata, ma se non
altro
poté rincuorarsi che fosse ancora viva. Debole e ferita, ma
viva.
Stava
per voltarsi e precipitarsi
a raggiungere Lucius, quando dal nulla gli apparvero di fronte due
persone a
fare da muro tra lui e la via di fuga. Entrambi mascherati, entrambi
vestiti
come il cavaliere di cui si era appena liberato, e, quel che era
peggio,
entrambi gli brandivano contro le rispettive spade in una chiara
manifestazione
di ostilità.
–
Ciò che stai facendo non è
saggio, ragazzo – disse il più alto dei due, con
un timbro cavernoso. –
Lasciala. Per il tuo bene e quello di tutti noi. –
–
Faresti meglio a dargli ascolto,
dolcezza – aggiunse la voce più morbida di una
donna. – La tua vita non ci
interessa, non costringerci a fare qualcosa che non vogliamo.
–
Le
dita di Shin si rinsaldarono
istintivamente sul corpo afflosciato di Regan.
–
Allora riservatemi la stessa
cortesia. –
L’uomo
scoppiò in una fragorosa
risata arrogante.
–
Non sfidarmi. Non ti conviene. –
Alle
sue spalle Shin sentiva
l’altro uomo che si riprendeva a fatica. Non ce
l’avrebbe mai fatta da solo
contro tutti e tre, nemmeno se avesse speso fino all’ultima
goccia la propria
vita.
La
sua mente cercò di valutare
velocemente tutte le eventuali alternative, ma non ne aveva che due:
affrontarli o fuggire. Era consapevole che teletrasportarsi abbastanza
lontano
da essere in salvo lo avrebbe privato delle energie che gli sarebbero
state
necessarie per curare Regan, ma se non lo avesse fatto avrebbe solo
potuto
lottare fino a soccombere e lei sarebbe stata spacciata in ogni caso.
Decise
che valeva la pena di
tentare di mettersi in salvo. Se fosse riuscito ad arrivare fino alla
Sede del
Nucleo di Brenner, dall’altra parte della capitale, ci
sarebbero state altre
persone in grado di soccorrere Regan, se lui non ne fosse stato
più in grado.
Quando impose al proprio corpo di svanire, tuttavia, sentì
come un brusco
strattone lungo tutta la spina dorsale che gli rese impossibile
muoversi. Una
forza sconosciuta lo teneva inchiodato al suolo.
–
Non così in fretta, ragazzino. –
Era
l’uomo alto. Era lui a
trattenerlo.
Una
fiammata di terrore gli
divampò nel petto: era bloccato lì, alla
mercé di tre avversari a lui troppo
superiori.
Nessuno
poteva vederli, da lì:
erano nascosti nella bocca di un vicolo e protetti da un tendone rosso
che era
crollato proprio a ridosso della parete dell’edificio
lì accanto. Nessuno della
Lega sarebbe intervenuto; erano tutti impegnati più avanti.
L’uomo
alto e robusto sogghignò
di fronte al suo smarrimento.
–
Forse ora sei più persuaso a
darci retta. –
–
O forse no. –
Lucius
atterrò nel campo visivo
di Shin con un movimento fluido e naturale, piombando
dall’alto. Una serie di
graffi superficiali gli segnava il collo e il lato destro del viso e
del suo
mantello non restava che uno straccio abbandonato sulla spalla, ma a
parte
quello era illeso. Aggrappato al collo teneva Calien, tremebondo e in
singhiozzi, gli occhi rigidamente serrati. Lo sorreggeva con un
braccio, mentre
la mano libera era ben salda attorno alla sua spada.
–
Scusa il ritardo – ansimò,
sudato in viso, lo sguardo fisso sui due mascherati. – Hanno
mandato un amichetto
a trattenermi. Gli ho dato il benservito. –
I
tre non seppero trattenere un
lievissimo sussulto di sorpresa.
Shin
non perse tempo a chiedersi
se con quelle parole intendesse dire che lo aveva ucciso o solo messo
fuori
combattimento. Lucius, intanto, aveva indietreggiato di un passo verso
di lui.
–
Penso io a loro. Tu prendi
Calien e portali al sicuro – gli sussurrò.
– Ora! –
Prima
di potersene rendere conto,
Shin si ritrovò il bambino aggrappato ciecamente al fianco.
–
Via, via! – urlò Lucius.
Shin
obbedì. I suoi occhi si
chiusero su due lame affilate che si avventavano senza indugi
sull’amico.
Le
faceva male dappertutto. Non
c’era un singolo muscolo o giuntura del suo corpo che non
mandasse
insopportabili scariche di dolore al suo cervello. Uno strano tepore le
lambiva
la tempia, andando a lenire un bruciore che si faceva ogni momento
più vago.
Qualcuno le aveva messo qualcosa di morbido sotto la testa e lei gliene
fu
grata, perché il pavimento sotto di lei era freddo e duro
come il marmo, anche
se al di sotto di esso aleggiava un calore distante, impalpabile.
L’ultima
cosa di cui aveva
coscienza era quell’uomo privo di un occhio che la minacciava
e la voce
imperiosa di Lucius che chiamava Shin.
Si
sforzò di aprire gli occhi.
Con suo sollievo, si trovava in un luogo quasi completamente buio.
–
Ha aperto gli occhi! –
Regan
strizzò gli occhi non
appena quell’esclamazione le colpì i timpani.
–
Zitto, Calien, ho mal di testa.
–
–
Per essere una che stava per
morire, di nuovo, direi che devi
solo
ringraziare di avercela ancora, quella testa. –
La
voce soffice e balsamica di
Shin. Le strisciò addosso come una coperta calda e
riparò al trauma lasciato da
quella stridula di Calien.
Le ci volle un attimo per
rendersi conto che
il tepore che avvertiva sulla tempia era dovuto alla vicinanza della
mano dell’angelo.
Le stava guarendo una ferita.
–
Non ti muovere, ho quasi finito.
–
Regan
si sentiva il sangue
incrostato addosso, su un’area più estesa di quel
che le sarebbe stato gradito
scoprire, l’odore acre e ferroso che le pungeva nei polmoni,
intenso e ancora
fresco. Si accorse che ne aveva anche sui capelli e sul mantello, sui
merletti
del corpetto. Ne doveva avere perso parecchio.
–
Ce la fai a tirarti su? –
Regan
ci provò. Si aiutò con le
mani, ma una fitta al polso sinistro le comunicò che doveva
esserselo slogato.
La
aiutò Shin. Fece bene
attenzione a non toccarla direttamente: le appoggiò una mano
dietro la schiena
e con l’altra la tirò su per il gomito, dove la
manica sporca e gualcita
proteggeva la pelle bianca.
C’era
una tale dolcezza nei gesti
di Shin, una così grande bontà, che per Regan era
una stretta al cuore continua
riscoprirsi a temere il suo tocco, soprattutto quando vedeva che questo
provocava in lui una tale costernazione. Ma era più forte di
lei: quello che
aveva passato poco prima – o forse ore prima, non avrebbe
saputo dirlo – in
mezzo a quella folla era niente paragonato al male che aveva provato
nell’essere semplicemente sfiorata da lui.
Una
volta seduta, vide che si
trovavano in una specie di anticamera. Una campata centrale era
suddivisa da
due campate minori da due file di colonne sottili su cui erano scolpiti
fini
rami di edera che, non avessero avuto quel colore così
bianco e uniforme,
sarebbero potuti apparire veri.
–
Stai bene, adesso? – le domandò
Calien, timoroso, tirando su con il naso. Regan riusciva a intravedere
i suoi
occhi chiari scintillare umidi nel buio.
Regan
se lo strinse al petto.
–
Certo che sto bene! Shin mi ha
fatta stare bene. –
Cercò
di metterci tutta la
gratitudine che provava, in quella frase, perché Shin
capisse.
Il
posto era freddo e odorava di
pietra umida; non cerano finestre, né aperture di alcun tipo
nelle pareti.
Erano sicuramente sottoterra.
–
Dove ci troviamo? –
Inginocchiato
accanto a lei, Shin
si lasciò corrompere da una fugace espressione colpevole.
–
Dove ha detto Lucius: al sicuro.
–
Le
spiegò brevemente ciò che era
accaduto.
–
È rimasto a distrarre quella
gente mascherata perché io potessi portare via te e Calien
–
Un
nodo improvviso le bloccò
l’aria a metà strada nella gola.
Lucius…
Ora
ricordava com’era cominciato
tutto.
Qualcuno
aveva urlato. Il drago.
Il dilagare istantaneo del panico. Se le fosse stata dove sarebbe
dovuta
essere, probabilmente ora sarebbero già riusciti a tornare a
Kauneus, tutti
quanti.
Shin
la rassicurò.
–
Sa badare a sé stesso. Non c’è
da temere per lui. –
Era
ciò di cui stava cercando di
convincersi lei, con scarsi risultati.
–
Tu che cosa ci facevi qui? –
Shin
non parve gradire la vena
lievemente accusatoria, ma non se la prese. La tranquillità
era il suo tratto
dominante, caratteristica utile e pregevole sotto molteplici punti di
vista, ma
per una persona impulsiva ed emotiva come lei poteva essere veramente
snervante.
–
È stato un caso. –
–
No, non è vero. Lucius si è
guardato in giro per tutto il giorno. Scommetto che cercava te.
–
Il
silenzio che regnava là sotto
era innaturale. Non potevano essere poi così distanti dalla
fiera,o Shin non
sarebbe riuscito a portare via sia lei che Calien, eppure non un solo
suono li
raggiungeva.
Ora
che i suoi occhi si erano
abituati all’oscurità, riusciva a intravedere
meglio il pallido bagliore di
luce gialla che vibrava attraverso una fessura in fondo alla stanza.
Qualcosa
di smile a un’ombra viva si adagiò sulle sue
spalle mentre ogni più piccola
parte di lei diveniva progressivamente consapevole di essere in
presenza di
un’energia sacra che dormiva silente nella terra su cui i
suoi piedi
poggiavano. Ora che ci prestava attenzione, era precisamente quella la
fonte
del calore che aveva sentito nella semi incoscienza: dalla terra. Dalla
Madre.
–
Shin, dove siamo, esattamente?
–
–
Nella cripta del Tempio della
Vita di Shjarna. –
Era
un luogo famoso, ma lei ne
sapeva ben poco. Assieme al Tempio della Luna di Astereis e al Sacrario
Ancestrale
di Corterra, a Medilana, costituiva la triade di edifici sacri
più antichi del
Mondo Occulto. Templi secondari, santuari e cappelle pubbliche e
private si
affiancavano a essi come sedi di culto minori. Il Tempio della Vita,
indipendentemente dal resto, restava il più importante.
Regan
si fece aiutare a
rimettersi in piedi. Non era granché stabile, ma riusciva a
camminare da sola.
–
Voglio uscire di qui – disse,
dirigendosi verso il punto da cui proveniva la luce. – Voglio
andare da Lucius.
–
–
Lucius ci raggiungerà non
appena gli sarà possibile – sottolineò
Shin, ma non la fermò.
Appena
Regan giunse a scostare il
pesante drappo rosso che faceva da divisorio con la stanza successiva,
qualcosa
si agitò dentro di lei. Era un’irrequietudine
atavica, che aveva strisciato
sulla sua pelle quando un alito di aria si era insinuato in quella
piccola
fessura che si apprestava a spalancare del tutto, quasi venendole
incontro ad
avvertirla che là dove stava andando non era un posto come
tutti gli altri.
Oltre il vello percepiva due presenze contrastanti: fuoco, ozioso e
pacifico,
che bruciava l’aria senza pretendere altro, e poi acqua.
Silenziosa, immota
acqua che giaceva segregata da qualche parte molto al di sotto del
pavimento di
pietra levigata su cui lei camminava, aspettando. Cosa, non era dato
saperlo.
Una cosa sola era certa: non era la via per uscire.
–
Puoi entrare, se lo desideri.
Non ci sono mostri feroci pronti ad aggredirti, dall’altra
parte – le disse
Shin alle sue spalle.
Non
se lo fece ripetere due
volte. Oltrepassò il drappo senza esitazioni e si
ritrovò un un’ampia sala
circolare dal soffitto in roccia grezza. Proprio davanti a lei aveva
inizio un
lungo tappeto rosso che si dipanava in linea retta fino al capo opposto
della
camera, terminando di fronte a un altare inondato di luce dorata. Era
occupato
quasi interamente da un cratere che si apriva nel pavimento, scavato
grossolanamente nella nuda roccia. Candele sparse ovunque, di ogni
forma e
dimensione, ardevano silenziose di una luce laconica che gettava ombre
dai
contorni sfumati sullo spazio circostante.
Affascinata,
Regan si avvicinò.
Le sembrava di essere una sacrilega a farsi avanti in quel luogo nelle
condizioni in cui era: sporca, insanguinata, i vestiti ridotti a
brandelli,
eppure l’alito di vento che la aveva incontrata prima di
entrare tornò ad
accoglierla, soffiandole lieve sul viso. Le fiammelle delle candele
danzarono
nelle loro culle di cera. Era aria fresca, ed era impossibile dire da
dove
arrivasse, lì sottoterra.
Shin
era appena entrato dietro di
lei, con Calien per mano, ma lei non ci fece caso.
C’erano
cinque statue disposte a
semicerchio dietro del cratere. Avevano sembianze umane, scolpite in
una pietra
candida dai pallidi riflessi opalescenti. Sui piedistalli di marmo
nero, in
bassorilievo, i loro nomi laminati in argento: Innocentia, Tentatio,
Peccatum,
Expiatio, Redemptio.
Regan
si soffermò a scrutarle una
per una, senza osare avvicinarsi, intimidita dall’atmosfera
sacrale sentiva
incombere attorno a sé.
Innocenza
era una bambina dal
viso tondo e paffuto che guardava verso una volta celeste immaginaria
con occhi
sgranati e colmi di genuino stupore. Stringeva tra le mani un mazzetto
disordinato di fiori di campo, i piccoli piedi nudi che poggiavano
delicatamente
su un soffice cuscino d’erba. Al suo fianco, Tentazione era
incarnata da un
ragazzo dai folti riccioli che guardava con avidità alla
propria sinistra, la
bocca dischiusa in una piega vagamente sensuale, il ginocchio sinistro
proteso
di lato in uno slancio smanioso, frenato però dalla catena
che gli imprigionava
la caviglia destra al terreno. Seguendo il suo sguardo si incontrava la
terza
scultura.
Peccato
rappresentava due giovani
amanti colti in un gesto di intimità: lei completamente
abbandonata tra le
braccia possenti di lui, la testa riversa all’indietro in uno
stato di
inconfondibile estasi. Spostandosi appena più in
là, tuttavia, la prospettiva
mutava completamente: la mano di lui reggeva un pugnale affondato tra
le
scapole di lei, lunghi rivoli di sangue rubino che le colavano sulla
pelle,
impregnando il tessuto sottile della veste abilmente scolpita. Amore e
Morte,
nella loro rappresentazione più tragica.
Alla
loro sinistra, Espiazione –
un uomo emaciato coperto da cenci laceri, inginocchiato su sassi
appuntiti –
li fissava con sguardo tormentato, le mani
ossute convulsamente strette al petto, dilaniato da profonde ferite. I
suoi
occhi scavati e sgomenti riflettevano una sofferenza angosciante.
A
chiudere il semicerchio,
infine, bellissima e maestosa, Redenzione si ergeva nelle morbide forme
di una
donna che spalancava le braccia verso il cielo, due splendide ali
angeliche
spiegate alla sue spalle. Il suo viso, esattamente come quello di
Innocenza,
era rivolto verso l’alto, chiusi gli occhi, e portava
impressa un’espressione
di pace assoluta.
Regan
restò a lungo a studiarle,
rapita dal realismo dei loro volti, dalla drammaticità dei
loro gesti. C’era
qualcosa di vivo e inquietante che pulsava sotto ai loro gusci di
pietra.
Involontariamente,
il suo sguardo
continuava a tornare a Tentazione ed Espiazione, dall’una
all’altra, simili ed
opposte. Entrambe si volgevano verso Peccato, entrambe dipinte di
un’emozione
esasperata, entrambe consumate dal loro stesso anelare.
Fu
con sorprendente stupore che,
nell’arretrare incurantemente di un passo, Regan
realizzò una cosa che la fece
sentire strana.
Tentazione guarda Peccato e vede l’Amore.
Espiazione guarda Peccato e vede
la Morte.
–
Un tempo l’Acqua della Vita
sgorgava proprio lì. –
Shin
stava indicando il soffitto.
Seguendo il suo dito, Regan notò che, in corrispondenza del
cratere, il
soffitto convergeva leggermente a formare una stalattite appena
accennata, la
cui sommità bianca puntava dritto al centro del bacino, un
occhio solitario che
aveva perso anche l’ultima delle sue lacrime.
–
Come mai la fonte non stilla
più? –
Nel
medesimo istante in cui lo
chiese, avvertì una vibrazione impercettibile sotto i piedi,
come se qualcosa
nel suolo si stesse agitando, come un dormiente stuzzicato nel sonno
che a
gesti ciechi scacciava la presenza molesta per riconquistare la
tranquillità.
–
Nessuno ne conosce le vere
ragioni. Tutto ciò che si sa è che nel giro di
una manciata di secoli si
prosciugò, lasciando i pellegrini di tutte le Terre a bocca
asciutta –
Regan
fissò pensosa le sponde
vuote del cratere.
Letteralmente.
–
La Fonte della Vita era un dono
della Madre ai suoi figli sofferenti: leniva piaghe e ferite, curava
morbi che
nessun guaritore era in grado di trattare. Spesso bastava tergere un
corpo martoriato
con un panno imbevuto di quest’acqua e questo si sanava
completamente nel giro
di pochi giorni – Shin si fermò un momento e
abbassò lo sguardo. La luce delle
candele giocava sui suoi capelli, donando tonalità
più calde ai loro riflessi
argentei, al bianco di una pelle troppo pura per poter rimanere tale
ancora a
lungo.
–
C’è chi ritiene che sia una
punizione. –
–
Punizione per che cosa? –
I
lineamenti cesellati di Shin si
tesero con la stessa dolenza che era solita indurirli quando, nel
sfiorarla per
sbaglio, le strappava un gemito sofferente.
–
Per la nostra condotta. Per
tutto il male a cui diamo origine. –
Il
male. Già. Il prezzo da pagare
per l’inestimabile dono del libero arbitrio, il dazio
insostenibile che i
giusti pagavano per sopperire agli abusi smodati dei malvagi. Due razze
affini
e differenti come angeli e demoni, nate con il privilegio di poter
godere della
libertà degli umani e di una profonda comunione con la
Madre, più simile a
quella degli animali, si erano trasformate nei secoli fino a dividersi
in tre
grandi categorie: gli innocenti, ossia coloro che non avevano modo e
mezzi né
per imporsi né per difendersi; i corrotti, a cui
appartenevano tutti coloro che
non erano stati in grado di domare la cupidigia e l’egoismo
derivanti da un’eccessiva
similitudine alla debolezza dello spirito umano, e se ne erano quindi
lasciati
soggiogare, fino a perdere completamente il senso della
moralità; e infine i
difensori, le persone abbastanza forti e abbastanza influenti che
avevano il
potere di modificare le cose, di imporre una spada sopra alla follia di
un
corrotto e stroncarla una volta per tutte.
Talvolta
poteva capitare che un
giusto si lasciasse intaccare dalla perversa attrattiva della
corruzione e si
lasciasse marcire al fianco di individui che fino a poco prima aveva
assiduamente combattuto; oppure – e più raramente,
perché era più semplice
cedere al peccato, piuttosto che tirarsene fuori – un
corrotto si pentiva,
spinto da qualche rimasuglio di onestà dimenticato in un
angolo sporco
dell’anima, e si offriva alla giustizia, offrendo
collaborazione nella speranza
di ritrovare la retta via attraverso il pagamento dei propri debiti
morali. Per
quel che riguardava gli innocenti, invece, la difficoltà era
maggiore: da un
lato la tentazione di votarsi al male nella speranza di conquistare
alte vette
e promesse di un futuro migliore, dall’altra le
possibilità – purtroppo
nettamente più esigue – offerte dalla Domus Aurea
ai meritevoli e volenterosi
di diventare dei difensori attraverso l’istruzione e
l’addestramento.
Il
problema, però, rimaneva lo
stesso fin dall’alba dei tempi:
l’accessibilità del male era innegabilmente
superiore a quella del bene, una via in discesa e priva di ostacoli,
che si
poteva benissimo percorrere a occhi chiusi. Quando poi si riaprivano
gli occhi,
era tardi per poter semplicemente girare sui tacchi e tornare indietro.
–
Io non faccio male a nessuno.
La mia mamma dice che non devo nemmeno calpestare gli insetti
– si difese
Calien, ostentando un candore così perfetto e misurato che
per niente al mondo
avrebbe convinto Regan della sua casualità. In una ventina
d’anni avrebbe
cominciato a mietere cuori di giovani fanciulle con quella sfacciata
innocenza
che ricordava fin troppo i modi ruffiani che aveva visto esibire da
Lucius, e
con una certa maestria.
Le
venne un brivido di
frustrazione. Nelle sue mani formicolava, persistente, la voglia di
impugnare
una spada e uscire a dare man forte a chiunque si stesse battendo per
riportare
l’ordine in città. Strinse i pugni,
fastidiosamente vuoti, e si impose di
restare calma, ma era difficile.
Non
si sentiva in pace in quel
luogo. Qualcosa ribolliva nell’aria attorno a lei, causa di
dondolii anomali
nell’alone luminoso disegnato dalle infinite candele e nei
battiti del suo
cuore.
–
Voi non lo sentite? – domandò,
innervosita.
Calien
non si disturbò a
distrarsi dall’attenta contemplazione delle statue per darle
retta.
–
Che cosa? – fece invece Shin.
Era
difficile da spiegare. Come
tutte le cose che si avvertivano non con uno dei cinque sensi preciso,
ma con
un’assurda combinazione di ciascuno di essi– un
sesto senso superiore che li
riassumeva tutti e andava persino oltre – era solo
intelligibile, e spiegarlo,
trasmetterlo ad altri tramite parole che mai sarebbero state in gradi
di
descrivere adeguatamente una qualsiasi sensazione pura sarebbe stato
semplice
quanto spiegare i colori a una persona nata cieca.
–
Quest’agitazione
nell’atmosfera. Questa specie di rimescolio nella terra sotto
di noi –
Un’ombra
di preoccupazione calò
ad offuscare il viso dell’angelo.
–
Tu non lo senti? –
–
No, non lo sento. –
Cominciava
a credere di essersi
fatta trasportare dal nervosismo. Probabilmente lo aveva solo
immaginato e
adesso Shin pensava che fosse una povera pazza. Volle a tutti costi
convincersi
di essersi sbagliata, ma sotto sotto non riusciva a mentire a
sé stessa, e
anche se non era normale che lei sentisse qualcosa che nessun altro
sentiva,
quel respiro angustiato che proprio in quel punto la terra sembrava
esalare.
Finse
di interessarsi come Calien
alle sculture, anche se questo non parve sminuire il turbamento che la
sua
rivelazione aveva provocato in Shin.
–
Che significato hanno? –
Lui
la occhieggiò di sbieco, e
tra le righe lei poté chiaramente leggere parola per parola
a lettere cubitali
un “Non me la fai” che per qualche motivo non fu
mai pronunciato.
–
Rappresentano i cinque punti
salienti del semicerchio della vita, o perlomeno di quella che si
considererebbe una vita vissuta nella sua interezza – fu
invece la risposta.
–
Ero convinta che la vita fosse
considerata un percorso circolare – disse lei, accigliata.
–
L’esistenza –
specificò Shin, paziente. – di ciò che
noi siamo è
circolare e ciclica, un infinito rigenerarsi di energia che, dopo il
legittimo
ritorno alla Madre, rinasce sotto nuova forma –
–
La vita in sé è solo metà della
nostra esistenza, e l’altra metà nessuno la
conosce, perché nessuno è mai
tornato indietro per raccontarla, pertanto sarebbe consigliabile da
parte tua
almeno fingere che tu voglia tenerti stretta questa mezza porzione
attuale. –
La
voce ansante e arrochita che
aveva parlato decisamente non era stata quella di Shin. Era provenuta
dal capo
opposto della camera, dove si apriva la soglia da cui erano entrati
poco prima.
E proprio là, apparso dal nulla, c’era un Lucius
piuttosto dimesso, il viso
paonazzo per la rabbia, in petto che si alzava e abbassava
dall’affanno. Rinfoderò
la spada e, tanto per ribadire un concetto che nei giorni precedenti le
aveva
ripetuto così spesso da nausearla, e che comunque continuava
a sortire effetti
a dir poco desolanti, incenerì Regan con
l’occhiata più minacciosa che le
avesse mai rivolto.
Lei
si trattenne dal corrergli
incontro e gettargli le braccia al collo dal sollievo solo
perché aveva il
sospetto che fosse più ammaccato di quel che ci tenesse a
dare a intendere e
comunque era abbastanza arrabbiato dal farla definitivamente desistere
da
qualsivoglia intento di avvicinarglisi.
–
Fammi ancora uno scherzo del
genere, cerbiattina – sibilò, raggiungendola, il
fiato corto e spezzato per una
fatica che a lei era solo concesso immaginare. – E io ti giuro, Shin mi è testimone,
che non uscirai mai più
di casa senza un guinzaglio legato ben stretto attorno quel
tuo bel collo bianco. –
Regan
si sentì avvampare per
l’imbarazzo e l’umiliazione. Non era possibile che
ogni volta dovesse finire in
quel modo, e non era solo una questione di curiosità: a
volte proprio non
riusciva a vietare al suo corpo di obbedire a un richiamo
più forte di lei.
–
Mi dispiace. –
–
Questa mi sembra di averla già
sentita. –
Evidentemente
dubitando che lei
potesse già provare un senso di colpa adeguato alla
situazione e volendosi
quindi accertare di infondergliene una ragionevole dose, Lucius
accompagnò il
sarcasmo del commento con una smorfia di dolore. La sua mano che, con
ineccepibile
tempismo, saliva a massaggiare il braccio sinistro le permise di notare
che per
l’ennesima volta si era portato a casa un ricamo nuovo di
zecca da aggiungere
alla sua discutibile collezione. Anche la zanna color avorio che
pendeva al suo
orecchio era schizzata di sangue.
–
Che cos’è successo là fuori? –
–
Ho dato una mano a sedare il
drago. Ovvio che fosse così inviperito, gli avevano
conficcato un pugnale in
una zampa. –
Ecco perché soffriva tanto.
–
Vuoi dire che non è stato un
incidente? –
Lo
chiese per puro scrupolo. Era
abbastanza navigata da capire da sé che sarebbe stata una
coincidenza un po’
troppo fortuita che un drago strettamente sorvegliato da personale
competente
si fosse imbizzarrito proprio quando le persone senza nome che le
davano la
caccia stavano per aggredirla.
Lucius
itercettò lo sguardo
rigido di Shin.
–
Sono pronto a scommettere che
sia stato un diversivo molto ben orchestrato. –
–
E gli altri… –
–
Stanno tutti bene. I
simpaticoni mascherati volevano te. Appena sei sparita, si sono
dileguati in
fretta e furia. Comincio a pensare che forse sarebbe meglio consegnarti
a loro
e farla finita. –
Si
fermò a contemplare
l’impallidire repentino di Regan e sollevò gli
occhi al cielo.
–
Stavo scherzando, naturalmente.
–
Lo
sapeva che stava scherzando.
Cionondimeno la battuta l’aveva fatta sentire sgradevolmente pesante. Per lui, per Shin, e per tutte
quelle persone che ci erano andate di mezzo. Aveva ragione lui,
dopotutto:
sarebbe stato meglio lasciare che quella gente la prendesse.
Non
aveva ancora parlato a Lucius
dei suoi sogni, delle visioni, o qualunque cosa fossero. Avrebbe
dovuto, ma l’orgoglio
le mordeva alla gola ogni volta che avrebbe voluto farlo. La trattava
già come
una bambina, perché raccontargli di una sciocca paura dei
brutti sogni?
Shin
riuscì, da lontano, a
catturare i suoi occhi abbastanza a lungo da poter carpire qualcuno dei
suoi
pensieri, e allora le sorrise appena, incoraggiante, mentre Calien
trotterellava da Lucius, implorandolo di tornare tutti a casa. Regan si
morse
il labbro e guardò altrove.
–
Ho perso il mio cavallino rosso.
–
Con
un sospiro, Lucius prese in
braccio il bambino e gli tolse un ciuffo di capelli biondi dal viso un
po’
sporco, che però non era nulla in confronto alla camiciola
strappata e ai
calzoni macchiati di quella che doveva essere frutta spappolata. Lucius
considerò prima quei dettagli, poi il proprio aspetto
macilento e poi ancora
quello di Regan e Shin, non poi tanto migliore, infine tornò
a Calien e sospirò
di nuovo, scuotendo il capo con rassegnazione.
–
A tua madre verrà un colpo
quando ci vedrà rientrare conciati così.
–
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
A/N:
pian piano stiamo ingranando, vero? :D La storia acquisisce
complessità e spessore (credo... l'intento sarebbe quello!
XD) e l'intreccio si dipana (e ingarbuglia), sorgono domande e si
ipotizzano risposte... alcune delle quali avranno conferma tra poco,
altre moooolto più avanti. Ma la pazienza è la
virtù dei forti, si dice, e altrimenti che gusto ci sarebbe
a sapere tutto subito? :) Come al solito, ringrazio chi legge e
aggiunge la storia tra le preferite, ma soprattutto chi commenta,
perché le recensoni sono la sola "moneta" a cui un'umile
autrice che pubblica su EFP aspira. Quindi grazie:
LovelyAndy: troppo
buona! *-* Io lo spero che diventi un libro, inutile dirlo, quindi, in
caso, sarei ben lieta di sapere che qualcuna mi ha seguita dalla mia
"culla scrittevole" fino alla "professionalità". :)
Xx Kin YourichixX:
sei la prima a cui non piace Lucius, sono sinceramente sorpresa! XD Ma
è giusto così, a ognuno i suoi gusti! Il tuo
presentimento era fondato, hai visto? ;) Ho lettrici molto intuitive,
ne vado fiera!
Milou_: in
realtà nessuno ha mai detto che gli animali non possano
attraversare i Portali. ;) Anche se in effetti bisogna sapere dove
andare per poterlo fare, oppure essere fisicamente in contatto con
qualcuno che sappia dove andare. Insomma, hai ragione, in fondo: non
è normale che la bestiolina sia lì, e
più in là sapremo come mai si trovi proprio in
quel luogo.
Vampire Berry: hai
accennato all'importanza di abbinare nomi e carattere e aspetto, e
ciò mi inorgogliosce, perché devi sapere che non
c'è nulla di lasciato al caso in questa storia. Ogni nome ha
un perchè, un significato preciso che motiva la sua
appartenenza a tal personaggio/cosa/animale/luogo. Ho una
vera e propria ossessione per i nomi, sia per quel che riguarda il modo
in cui suonano che, giustamente, il loro significato, e apprezzo
davvero che tu abbia notato questo particolare. Grazie per tutti
i complimenti! *-*
Shadow_Soul:
ovviamente l'inizio dello scorso capitolo è tutto
fuorchè un normalissimo sogno. ;) Si svelerà
più avanti il suo significato. Per quel che riguarda il
resto, posso solo dirti che... chi vivrà vedrà.
:D E la strada è mooolto lunga, ancora! Come vedi, poi,
Regan non è minimamente in grado di sfuggire da sola a una
qualsiasi minaccia, deve sempre pensare qualcun altro a salvarla. XD
AcquamarimePrincess:
intanto, benvenuta! :) Non so quando leggerai questa mia risposta,
visto che hai recensito per ora solo il prologo e non so dove sei
arrivata con la lettura, ma ti posso dire che Rok è un
animale al 100% e il motivo per cui Lucius lo chiama "fratello"
è che sono molto legati e più avanti scopriremo
anche esattamente in che modo. ;) Per adesso, grazie mille per esserti
disturbata a commentare! *-* E grazie per gli auguri di buona fortuna!
A
tutti voi, AL PROSSIMO CAPITOLO! :)
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