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Autore: Lady Vibeke    22/04/2011    6 recensioni
Una donna urla, la voce frammentata da singhiozzi.
Tutto è buio.
Battiti di cuore come tamburi attorno a lei, stretta tra braccia esili. Occhi innocenti di bambina si sgranano nell’angoscia dell’incapacità di comprendere quel caos improvviso.
– Dammi la bambina – Sentenzia la persona senza volto, ed è un ordine ineluttabile che impregna l’oscurità.
C’è il terrore che spadroneggia nella bimba. Troppo piccola per capire, ma abbastanza grande per rendersi conto del pericolo. E intanto quelle braccia insistono a volerla proteggere.
– Se la consegnate a me, sarà salva. Loro stanno arrivando. Se riescono a trovarla, la prenderanno e la uccideranno sotto ai vostri occhi. Datela a me. –
– Cosa vuoi da lei? –
Un lampo squarcia le tenebre. Il volto di una donna appare per un brevissimo istante al di sotto del cappuccio.
– Voglio salvarle la vita. –
Il silenzio della tensione calca sulle loro teste, impietoso. In lontananza, nitriti selvaggi si mescolano a un rumore di zoccoli in corsa.
Le braccia della ragazza si allentano attorno al corpicino indifeso della piccola. Altre due braccia sottili si aprono in un invito. Tutto è preda di una tensione innaturale. Tutto è immobile.
Poi un lampo di luce rossa divora ogni cosa.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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11. LA FONTE DELLA VITA

 

Tell me the story
The one about eternity
And the way it's all gonna be

– Wake Up Dead Man, U2 –

 

 

 

Regan era scomparsa.

Si era distratto per un solo minuto e quando si era voltato di nuovo a cercarla, lei non c’era più.

Lucius aveva trattenuto a fatica una serie di imprecazioni che gli sarebbero costate molto più del paniere di frittelle che aveva appena comprato per mettere a tacere la lingua lunga di Calien davanti a Eleonora. Aveva chiesto ai ragazzi se l’avessero vista e la risposta di tutti era stata un vacuo cenno di diniego.

Maledetta irresponsabile, aveva ringhiato fra sé e sé. Giuro che se ti ritrovo tutta intera, ti faccio a pezzi con le mie mani.

Ovunque si voltasse, non c’era traccia di una testa rossa tra la folla.

Poteva essere ovunque. Poteva esserle già successo di tutto.

Poi sentì gridare.

Si voltò: in fondo alla strada, dove la fiera si apriva sul parco cittadino, la gente aveva iniziato a urlare e un fuggi fuggi generale si stava rapidamente propagando per tutta la folla. Lucius distinse, in punto lontano, la mole imponente e nera di un drago che si stagliava contro l’azzurro del cielo, dibattendo furioso le ali diafane tra gli alberi, sollevando polvere e spezzando rami. Le sue strida riempivano l’aria vibrando acute al di sopra delle teste di tutti. Le catene che lo avevano vincolato al terreno si agitavano con lui, alcune spezzate, altre fissate agli aguzzi paletti di metallo alti come persone che erano stati conficcati nel terreno. La gente correva in tutte le direzioni, abbandonando acquisti e bancarelle che finivano distrutte dall’avanzare prepotente dell’enorme animale, aizzato dall’improvvisa esplosione di frastuono nel suo udito sensibile.

Qualcosa non tornava: i draghi esibiti alla fiera erano strettamente sorvegliati e tenuti sotto controllo da addetti estremamente competenti. Era pressoché impossibile che quella bestia fosse riuscita a liberarsi.

Perlomeno non senza un provvidenziale aiuto.

– Lucius! –

Calien gli si era aggrappato alla gamba e fissava pietrificato l’avanzare inesorabile del drago verso di loro.

Lo prese in braccio e gli ordinò di chiudere gli occhi e tapparsi le orecchie, poi cercò con lo sguardo il resto dei ragazzi. Scorse Ember non molto distante: aveva preso per mano Anneli e stava cercando di trascinarla assieme ai fratelli verso il punto in cui si trovava lui. Tutt’intorno, centinaia di migliaia di persone in preda al panico e all’isteria stavano rendendo una semplice strada di città un’arena da cui nessuno aveva la certezza di riuscire a uscire, illeso o vivo che fosse.

E Regan poteva essere ovunque là in mezzo.

Nel migliore dei casi.

 

 

Un urlo mostruoso squarciò l’aria.

Regan si coprì istintivamente le orecchie. Le testa le doleva come se quel suono stridente fosse giunto assieme a migliaia di aghi che le avevano perforato la testa di una violenta pioggia metallica. Si accovacciò su sé stessa, stringendosi nelle spalle, mentre il verso continuava, sempre più alto e furente, e le pungeva dentro con più insistenza.

Riuscì a sentire il lamento terrorizzato della bestiolina dal pelo rossiccio. Aprì gli occhi e vide che le sue zampette affondavano gli artigli nella sua gonna, senza però lasciare andare la moneta d’oro, e i suoi enormi occhi neri la guardavano pieni di paura.

Impietosita, provò ad allungarsi per prenderlo. Lui la lasciò fare. Regan se lo strinse al seno, abbandonata contro il muro ruvido, mentre i versi assordanti non accennavano a cessare. La bestiola, tremante, si lasciò avvolgere dalle sue braccia. Emetteva guaiti simili a quelli di un cucciolo di cane spaurito.

Scoprì che la causa di tutto quel caos improvviso era un drago solo quando la sua sagoma imponente si librò nel cielo, oscurando il sole.

Regan si morse le labbra. Lucius le avrebbe fatto una lavata di testa memorabile, non appena l’avesse ritrovata.

Se l’avesse ritrovata.

– Tranquillo – disse alla creatura. – Ora andiamo a cercare i miei amici. –

Si mise a ripercorrere a ritroso lo stretto passaggio lungo cui poco prima si era avventurata, inciampando in teloni caduti e casse d. Dall’altra parte della barriera di bancarelle, la gente strillava e spingeva, travolgeva indistintamente cose e altre persone, come insetti prigionieri in un barattolo sigillato, e intanto il drago continuava a sorvolare nervosamente l’area, chiamando a gran voce, suppose lei, uno o più compagni rimasti intrappolati a terra, le cui risposte comunicavano la medesima frustrazione.

A Regan sembrava impossibile riuscire a distinguere qualcuno in mezzo a tutta quell’agitazione. Non sarebbe mai riuscita a orientarsi, è a ritrovare Lucius e gli altri.

Un uomo grosso tre volte lei la buttò in là con una spallata e un insulto non certo signorile. Regan inciampò in un rotolo di fune abbandonato e rovinò a terra di petto, sbattendo violentemente una tempia contro la durissima superficie di vetro della strada. Stordita, riuscì appena a rendersi conto che la bestiola le scalpitava tra le mani e fuggiva via con un singulto di protesta. I rumori e le immagini del mondo esterno divennero una specie di miscuglio sfocato, rimbombandole contro da ogni direzione. Piedi pesanti le passavano accanto senza considerarla, calpestandole i capelli, strappandole il vestito. Qualcuno incespicò nelle sue gambe e la rivoltò come un sacco di noci.

Fu allora che sentì.

Era come se avesse poggiato l’orecchio sopra una parete sottile e fosse in ascolto dei rumori rinchiusi dall’altra parte. Sussurri e respiri antichi di secoli indugiavano nei corridoi in rovina sotto di lei, presenze silenziose e guardinghe che si ridestavano dopo un sonno troppo lungo, quasi avessero avvertito che qualcuno era in ascolto. Non erano solo nella sua testa, come le voci che sovente le dilaniavano la mente. C’erano davvero, echi senza nome né volto raccolti sotto di lei, prigionieri in carceri di vetro che relegavano il passato lontano dal presente. Qualcuno, là sotto, si era perso durante il suo ultimo viaggio e da centinaia di anni invocava preghiere d’aiuto che non erano mai state raccolte, o forse mai udite. A differenza delle altre voci, quelle non la facevano impazzire; piuttosto la trascinavano con sé in un’altra dimensione, in un tempo che aveva avuto quel luogo per teatro e di cui ora non restavano che poveri resti in pietra e storie raccontate da padre a figlio nelle sere d’inverno per rievocare remoti stralci di storia passata che nessuno si augurava di rivedere mai.

Il dolore alla testa aumentava sensibilmente. L’incapacità di muoversi la costringeva in una posizione scomoda, che le stava facendo perdere sensibilità agli arti inferiori.

La cosa migliore da fare sarebbe stata togliersi di lì e cercare un posto riparato, o almeno chiamare aiuto, ma aveva a stento la forza di tenere gli occhi aperti e quasi non riusciva a muovere le dita della mano che le giaceva accanto al viso. Sentiva il calore viscoso del sangue scenderle lungo la fronte, e poi scivolare giù, sulle guance, sulla bocca, e lambirle il collo per morire infine sul petto, tra le pieghe dell’abito e il bavero del mantello. La testa pulsava come se volesse scoppiare. Le palpebre si stavano facendo insostenibilmente pesanti.

D’un tratto, da qualche parte in mezzo alla confusione, udì una voce. Era remota e flebile, simile all’eco di un sogno. Sembrava quella di Lucius e stava chiamando a squarciagola un nome, ma non era il suo.

SHIN! –

Qualcosa di pesante le cadde addosso, duro e solido, bloccandola dalla vita in giù.

E la voce di Lucius continuava a urlare.

SHIN! –

Regan esalò un gemito soffocato, l’aria che iniziava a mancarle, mentre il suo inconscio si chiedeva perché Lucius insistesse a chiamare Shin, che non c’era, e non chiamasse invece lei.

Tutto ciò che vide prima di perdere i sensi fu il ghigno trionfante di un uomo dietro la cui maschera si apriva un occhio solo e i bagliori metallici della sua spada sguainata.

 

 

Aveva cominciato a correre prima ancora di aver sentito Lucius invocare il suo nome con quell’urgenza quasi feroce. I suoi sensi erano arrivati prima di tutto il resto: il nitido richiamo che sentiva lo stava guidando attraverso un tragitto imprecisato, ma che aveva una meta ben definita, anche in mezzo a un simile parapiglia.

– Trovala! – gli aveva comandato Lucius, reggendosi Calien in braccio, la spada già in pugno e all’erta.

Qua e là erano iniziati ad apparire membri della Lega, alcuni addetti alla sicurezza, altri capitati lì per caso o appena precipitatisi, tra cui riconobbe Prince e alcuni suoi colleghi e persino un’insegnante della Domus Aurea. I demoni si erano concentrati tutti sul drago in libertà, orchestrando simultaneamente il vento perché lo spingesse verso la terra; gli angeli stavano invece soccorrendo i molti feriti rimasti a terra, portandoli in salvo e cercando di guarire là dove possibile. Con una stretta al cuore Shin vide che c’erano tre persone abbandonate in un angolo, coperte di sangue, a cui nessuno badava. Morti.

Avrebbe potuto essere d’aiuto, in un’altra circostanza, ma ora aveva cose ben più importanti a cui pensare: doveva ritrovare Regan prima che fosse tardi.

Si fece largo tra la folla che andava diradandosi, scrutandola nella speranza di riuscire a scorgere quegli inconfondibili capelli da qualche parte. Sentiva che era vicina, e debole, ma non riusciva a vederla. Poteva essersi nascosta, oppure poteva essere stata scaraventata a terra come tanti altri.

Scartò per un pelo un cavallo che schizzava imbizzarrito nella direzione opposta, la bocca schiumosa per lo sforzo e lo spavento. Regan era lì vicno, da qualche parte.

Tenne la spada nella fodera. Non era abile come Lucius nel combattimento armato: gli risultava molto più semplice sfruttare il proprio potere piuttosto che affrontare direttamente un avversario.

Iniziò a ispezionare il suolo. Scostò un paio di grosse travi massicce e un tendone completamente lacero, ma niente.

Eppure lei era lì…

Poi notò qualcosa che lo insospettì: tra tutte le persone in fuga, un uomo ammantato di nero stava tranquillamente fermo accanto a una bancarella di frutta completamente devastata e guardava in basso con un’espressione che non lasciava certo intendere buone intenzioni. Ci fece caso solo in un secondo momento: volto sfigurato, uno strano simbolo ricamato sul mantello nero…

Corrispondeva alla descrizione del cavaliere misterioso che Lucius aveva affrontato alla Corte.

Abbassò lo sguardo e la vide: riversa a terra priva di sensi, un taglio aperto sulla tempia e il sangue che colava sul suo viso e a terra, fino a mescolarsi in un’unica pozza purpurea con i capelli.

Un brivido di incertezza lo attraversò, ma lo scacciò immediatamente. C’era un punto che avrebbe senz’altro giocato in suo favore: se il cavaliere aveva scelto di battersi con Lucius a colpi di spada, significava che forse c’era qualche possibilità che in quanto a forza interiore Shin avesse qualche possibilità di tenergli testa.

In quell’esatto istante il cavaliere alzò lo sguardo su di lui. Il suo unico occhio, scuro e apatico, riluceva di una determinazione che incuteva timore, ma Shin non poteva permettersi di farsi intimidire da un semplice sguardo.

Balzò di fronte all’uomo con un tempismo tanto pericolosamente perfetto che il suo braccio bloccò il polso dell’avversario proprio quando la punta della spada che egli stringeva stava per affondare verso il petto di Regan. Non ebbe nemmeno il tempo di tirare un sospiro di sollievo: si rese subito conto che qualcosa non tornava.

È stato troppo facile.

– Sei uno sciocco, ragazzino! – ruggì l’uomo. La sua mano libera si sollevò rapida in aria, un pugnale che scintillava in essa, e si avventò senza pietà verso il punto delicato tra il collo e la spalla di Shin.

Sebbene il suo corpo fosse bloccato in quella posa, la sua mente riuscì a impedire al colpo di andare a segno. Il notevole sforzo non bastò comunque a fermare del tutto l’offesa, perché la lama mancò il punto prescelto, ma cadde poco più in basso, sferzando la tenera pelle della spalla anche attraverso gli strati di vestiti.

Godette nello scorgere una nota di palese sorpresa sul volto deturpato del nemico.

– Forse sono uno sciocco più abile di quanto credevate. –

Non gli lasciò il tempo di riaversi: sfruttò a proprio vantaggio la mole decisamente più imponente del cavaliere e, con una spinta ben calibrata assestata con un gomito in pieno addome, lo fece rovinare a terra. Un cenno fulmineo della mano e spada e pugnale volarono a diverse decine di passi di distanza, atterrando sopra un mucchio di verdura fuoriuscita da un carretto ribaltato.

Shin agì che ancora l’urlo di rabbia dell’uomo gli risuonava nelle orecchie. Si chinò e raccolse Regan tra le proprie braccia, sentendola inerte come una bambola svuotata, ma se non altro poté rincuorarsi che fosse ancora viva. Debole e ferita, ma viva.

Stava per voltarsi e precipitarsi a raggiungere Lucius, quando dal nulla gli apparvero di fronte due persone a fare da muro tra lui e la via di fuga. Entrambi mascherati, entrambi vestiti come il cavaliere di cui si era appena liberato, e, quel che era peggio, entrambi gli brandivano contro le rispettive spade in una chiara manifestazione di ostilità.

– Ciò che stai facendo non è saggio, ragazzo – disse il più alto dei due, con un timbro cavernoso. – Lasciala. Per il tuo bene e quello di tutti noi. –

– Faresti meglio a dargli ascolto, dolcezza – aggiunse la voce più morbida di una donna. – La tua vita non ci interessa, non costringerci a fare qualcosa che non vogliamo. –

Le dita di Shin si rinsaldarono istintivamente sul corpo afflosciato di Regan.

– Allora riservatemi la stessa cortesia. –

L’uomo scoppiò in una fragorosa risata arrogante.

– Non sfidarmi. Non ti conviene. –

Alle sue spalle Shin sentiva l’altro uomo che si riprendeva a fatica. Non ce l’avrebbe mai fatta da solo contro tutti e tre, nemmeno se avesse speso fino all’ultima goccia la propria vita.

La sua mente cercò di valutare velocemente tutte le eventuali alternative, ma non ne aveva che due: affrontarli o fuggire. Era consapevole che teletrasportarsi abbastanza lontano da essere in salvo lo avrebbe privato delle energie che gli sarebbero state necessarie per curare Regan, ma se non lo avesse fatto avrebbe solo potuto lottare fino a soccombere e lei sarebbe stata spacciata in ogni caso.

Decise che valeva la pena di tentare di mettersi in salvo. Se fosse riuscito ad arrivare fino alla Sede del Nucleo di Brenner, dall’altra parte della capitale, ci sarebbero state altre persone in grado di soccorrere Regan, se lui non ne fosse stato più in grado. Quando impose al proprio corpo di svanire, tuttavia, sentì come un brusco strattone lungo tutta la spina dorsale che gli rese impossibile muoversi. Una forza sconosciuta lo teneva inchiodato al suolo.

– Non così in fretta, ragazzino. –

Era l’uomo alto. Era lui a trattenerlo.

Una fiammata di terrore gli divampò nel petto: era bloccato lì, alla mercé di tre avversari a lui troppo superiori.

Nessuno poteva vederli, da lì: erano nascosti nella bocca di un vicolo e protetti da un tendone rosso che era crollato proprio a ridosso della parete dell’edificio lì accanto. Nessuno della Lega sarebbe intervenuto; erano tutti impegnati più avanti.

L’uomo alto e robusto sogghignò di fronte al suo smarrimento.

– Forse ora sei più persuaso a darci retta. –

– O forse no. –

Lucius atterrò nel campo visivo di Shin con un movimento fluido e naturale, piombando dall’alto. Una serie di graffi superficiali gli segnava il collo e il lato destro del viso e del suo mantello non restava che uno straccio abbandonato sulla spalla, ma a parte quello era illeso. Aggrappato al collo teneva Calien, tremebondo e in singhiozzi, gli occhi rigidamente serrati. Lo sorreggeva con un braccio, mentre la mano libera era ben salda attorno alla sua spada.

– Scusa il ritardo – ansimò, sudato in viso, lo sguardo fisso sui due mascherati. – Hanno mandato un amichetto a trattenermi. Gli ho dato il benservito. –

I tre non seppero trattenere un lievissimo sussulto di sorpresa.

Shin non perse tempo a chiedersi se con quelle parole intendesse dire che lo aveva ucciso o solo messo fuori combattimento. Lucius, intanto, aveva indietreggiato di un passo verso di lui.

– Penso io a loro. Tu prendi Calien e portali al sicuro – gli sussurrò. – Ora! –

Prima di potersene rendere conto, Shin si ritrovò il bambino aggrappato ciecamente al fianco.

– Via, via! – urlò Lucius.

Shin obbedì. I suoi occhi si chiusero su due lame affilate che si avventavano senza indugi sull’amico.

 

 

Le faceva male dappertutto. Non c’era un singolo muscolo o giuntura del suo corpo che non mandasse insopportabili scariche di dolore al suo cervello. Uno strano tepore le lambiva la tempia, andando a lenire un bruciore che si faceva ogni momento più vago. Qualcuno le aveva messo qualcosa di morbido sotto la testa e lei gliene fu grata, perché il pavimento sotto di lei era freddo e duro come il marmo, anche se al di sotto di esso aleggiava un calore distante, impalpabile.

L’ultima cosa di cui aveva coscienza era quell’uomo privo di un occhio che la minacciava e la voce imperiosa di Lucius che chiamava Shin.

Si sforzò di aprire gli occhi. Con suo sollievo, si trovava in un luogo quasi completamente buio.

– Ha aperto gli occhi! –

Regan strizzò gli occhi non appena quell’esclamazione le colpì i timpani.

– Zitto, Calien, ho mal di testa. –

– Per essere una che stava per morire, di nuovo, direi che devi solo ringraziare di avercela ancora, quella testa. –

La voce soffice e balsamica di Shin. Le strisciò addosso come una coperta calda e riparò al trauma lasciato da quella stridula di Calien.

 Le ci volle un attimo per rendersi conto che il tepore che avvertiva sulla tempia era dovuto alla vicinanza della mano dell’angelo. Le stava guarendo una ferita.

– Non ti muovere, ho quasi finito. –

Regan si sentiva il sangue incrostato addosso, su un’area più estesa di quel che le sarebbe stato gradito scoprire, l’odore acre e ferroso che le pungeva nei polmoni, intenso e ancora fresco. Si accorse che ne aveva anche sui capelli e sul mantello, sui merletti del corpetto. Ne doveva avere perso parecchio.

– Ce la fai a tirarti su? –

Regan ci provò. Si aiutò con le mani, ma una fitta al polso sinistro le comunicò che doveva esserselo slogato.

La aiutò Shin. Fece bene attenzione a non toccarla direttamente: le appoggiò una mano dietro la schiena e con l’altra la tirò su per il gomito, dove la manica sporca e gualcita proteggeva la pelle bianca.

C’era una tale dolcezza nei gesti di Shin, una così grande bontà, che per Regan era una stretta al cuore continua riscoprirsi a temere il suo tocco, soprattutto quando vedeva che questo provocava in lui una tale costernazione. Ma era più forte di lei: quello che aveva passato poco prima – o forse ore prima, non avrebbe saputo dirlo – in mezzo a quella folla era niente paragonato al male che aveva provato nell’essere semplicemente sfiorata da lui.

Una volta seduta, vide che si trovavano in una specie di anticamera. Una campata centrale era suddivisa da due campate minori da due file di colonne sottili su cui erano scolpiti fini rami di edera che, non avessero avuto quel colore così bianco e uniforme, sarebbero potuti apparire veri.

– Stai bene, adesso? – le domandò Calien, timoroso, tirando su con il naso. Regan riusciva a intravedere i suoi occhi chiari scintillare umidi nel buio.

Regan se lo strinse al petto.

– Certo che sto bene! Shin mi ha fatta stare bene. –

Cercò di metterci tutta la gratitudine che provava, in quella frase, perché Shin capisse.

Il posto era freddo e odorava di pietra umida; non cerano finestre, né aperture di alcun tipo nelle pareti. Erano sicuramente sottoterra.

– Dove ci troviamo? –

Inginocchiato accanto a lei, Shin si lasciò corrompere da una fugace espressione colpevole.

– Dove ha detto Lucius: al sicuro. –

Le spiegò brevemente ciò che era accaduto.

– È rimasto a distrarre quella gente mascherata perché io potessi portare via te e Calien –

Un nodo improvviso le bloccò l’aria a metà strada nella gola.

Lucius…

Ora ricordava com’era cominciato tutto.

Qualcuno aveva urlato. Il drago. Il dilagare istantaneo del panico. Se le fosse stata dove sarebbe dovuta essere, probabilmente ora sarebbero già riusciti a tornare a Kauneus, tutti quanti.

Shin la rassicurò.

– Sa badare a sé stesso. Non c’è da temere per lui. –

Era ciò di cui stava cercando di convincersi lei, con scarsi risultati.

– Tu che cosa ci facevi qui? –

Shin non parve gradire la vena lievemente accusatoria, ma non se la prese. La tranquillità era il suo tratto dominante, caratteristica utile e pregevole sotto molteplici punti di vista, ma per una persona impulsiva ed emotiva come lei poteva essere veramente snervante.

– È stato un caso. –

– No, non è vero. Lucius si è guardato in giro per tutto il giorno. Scommetto che cercava te. –

Il silenzio che regnava là sotto era innaturale. Non potevano essere poi così distanti dalla fiera,o Shin non sarebbe riuscito a portare via sia lei che Calien, eppure non un solo suono li raggiungeva.

Ora che i suoi occhi si erano abituati all’oscurità, riusciva a intravedere meglio il pallido bagliore di luce gialla che vibrava attraverso una fessura in fondo alla stanza. Qualcosa di smile a un’ombra viva si adagiò sulle sue spalle mentre ogni più piccola parte di lei diveniva progressivamente consapevole di essere in presenza di un’energia sacra che dormiva silente nella terra su cui i suoi piedi poggiavano. Ora che ci prestava attenzione, era precisamente quella la fonte del calore che aveva sentito nella semi incoscienza: dalla terra. Dalla Madre.

– Shin, dove siamo, esattamente? –

– Nella cripta del Tempio della Vita di Shjarna. –

Era un luogo famoso, ma lei ne sapeva ben poco. Assieme al Tempio della Luna di Astereis e al Sacrario Ancestrale di Corterra, a Medilana, costituiva la triade di edifici sacri più antichi del Mondo Occulto. Templi secondari, santuari e cappelle pubbliche e private si affiancavano a essi come sedi di culto minori. Il Tempio della Vita, indipendentemente dal resto, restava il più importante.

Regan si fece aiutare a rimettersi in piedi. Non era granché stabile, ma riusciva a camminare da sola.

– Voglio uscire di qui – disse, dirigendosi verso il punto da cui proveniva la luce. – Voglio andare da Lucius. –

– Lucius ci raggiungerà non appena gli sarà possibile – sottolineò Shin, ma non la fermò.

Appena Regan giunse a scostare il pesante drappo rosso che faceva da divisorio con la stanza successiva, qualcosa si agitò dentro di lei. Era un’irrequietudine atavica, che aveva strisciato sulla sua pelle quando un alito di aria si era insinuato in quella piccola fessura che si apprestava a spalancare del tutto, quasi venendole incontro ad avvertirla che là dove stava andando non era un posto come tutti gli altri. Oltre il vello percepiva due presenze contrastanti: fuoco, ozioso e pacifico, che bruciava l’aria senza pretendere altro, e poi acqua. Silenziosa, immota acqua che giaceva segregata da qualche parte molto al di sotto del pavimento di pietra levigata su cui lei camminava, aspettando. Cosa, non era dato saperlo. Una cosa sola era certa: non era la via per uscire.

– Puoi entrare, se lo desideri. Non ci sono mostri feroci pronti ad aggredirti, dall’altra parte – le disse Shin alle sue spalle.

Non se lo fece ripetere due volte. Oltrepassò il drappo senza esitazioni e si ritrovò un un’ampia sala circolare dal soffitto in roccia grezza. Proprio davanti a lei aveva inizio un lungo tappeto rosso che si dipanava in linea retta fino al capo opposto della camera, terminando di fronte a un altare inondato di luce dorata. Era occupato quasi interamente da un cratere che si apriva nel pavimento, scavato grossolanamente nella nuda roccia. Candele sparse ovunque, di ogni forma e dimensione, ardevano silenziose di una luce laconica che gettava ombre dai contorni sfumati sullo spazio circostante.

Affascinata, Regan si avvicinò. Le sembrava di essere una sacrilega a farsi avanti in quel luogo nelle condizioni in cui era: sporca, insanguinata, i vestiti ridotti a brandelli, eppure l’alito di vento che la aveva incontrata prima di entrare tornò ad accoglierla, soffiandole lieve sul viso. Le fiammelle delle candele danzarono nelle loro culle di cera. Era aria fresca, ed era impossibile dire da dove arrivasse, lì sottoterra.

Shin era appena entrato dietro di lei, con Calien per mano, ma lei non ci fece caso.

C’erano cinque statue disposte a semicerchio dietro del cratere. Avevano sembianze umane, scolpite in una pietra candida dai pallidi riflessi opalescenti. Sui piedistalli di marmo nero, in bassorilievo, i loro nomi laminati in argento: Innocentia, Tentatio, Peccatum, Expiatio, Redemptio.

Regan si soffermò a scrutarle una per una, senza osare avvicinarsi, intimidita dall’atmosfera sacrale sentiva incombere attorno a sé.

Innocenza era una bambina dal viso tondo e paffuto che guardava verso una volta celeste immaginaria con occhi sgranati e colmi di genuino stupore. Stringeva tra le mani un mazzetto disordinato di fiori di campo, i piccoli piedi nudi che poggiavano delicatamente su un soffice cuscino d’erba. Al suo fianco, Tentazione era incarnata da un ragazzo dai folti riccioli che guardava con avidità alla propria sinistra, la bocca dischiusa in una piega vagamente sensuale, il ginocchio sinistro proteso di lato in uno slancio smanioso, frenato però dalla catena che gli imprigionava la caviglia destra al terreno. Seguendo il suo sguardo si incontrava la terza scultura.

Peccato rappresentava due giovani amanti colti in un gesto di intimità: lei completamente abbandonata tra le braccia possenti di lui, la testa riversa all’indietro in uno stato di inconfondibile estasi. Spostandosi appena più in là, tuttavia, la prospettiva mutava completamente: la mano di lui reggeva un pugnale affondato tra le scapole di lei, lunghi rivoli di sangue rubino che le colavano sulla pelle, impregnando il tessuto sottile della veste abilmente scolpita. Amore e Morte, nella loro rappresentazione più tragica.

Alla loro sinistra, Espiazione – un uomo emaciato coperto da cenci laceri, inginocchiato su sassi appuntiti  – li fissava con sguardo tormentato, le mani ossute convulsamente strette al petto, dilaniato da profonde ferite. I suoi occhi scavati e sgomenti riflettevano una sofferenza angosciante.

A chiudere il semicerchio, infine, bellissima e maestosa, Redenzione si ergeva nelle morbide forme di una donna che spalancava le braccia verso il cielo, due splendide ali angeliche spiegate alla sue spalle. Il suo viso, esattamente come quello di Innocenza, era rivolto verso l’alto, chiusi gli occhi, e portava impressa un’espressione di pace assoluta.

Regan restò a lungo a studiarle, rapita dal realismo dei loro volti, dalla drammaticità dei loro gesti. C’era qualcosa di vivo e inquietante che pulsava sotto ai loro gusci di pietra.

Involontariamente, il suo sguardo continuava a tornare a Tentazione ed Espiazione, dall’una all’altra, simili ed opposte. Entrambe si volgevano verso Peccato, entrambe dipinte di un’emozione esasperata, entrambe consumate dal loro stesso anelare.

Fu con sorprendente stupore che, nell’arretrare incurantemente di un passo, Regan realizzò una cosa che la fece sentire strana.

Tentazione guarda Peccato e vede l’Amore. Espiazione guarda Peccato e vede la Morte.

– Un tempo l’Acqua della Vita sgorgava proprio lì. –

Shin stava indicando il soffitto. Seguendo il suo dito, Regan notò che, in corrispondenza del cratere, il soffitto convergeva leggermente a formare una stalattite appena accennata, la cui sommità bianca puntava dritto al centro del bacino, un occhio solitario che aveva perso anche l’ultima delle sue lacrime.

– Come mai la fonte non stilla più? –

Nel medesimo istante in cui lo chiese, avvertì una vibrazione impercettibile sotto i piedi, come se qualcosa nel suolo si stesse agitando, come un dormiente stuzzicato nel sonno che a gesti ciechi scacciava la presenza molesta per riconquistare la tranquillità.

– Nessuno ne conosce le vere ragioni. Tutto ciò che si sa è che nel giro di una manciata di secoli si prosciugò, lasciando i pellegrini di tutte le Terre a bocca asciutta –

Regan fissò pensosa le sponde vuote del cratere.

Letteralmente.

– La Fonte della Vita era un dono della Madre ai suoi figli sofferenti: leniva piaghe e ferite, curava morbi che nessun guaritore era in grado di trattare. Spesso bastava tergere un corpo martoriato con un panno imbevuto di quest’acqua e questo si sanava completamente nel giro di pochi giorni – Shin si fermò un momento e abbassò lo sguardo. La luce delle candele giocava sui suoi capelli, donando tonalità più calde ai loro riflessi argentei, al bianco di una pelle troppo pura per poter rimanere tale ancora a lungo.

– C’è chi ritiene che sia una punizione. –

– Punizione per che cosa? –

I lineamenti cesellati di Shin si tesero con la stessa dolenza che era solita indurirli quando, nel sfiorarla per sbaglio, le strappava un gemito sofferente.

– Per la nostra condotta. Per tutto il male a cui diamo origine. –

Il male. Già. Il prezzo da pagare per l’inestimabile dono del libero arbitrio, il dazio insostenibile che i giusti pagavano per sopperire agli abusi smodati dei malvagi. Due razze affini e differenti come angeli e demoni, nate con il privilegio di poter godere della libertà degli umani e di una profonda comunione con la Madre, più simile a quella degli animali, si erano trasformate nei secoli fino a dividersi in tre grandi categorie: gli innocenti, ossia coloro che non avevano modo e mezzi né per imporsi né per difendersi; i corrotti, a cui appartenevano tutti coloro che non erano stati in grado di domare la cupidigia e l’egoismo derivanti da un’eccessiva similitudine alla debolezza dello spirito umano, e se ne erano quindi lasciati soggiogare, fino a perdere completamente il senso della moralità; e infine i difensori, le persone abbastanza forti e abbastanza influenti che avevano il potere di modificare le cose, di imporre una spada sopra alla follia di un corrotto e stroncarla una volta per tutte.

Talvolta poteva capitare che un giusto si lasciasse intaccare dalla perversa attrattiva della corruzione e si lasciasse marcire al fianco di individui che fino a poco prima aveva assiduamente combattuto; oppure – e più raramente, perché era più semplice cedere al peccato, piuttosto che tirarsene fuori – un corrotto si pentiva, spinto da qualche rimasuglio di onestà dimenticato in un angolo sporco dell’anima, e si offriva alla giustizia, offrendo collaborazione nella speranza di ritrovare la retta via attraverso il pagamento dei propri debiti morali. Per quel che riguardava gli innocenti, invece, la difficoltà era maggiore: da un lato la tentazione di votarsi al male nella speranza di conquistare alte vette e promesse di un futuro migliore, dall’altra le possibilità – purtroppo nettamente più esigue – offerte dalla Domus Aurea ai meritevoli e volenterosi di diventare dei difensori attraverso l’istruzione e l’addestramento.

Il problema, però, rimaneva lo stesso fin dall’alba dei tempi: l’accessibilità del male era innegabilmente superiore a quella del bene, una via in discesa e priva di ostacoli, che si poteva benissimo percorrere a occhi chiusi. Quando poi si riaprivano gli occhi, era tardi per poter semplicemente girare sui tacchi e tornare indietro.

– Io non faccio male a nessuno. La mia mamma dice che non devo nemmeno calpestare gli insetti – si difese Calien, ostentando un candore così perfetto e misurato che per niente al mondo avrebbe convinto Regan della sua casualità. In una ventina d’anni avrebbe cominciato a mietere cuori di giovani fanciulle con quella sfacciata innocenza che ricordava fin troppo i modi ruffiani che aveva visto esibire da Lucius, e con una certa maestria.

Le venne un brivido di frustrazione. Nelle sue mani formicolava, persistente, la voglia di impugnare una spada e uscire a dare man forte a chiunque si stesse battendo per riportare l’ordine in città. Strinse i pugni, fastidiosamente vuoti, e si impose di restare calma, ma era difficile.

Non si sentiva in pace in quel luogo. Qualcosa ribolliva nell’aria attorno a lei, causa di dondolii anomali nell’alone luminoso disegnato dalle infinite candele e nei battiti del suo cuore.

– Voi non lo sentite? – domandò, innervosita.

Calien non si disturbò a distrarsi dall’attenta contemplazione delle statue per darle retta.

– Che cosa? – fece invece Shin.

Era difficile da spiegare. Come tutte le cose che si avvertivano non con uno dei cinque sensi preciso, ma con un’assurda combinazione di ciascuno di essi– un sesto senso superiore che li riassumeva tutti e andava persino oltre – era solo intelligibile, e spiegarlo, trasmetterlo ad altri tramite parole che mai sarebbero state in gradi di descrivere adeguatamente una qualsiasi sensazione pura sarebbe stato semplice quanto spiegare i colori a una persona nata cieca. 

– Quest’agitazione nell’atmosfera. Questa specie di rimescolio nella terra sotto di noi –

Un’ombra di preoccupazione calò ad offuscare il viso dell’angelo.

– Tu non lo senti? –

– No, non lo sento. –

Cominciava a credere di essersi fatta trasportare dal nervosismo. Probabilmente lo aveva solo immaginato e adesso Shin pensava che fosse una povera pazza. Volle a tutti costi convincersi di essersi sbagliata, ma sotto sotto non riusciva a mentire a sé stessa, e anche se non era normale che lei sentisse qualcosa che nessun altro sentiva, quel respiro angustiato che proprio in quel punto la terra sembrava esalare.

Finse di interessarsi come Calien alle sculture, anche se questo non parve sminuire il turbamento che la sua rivelazione aveva provocato in Shin.

– Che significato hanno? –

Lui la occhieggiò di sbieco, e tra le righe lei poté chiaramente leggere parola per parola a lettere cubitali un “Non me la fai” che per qualche motivo non fu mai pronunciato.

– Rappresentano i cinque punti salienti del semicerchio della vita, o perlomeno di quella che si considererebbe una vita vissuta nella sua interezza – fu invece la risposta.

– Ero convinta che la vita fosse considerata un percorso circolare – disse lei, accigliata.

– L’esistenza – specificò Shin, paziente. – di ciò che noi siamo è circolare e ciclica, un infinito rigenerarsi di energia che, dopo il legittimo ritorno alla Madre, rinasce sotto nuova forma –

– La vita in sé è solo metà della nostra esistenza, e l’altra metà nessuno la conosce, perché nessuno è mai tornato indietro per raccontarla, pertanto sarebbe consigliabile da parte tua almeno fingere che tu voglia tenerti stretta questa mezza porzione attuale. –

La voce ansante e arrochita che aveva parlato decisamente non era stata quella di Shin. Era provenuta dal capo opposto della camera, dove si apriva la soglia da cui erano entrati poco prima. E proprio là, apparso dal nulla, c’era un Lucius piuttosto dimesso, il viso paonazzo per la rabbia, in petto che si alzava e abbassava dall’affanno. Rinfoderò la spada e, tanto per ribadire un concetto che nei giorni precedenti le aveva ripetuto così spesso da nausearla, e che comunque continuava a sortire effetti a dir poco desolanti, incenerì Regan con l’occhiata più minacciosa che le avesse mai rivolto.

Lei si trattenne dal corrergli incontro e gettargli le braccia al collo dal sollievo solo perché aveva il sospetto che fosse più ammaccato di quel che ci tenesse a dare a intendere e comunque era abbastanza arrabbiato dal farla definitivamente desistere da qualsivoglia intento di avvicinarglisi.

– Fammi ancora uno scherzo del genere, cerbiattina – sibilò, raggiungendola, il fiato corto e spezzato per una fatica che a lei era solo concesso immaginare. – E io ti giuro, Shin mi è testimone, che non uscirai mai più di casa senza un guinzaglio legato ben stretto attorno quel tuo bel collo bianco. –

Regan si sentì avvampare per l’imbarazzo e l’umiliazione. Non era possibile che ogni volta dovesse finire in quel modo, e non era solo una questione di curiosità: a volte proprio non riusciva a vietare al suo corpo di obbedire a un richiamo più forte di lei.

– Mi dispiace. –

– Questa mi sembra di averla già sentita. –

Evidentemente dubitando che lei potesse già provare un senso di colpa adeguato alla situazione e volendosi quindi accertare di infondergliene una ragionevole dose, Lucius accompagnò il sarcasmo del commento con una smorfia di dolore. La sua mano che, con ineccepibile tempismo, saliva a massaggiare il braccio sinistro le permise di notare che per l’ennesima volta si era portato a casa un ricamo nuovo di zecca da aggiungere alla sua discutibile collezione. Anche la zanna color avorio che pendeva al suo orecchio era schizzata di sangue.

– Che cos’è successo là fuori? –

– Ho dato una mano a sedare il drago. Ovvio che fosse così inviperito, gli avevano conficcato un pugnale in una zampa. –

Ecco perché soffriva tanto.

– Vuoi dire che non è stato un incidente? –

Lo chiese per puro scrupolo. Era abbastanza navigata da capire da sé che sarebbe stata una coincidenza un po’ troppo fortuita che un drago strettamente sorvegliato da personale competente si fosse imbizzarrito proprio quando le persone senza nome che le davano la caccia stavano per aggredirla.

Lucius itercettò lo sguardo rigido di Shin.

– Sono pronto a scommettere che sia stato un diversivo molto ben orchestrato. –

– E gli altri… –

– Stanno tutti bene. I simpaticoni mascherati volevano te. Appena sei sparita, si sono dileguati in fretta e furia. Comincio a pensare che forse sarebbe meglio consegnarti a loro e farla finita. –

Si fermò a contemplare l’impallidire repentino di Regan e sollevò gli occhi al cielo.

– Stavo scherzando, naturalmente. –

Lo sapeva che stava scherzando. Cionondimeno la battuta l’aveva fatta sentire sgradevolmente pesante. Per lui, per Shin, e per tutte quelle persone che ci erano andate di mezzo. Aveva ragione lui, dopotutto: sarebbe stato meglio lasciare che quella gente la prendesse.

Non aveva ancora parlato a Lucius dei suoi sogni, delle visioni, o qualunque cosa fossero. Avrebbe dovuto, ma l’orgoglio le mordeva alla gola ogni volta che avrebbe voluto farlo. La trattava già come una bambina, perché raccontargli di una sciocca paura dei brutti sogni?

Shin riuscì, da lontano, a catturare i suoi occhi abbastanza a lungo da poter carpire qualcuno dei suoi pensieri, e allora le sorrise appena, incoraggiante, mentre Calien trotterellava da Lucius, implorandolo di tornare tutti a casa. Regan si morse il labbro e guardò altrove.

– Ho perso il mio cavallino rosso. –

Con un sospiro, Lucius prese in braccio il bambino e gli tolse un ciuffo di capelli biondi dal viso un po’ sporco, che però non era nulla in confronto alla camiciola strappata e ai calzoni macchiati di quella che doveva essere frutta spappolata. Lucius considerò prima quei dettagli, poi il proprio aspetto macilento e poi ancora quello di Regan e Shin, non poi tanto migliore, infine tornò a Calien e sospirò di nuovo, scuotendo il capo con rassegnazione.

– A tua madre verrà un colpo quando ci vedrà rientrare conciati così. –

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A/N: pian piano stiamo ingranando, vero? :D La storia acquisisce complessità e spessore (credo... l'intento sarebbe quello! XD) e l'intreccio si dipana (e ingarbuglia), sorgono domande e si ipotizzano risposte... alcune delle quali avranno conferma tra poco, altre moooolto più avanti. Ma la pazienza è la virtù dei forti, si dice, e altrimenti che gusto ci sarebbe a sapere tutto subito? :) Come al solito, ringrazio chi legge e aggiunge la storia tra le preferite, ma soprattutto chi commenta, perché le recensoni sono la sola "moneta" a cui un'umile autrice che pubblica su EFP aspira. Quindi grazie:

LovelyAndy: troppo buona! *-* Io lo spero che diventi un libro, inutile dirlo, quindi, in caso, sarei ben lieta di sapere che qualcuna mi ha seguita dalla mia "culla scrittevole" fino alla "professionalità". :)

Xx Kin YourichixX: sei la prima a cui non piace Lucius, sono sinceramente sorpresa! XD Ma è giusto così, a ognuno i suoi gusti! Il tuo presentimento era fondato, hai visto? ;) Ho lettrici molto intuitive, ne vado fiera!

Milou_: in realtà nessuno ha mai detto che gli animali non possano attraversare i Portali. ;) Anche se in effetti bisogna sapere dove andare per poterlo fare, oppure essere fisicamente in contatto con qualcuno che sappia dove andare. Insomma, hai ragione, in fondo: non è normale che la bestiolina sia lì, e più in là sapremo come mai si trovi proprio in quel luogo.

Vampire Berry: hai accennato all'importanza di abbinare nomi e carattere e aspetto, e ciò mi inorgogliosce, perché devi sapere che non c'è nulla di lasciato al caso in questa storia. Ogni nome ha un perchè, un significato preciso che motiva la sua appartenenza a tal personaggio/cosa/animale/luogo.  Ho una vera e propria ossessione per i nomi, sia per quel che riguarda il modo in cui suonano che, giustamente, il loro significato, e apprezzo davvero che tu abbia notato questo particolare. Grazie per tutti  i complimenti! *-*

Shadow_Soul: ovviamente l'inizio dello scorso capitolo è tutto fuorchè un normalissimo sogno. ;) Si svelerà più avanti il suo significato. Per quel che riguarda il resto, posso solo dirti che... chi vivrà vedrà. :D E la strada è mooolto lunga, ancora! Come vedi, poi, Regan non è minimamente in grado di sfuggire da sola a una qualsiasi minaccia, deve sempre pensare qualcun altro a salvarla. XD

AcquamarimePrincess: intanto, benvenuta! :) Non so quando leggerai questa mia risposta, visto che hai recensito per ora solo il prologo e non so dove sei arrivata con la lettura, ma ti posso dire che Rok è un animale al 100% e il motivo per cui Lucius lo chiama "fratello" è che sono molto legati e più avanti scopriremo anche esattamente in che modo. ;) Per adesso, grazie mille per esserti disturbata a commentare! *-* E grazie per gli auguri di buona fortuna!

A tutti voi, AL PROSSIMO CAPITOLO! :)

   
 
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