12. BRICIOLE
We're part of a story,
part of a tale
We're all on this journey
No one's to stay
Wherever it's going
What is the way?
– Never-ending Story, Within
Temptation –
La
vera bellezza della Terra di
Norden fioriva in inverno, quando la lucida patina sottile della
rugiada
mattutina si trasformava in miriadi di minuscoli cristalli di ghiaccio
che
disegnavano ricami merlettati su foglie, pietre e vetri delle case, e
la
stagione delle piogge autunnali volava via con le sue foglie secche,
lasciando
il regno alla mano bianca delle nevi.
La
corolla di rilievi montuosi
che abbracciava i territori all’estremo Nord era ammantata di
soffici strati di
zucchero a velo che riluceva sontuoso e immacolato sotto ai raggi
pallidi di un
letargico sole impigrito dal freddo. Ai piedi delle montagne, boschi,
foreste e
distese pianeggianti si alternavano tra il lacrimare lento delle acque
sotto le
superfici congelate dei fiumi, dei ruscelli e dei numerosissimi
laghetti, e le
pieghe docili delle strade sterrate.
A
nord-ovest, nel gomito di terra
in cui l’ultimo monte incontrava l’oceano in uno
strapiombo di diverse
centinaia di braccia, si annidava la pacifica Aglaya, città
di pescatori e
mercanti di perle, riferimento estremo per coloro che si spingevano a
settentrione per i loro commerci o per qualche viaggio personale; da
lì partiva
la Nahua, o Nastro, la splendida, ampia via lastricata di pietra chiara
dalla
storia secolare, i cui bordi segnati da fini venature di kival
ne consentivano la percorrenza anche di notte e nei giorni in
cui la nebbia era così fitta che nessuna lanterna riusciva a
penetrarla. Più a
sud, seguendo questa strada, si incontrava, spostata verso il cuore
della
Terra, la prospera Bluren, che vantava un’invidiabile
estensione, rispetto alle
altre città maggiori, poiché nata e sviluppatasi
sulle sponde del Lago Hyvä,
bacino principale di Norden. Bluren, ricca e famosa per i tessuti
pregiati che
i suoi artigiani producevano dalle materie prime che importavano da
tutti gli
angoli del Mondo Occulto, era anche meta di molte dame facoltose che,
per
vanità o semplice capriccio, vi si recavano in ogni periodo
dell’anno per
acquistare seta, organza e lino pregiati per gli abiti che in seguito,
tornate
a casa, si sarebbero fatte confezionare dai sarti di fiducia secondo la
moda
locale. Scendendo ancora e spostandosi ancora a oriente, nella zona
più
popolosa e densa di villaggi e borghi antichi, c’erano Ranua
e Virrat, città
gemelle separate soltanto da una lunga striscia di parti disseminati di
croci
tradizionali delle Sette Terre – quattro bracci
perpendicolari l’uno all’altro,
intersecati da un anello che aveva centro nel loro punto di incontro: i
quattro
elementi coronati dal simbolo dell’energia e della vita – erette in memoria dei
cittadini caduti nella Grande Rivolta,
quasi un millennio prima.
A
chiudere in Nastro c’era infine
la splendente Kauneus, con i suoi marmi di luna e i palazzi maestosi di
tutti i
nobili che nel corso dei secoli vi erano accorsi dalle regioni vicine,
ma anche
molti riccastri eccentrici bramosi di conquistarsi il prestigio della
residenza
nella capitale in cui, dicevano le leggende, dimoravano solo le genti
più
nobili. In qualsiasi angolo remoto del Mondo Occulto, chi si presentava
come
abitante o originario di Kauneus veniva puntualmente guardato con un
misto di
ammirazione, rispetto e una punta di immancabile invidia.
Nella
macchia di foresta appena
fuori le porte della città, betulle e conifere si
susseguivano in un
rincorrersi di tronchi candidi e chiome scure spolverate di neve, la
quale
ricopriva interamente anche il suolo, offrendo una traccia facile alle
linci e
ai lupi che si aggiravano per il territorio alla caccia di lepri e
selvaggina.
Il
silenzio era di rara
profondità, morbido e profumato di freddo secco,
accompagnato solamente dal
placido respiro lontano delle montagne addormentate e il bubolare
sommesso di
un gufo, che faceva seguito al remoto eco stridente di ferro che
graffiava
altro ferro.
–
Non ti intestardire. È una
spada troppo grossa e pesante per te, riesci a malapena a tenerla in
mano! –
La
tranquillità della foresta, al
momento, era ben
lungi dall’essere
assoluta e surreale come di consueto.
–
Non riesci a gestirla come si
deve, ti farai del male! Ti serve una lama più corta e
sottile –
Regan
lasciò cadere a terra la
pesante spada con uno sbuffo frustrato. Questa affondò nella
neve, andandosi a
scavare una fossa che probabilmente considerava destino ben
più dignitoso del
giostrare maldestro a cui era stata costretta finora in preda a mani
troppo
indecise e inesperte.
Si
trovavano in una piccola
radura nel bosco, non lontana dalla casa di Lucius, e tutto
ciò che si era
udito per tutto il pomeriggio erano state le loro voci e il mormorio
del vento.
Shin
non portava la solita
uniforme grigio perla – che Regan aveva poi scoperto essere
identica alle
divise maschili portate dagli allievi della Domus Aurea – ma
qualcosa di più
pesante e meno ricercato, più adatto a un allenamento
all’aria aperta, anche
se, più che un allenamento, sarebbe stato opportuno
definirlo una perdita di
tempo, perché tutto ciò che era riuscita ad
apprendere veramente finora era che
con ogni probabilità non sarebbe mai riuscita ad apprendere
un bel niente in
fatto di tecniche difensive armate.
Non
che sentisse di avere
maggiori speranze in quelle magiche.
–
Devi imparare a essere più
paziente – la ammonì. Raccattò la spada
e la ripulì dalla neve ghiacciata, per
poi andare a riporla nella sua fodera, abbandonata su una roccia
assieme ai
mantelli e alla sciarpa rossa di Regan e a un piccolo involto con lo
spuntino
che Eleonora aveva dato loro.
–
Io sono paziente! –
–
E un pochino più obiettiva. –
Shin
si guadagnò così
un’occhiataccia torva, che però gli
scivolò addosso senza minimamente intaccare
quel lievissimo accenno di sorriso che di rado gli abbandonava le
labbra
sottili. Lui era così, il ritratto vivente della pace, anche
quando la persona
che aveva di fronte avrebbe meritato il trattamento peggiore. O non
voleva
saperne di ragionare.
Nonostante
sia lui che Lucius la
avessero avvisata che non poteva pretendere di imparare a brandire
un’arma –
per non parlare poi dell’usarla – in una giornata,
lei aveva preteso a ogni
costo di provarci, almeno, e i risultati erano forse peggiori di quelli
contro
cui era stata messa in guardia.
–
Anziché ostinarti sulle armi,
faresti meglio a cercare di imparare ad attingere al potere che hai
dentro di
te e sfruttarlo in modo appropriato. –
Contrariamente
a lui, Regan era
una che invece di disposizione verso il prossimo ne aveva veramente
poca,
specialmente se c’era da discutere civilmente. Il fatto era
che oramai sotto
quel punto di vista aveva perso le speranze: erano giorni che Shin si
dedicava
a lei nel tentativo di aiutarla a sbloccare la sua energia interiore,
ma i
risultati erano stati, al limite della generosità, a dir
poco desolanti, e lei
odiava accanirsi quando era perfettamente conscia che c’era
ben poco da fare.
Preferiva impiegare il tempo in qualcosa che prima o poi avrebbe potuto
dare
dei veri risultati tangibili.
–
Ci abbiamo già provato,
ricordi? È una settimana che ci proviamo! Non funziona, non
sono capace! –
La
frustrazione faceva a gara con
la rabbia a predominare dentro di lei e ogniqualvolta l’una
sembrava avere la
meglio, l’altra subito la scavalcava con prepotenza, e la
pazienza puntualmente
annegava, sconfitta da avversarie a lei troppo superiori in
quantità e potenza.
Regan
si abbandonò a un sospiro
di sconforto.
Era
una giornata stupenda. Il
cielo era di un azzurro così intenso e pulito che non
sembrava nemmeno inverno.
Nonostante le apparenze, però, il freddo non era scomparso e
lei, ora che si
era fermata, lo sentiva più pungente di prima.
Era
sudata, affaticata, i muscoli
delle braccia, soprattutto il destro, erano tesi e indolenziti per lo
sforzo
fisico a cui non era abituata. Shin l’aveva presa un
po’ in giro per la
facilità con cui si stancava, ma non era troppo un amante
dell’ironia come
Lucius; era stato gentile e aveva speso due ore a insegnarle le giuste
posture
di base, dall’impugnatura, alla parata,
all’affondo, fino a che, stufa di muoversi
in difensiva senza una padronanza delle proprie azioni, si era arresa
definitivamente.
Shin
sospirò.
–
Probabilmente è colpa mia. –
Regan
raccolse il proprio
mantello e se lo buttò sulle spalle, poi con una mano
salì a sciogliere la
treccia in cui aveva stretto i lunghi capelli.
–
Colpa tua se io non so usare i
miei poteri? –
–
Non credo di essere adatto a
insegnare ad altri questo tipo di cose. –
Lei
inarcò un sopracciglio.
–
Lucius ha detto che sei il più
indicato. –
Shin
si fece a sua volta scivolare
il mantello sulle spalle. Era alto due spanne più di lei ed
era sconvolgente
pensare che, essendo ancora
adolescente, sarebbe cresciuto ancora. La sua bellezza surreale non
risentiva
del velo di sudore che gli imperlava la fronte, né dei
capelli disordinati dal
vento; ne risultava piuttosto accresciuta, resa forse più
verosimile da quei
dettagli di trascuratezza che lo rendevano discernibile da un dipinto
eccessivamente ricercato in perfezione.
–
In effetti da un lato lo sono –
replicò lui, mentre le sue dita sottili allacciavano gli
alamari d’argento
attorno alla gola. Il mantello nero era una macchia di inchiostro su di
lui e
sul tappeto di neve che li circondava, un frammento di notte
dimenticato nella
luce pura.
–
D’altro canto, non avendo mai
personalmente imparato a gestire i
miei poteri, non sono poi così sicuro di poterti essere
d’aiuto. –
–
In che senso? –
Shin
si strinse nelle spalle,
come a volersi scrollare di dosso la domanda con quel semplice gesto
evasivo,
ma le rispose comunque.
–
Sapevo usare il mio potere per
istinto, prima che qualcuno avesse modo di insegnarmelo. Non so come
mai –
un’altra scrollata di spalle che denotò il suo
disagio nel parlare di quelle
cose. – Forse perché sono quello che sono.
–
Regan
provò l’incontenibile
impulso di abbracciarlo, ma non lo fece. C’era uno spazio
troppo significativo
tra loro che avrebbe rischiato di far apparire quel gesto troppo
forzato e
l’ultima cosa che voleva era dare a Shin
l’impressione che lo compatisse, anche
se in fondo, si disse, per una parte di lei era così.
“Perché sono quello che
sono.”
Quanta
amarezza ci poteva essere
– quanto rammarico? – nelle parole di
qualcuno che descriveva sé stesso in
quel modo?
–
Forse sarebbe meglio rivolgersi
a qualcuno di più qualificato – riprese Shin, ogni
traccia amara spazzata via
da un sorriso spensierato. – Il Maestro Theisen insegna
Autocoscienza ai demoni
della Domus Aurea da un’ottantina d’anni, ne sa
sicuramente più di me. –
Autocoscienza,
ossia la capacità
di entrare in contatto con sé stessi. Una cosa in cui Regan
difficilmente
avrebbe potuto avere successo, dato che tuttora non sapeva esattamente chi lei fosse.
–
Insegna solo ai demoni? –
Shin
sedette sul masso. Una
gamba, lunga e fine come quella di un ragno, si piegò per
appoggiarglisi al petto;
prese un sorso di idromele dalla fiasca che aveva pescato dal tascapane
e
annuì.
–
Non puoi certo pretendere che i
metodi di insegnamento per l’una e l’altra razza
siano gli stessi. Sai, angeli
e demoni sono simili in moltissime cose, identici in altrettante, ma
hanno
poteri diversi, dentro, e modi diversi di percepire. Be’,
comunque forse non
dovrei essere io a dirlo, no? – aggiunse infine, con un
piccolissimo sorriso
intimidito.
Forse no, in effetti.
Un’altra
cosa di cui Shin poteva
vantare e che mai nessun dipinto avrebbe potuto possedere era il tepore
che la
sua personalità emanava, l’umiltà
incorruttibile di ogni suo gesto e parola,
qualcosa che, più che con la modestia vera e propria, aveva
a che fare con una
contrizione più intima, solo superficialmente indovinabile,
ma la cui vera
natura rimaneva un mistero racchiuso nel nero della malinconia dei suoi
occhi.
Ma
in ogni caso forse era davvero
lui, che aveva i poteri di entrambe le razze, ed era unico nel suo
genere come
un giglio nato da uno stelo di rosa, il più indicato per
istruirla.
Regan
aveva tenuto per sé quanto
accaduto con la bestiolina fulva dai grandi occhi neri quel giorno che
sembrava
ormai così lontano, nel vicolo dietro la Quercia
d’Argento, in cuor suo ancora dubbiosa
sull’intera questione. In
fondo, non lo sapeva nemmeno lei che cosa
fosse veramente successo, e per quel che la riguardava era acqua
passata.
Lei
e Shin consumarono di gusto
lo spuntino, avvolti nel silenzio ovattato della neve. I respiri
diventavano
nuvolette di vapore di fronte ai loro volti, sprazzi di vapore denso
nella
cristallinità incorrotta dell’aria.
–
E noi che credevamo che si
stessero duramente allenando. –
Regan
cercò con lo sguardo,
curiosa, la provenienza di quella voce femminile che ormai conosceva
molto bene.
Sulla
scia delle orme impresse da
lei e Shin nella distesa di neve camminavano ora Anneli e Aeden,
avvolti in
magnifiche cappe di un grigio perlaceo, i bordi rifiniti con elaborati
ricami
neri, lucenti e serici come i loro occhi.
La
lunga gonna purpurea di Anneli
strusciava a terra raccogliendo polvere di ghiaccio, e così
gli stivaletti
neri. Aeden, i capelli lasciati insolitamente sciolti in una cascata
dorata sulle
spalle eleganti, le sorrideva da sotto una mano, portata alla fronte
per
schermarsi dalla bassa luce del sole nella radura sprovvista della
protezione
degli alberi.
Salutarono
con un cenno, i volti
arrossati. Dovevano essersi fatti una bella cavalcata fin lì.
–
Avevamo in mente qualcosa di un
po’ diverso quando Lucius ha detto che eravate venuti ad
allenarvi. –
Aeden
ebbe uno sguardo
condiscendente tutto per lei e un sorriso vellutato in tutto e per
tutto
identico a quello di Prince, forse solo più leggero,
più giovane.
Lucius
cercava spesso di
spingerla a trascorrere del tempo assieme agli Edelberg e alla loro
cerchia di
amicizie; la spronava ad aprirsi, a divertirsi, a vivere come se quella
dovesse
essere la sua vita, come se sapesse che tutto ciò che
c’era stato prima era già
fuori da qualsiasi possibilità di recupero. Regan lo
assecondava volentieri,
perché stare insieme a ragazzi che non badavano alla
stranezza del suo aspetto
né giudicavano la sua inettitudine faceva bene al suo umore.
Le dava la
sensazione di appartenenza a qualcosa, l’illusoria
impressione che quel mondo
fino a poco tempo prima sconosciuto ora fosse anche un po’ il
suo.
Aveva
avuto altre occasioni di
cenare o pranzare dagli Edelberg, scoprendo così anche la
passione che Lady
Edelberg – Arista, come
esigeva di
essere chiamata, senza frivole formalità – nutriva
per l’arte culinaria, e
altrettante ne aveva avute di consumare pomeriggi interi a spasso per
Kauneus
con tutta la combriccola. Aveva conosciuto gente nuova, per lo
più allievi
della Domus, e stava iniziando ad acquisire familiarità con
le vie della città
e orientarvisi con una discreta sicurezza. Anche i passaggi attraverso
i
Portali stavano diventando meno traumatici, anche se la testa
continuava a
girarle ogni volta.
Lucius
non si fidava mai ad
allontanarsi troppo da lei, fuori casa, se non c’era Shin nei
paraggi. La
lasciava con riluttanza in compagnia di altri, ma quando si trattava
dei
ragazzi Edelberg e dei loro amici, essendo tanti e tutti ben addestrati
a
combattere su più fronti, si arrischiava ad assentarsi per
qualche minuto. Una
volta, durante una gita a Talua, bellissimo borgo antico di Sonnerg di
cui lei
si era letteralmente innamorata, si era addirittura concesso
più di un’ora
prima di tornare, e l’aveva poi ritrovata in
un’osteria di ultim’ordine a
lanciare freccette contro una parete raffigurante nientemeno che la
stimatissima Coordinatore Generale Castalia Reis circondata dallo
sfegatato
tifo dei gemelli Edelberg, di Lisandra e del loro amico Kama,
nonché
dall’imbarazzo costernato di Anneli.
Si
erano fatti tutti delle grasse
risate, certo, ma tuttora non era sicura che lo spasso fosse valso la
tempestosa lavata di capo che le era spettata una volta riportata a
casa a suon
di strattoni al braccio.
–
Non è come sembra – dichiarò
Regan in propria difesa. – Shin è stato costretto
a desistere di fronte alla
mia incapacità. –
Anneli
le concesse un sorriso
quasi gentile. Da quel loro scambio di implicite confessioni nelle
serre,
testimonianza della condivisione di un segreto che le aveva
irrimediabilmente
avvicinate, il suo atteggiamento nei confronti di Regan aveva ceduto le
spine
ostili per vestirsi, se non di petali soffici, almeno di più
amichevoli foglie
dentellate.
–
La prima lezione che un’allieva
della Domus Aurea deve imparare è che non può
partire dalla pretesa di essere
un uomo, poiché non ne possiede la struttura fisica,
né la prestanza – recitò
nel tono pratico e stringato di chi illustrava una legge di
sopravvivenza
fondamentale. – Loro hanno la forza, noi
l’agilità, e di conseguenza di essa
dobbiamo fare il nostro punto di forza. –
Da
sotto le pesanti falde della
cappa estrasse qualcosa. Era una spada priva di fodero, più
corta e sottile di
quella con cui lei si era esercitata finora, di un metallo chiaro,
lustro, con
un motto inciso lungo la lama che non riuscì a leggere.
Esattamente il tipo di
spada che le aveva consigliato Shin.
–
È la spada che viene consegnata
a tutte le apprendiste del primo anno alla Domus Aurea durante la
cerimonia di
ammissione – spiegò Anneli orgogliosa, tenendola
sui palmi come un piatto di
inestimabile valore. – È stata la mia compagna
più fedele durante tutto il
primo triennio ed è stato alla sua maneggevolezza che ho
battuto per tre anni
di seguito lo spadaccino campione dell’Accademia. –
Un
sorriso salace della durata di
un lampo lanciato verso Aeden e il modo in cui lui sorrise di rimando
con una
breve scossa di capo comunicarono a Regan che il citato campione doveva
essere
proprio lui.
Lei
temeva di aver frainteso il
significato della spada che le era prostrata davanti come
un’offerta
propiziatoria, ma Anneli si premurò di scongiurare ogni
dubbio prendendole le
mani e affidando personalmente la piccola spada alle sue dita.
–
Penso che sarà più utile a te
che alla vetrina in cui prendeva polvere nella mia stanza. –
Appena
la lasciò andare, la spada
piombò con tutto il suo peso tra le mani di Regan, che non
poterono fare a meno
di cedere leggermente nell’accusare il colpo inatteso. Pur
ridotta nelle
dimensioni, restava comunque di discreta pesantezza. Rispetto
all’altra, in
ogni caso, sarebbe stata molto più semplice da brandire.
A
corto di parole e di ogni
capacità reattiva, Regan abbassò lo sguardo sulla
preziosa arma e ringraziò
commossa. Anneli non le permise di andare troppo sul sentimentale: a
disagio,
si appigliò al primo diversivo che trovò; il suo
sguardo, infatti, andò a
cadere sul tascapane colmo lasciato a sé stesso accanto a
Shin.
–
Avete portato la merenda, vedo –
commentò in tono divertito.
Regan
decise di farle la
gentilezza di assecondarla, il dono appena ricevuto gelosamente stretto
al
petto.
–
Un pensiero di… –
Eleonora era il nome che completava
quella frase, ma non riuscì mai
a raggiungere le labbra. Poi rammentò: il Segreto. Non
essendone la Custode,
lei non aveva il potere di rivelare le informazioni che esso
proteggeva,
pertanto le era fisicamente
impossibile
comunicarle in alcun modo.
–
Di Lucius – terminò quindi.
Anneli
sollevò il lembo di iuta
che chiudeva la borsa e considerò con aria scettica le due
tortine alle noci
che fecero capolino, ma non disse niente.
–
Il sole ha già iniziato a
calare – osservò Shin, scrutando il cielo.
– Sarà il caso che ti riporti a casa.
–
–
Noi abbiamo lasciato i cavalli
appena fuori dal sentiero – disse Aeden. – Possiamo
accompagnarvi. –
Shin
le domandò con un’occhiata
cose lei ne pensasse e lei scrollò appena le spalle. Andare
a cavallo le
piaceva ed era da un po’ che non ve aveva
l’occasione.
Anneli
era venuta in sella a una
bella puledra nera di nome Hamara; Aeden, invece, con un giovane
stallone
grigio maculato che aveva battezzato Taivas.
Fu
strano per Regan aggrapparsi
alla vita esile di Anneli durante la galoppata di ritorno. Abituata a
sentire
il robusto addome di Lucius, le sembrava quasi di non essere al sicuro,
mentre
in realtà Anneli era un’amazzone provetta e non
indugiò nemmeno quando ci fu da
saltare un tronco crollato.
Regan
adorava cavalcare, ma
Lucius di rado le concedeva di accompagnarla a fare un giro tra i
boschi e ogni
volta che lei lo supplicava di insegnarle, lui la liquidava sempre con
un
“Vedremo” che lei detestava.
Mentre
si godeva il divertimento,
intravide spesso tra le fronde e i cespugli uno sprazzo di rossiccio
che
fuggiva o si nascondeva e ormai non aveva più bisogno di
chiedersi cosa fosse:
il suo piccolo amico dalla pelliccia fulva ormai la stava seguendo
– più o meno
di nascosto – da giorni, fin da prima che lei
potesse realizzarlo.
Era
spettacolare il rumore sordo
degli zoccoli contro la terra innevata, un picchiare sordo e regolare
simile
alle pulsazioni di un cuore in corsa che si diffondeva tra gli alberi
senza
violare il loro sonno maestoso. Li accarezzava e basta, lasciandosi
dietro
nuvole di polvere di ghiaccio e una palpitazione che si disperdeva in
lontananza.
Quando
i cavalli impennarono di
fronte alla casa di Lucius e Aeden la aiutò a smontare,
Regan si rese conto di
sentirsi esausta. Era il crepuscolo e la luce del giorno era di un
azzurrino
verdastro mentre calava oltre l’ultimo tratto di cresta
montuosa occidentale,
catturando e pennellando su Norden i colori vitrei dei ghiacciai.
C’era
qualcosa che andava oltre
la meraviglia nel suo continuo stupirsi davanti alle bellezze della
natura,
alla semplicità di un biscotto alle mandorle intinto in una
tazza di latte
aromatizzato alla vaniglia, di un libro di fiabe secolari da sfogliare
sdraiata
su un tappeto con un camino accanto che scaldava i pensieri. Tutte
quelle
piccole cose che erano ormai una quotidianità non
riuscivano, per lei, a
trasformarsi in qualcosa di scontato, in un’abitudine che si
assolveva
meccanicamente, senza prestarci attenzione. Tutto aveva
un’importanza, un fascino,
persino aiutare Eleonora con le faccende di casa le procurava una
gradevole
sensazione di benessere, quasi fossero un passatempo dilettevole come
ogni
altro.
Aeden
e Anneli si accomiatarono
proprio mentre il sole cedeva gli ultimi raggi al giorno per lasciare
che la
notte gli sopraggiungesse dolcemente. Poco lontano, sulla strada
selciata la
luminescenza naturale del kival
iniziava a rischiarare la via dei viaggiatori notturni.
–
Arrivederci, allora – disse
Aeden, gettandosi la sciarpa dietro la spalla. – Vi
attenderemo domani sera
alle celebrazioni per il Solstizio d’Inverno. –
Per
qualche ragione a Regan parve
che quel plurale fosse una galanteria rivolta a lei sola, senza affatto
comprendere Shin, che Aeden nemmeno guardò.
Il
Solstizio. Lo aveva quasi
dimenticato.
La
sua curiosità di saggiare
personalmente un evento di una simile portata (Lucius le aveva
raccontato con
entusiasmo fin troppo convinto del banchetto, dei balli, dello sfarzo
unico nel
suo genere del palazzo in cui aveva sede in Nucleo di Norden) lottava
ormai da
giorni contro la totale mancanza di voglia di dimostrare per
l’ennesima volta
quanto lei fosse fuori posto in ambienti del genere. Qualunque delle
due avesse
avuto la meglio, comunque, per Lucius avrebbe fatto poca differenza, e
non
aiutava certo il fatto che Eleonora fosse già pronta da una
settimana a
metterla in ghingheri per l’occasione.
–
Naturalmente – si ritrovò a
rispondere, sperando che il sarcasmo passasse inosservato.
I
due Edelberg non aggiunsero
altro. Una speronata dei fianchi dei rispettivi destrieri e in un
attimo
sparirono alla vista, inghiottiti nella nebbia che pian piano si stava
sollevando dal suolo.
–
Bentornati! – cinguettò
Eleonora, non appena li sentì rientrare.
La
casa, come al solito, era
calda e accogliente e qualcosa dal profumo molto invitante stava
sobbollendo in
cucina.
Regan
mugugnò qualche risposta,
che finì però inevitabilmente eclissata
dall’educato saluto di Shin. Si
avvicinò al tavolo e si lasciò cadere a peso
morto su una delle sedie, abbandonando
la testa sulle braccia incrociate.
In
quella Lucius sbucò dalla
porta ad arco alle spalle di Shin, profumato di sapone, solo i
pantaloni
addosso, i capelli fradici che spargevano gocce ovunque e il polso
sinistro
misteriosamente fasciato. Le sue cicatrici erano gocce di luce bianca
tra gli
aloni gialli delle lampade che costellavano la stanza.
–
Che ti è successo stavolta? –
Lucius
si toccò automaticamente
il polso. Nemmeno stavolta per lui la questione fu degna di un minimo
di
serietà. Un sorriso evasivo e una scrollata di spalle
liquidarono, o così
ritenne lui, ogni necessità di risposta vera e propria.
–
Oh, una sciocchezza. Non ci
sono più i gargoyle educati di una volta. –
Regan
si sforzò di capire in che
modo un mostro di pietra potesse dimostrarsi poco educato, ma ci
rinunciò
immediatamente. Lasciando che le chiacchiere del resto dei presenti
diventassero un sottofondo vago e indistinto, rimise la testa sulle
braccia e
chiuse gli occhi.
L’odore
di chiuso e acre di
umidità si mescolava quello di cera e di olio bruciato che
emanavano le torce
affisse alle pareti, macchie di luce che sporcavano un buio troppo
denso e
avvolgente per aver mai conosciuto un raggio di sole. Là
sotto, tra quei
cunicoli, era la notte eterna.
Il
pavimento era nuda pietra bagnata
di condensa, ogni passo un riecheggiare infinito lungo corridoi troppo
lungi e
intricati per intuirne la fine. Respiri brevi e nervosi si sollevavano
davanti
a un viso incupito nascosto da un cappuccio che gettava ombre sul
chiaro dei
suoi occhi.
Si
fermò al cospetto di una porta
di legno tarlato, le cerniere corrotte da incrostazioni di ruggine
rossastra
che produssero un sinistro scricchiolio quando tirò la
maniglia.
Esitò
prima di entrare.
–
Vieni avanti, Arith – gli
ordinò una voce profonda dall’interno.
Lui
obbedì.
La
stanza era irrorata di
un’innaturale luce azzurrina. Sul tavolo al centro, una
fiamma che non pareva
affatto fuoco, come fatta di brandelli di spettri, vibrava opalescente
dell’assoluta assenza di correnti d’aria, sospesa
nel nulla due dita sopra il
legno. Accanto a essa, Genesis scrutava il vuoto pensoso, il bagliore
tremulo
che riverberava nel grigio apatico dei suoi occhi.
Arith
si avvicinò e si prostrò in
un umile inchino, come gli imponeva il suo grado di novizio
dell’Ordine nei
confronti del superiore, e Genesis non era un semplice superiore: lui
era
l’Eescutore Supremo, ed era grazie al suo favore che lui,
Arith, era stato
prescelto per ricoprire il ruolo di quinto Esecutore. Era un grande
onore poter
prendere parte attiva alla Missione.
–
Signore. –
–
Dianthe mi ha riferito che le è
giunta voce che la ragazza prenderà parte alle celebrazioni
per il Solstizio –
dichiarò il timbro grave di Genesis, la mascella contratta,
una vena che
pulsava sulla sua tempia. – E tu avrai il compito di
impossessarti di lei. –
–
Io, signore? –
Arith
era spaesato. Era giovane,
troppo perché potesse essere ritenuto degno di un compito
tanto importante, e
se qualcosa fosse andato storto, non osava immaginare quali sarebbero
state le
conseguenze.
La
risposta di Genesis risuonò
cupa e velatamente minacciosa:
–
Hai obiezioni in merito? –
–
Signore, il mio volto è noto a
molti Cacciatori che saranno presenti – si spiegò
lui, mestamente, torcendosi
le mani. – Forse Alioth sarebbe più…
–
–
Alioth è sfigurato e troppo
maturo, attirerebbe troppo l’attenzione e desterebbe dei
sospetti se cercasse
di avvicinare una ragazzina. Tu sei piacente e abbastanza giovane da
poter
impersonare credibilmente la copertura che ho in mente per te.
–
Arith
per poco non arrossì per
quel complimento, ma si rese conto che sarebbe stato inopportuno,
pertanto
chinò nuovamente il capo in segno di assenso.
–
Per quel che concerne il
pericolo che tu venga riconosciuto, non devi temere, la fortuna ci
assiste:
ogni partecipante sarà mascherato e tu passerai del tutto
inosservato. –
Il
Giuramento gravava su Arith
come un fardello di cui era impossibile liberarsi senza pagarne le care
conseguenze. Un simbolo tatuato perpetuamente sulla schiena, in
corrispondenza
del cuore, un sigillo mortale che da mille anni veniva posto a monito
per i
traditori. Era stata la violazione del Giuramento a uccidere Sharlit e
se lui
si fosse sottratto al volere del Supremo avrebbe fatto la stessa fine.
Non lo
allettava l’idea di mescolarsi a una folla brulicante di
membri della Lega a
cui non sarebbe stato affatto difficile riconoscerlo come uno dei loro
ricercati più famigerati, e tuttavia ancor meno lo allettava
sapere che
sottraendosi a quel compito avrebbe personalmente sperimentato la
leggendaria
morte di agonia che spettava ai traditori, una tortura interiore che
finora
aveva sentito narrare solo nei racconti turpi dei confratelli
più anziani dei
cui non ci teneva a verificare sulla propria pelle la
veridicità.
Risoluto
e forte di un ritrovato
coraggio, Arith drizzò spalle e schiena e assentì
fiero.
–
Come desiderate, mio signore. –
Una
volta ogni cento anni,
l’Ordine doveva assolvere al proprio dovere a qualunque
costo, a qualunque
prezzo, e il secolo corrente un pezzetto della gloria sarebbe spettata
anche a
lui.
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A/N:
sarò
del tutto sincera: questo è un capitolo puramente filler, quindi se non vi è
piaciuto o vi ha detto poco, mi sta
bene. XD Il prossimo capitolo, invece, è decisamente
più ricco e interessante e
vi preannuncio che finalmente incontrerete una figura che da tanto
incombe
silenziosa sulla storia. :3 Chissà, chissà!
Intanto dedichiamoci
all’angolo delle risposte alle
recensioni:
Xx
Kin YourichixX: mi pare di capire che quindi Lucius
ti susciti qualche
avversità perché è
“sentimentalmente occupato”, giusto? Insomma, ti
senti un po’
tradita (come Regan, del resto! XD). In ogni caso, se ti può
consolare, il
fatto che a lui interessi un’altra, non significa
necessariamente che la cosa
sia corrisposta. ;) Hai detto bene di Regan, poi: è una
bambina, a tutti gli
effetti, pur essendo una ragazza ormai matura, e scopriremo anche i
motivi di
questo suo essere così bambina. Per quel che concerne i suoi
poteri (immagino
tu stia parlando delle voci che sente quando cade a terra),
è invece tutto un
altro discorso: lei sa già di essere strana e inoltre
c’è il problema che non
riesce a controllare minimamente il suo potere o quel poco che mostra
di avere,
quindi nel momento in cui insorge qualche anomalia, o crede di essersi
immaginata tutto, o comunque ritiene sia meglio fare finta di niente,
temendo
di essere portata via a Lucius se qualcuno dovesse scoprire qualcosa di
vagamente interessante su di lei. Idem con i sogni: prima di parlarne
con
qualcuno, vorrebbe sapere lei per prima di che cosa si stratta. Ah, e
per
quanto riguarda la domanda sul blocco dello scrittore: oh, se mi
è capitato! XD
Un sacco di volte, soprattutto all’inizio della stesura,
durante i primi
capitoli. C’erano momenti in cui credevo che non avrei mai
concluso niente! .__.
Milou_:
tranquilla, tranquilla, la bestiolina non sta affatto con i cattivi! J
Ha solo un pessimo tempismo e un’inopportuna ossessione per
le cose che
luccicano. XD Amo molto anch’io i draghi, sai? Non ho mai
letto Eragon, ma li
trovo creature incredibilmente affascinanti e ti prometto che se ne
parlerà
ancora, anche se non in questo libro. E nemmeno il motivo per cui il
tocco di
Shin fa male a Regan verrà spiegato entro la fine di
Innocence, quindi dovrai
avere molta pazienza (e magari potrai leggerlo direttamente sulla carta
stampata, se la fortuna mi assiste J
). Grazie mille per
tutti i complimenti, comunque! *-*
LovelyAndy:
so bene che il pubblico medio chiede letture semplici e leggere anche
dal punto
di vista formale, ma mi sembra veramente squallido cambiare il mio modo
di
scrivere e “vedere” le cose che racconto solo per
dare alla gente quello che
vuole. Ho già una lista di case editrici serie a cui inviare
il manoscritto
appena sarà stampato e se lo accetteranno per ciò
che è ne sarò felice,
altrimenti pazienza. Se dovessi modificare interamente la narrazione,
non
sarebbe più un libro mio,
non so se
mi sono spiegata. Poi, che altro? Ah, sì! Regan VS Bella! XD
Allora, devo
essere sincera sincerissima: ho una certa repulsione verso Twilight. Ho
cercato
di leggerlo e non sono riuscita ad arrivare granché lontano
a causa dell’eccesso
di zuccherosità della trama. È più
forte di me: le melensaggini mi danno la
nausea. ^^ Però conosco abbastanza bene il personaggio di
Bella e sinceramente
spero che Regan sia diversa da lei. E’ vero che Regan
è abbastanza imbranata
(più a livello mentale che fisico, direi XD), ma lo
è in modo molto infantile,
ed è indifesa e bisognosa di protezione non
perché le manchi il coraggio o la
voglia di mettersi in gioco, ma perché a livelli pratici non
è capace né di
usare armi né di sfruttare i poteri che ha. Insomma, fosse
per lei sarebbe la
prima a gettarsi nella mischia. XD Inoltre Regan non ha né
la timidezza né l’introversione
di Bella: le piace stare in mezzo alla gente, quando la trattano da
persona e
non da scherzo della natura, e non si fa problemi a dire le cose in
faccia, se
serve, senza contare, poi, il suo pessimo carattere. XD Insomma, ho
fatto del
mio meglio per darle una personalità precisa e almeno un
pizzico originale, di
modo che non fosse la solita bellezza, simpaticissima e dolcissima, che
fa sospirare
tutti e incanta anche i muri. Per quanto riguarda la domanda su Lucius,
invece:
fuoco fuochino! ;) Spero di essere stata esauriente. J
Shadow_Soul:
il “brutto tizio” di cui chiedi non sta dalla parte
di Desmond, il che
significa che ci sono due nemici di cui preoccuparsi, ed entrambi
vogliono la
stessa persona, ma per motivi differenti. Come dicevo prima alla
risposta a
Milou_, scopriremo perché Shin fa male a Regan quando la
tocca solo molto più
avanti, e non sarà entro la fine di questo libro,
perché la saga continua per
altri quattro libri e quindi qualche mistero va lasciato al futuro. J
Come dici tu stessa: le tue domande (tutte più che
legittime!) avranno risposta,
a suo tempo, quindi c’è solo da pazientare (un bel
po’! XD). A titolo
informatico, visto che ti chiedevi quanti capitoli ci saranno ancora,
questo
libro prevede 31 capitoli totali, compresi prologo ed epilogo, quindi
fatti due
conti. ;) E grazie di cuore per i complimenti!
Bene, anche stavolta ho fatto il mio
dovere. u.u
Come sempre, spero abbiate gradito e
se volete lasciare un
commento, sappiate che ne sarò molto felice. J
E, giusto perché
comprendiate meglio quanto succoso sarà il
prossimo capitolo, ve ne lascio un assaggino:
Una dama vestita di verde era appena entrata in
sala e gli occhi di
tutti erano puntati su di lei. Benché la maschera dal bordo
bianco celasse metà
del suo viso alla vista dei presenti, la sua bellezza dirompeva da
dietro di
essa con prepotenza, quasi rifiutasse di lasciarsi oscurare da un
inutile
orpello. Carnagione bianca, nobile, perfetta come un bocciolo di rosa,
e forse
una regina non avrebbe avuto un portamento tanto regale. Capelli lunghi
e scuri
facevano da velo sulle spalle nude e lungo tutta la schiena,
disegnandone il
profilo sottile nelle luci incandescenti.
– Meravigliosa –
commentò qualcuno, in tono strozzato.
Man mano che avanzava, la gente si ritraeva, chi
ammaliato da quella
presenza abbacinante, chi troppo intento a fissare rispettosamente il
suo
riflesso nel pavimento rosato per osare guardarla direttamente.
Nel mezzo del nero della maschera due occhi di un
verde raro, acqua di
fiume congelata tra i prati, brillavano di splendore riflesso,
ottenebrati da
screzi di malinconia che li facevano rassomigliare a cristalli esanimi.
Improvvisamente
tutte
le donne che Regan aveva conosciuto e reputato belle impallidirono al
confronto
di quella sconosciuta.
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