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Autore: Lady Vibeke    28/04/2011    6 recensioni
Una donna urla, la voce frammentata da singhiozzi.
Tutto è buio.
Battiti di cuore come tamburi attorno a lei, stretta tra braccia esili. Occhi innocenti di bambina si sgranano nell’angoscia dell’incapacità di comprendere quel caos improvviso.
– Dammi la bambina – Sentenzia la persona senza volto, ed è un ordine ineluttabile che impregna l’oscurità.
C’è il terrore che spadroneggia nella bimba. Troppo piccola per capire, ma abbastanza grande per rendersi conto del pericolo. E intanto quelle braccia insistono a volerla proteggere.
– Se la consegnate a me, sarà salva. Loro stanno arrivando. Se riescono a trovarla, la prenderanno e la uccideranno sotto ai vostri occhi. Datela a me. –
– Cosa vuoi da lei? –
Un lampo squarcia le tenebre. Il volto di una donna appare per un brevissimo istante al di sotto del cappuccio.
– Voglio salvarle la vita. –
Il silenzio della tensione calca sulle loro teste, impietoso. In lontananza, nitriti selvaggi si mescolano a un rumore di zoccoli in corsa.
Le braccia della ragazza si allentano attorno al corpicino indifeso della piccola. Altre due braccia sottili si aprono in un invito. Tutto è preda di una tensione innaturale. Tutto è immobile.
Poi un lampo di luce rossa divora ogni cosa.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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12. BRICIOLE

 

We're part of a story, part of a tale
We're all on this journey
No one's to stay
Wherever it's going
What is the way?

– Never-ending Story, Within Temptation –

 

 

La vera bellezza della Terra di Norden fioriva in inverno, quando la lucida patina sottile della rugiada mattutina si trasformava in miriadi di minuscoli cristalli di ghiaccio che disegnavano ricami merlettati su foglie, pietre e vetri delle case, e la stagione delle piogge autunnali volava via con le sue foglie secche, lasciando il regno alla mano bianca delle nevi.

La corolla di rilievi montuosi che abbracciava i territori all’estremo Nord era ammantata di soffici strati di zucchero a velo che riluceva sontuoso e immacolato sotto ai raggi pallidi di un letargico sole impigrito dal freddo. Ai piedi delle montagne, boschi, foreste e distese pianeggianti si alternavano tra il lacrimare lento delle acque sotto le superfici congelate dei fiumi, dei ruscelli e dei numerosissimi laghetti, e le pieghe docili delle strade sterrate.

A nord-ovest, nel gomito di terra in cui l’ultimo monte incontrava l’oceano in uno strapiombo di diverse centinaia di braccia, si annidava la pacifica Aglaya, città di pescatori e mercanti di perle, riferimento estremo per coloro che si spingevano a settentrione per i loro commerci o per qualche viaggio personale; da lì partiva la Nahua, o Nastro, la splendida, ampia via lastricata di pietra chiara dalla storia secolare, i cui bordi segnati da fini venature di kival ne consentivano la percorrenza anche di notte e nei giorni in cui la nebbia era così fitta che nessuna lanterna riusciva a penetrarla. Più a sud, seguendo questa strada, si incontrava, spostata verso il cuore della Terra, la prospera Bluren, che vantava un’invidiabile estensione, rispetto alle altre città maggiori, poiché nata e sviluppatasi sulle sponde del Lago Hyvä, bacino principale di Norden. Bluren, ricca e famosa per i tessuti pregiati che i suoi artigiani producevano dalle materie prime che importavano da tutti gli angoli del Mondo Occulto, era anche meta di molte dame facoltose che, per vanità o semplice capriccio, vi si recavano in ogni periodo dell’anno per acquistare seta, organza e lino pregiati per gli abiti che in seguito, tornate a casa, si sarebbero fatte confezionare dai sarti di fiducia secondo la moda locale. Scendendo ancora e spostandosi ancora a oriente, nella zona più popolosa e densa di villaggi e borghi antichi, c’erano Ranua e Virrat, città gemelle separate soltanto da una lunga striscia di parti disseminati di croci tradizionali delle Sette Terre – quattro bracci perpendicolari l’uno all’altro, intersecati da un anello che aveva centro nel loro punto di incontro: i quattro elementi coronati dal simbolo dell’energia e della vita – erette in memoria dei cittadini caduti nella Grande Rivolta, quasi un millennio prima.

A chiudere in Nastro c’era infine la splendente Kauneus, con i suoi marmi di luna e i palazzi maestosi di tutti i nobili che nel corso dei secoli vi erano accorsi dalle regioni vicine, ma anche molti riccastri eccentrici bramosi di conquistarsi il prestigio della residenza nella capitale in cui, dicevano le leggende, dimoravano solo le genti più nobili. In qualsiasi angolo remoto del Mondo Occulto, chi si presentava come abitante o originario di Kauneus veniva puntualmente guardato con un misto di ammirazione, rispetto e una punta di immancabile invidia.

Nella macchia di foresta appena fuori le porte della città, betulle e conifere si susseguivano in un rincorrersi di tronchi candidi e chiome scure spolverate di neve, la quale ricopriva interamente anche il suolo, offrendo una traccia facile alle linci e ai lupi che si aggiravano per il territorio alla caccia di lepri e selvaggina.

Il silenzio era di rara profondità, morbido e profumato di freddo secco, accompagnato solamente dal placido respiro lontano delle montagne addormentate e il bubolare sommesso di un gufo, che faceva seguito al remoto eco stridente di ferro che graffiava altro ferro.

– Non ti intestardire. È una spada troppo grossa e pesante per te, riesci a malapena a tenerla in mano! –

La tranquillità della foresta, al momento,  era ben lungi dall’essere assoluta e surreale come di consueto.

– Non riesci a gestirla come si deve, ti farai del male! Ti serve una lama più corta e sottile –

Regan lasciò cadere a terra la pesante spada con uno sbuffo frustrato. Questa affondò nella neve, andandosi a scavare una fossa che probabilmente considerava destino ben più dignitoso del giostrare maldestro a cui era stata costretta finora in preda a mani troppo indecise e inesperte.

Si trovavano in una piccola radura nel bosco, non lontana dalla casa di Lucius, e tutto ciò che si era udito per tutto il pomeriggio erano state le loro voci e il mormorio del vento.

Shin non portava la solita uniforme grigio perla – che Regan aveva poi scoperto essere identica alle divise maschili portate dagli allievi della Domus Aurea – ma qualcosa di più pesante e meno ricercato, più adatto a un allenamento all’aria aperta, anche se, più che un allenamento, sarebbe stato opportuno definirlo una perdita di tempo, perché tutto ciò che era riuscita ad apprendere veramente finora era che con ogni probabilità non sarebbe mai riuscita ad apprendere un bel niente in fatto di tecniche difensive armate.

Non che sentisse di avere maggiori speranze in quelle magiche.

– Devi imparare a essere più paziente – la ammonì. Raccattò la spada e la ripulì dalla neve ghiacciata, per poi andare a riporla nella sua fodera, abbandonata su una roccia assieme ai mantelli e alla sciarpa rossa di Regan e a un piccolo involto con lo spuntino che Eleonora aveva dato loro.

– Io sono paziente! –

– E un pochino più obiettiva. –

Shin si guadagnò così un’occhiataccia torva, che però gli scivolò addosso senza minimamente intaccare quel lievissimo accenno di sorriso che di rado gli abbandonava le labbra sottili. Lui era così, il ritratto vivente della pace, anche quando la persona che aveva di fronte avrebbe meritato il trattamento peggiore. O non voleva saperne di ragionare.

Nonostante sia lui che Lucius la avessero avvisata che non poteva pretendere di imparare a brandire un’arma – per non parlare poi dell’usarla – in una giornata, lei aveva preteso a ogni costo di provarci, almeno, e i risultati erano forse peggiori di quelli contro cui era stata messa in guardia.

– Anziché ostinarti sulle armi, faresti meglio a cercare di imparare ad attingere al potere che hai dentro di te e sfruttarlo in modo appropriato. –

Contrariamente a lui, Regan era una che invece di disposizione verso il prossimo ne aveva veramente poca, specialmente se c’era da discutere civilmente. Il fatto era che oramai sotto quel punto di vista aveva perso le speranze: erano giorni che Shin si dedicava a lei nel tentativo di aiutarla a sbloccare la sua energia interiore, ma i risultati erano stati, al limite della generosità, a dir poco desolanti, e lei odiava accanirsi quando era perfettamente conscia che c’era ben poco da fare. Preferiva impiegare il tempo in qualcosa che prima o poi avrebbe potuto dare dei veri risultati tangibili.

– Ci abbiamo già provato, ricordi? È una settimana che ci proviamo! Non funziona, non sono capace! –

La frustrazione faceva a gara con la rabbia a predominare dentro di lei e ogniqualvolta l’una sembrava avere la meglio, l’altra subito la scavalcava con prepotenza, e la pazienza puntualmente annegava, sconfitta da avversarie a lei troppo superiori in quantità e potenza.

Regan si abbandonò a un sospiro di sconforto.

Era una giornata stupenda. Il cielo era di un azzurro così intenso e pulito che non sembrava nemmeno inverno. Nonostante le apparenze, però, il freddo non era scomparso e lei, ora che si era fermata, lo sentiva più pungente di prima.

Era sudata, affaticata, i muscoli delle braccia, soprattutto il destro, erano tesi e indolenziti per lo sforzo fisico a cui non era abituata. Shin l’aveva presa un po’ in giro per la facilità con cui si stancava, ma non era troppo un amante dell’ironia come Lucius; era stato gentile e aveva speso due ore a insegnarle le giuste posture di base, dall’impugnatura, alla parata, all’affondo, fino a che, stufa di muoversi in difensiva senza una padronanza delle proprie azioni, si era arresa definitivamente.

Shin sospirò.

– Probabilmente è colpa mia. –

Regan raccolse il proprio mantello e se lo buttò sulle spalle, poi con una mano salì a sciogliere la treccia in cui aveva stretto i lunghi capelli.

– Colpa tua se io non so usare i miei poteri? –

– Non credo di essere adatto a insegnare ad altri questo tipo di cose. –

Lei inarcò un sopracciglio.

– Lucius ha detto che sei il più indicato. –

Shin si fece a sua volta scivolare il mantello sulle spalle. Era alto due spanne più di lei ed era  sconvolgente pensare che, essendo ancora adolescente, sarebbe cresciuto ancora. La sua bellezza surreale non risentiva del velo di sudore che gli imperlava la fronte, né dei capelli disordinati dal vento; ne risultava piuttosto accresciuta, resa forse più verosimile da quei dettagli di trascuratezza che lo rendevano discernibile da un dipinto eccessivamente ricercato in perfezione.

– In effetti da un lato lo sono – replicò lui, mentre le sue dita sottili allacciavano gli alamari d’argento attorno alla gola. Il mantello nero era una macchia di inchiostro su di lui e sul tappeto di neve che li circondava, un frammento di notte dimenticato nella luce pura.

– D’altro canto, non avendo mai personalmente imparato a gestire i miei poteri, non sono poi così sicuro di poterti essere d’aiuto. –

– In che senso? –

Shin si strinse nelle spalle, come a volersi scrollare di dosso la domanda con quel semplice gesto evasivo, ma le rispose comunque.

– Sapevo usare il mio potere per istinto, prima che qualcuno avesse modo di insegnarmelo. Non so come mai – un’altra scrollata di spalle che denotò il suo disagio nel parlare di quelle cose. – Forse perché sono quello che sono. –

Regan provò l’incontenibile impulso di abbracciarlo, ma non lo fece. C’era uno spazio troppo significativo tra loro che avrebbe rischiato di far apparire quel gesto troppo forzato e l’ultima cosa che voleva era dare a Shin l’impressione che lo compatisse, anche se in fondo, si disse, per una parte di lei era così.

“Perché sono quello che sono.”

Quanta amarezza ci poteva essere – quanto rammarico? ­– nelle parole di qualcuno che descriveva sé stesso in quel modo?

– Forse sarebbe meglio rivolgersi a qualcuno di più qualificato – riprese Shin, ogni traccia amara spazzata via da un sorriso spensierato. – Il Maestro Theisen insegna Autocoscienza ai demoni della Domus Aurea da un’ottantina d’anni, ne sa sicuramente più di me. –

Autocoscienza, ossia la capacità di entrare in contatto con sé stessi. Una cosa in cui Regan difficilmente avrebbe potuto avere successo, dato che tuttora non sapeva esattamente chi lei fosse.

– Insegna solo ai demoni? –

Shin sedette sul masso. Una gamba, lunga e fine come quella di un ragno, si piegò per appoggiarglisi al petto; prese un sorso di idromele dalla fiasca che aveva pescato dal tascapane e annuì.

– Non puoi certo pretendere che i metodi di insegnamento per l’una e l’altra razza siano gli stessi. Sai, angeli e demoni sono simili in moltissime cose, identici in altrettante, ma hanno poteri diversi, dentro, e modi diversi di percepire. Be’, comunque forse non dovrei essere io a dirlo, no? – aggiunse infine, con un piccolissimo sorriso intimidito.

Forse no, in effetti.

Un’altra cosa di cui Shin poteva vantare e che mai nessun dipinto avrebbe potuto possedere era il tepore che la sua personalità emanava, l’umiltà incorruttibile di ogni suo gesto e parola, qualcosa che, più che con la modestia vera e propria, aveva a che fare con una contrizione più intima, solo superficialmente indovinabile, ma la cui vera natura rimaneva un mistero racchiuso nel nero della malinconia dei suoi occhi.

Ma in ogni caso forse era davvero lui, che aveva i poteri di entrambe le razze, ed era unico nel suo genere come un giglio nato da uno stelo di rosa, il più indicato per istruirla.

Regan aveva tenuto per sé quanto accaduto con la bestiolina fulva dai grandi occhi neri quel giorno che sembrava ormai così lontano, nel vicolo dietro la Quercia d’Argento, in cuor suo ancora dubbiosa sull’intera questione.  In fondo, non lo sapeva nemmeno lei che cosa fosse veramente successo, e per quel che la riguardava era acqua passata.

Lei e Shin consumarono di gusto lo spuntino, avvolti nel silenzio ovattato della neve. I respiri diventavano nuvolette di vapore di fronte ai loro volti, sprazzi di vapore denso nella cristallinità incorrotta dell’aria.

– E noi che credevamo che si stessero duramente allenando. –

Regan cercò con lo sguardo, curiosa, la provenienza di quella voce femminile che ormai conosceva molto bene.

Sulla scia delle orme impresse da lei e Shin nella distesa di neve camminavano ora Anneli e Aeden, avvolti in magnifiche cappe di un grigio perlaceo, i bordi rifiniti con elaborati ricami neri, lucenti e serici come i loro occhi.

La lunga gonna purpurea di Anneli strusciava a terra raccogliendo polvere di ghiaccio, e così gli stivaletti neri. Aeden, i capelli lasciati insolitamente sciolti in una cascata dorata sulle spalle eleganti, le sorrideva da sotto una mano, portata alla fronte per schermarsi dalla bassa luce del sole nella radura sprovvista della protezione degli alberi.

Salutarono con un cenno, i volti arrossati. Dovevano essersi fatti una bella cavalcata fin lì.

– Avevamo in mente qualcosa di un po’ diverso quando Lucius ha detto che eravate venuti ad allenarvi. –

Aeden ebbe uno sguardo condiscendente tutto per lei e un sorriso vellutato in tutto e per tutto identico a quello di Prince, forse solo più leggero, più giovane.

Lucius cercava spesso di spingerla a trascorrere del tempo assieme agli Edelberg e alla loro cerchia di amicizie; la spronava ad aprirsi, a divertirsi, a vivere come se quella dovesse essere la sua vita, come se sapesse che tutto ciò che c’era stato prima era già fuori da qualsiasi possibilità di recupero. Regan lo assecondava volentieri, perché stare insieme a ragazzi che non badavano alla stranezza del suo aspetto né giudicavano la sua inettitudine faceva bene al suo umore. Le dava la sensazione di appartenenza a qualcosa, l’illusoria impressione che quel mondo fino a poco tempo prima sconosciuto ora fosse anche un po’ il suo.

Aveva avuto altre occasioni di cenare o pranzare dagli Edelberg, scoprendo così anche la passione che Lady Edelberg – Arista, come esigeva di essere chiamata, senza frivole formalità – nutriva per l’arte culinaria, e altrettante ne aveva avute di consumare pomeriggi interi a spasso per Kauneus con tutta la combriccola. Aveva conosciuto gente nuova, per lo più allievi della Domus, e stava iniziando ad acquisire familiarità con le vie della città e orientarvisi con una discreta sicurezza. Anche i passaggi attraverso i Portali stavano diventando meno traumatici, anche se la testa continuava a girarle ogni volta.

Lucius non si fidava mai ad allontanarsi troppo da lei, fuori casa, se non c’era Shin nei paraggi. La lasciava con riluttanza in compagnia di altri, ma quando si trattava dei ragazzi Edelberg e dei loro amici, essendo tanti e tutti ben addestrati a combattere su più fronti, si arrischiava ad assentarsi per qualche minuto. Una volta, durante una gita a Talua, bellissimo borgo antico di Sonnerg di cui lei si era letteralmente innamorata, si era addirittura concesso più di un’ora prima di tornare, e l’aveva poi ritrovata in un’osteria di ultim’ordine a lanciare freccette contro una parete raffigurante nientemeno che la stimatissima Coordinatore Generale Castalia Reis circondata dallo sfegatato tifo dei gemelli Edelberg, di Lisandra e del loro amico Kama, nonché dall’imbarazzo costernato di Anneli.

Si erano fatti tutti delle grasse risate, certo, ma tuttora non era sicura che lo spasso fosse valso la tempestosa lavata di capo che le era spettata una volta riportata a casa a suon di strattoni al braccio.

– Non è come sembra – dichiarò Regan in propria difesa. – Shin è stato costretto a desistere di fronte alla mia incapacità. –

Anneli le concesse un sorriso quasi gentile. Da quel loro scambio di implicite confessioni nelle serre, testimonianza della condivisione di un segreto che le aveva irrimediabilmente avvicinate, il suo atteggiamento nei confronti di Regan aveva ceduto le spine ostili per vestirsi, se non di petali soffici, almeno di più amichevoli foglie dentellate.

– La prima lezione che un’allieva della Domus Aurea deve imparare è che non può partire dalla pretesa di essere un uomo, poiché non ne possiede la struttura fisica, né la prestanza – recitò nel tono pratico e stringato di chi illustrava una legge di sopravvivenza fondamentale. – Loro hanno la forza, noi l’agilità, e di conseguenza di essa dobbiamo fare il nostro punto di forza. –

Da sotto le pesanti falde della cappa estrasse qualcosa. Era una spada priva di fodero, più corta e sottile di quella con cui lei si era esercitata finora, di un metallo chiaro, lustro, con un motto inciso lungo la lama che non riuscì a leggere. Esattamente il tipo di spada che le aveva consigliato Shin.

– È la spada che viene consegnata a tutte le apprendiste del primo anno alla Domus Aurea durante la cerimonia di ammissione – spiegò Anneli orgogliosa, tenendola sui palmi come un piatto di inestimabile valore. – È stata la mia compagna più fedele durante tutto il primo triennio ed è stato alla sua maneggevolezza che ho battuto per tre anni di seguito lo spadaccino campione dell’Accademia. –

Un sorriso salace della durata di un lampo lanciato verso Aeden e il modo in cui lui sorrise di rimando con una breve scossa di capo comunicarono a Regan che il citato campione doveva essere proprio lui.

Lei temeva di aver frainteso il significato della spada che le era prostrata davanti come un’offerta propiziatoria, ma Anneli si premurò di scongiurare ogni dubbio prendendole le mani e affidando personalmente la piccola spada alle sue dita.

– Penso che sarà più utile a te che alla vetrina in cui prendeva polvere nella mia stanza. –

Appena la lasciò andare, la spada piombò con tutto il suo peso tra le mani di Regan, che non poterono fare a meno di cedere leggermente nell’accusare il colpo inatteso. Pur ridotta nelle dimensioni, restava comunque di discreta pesantezza. Rispetto all’altra, in ogni caso, sarebbe stata molto più semplice da brandire.

A corto di parole e di ogni capacità reattiva, Regan abbassò lo sguardo sulla preziosa arma e ringraziò commossa. Anneli non le permise di andare troppo sul sentimentale: a disagio, si appigliò al primo diversivo che trovò; il suo sguardo, infatti, andò a cadere sul tascapane colmo lasciato a sé stesso accanto a Shin.

– Avete portato la merenda, vedo – commentò in tono divertito.

Regan decise di farle la gentilezza di assecondarla, il dono appena ricevuto gelosamente stretto al petto.

– Un pensiero di… –

Eleonora era il nome che completava quella frase, ma non riuscì mai a raggiungere le labbra. Poi rammentò: il Segreto. Non essendone la Custode, lei non aveva il potere di rivelare le informazioni che esso proteggeva, pertanto le era  fisicamente impossibile comunicarle in alcun modo.

– Di Lucius – terminò quindi.

Anneli sollevò il lembo di iuta che chiudeva la borsa e considerò con aria scettica le due tortine alle noci che fecero capolino, ma non disse niente.

– Il sole ha già iniziato a calare – osservò Shin, scrutando il cielo. – Sarà il caso che ti riporti a casa. –

– Noi abbiamo lasciato i cavalli appena fuori dal sentiero – disse Aeden. – Possiamo accompagnarvi. –

Shin le domandò con un’occhiata cose lei ne pensasse e lei scrollò appena le spalle. Andare a cavallo le piaceva ed era da un po’ che non ve aveva l’occasione.

Anneli era venuta in sella a una bella puledra nera di nome Hamara; Aeden, invece, con un giovane stallone grigio maculato che aveva battezzato Taivas.

Fu strano per Regan aggrapparsi alla vita esile di Anneli durante la galoppata di ritorno. Abituata a sentire il robusto addome di Lucius, le sembrava quasi di non essere al sicuro, mentre in realtà Anneli era un’amazzone provetta e non indugiò nemmeno quando ci fu da saltare un tronco crollato.

Regan adorava cavalcare, ma Lucius di rado le concedeva di accompagnarla a fare un giro tra i boschi e ogni volta che lei lo supplicava di insegnarle, lui la liquidava sempre con un “Vedremo” che lei detestava.

Mentre si godeva il divertimento, intravide spesso tra le fronde e i cespugli uno sprazzo di rossiccio che fuggiva o si nascondeva e ormai non aveva più bisogno di chiedersi cosa fosse: il suo piccolo amico dalla pelliccia fulva ormai la stava seguendo – più o meno di nascosto ­– da giorni, fin da prima che lei potesse realizzarlo.

Era spettacolare il rumore sordo degli zoccoli contro la terra innevata, un picchiare sordo e regolare simile alle pulsazioni di un cuore in corsa che si diffondeva tra gli alberi senza violare il loro sonno maestoso. Li accarezzava e basta, lasciandosi dietro nuvole di polvere di ghiaccio e una palpitazione che si disperdeva in lontananza.

Quando i cavalli impennarono di fronte alla casa di Lucius e Aeden la aiutò a smontare, Regan si rese conto di sentirsi esausta. Era il crepuscolo e la luce del giorno era di un azzurrino verdastro mentre calava oltre l’ultimo tratto di cresta montuosa occidentale, catturando e pennellando su Norden i colori vitrei dei ghiacciai.

C’era qualcosa che andava oltre la meraviglia nel suo continuo stupirsi davanti alle bellezze della natura, alla semplicità di un biscotto alle mandorle intinto in una tazza di latte aromatizzato alla vaniglia, di un libro di fiabe secolari da sfogliare sdraiata su un tappeto con un camino accanto che scaldava i pensieri. Tutte quelle piccole cose che erano ormai una quotidianità non riuscivano, per lei, a trasformarsi in qualcosa di scontato, in un’abitudine che si assolveva meccanicamente, senza prestarci attenzione. Tutto aveva un’importanza, un fascino, persino aiutare Eleonora con le faccende di casa le procurava una gradevole sensazione di benessere, quasi fossero un passatempo dilettevole come ogni altro.

Aeden e Anneli si accomiatarono proprio mentre il sole cedeva gli ultimi raggi al giorno per lasciare che la notte gli sopraggiungesse dolcemente. Poco lontano, sulla strada selciata la luminescenza naturale del kival iniziava a rischiarare la via dei viaggiatori notturni.

– Arrivederci, allora – disse Aeden, gettandosi la sciarpa dietro la spalla. – Vi attenderemo domani sera alle celebrazioni per il Solstizio d’Inverno. –

Per qualche ragione a Regan parve che quel plurale fosse una galanteria rivolta a lei sola, senza affatto comprendere Shin, che Aeden nemmeno guardò.

Il Solstizio. Lo aveva quasi dimenticato.

La sua curiosità di saggiare personalmente un evento di una simile portata (Lucius le aveva raccontato con entusiasmo fin troppo convinto del banchetto, dei balli, dello sfarzo unico nel suo genere del palazzo in cui aveva sede in Nucleo di Norden) lottava ormai da giorni contro la totale mancanza di voglia di dimostrare per l’ennesima volta quanto lei fosse fuori posto in ambienti del genere. Qualunque delle due avesse avuto la meglio, comunque, per Lucius avrebbe fatto poca differenza, e non aiutava certo il fatto che Eleonora fosse già pronta da una settimana a metterla in ghingheri per l’occasione.

– Naturalmente – si ritrovò a rispondere, sperando che il sarcasmo passasse inosservato.

I due Edelberg non aggiunsero altro. Una speronata dei fianchi dei rispettivi destrieri e in un attimo sparirono alla vista, inghiottiti nella nebbia che pian piano si stava sollevando dal suolo.

– Bentornati! – cinguettò Eleonora, non appena li sentì rientrare.

La casa, come al solito, era calda e accogliente e qualcosa dal profumo molto invitante stava sobbollendo in cucina.

Regan mugugnò qualche risposta, che finì però inevitabilmente eclissata dall’educato saluto di Shin. Si avvicinò al tavolo e si lasciò cadere a peso morto su una delle sedie, abbandonando la testa sulle braccia incrociate.

In quella Lucius sbucò dalla porta ad arco alle spalle di Shin, profumato di sapone, solo i pantaloni addosso, i capelli fradici che spargevano gocce ovunque e il polso sinistro misteriosamente fasciato. Le sue cicatrici erano gocce di luce bianca tra gli aloni gialli delle lampade che costellavano la stanza.

– Che ti è successo stavolta? –

Lucius si toccò automaticamente il polso. Nemmeno stavolta per lui la questione fu degna di un minimo di serietà. Un sorriso evasivo e una scrollata di spalle liquidarono, o così ritenne lui, ogni necessità di risposta vera e propria.

– Oh, una sciocchezza. Non ci sono più i gargoyle educati di una volta. –

Regan si sforzò di capire in che modo un mostro di pietra potesse dimostrarsi poco educato, ma ci rinunciò immediatamente. Lasciando che le chiacchiere del resto dei presenti diventassero un sottofondo vago e indistinto, rimise la testa sulle braccia e chiuse gli occhi.

 

 

L’odore di chiuso e acre di umidità si mescolava quello di cera e di olio bruciato che emanavano le torce affisse alle pareti, macchie di luce che sporcavano un buio troppo denso e avvolgente per aver mai conosciuto un raggio di sole. Là sotto, tra quei cunicoli, era la notte eterna.

Il pavimento era nuda pietra bagnata di condensa, ogni passo un riecheggiare infinito lungo corridoi troppo lungi e intricati per intuirne la fine. Respiri brevi e nervosi si sollevavano davanti a un viso incupito nascosto da un cappuccio che gettava ombre sul chiaro dei suoi occhi.

Si fermò al cospetto di una porta di legno tarlato, le cerniere corrotte da incrostazioni di ruggine rossastra che produssero un sinistro scricchiolio quando tirò la maniglia.

Esitò prima di entrare.

– Vieni avanti, Arith – gli ordinò una voce profonda dall’interno.

Lui obbedì.

La stanza era irrorata di un’innaturale luce azzurrina. Sul tavolo al centro, una fiamma che non pareva affatto fuoco, come fatta di brandelli di spettri, vibrava opalescente dell’assoluta assenza di correnti d’aria, sospesa nel nulla due dita sopra il legno. Accanto a essa, Genesis scrutava il vuoto pensoso, il bagliore tremulo che riverberava nel grigio apatico dei suoi occhi.

Arith si avvicinò e si prostrò in un umile inchino, come gli imponeva il suo grado di novizio dell’Ordine nei confronti del superiore, e Genesis non era un semplice superiore: lui era l’Eescutore Supremo, ed era grazie al suo favore che lui, Arith, era stato prescelto per ricoprire il ruolo di quinto Esecutore. Era un grande onore poter prendere parte attiva alla Missione.

– Signore. –

– Dianthe mi ha riferito che le è giunta voce che la ragazza prenderà parte alle celebrazioni per il Solstizio – dichiarò il timbro grave di Genesis, la mascella contratta, una vena che pulsava sulla sua tempia. – E tu avrai il compito di impossessarti di lei. –

– Io, signore? –

Arith era spaesato. Era giovane, troppo perché potesse essere ritenuto degno di un compito tanto importante, e se qualcosa fosse andato storto, non osava immaginare quali sarebbero state le conseguenze.

La risposta di Genesis risuonò cupa e velatamente minacciosa:

– Hai obiezioni in merito? –

– Signore, il mio volto è noto a molti Cacciatori che saranno presenti – si spiegò lui, mestamente, torcendosi le mani. – Forse Alioth sarebbe più… –

– Alioth è sfigurato e troppo maturo, attirerebbe troppo l’attenzione e desterebbe dei sospetti se cercasse di avvicinare una ragazzina. Tu sei piacente e abbastanza giovane da poter impersonare credibilmente la copertura che ho in mente per te. –

Arith per poco non arrossì per quel complimento, ma si rese conto che sarebbe stato inopportuno, pertanto chinò nuovamente il capo in segno di assenso.

– Per quel che concerne il pericolo che tu venga riconosciuto, non devi temere, la fortuna ci assiste: ogni partecipante sarà mascherato e tu passerai del tutto inosservato. –

Il Giuramento gravava su Arith come un fardello di cui era impossibile liberarsi senza pagarne le care conseguenze. Un simbolo tatuato perpetuamente sulla schiena, in corrispondenza del cuore, un sigillo mortale che da mille anni veniva posto a monito per i traditori. Era stata la violazione del Giuramento a uccidere Sharlit e se lui si fosse sottratto al volere del Supremo avrebbe fatto la stessa fine. Non lo allettava l’idea di mescolarsi a una folla brulicante di membri della Lega a cui non sarebbe stato affatto difficile riconoscerlo come uno dei loro ricercati più famigerati, e tuttavia ancor meno lo allettava sapere che sottraendosi a quel compito avrebbe personalmente sperimentato la leggendaria morte di agonia che spettava ai traditori, una tortura interiore che finora aveva sentito narrare solo nei racconti turpi dei confratelli più anziani dei cui non ci teneva a verificare sulla propria pelle la veridicità.

Risoluto e forte di un ritrovato coraggio, Arith drizzò spalle e schiena e assentì fiero.

– Come desiderate, mio signore. –

Una volta ogni cento anni, l’Ordine doveva assolvere al proprio dovere a qualunque costo, a qualunque prezzo, e il secolo corrente un pezzetto della gloria sarebbe spettata anche a lui.

 

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A/N: sarò del tutto sincera: questo è un capitolo puramente filler, quindi se non vi è piaciuto o vi ha detto poco, mi sta bene. XD Il prossimo capitolo, invece, è decisamente più ricco e interessante e vi preannuncio che finalmente incontrerete una figura che da tanto incombe silenziosa sulla storia. :3 Chissà, chissà!

Intanto dedichiamoci all’angolo delle risposte alle recensioni:

Xx Kin YourichixX: mi pare di capire che quindi Lucius ti susciti qualche avversità perché è “sentimentalmente occupato”, giusto? Insomma, ti senti un po’ tradita (come Regan, del resto! XD). In ogni caso, se ti può consolare, il fatto che a lui interessi un’altra, non significa necessariamente che la cosa sia corrisposta. ;) Hai detto bene di Regan, poi: è una bambina, a tutti gli effetti, pur essendo una ragazza ormai matura, e scopriremo anche i motivi di questo suo essere così bambina. Per quel che concerne i suoi poteri (immagino tu stia parlando delle voci che sente quando cade a terra), è invece tutto un altro discorso: lei sa già di essere strana e inoltre c’è il problema che non riesce a controllare minimamente il suo potere o quel poco che mostra di avere, quindi nel momento in cui insorge qualche anomalia, o crede di essersi immaginata tutto, o comunque ritiene sia meglio fare finta di niente, temendo di essere portata via a Lucius se qualcuno dovesse scoprire qualcosa di vagamente interessante su di lei. Idem con i sogni: prima di parlarne con qualcuno, vorrebbe sapere lei per prima di che cosa si stratta. Ah, e per quanto riguarda la domanda sul blocco dello scrittore: oh, se mi è capitato! XD Un sacco di volte, soprattutto all’inizio della stesura, durante i primi capitoli. C’erano momenti in cui credevo che non avrei mai concluso niente! .­­__.

Milou_: tranquilla, tranquilla, la bestiolina non sta affatto con i cattivi! J Ha solo un pessimo tempismo e un’inopportuna ossessione per le cose che luccicano. XD Amo molto anch’io i draghi, sai? Non ho mai letto Eragon, ma li trovo creature incredibilmente affascinanti e ti prometto che se ne parlerà ancora, anche se non in questo libro. E nemmeno il motivo per cui il tocco di Shin fa male a Regan verrà spiegato entro la fine di Innocence, quindi dovrai avere molta pazienza (e magari potrai leggerlo direttamente sulla carta stampata, se la fortuna mi assiste J ). Grazie mille per tutti i complimenti, comunque! *-*

LovelyAndy: so bene che il pubblico medio chiede letture semplici e leggere anche dal punto di vista formale, ma mi sembra veramente squallido cambiare il mio modo di scrivere e “vedere” le cose che racconto solo per dare alla gente quello che vuole. Ho già una lista di case editrici serie a cui inviare il manoscritto appena sarà stampato e se lo accetteranno per ciò che è ne sarò felice, altrimenti pazienza. Se dovessi modificare interamente la narrazione, non sarebbe più un libro mio, non so se mi sono spiegata. Poi, che altro? Ah, sì! Regan VS Bella! XD Allora, devo essere sincera sincerissima: ho una certa repulsione verso Twilight. Ho cercato di leggerlo e non sono riuscita ad arrivare granché lontano a causa dell’eccesso di zuccherosità della trama. È più forte di me: le melensaggini mi danno la nausea. ^^ Però conosco abbastanza bene il personaggio di Bella e sinceramente spero che Regan sia diversa da lei. E’ vero che Regan è abbastanza imbranata (più a livello mentale che fisico, direi XD), ma lo è in modo molto infantile, ed è indifesa e bisognosa di protezione non perché le manchi il coraggio o la voglia di mettersi in gioco, ma perché a livelli pratici non è capace né di usare armi né di sfruttare i poteri che ha. Insomma, fosse per lei sarebbe la prima a gettarsi nella mischia. XD Inoltre Regan non ha né la timidezza né l’introversione di Bella: le piace stare in mezzo alla gente, quando la trattano da persona e non da scherzo della natura, e non si fa problemi a dire le cose in faccia, se serve, senza contare, poi, il suo pessimo carattere. XD Insomma, ho fatto del mio meglio per darle una personalità precisa e almeno un pizzico originale, di modo che non fosse la solita bellezza, simpaticissima e dolcissima, che fa sospirare tutti e incanta anche i muri. Per quanto riguarda la domanda su Lucius, invece: fuoco fuochino! ;) Spero di essere stata esauriente. J

Shadow_Soul: il “brutto tizio” di cui chiedi non sta dalla parte di Desmond, il che significa che ci sono due nemici di cui preoccuparsi, ed entrambi vogliono la stessa persona, ma per motivi differenti. Come dicevo prima alla risposta a Milou_, scopriremo perché Shin fa male a Regan quando la tocca solo molto più avanti, e non sarà entro la fine di questo libro, perché la saga continua per altri quattro libri e quindi qualche mistero va lasciato al futuro. J Come dici tu stessa: le tue domande (tutte più che legittime!) avranno risposta, a suo tempo, quindi c’è solo da pazientare (un bel po’! XD). A titolo informatico, visto che ti chiedevi quanti capitoli ci saranno ancora, questo libro prevede 31 capitoli totali, compresi prologo ed epilogo, quindi fatti due conti. ;) E grazie di cuore per i complimenti!

 

Bene, anche stavolta ho fatto il mio dovere. u.u

 

Come sempre, spero abbiate gradito e se volete lasciare un commento, sappiate che ne sarò molto felice. J

 

E, giusto perché comprendiate meglio quanto succoso sarà il prossimo capitolo, ve ne lascio un assaggino:

 

Una dama vestita di verde era appena entrata in sala e gli occhi di tutti erano puntati su di lei. Benché la maschera dal bordo bianco celasse metà del suo viso alla vista dei presenti, la sua bellezza dirompeva da dietro di essa con prepotenza, quasi rifiutasse di lasciarsi oscurare da un inutile orpello. Carnagione bianca, nobile, perfetta come un bocciolo di rosa, e forse una regina non avrebbe avuto un portamento tanto regale. Capelli lunghi e scuri facevano da velo sulle spalle nude e lungo tutta la schiena, disegnandone il profilo sottile nelle luci incandescenti.

– Meravigliosa – commentò qualcuno, in tono strozzato.

Man mano che avanzava, la gente si ritraeva, chi ammaliato da quella presenza abbacinante, chi troppo intento a fissare rispettosamente il suo riflesso nel pavimento rosato per osare guardarla direttamente.

Nel mezzo del nero della maschera due occhi di un verde raro, acqua di fiume congelata tra i prati, brillavano di splendore riflesso, ottenebrati da screzi di malinconia che li facevano rassomigliare a cristalli esanimi.

Improvvisamente tutte le donne che Regan aveva conosciuto e reputato belle impallidirono al confronto di quella sconosciuta.

   
 
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