II.
In
cerca di te
[Tredici
anni dopo ~ presente]
“Ricorda,
noi possiamo sempre fare qualcosa.
Anche
quando la vita smette di offrirci delle opportunità,
possiamo sempre
guardarla dall'alto in basso e rimboccarci le maniche.
Le
strade si percorrono sempre in salita, mai in discesa.
Ho
sbagliato Ren, ho sbagliato tante volte. Quando ti rendi conto di
aver commesso un errore, inizi a vedere le cose in modo diverso, sai?
La
realtà, ad un certo punto, sembra stravolta: quando inizi a
pensare
di essere ad un passo dall'astratto il mondo può apparirti
improvvisamente in ordine. Fu così che un giorno mi resi
conto
quanto fosse semplice... Tutto iniziò a quadrare alla
perfezione,
ogni cosa sembrava al suo posto.
Andai
a parlare con tuo padre e...”
Una
serie di parole cancellate, non si riesce a decifrare nulla.
Deve
aver calcato con la penna molte volte sopra le parole: Ren deduce che
la chiacchierata con suo padre non sia andata molto bene.
Ci
sono una serie di pagine bianche, sembra che il tempo si sia fermato
dopo quel giorno. Poi, finalmente, una nuova pagina –
l'ultima, a
quanto pare –, un po' scarabocchiata qua e là, ma
si distingue
perfettamente la grafia di sua madre.
“Non
mi pentirò mai di averti messo al mondo.
Posso
pentirmi di aver sbagliato tante volte – sicuramente, sono
state
più le volte che ho errato rispetto a quelle in cui ho fatto
la
scelta migliore –, ma se ti ripeto che ti ho sentito dentro,
devi
prendermi in parola. Mi hai conquistata senza neppure chiedermelo, mi
hai fatta sentire viva nel momento in cui la mia vita stava giungendo
lentamente alla morte; passavo le giornate in continua agonia, le
passavo perché non avevo il coraggio di metter fine alla mia
vita.
Il
coraggio, come ben sai, mi è sempre mancato.
Ma
non ci vuole coraggio per diventare genitori, sappilo, ci vuole
solamente un amore infinito, oltre ogni limite.
Ragion
per cui, è stato quello stesso amore a costringermi alla
resa: non
mi sei stato strappato dalle braccia – non mi
mortificherò con
melodrammatiche descrizioni, non temere –, sei stato
semplicemente
donato alle braccia di qualcun altro.
Qualcuno
che ti avrebbe amato meno di me, questo è certo, ma comunque
una
madre più degna di essere chiamata tale.
Probabilmente,
non potrai mai comprendere le circostanze che mi hanno costretta ad
una decisione simile; non sono stata vigliacca, semplicemente
razionale: io ti ho portato in grembo, io ti ho amato per nove mesi,
io ti ho dato la vita, io ho sofferto in quei mesi, io ho voluto
amarti incondizionatamente. Io, però, mi sono resa conto di
una
cosa: la tua famiglia sono io, ma non sarei abbastanza.
Per
una volta, ho deciso di comportarmi da adulta... Ti amo così
tanto,
da togliermi persino la cosa più preziosa che mi
è stata donata.
Sì, tu, un piccolo dono che ha rivoluzionato la mia intera
esistenza.
Con
amore incondizionato,
La
mamma.”
Sembra
che Reira abbia pianto, poco dopo, le lacrime bagnano le pagine. Ren
chiude il diario, fissa la copertina rigida con uno sguardo vacuo,
indecifrabile, dopodiché lo rimette al proprio posto,
all'interno di
un piccolo baule.
Un'ultima
cosa cade sotto i suoi occhi: una lettera, contenuta all'interno di
una busta. Ren ha quasi paura di scoprire qualcos'altro che possa
turbarlo, tuttavia la curiosità è più
forte e la apre.
È
una pagina, stavolta però non è la calligrafia di
sua madre...
Legge in alto la data, fa qualche conto e capisce che è
stata
scritta poco prima del suo concepimento. Lo sguardo si dirige in
basso, gli occhi sono sbarrati e pieni di spavento: Shinichi Okazaki,
suo padre, è il mittente della lettera.
Sua
madre l'avrà mai letta?
Il
modo migliore per scoprirlo è leggere il contenuto anche se,
lo deve
ammettere, lo spaventa un po'. È già stato
difficile scoprire le
proprie radici, arrivare addirittura a comprendere le vicende dei
propri genitori è troppo per un ragazzo di appena tredici
anni.
Ren
fa un respiro profondo, sembra che stia per leggere un verdetto
finale.
“Reira,
non
credo di essere in grado di usare le parole più adatte ma
voglio che
tu lo sappia: non ho mai amato e non ho mai perduto nessuno quanto
te. Ci siamo fatti del male a vicenda ma, a quanto pare, è
nato
qualcosa di benevolo da questa infinità malvagità.
Credo
che esista un destino che vincoli le persone indissolubilmente nel
tempo; sta agli esseri umani coltivare questo tipo di legame, spetta
a loro il compito di farlo crescere.
E
credo...
– righe cancellate,
uno schizzo sul foglio, l'inchiostro sbava per un paio di parole
–...
credo che l'unica cosa che possa renderci felici
a vicenda
sia quella di separarsi definitivamente.
Non
sono sicuro neppure di poter rendere felice me stesso, in questo
momento. Non è una questione di egoismo ma di logica: una
persona
che anzitutto non sta bene con se stessa – date le recenti
vicissitudini – non può avere la presunzione di
star bene con
altri... E sì, arrivati a questo punto, penso che Takumi ed
Hachiko
sarebbero dei genitori molto più validi di noi.
Ti
osserverò da lontano – un giorno, forse,
troverò il coraggio di
baciarti da vicino.
Con
affetto,
Shinichi
Okazaki.”
Ren
getta la lettera nel baule, ha l'impressione di aver fatto un lungo
sogno; peccato che, al termine, esso somigli più ad un
incubo. La
verità gli è stata nascosta per anni, quella che
credeva la sua
vera madre in realtà... cos'era? Una specie di imitazione
della
reale, oppure no?
Si
sente figlio di nessuno.
Afferra
la chitarra di vecchia annata, infila il giaccone e corre al piano di
sotto; per fortuna non c'è nessuno in casa. Scivola via
dalla porta
retrostante, ha solo bisogno di evadere dalla realtà per
qualche
minuto... Il tempo di soffocare le lacrime nella neve ed urlare
sottovoce. Sì, perché la vera
sofferenza sta nelle parole
tenute con un lucchetto nel proprio cuore, sta in ciò che
non si
dice perché fa male persino ammetterlo. Ed è
così anche per Ren:
le note della chitarra sono le sue parole urlate, le
dita
orchestrano semplicemente il dolore.
Terrà
quel segreto – se così lo può definire
– per se stesso:
dopotutto, può sempre comportarsi da bambino ed aver fatto
finta di
leggere una favola anticonvenzionale. Ma a tredici anni si inizia a
guardarsi attorno, a tracciare confini e
distinguere,
dividere, aprire un bivio, spaziare tra realtà ed
immaginazione.
Se
la vita fosse una favola, tanti mostri
– odio, vendetta,
rancore, paura, timore – non esisterebbero; se la favola
fosse la
vita, non si avrebbe così paura d'amare.
«We
weren't born to follow, come
on and get up off your knees »
¹
Sottovoce,
urla sempre sottovoce Ren.
È
leggero il ticchettio del suo cuore, va di pari passo con l'eco delle
corde della chitarra; tutto, alla fine, sembra quadrare alla
perfezione. Peccato, pare che gli adulti si siano dimenticati di
quanto possano soffrire i bambini. E, ormai, è un po' tardi
per
rimediare.
Va
bene così, in fondo: il tempo aggiusterà ogni
torto, non placherà
il dolore ma riuscirà a lenire un po' la ferita –
i
mostri
– che gli opprime il
petto.
Canta,
bambino, canta. – we
weren't born to follow...
Piangi,
bambino, piangi. –
come
on and get up off your knees, when life is a bitter pill to
swallow.
You gotta hold on to what you believe.
La
melodia cullerà le sue lacrime... Oppure saranno le lacrime
la sua
culla?
In
ogni caso, la neve si scioglierà sul suo viso – le
lacrime
moriranno, nulla da temere.
Fine.
¹
We weren't born to follow – Bon Jovi.
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