13. LA DAMA DEL
CAVALIERE NERO
And you find him there
Arms open wide
Love in his eyes
– Friend Of A Wounded Heart, Avalon –
Doveva
essere la cosa più vicina
alla disperazione che avesse mai provato.
Tutta
la clemenza che Eleonora le
aveva finora concesso con i corsetti era completamente andata in fumo e
le mani
della donna, che un tempo aveva lodato per la loro gentilezza, questa
volta
avevano stretto i lacci senza un briciolo di pietà,
riducendo la sua vita a una
circonferenza che avrebbe giurato non fosse possibile raggiungere senza
privarsi di qualche organo vitale. Il suo petto, in compenso, appariva
più
florido di quel che era e Regan se ne sarebbe rallegrata, se solo i
suoi
polmoni non avessero faticato tanto a riempirsi a sufficienza per
tenerla in
piedi.
Il
vestito era quello bianco dai
decori scarlatti che Lucius le aveva comprato da Madame Shawn tempo
prima –
questione di pochi giorni, che a lei però sembravano anni
interi – e tutto ciò
che le proteggeva le spalle era il morbido broccato rosso torbido del
mantello,
annodato sulla gola da un fiocco di raso nero. Nera era anche la
maschera che
le contornava gli occhi come una farfalla dalle ali spiegate, il bordo
percorso da una fine orlatura candida che stava a indicare che lei non fosse
né sposata
né promessa. Per chi era promesso o ufficialmente fidanzato,
le aveva appena
finito di spiegare Lucius, era prevista una bordatura
d’argento, per i
coniugati una d’oro, per i vedovi una nera.
La
tradizione delle maschere per
le inaugurazioni delle nuove stagioni era antica di secoli, risaliva al
periodo
dei Monarchi, istituita quale simbolica manifestazione di uguaglianza,
di modo
che tutti gli invitati si sentissero di pari dignità per una
notte, nella
fattispecie, quattro volte l’anno, per la durata dei due
Solstizi e dei due
Equinozi. L’intento era pregevole, non fosse stato che,
maschere tutte
identiche a prescindere, dall’alba della tradizione le varie
estrazioni sociali
rimanevano comunque inequivocabilmente ben espresse dalla foggia degli
abiti,
dalla preziosità ostentata dei gioielli, dalla ricchezza
delle acconciature
delle signore.
Cionondimeno,
forse presi dalla
foga di poter essere chiunque per una serata, molti mettevano tanto
impegno nel
modificare il proprio aspetto e il proprio stile che spesso e
volentieri cari
amici di vecchia data stentavano a riconoscersi nella folla di maschere
nere e
non di rado era accaduto che ignari rampolli di famiglie rivali
trovassero
l’amore durante una danza condivisa per caso.
–
Durante le celebrazioni
dell’Equinozio di Primavera dello scorso anno è
stato denunciato il rapimento dell’ultimogenita
della casata dei Blackthorne, di Maurecast. Il Coordinatore della Terra
in
persona, zio della fanciulla, ha guidato un’assennatissima
ricerca a tappeto
per ritrovare la dolce nipotina, salvo poi scoprire che la virtuosa si
era
appartata con un fascinoso neoinvestito Cacciatore tra i cespugli dei
giardini
del palazzo del Nucleo di Brenner. –
Regan
non rise solo perché le
riusciva fisicamente impossibile.
La
carrozza arrancava per la
strada, l’incedere dei cavalli affaticato dalla salita che
era da poco
cominciata. Il palazzo del Nucleo di Norden era fuori città,
costruito come una
gemma bianca in cima a una bassa collinetta ai cui piedi correva una
muraglia
di pietra dall’aspetto più decorativo che
difensivo, merlature e piccole torri
a intervallarsi armoniosamente fino a che, in corrispondenza della
strada, non
si interrompevano in un varco per lasciare spazio a un’arcata
monumentale la
cui grata possente era al momento sollevata, gli spuntoni inferiori che
incombevano sulle teste dei visitatori in entrata, minaccia silenziosa
per gli
eventuali malintenzionati.
Da
dietro il vetro del
finestrino, Regan ammirava a bocca aperta la magnificenza del castello:
marmi candidi
come il latte svettavano in migliaia di pinnacoli appuntiti, torri
collegate
tra loro da passaggi sospesi nel vuoto adorni di colonnine levigate e
un
susseguirsi di ogive snelle e acute che ne alleggerivano la struttura,
impreziosendola al contempo. Finestre immense si spalancavano sulla
notte da
dietro le pesanti cortine aperte, riversando getti di luce dorata sulle
facciate esterne, una competizione di splendore con la luna che a tre
quarti
brillava nel mezzo di una stellata invernale purificata da ogni nuvola.
Le
dimensioni colossali e la raffinatezza estrema
dell’architettura denotava una
regalità che si rispecchiava nei prati curati, nei viottoli
in selce che
lambivano le aiuole incredibilmente fiorite nei toni del blu e del
bianco,
varietà esotiche che Regan non conosceva e che probabilmente
provenivano dai
migliori coltivatori di Sonnerg.
C’era
un viavai di carrozze lungo
la salita, alcune che sparivano entro le mura del castello per
accompagnarvi i
passeggeri, altre che ne uscivano, vuote, per ritornare qualche ora
più tardi,
a feste finite.
Provò
suo malgrado un brivido di inquietudine
nel rendersi conto che, anziché una persona perbene come
Lucius, avrebbe potuto
essere un malintenzionato a raccoglierla, un criminale che
l’avrebbe venduta per
un pugno di corone o chissà che altro. Lucius era da sempre
stato fin troppo
cortese con lei: per ragioni che ancora le rimanevano oscure, la aveva
accolta
con sé, la aveva aiutata a iniziare a costruirsi delle
amicizie per colmare
almeno in parte il vuoto che lei aveva dentro, e la stava viziando come
se le
fosse dovuto. Anche se lui le aveva più volte ripetuto che
per lui non era
affatto un problema, lei sentiva che c’era
dell’altro, qualcosa che non le
stava dicendo, ma non se la sentiva di fargli pressioni. Forse un
giorno
sarebbe stato lui stesso a rivelarle la verità.
La
vettura si fermò di fronte a
una scalinata che conduceva a una alta porta in vetro dalle rigogliose
venature
in ferro battuto che richiamavano motivi floreali in mille riccioli
leggeri. Un
lacchè in livrea accorse ad aprire la porticina e abbassare
il predellino, per
poi farsi cerimoniosamente da parte. Lucius scese per primo. Da capo a
piedi il
nero lo ricopriva con la solita, distratta eleganza, un rubino il solo
tocco di
colore visibile a chiudergli la cravatta di volant. Gli occhi azzurri
sorridevano da dietro la maschera priva di bordature quando si volse a
porgerle
la mano per aiutarla a scendere.
Non
gli chiese il perché di quel
dettaglio inconsueto. Se non era in alcun modo formalmente impegnato,
poteva
accettare qualsiasi altra spiegazione.
Salirono
la scalinata a
braccetto, come da etichetta, e fecero il loro ingresso
nell’immenso salone
subito dopo una coppia dalla pelle leggermente brunita tipica di
Asante, di cui
vestiva i colori caldi e sgargianti. Con una mano stringeva il braccio
di
Lucius e con l’altra reggeva il vestito, a stento
distinguibile dal pallore del
suo incarnato. Quando Eleonora, a casa, si era fatta avanti con la
cipria per
prepararla a uscire, le aveva accostato il soffice piumino alla guancia
e poi
era scoppiata a ridere, sostenendo che probabilmente quella polvere
profumata
avrebbe solo rischiato di farla apparire più scura. Si era
così limitata a
colorirle un poco le gote con una delicata sfumatura rosea e le aveva
passato
sulle labbra un dito velato di una densa crema rossa. Era
così che si facevano
belle le signore, le aveva detto, mentre con un ferro rovente le aveva
acconciato i capelli in una cascata di boccoli lucenti. Sul collo,
appena sotto
la nuca, Regan conservava ancora il ricordo bruciante
– più letteralmente di
quel che avrebbe voluto – di un movimento inconsulto al
momento sbagliato.
Dentro,
tutto era molto più immenso
e fastoso di quel che si sarebbe mai potuta sognare: soffitti alti come
cieli
affrescati con nuvole simili a sbuffi di cotone su sfondi celesti e
lividi
nembi scuri contro distese violacee in tempesta. Miriadi di luci di
tutti i
colori dell’iride fluttuavano nell’aria sopra le
teste degli invitati, infiniti
globi grandi quanto acini d’uva che sembravano rifulgere di
vita propria. Regan
non aveva mai visto nulla del genere.
Per
una volta, al passaggio di
Lucius non c’era un continuo porgere di saluti e pacche sulla
schiena. Sembrava
anzi che davvero nessuno lo riconoscesse, ma Regan si disse che non
c’era da
stupirsene: erano molti gli uomini di elevata statura vestiti di nero e
una
buona parte di essi avevano lunghi capelli abbastanza scuri per essere
confondibili con quelli neri di Lucius. Era facile, guardandosi
intorno,
distinguere la provenienza degli invitati: donne floride e uomini
corpulenti
dalla carnagione olivastra e brunita dal sole delle Terre meridionali,
Asante e
le zone al sud-est di Sonnerg; i lineamenti marcati e caparbi sui volti
eburnei
dell’est, Mauercast e Astereis, che si facevano
più eleganti, più fini nelle bianche
genti di Norden e delle terre settentrionali di Brenner; e infine le
fattezze
miste tipiche di Corterra, capelli biondi e ricci con occhi scuri come
l’onice,
chiome corvine dalle sfumature viola e bluastre sposate con occhi a
mandorla
dei colori più tenui simili a corone di vetro, e ancora,
iridi castane
screziate di fuoco che si accompagnavano a chiome di pure filature di
rame e
bronzo.
Nessuno,
nemmeno le dame che si
erano tinte per vezzo, aveva i capelli color rosso sangue.
–
Stasera avrai l’onore di vedere
le personalità maggiori delle Sette Terre – le
sussurrò Lucius. – Nonché un
ragguardevole numero di giovani scapoli facoltosi in cerca di consorte
– e le
strizzò un occhio.
–
Vorrei tanto sapere a cosa
servono le maschere, se qui dentro ci sono solo nobili o riccastri
– borbottò
lei, seguita da qualche sguardo appartenente a individui decisamente
troppo maturi
perché lei potesse subirne l’attenzione senza un
moto di disgustata ribellione
da parte del proprio stomaco.
–
Ho parlato di grandi
personalità, non di nobili – la corresse lui.
– Perché non mi ascolti mai
quando parlo? Non ricordi? Il Coordinatore Generale viene da un
villaggio di
contadini, e molte della cariche primarie della Lega sono rivestite da
personaggi
di umili origini. Oggigiorno un titolo nobiliare può
significare ancora
ricchezza e potere, ma il prestigio e l’onore si guadagnano
solo con le gesta
personali. –
–
Vale a dire che tu, figlio di
nessuno, sei tanto famoso e ammirato per via delle tue imprese eroiche?
–
Lucius
si irrigidì al suo fianco,
il suo passo tra la folla si fece d’un tratto più
cauto. Le sorrise.
–
Potremmo dire così, sì. Guarda
– fece poi. – Quello laggiù, ad esempio,
è Tedros Foyer, Coordinatore di Asante
– fece discretamente cenno a un omone di corporatura
massiccia e la pelle scura
che scambiava cordialità con un nutrito gruppo di giovanotti
che vestivano
l’uniforme ufficiale di Cacciatori, casacche grigio scuro con
panciotti di una
tonalità più chiari, una spilla che ricalcava la
Stella della Lega appuntata al
petto a sormontare il ricamo minuzioso dello stemma della Terra di
Sonnerg, un
giallo sole stilizzato dai raggi serpeggianti.
Una
capogiro improvviso annebbiò
per un attimo la mente di Regan. Si sostenne al gomito solido di
Lucius,
stordita dal balenare dell’ormai familiare immagine dello
stesso sole che si
stagliava in un cerchio di luce sullo sfondo di un cielo nero,
singhiozzi
remoti troppo deboli e imprecisi per non essere sopraffatti
dall’irrompere
della realtà.
–
Tutte bene, cerbiattina? –
–
Sì – farfugliò, cercando di
nascondere il turbamento, mentre le sue palpebre calavano sul
dissolversi della
visione.
–
Come vedi questa sera sarai
letteralmente circondata da membri della Lega. Ti terrò
comunque d’occhio, ma
direi che più al sicuro di così, potresti solo
esserlo chiusa in un Segreto –
Nello
stesso momento si voltava
verso di loro una donna bionda abbigliata in modo talmente essenziale
da dare
l’impressione che non avesse terminato di indossare tutto.
Non era giovane, ma
aveva un fisico ancora modellato che non poteva essere semplicemente
frutto di
una particolare generosità della Madre.
–
Cavaliere Nero – disse,
esibendo una formalità puramente ludica. – Vi
trovo ogni volta più affascinante.
–
I
suoi occhi azzurri erano
concentrati su Lucius e non davano il minimo accenno di aver notato la
presenza
di chi lo accompagnava.
Da
perfetto gentiluomo quale era –
o ci teneva a essere – lui accompagnò il solito
saluto formale con un cenno
riconoscente del capo.
–
Voi mi lusingate – le disse,
così suadente che Regan temette che le pareti attorno a loro
si sarebbero
disciolte di riflesso. Poi interpellò anche lei.
–
Regan, ti presento Madame
Vane, l’insegnante di Difesa Armata Femminile della Domus
Aurea. –
La
donna, presumibilmente colei
che aveva fatto di Anneli la campionessa dell’Accademia, la
considerò per un
frammento di tempo così fuggevole che Regan non
poté fare a meno di sentirsi un
pezzo di tappezzeria nemmeno troppo apprezzabile. Madame Vane, infatti,
tornò
subito a rivolgersi a Lucius, tutta sorridente e salottiera.
–
Mi è giunta anche voce che tu
ti sia egregiamente battuto contro un valoroso avversario, non molti
giorni fa.
–
–
Non è stato un merito solo mio –
si schermì lui.
Lei
agitò una mano come a voler
scacciare la sua determinazione a farsi scudo di modestia.
–
Pensi che una perfetta intesa
con il proprio Guardiano sia cosa da chiunque? In tutta la mia carriera
ne ho
visto pochi di ragazzi dotati come te. –
–
Madame Vane, voi volete proprio
vedermi arrossire, stasera. –
La
risata della donna si levò
arrochita e ben poco signorile, accompagnata da un gesto incurante.
Anello
d’oro che le ornava il dito doveva andarle largo,
perché il piatto era rivolto
verso l’interno della mano.
–
Esiste qualcuno che possa vantare
una simile soddisfazione? –
Lucius
si gonfiò come un pavone e
sorrise con finta arroganza.
–
Non ancora, ma non m’illudo che
non debba mai esistere. –
Madame
Vane rise di nuovo, e
intanto i suoi occhi chiari vagavano per la sala, con la stessa
assiduità che
Regan aveva visto in Lucius alla fiera a Shjarna.
–
Vi stiamo trattenendo da
migliore compagnia? –
La
donna si riscosse
precipitosamente e agitò di nuovo la mano callosa.
–
Oh, no, che sciocchezze. Sai
bene che vengo sempre per conto mio a questi eventi proprio per evitare
scocciature. Lascio volentieri a voi giovani il vezzo di fare salotto.
Notavo
solo con piacere che molti dei miei studenti quest’anno hanno
scelto di vestire
l’uniforme accademica per l’occasione. Ovviamente i
gemelli Edelberg non fanno
parte di questi. –
I
due nominati, che Regan
individuò seguendo lo sguardo di Madame Vane, si trovavano
in un angolo del
salone con la solita cricca di fedelissimi al seguito e indossavano
sobrie
camicie bianche accompagnare da cravatte e panciotti di colori
decisamente meno
sobri, che però sembravano incontrare
l’approvazione delle molte donzelle dalle
maschere orlate di bianco – ma anche un paio
d’argento – che si accalcavano
attorno a loro. Poco distanti c’erano anche Anneli e Aeden
con il resto della
compagnia. Quando si accorsero che lei e Lucius erano arrivati, fecero
lo segno
di raggiungerli.
Si
congedarono da Madame Vane con
qualche convenevole e solo quando furono dal lato opposto del salone
Regan si
concesse un rantolo di irritazione: se c’era una cosa che la
infastidiva di più
della gente che la fissava, era la gente che la ignorava del tutto.
La
musica si era alzata e di
conseguenza anche il chiacchiericcio. La sala, che quando era arrivata
era
parsa mezza vuota, adesso era gremita al punto che nessuno sentiva
più la
necessità di mantelli e stole e un po’ ovunque
degli inservienti passavano a
raccogliere gli indumenti di cui la gente accaldata non vedeva
l’ora di
sbarazzarsi.
Lucius
era stato sequestrato da
una combriccola di amici di Prince e ora lo tenevano in ostaggio con
chiacchiere di avventure lavorative e richieste di consigli su come
affrontare
meglio un certo tipo di avversari e riconoscere a colpo
d’occhio un Ladro di
Anime. Mescolate tra questi c’erano anche una decina di
ragazze che, a
giudicare dalle risatine civettuole e dall’atteggiamento
lezioso, non dovevano
aver mai messo piede alla Domus Aurea se non per incontrarsi con
qualche
fidanzato. Tra queste, le due nobildonne che Regan ricordava di aver
visto quel
suo primo giorno in città: Lady Sapphire e Lady Somerville.
–
Oche – sentì mormorare da
Anneli e Lisandra, quando per l’ennesima volta le allegre
comari esplosero in
un coro patetico di risolini giulivi. Aeden e i ragazzi Devore,
però, erano di
altro avviso e osservavano con un certo interesse una biondina tutta
riccioli e
occhioni blu che non la finiva di sfarfallare le ciglia di fronte a
Prince, il
quale peraltro sembrava nettamente più interessato al
proprio calice di vino
che a lei.
Anche
Lucius era più partecipe
agli scambi professionali con i ragazzi che al resto, e questo
rincuorò Regan a
sufficienza da decidere di rilassarsi e godersi la compagnia.
–
Hai un’aria sofferente – le
disse Lisandra, ridanciana.
Regan
si posò scontenta le mani
sotto alla sterno. Eleonora aveva davvero esagerato a stringere quei
lacci,
soprattutto considerato che lei c’era tutt’altro
che abituata.
–
Non ho mai portato un corsetto
così stretto. –
Aeden
si schiarì leggermente la
voce, mentre gli altri ragazzi arrossivano pudicamente.
–
Fossi in te eviterei di parlare
di biancheria intima a voce alta, e soprattutto al cospetto di uomini
– la
avvertì Anneli.
–
Oh, non fare la sofisticata,
adesso! – intervenne Lisandra. – Io non me lo sono
nemmeno messa il corsetto,
stasera. –
Stavolta
fu il turno di Anneli ad
arrossire.
–
Ti ringrazio, Lisandra, erano
anni che non avevo il piacere di vedere Lady Contegno così
imbarazzata – si
complimentò Emeric, scostandosi dalla fronte qualche
ricciolo rosso, e così si
conquistò un’occhiataccia da parte di Anneli e un
unisono di esclamazioni di
apprezzamento dagli amici. Persino Aeden stava ridendo, e
così somigliava
moltissimo ai gemelli.
Andò
bene per un’ora buona, tra
assaggi di manicaretti forse troppo particolari per gusti di Regan, e
sorsi di
una bevanda ai frutti di bosco e cedro prodotta lì a
Kauneus. Fu presentata a
un lungo elenco di compagni di Accademia dei ragazzi e scambiata per
quattro
persone diverse, tanto che ci vollero gli sforzi congiunti di tutti
quanti per
spiegare a un vecchietto rattrappito e un po’ rimbambito (che
i ragazzi le
rivelarono essere un anziano barone di Fortre) che, no, non era
“la figliola del vecchio Herne”.
Anche se
Regan, naturalmente, non ci avrebbe potuto mettere la mano sul fuoco,
il suo
istinto, per quella come per molte altre cose, le diceva che non aveva
mai
sentito nominare un Herne in vita sua.
A
un certo punto dal nulla sbucò
addirittura la nobilissima Adora
Shephard, che si attaccò al braccio di Aeden in vena di
moine, ma poi, dato che
lui non era affatto disposto ad assecondarla, si era spostata su Kama,
il quale
non si era dimostrato meno indisponente dell’altro, e dunque,
offesa e
indispettita, la fanciulla aveva dignitosamente raccattato il suo
opulento
strascico e se n’era andata, nasino
all’insù, a tampinare una nuova selezione
di fascinosi rampolli che stavano disquisendo di addestramenti in
prossimità
delle tavolate del banchetto.
Molte
coppiette si erano già
abbandonate al ritmo seducente dell’orchestra e ballavano
appassionatamente al
centro della sala. Le danze vere e proprie sarebbero cominciate solo
verso la
Nuova, dopo gli spettacoli pirotecnici che avrebbero segnato
l’inizio ufficiale
dell’inverno, per protrarsi poi fino all’alba, tra
musica, fiumi di vini
pregiati e la consueta raccolta di fondi da destinare come contributi
alle
caste più povere.
Regan
odiava ammetterlo, ma si
stava divertendo. Prese appunto mentale di ringraziare Lucius, non
appena si
fosse liberato dai doveri sociali. Non la perdeva mai veramente di
vista: tra
una risata e un sorso di idromele, trovava sempre il modo di sbirciare
verso di
lei per accertarsi che tutto andasse bene, e fu così, almeno
finché, senza un
perché, ad un tratto l’atmosfera sembrò
intorpidirsi e il chiacchiericcio si sedò
di colpo.
Un
perché, a dire il vero, c’era
eccome, e a Regan bastò sollevarsi appena in punta di piedi
per scoprire di
cosa si trattasse.
O
meglio, di chi.
Sentì,
al suo fianco, che Anneli
tratteneva il respiro.
Una
dama vestita di verde era
appena entrata in sala e gli occhi di tutti erano puntati su di lei.
Benché la
maschera dal bordo bianco celasse metà del suo viso alla
vista dei presenti, la
sua bellezza dirompeva da dietro di essa con prepotenza, quasi
rifiutasse di
lasciarsi oscurare da un inutile orpello. Carnagione bianca, nobile,
perfetta
come un bocciolo di rosa, e forse una regina non avrebbe avuto un
portamento tanto
regale. Capelli lunghi e scuri facevano da velo sulle spalle nude e
lungo tutta
la schiena, disegnandone il profilo sottile nelle luci incandescenti.
–
Meravigliosa – commentò
qualcuno, in tono strozzato.
Man
mano che avanzava, la gente
si ritraeva, chi ammaliato da quella presenza abbacinante, chi troppo
intento a
fissare rispettosamente il suo riflesso nel pavimento rosato per osare
guardarla direttamente.
Nel
mezzo del nero della maschera
due occhi di un verde raro, acqua di fiume congelata tra i prati,
brillavano di
splendore riflesso, ottenebrati da screzi di malinconia che li facevano
rassomigliare a cristalli esanimi.
Improvvisamente
tutte le donne
che Regan aveva conosciuto e reputato belle impallidirono al confronto
di
quella sconosciuta da cui trapelava un gelo trascendente la
volontà, una
bellezza ardente imprigionata in uno sguardo privo di vita.
E
poi accadde.
Le
persone intorno a Lucius si
erano scostate e alcune delle ragazze avevano assunto espressioni
apertamente
oltraggiate, ma nessuna parlava. Fissavano tutti ora la Dama Verde, ora
Lucius,
il fiato sospeso, ed era proprio come se l’intero salone
attendesse qualcosa. Il
mondo sembrava essersi fermato per loro, come se sapesse che
ciò che stava
accadendo fosse un evento della massima importanza, e allora si fosse
messo a
tacere e umilmente fatto da parte per un momento, lasciando che il
tempo e lo
spazio, per quel breve momento, fossero soltanto per loro due.
Lucius
si avvicinò lentamente
attraverso un corridoio formato da due schiere di spettatori
ammutoliti, un
sorriso che gli solleticava la bocca fino a invadergli anche gli occhi.
Prese
delicatamente la mano della dama nella sua e si chinò per
sfiorarla appena con
le labbra, un bacio velato ma pieno di devozione, e nella mente
paralizzata di
Regan riemerse qualcosa.
“Altri trovano la loro casa in una
persona, in una mano che ti
accarezza…”
Quando
lui si risollevò, il suo
sguardo incrociò fugacemente quello della dama. Si
sorrisero. Un sorriso che
nascondeva palpitazioni accelerate e tremori inconfessabili in mani che
non
riuscivano a lasciarsi andare.
“In un paio di occhi da incontrare dopo
una lunga separazione…”
Lucius
sembrava incapace di
respirare mentre la bellissima donna ritraeva la propria mano con
grazia e gli
concedeva un inchino regale. Sembrava morire e scoppiare di vita
improvvisa al
contempo.
“Sai…”
Ritrovare
una parte essenziale di
sé che gli era troppo a lungo mancata.
“C’è chi in un paio
di occhi ha trovato il mondo intero.”
Regan
ingoiò il vuoto.
Il mondo intero…
E
non c’era possibilità di dubbio
o di incertezza. Una delle domande che più la avevano
tormentata nell’ultimo
periodo trovava risposta proprio lì, sotto agli occhi di
tutti, al centro di
una sala da ballo affollata.
Una
mano amica le strinse la sua
con una forza che poteva appartenere solo alla disperazione. Anneli era
immobile e priva di colore accanto a lei.
“Perché quando la incontrerai,
credimi, saprai che è lei.”
Il
Cavaliere Nero non mancava mai
di rimanere irretito dinnanzi alla bellezza inutilmente mascherata
della Dama
Verde.
Era
stata lontana da lui per
insopportabili settimane, obbligata da un dovere che veniva prima di
tutto il
resto, e lui non aveva atteso altro che quella serata per poterla
rivedere,
aggrappandosi solo a un filo di speranza, poiché fino
all’ultimo aveva
segretamente temuto che non la avrebbe vista.
E
invece lei era lì, al suo
cospetto, dove si era diretta senza esitazioni, tanto da istigargli la
presunzione
che fosse lì solamente per lui.
La Dama Verde aveva sorriso
per tutti coloro
che la avevano seguita con lo sguardo, ma non veramente. Era solo il
fantasma
di un sorriso, uno spettro che indugiava come a chiedersi se fosse
quello il
suo posto, come se quelle labbra non ricordassero con esattezza le
giuste
movenze necessarie a mimare l’espressione fisica di
un’emozione che aveva a
lungo smesso di abitarle dentro. Non sorridevano mai i suoi occhi, di
quel
verde acqua così simile al cristallo da far pensare che
fosse per quella
ragione che nessuno osava guardarli: il recondito timore di infrangerli.
Gli
faceva male guardarla, come a
chiunque avrebbe fatto male guardare il proprio desiderio
più intimo da dietro
sbarre di consapevolezza che gli fosse ontologicamente proibito.
La
sua avvenenza era quella
surreale e splendente delle principesse delle fiabe, dei racconti
mitologici
che narravano di fanciulle senza tempo dalla pelle come petali di
giglio e gli
occhi di limpida acqua sorgiva. Possedeva il portamento superbo e pieno
di
grazia che ci si sarebbe aspettato da una sovrana, composta ed eretta
come una
bambola nel prezioso abito di seta smeraldina che scivolava leggero
lungo la
sua figura sottile in un panneggio morbido, dipingendo un rincorrersi
chiaroscurale
di luci riflesse e ombre nascoste. Un angelo, al di fuori di ogni
ragionevole
dubbio, ma aggravata da tonalità cupe che le indugiavano
negli occhi, sulle
belle labbra rosee. Sì, era esattamente come una principessa
delle fiabe: una
principessa triste, prigioniera in tutto ciò che
rappresentava.
La
freschezza del suo corpo era ancora
quella di un’adolescente, soltanto il viso denotava la sua
età adulta, e non
perché ne recasse segni fisici, ma perché la
sofferenza che vi era impressa e
induriva il suo sguardo sembrava appesantirla nell’animo come
mille anni di
guerra. Un peso insopportabile che, di rimando, lui portava con lei,
giorno
dopo giorno, in silenzio, da ormai dieci anni.
Quando
furono l’uno di fronte
all’altra, il Cavaliere Nero si prostrò umilmente,
ma i suoi occhi non
abbandonarono per un solo istante quelli di lei.
–
Perdonate la sfrontatezza con
cui oso presentarmi al vostro nobile cospetto, mia signora, ma il
vostro
ingresso ha portato la luce in questa sala e io mi permetto
l’ardire di supplicarvi
l’immeritato onore di concedermi un ballo. –
La
Dama Verde non rispose.
Sorrise soltanto, impercettibilmente, nel modo in cui solo a lui sapeva
sorridere, con lo stesso languore di chi trovava un pallido motivo per
farlo
tra migliaia di altri che glielo impedivano, e accettò di
buon grado la mano
galante che le veniva offerta. Sotto agli occhi cupidi di tutti i
presenti,
seguì il Cavaliere fino al centro della stanza, dove
già molte coppie stavano
danzando allegre sulle note armoniose degli archi e del pianoforte.
I
suoi occhi erano gocce
ghiacciate nel cielo sereno di quelli di lui, che la scrutavano da
dietro la
sicurezza della maschera con tanto e tale trasporto da far supporre che
al
mondo non vi fosse altro che lei. Le sorrideva, gonfio
d’orgoglio per essere,
come ogni altra volta, il primo a essere onorato dalla sua compagnia, e
il suo
portamento era calibrato e sicuro mentre la guidava a volteggiare tra
decine e
decine di altre persone che erano solo un contorno alla loro danza, non
quella
sui passi dettati dalla musica, ma quella dell’uno negli
occhi dell’altra.
–
Il verde del vostro abito dà il
giusto risalto ai vostri occhi – sussurrò, la mano
appoggiata alla base della
sua schiena, abbastanza grande la prima e abbastanza minuta la seconda
perché
il palmo e le dita potessero rivendicarne interamente il possesso, da
parte a
parte, quasi fossero fatte appositamente per accompagnarsi –
E ben si intona
con il colore che hanno assunto signore e fanciulle al vostro arrivo.
–
La
Dama chinò con modestia lo
sguardo, lasciando che si soffermasse sul velo di camicia bianca che
spuntava
dalla giacca nera, una banale barriera che riusciva a nascondere tutte
le sue
cicatrici alla semplice vista ma non alla consapevolezza che dimorava
in lei.
C’erano altre cicatrici,
più profonde
e dolorose, celate ancora più sotto, là dove
batteva il cuore, accuratamente
chiuso a chiave per tenere a bada sentimenti inopportuni che per nulla
al mondo
dovevano vedere la luce.
Il
Cavaliere non se ne prese a
male per quella reazione. Conosceva la Dama abbastanza bene da saper
leggere
con esattezza ogni suo gesto e interpretarlo come forse nemmeno lei
stessa
avrebbe saputo, e uno sguardo sfuggente come quello non era che il
segno di
sconfitta di un impulso di sottrarsi alla confidenza che lui le
riservava.
–
Siete uno schiaffo in pieno
viso alla vanità di tutte le presenti. –
Come
suo solito, lei non diede
credito ai suoi complimenti.
–
E voi un adulatore di
prim’ordine. –
La
Dama tornò a guardarlo negli
occhi, una muta richiesta di perdono per aver evaso il suo complimento
in quel
modo, e lui poté di nuovo bere da quel raro verde acqua
così chiaro e
trasparente da imporsi su ogni altra luce.
–
Mi ricordate molto un giovane
di mia conoscenza. –
Le
sorrise compiaciuto.
–
Deve essere un giovane di
grande fascino e garbo se merita un tale elogio da parte vostra.
–
Lei
altro non fece che voltare il
capo di lato, abbandonata con cieca fiducia tra le sue braccia, e il
Cavaliere
si compiacque di essere riuscito, ancora una volta, a rubarle un
sorriso, anche
se trattenuto. Riusciva a percepire la stanchezza in lei, strascico del
duro
periodo appena trascorso. Anche se non la aveva vista per un
po’, aveva fatto
in modo di sapere sempre dove lei fosse, con chi, e perché,
e non sempre gli
era piaciuto.
–
So che sei stata trattenuta a
lungo a Mauercast, nei giorni scorsi – disse in tutta
causalità.
Lei,
che lo conosceva bene tanto
quanto lui conosceva lei, lo ammonì con una semplice
occhiata.
–
Il Coordinatore Blackthorne
aveva bisogno di un parere autorevole per pianificare uno stanamento
dalle sue
parti – c’era una nota rigida ma quasi divertita in
quella spiegazione così
distaccata.
–
È ammirevole vedere come il
buon vecchio Radislav sia capace di sotterrare il suo rinomato orgoglio
virile
pur di inventarsi scuse per averti intorno. –
–
Lucius… –
Non
fu la minaccia velata nel
tono che lei aveva usato, ma il piacere sottile di sentirla pronunciare
il suo
nome in un sussurro poco più forte di un sospiro. Gli era
mancata quella voce
da donna ancora bambina, schegge di innocenza che ancora non riuscivano
ad
abbandonare del tutto l’opaca disillusione della sua pur
giovane età. Lucius
era stato con lei nei peggiori dei suoi giorni, aveva condiviso con lei
dolori
che lui aveva potuto solo vagamente immaginare, compagno muto e
discreto di
colei che sulle spalle portava il peso di un’idolatria
popolare che non aveva
mai cercato.
Lì,
davanti a tutti, tra le sue
braccia devote, la Luce del Nord danzava ormai dimentica del fulgido
splendore
interiore che fin dal giorno della sua nascita l’aveva
contraddistinta.
Non
aveva bisogno di domandare
chi fosse. Ricordava le pittoresche e - ora se ne rendeva conto - quanto mai
precise
descrizioni di Ember e Mariek. La stringeva ancora
all’altezza del cuore il
modo in cui Lucius l’aveva guardata quando era arrivata, ed
era un male che
voltarsi e chiudere gli occhi non avrebbe cancellato.
Udì
un sospiro alla sua sinistra.
Anneli aveva voltato la schiena al salone e ora fissava un punto
imprecisato
fuori dalle imponenti finestre che davano sul parco. Erano parecchi i
ragazzi
che passavano e le gettavano occhiate speranzose, ma lei faceva finta
di
niente. Fosse stata al suo posto, Regan avrebbe scelto il
più interessante a
avrebbe cercato di distrarsi il più possibile.
–
Lasciala sbollire, le passerà. –
Regan
guardò in su: Prince era
apparso da chissà dove, portando con sé una lieve
fragranza di colonia alle
rose.
–
È lei, vero? –
gli chiese, e ogni tentativo di suonare naturale se ne
andò in fumo per colpa del groppo che le chiudeva la gola.
Malgrado
non potesse sapere chi
fosse quella lei sottintesa, Prince
dovette
intuirlo, perché le sorrise indulgente.
–
Lady Soile Leljen – enunciò,
ciascuna parola scandita con nitore e rispetto. –
Coordinatore di Norden.
Ultima erede di una casata reale che si copre di gloria e onori fin dai
tempi
più remoti, la sola figlia del defunto Coordinatore Leljen.
Be’, il
Coordinatore Leljen è lei, adesso. –
Era
avversione innata quella che
Regan sentiva insorgere dentro di sé. Guardava la grazia di
Lady Leljen e
l’adorazione per lei che Lucius non si sforzava di nascondere
e si sentiva ogni
momento più lontana da quello che finora aveva considerato il suo posto.
–
Hai visto come la gente si è
fatta da parte mentre lei passava? Tutti si sono inchinati, hanno
abbassato lo
sguardo. –
Sì,
lo aveva visto. Impossibile
non notarlo: un rispetto e una cerimoniosità tali da
sconfinare quasi nel
religioso, riverenze e capi chinati degni non già di una
regina, ma di una
semidivinità.
–
Sembra quasi che siano
intimoriti dalla sua presenza. –
Quello
che il viso assorto di
Prince esprimeva era una profonda compassione, ma le increspature sulla
sua
fronte testimoniavano un turbamento che forse andava oltre.
–
È l’eterna maledizione di
Soile: troppo bella, troppo potente, troppo in vista. –
Gli
ospiti ballavano attorno alla
Dama Verde quasi senza far caso a lei, ma era un disinteresse
posticcio, che si
tradiva nelle chiacchiere delle signore nascoste dietro ai ventagli,
agli
sguardi furtivi degli uomini e agli altrettanto furtivi sorrisini di
approvazione che non osavano manifestare, ma che Regan intuiva sulle
loro
bocche pietrificate da un’ostinata ipocrisia.
–
Fu un dono delle ninfe alla sua
stirpe, o così si tramanda da tempi immemorabili –
proseguì Prince, sottovoce. –
In un’epoca che ora è dimenticata, un re, suo
antenato, salvò la foresta ai
piedi delle nostre montagne da un terribile incendio, e in segno di
gratitudine
le ninfe concessero alla sua discendenza una triplice benedizione:
bellezza,
salute e potere. È sottile e molto labile il confine tra
lealtà e ossessione e
in troppi hanno dimenticato che anche se lei possiede poteri che
nessuno di noi
avrà mai, ha le stesse debolezze e fragilità di
chiunque altro. –
Le
era impossibile condividere
quella pietà e c’erano buone
probabilità che questo avesse a che vedere con il
fatto che quella donna avesse la fortuna di possedere il monopolio
delle
attenzioni di Lucius, e non era lei la sola a crucciarsene: molte
giovani
invidiose seguivano lo spettacolo da lontano, spettegolando tra loro,
alcune
concedendosi per un ballo al primo ardimentoso che si presentava a
proporglielo.
Ma
lei, Soile, era come
estraniata da tutto quanto, separata dal mondo da una invisibile rete
di
metallo spinato.
E dalle braccia premurose di Lucius.
–
Vedo dolore nei suoi occhi. –
–
Il fato è stato crudele nei
suoi confronti. –
–
Perché solo Lucius sembra darle
confidenza? –
Un
piccolo sogghigno scaltro
apparve per un breve attimo sulle labbra di Prince.
–
Perché solo lui, e pochi altri,
osa farlo. È difficile trattare una persona come tale,
quando questa tiene a
non esserlo. –
L’irruzione
improvvisa di
Lisandra li interruppe. La ragazza, molto rossa in viso ma decisamente
non
abbastanza brilla da perdere la sua presenza di spirito, si
attaccò al braccio
di Prince con uno slancio forse eccessivo, un po’ traballante
nell’equilibrio
ma perfettamente padrona di sé, spargendo gocce dal forte
aroma mielato da un
calice mezzo vuoto.
–
Lord Edelberg, avete già
assaggiato quest’ottimo sidro di mele cotogne? –
Lui
sollevò le sopracciglia, un
guizzo divertito che gli arricciava un angolo della bocca.
–
Già tre calici, Grenet, a
stomaco vuoto, e le mie gambe iniziano a sentirlo. –
I
grandi occhi castani di
Lisandra lampeggiarono insolenti.
–
Allora lasciate che approfitti
di voi per qualche minuto, prima che le gambe cedano del tutto.
–
Lo
arraffò come se fosse stato
una tartina e lui, stranamente, la seguì senza un lamento in
mezzo al salone.
Regan
si rese conto di essere
rimasta sola: tutti si erano lanciati nelle danze, chi più
chi meno seriamente,
e perfino Anneli si era allontanata. Restava solo lei, in balia del
risentimento.
Annoiata
e delusa, avrebbe voluto
potersi sfogare in un bicchiere di qualcosa di forte, ma senza i
ragazzi che
gliene prendessero, non aveva speranze di ottenerne.
Sbadigliò,
meditando di cercarsi
una angolo appartato in cui consumare il tempo fino al momento in cui
Lucius si
fosse rammentato di lei, se mai questo fosse accaduto, ma qualcosa la
distrasse: uno squarcio di bianco tra i colori della folla, una figura
alta e
sottile in uniforme maschile che attraversava il caos a passo lento e
sicuro. Regan
percepì un sensibile cambiamento, ma non seppe dire se
nell’atmosfera o dentro
di sé: le parve che l’aria si fosse fatta
più fresca, meno soffocante, e che il
suo sangue scorresse più fluido nelle vene. Poi una coppia
le passò davanti,
volteggiando beata, e quando andò oltre, il Cavaliere Bianco
era scomparso.
–
Milady. –
Regan
sussultò. Davanti a lei
c’era un giovane affascinante dai capelli bruni che,
appropriatamente
inchinato, la invitava a ballare. Qualcosa nei suoi occhi verde chiaro
la fece
rabbrividire, forse troppo simile, per quanto abissalmente diverso, al
colore
degli occhi della donna che le aveva appena rovinato la serata. Prima
che se ne
potesse accorgere, aveva accettato il suo braccio e già lo
stava seguendo sulle
note sinuose dell’orchestra.
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