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Autore: Lady Vibeke    03/05/2011    7 recensioni
Una donna urla, la voce frammentata da singhiozzi.
Tutto è buio.
Battiti di cuore come tamburi attorno a lei, stretta tra braccia esili. Occhi innocenti di bambina si sgranano nell’angoscia dell’incapacità di comprendere quel caos improvviso.
– Dammi la bambina – Sentenzia la persona senza volto, ed è un ordine ineluttabile che impregna l’oscurità.
C’è il terrore che spadroneggia nella bimba. Troppo piccola per capire, ma abbastanza grande per rendersi conto del pericolo. E intanto quelle braccia insistono a volerla proteggere.
– Se la consegnate a me, sarà salva. Loro stanno arrivando. Se riescono a trovarla, la prenderanno e la uccideranno sotto ai vostri occhi. Datela a me. –
– Cosa vuoi da lei? –
Un lampo squarcia le tenebre. Il volto di una donna appare per un brevissimo istante al di sotto del cappuccio.
– Voglio salvarle la vita. –
Il silenzio della tensione calca sulle loro teste, impietoso. In lontananza, nitriti selvaggi si mescolano a un rumore di zoccoli in corsa.
Le braccia della ragazza si allentano attorno al corpicino indifeso della piccola. Altre due braccia sottili si aprono in un invito. Tutto è preda di una tensione innaturale. Tutto è immobile.
Poi un lampo di luce rossa divora ogni cosa.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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13. LA DAMA DEL CAVALIERE NERO

 

And you find him there
Arms open wide
Love in his eyes
– Friend Of A Wounded Heart, Avalon –

 

 

Doveva essere la cosa più vicina alla disperazione che avesse mai provato.

Tutta la clemenza che Eleonora le aveva finora concesso con i corsetti era completamente andata in fumo e le mani della donna, che un tempo aveva lodato per la loro gentilezza, questa volta avevano stretto i lacci senza un briciolo di pietà, riducendo la sua vita a una circonferenza che avrebbe giurato non fosse possibile raggiungere senza privarsi di qualche organo vitale. Il suo petto, in compenso, appariva più florido di quel che era e Regan se ne sarebbe rallegrata, se solo i suoi polmoni non avessero faticato tanto a riempirsi a sufficienza per tenerla in piedi.

Il vestito era quello bianco dai decori scarlatti che Lucius le aveva comprato da Madame Shawn tempo prima – questione di pochi giorni, che a lei però sembravano anni interi – e tutto ciò che le proteggeva le spalle era il morbido broccato rosso torbido del mantello, annodato sulla gola da un fiocco di raso nero. Nera era anche la maschera che le contornava gli occhi come una farfalla dalle ali spiegate, il bordo percorso da una fine orlatura candida che stava a indicare che lei non fosse né sposata né promessa. Per chi era promesso o ufficialmente fidanzato, le aveva appena finito di spiegare Lucius, era prevista una bordatura d’argento, per i coniugati una d’oro, per i vedovi una nera.

La tradizione delle maschere per le inaugurazioni delle nuove stagioni era antica di secoli, risaliva al periodo dei Monarchi, istituita quale simbolica manifestazione di uguaglianza, di modo che tutti gli invitati si sentissero di pari dignità per una notte, nella fattispecie, quattro volte l’anno, per la durata dei due Solstizi e dei due Equinozi. L’intento era pregevole, non fosse stato che, maschere tutte identiche a prescindere, dall’alba della tradizione le varie estrazioni sociali rimanevano comunque inequivocabilmente ben espresse dalla foggia degli abiti, dalla preziosità ostentata dei gioielli, dalla ricchezza delle acconciature delle signore.

Cionondimeno, forse presi dalla foga di poter essere chiunque per una serata, molti mettevano tanto impegno nel modificare il proprio aspetto e il proprio stile che spesso e volentieri cari amici di vecchia data stentavano a riconoscersi nella folla di maschere nere e non di rado era accaduto che ignari rampolli di famiglie rivali trovassero l’amore durante una danza condivisa per caso.

– Durante le celebrazioni dell’Equinozio di Primavera dello scorso anno è stato denunciato il rapimento dell’ultimogenita della casata dei Blackthorne, di Maurecast. Il Coordinatore della Terra in persona, zio della fanciulla, ha guidato un’assennatissima ricerca a tappeto per ritrovare la dolce nipotina, salvo poi scoprire che la virtuosa si era appartata con un fascinoso neoinvestito Cacciatore tra i cespugli dei giardini del palazzo del Nucleo di Brenner. –

Regan non rise solo perché le riusciva fisicamente impossibile.

La carrozza arrancava per la strada, l’incedere dei cavalli affaticato dalla salita che era da poco cominciata. Il palazzo del Nucleo di Norden era fuori città, costruito come una gemma bianca in cima a una bassa collinetta ai cui piedi correva una muraglia di pietra dall’aspetto più decorativo che difensivo, merlature e piccole torri a intervallarsi armoniosamente fino a che, in corrispondenza della strada, non si interrompevano in un varco per lasciare spazio a un’arcata monumentale la cui grata possente era al momento sollevata, gli spuntoni inferiori che incombevano sulle teste dei visitatori in entrata, minaccia silenziosa per gli eventuali malintenzionati.

Da dietro il vetro del finestrino, Regan ammirava a bocca aperta la magnificenza del castello: marmi candidi come il latte svettavano in migliaia di pinnacoli appuntiti, torri collegate tra loro da passaggi sospesi nel vuoto adorni di colonnine levigate e un susseguirsi di ogive snelle e acute che ne alleggerivano la struttura, impreziosendola al contempo. Finestre immense si spalancavano sulla notte da dietro le pesanti cortine aperte, riversando getti di luce dorata sulle facciate esterne, una competizione di splendore con la luna che a tre quarti brillava nel mezzo di una stellata invernale purificata da ogni nuvola. Le dimensioni colossali e la raffinatezza estrema dell’architettura denotava una regalità che si rispecchiava nei prati curati, nei viottoli in selce che lambivano le aiuole incredibilmente fiorite nei toni del blu e del bianco, varietà esotiche che Regan non conosceva e che probabilmente provenivano dai migliori coltivatori di Sonnerg.

C’era un viavai di carrozze lungo la salita, alcune che sparivano entro le mura del castello per accompagnarvi i passeggeri, altre che ne uscivano, vuote, per ritornare qualche ora più tardi, a feste finite.

Provò suo malgrado un brivido di inquietudine nel rendersi conto che, anziché una persona perbene come Lucius, avrebbe potuto essere un malintenzionato a raccoglierla, un criminale che l’avrebbe venduta per un pugno di corone o chissà che altro. Lucius era da sempre stato fin troppo cortese con lei: per ragioni che ancora le rimanevano oscure, la aveva accolta con sé, la aveva aiutata a iniziare a costruirsi delle amicizie per colmare almeno in parte il vuoto che lei aveva dentro, e la stava viziando come se le fosse dovuto. Anche se lui le aveva più volte ripetuto che per lui non era affatto un problema, lei sentiva che c’era dell’altro, qualcosa che non le stava dicendo, ma non se la sentiva di fargli pressioni. Forse un giorno sarebbe stato lui stesso a rivelarle la verità.

La vettura si fermò di fronte a una scalinata che conduceva a una alta porta in vetro dalle rigogliose venature in ferro battuto che richiamavano motivi floreali in mille riccioli leggeri. Un lacchè in livrea accorse ad aprire la porticina e abbassare il predellino, per poi farsi cerimoniosamente da parte. Lucius scese per primo. Da capo a piedi il nero lo ricopriva con la solita, distratta eleganza, un rubino il solo tocco di colore visibile a chiudergli la cravatta di volant. Gli occhi azzurri sorridevano da dietro la maschera priva di bordature quando si volse a porgerle la mano per aiutarla a scendere.

Non gli chiese il perché di quel dettaglio inconsueto. Se non era in alcun modo formalmente impegnato, poteva accettare qualsiasi altra spiegazione.

Salirono la scalinata a braccetto, come da etichetta, e fecero il loro ingresso nell’immenso salone subito dopo una coppia dalla pelle leggermente brunita tipica di Asante, di cui vestiva i colori caldi e sgargianti. Con una mano stringeva il braccio di Lucius e con l’altra reggeva il vestito, a stento distinguibile dal pallore del suo incarnato. Quando Eleonora, a casa, si era fatta avanti con la cipria per prepararla a uscire, le aveva accostato il soffice piumino alla guancia e poi era scoppiata a ridere, sostenendo che probabilmente quella polvere profumata avrebbe solo rischiato di farla apparire più scura. Si era così limitata a colorirle un poco le gote con una delicata sfumatura rosea e le aveva passato sulle labbra un dito velato di una densa crema rossa. Era così che si facevano belle le signore, le aveva detto, mentre con un ferro rovente le aveva acconciato i capelli in una cascata di boccoli lucenti. Sul collo, appena sotto la nuca, Regan conservava ancora il ricordo bruciante ­– più letteralmente di quel che avrebbe voluto – di un movimento inconsulto al momento sbagliato.

Dentro, tutto era molto più immenso e fastoso di quel che si sarebbe mai potuta sognare: soffitti alti come cieli affrescati con nuvole simili a sbuffi di cotone su sfondi celesti e lividi nembi scuri contro distese violacee in tempesta. Miriadi di luci di tutti i colori dell’iride fluttuavano nell’aria sopra le teste degli invitati, infiniti globi grandi quanto acini d’uva che sembravano rifulgere di vita propria. Regan non aveva mai visto nulla del genere.

Per una volta, al passaggio di Lucius non c’era un continuo porgere di saluti e pacche sulla schiena. Sembrava anzi che davvero nessuno lo riconoscesse, ma Regan si disse che non c’era da stupirsene: erano molti gli uomini di elevata statura vestiti di nero e una buona parte di essi avevano lunghi capelli abbastanza scuri per essere confondibili con quelli neri di Lucius. Era facile, guardandosi intorno, distinguere la provenienza degli invitati: donne floride e uomini corpulenti dalla carnagione olivastra e brunita dal sole delle Terre meridionali, Asante e le zone al sud-est di Sonnerg; i lineamenti marcati e caparbi sui volti eburnei dell’est, Mauercast e Astereis, che si facevano più eleganti, più fini nelle bianche genti di Norden e delle terre settentrionali di Brenner; e infine le fattezze miste tipiche di Corterra, capelli biondi e ricci con occhi scuri come l’onice, chiome corvine dalle sfumature viola e bluastre sposate con occhi a mandorla dei colori più tenui simili a corone di vetro, e ancora, iridi castane screziate di fuoco che si accompagnavano a chiome di pure filature di rame e bronzo.

Nessuno, nemmeno le dame che si erano tinte per vezzo, aveva i capelli color rosso sangue.

– Stasera avrai l’onore di vedere le personalità maggiori delle Sette Terre – le sussurrò Lucius. – Nonché un ragguardevole numero di giovani scapoli facoltosi in cerca di consorte – e le strizzò un occhio.

– Vorrei tanto sapere a cosa servono le maschere, se qui dentro ci sono solo nobili o riccastri – borbottò lei, seguita da qualche sguardo appartenente a individui decisamente troppo maturi perché lei potesse subirne l’attenzione senza un moto di disgustata ribellione da parte del proprio stomaco.

– Ho parlato di grandi personalità, non di nobili – la corresse lui. – Perché non mi ascolti mai quando parlo? Non ricordi? Il Coordinatore Generale viene da un villaggio di contadini, e molte della cariche primarie della Lega sono rivestite da personaggi di umili origini. Oggigiorno un titolo nobiliare può significare ancora ricchezza e potere, ma il prestigio e l’onore si guadagnano solo con le gesta personali. –

– Vale a dire che tu, figlio di nessuno, sei tanto famoso e ammirato per via delle tue imprese eroiche? –

Lucius si irrigidì al suo fianco, il suo passo tra la folla si fece d’un tratto più cauto. Le sorrise.

– Potremmo dire così, sì. Guarda – fece poi. – Quello laggiù, ad esempio, è Tedros Foyer, Coordinatore di Asante – fece discretamente cenno a un omone di corporatura massiccia e la pelle scura che scambiava cordialità con un nutrito gruppo di giovanotti che vestivano l’uniforme ufficiale di Cacciatori, casacche grigio scuro con panciotti di una tonalità più chiari, una spilla che ricalcava la Stella della Lega appuntata al petto a sormontare il ricamo minuzioso dello stemma della Terra di Sonnerg, un giallo sole stilizzato dai raggi serpeggianti.

Una capogiro improvviso annebbiò per un attimo la mente di Regan. Si sostenne al gomito solido di Lucius, stordita dal balenare dell’ormai familiare immagine dello stesso sole che si stagliava in un cerchio di luce sullo sfondo di un cielo nero, singhiozzi remoti troppo deboli e imprecisi per non essere sopraffatti dall’irrompere della realtà.

– Tutte bene, cerbiattina? –

– Sì – farfugliò, cercando di nascondere il turbamento, mentre le sue palpebre calavano sul dissolversi della visione.

– Come vedi questa sera sarai letteralmente circondata da membri della Lega. Ti terrò comunque d’occhio, ma direi che più al sicuro di così, potresti solo esserlo chiusa in un Segreto –

Nello stesso momento si voltava verso di loro una donna bionda abbigliata in modo talmente essenziale da dare l’impressione che non avesse terminato di indossare tutto. Non era giovane, ma aveva un fisico ancora modellato che non poteva essere semplicemente frutto di una particolare generosità della Madre.

– Cavaliere Nero – disse, esibendo una formalità puramente ludica. – Vi trovo ogni volta più affascinante. –

I suoi occhi azzurri erano concentrati su Lucius e non davano il minimo accenno di aver notato la presenza di chi lo accompagnava.

Da perfetto gentiluomo quale era – o ci teneva a essere – lui accompagnò il solito saluto formale con un cenno riconoscente del capo.

– Voi mi lusingate – le disse, così suadente che Regan temette che le pareti attorno a loro si sarebbero disciolte di riflesso. Poi interpellò anche lei.

­– Regan, ti presento Madame Vane, l’insegnante di Difesa Armata Femminile della Domus Aurea. –

La donna, presumibilmente colei che aveva fatto di Anneli la campionessa dell’Accademia, la considerò per un frammento di tempo così fuggevole che Regan non poté fare a meno di sentirsi un pezzo di tappezzeria nemmeno troppo apprezzabile. Madame Vane, infatti, tornò subito a rivolgersi a Lucius, tutta sorridente e salottiera.

– Mi è giunta anche voce che tu ti sia egregiamente battuto contro un valoroso avversario, non molti giorni fa. –

– Non è stato un merito solo mio – si schermì lui.

Lei agitò una mano come a voler scacciare la sua determinazione a farsi scudo di modestia.

– Pensi che una perfetta intesa con il proprio Guardiano sia cosa da chiunque? In tutta la mia carriera ne ho visto pochi di ragazzi dotati come te. –

– Madame Vane, voi volete proprio vedermi arrossire, stasera. –

La risata della donna si levò arrochita e ben poco signorile, accompagnata da un gesto incurante. Anello d’oro che le ornava il dito doveva andarle largo, perché il piatto era rivolto verso l’interno della mano.

– Esiste qualcuno che possa vantare una simile soddisfazione? –

Lucius si gonfiò come un pavone e sorrise con finta arroganza.

– Non ancora, ma non m’illudo che non debba mai esistere. –

Madame Vane rise di nuovo, e intanto i suoi occhi chiari vagavano per la sala, con la stessa assiduità che Regan aveva visto in Lucius alla fiera a Shjarna.

– Vi stiamo trattenendo da migliore compagnia? –

La donna si riscosse precipitosamente e agitò di nuovo la mano callosa.

– Oh, no, che sciocchezze. Sai bene che vengo sempre per conto mio a questi eventi proprio per evitare scocciature. Lascio volentieri a voi giovani il vezzo di fare salotto. Notavo solo con piacere che molti dei miei studenti quest’anno hanno scelto di vestire l’uniforme accademica per l’occasione. Ovviamente i gemelli Edelberg non fanno parte di questi. –

I due nominati, che Regan individuò seguendo lo sguardo di Madame Vane, si trovavano in un angolo del salone con la solita cricca di fedelissimi al seguito e indossavano sobrie camicie bianche accompagnare da cravatte e panciotti di colori decisamente meno sobri, che però sembravano incontrare l’approvazione delle molte donzelle dalle maschere orlate di bianco – ma anche un paio d’argento – che si accalcavano attorno a loro. Poco distanti c’erano anche Anneli e Aeden con il resto della compagnia. Quando si accorsero che lei e Lucius erano arrivati, fecero lo segno di raggiungerli.

Si congedarono da Madame Vane con qualche convenevole e solo quando furono dal lato opposto del salone Regan si concesse un rantolo di irritazione: se c’era una cosa che la infastidiva di più della gente che la fissava, era la gente che la ignorava del tutto.

 

 

La musica si era alzata e di conseguenza anche il chiacchiericcio. La sala, che quando era arrivata era parsa mezza vuota, adesso era gremita al punto che nessuno sentiva più la necessità di mantelli e stole e un po’ ovunque degli inservienti passavano a raccogliere gli indumenti di cui la gente accaldata non vedeva l’ora di sbarazzarsi.

Lucius era stato sequestrato da una combriccola di amici di Prince e ora lo tenevano in ostaggio con chiacchiere di avventure lavorative e richieste di consigli su come affrontare meglio un certo tipo di avversari e riconoscere a colpo d’occhio un Ladro di Anime. Mescolate tra questi c’erano anche una decina di ragazze che, a giudicare dalle risatine civettuole e dall’atteggiamento lezioso, non dovevano aver mai messo piede alla Domus Aurea se non per incontrarsi con qualche fidanzato. Tra queste, le due nobildonne che Regan ricordava di aver visto quel suo primo giorno in città: Lady Sapphire e Lady Somerville.

– Oche – sentì mormorare da Anneli e Lisandra, quando per l’ennesima volta le allegre comari esplosero in un coro patetico di risolini giulivi. Aeden e i ragazzi Devore, però, erano di altro avviso e osservavano con un certo interesse una biondina tutta riccioli e occhioni blu che non la finiva di sfarfallare le ciglia di fronte a Prince, il quale peraltro sembrava nettamente più interessato al proprio calice di vino che a lei.

Anche Lucius era più partecipe agli scambi professionali con i ragazzi che al resto, e questo rincuorò Regan a sufficienza da decidere di rilassarsi e godersi la compagnia.

– Hai un’aria sofferente – le disse Lisandra, ridanciana.

Regan si posò scontenta le mani sotto alla sterno. Eleonora aveva davvero esagerato a stringere quei lacci, soprattutto considerato che lei c’era tutt’altro che abituata.

– Non ho mai portato un corsetto così stretto. –

Aeden si schiarì leggermente la voce, mentre gli altri ragazzi arrossivano pudicamente.

– Fossi in te eviterei di parlare di biancheria intima a voce alta, e soprattutto al cospetto di uomini – la avvertì Anneli.

– Oh, non fare la sofisticata, adesso! – intervenne Lisandra. – Io non me lo sono nemmeno messa il corsetto, stasera. –

Stavolta fu il turno di Anneli ad arrossire.

– Ti ringrazio, Lisandra, erano anni che non avevo il piacere di vedere Lady Contegno così imbarazzata – si complimentò Emeric, scostandosi dalla fronte qualche ricciolo rosso, e così si conquistò un’occhiataccia da parte di Anneli e un unisono di esclamazioni di apprezzamento dagli amici. Persino Aeden stava ridendo, e così somigliava moltissimo ai gemelli.

Andò bene per un’ora buona, tra assaggi di manicaretti forse troppo particolari per gusti di Regan, e sorsi di una bevanda ai frutti di bosco e cedro prodotta lì a Kauneus. Fu presentata a un lungo elenco di compagni di Accademia dei ragazzi e scambiata per quattro persone diverse, tanto che ci vollero gli sforzi congiunti di tutti quanti per spiegare a un vecchietto rattrappito e un po’ rimbambito (che i ragazzi le rivelarono essere un anziano barone di Fortre) che, no, non era “la figliola del vecchio Herne”. Anche se Regan, naturalmente, non ci avrebbe potuto mettere la mano sul fuoco, il suo istinto, per quella come per molte altre cose, le diceva che non aveva mai sentito nominare un Herne in vita sua.

A un certo punto dal nulla sbucò addirittura la nobilissima Adora Shephard, che si attaccò al braccio di Aeden in vena di moine, ma poi, dato che lui non era affatto disposto ad assecondarla, si era spostata su Kama, il quale non si era dimostrato meno indisponente dell’altro, e dunque, offesa e indispettita, la fanciulla aveva dignitosamente raccattato il suo opulento strascico e se n’era andata, nasino all’insù, a tampinare una nuova selezione di fascinosi rampolli che stavano disquisendo di addestramenti in prossimità delle tavolate del banchetto.

Molte coppiette si erano già abbandonate al ritmo seducente dell’orchestra e ballavano appassionatamente al centro della sala. Le danze vere e proprie sarebbero cominciate solo verso la Nuova, dopo gli spettacoli pirotecnici che avrebbero segnato l’inizio ufficiale dell’inverno, per protrarsi poi fino all’alba, tra musica, fiumi di vini pregiati e la consueta raccolta di fondi da destinare come contributi alle caste più povere.

Regan odiava ammetterlo, ma si stava divertendo. Prese appunto mentale di ringraziare Lucius, non appena si fosse liberato dai doveri sociali. Non la perdeva mai veramente di vista: tra una risata e un sorso di idromele, trovava sempre il modo di sbirciare verso di lei per accertarsi che tutto andasse bene, e fu così, almeno finché, senza un perché, ad un tratto l’atmosfera sembrò intorpidirsi e il chiacchiericcio si sedò di colpo.

Un perché, a dire il vero, c’era eccome, e a Regan bastò sollevarsi appena in punta di piedi per scoprire di cosa si trattasse.

O meglio, di chi.

Sentì, al suo fianco, che Anneli tratteneva il respiro.

Una dama vestita di verde era appena entrata in sala e gli occhi di tutti erano puntati su di lei. Benché la maschera dal bordo bianco celasse metà del suo viso alla vista dei presenti, la sua bellezza dirompeva da dietro di essa con prepotenza, quasi rifiutasse di lasciarsi oscurare da un inutile orpello. Carnagione bianca, nobile, perfetta come un bocciolo di rosa, e forse una regina non avrebbe avuto un portamento tanto regale. Capelli lunghi e scuri facevano da velo sulle spalle nude e lungo tutta la schiena, disegnandone il profilo sottile nelle luci incandescenti.

– Meravigliosa – commentò qualcuno, in tono strozzato.

Man mano che avanzava, la gente si ritraeva, chi ammaliato da quella presenza abbacinante, chi troppo intento a fissare rispettosamente il suo riflesso nel pavimento rosato per osare guardarla direttamente.

Nel mezzo del nero della maschera due occhi di un verde raro, acqua di fiume congelata tra i prati, brillavano di splendore riflesso, ottenebrati da screzi di malinconia che li facevano rassomigliare a cristalli esanimi.

Improvvisamente tutte le donne che Regan aveva conosciuto e reputato belle impallidirono al confronto di quella sconosciuta da cui trapelava un gelo trascendente la volontà, una bellezza ardente imprigionata in uno sguardo privo di vita.

E poi accadde.

Le persone intorno a Lucius si erano scostate e alcune delle ragazze avevano assunto espressioni apertamente oltraggiate, ma nessuna parlava. Fissavano tutti ora la Dama Verde, ora Lucius, il fiato sospeso, ed era proprio come se l’intero salone attendesse qualcosa. Il mondo sembrava essersi fermato per loro, come se sapesse che ciò che stava accadendo fosse un evento della massima importanza, e allora si fosse messo a tacere e umilmente fatto da parte per un momento, lasciando che il tempo e lo spazio, per quel breve momento, fossero soltanto per loro due.

Lucius si avvicinò lentamente attraverso un corridoio formato da due schiere di spettatori ammutoliti, un sorriso che gli solleticava la bocca fino a invadergli anche gli occhi. Prese delicatamente la mano della dama nella sua e si chinò per sfiorarla appena con le labbra, un bacio velato ma pieno di devozione, e nella mente paralizzata di Regan riemerse qualcosa.

“Altri trovano la loro casa in una persona, in una mano che ti accarezza…”

Quando lui si risollevò, il suo sguardo incrociò fugacemente quello della dama. Si sorrisero. Un sorriso che nascondeva palpitazioni accelerate e tremori inconfessabili in mani che non riuscivano a lasciarsi andare.

“In un paio di occhi da incontrare dopo una lunga separazione…”

Lucius sembrava incapace di respirare mentre la bellissima donna ritraeva la propria mano con grazia e gli concedeva un inchino regale. Sembrava morire e scoppiare di vita improvvisa al contempo.

“Sai…”

Ritrovare una parte essenziale di sé che gli era troppo a lungo mancata.

“C’è chi in un paio di occhi ha trovato il mondo intero.”

Regan ingoiò il vuoto.

Il mondo intero…

E non c’era possibilità di dubbio o di incertezza. Una delle domande che più la avevano tormentata nell’ultimo periodo trovava risposta proprio lì, sotto agli occhi di tutti, al centro di una sala da ballo affollata.

Una mano amica le strinse la sua con una forza che poteva appartenere solo alla disperazione. Anneli era immobile e priva di colore accanto a lei.

“Perché quando la incontrerai, credimi, saprai che è lei.”

 

 

Il Cavaliere Nero non mancava mai di rimanere irretito dinnanzi alla bellezza inutilmente mascherata della Dama Verde.

Era stata lontana da lui per insopportabili settimane, obbligata da un dovere che veniva prima di tutto il resto, e lui non aveva atteso altro che quella serata per poterla rivedere, aggrappandosi solo a un filo di speranza, poiché fino all’ultimo aveva segretamente temuto che non la avrebbe vista.

E invece lei era lì, al suo cospetto, dove si era diretta senza esitazioni, tanto da istigargli la presunzione che fosse lì solamente per lui.

 La Dama Verde aveva sorriso per tutti coloro che la avevano seguita con lo sguardo, ma non veramente. Era solo il fantasma di un sorriso, uno spettro che indugiava come a chiedersi se fosse quello il suo posto, come se quelle labbra non ricordassero con esattezza le giuste movenze necessarie a mimare l’espressione fisica di un’emozione che aveva a lungo smesso di abitarle dentro. Non sorridevano mai i suoi occhi, di quel verde acqua così simile al cristallo da far pensare che fosse per quella ragione che nessuno osava guardarli: il recondito timore di infrangerli.

Gli faceva male guardarla, come a chiunque avrebbe fatto male guardare il proprio desiderio più intimo da dietro sbarre di consapevolezza che gli fosse ontologicamente proibito.

La sua avvenenza era quella surreale e splendente delle principesse delle fiabe, dei racconti mitologici che narravano di fanciulle senza tempo dalla pelle come petali di giglio e gli occhi di limpida acqua sorgiva. Possedeva il portamento superbo e pieno di grazia che ci si sarebbe aspettato da una sovrana, composta ed eretta come una bambola nel prezioso abito di seta smeraldina che scivolava leggero lungo la sua figura sottile in un panneggio morbido, dipingendo un rincorrersi chiaroscurale di luci riflesse e ombre nascoste. Un angelo, al di fuori di ogni ragionevole dubbio, ma aggravata da tonalità cupe che le indugiavano negli occhi, sulle belle labbra rosee. Sì, era esattamente come una principessa delle fiabe: una principessa triste, prigioniera in tutto ciò che rappresentava.

La freschezza del suo corpo era ancora quella di un’adolescente, soltanto il viso denotava la sua età adulta, e non perché ne recasse segni fisici, ma perché la sofferenza che vi era impressa e induriva il suo sguardo sembrava appesantirla nell’animo come mille anni di guerra. Un peso insopportabile che, di rimando, lui portava con lei, giorno dopo giorno, in silenzio, da ormai dieci anni.

Quando furono l’uno di fronte all’altra, il Cavaliere Nero si prostrò umilmente, ma i suoi occhi non abbandonarono per un solo istante quelli di lei.

– Perdonate la sfrontatezza con cui oso presentarmi al vostro nobile cospetto, mia signora, ma il vostro ingresso ha portato la luce in questa sala e io mi permetto l’ardire di supplicarvi l’immeritato onore di concedermi un ballo. –

La Dama Verde non rispose. Sorrise soltanto, impercettibilmente, nel modo in cui solo a lui sapeva sorridere, con lo stesso languore di chi trovava un pallido motivo per farlo tra migliaia di altri che glielo impedivano, e accettò di buon grado la mano galante che le veniva offerta. Sotto agli occhi cupidi di tutti i presenti, seguì il Cavaliere fino al centro della stanza, dove già molte coppie stavano danzando allegre sulle note armoniose degli archi e del pianoforte.

I suoi occhi erano gocce ghiacciate nel cielo sereno di quelli di lui, che la scrutavano da dietro la sicurezza della maschera con tanto e tale trasporto da far supporre che al mondo non vi fosse altro che lei. Le sorrideva, gonfio d’orgoglio per essere, come ogni altra volta, il primo a essere onorato dalla sua compagnia, e il suo portamento era calibrato e sicuro mentre la guidava a volteggiare tra decine e decine di altre persone che erano solo un contorno alla loro danza, non quella sui passi dettati dalla musica, ma quella dell’uno negli occhi dell’altra.

– Il verde del vostro abito dà il giusto risalto ai vostri occhi – sussurrò, la mano appoggiata alla base della sua schiena, abbastanza grande la prima e abbastanza minuta la seconda perché il palmo e le dita potessero rivendicarne interamente il possesso, da parte a parte, quasi fossero fatte appositamente per accompagnarsi – E ben si intona con il colore che hanno assunto signore e fanciulle al vostro arrivo. –

La Dama chinò con modestia lo sguardo, lasciando che si soffermasse sul velo di camicia bianca che spuntava dalla giacca nera, una banale barriera che riusciva a nascondere tutte le sue cicatrici alla semplice vista ma non alla consapevolezza che dimorava in lei. C’erano altre cicatrici, più profonde e dolorose, celate ancora più sotto, là dove batteva il cuore, accuratamente chiuso a chiave per tenere a bada sentimenti inopportuni che per nulla al mondo dovevano vedere la luce.

Il Cavaliere non se ne prese a male per quella reazione. Conosceva la Dama abbastanza bene da saper leggere con esattezza ogni suo gesto e interpretarlo come forse nemmeno lei stessa avrebbe saputo, e uno sguardo sfuggente come quello non era che il segno di sconfitta di un impulso di sottrarsi alla confidenza che lui le riservava.

– Siete uno schiaffo in pieno viso alla vanità di tutte le presenti. –

Come suo solito, lei non diede credito ai suoi complimenti.

– E voi un adulatore di prim’ordine. –

La Dama tornò a guardarlo negli occhi, una muta richiesta di perdono per aver evaso il suo complimento in quel modo, e lui poté di nuovo bere da quel raro verde acqua così chiaro e trasparente da imporsi su ogni altra luce.

– Mi ricordate molto un giovane di mia conoscenza. –

Le sorrise compiaciuto.

– Deve essere un giovane di grande fascino e garbo se merita un tale elogio da parte vostra. –

Lei altro non fece che voltare il capo di lato, abbandonata con cieca fiducia tra le sue braccia, e il Cavaliere si compiacque di essere riuscito, ancora una volta, a rubarle un sorriso, anche se trattenuto. Riusciva a percepire la stanchezza in lei, strascico del duro periodo appena trascorso. Anche se non la aveva vista per un po’, aveva fatto in modo di sapere sempre dove lei fosse, con chi, e perché, e non sempre gli era piaciuto.

– So che sei stata trattenuta a lungo a Mauercast, nei giorni scorsi – disse in tutta causalità.

Lei, che lo conosceva bene tanto quanto lui conosceva lei, lo ammonì con una semplice occhiata.

– Il Coordinatore Blackthorne aveva bisogno di un parere autorevole per pianificare uno stanamento dalle sue parti – c’era una nota rigida ma quasi divertita in quella spiegazione così distaccata.

– È ammirevole vedere come il buon vecchio Radislav sia capace di sotterrare il suo rinomato orgoglio virile pur di inventarsi scuse per averti intorno. –

– Lucius… –

Non fu la minaccia velata nel tono che lei aveva usato, ma il piacere sottile di sentirla pronunciare il suo nome in un sussurro poco più forte di un sospiro. Gli era mancata quella voce da donna ancora bambina, schegge di innocenza che ancora non riuscivano ad abbandonare del tutto l’opaca disillusione della sua pur giovane età. Lucius era stato con lei nei peggiori dei suoi giorni, aveva condiviso con lei dolori che lui aveva potuto solo vagamente immaginare, compagno muto e discreto di colei che sulle spalle portava il peso di un’idolatria popolare che non aveva mai cercato.

Lì, davanti a tutti, tra le sue braccia devote, la Luce del Nord danzava ormai dimentica del fulgido splendore interiore che fin dal giorno della sua nascita l’aveva contraddistinta.

 

 

Non aveva bisogno di domandare chi fosse. Ricordava le pittoresche e - ora se ne rendeva conto - quanto mai precise descrizioni di Ember e Mariek. La stringeva ancora all’altezza del cuore il modo in cui Lucius l’aveva guardata quando era arrivata, ed era un male che voltarsi e chiudere gli occhi non avrebbe cancellato.

Udì un sospiro alla sua sinistra. Anneli aveva voltato la schiena al salone e ora fissava un punto imprecisato fuori dalle imponenti finestre che davano sul parco. Erano parecchi i ragazzi che passavano e le gettavano occhiate speranzose, ma lei faceva finta di niente. Fosse stata al suo posto, Regan avrebbe scelto il più interessante a avrebbe cercato di distrarsi il più possibile.

– Lasciala sbollire, le passerà. –

Regan guardò in su: Prince era apparso da chissà dove, portando con sé una lieve fragranza di colonia alle rose.

– È lei, vero? – gli chiese, e ogni tentativo di suonare naturale se ne andò in fumo per colpa del groppo che le chiudeva la gola.

Malgrado non potesse sapere chi fosse quella lei sottintesa, Prince dovette intuirlo, perché le sorrise indulgente.

– Lady Soile Leljen – enunciò, ciascuna parola scandita con nitore e rispetto. – Coordinatore di Norden. Ultima erede di una casata reale che si copre di gloria e onori fin dai tempi più remoti, la sola figlia del defunto Coordinatore Leljen. Be’, il Coordinatore Leljen è lei, adesso. –

Era avversione innata quella che Regan sentiva insorgere dentro di sé. Guardava la grazia di Lady Leljen e l’adorazione per lei che Lucius non si sforzava di nascondere e si sentiva ogni momento più lontana da quello che finora aveva considerato il suo posto.

– Hai visto come la gente si è fatta da parte mentre lei passava? Tutti si sono inchinati, hanno abbassato lo sguardo. –

Sì, lo aveva visto. Impossibile non notarlo: un rispetto e una cerimoniosità tali da sconfinare quasi nel religioso, riverenze e capi chinati degni non già di una regina, ma di una semidivinità.

– Sembra quasi che siano intimoriti dalla sua presenza. –

Quello che il viso assorto di Prince esprimeva era una profonda compassione, ma le increspature sulla sua fronte testimoniavano un turbamento che forse andava oltre.

– È l’eterna maledizione di Soile: troppo bella, troppo potente, troppo in vista. –

Gli ospiti ballavano attorno alla Dama Verde quasi senza far caso a lei, ma era un disinteresse posticcio, che si tradiva nelle chiacchiere delle signore nascoste dietro ai ventagli, agli sguardi furtivi degli uomini e agli altrettanto furtivi sorrisini di approvazione che non osavano manifestare, ma che Regan intuiva sulle loro bocche pietrificate da un’ostinata ipocrisia.

– Fu un dono delle ninfe alla sua stirpe, o così si tramanda da tempi immemorabili – proseguì Prince, sottovoce. – In un’epoca che ora è dimenticata, un re, suo antenato, salvò la foresta ai piedi delle nostre montagne da un terribile incendio, e in segno di gratitudine le ninfe concessero alla sua discendenza una triplice benedizione: bellezza, salute e potere. È sottile e molto labile il confine tra lealtà e ossessione e in troppi hanno dimenticato che anche se lei possiede poteri che nessuno di noi avrà mai, ha le stesse debolezze e fragilità di chiunque altro. –

Le era impossibile condividere quella pietà e c’erano buone probabilità che questo avesse a che vedere con il fatto che quella donna avesse la fortuna di possedere il monopolio delle attenzioni di Lucius, e non era lei la sola a crucciarsene: molte giovani invidiose seguivano lo spettacolo da lontano, spettegolando tra loro, alcune concedendosi per un ballo al primo ardimentoso che si presentava a proporglielo.

Ma lei, Soile, era come estraniata da tutto quanto, separata dal mondo da una invisibile rete di metallo spinato.

E dalle braccia premurose di Lucius.

– Vedo dolore nei suoi occhi. –

– Il fato è stato crudele nei suoi confronti. –

– Perché solo Lucius sembra darle confidenza? –

Un piccolo sogghigno scaltro apparve per un breve attimo sulle labbra di Prince.

– Perché solo lui, e pochi altri, osa farlo. È difficile trattare una persona come tale, quando questa tiene a non esserlo. –

L’irruzione improvvisa di Lisandra li interruppe. La ragazza, molto rossa in viso ma decisamente non abbastanza brilla da perdere la sua presenza di spirito, si attaccò al braccio di Prince con uno slancio forse eccessivo, un po’ traballante nell’equilibrio ma perfettamente padrona di sé, spargendo gocce dal forte aroma mielato da un calice mezzo vuoto.

– Lord Edelberg, avete già assaggiato quest’ottimo sidro di mele cotogne? –

Lui sollevò le sopracciglia, un guizzo divertito che gli arricciava un angolo della bocca.

– Già tre calici, Grenet, a stomaco vuoto, e le mie gambe iniziano a sentirlo. –

I grandi occhi castani di Lisandra lampeggiarono insolenti.

– Allora lasciate che approfitti di voi per qualche minuto, prima che le gambe cedano del tutto. –

Lo arraffò come se fosse stato una tartina e lui, stranamente, la seguì senza un lamento in mezzo al salone.

Regan si rese conto di essere rimasta sola: tutti si erano lanciati nelle danze, chi più chi meno seriamente, e perfino Anneli si era allontanata. Restava solo lei, in balia del risentimento.

Annoiata e delusa, avrebbe voluto potersi sfogare in un bicchiere di qualcosa di forte, ma senza i ragazzi che gliene prendessero, non aveva speranze di ottenerne.

Sbadigliò, meditando di cercarsi una angolo appartato in cui consumare il tempo fino al momento in cui Lucius si fosse rammentato di lei, se mai questo fosse accaduto, ma qualcosa la distrasse: uno squarcio di bianco tra i colori della folla, una figura alta e sottile in uniforme maschile che attraversava il caos a passo lento e sicuro. Regan percepì un sensibile cambiamento, ma non seppe dire se nell’atmosfera o dentro di sé: le parve che l’aria si fosse fatta più fresca, meno soffocante, e che il suo sangue scorresse più fluido nelle vene. Poi una coppia le passò davanti, volteggiando beata, e quando andò oltre, il Cavaliere Bianco era scomparso.

– Milady. –

Regan sussultò. Davanti a lei c’era un giovane affascinante dai capelli bruni che, appropriatamente inchinato, la invitava a ballare. Qualcosa nei suoi occhi verde chiaro la fece rabbrividire, forse troppo simile, per quanto abissalmente diverso, al colore degli occhi della donna che le aveva appena rovinato la serata. Prima che se ne potesse accorgere, aveva accettato il suo braccio e già lo stava seguendo sulle note sinuose dell’orchestra.

 




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A/N: ebbene, come voi stesse avete sagacemente ipotizzato nei commenti al capitolo precedente, la famosa “cotta” del nostro Lucius è proprio Soile, aka la Luce del Nord. Sono pronta a sentire commenti di ogni sorta su di lei, quindi… stupitemi! XD

   
 
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