That
Love is All There is
Terre_del_Nord
Old Tales
Terre del Nord - I.006
- Il Signore dei Serpenti
Dòmhnall aveva trovato ridotta in cenere la radura in cui
era nato e cresciuto. Era rimasto annichilito per lunghi, interminabili
secondi, poi, come invasato, si era gettato a terra e aveva scavato a
mani nude tra i resti fumanti degli alberi, là dove fino a
un paio di ore prima si ergeva la tenda con la Fiamma Verde, per
cercare traccia dei suoi familiari, terrorizzato all'idea di trovarsi,
prima o poi, di fronte ai loro corpi privi di vita. Sconvolto, gli
occhi pieni di lacrime e le mani ridotte a piaghe sanguinanti, aveva
pregato gli dei che suo padre e sua madre fossero fuggiti in tempo,
finché, lentamente, si rese conto che, nella devastazione
del suo mondo, non c'era nulla che testimoniasse un loro scontro con i
Babbani: non era stata compiuta alcuna Magia dopo la sua partenza, suo
padre non si era dovuto difendere, gli aggressori sembravano aver
raggiunto la radura quando la sua famiglia si era già
allontanata da lì. Rassicurato, recuperò la calma
e trovò infine, tra i rovi, le tracce che cercava, tracce
che testimoniavano come suo padre non avesse percorso la strada che gli
aveva consigliato per raggiungere la Sorgente, ma avesse scelto
l'altra, quella più lunga e meno ripida, forse per
confondere gli assalitori, forse per farli dividere e guadagnare tempo,
forse nell'estremo tentativo di allontanare quelle bestie dai suoi
figli più grandi. In realtà, nessuno dei
Babbani aveva trovato o seguito le tracce dei ragazzi: tornando sui
suoi passi, Dòmhnall non aveva scorto segni riconducibili al
loro passaggio, il che significava che aveva preso la decisione giusta,
aveva lasciato suo fratello Cuilén al sicuro, per tornare
indietro e aiutare i suoi genitori e il neonato, in pericolo nella
boscaglia. Osservò con cura i rametti spezzati, le
impronte stranamente leggere nella terra umida, riconobbe i segni
appena percettibili con cui suo padre, abitualmente, segnava la strada:
non aveva compiuto alcun errore, come sempre, era impossibile capire
che quelle lasciate erano tracce umane, non animali; c'erano,
però, anche alcune gocce di sangue, di cui non riusciva a
capire il significato e, forse, questo aveva indicato la pista ai
segugi. Si mise in marcia a sua volta, tenendo la direzione
senza difficoltà: gli uomini di Glower-o ‘er-em,
infatti, avevano sovrapposto pesantemente le proprie impronte a quelle
del Mago, non avevano certo avuto cura di muoversi con cautela e
rispetto, addirittura il fuoco di alcune frecce divorava ancora gli
arbusti, alimentandosi pericolosamente con le foglie secche del
sottobosco; lungo il tragitto, il giovane vide molti animali uccisi dal
fumo e dalle fiamme, la vegetazione ovunque calpestata con violenza, il
suo bosco recava i segni di una volontà assassina di
distruggere e devastare ogni cosa. Suo padre a un certo punto
aveva deviato ancora, sicuramente per dirigersi alla grotta lungo il
fiume: Dòmhnall immaginò che sua madre, debole
per il parto, non potesse arrivare subito al luogo dell'appuntamento e
la grotta costituisse il riparo più sicuro, soprattutto di
notte; il giovane si animò di coraggio e speranza, conosceva
bene il percorso, lui e suo padre passavano settimane intere in quel
rifugio, quando andavano a caccia d'inverno, era una roccaforte di
rocce facilmente difendibile dalle belve: appena i suoi l'avessero
raggiunta, sarebbero stati in salvo.
Aveva deciso: anche se non capiva quanto vantaggio avessero, avrebbe
cercato di rallentare la corsa dei Babbani, li avrebbe attaccati alle
spalle, così da dar modo ai suoi familiari di arrivare alla
grotta, avrebbe potuto spaventarli aggredendoli con qualche semplice
Magia innocua, suo padre diceva sempre che erano uomini codardi,
superstiziosi, che credevano ad assurdità sugli spiriti
della Foresta. Era pericoloso, certo, avrebbe dovuto essere
cauto, non sapeva quanti fossero, quanto fossero armati, e,
soprattutto, come avrebbero realmente reagito, ma Dòmhnall
sapeva essere cauto, quando era necessario: fin da ragazzino, suo padre
gli aveva insegnato che non avrebbe mangiato, se non fosse stato in
grado di procurarsi da solo il cibo, e nel corso degli anni era
diventato abile a muoversi nella foresta, silenzioso come le sue prede,
per catturare, anche senza Magia, gli animali con cui doveva
sostentarsi. Dòmhnall non era armato e un vecchio
patto con i Centauri lo costringeva a non fare del male con la Magia,
ciò nonostante aveva già un paio d’idee
su come agire e sapeva che, se avesse giocato bene le sue carte, non
solo non l'avrebbero visto, ma i Babbani sarebbero rimasti
così sconvolti, che non avrebbero mai più violato
la foresta. Avanzò circospetto, tenendosi nel fitto della
boscaglia, annusò l'aria, sentì l'odore acre di
fumo farsi più pungente, vide a terra tracce di sangue
ancora fresche, dimostrazione che lo scempio lì era avvenuto
abbastanza di recente: suo padre aveva ragione a disprezzare quegli
uomini, ovunque andassero portavano distruzione e morte, non capivano
che la Natura era una madre dispensatrice di ogni dono, capace di
soddisfare qualsiasi necessità, bastava solo obbedirle e
assecondarla. No, i Babbani si ponevano come fossero padroni
di tutto, come se il Creato dovesse piegarsi al loro volere, come se la
Natura fosse una serva da violentare
impunemente. Guardò con ribrezzo la carneficina,
avanzò, con il cuore gonfio di dolore e di rabbia, si chiese
se sarebbe riuscito a portare a termine quanto si era imposto, se
sarebbe riuscito a spaventare quegli uomini orribili, con i suoi
trucchi innocenti. Sì, ce l'avrebbe fatta, lo
sapeva, ce l'avrebbe fatta per l'odio profondo che, per la prima volta,
sentiva crescersi nel cuore e nel cervello. Quando vide uno di
quei Babbani che avevano popolato per ore la sua immaginazione, la sua
forza e il suo coraggio non vacillarono, anzi il suo odio e la sua
determinazione, se possibile, si radicarono ancora di più:
già da lontano, il fetore di quell'essere, rimasto solo
nelle retrovie a far da sentinella, spaventato a morte da qualsiasi
rumore provenisse dal fitto della boscaglia, permeava ogni cosa; era
solo una bestia immonda, proprio come aveva detto suo padre.
Dòmhnall si sentiva stordito, paura ed esaltazione si
fondevano, proprio come quando andava a caccia, e quell'uomo, in quel
momento... poteva essere la sua preda. Le voci e le urla
squassavano la foresta, i fuochi rendevano l'aria pesante,
irrespirabile, il rumore dei passi pesanti, il sibilo delle frecce di
fuoco, tutto contribuì ad acuire il turbinio di sensazioni
che lo agitavano come una foglia nel vento. Il ragazzo
respirò a fondo, recuperando lentamente il controllo di
sé: non doveva avere paura e non doveva farsi distrarre
dall'odio, l'unica cosa importante era che quegli uomini non
arrivassero alla sua famiglia, non doveva ascoltare la voce che,
nell'anima, gli urlava che non era sbagliato assalire e straziare,
vendicarsi per lo scempio che vedeva intorno a sé, per il
terrore che provava, per la fuga cui era costretta la sua famiglia. No,
doveva pensare solo ai suoi genitori e ai suoi fratelli. Era
convinto che fossero vivi, da qualche parte, nei paraggi, bisognosi del
suo aiuto, li avrebbe aiutati, si sarebbe riunito a loro, li avrebbe
abbracciati, avrebbe raggiunto la Sorgente e Cuilèn con
loro... doveva solo agire, fuggire e
salvarsi. Lasciò la sentinella dietro di
sé, quello stolto non immaginava nemmeno cosa aveva appena
rischiato, continuava a tremare al verso cupo della civetta.
Dòmhnall accelerò il passo, si
avvicinò di più al grosso degli uomini,
notò, a poco a poco, che davanti a sé si levavano
sempre meno frecce, che le voci concitate si mischiavano a urla e
pianti: si nascose varie volte nella vegetazione più fitta,
sentendo giungere di corsa, nella sua direzione, alcuni di quegli
uomini. Li osservò incredulo: sconvolti, urlavano
arrancando tra gli alberi, le carni delle gambe lacerate e straziate,
alcuni si tenevano un braccio che penzolava nel vuoto, ne vide un altro
tenersi la pancia e poi crollare a terra, in un tripudio di carne e
sangue, il ventre squarciato; quelli che restavano in piedi, impazziti,
s’inoltravano nella foresta senza più badare dove
fosse il fiume, destinati a cadere in qualche profondo crepaccio o,
dispersi nell'intrico degli alberi, morire per il freddo e la fame,
pasto delle bestie selvatiche. Dòmhnall non riusciva a
capire di cosa avessero paura quegli uomini, né chi li
avesse aggrediti in quel modo cruento: i Centauri e le altre creature
magiche non agivano così e dovevano essersi già
nascoste sentendoli arrivare, gli animali feroci attaccavano singole
prede, non gruppi di persone armate e, soprattutto, di fronte al fuoco
fuggivano. Che cosa stava accadendo? Forse suo padre,
in difficoltà, per difendersi, aveva rotto il patto con i
Centauri e aveva affatturato e scatenato i lupi contro i
Babbani? Era possibile, anche se, conoscendo il carattere mite
di suo padre, poco credibile. Si chinò sul corpo
dell'uomo sventrato, turandosi il naso, con un piccolo pezzo di legno
gli scostò i lembi della tunica e furtivo osservò
la ferita: lupi… Sì, lupi… aveva visto
solo i lupi procurare delle lacerazioni simili.
“Ho colpito il cane! Mio
signore, ho colpito il cane!”
Una voce agitata si levò tra gli alberi, spaventandolo, in
direzione di una piccola radura a pochi metri dalla sua posizione:
Dòmhnall, sospettoso, tese l'orecchio, sapeva che non
c'erano cani nella foresta di An Monadh, i lupi non lasciavano che i
randagi dei villaggi entrassero nei territori e si accoppiassero con le
femmine, indebolendo la razza. Eppure la voce aveva detto
proprio “cane”, anzi “il cane”,
come se lo conoscessero. Che fossero lì per cercare
un cane malato, per evitare un'epidemia di rabbia? Il giovane
s’immerse nel sottobosco muovendosi lentamente tra i cespugli
verso la voce, voleva capire, anche se non poteva avvicinarsi
più di tanto, arrivò fino al punto più
riparato nei pressi della radura scoperta, rimase fermo, trattenendo
quasi il respiro studiando la scena: al primo uomo se ne aggiunse un
altro, dal passo imperioso e dal vociare potente, urlava improperi e
maledizioni incomprensibili, ma quando fu più vicino, il
bosco vibrò di parole che il ragazzo comprese chiaramente,
senza possibilità di errore.
“Ora vengo a prendere anche a
te, puttana maledetta!”
Dòmhnall sentì il sangue ribollirgli nelle vene,
mosso da paura e odio. Non stavano cercando
cani. S’impose calma e coraggio, osservò
con attenzione per decidere cosa fare, incuriosito da quegli uomini
così diversi da lui: si mosse, si avvicinò ancora
un po', quasi strisciando, scostò, un poco, le foglie dei
cespugli, per studiare i dettagli, l'uomo che aveva colpito il cane
portava un pesante arco a tracolla e una spada al fianco, aveva vesti
umili, le calze logore e sporche, i calzari di pelle laceri, il corpo
nascosto da una pesante maglia di metallo, al contrario dei disgraziati
che correvano nel bosco, con addosso solo la tunica. L'arciere
era un soldato e, da quanto riusciva a vedere del suo viso nascosto da
lunghe chiome castane impiastrate di polvere e sudore, aveva circa
l'età di suo padre. Il secondo era più
vecchio, più alto, grasso e flaccido, con le vesti
più ricche, anche se ugualmente sporche: al contrario
dell'arciere, non indossava la cotta di metallo, la testa era scoperta
e quello che restava di una chioma fulva e rada scendeva a ciocche
spettinate sulle spalle, fondendosi con la barba biondiccia,
inzaccherata di sudore e sporcizia. Aveva il volto segnato da
rughe profonde, rabbioso, su cui rilucevano occhi chiari, spiritati, da
pazzo assassino: doveva trattarsi del signore di Glower-o
‘er-em, l'uomo che aveva già provato a uccidere
suo padre, anni prima, mosso da un odio di cui, oggi come allora,
Dòmhnall non riusciva a capire la ragione. Gli
sembrava di avere il cuore pressato in un guanto gelido,
tremò dalla paura, dall'angoscia, temendo di non riuscire a
portare a termine ciò che si era prefisso, senza far uso
della Magia: quell'uomo di certo era più forte ed esperto di
lui nella lotta, determinato a dargli la morte, almeno quanto
Dòmhnall era determinato a salvare se stesso e i suoi
cari. D'un tratto, i due Babbani si divisero, il signore di
Glower-o ‘er-em si allontanò, portandosi dietro,
se ne accorse solo all'ultimo, una terza figura, un vecchio dal capo
canuto, un essere fragile, quasi piegato in due dagli anni e dalla
fatica, ma il cui sguardo... Dòmhnall
rabbrividì di nuovo, questa volta per la sensazione di
pericolo che provò, vedendo il vecchio monaco, un uomo che
non aveva nulla di minaccioso, anzi... Eppure...
ricordò i discorsi di suo padre su Gregorius, il monaco che
era riuscito a turbare persino sua madre, perché sembrava
conoscere le Rune e la Confraternita di cui, Babbano, non avrebbe
dovuto sapere niente. Decise di non perdere altro tempo,
osservò l'arciere inoltrarsi nella boscaglia, alla sua
sinistra, poteva aggirarlo e affrontarlo, poteva immobilizzarlo con la
Magia, scoprire cosa volevano dalla sua famiglia, vedere le sue paure
profonde e approfittarne. Si guardò attentamente
intorno, in quel punto non si era ancora avventurato nessuno, non
c'erano tracce della sua famiglia, eppure era abbastanza vicino al
sentiero per la grotta, non capiva se avesse sbagliato strada, o se i
suoi, per qualche motivo, avessero deviato ancora, nascondendosi nelle
vicinanze. La situazione non era semplice, era necessario
trovarli, il più in fretta possibile. Si mosse,
rapido e silenzioso, finché non percepì, con la
coda dell'occhio, alcune foglie agitarsi alle sue spalle: si
acquattò a terra, osservò, con occhi fissi, e,
nel grigiore che andava a sostituirsi lentamente al buio della notte,
gli parve di scorgere una schiena nuda tra gli alberi e un suono
strano, come un pianto, molto simile a quello di un gattino.
Che fosse la voce del bambino? Di suo fratello? La sua famiglia era
davvero lì, vicino a lui, da qualche parte? Di chi era
quella schiena bruna?
Tese l'orecchio ma il suono non si ripeté, lasciandolo nel
dubbio e nell'ansia. Si mosse ancora, sempre lentamente, in
quei minuti, che potevano essere pochi o
l’eternità intera, aveva perso di vista l'arciere,
ma aveva un'idea abbastanza precisa di dove potesse trovarsi; inoltre,
i Babbani avevano ormai una rilevanza secondaria, rispetto alla
possibilità di ritrovare la sua famiglia e scappare insieme
con loro. Quando però la voce affannata del soldato
ruppe di nuovo, improvvisa, quel silenzio carico d'attesa,
Dòmhnall sentì un brivido gelido lungo la
schiena, le gambe si piegarono, tutto si fece oscuro mentre le sue
orecchie udivano le parole e il cervello comprendeva lentamente il loro
significato.
“Presto, correte, ho trovato
anche la Strega!”
Dòmhnall si sorresse all'albero al suo fianco, il volto, lo
sentiva, bruciava per lo scorrere violento del sangue nelle sue vene,
deglutì, cercò di fare chiarezza nella mente,
senza riuscirci, di raccogliere le idee e prendere una decisione:
ascoltò con attenzione l'arciere, concitato, che parlava di
un cane che non era un cane ma un uomo, e di una donna, la Strega,
stesa a terra, tra gli alberi. Tutto in Dòmhnall si spense:
pensieri, speranze, persino la coscienza di se stesso. Il giovane Mago
tremò: alcuni ricordi riemersero confusi dal suo passato, le
voci di sua madre e di suo padre, attorno al fuoco, riecheggiarono
nella sua memoria, si rivide bambino, mentre gli narravano cosa un
giorno sarebbe stato capace di fare con la Magia. Glielo aveva fatto
vedere, suo padre... e Dòmhnall aveva riso, pieno di
entusiasmo. Suo padre sapeva trasformarsi in cane. Lo
ricordava chiaramente.
Il cane… l'unico cane che può vivere nella
foresta... Non è un cane, ma un uomo... L'unico cane...
può essere... è... solo... Mio padre...
Allora… L’uomo che mi ha dato la vita...
è…
L’uomo che mi ha insegnato ogni cosa…
è...
L’uomo invincibile, capace di spaventarmi con uno sguardo...
è...
“Ho colpito il cane! Mio
signore, ho colpito il cane!”
Gli girava la testa, Dòmhnall sentiva di essere sul punto di
vomitare. No, non era possibile, non era assolutamente possibile.
Sentì il vociare degli altri uomini che tornavano indietro,
il giovane continuò a muoversi confuso, assente, come una
bestia ferita, tentando di raggiungere la posizione dell'arciere e
vedere con i suoi occhi il cane che non era un cane, e la donna stesa
sulla fredda terra, la mente gli pulsava: si rifiutava di accettare il
significato di quelle parole. Cercava disperato una
spiegazione diversa.
Uccisi... Dòmhnall… te li ha uccisi…
Entrambi...
Non è possibile… Quell'uomo non può
averli colpiti... Non entrambi… Non sono loro, non possono
essere loro...
Se non sono loro... dove sono i tuoi?Perché le tracce
finiscono qui? Dov'è
il bambino?
Dòmhnall, come impazzito, riprese a cercare tracce tra gli
alberi, senza trovare più niente, senza vedere
più niente, nemmeno a pochi centimetri dai suoi occhi, non
vedeva più nemmeno le sue mani, i suoi piedi, le foglie, la
terra: tutto era nero, oscuro. Tutto era morte. Aveva paura,
Dòmhnall, aveva paura di sapere, paura di
vedere. Paura di scoprire la verità. Paura di
scoprire che la verità peggiore era ormai anche l'unica
possibile.
Si stava abbandonando alla disperazione, al gelo che gli intorpidiva le
membra, agiva senza riflettere, non gli importava di essere scoperto,
decine d’immagini terrificanti gli balenavano nella mente e
lo sconvolgevano tanto da non riuscire a respirare: ricordava quello
che suo padre aveva raccontato della prigione, cosa aveva visto fare
alle donne nelle segrete del castello, sapeva perché parlava
di quegli uomini come di bestie immonde. Si sentiva
soffocare... Viva o morta, doveva trovare e nascondere sua
madre, non poteva lasciare che quegli esseri ripugnanti
la... Cercava, disperato, di aggrapparsi all'idea che fosse
tutto un errore, ma non ci credeva già più:
desiderava profondamente lanciarsi nella mischia, scatenare tutta la
rabbia che sentiva in corpo, vendicarsi su quei miserabili maledetti,
ucciderli tutti. O morire... Sì, avrebbe
persino desiderato la morte, pur di non vedere, se solo la voce
amorevole di sua madre non gli avesse ripetuto, nella mente, un nome,
sempre lo stesso, ossessivo, infinito, dolce e al tempo
stesso terribile.
Cuilén…
L’odio che sentiva dentro lo spingeva a uccidere o morire, ma
c'era suo fratello da salvare, quel fratello che suo padre gli aveva
affidato, insieme alla Fiamma di Habarcat. Dòmhnall
si accucciò alla base di un albero, pianse tutte le lacrime
che sentiva dentro di sé, la testa gli sembrava esplodere,
mentre non aveva più idea di dove fosse, perso tra le foglie
e in se stesso: non capiva cosa stesse facendo, né cosa
dovesse fare, cosa fosse giusto e cosa sbagliato, chi dovesse aiutare,
chi abbandonare.
Cosa devo fare?
Spettava a lui ormai proteggere quanto di più prezioso e
sacro era nato e cresciuto in seno alla loro famiglia, suo padre gli
aveva spiegato il valore di suo fratello, del bambino nato a Oimelc,
del custode di Habarcat, la cui vita era tutt'uno con la
Fiamma. Aveva commesso un errore, lasciandolo nella foresta:
ora, tutto rischiava di finire. Come aveva fatto a non
capirlo? Suo padre aveva intuito dall'inizio di non avere
scampo, li aveva allontanati per mettere in salvo l'unico che dovesse
salvarsi, Cuilèn, glielo aveva affidato perché
era ancora troppo piccolo per cavarsela da solo... Suo padre
non li aveva spediti alla Sorgente per poi ritrovarsi là,
non aveva scelto una strada diversa per raggiungerli, sapeva
dall’inizio che non si sarebbero più
rivisti… L'aveva spedito alla Sorgente
perché era lì che sarebbe apparso il Mago della
Confraternita entro pochi giorni, al massimo poche settimane:
Dòmhnall sarebbe dovuto ritornare in seno alla Confraternita
con Habarcat e il Custode-bambino. Era questa l'unica cosa che
suo padre gli aveva chiesto di fare... L’ultima
richiesta, il suo addio, il suo testamento… E
Dòmhnall non l'aveva ascoltato: aveva rovinato tutto, aveva
privato Cuilén della Fiamma, aveva portato Habarcat in mezzo
a una battaglia, da cui, se non se ne fosse andato subito, non sarebbe
mai uscito vivo.
Il Mago, però, non poteva permettere che... se i soldati
avessero trovato sua madre... non poteva allontanarsi, non poteva
lasciare che l'orrore si consumasse pienamente. Si
risollevò, deciso a vendere cara la pelle e fare tutto
quello che era ancora possibile. La vide, così, tra gli
alberi, sulla terra pregna di aghi di pino: era lì, a
pochissimi passi da lui, tra le foglie cadute a segnare gli ultimi
giorni di quell'estate maledetta. La guardò, da
lontano sembrava addormentata. Dòmhnall non capiva
cosa stava vedendo, paura e speranza si fondevano, l'aveva trovata, era
finita, poteva scappare con lei... non si chiese nemmeno dove fosse il
bambino, perché non fosse al suo fianco, o se ci fosse
ancora speranza per suo padre... Lieve, si avvicinò,
pregando di sentire ancora il suo respiro, la toccò, la
annusò, riconobbe l'odore che più amava al mondo,
riconobbe il calore che tante volte l'aveva accolto con un abbraccio,
ma non osava guardare il suo viso, i suoi occhi, aspettava muto che
quelle mani, abbandonate, scomposte, sulla terra, si sollevassero ad
accarezzargli il volto, come continuava a fare, anche ora che era quasi
un uomo, pronto a vivere la sua vita. Gliene prese una e la
portò alle labbra, la baciò, era ancora calda, si
avvicinò alla sua testa e le sussurrò piano
all’orecchio, chiamandola lieve, “madre”.
Non si spaventò del silenzio, sapeva che era stanca, era
sfinita dal travaglio, ora ci avrebbe pensato lui a sua madre,
l'avrebbe salvata lui, avrebbe fatto ciò che suo padre,
sacrificandosi, non era riuscito a portare a compimento...
l’avrebbe difesa lui.
Scivolò, timido, con le mani sotto le sue costole, per
sollevarla, caricarsela sulle spalle e finalmente allontanarsi da
lì, nascondersi, fuggire, raggiungere
Cuilèn. Quando tutto fosse finito, quando fosse
stata di nuovo a casa, forse... Forse un giorno,
l’avrebbe perdonato per non aver salvato il
bambino… l’ultimo dono che le aveva fatto suo
padre. Tutte le speranze morirono, però, appena
Dòmhnall sentì qualcosa di umido e vischioso,
ancora caldo, che gli impastava le dita. Rimase pietrificato:
ancora caldo… caldo... sangue caldo… tanto
sangue, caldo… Che cos'era quel sangue? Da dove veniva tutto
quel sangue? Chi l'aveva ferita così?
Il respiro gli si mozzò nei polmoni. La
guardò, infine, in volto, vide gli occhi, gli amati occhi,
socchiusi, freddi, vuoti di morte, Dòmhnall si
sentì morire. Era lì, a pochi passi da
lei, com’era possibile? Quei maledetti gliela avevano uccisa,
lì, mentre lui era a pochi passi da
lei... Com’era possibile? Impazzito, la
girò sul fianco e le controllò, nella
semioscurità dei cespugli, la schiena, tastandola si accorse
che non c'erano ferite, non ce n'erano neppure sul torace, nessuna
freccia, nessuna spada aveva trapassato il suo amato corpo. Allora
perché? Quel sangue, tutto quel dannato sangue
veniva... Quando abbassò lo sguardo sul suo ventre,
l'urlo di orrore gli morì in gola. Le gambe, il ventre, la
tunica, erano una sola, orrenda, immensa macchia di sangue.
Dòmhnall sapeva come nascono i bambini, ma non conosceva i
dettagli e le complicazioni di un parto, suo padre non gli avevano mai
spiegato nulla a quel proposito, perché suo figlio non aveva
attitudine come Guaritore. Il giovane, perciò, non
comprese il vero motivo del sangue e di quella
morte. Dòmhnall immaginò, con
l’odio e la paura: immaginò le cose più
turpi e orribili. Immaginò l'arciere che
approfittava della debolezza di sua madre, che la catturava, la
profanava e infine la uccideva. Non capì più
niente, adagiò orripilato quel corpo a terra, credendolo
intriso della bestemmia di quell'uomo miserabile, come se la vergogna
della bestia avesse corroso quelle membra amorevoli che tante volte
l'avevano baciato, da cui era nato. Sua madre non era
più lì, non c'era più, non l'avrebbe
guardato più, baciato più. Non avrebbe
più sentito la sua voce, accolto le sue
carezze. Non avrebbe più concesso il suo abbraccio
all’uomo amato, e non sarebbe più stata accolta
tra le sue braccia. Le era anzi stato imposto come ultimo, il
tocco di una mano sacrilega.
Tremò... Dòmhnall non poteva
accettarlo. Non contava più niente per
lui. Non gl’importava più di niente,
nemmeno delle promesse che aveva fatto, delle responsabilità
che aveva assunto. Esisteva solo la vendetta, l'odio, il
sangue. Nei suoi occhi e nella sua mente c'era solo il
sangue. Bramava il sangue, bramava vendetta, bramava
morte. Di quel maledetto Babbano, e di ogni altro Babbano
avesse trovato sul suo cammino. Non avrebbe avuto
pietà, mai e poi mai, fino all’ultimo dei suoi
giorni.
Iniziò a vagare tra gli alberi, gli occhi vuoti e freddi, il
corpo tremante, privo di controllo, le sue labbra fremevano, parlavano
senza che se ne accorgesse, ripetevano, come un mantra infinito, il
nome del lupo che dilania le membra, della serpe che inietta il suo
veleno, del rapace che strappa via gli occhi. Infervorato, incatenava i
nomi alle antiche formule, legava le formule al suo dolore, consacrava
il dolore al desiderio di morte e di vendetta. Non contava nient'altro,
non sentiva nient'altro, nemmeno quando, fermo tra i cespugli, vide il
signore di Glower-o ‘er-em sollevare la spada tre volte e per
tre volte conficcarla nel corpo di suo padre, il sangue nero come la
pece che fuoriusciva e scorreva lento a macchiare le Rune del suo
petto, mentre l'essere schifoso ghignava e dava ordini all'arciere e al
monaco. Dòmhnall era freddo, determinato,
deciso. Attese. Attese che l'arciere restasse solo,
attese che riprendesse per le gambe suo padre, attese che ricominciasse
a trascinarlo come un sacco verso il fiume. Poi chiuse gli occhi.
Concentrò tutto se stesso nelle parole di morte che
riempivano il suo cuore, nel dolore e nella rabbia di cui erano
cariche, catturò nel fiato il desiderio di vendetta e lo
liberò nell'aria, col suo respiro, permeò la
natura attorno a sè di quell'odio, di quella fredda frenesia
di morte e perdizione, osservò alcuni rami degli alberi, a
terra, concentrò la sua mente su di loro, chiese alla natura
di trasformarli in serpi velenose, le micidiali serpi con la testa
verde, quelle da cui suo padre lo metteva sempre in guardia,
d'estate. Con occhi pieni di lacrime, Dòmhnall
ricordò come sorrideva della preoccupazione di suo padre,
non si era mai accorto che suo figlio era in grado di parlare con i
serpenti... Osservò l'uomo cadere mentre i rettili
gli si avvinghiavano alle gambe, alle braccia, lo soffocavano
attorcigliandosi al suo collo, poi iniziarono a colpire, a strappare, a
stringere, impercettibilmente sobillate dal piegarsi e dal distendersi
delle sue labbra. Godeva di quella paura e di quel dolore,
anche se sapeva che sarebbe sempre stato niente, rispetto a quanto
aveva subito sua madre. Nella disperazione folle che lo
devastava, veder quell'uomo contorcersi nella sofferenza gli dava
appena un poco di sollievo: decise che doveva soffrire di
più, ancora di più, doveva rimpiangere fino
all’ultimo respiro quello che aveva fatto, voleva sentirlo
implorare il suo dio di dargli la morte... Solo per dargli
ancora più sofferenza, ancora e ancora: sarebbe stata quella
la risposta al levarsi delle sue suppliche. Quando si accorse
che quasi non reagiva più e i suoi sussulti si stavano
trasformando in rantolo, che non poteva trarre, ancora per molto,
soddisfazione dalla morte di quell'uomo, si avvicinò, si
chinò a prendere la spada dell'arciere, ammirò da
vicino il volto deformato dal dolore, la supplica muta nel suo sguardo
ormai quasi cieco, gli squarci provocati dalle serpi, affamate e
impazzite, che strappavano le sue carni.
“Io ti maleico, Kenneth mac
Maìl, maledico te e la tua stirpe immonda, tutta la lurida
feccia che condivide il tuo sangue sporco e miserabile, lurido essere
inferiore, voglio che tu muoia in atroci sofferenze, e che la mia
maledizione perseguiti te e tutti i tuoi simili che osino ancora alzare
gli occhi e la mano sulle discendenti di Sheira nic a' Thon…
da oggi e fino alla fine dei tempi… per la gloria dei
Daur…”
Afferrò la spada, gli fece desiderare e sperare il colpo di
grazia, quindi soffiò ancora le sue litanie nell'aria,
ordinando ai suoi amici dalla testa verde, di non colpire mortalmente,
di non iniettare altro veleno, così che si prolungasse il
più possibile quella lenta, orribile, inesorabile
agonia. Si chinò sul corpo privo di vita di suo
padre, osservò lo squarcio dei tre colpi di spada sul suo
petto, tremò vedendo che il signore di Glower-o
‘er-em aveva cancellato quasi completamente la Runa che
portava sul torace: secondo la legge degli Antichi, una profanazione
simile avrebbe rallentato l'ingresso della sua anima nelle Terre della
Purificazione. Avrebbe
pagato… Quell’essere indegno avrebbe
pagato anche per questo. Dòmhnall sollevò la
spada, il chiarore del nuovo giorno filtrava tra le fronde, da est, e
luccicò sul metallo: sarebbe stato il giorno più
onorevole, per quell’antico ferro, strappato dal ventre delle
Terre del Nord, per gli stupidi giochi di guerra di quei dannati
Babbani. Quel giorno, la spada e la terra sarebbero state
consacrate nel sangue e nella vendetta, per la morte dei figli di Daur.
***
Quando Áed vide la Strega riversa a terra, tra le foglie
secche e gli aghi degli alberi, tentò di lanciarsi subito su
di lei, anche se non aveva ancora deciso cosa farle, sapeva soltanto
che aspettava quel momento da quando aveva seppellito suo
figlio. E ora la puttana era lì, a terra, alla sua
mercé. Gregorius, con difficoltà,
riuscì a bloccarlo, non gli era bastato uno sguardo dei
suoi, stavolta, quello con cui lo riprendeva ogni volta che gli
confessava di aver costretto una giovane ancella a giacere con lui, era
dovuto ricorrere alle minacce, gli aveva ricordato quanto doloroso
fosse il fuoco dell’inferno e della dannazione
eterna. Áed sbuffò, poco convinto, ma si
ritrasse, lo guardò: stranamente agile, il vecchio monaco si
era avvicinato alla Strega, rapido come un ratto, aveva iniziato a
toccarla, voltarla, guardarle tra le vesti, insistere sulle mani e sul
collo, un comportamento per lo meno bizzarro, visto che aveva appena
ripetuto per l’ennesima volta al suo signore che donne come
quella non andavano toccate, che erano pericolose,
diaboliche...
“La Strega è
già morta, mio signore... basta solo
bruciarla…”
“Come sarebbe a dire, morta?
Morta come? Kenneth me la pagherà, gli avevo detto
esplicitamente che volevo essere io a decidere della sua
sorte!”
“Questa donna é
morta di parto, mio signore... non dovreste avvicinarvi, qui
è pieno di sangue impuro, e... ”
Gregorius non riuscì a finire la frase, Áed si
era già lanciato di nuovo su di lui e l'aveva allontanato,
si era inginocchiato vicino alla donna, osservandola incredulo: l'aveva
sollevata appena un po’ da terra, le aveva dato uno schiaffo,
era sicuro che stesse recitando, che fosse tutto un patetico inganno,
che avesse preso qualche infuso per fingersi morta e non affrontare la
vendetta che, implacabile, stava per scatenarsi su di lei.
“Che state facendo, mio
signore? Non potete profanare un morto, nemmeno se si tratta di una
strega! Anzi… soprattutto se si tratta di… la
vostra anima…”
“Taci!”
Áed lo spintonò via per l’ennesima
volta, facendolo cadere a terra, era stanco di quella presenza
invadente, non sapeva se quella donna fosse viva o veramente morta e
nemmeno gli interessava: ora che la rivedeva dopo tanto tempo,
così da vicino, con quei capelli corvini sulla pelle di
porcellana e il corpo pieno… ora che sentiva il tepore
ancora vivo del suo copro... il suo voluttuoso corpo... Era
stanco di quel dannato vecchio che gli rammentava sempre il fuoco
dell’inferno, lui voleva sfogare i suoi istinti, dopo tutti
quei mesi di guerra e dolore ne aveva bisogno: e nulla gli avrebbe
impedito, morta o non morta, di prendersi quella donna. Era
lì, finalmente, a un passo da quel piacere che inseguiva
ormai da quasi venti anni, nessun girone dell’inferno gli
faceva paura, il destino glielo doveva, in un modo o nell'altro, alla
fine, si sarebbe preso almeno parte di ciò che desiderava.
Rapido sotto gli occhi inorriditi del monaco, estrasse il pugnale dalla
cintola e, con un colpo secco, aprì completamente la veste
della strega, osservò bramoso quel corpo niveo, pieno,
materno, distolse rapido lo sguardo dall'oscurità sanguigna
che percepiva in basso, per non perdere il coraggio, la lussuria che
gli accecava completamente il cervello. Portò le
mani ai lembi della propria tunica, se la sollevò sopra i
lombi, iniziò a indugiare con decisione sul proprio pube,
per accelerare il risveglio del proprio corpo. Gregorius, dietro di
lui, iniziò a urlare come un ossesso, impedendogli di
concentrarsi e ottenere un qualche risultato, alla fine, esasperato, si
girò verso il vecchio per ordinargli di smetterla di
infastidirlo, ma quando lo guardò, dal suo volto atterrito
si rese conto che il monaco non lo stava implorando di smetterla,
quanto di scappare. Áed non capì, fece
appena in tempo a voltarsi dall'altra parte, vide appena il lampo del
metallo che si abbatteva dall’alto di traverso su di lui, ma
il cervello non riuscì a registrare altre l'informazione:
Áed mac Taidg, signore di Glower-o
‘er-em era già morto.
Il monaco, inorridito, vide la testa del suo signore rotolare a terra,
accanto ai suoi piedi e finire tra i rovi, il sangue schizzare e
macchiare tutto quello che c'era lì attorno, il corpo
crollare a terra, a pochi centimetri da quello della Strega, come un
sacco vuoto. Si guardò le vesti, lorde di sangue,
appena per un secondo, guardò il demonio che era sbucato
dagli alberi brandendo la spada, un ragazzino esile, semi nudo, con le
dita delle mani, dei piedi e il collo decorati dalle Rune della
Confraternita, occhi di acciaio che saettavano sotto la zazzera
corvina, le guance sporche di terra e lacrime e sangue. Era
senza alcun dubbio il figlio della Strega, un indemoniato. Un
indemoniato che aveva appena visto suo padre e sua madre uccisi dalla
sua gente, un fascio di dolore, di odio e di desiderio feroce di
vendetta. Gregorius deglutì, nascose meglio il
contenuto della sua mano nella tasca interna della tonaca e fece un
impercettibile passo all’indietro, osservando quella creatura
della notte che aveva appena ucciso con una freddezza inumana il
padrone di quelle terre, poi, per quanto gli consentivano le membra
minate dal tempo, iniziò a correre, gettandosi tra i rovi e
i cespugli, invocando aiuto a squarciagola. La sua corsa
procedeva confusa, il vecchio cadde e si rialzò
più volte, sentiva appena un fruscio dietro di
sé, che lo convinse ancora di più di essere
inseguito dal diavolo, non da una persona: no, non poteva una persona
fare... Gregorius incespicò, cadde, si
rialzò, iniziò a recitare le preghiere al Signore
nella sua mente, finché non si vide la strada sbarrata da
una gigantesca creatura irta e pelosa, provò a deviare, ma
dai cespugli, altri occhi gialli, da lupo, sembravano circondarlo.
“Nel nome del Signore della
Croce, io ti ordino... “.
Gregorius si sentì raggiungere dal ragazzo, si
guardò intorno, atterrito, gli parve di vedere un varco, si
buttò in quella direzione, cercò di riprendere la
fuga, ma qualcosa lo fece cadere di nuovo a terra e lo
trascinò all’indietro per alcuni metri, tra le
foglie. Urlò, le unghie del vecchio affondarono negli aghi
di pino, mentre Dòmhnall, brandendo la spada, gli balzava
sopra, deciso a chiudere quella faccenda una volta per tutte, occuparsi
finalmente dei corpi dei suoi genitori e ritornare indietro da
Cuilèn. Il vecchio si voltò, avvicinò
rapido il pugno alla mano e soffiò con forza,
Dòmhnall respirò una specie di farina di pino e
non vide più niente, incespicò e cadde a sua
volta, sentì il vecchio muoversi tra le foglie e riprendere,
stranamente agile, la fuga. Si rialzò e
ricominciò la caccia, riprese a parlare al vento,
aizzò i lupi contro il vecchio monaco: aveva visto tutto,
molto bene, mentre quel maledetto maiale cercava di approfittarsi di
sua madre, il vecchio, con la scusa di verificarne la morte, le aveva
sottratto l'anello con la pietra verde, l’anello che suo
padre aveva fatto per lei e che sua madre teneva sempre alla mano
destra. Era di nuovo quasi addosso al vecchio, i lupi lo
stavano costringendo verso una piccola radura lì a pochi
passi, da cui non c’era possibilità di scampo:
anche se era un vecchio, Dòmhnall non avrebbe avuto
pietà, era stato il cappellano di Glower-o ‘er-em
a far imprigionare e condannare alla forca suo padre… era il
momento della resa dei conti. Dòmnhall
brandì di nuovo la spada e si preparò ad
assaltare il vecchio, intrappolato nella
radura. Sentì un sibilo e poi un altro,
all’altezza del suo orecchio, si voltò, un dardo
centrò in pieno il suo braccio destro, passandolo da parte a
parte, e gli fece cadere la spada. Il Mago scrutò tra gli
alberi, sicuro di veder apparire uno degli ultimi uomini di Glower-o
‘er-em, ma un intenso scalpiccio riempì
rapidamente tutto il bosco intorno a lui: i Centauri, almeno una
dozzina di Centauri l’avevano accerchiato, i volti contratti
in un’espressione bellicosa.
*continua*
NdA:
Innanzitutto mi scuso per la presenza di molti pezzi abbastanza
pesanti, ma volevo giustificare la caratterizzazione che
darò al personaggio. Credo ormai sia chiaro che cosa ho
deciso di fare con questa ff... almeno per chi ha letto That Love, il
discorso della maledizione dovrebbe aver dato un indizio decisivo
sull'identità finale di Domhnall (insieme al discorso dei
serpenti, della lingua dei serpenti, dell'odio per i Babbani... la
questione del nome... per quello occorrerà aspettare qualche
altro capitolo, invece). L'idea può lasciare interdetti ma
non è estemporanea, come può apparire in questo
momento, ne avevo già messo le basi in That Love quando
Mirzam dice a Rodolphus :
RL:
“... io sono un Lestrange, ho anche delle
responsabilità verso la mia famiglia. Per questo, non posso
permettermi… interferenze… o Maghi
del Nord imboscati nel Norfolk…”
MS: “Non so se fa più ridere pensare a Bella come
a una donnetta qualsiasi o ai Maghi del Nord imboscati nel Norfolk.
Salazar!…”
RL:“... Sai benissimo di cosa sto parlando!”
MS: “No, Rodolphus, mi spiace, ma non ne ho idea: non
ci sono Maghi del Nord nel Norfolk da quando Salazar Slytherin ha
lasciato quelle paludi per raggiungere la Scozia…”
Bon, non mi resta che ringraziare tutti coloro che
hanno letto, aggiunto alle liste e/o commentato. A presto.
Valeria
Scheda
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