Capitolo XXXIV
Sometimes
I think that I think too much
And
that it’s all in my head and I can’t touch
‘And
I’m chasing all my cares away
Fighting
for freedom for one day
(The
View, Beautiful¹)
13 Dicembre 2023
Londra,
Ministero della Magia.
DALM, Ufficio Auror, Mattina.
Harry era un tipo piuttosto mattiniero.
Non sempre, ad onor del
vero.
Solo quando c’era un caso che lo teneva impegnato. Ed essendo
il Capo
dell’Ufficio auror, ormai erano pochi i casi che passano
direttamente sotto le
sue mani.
Quella mattina era il primo
auror a timbrare il cartellino. Infatti l’enorme stanzone
compartimentato erano
sgombro, silenzioso e soprattutto privo di promemoria che svolazzavano
ovunque.
Salì di buona
lena la rampa di
scale a chiocciola che lo portava al suo ufficio e aprì la
porta
dell’anticamera augurando un buongiorno frettoloso alla sua
segretaria, l’unica
che lo battesse sul tempo.
“Signore,
c’è una persona che
la sta aspettando.” Esordì quella con tono
sorpreso. Quasi non si capacitasse
che alle sette in punto qualcuno oltre a loro fosse lì.
In
effetti…
“Dove?”
Chiese un po’
stupidamente; ma del resto non aveva ancora preso il suo
caffè.
La strega indicò
la stanza. “È
straniera.” Aggiunse incerta. “Ha insistito per
accomodarsi, ed io…”
Harry capì che si
trattava del
famoso agente di collegamento americano.
Speravo
di avere ancora un po’ di margine di autonomia…
Strinse appena le labbra,
cercando al tempo stesso di rasserenare la sua segretaria.
“Hai fatto bene.” Le
sorrise. “La aspettavo.”
Purtroppo.
Sorvolò sul fatto
che non
avrebbe voluto che si sedesse nel suo
ufficio prima del suo arrivo: dopotutto era meglio
così, se la sarebbe sbrigata
velocemente.
Le
darò le informazioni che vuole. Un intero fascicolo
da trecento pagine di informazioni. Dovrebbe tenerla impegnata per un
po’.
La squadra di Ron era
partita cinque
giorni prima con una passaporta per l’Islanda, direzione
‘Riserva’ – nome
eufemistico per definire la struttura di massima sicurezza dove
venivano tenuti
i Dissennatori – per parlare con i sorveglianti.
C’è
voluta una settimana per ottenere le
passaporte.
Maledetta
burocrazia magica. Merlino, vorrei davvero
che Hermione la smettesse di scherzare, quando dice che potrebbe
candidarsi a
Ministro. Perché potrei finire per proporla io.
In ogni caso, come
immaginava,
non era venuto fuori molto. I sorveglianti erano stati affatturati
– alcuni di
loro si trovava ancora in ospedale – e la barriera magica di
contenimento,
disattivata. Le testimonianze raccolte parlavano dell’arrivo
improvviso di una nebbia nera e di lumos inefficaci.
Come
al Torneo. Hanno usato lo stesso modus operandi.
I
guardiani non hanno neppure visto da dove arrivavano gli incantesimi.
In ogni caso, i Dissennatori
non erano andati in Scozia motu proprio.
Qualcuno doveva averli indirizzati.
Hohenheim.
La Thule. Anche se non hanno rivendicato
come avrebbe fatto Voldemort, la traccia è chiara.
È
il loro modo di fare le cose.
Entrò nel proprio
ufficio
chiudendosi la porta alle spalle. Quelle riflessioni
l’avevano messo di cattivo
umore, e quindi non si premurò neanche di stamparsi in
faccia un sorriso
cordiale.
La donna che si
voltò alla sua
entrata era senza dubbio l’agente di collegamento, dato che
indossava
l’uniforme del DALM americano. Però ad Harry fece
un’impressione diversa rispetto
ad Ethan Scott.
La strega doveva essere
all’incirca sua coetanea. Era una creola dai lineamenti
morbidi e capelli
leonini ad incorniciare un viso attraente.
Ma
fanno un casting per scegliere gli agenti del DALM?
Non
era però scattata in piedi al suo
arrivo, si era semplicemente alzata.
“Sergente Eleanor
Gillespie.” Si
presentò. “Ho preferito aspettarla qui. La sua
segretaria sembrava non avere la
minima idea di cosa farne di me.”
Harry odiava i convenevoli farciti di giri di parole a
quell’ora del mattino:
fu felice di non trovarne nelle parola dell’americana.
“Harry Potter. Prego …” Le
fece cenno, e la donna obbedì sedendosi. Lo seguì
però con lo sguardo mentre si
accomodava dietro la scrivania.
Harry capì che lo stava studiando: era abituato ad essere
osservato, da più
tempo di quanto ormai ricordasse, ma quello era uno sguardo analitico.
Lo stava
pesando.
Un
punto a lei.
Chi perdeva tempo a capire
se
c’era qualcosa oltre la leggenda del Prescelto, per Harry
meritava immediatamente
credito.
“Mattiniera…”
Osservò con un
mezzo sorriso, per rompere il ghiaccio.
“Sono arrivata con
la
passaporta angloamericana delle quattro.”
“Ha già trovato dove stare?” Poteva pur
concederle dei convenevoli, pensò un
po’ imbarazzato. Dopotutto sembrava aver passato una notte in
bianco.
Come
me.
“Sì, mi
sono accomodata ad una
locanda a Diagon Alley. Il Paiolo Magico?”
“La conosco molto bene. Vecchia, ma dal servizio
eccellente.”
Esauriti le formalità rimasero brevemente in silenzio. Harry
si chiese se non
dovesse chiamare Grace e farsi dare il faldone dell’indagine,
ma la donna lo
precedette.
“So bene che non
mi vuole qui.”
Esordì. Aveva un’espressione determinata, di chi
non aveva tempo da perdere e
voleva subito mettere le carte in tavola.
Un
piacevole cambiamento dopo quel damerino da
fotoromanzo… Non so se l’abbia scelta Malfoy, ma
se fosse, devo proprio
mandargli un cesto di frutta.
“Non mi
fraintenda…” Replicò,
non sapendo bene come metterla per non suonare sgarbato. Del resto non
aveva
motivo di avercela con lei per principio.
Anche
se fin’ora ho avuto solo pessime impressioni
dagli americani.
“Non lo sto
facendo.” Ribatté
la strega. “È stato chiaro. L’agente
Scott è tornato a Boston su tutte le
furie. Mi ha detto di essere stato più volte umiliato dal
capo dell’ufficio
auror, oltre che da una selva di ragazzini sfrontati
…”
“Cioè da me e dai miei figli.” Convenne
senza battere ciglio.
Se
si aspetta che mi scusi o giustifichi…
La strega inarcò
le
sopracciglia, poi scoppiò inaspettatamente in una risata.
Era solida e
piacevole. “Mi avevano detto che lei era un uomo senza mezze
misure, Signor
Potter… a quanto pare ciò che si dice degli
inglesi è veritiero. Sapete
combattere le vostre battaglie.”
“E ci riusciamo anche piuttosto bene.”
Annuì tranquillamente. “Mi ascolti, Miss
Gillespie…”
“Nora.” Lo
corresse. “Niente
formalismi. Li trovo stupidi.”
“Vale lo stesso per me.” Si sentì
sorridere Harry. Tentò di ricordarsi che
quell’agente sarebbe stato una spina nel fianco, ma la
realtà era che la
trovava piuttosto interessante. “Nora, devo parlarle
chiaramente. Non sono
abituato a essere frenato, quando indago. È vero, ormai sono
più che altro un timbra
- carte con un sacco di trofei sulla scrivania…”
Fece una pausa, quasi a
sottolineare che non fosse veramente
così. “… ma questa indagine mi sta a
cuore. E la seguirò personalmente.”
“Per via del suo figlioccio.” Soggiunse
l’altra andando al succo della
questione. Doveva essere una sua qualità. “Sa,
dalle mie parti lei sarebbe
stato tenuto fuori. Troppo coinvolto.”
“Per fortuna siamo in Inghilterra.”
Ribatté. “E per fortuna, questa indagine la
conduco io.”
La strega fece un lieve cenno di assenso. “Sì,
è una fortuna.” Ed Harry intuì
quello che non aveva capito durante il primo colloquio con Malfoy.
C’era un motivo
per cui improvvisamente il viscido Scott aveva deciso di dargli
informazioni
tramite Draco, nello specifico, sull’arrivo dei Dissennatori.
Voleva
che mi immischiassi.
Non sapeva se esserne se
provare un certo compiacimento – la sua fama serviva qualcosa
oltre a essere
seguito neppure fosse una superstar – o allerta.
Mi
considerano utile. Ma vogliono collaborare … o
usarmi?
“C’era
una strategia dietro
l’improvvisa voglia di chiacchierare dell’agente
Scott?” Chiese alla donna. “Mi
avete fatto avere le informazioni sull’arrivo dei
Dissennatori per
coinvolgermi?”
Quella fece un sorriso. “Sì.” Disse
senza mezzi termini. “L’anno scorso ha
messo le mani su John Doe. Comunque sia andato alla fine, lei
è il primo ad
averlo arrestato. È un risultato notevole. Molti dei miei
erano contrari al
coinvolgimento dell’Ufficio Auror. Ma io sono una di quelle
che ha votato pro.”
Accavallò le gambe e assunse una posa indubbiamente
rilassata. Il suo
esame era finito: lo riteneva idoneo.
Ma
non è finito il tuo, Nora…
Harry passò un
dito sulla
scrivania. Neppure un grammo di polvere, registrò distratto.
“Dovrei
ringraziarla?” Certe uscite gli uscivano da un recesso del
suo Io.
Probabilmente dove a lungo aveva soggiornato Voldemort.
La strega non si scompose.
“No.”
Era da apprezzare per le risposte trancianti. “Harry,
vogliamo la stessa cosa.
Hohenheim in prigione, che sia inglese o americana, e che la Thule
sparisca per
sempre dalla faccia della terra. Lei è un mago di valore, e
ci serve il suo
aiuto.”
Harry non rispose. Fece
invece
una domanda che lo angustiava ormai da mesi. “Scott era
particolarmente
insistente nel voler parlare con Thomas. Lo ha invitato a studiare da
voi, una
volta terminata la scuola.”
“Abbiamo ottime accademie di sperimentazione
magica.” Rispose la donna
stringendosi nelle spalle. “Mi pare di capire che uno dei
motivi principali
della sua sfiducia verso di noi sia la convinzione che il governo
americano
voglia… prendere il suo
figlioccio.”
Usò il termine con piena cognizione di causa. “Per
via delle sue
particolarità.”
“Non è
così?” Decisamente
l’anfratto-Voldemort.
“Le faccio una domanda, Harry. Se il suo figlioccio venisse
di sua sponte, lei
lo fermerebbe?”
Harry fece una smorfia: se
la metteva
in quel modo la sua risposta non poteva che essere una sola.
“No.”
Mormorò. “Se fosse
quello che vuole, certo che no.”
“Allora non vedo il problema. Il mio governo investe, ed
è sempre alla ricerca
di nuovi talenti. Ma non rapisce giovani maghi.”
Harry si sentì piuttosto stupido. E frustrato parimenti,
visto che era stato
trattato come un adolescente irragionevole. La strega parve intuirlo,
perché
fece un lieve cenno, come a scacciare qualcosa di molesto.
“Non sono qui per
questo, ma
per aiutarvi a prendere il cattivo.” Sorrise. “A
Boston hanno pensato che, dopo
l’esperienza con l’agente Scott, avrebbe preferito
collaborare con qualcuno di
più informato. Quel qualcuno sono io. La nostra task-force ha cinque anni. Io seguo la
Thule da dieci.” Spiegò, e
non c’era compiacimento, semplicemente attestazione.
“Capisco.”
Replicò, forse
freddamente. Poteva essere fissazione che affondava le radici nella sua
adolescenza, ma era meglio andarci coi piedi di peltro.
Vedendo però
l’espressione perplessa
dell’altra, si spiegò. “Il suo governo
non è mai sembrato troppo propenso alla
trasparenza, Nora. Pensi ciò che vuole, ma per me non
è semplicemente questione
di prendere il cattivo…”
Si tolse gli
occhiali. Se già cominciavano a pesargli, significava che la
giornata era
iniziata in modo impegnativo. Li pulì.
“… piuttosto di mettere fine a questa
storia ed assicurare a Thomas la serenità.”
“Harry…” La donna di sporse sulla
scrivania. “Mi creda, se c’è una cosa
che
voglio fare prima di morire, è sbattere quel figlio di
puttana in una cella.”
Il tono era duro, improvvisamente privo di ogni orpello educato. Harry
notò in
quel momento che la donna indossava due fedi nuziali, non una. Quel
gesto era
tristemente universale, purtroppo.
Chi
portava l’altra fede non ne ha più
bisogno…
“È una
vendetta personale?”
Chiese pacatamente.
L’espressione
della donna si
fece guardinga: era chiaro fosse combattuta sul dirgli la
verità o meno. Si
raddrizzò, prendendo evidentemente una decisione.
“Se lo fosse?” Chiese. “Le
causerebbe qualche problema?”
Gli occhi azzurri sembravano acciaio. Harry pensò che non
avrebbe voluto
trovarsi per nulla al mondo dall’altro lato della sua
bacchetta.
E pensò anche che
aveva
finalmente trovato un alleato, oltremare.
Rimase in silenzio per un
attimo. “Dipende. Non avrò obiezioni
finché terrà la bacchetta nel fodero e non
prenderà iniziative senza prima avermi
consultato.” Disse. “Ma deve essere una
promessa. Perché so quanto questo sentimento può
consumare… e mi creda, non
sarei qui se gli avessi dato ascolto.”
La donna non disse nulla, né Harry si aspettava che lo
facesse. Essere un
reduce di guerra – orrenda parola, ma calzante – ti
insegnava a non giudicare
le crociate altrui.
Solo
a prevenirle se vanno fuori controllo.
Preferiva comunque un agente
simile, ad un ragazzetto che cercava solo la prossima promozione .
“Si fida se gli
dico che ho
intenzione di mantenerla?” Chiese, e sembrava seria.
“Dobbiamo fidarci
l’uno
dell’altro, Nora. Ed apprezzo la sua sincerità.
Quindi sì.”
Si strinsero la mano. Ad Harry piacque la stretta. Aveva sempre pensato
che si
potevano capire molte cose da quel semplice convenevole. La mano della
donna
era forte, salda. Ne aveva strette molte: quella mano non avrebbe
vacillato al
momento opportuno.
Si accomodò di
nuovo, imitando
inconsciamente lo stesso movimento che la strega aveva fatto prima.
“Che altro posso
dirle?
Benvenuta in squadra, sergente.”
****
Londra,
Regent’s Street. Mattina inoltrata.
“Ma non era un
quartiere
malfamato questo?”
“No, tu parli dell’East End. Questo è il
West
End. E ci stiamo dirigendo verso
Mayfair.”
“… sono confuso.”
Tom alzò gli occhi al cielo, chiedendosi se non avrebbe
dovuto afferrare la
mano di Al per tenerselo affianco: l’altro ragazzo si
guardava attorno,
rischiando di sbattere contro i tanti indaffarati londinesi che
sfrecciavano bevendo
caffè, sbocconcellando sandwich e parlando agli auricolari.
“Forza
ragazzi!” Li apostrofò
sua madre, già a dieci passi da loro. Era incredibile come
riuscisse a
sgusciare tra la folla. In effetti la statura minuta aiutava.
“Voglio portarvi
in un posto delizioso per pranzo, ma rischiamo di trovarlo pieno se
ritardiamo
con la nostra tabella di marcia!”
Sorrideva però, e sorrideva ad Al che aveva l’aria
del pesciolino fuor d’acqua
e un gran sorrisone da bambino in un negozio di giocattoli.
Almeno
ha lasciato quell’orrendo berretto ad Hogwarts…
Portare Al in mezzo alla
Londra babbana era piuttosto divertente, comunque.
Ho
idea che non volesse accompagnare Lily e Rose per
scegliere il loro vestito.
Lo tirò da parte
prima che
fosse investito da una signora impellicciata con tanto di cocker
spaniel.
“Non eri mai stato
da queste
parti?” Gli chiese.
“Mno…” Borbotto l’altro
distratto, agganciando gli occhi all’insegna di uno
Starbucks. “Cioè, sì… sono
stato da queste parti, ma di notte. D’estate, con
Mike, per night-club. È diverso.”
“Night-club…” Si rabbuiò, poi
lo vide sorridere sotto i baffi. “Cosa?”
“Non è
vero Tom, dai!” Appena
captò il suo sollievo, aggiunse, veloce come un serpente.
“Erano gay-club!”
E poi trotterellò in
direzione di Robin, prendendola a braccetto.
Sbuffò,
raggiungendoli. Era
comunque … piacevole… vedere sua madre e il suo
ragazzo interagire cordialmente.
Robin ci aveva messo un po’ a perdonare il Mondo Magico e Al,
al suo ritorno,
era stato il primo mago verso cui mostrare freddezza. Adesso
però sembrava
tutto a posto, da come la donna si stava lanciando in appassionati
anatemi contro
il junk-food.
“Mamma, temo
proprio che vorrà
provarlo, con o senza la tua approvazione.”
Osservò, vedendo come l’altro
ragazzo guardava cupidamente le varie insegne colorate di pub e
caffè.
La donna scacciò l’eventualità con uno
sbuffo energico. “Sciocchezze! Al è
abituato a mangiare cibi di campagna, cose sane! Lo troverebbe
disgustoso.”
Al, diplomaticamente, fece uno di quei suoi sorrisi adorabili.
“Non so zia
Robbie. Mi piace l’insegna di quella Star…
Stabu…”
“Starbucks. Sì,
abbiamo afferrato il
concetto. Dopo ci andiamo.” Sospirò, facendo
ridacchiare gli altri due.
Era un momento di quiete.
Presto
avrebbe dovuto affrontare il carico multiforme dei suoi problemi.
Ma non oggi.
Quel giorno avrebbe preso le
misure per il suo vestito, avrebbe evitato che Al ne acquistasse uno
orrendo e
avrebbe trascorso il pomeriggio con sua madre. Tutto lì. Una
cosa normale.
Arrivarono alla boutique che
dove
aveva preso il superbo completo del processo.
Salive Row²…
Tom non si riteneva un
amante
dello shopping. Comprare libri e musica erano semplicemente coronamento
dei
suoi interessi. Ma lì era un altro discorso.
L’insegna recitava
‘Gieves & Hawkes³’
e poco sotto
‘abiti su misura’.
Tom sorrise. Sua madre
condivideva con lui un viscerale amore per gli abiti di alta sartoria.
Siamo
gli unici in famiglia a capire la differenza tra un
completo da tre pezzi e uno da due.
Così, quando in
una lettera ad
Alicia aveva accennato casualmente
al
Ballo del Ceppo… in una manciata di ore si era visto
arrivare una risposta
tramite Kafka, con le coordinate per ora, giorno e luogo in cui
dovevano
incontrarsi per acquistare l’abito perfetto.
Certo, aveva già
il vestito che
aveva usato per l’udienza…
Ma
non puoi usare lo stesso completo per due occasioni tanto
diverse, Tom!
“Sai, non mi
aspettavo che tua
mamma fosse tipa da negozio di lusso.” Sussurrò
Al, guardandosi attorno con deferenza.
L’unico negozio del genere in cui era mai entrato era Madama
McClan.
E
confeziona delle grosse sottane, checché ne dicano
tutti. Abiti da cerimonia? Sono sottane.
“Da chi credi
abbia preso il
mio buongusto? Non certo da mio padre o tantomeno dal
tuo…” Replicò, evitando
la conseguente gomitata micidiale in direzione costole.
“Tom, Al, venite
qui!” Li
apostrofò Robin, già in compagnia del sarto. Tom
vide Al guardare malissimo il
suddetto, colpevole probabilmente di essere giovane, carino e di
avergli
sorriso.
Ah,
è lo stesso dell’altra volta. Quello del
‘Thomas,
hai una figura così slanciata’.
Si tolse il cappotto e lo
passò ad Al, che lo prese docilmente.
“Ti
metterà le mani addosso?”
Chiese questo con falsissima indifferenza.
“È la
procedura.” Replicò con
lo stesso tono. “Non ci sono metri che si librano da soli
qui.”
“Se usa troppo le mani se ne troverà una in
più. Per magia.” Fu la risposta .
Tom dovette trattenersi
mentre
si dirigeva in camerino: se si fosse messo a ridere Albus
l’avrebbe
affatturato, Statuto di Segretezza o meno.
Una mezz’ora dopo,
e con tutte
le misure fatte, il suo ragazzo era dello stesso colore dei garofani
che erano
disposti sul bancone vicino alla cassa. E stava torcendo
il suo cappotto.
“Abbiamo finito,
Thomas… puoi
andare a rivestirti.” Gli annunciò il sarto con un
sorriso seducente. Tom si
chiese se non avrebbe finito per fargli scivolare il suo numero in
tasca. Per
la seconda volta.
Il tipo non doveva aver
notato
Al. C’era da dire che, infagottato in un maglione Weasley e
con i capelli
arruffati per colpa dell’umidità londinese non era
particolarmente degno di
attenzioni sofisticate.
Tranne
delle mie.
Rientrò nel
camerino, un largo
ambiente delimitato da una tenda di pesante tessuto navy.
Il flusso dei suoi
compiaciuti
pensieri fu interrotto però dallo scostarsi furioso della
tenda.
Conseguentemente venne
spinto
contro il muro opposto e baciato a morte da un Al che, lo dimenticava
sempre, aveva
una presa da boa constrictor e geni
Potter.
Mi
chiedevo quanto ci avrebbe messo… lui e i suoi
gay-club estivi con Zabini… così impara.
Tom lo distanziò
per evitare
che gli strappasse le labbra. Era piacevole, ma un po’
doloroso. “Al?”
“Io …
quello… dov’è
la mia bacchetta?” Borbottò,
innervosito dalla sparizione. “L’ho
persa!”
“Non fare il
James.” Lo
ammonì, beccandosi un’occhiata luciferina.
“Non l’hai persa. Te l’ho presa
mentre dormicchiavi sull’Espresso o l’avresti
persa.” Ghignò, parando un colpo alla spalla.
“Perché sei arrabbiato?”
“Quel tipo ti ha toccato il sedere! Ci stava provando con te!
E tu eri tutto soddisfatto!”
“Mi ha preso le misure per i pantaloni… nel mondo
babbano si fa così, te l’ho
già detto.” Obbiettò. L’altro
gli lanciò un’occhiata livorosa, perché
aveva
capito che lo stava rabbuffando come un cagnetto.
“Ti diverte che
voglia
strozzarlo?”
“Forse…” Concesse. “Abbiamo
finito, comunque. Mia madre passerà a ritirare il
vestito la settimana prossima e me lo spedirà via gufo. Ora
possiamo andare a
cercare il tuo.”
Al si imbronciò senza neppure tentare di nasconderlo.
“Non ne ho voglia.” Si
ficcò le mani in tasca. “Odio il mondo babbano. Mi
comprerò un abito da
cerimonia!”
Tom afferrò i due lembi della sciarpa che penzolava sul
maglione per tirarselo
contro. “Non te lo posso permettere. E comunque, mi sembra,
odi solo i sarti
babbani…”
“Stronzate.”
“Sei
geloso.” Constatò mentre
l’altro giocava con il colletto della camicia di prova.
Avrebbe dovuto togliersela,
visto che fuori c’erano ben due persone ad attenderlo.
Ma…
Al lo tirò
giù per arrivare
alla sua altezza. “È ovvio. Stronzo
vanesio.” Disse, e poi lo baciò.
Sicuramente tutta la
faccenda
dei cosiddetti ‘ormoni adolescenziali’ era
esagerata, ma Tom in quel momento
pensò che i fautori di tale teoria avessero qualche punto.
Specie perché Al si
stava facendo largo tra la porzione di pelle e la cintura in modo delizioso. E ultimamente, poi, aveva il
vizio di baciarlo sul punto più sensibile dietro la curva
dell’orecchio. Era
una cosa che lo faceva impazzire.
Okay.
Ragione. Ormoni. Adolescenti.
Tom soffocò un
gemito,
sentendosi un idiota senza che la cosa lo preoccupasse poi molto.
Infilò le
dita sotto il maglione dell’altro e ovviamente,
perché dopotutto erano in un
negozio pieno di gente…
“Tom, hai finito?
Al, tesoro,
gli dici di sbrigarsi?”
Al si staccò con
disinvoltura,
con le guance solo appena rosate.
Perché
stava ghignando?
La consapevolezza lo
raggiunse
con una forza di uno schiantesimo.
L’ha fatto di nuovo. Come in
infermeria,
dopo la prova… Si è controllato, mentre
io…
Mentre lui, al momento
attuale, non sapeva come diavolo allacciarsi i jeans senza evirarsi.
L’altro gli
sorrise
amorevolmente. “Sta venendo!” Aveva fatto davvero
un gioco di parole degno solo di quella sciagurata di Lily?
“Non provarci mai
più, a farmi ingelosire, Signor Figura
Slanciata…” mormorò, prima di scostare
la tenda e piantarlo lì.
****
Scozia,
Hogsmeade. Pomeriggio.
“Come diavolo ha
fatto Albie
ad andare a Londra? Dannazione!”
Lily, pensò Rose con un sospiro, era tendenzialmente una
ragazza allegra e di
buon carattere. Però si tramutava in una valchiria quando si
trattava di shopping.
“Te l’ho
già detto Lils. È
maggiorenne, ha la possibilità di assentarsi una mezza
giornata per motivi…”
“… gravi e comprovati!” Concluse
l’altra, incedendo come una regina per la High
Street. Il rosso accecante dei suoi capelli faceva pari col suo stato
d’animo.
Aveva già visto un paio di persone, maghi fatti, cederle il
passo. “Ma quali?”
“Penso abbia detto che doveva fare una visita al San
Mungo… e che la stessa
scusa l’abbia usata anche Tom.”
“Serpeverde…” Brontolò Hugo,
che aveva assunto un’aria remotamente patibolare
da quando gli era stato detto che sì, avrebbero visitato negozi.
Povero
fratellino. Maschi: allergici allo shopping. Tranne
quel vanesio di Jam.
Lily fece una smorfia.
“Non
capisco come il loro Direttore ci sia cascato.” Fece mente
locale. “Oh, giusto,
Al è il cocco della sua Casa e Tom pure.”
“Quanti negozi dovremo visitare?” Pigolò
Hugo, due passi dietro a loro. “Non
tanti, vero?”
“Moltissimi.” Replicò impietosa Lily,
poi sospirò. “Beh… chapeau
alle loro facce di bronzo. A me Neville non avrebbe mai
creduto.”
“No, non sei minimamente verosimile a due settimane dal
Ballo… e poi hai
quindici anni.”
“Non.
Ricordarmelo.” Sibilò la
ragazzina, affilando lo sguardo.
Rose ridacchiò,
alzando le
mani in segno di resa.
Stava… meglio.
Perlomeno non
aveva più voglia di gettarsi dalla Torre di Astronomia.
Certo, ogni volta che
rivolgeva la parola a Scorpius sentiva un orrendo magone
all’altezza del petto,
ma il peggio era passato.
Dopotutto, quella pausa si
stava rivelando quasi benefica. Scorpius aveva più tempo da
dedicare a sé
stesso e al Torneo, e lei per la preparazione dei MAGO …
…
ma chi voglio prendere in giro…
Si strinse la sciarpa al
collo, mentre vento misto a nevischio sbatté loro
impietosamente in faccia.
Scorpius le mancava, ma non
riusciva a trovare il coraggio di avvicinarlo per parlargli di quello.
Il biondo, del resto,
sembrava
vivere la loro pausa in modo sereno. Non la ignorava, no, ma la teneva
a
distanza, al di là di battutine e gran sorrisi da
fotomodello.
Rose sapeva di dover fare
qualcosa per sbloccare la situazione, ma non aveva idea di cosa.
Cioè,
sì, lo sapeva, ma non
era facile.
Papà
non fa che far rispondere la mamma alle mie
lettere, dicendo che è ‘occupato’ con le
indagini. Sarà pur vero, ma non vuole
parlarmi.
Per andare avanti, per
riavviare la situazione – pausa dannata – doveva
mettere un punto con suo
padre.
Dovrò
appostarmi fuori dal Ministero per sorprenderlo?
Presa da quei pensieri si
accorse a malapena che erano entrati ai Tre Manici per incontrare
Roxanne: Lily
non si muoveva senza di lei quando faceva shopping.
La ex-corvonero venne loro
incontro salutandoli allegramente. Era stata appena passata alle
regolari nelle
Harpies, e questo giustificava il
suo
inconsueto buon’umore. Lily e Hugo si lanciarono nei
complimenti d’occasione e
Rose, dopo averli imitati per non sembrare disinteressata, diede
un’occhiata al
locale.
Anche
Scorpius dovrebbe essere
qui … figurati se rifiuta la
possibilità di una libera uscita extra.
E infatti Scorpius
c’era. In
compagnia di Violet Parkinson - Goyle.
Rose non notò che
con loro era
seduto anche l’assistente di Dom. Registrò
soltanto che parlavano in francese,
e Miss Capelli D’Ebano stringeva il braccio di Scorpius con
familiarità.
Vanno
al Ballo assieme
– realizzò – Vanno
al Ballo assieme.
Quasi si scontrò
con la porta
nel tentativo di aprirla e lanciarsi fuori. Il trillare di un milione di campanellini natalizi
–
perché diavolo Hannah li metteva ogni anno? – fece
voltare parecchie persone,
compresi i suoi cugini e, naturalmente, Malfoy e compagna.
“Rosie!”
Esclamò il ragazzo, o almeno sembrò lo dicesse.
Del resto
era già scappata fuori con le lacrime agli occhi di
ordinanza.
Vanno
al Ballo assieme. Non mi ha neanche chiesto con
chi ci andavo. Va bene, siamo in pausa, ma perché ci deve
andare con la sua
fottuta promessa sposa?!
Era umiliante e voleva solo
materializzarsi in camera sua e scoppiare a piangere. O uccidere
Malfoy.
Entrambe le possibilità erano allettanti, ma materialmente
infattibili.
Quindi, corse nella prima
direzione in cui il suo dolore adolescente la indirizzò. Poi
venne afferrata
per un braccio da qualcuno che neanche aveva il fiatone per la corsa.
“Fiorellino!”
Sbottò Scorpius,
prima di rendersi conto che non era il momento di dar nomignoli.
“Okay… Rose.
Aspetta, ti…”
“Brutto stronzo!”
Gli urlò a pieni
polmoni, prima di tirargli una spinta. Non le interessava che fossero
in mezzo
ad una via trafficata. “Ipocrita!”
Scorpius la
guardò sbalordito,
e anche imbarazzato. Diede un’occhiata attorno e poi
l’afferrò per un braccio,
trascinandola nel primo vicolo disponibile.
Rose lo lasciò
fare, perché
capiva nebulosamente fosse meglio così.
“Di che diavolo
stai parlando,
Weasley?” Chiese poi con quella sua faccia da schiaffi. Fu
tentata di tirargliene
uno, in effetti.
“Lo sai
benissimo!” Sapeva che
la sua voce era stridula e poco piacevole ma…
‘fanculo. “Blateri di pause, che riprenderemo,
e appena volto la testa ti
trovo avvinghiato ad un’oca!”
Il ragazzo le
lanciò uno
sguardo dapprima confuso, poi incredulo. Se si fosse messo a sorridere
l’avrebbe ucciso.
“No, ascolta, hai
frainteso…”
“Frainteso
un cazzo!” Benissimo, anche la
scurrilità. Rose capiva
che non era una buona idea fare una scenata ad una persona che stava
valutando
se riprenderla nella sua vita, ma non le interessava. Voleva solo
soffocarlo in
un quintale di neve. “Quella stronza è la tua
promessa sposa, lo sanno tutti, e
appena mi molli, cominci ad
uscire con lei? Dove avrei frainteso esattamente?!”
Scorpius inspirò.
Sembrava piuttosto
arrabbiato anche lui, ma era evidente che si stesse trattenendo per
fare il
ragionevole dei due. “Non sto uscendo con Violet.”
Disse, pacatamente. “E dico
sul serio.” Aggiunse alla sua espressione riottosa.
“E per quella roba del
matrimonio combinato… sono cose che hanno caldeggiato
le nostre famiglia, ma non siamo obbligati. Penso che Violet
preferirebbe
buttarsi da un ponte, piuttosto che sposarmi.”
“Sì, si
vede da come ti
guarda.” Sputò fuori malmostosa.
Scorpius fece una smorfia
esasperata. “È tutta scena, ti assicuro che
proprio non le interesso!” Scandì
con attenzione. Rose lo fissò confusa. Sbuffò di
nuovo. “Non le interesso per
quello che sono.”
“Biondo?”
Scorpius lo guardò incredulo, poi non ce la fece,
scoppiò a ridere. “Merlino,
Rosie, solo tu potevi uscirtene con una battuta del genere!”
Ridacchiò,
rivolgendole un sorriso affettuoso. Come se sapesse che era mezza
matta, ma che
lo trovasse un pregio.
Si fissarono per un attimo,
imbarazzati. Rose si sentì una cretina.
Scenata
in mezzo alla strada. Da oca cretina.
“Però
al Ballo ci vai con
lei.” Esordì, cercando di mantenere la voce su un
tono saldo.
Scorpius fece spallucce.
“Devo
avere una dama, e lei… beh. Diciamo che il cavaliere
prescelto non è…
convenzionale.” Fece un mezzo sorrisetto tra sé e
sé. Rose si sentì esclusa, ma
ingoiò il rospo.
“Se non avessi
avuto Al…”
Mormorò invece, pianissimo. “… mi
avresti invitata?”
Voglio
saperlo. Devo saperlo. Ci vado con Al solo perché
avevo
paura che non mi avresti invitata.
Giocare
in anticipo. Forse a volte è una cazzata.
Scorpius
non disse nulla, ma le si
avvicinò. Le alzò il viso con le dita, una mossa
da Casanova, ma che addosso a
lui era carina. “Tu mi
avresti detto
di sì?” Le chiese serio.
“Perché so che i tuoi genitori e tuo zio saranno
lì
come invitati.” Non le lasciò il tempo di
rispondere. “Se te l’avessi chiesto,
avrei preteso tutti i balli e ti
avrei baciato in mezzo alla pista. Di fronte a tutti.”
Rose a quel punto lo baciò. Lei, che due anni prima si
sarebbe lanciata in una
lunga riflessione sulle implicazioni e i rischi possibili di quel gesto.
Lo voleva e se
l’era preso.
Tutto lì.
Scorpius comunque
lo ricambiò, passandole le braccia attorno alla vita e
spingendosela contro.
Riflessi
condizionati? Forse, ma Merlino, chi se ne
importa…
Si staccarono, e Scorpius
fece
un mezzo sorriso. “Non era nei patti.” Disse, ma
non sembrava dispiaciuto. A
dirla tutta, aveva una strana espressione addosso, quasi estremamente
concentrata.
Assurdo
stronzetto.
“Non sono in pausa
dai miei
sentimenti, cretino.” Borbottò sentendosi le
guance scottare.
“Neppure
io.”
“Allora
perché diavolo
continuiamo a starci lontani?” Sbottò incredula.
Non era uno stupido, né un
insensibile, doveva aver capito che quella situazione era uno schifo. “Sì, okay,
ho ancora quella
situazione tra il non detto e il non risolto con i miei,
ma…”
Beh,
dici poco – Considerò impietosa una
voce nella sua testa.
“Corteggiami.” Le disse, riattirando la
sua attenzione.
“… scusa?” La sua espressione doveva
essere tragicamente buffa, perché l’altro
soffocò un sorrisetto con un tic alla mascella.
E poi Rose comprese la
strategia di quella serpe travestita da leone.
Vuole
mettermi alla prova. Dopo la mia presa di parte
con mio padre, vuole vedere se sono disposta a rincorrerlo…
Se fosse stato qualcun
altro,
l’avrebbe mandato sontuosamente a quel paese, ma era Malfoy.
Ha
una parte di ragione, per quanto me lo stia
dimostrando in modo contorto.
“Tu
sei…” Inspirò cercando di
frenarsi dall’istinto di prenderlo a schiaffi e baciarlo di
nuovo. Si risolse
ad appoggiarsi al muro del vicolo e sbuffare.
“È
più facile di quanto pensi …
sono un ragazzo credulone.” Si sporse per darle un bacio
sulla guancia. “Devo
tornare. Ci vediamo a scuola?”
Rose lo ascoltò a
malapena.
“Sì… a scuola.”
L’avrebbe ucciso, era decisamente un Malfoy.
E lei si era innamorata di
quel Malfoy.
Vuoi
la scopa, mia cara? Ora impara a voltare.
Doveva decisamente scovare
suo
padre.
Dieci
minuti dopo, ai Tre Manici…
Scorpius si
arruffò
convulsamente i capelli. “Volevo baciarla! Volevo baciarla e
dirle che era
tutto dimenticato!” Piagnucolò sottovoce, che era
pur sempre il Campione di
Hogwarts.
Violet, dall’alto
della sua
esperienza decennale in Weasley, sebbene d’Oltre Manica,
roteò gli occhi al
cielo. “Scorpius, sei patetico. Ti dice niente la parola strategia?”
“Sì, è quella cosa che dovrà
fare Dursley per me.” Mugugnò distratto,
appoggiando la guancia contro il legno del tavolo. Si tirò
su, quando lo trovò
appiccicoso. “Tenerla a distanza.”
Ripeté
diligente, strofinandosi la guancia. “So che sta funzionando,
e so che è la direzione
giusta per avere
un rapporto funzionale ed equilibrato in futuro… ma quando
mi ha baciato non le
sono saltato addosso solo perché sono un Occlumante e mi
sono tappato!”
Mael gli diede una pacchetta sulla spalla. “Beh,
ma… se il punto è farle
trovare il coraggio per uscire fuori e farla in barba a suo
padre…”
“Sta funzionando.” Proclamò Violet.
“Tieni duro.”
“Rosiiee…”
Violet gli rivolse una
smorfia
disgustata. “E poi mi si chiede perché preferisco
le donne.”
****
Londra,
Piccadilly Circus. Pomeriggio inoltrato.
Albus aveva insistito per
andare ad ordinare non appena messo piede dentro lo Starbucks.
Tutto contento, dopo essersi
fatto ripetere tre volte le loro ordinazioni, si era diretto verso il
bancone.
Tom gli lanciò un’occhiata poco convinta dal
divanetto in cui si era accomodato
con la madre.
“Finirà per sbagliare a contare i
penny…”
“Dagli un po’ di fiducia, dopotutto Harry ha
vissuto con… i babbani.”
Fece una risatina divertita. “Scusa,
ma è un modo così buffo per definirci! Comunque.
Ci ha vissuto per anni. Avrà
insegnato ai suoi figli a contare le sterline!”
“Al fa fatica a dare il resto persino con la valuta
magica.”
Sua madre sbuffò, scacciando con un gesto evasivo la
possibilità. Lanciò poi
un’occhiata alla grossa busta di Burton
ai loro piedi. “Però su una cosa hai
ragione… ha un gusto tremendo. Dio, quel
completo a coste che voleva comprarsi…” Fece una
nuova risata, nascondendola in
una mano. “Ma nel mondo magico sono tutti
così?”
“Amano i colori vivaci. Motivi vistosi…”
Convenne raccogliendo con la punta
delle dita dei granelli di zucchero sul tavolo. Lanciò
un’occhiata all’altro
mago: stava borbottando tra sé e sé le
ordinazioni. Gli venne da sorridere. “…
ma effettivamente lui è particolare.”
“È vero…” Sua madre fece uno
strano mezzo sorriso che Tom le aveva visto solo
quando beccava lei ed Alicia a confabulare in giardino di
‘segreti tra donne’.
Che
poi l’ho sempre saputo. Parlavano di ragazzi. Sai
che segreti…
“Comunque
è una fortuna aver
trovato un gilet dello stesso esatto
colore della tua cravatta… il lavanda è proprio
il vostro colore.” Osservò,
ancora con la stessa espressione, mentre Al intanto scandiva
entusiasticamente
i nomi delle loro ordinazioni ad una divertita ragazza al bancone.
“Sarete così
carini, coordinati. Si usa anche ad Hogwarts coordinare i vestiti per
un ballo?”
Tom cominciò ad intuire dove voleva andare a parare. Solo,
gli sembrava impossibile.
Non aveva mai parlato a sua madre di certe
cose, e lei, stranamente visto quant’era
impicciona, non aveva mai chiesto.
“Se ci si va in
coppia, a
volte…” Si risolse a dire, guardingo.
“Beh,
infatti.” Fece una delle
sue disimpegnate scrollate di spalle aussie.
“Ci andate assieme.”
Era una certezza. Tom le lanciò uno sguardo sicuramente
sbalordito, perché
l’altra rise. “Cos’è quella
faccia?” Chiese osando
anche essere stupita.
“Mamma, mi hai appena detto che pensi che io e Albus siamo
una coppia.”
“E non è così?”
“Al ci va con sua
cugina
Rose.”
“Non hai risposto alla mia domanda.”
Quella conversazione stava diventa surreale.
Sua madre
incrociò le braccia
al petto. Era una posa piuttosto buffa ed espressiva. Ironica, anche,
visto che
l’assumeva solo quando doveva prendere in giro suo padre e i
suoi fratelli.
“Thomas…
sono tua madre.”
Esordì. “Pensi che sia così stordita da
non rendermi conto che ti sei innamorato?”
“Io e Al siamo
sempre stati
legati.” Tentò. Voleva vedere fino a che punto
aveva capito.
Siamo
così palesi?
“Sì,
è vero.” Concesse la
donna. “Ma in quest’ultimo anno è
cambiato qualcosa. Siete ancora più… vicini,
diciamo e non solo per quello che ti è successo.”
Scosse la testa. “E poi vi
siete appartati in camerino. Vecchio adagio, tesoro. L’ho
fatto anch’io con tuo
padre.”
Tom tacque, cercando di
raccogliere le idee. Sperò ardentemente che Al non
arrivasse, perché la sua
presenza probabilmente non avrebbe migliorato la situazione.
Sarebbe
capace di diventare paonazzo e rovesciarsi le
tazze addosso.
“Non ho confermato
né
smentito, mi sembra.” Cercò di darsi un tono,
perché essere trattato come un
bambino non doveva diventare un abitudine per gli adulti della sua vita.
Ho
già passato quella fase, grazie.
Robin appoggiò i
gomiti al
tavolo, con naturalezza. Lo scrutò con un lieve sorriso
affettuoso. “Allora
dimmi come stanno le cose. So che sei un tipetto pieno di segreti. Ma
questo
non è uno di quelli che devi mantenere con tua
madre.”
Tom sospirò,
facendo una
smorfia irritata. L’altra aveva vinto. “Non mi
piacciono i ragazzi. Mi piace Albus.
Credo.” Aggiunse, perché se avesse dovuto
scegliere, si sarebbe rapportato
mille volte ad un ragazzo come Loki o quel biondino francese, piuttosto
che a
Rose o a Lily.
“Credi che ti
piaccia Al?” Lo
stuzzicò, perché era ovviamente
arrossito. Odiava quel genere di conversazioni a cuore aperto. Le
odiava.
Sperava solo sua madre, dopo
quel coming out, non avrebbe
cominciato a parlargli di giornate dell’orgoglio gay, a cui
peraltro
partecipava attivamente, con rainbow - flag a decorare
l’intero caffè in cui
lavorava.
“Sì, mi
piace Al.” Confermò.
“È il resto degli esseri umani che non
tollero.”
Robin rise di nuovo. Tom si chiese se non fosse fortunato ad avere una
madre
che aveva abbracciato con amore il suo sangue magico e il suo
orientamento
sessuale.
Probabilmente
lo sono estremamente.
“È un
peccato che non andiate
assieme…” Prese un’espressione attenta e
piuttosto combattiva. “Non è un
problema di discriminazione, vero?”
“No … le discriminazioni sono sempre state di
tutt’altro genere.” Scosse la
testa.
E a
quanto pare, io ero il più esaltato.
Sentì una morsa
spiacevole
alla bocca dello stomaco. Quei pensieri gli sovvenivano random, ed era
difficile scollarsi quella sensazione di disagio, dopo. Sua madre lesse
la sua
espressione, ma fraintese il motivo. Gli strinse la mano attraverso il
tavolo.
“Dovresti
chiederglielo
tesoro, se vuoi andare con lui. Rose sono certa
capirà.”
Tom la guardò.
Una piccola,
energica australiana. Lo aveva sempre cresciuto col sorriso, accettando
con
tranquillità tutte le sue stranezze. Che, a posteriori,
erano davvero tante.
Le strinse la mano di
rimando.
“Non è per quello. Ci porterò Meike, al
Ballo… le farà piacere, e perlomeno non
sarò costretto a ballare con qualche ragazza.”
“Allora cosa
c’è?”
Al doveva davvero tornare con le
loro
ordinazioni. Lo vide al bancone dello zucchero, rovesciare bustine e
crema
dentro il suo bicchiere con la stessa concentrazione che avrebbe usato
per
preparare una pozione. Come non
detto…
Sua madre ebbe un lampo di
comprensione. Gli strinse la mano così forte da fargli quasi
male. “Non è per…
per quell’uomo?”
Tom esitò, poi decise di non dire niente. Non poteva
parlarne, c’era lo
Statuto. Ma non se la sentiva neanche di mentirle spudoratamente quando
era
così angosciata.
“Va tutto bene.
Harry si preoccupa
per me, e non mi lascia mettere un piede dove non devo.” Le
sorrise
rassicurante. O almeno, sperò di averlo fatto. Era
inefficace in quel genere di
esternazioni. “Ed ho capito la lezione.”
Sua madre annuì, con un sorriso debole, tenendogli la mano
tra le sue. “Dovrei
dire che ormai sono abituata a non sapere cosa fai quando sei nel tuo
mondo… ma
la verità Thomas, è che non mi sembra di fare la
cosa giusta standoti lontana.
Mi sembra di non proteggerti come dovrei.”
“Non è
colpa vostra. Non
potete…”
“Lo so.” Gli diede una pacchetta.
“Ma… è una cosa da genitori
Thomas… ci manchi
molto, tutto qui.” Non era tutto
lì,
ma Tom non indagò oltre. Sentiva che non sarebbe stato
pronto ad ascoltare il
resto.
Al
ha ragione. Devo ancora sviluppare come si deve la
mia capacità emotiva.
“Mi mancate anche
voi.” Buttò
fuori, suonando quasi aggressivo. Sua madre però gli
sorrise, facendogli una
carezza.
“Il mio
ometto…”
“Mamma, no.”
“Ecco qui,
ometto!” Chiocciò
Albus, con le loro tre ordinazioni su un vassoio in equilibrio
precario. Tom
era certo che avesse aspettato proprio il suo momento di maggior
imbarazzo per
entrare.
Prima
in camerino… e adesso. È il mio turno.
Albus aveva un modo tutto
suo
di fargli pagare le prese in giro e il fatto che lo trattasse da
campagnolo
quando erano nel mondo babbano. In realtà, era un gioco di
ritorsioni vicendevoli.
Certo, alla fine avevano
voglia di strozzarsi a vicenda, ma era anche divertente. E la versione
maligna
di Al piuttosto eccitante.
Ma
questa è una cosa mia.
Squadernò quindi
un sogghigno
che mise in evidente allarme l’altro. Prese il suo
caffè americano e ne diede
un sorso. Poi parlò.
“Mamma, sai che
nel Mondo
Magico non sanno proprio niente di
prevenzione dalle malattie sessualmente trasmissibili?” Vide
Al diventare
bianco come un cadavere. Il sesso, per lui, era qualcosa che non si
discuteva
ad alta voce. Non direttamente. Si alludeva.
Doveva essere un retaggio familiare, a giudicare quanto era pudico
Harry; per
non parlare di quel represso di Ron.
Comunque,
devo ammetterlo, il mio Potter – Weasley recupera
ampiamente a letto.
Sua madre abboccò
all’amo.
“Thomas! Vuoi dire che non usate il preservativo?”
Passarono la successiva mezz’ora a tentare di smacchiare il
maglione di Al da
ben due ordinazioni.
****
Hogwarts,
Dormitorio di Serpeverde, Stanza del
Caposcuola.
Dopocena.
“Sei stato
veramente stronzo.”
Tom fece un sorrisetto compiaciuto mentre riponeva con la bacchetta il
completo
di Al – finalmente poteva usarla indisturbato –nel
suo armadio. Con attenzione,
che non si sgualcisse. L’altro sarebbe stato capace di
impilarlo assieme ai
suoi terrificanti maglioni e alle mortificanti felpe sportive.
“Mi sono solo
vendicato… non
vedo dove stia il problema.” Osservò neutro,
voltandosi. Albus se ne stava
steso sul letto, con le braccia incrociate e genericamente
l’aria arruffata,
imbarazzata e ostile.
Era delizioso.
“Vendicato di
cosa?!”
“Forse dell’erezione che mi sono dovuto far passare
in camerino…” Gli fece
notare, e Al ebbe il buon gusto di ghignare.
Dopotutto erano serpeverde.
“Ma quella era per
il sarto
lascivo, visto che lo assecondavi.”
“Mh. Lascivo.”
Se la passò sulla
lingua, mentre l’altro tentava miseramente di non fissargli
le labbra. “Hai
imparato una nuova parola.”
“Stronzo!”
“Questa invece è sempre la stessa.”
Tom evitò per un soffio il lancio di Jenkins, parando con un
braccio. La mira
di Al era eccellente, ma anche piuttosto prevedibile. Almeno per lui.
Una
pausa… solo una piccola pausa da tutto quello che
mi sta aleggiando attorno…
Le indagini di Harry erano
partite, Scorpius l’aveva ufficialmente designato suo
assistente e sarebbe partito
per Durmstrang. Erano tutte buone notizie in sé, ma
complessivamente lo avvicinavano
allo Scontro Finale, come lo aveva ribattezzato Al.
Si mise in ginocchio sul
letto, raggiungendo l’altro, che tentò di
scostarsi. Tentò era la parola
giusta: non ne aveva difatti la minima intenzione. Ebbero una breve
colluttazione, dove Tom probabilmente avrebbe avuto la peggio
– l’altro era
stato temprato da risse infantili con James – se il suddetto
non si fosse
docilmente arreso dopo circa dieci secondi.
Tom si trovò
quindi sopra di
lui, a tenerlo fermo con una mano sul petto.
“Per me
quell’erezione puoi
tenertela per tutta la notte.” Ritorse Al, ficcandogli le
unghie nella pelle
del braccio.
“Quest’erezione.”
Specificò, e ad Al tremò un sorriso sulle labbra,
premendo per uscire. “Comunque ho vinto io.”
“Con l’agghiacciante conversazione sul sesso
babbano che ho dovuto sostenere
con tua madre, di sicuro.” Brontolò
l’altro, rabbrividendo al ricordo. “Non
sapevo che sapesse, comunque.”
“Non gliel’ho detto io…”
Lasciò la presa sul petto, ora che sapeva che non
sarebbe sgusciato via con consumata abilità da Cercatore.
Gli baciò il collo,
ottenendo in risposta un sospiro soffice. “L’ha
intuito da sola. In effetti, a
ben pensarci, davanti a lei mancava solo ci tenessimo per
mano…” Gli soffiò
sulla pelle.
“Non ti tengo per mano d’inverno… hai le
mani come due ghiaccioli.” Mugolò Al,
che in certi casi perdeva la capacità di parola spedita per
diventare un
piccolo cumulo di ansiti e gemiti. Non che a Tom spiacesse, beninteso.
Affatto.
Sollevò il
maglione Weasley e
glielo fece passare dalla testa mandandolo a morire da qualche parte
sotto il
letto. Al fece fare la stessa fine alla sua maglietta.
Tom pensò che
avrebbero dovuto
essere tutti così, i momenti della sua vita. Non perfetti,
ma giusti per loro.
E
ricaccerò sin nelle viscere dell’inferno Hohenheim
per continuare ad averne…
Al lo tirò a
sé per un bacio. “Non
siamo il genere di coppia che sta avvinghiata come un
polipo… per questo la
gente pensa che potremo esserlo, ma
non ha prove…” Interruppe il corso dei suoi
pensieri. “E poi neanche andiamo al
Ballo assieme.”
Tom inarcò le
sopracciglia. Aveva
sentito del rimpianto?
“Volevi che andassimo assieme?”
Al prese un’aria imbarazzata, fissandogli la clavicola destra
con intensità. “…
no.” Emise. “Cioè, ho dato da subito la
mia parola a Rosie e tu l’hai data a
Meike, e poi … non credo ci saranno tante coppie dello
stesso sesso.”
“Più di quante immagini, secondo Nott.”
Lo corresse studiandolo attentamente. “Se
non hai questo desiderio… cos’è che
vuoi?”
Al gli lanciò
un’occhiata, ma
non rispose. Preferì direttamente dargli un altro bacio. E
poi Tom smise di
chiederselo, ben preso da altro.
Quella era tutta colpa di
Lily.
Sì,
perché erano due settimane
che non faceva che parlare di quel maledetto Ballo e, come se non
bastasse, di
come avrebbe volteggiato tra le braccia del suo tedesco. Il che faceva tanto principessa delle fiabe, come
diceva a chiunque le chiedesse come si sentiva in merito.
Poi ci si era aggiunta Rose.
Era
ben determinata ad avere un ballo col suo Malfoy, cascasse il mondo.
Così gli
aveva confidato quella sera a cena, con aria da soldato in missione.
Ballo…
Ballo… dannato, stupido Ballo del Ceppo.
Intrecciò le dita
dietro la
nuca, mentre accanto a lui Tom dormiva profondamente. Avrebbe potuto
soffocarlo
con Jenkins e non avrebbe avuto reazioni percepibili.
Cos’è
che vuoi?
Voleva
un ballo. In minuscolo. Un ballo
con Tom.
Merda.
Sono una principessa.
****
Note:
L’ordinazione di Al è un Caramel
Macchiato. xD Capitolo di passaggio, ma ehi. Ogni tanto ci
vuole.
1
Qui la
canzone. Gruppo estremamente carino.
2. Savile
Row: è la via, nel quartiere di Mayfair, dedicata
interamente alla sartoria su misura. Si trovano boutique vecchie di
secoli,
molto prestigiose. È una passeggiata estremamente chic. xD
Qua per maggiori informazioni.
3. Gieves&Hawkes:
uno dei più vecchi negozi di sartoria del
quartiere, con tanto di benedizione della Regina. Molto costoso.
Qua per maggiori informazioni.
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