Capitolo XXXIX
Those
Christmas lights, Light up the streets
Down
where the sea and city meet
May
all your troubles soon be gone
Oh
Christmas lights, keep shining on
(Christmas
Lights, Coldplay)
24 Dicembre 2022
Devonshire, La Tana.
Il Natale alla Tana era la
teoria del caos applicata alla realtà.
Niente di più,
niente di meno.
Frotte di persone
– la maggior
parte dei quali con capelli rossi – correva da un luogo
all’altro, ridendo,
urlando, inciampando, mentre carichi delicatissimi come vassoi, piatti
o interi
set di suppellettili erano lasciati a danzare nell’aria da
incantesimi di
levitazione.
Nonna Molly, la matrona di
casa, impartiva ordini dalla cucina come un generale, acchiappando di
tanto in
tanto un figlio nella massa e snocciolando corvee da far impallidire
Auror
vissuti.
Lily da bambina si era
sempre
divertita un mondo: con i cugini era tutto un cercare di rubare qualche
leccornia dal lungo tavolo della cucina prima che la nonna se ne
accorgesse.
Al momento si godeva quei
ricordi seduta sul divano del salotto in uno dei rari attimi di calma
che
precedevano il pantagruelico cenone. Le cuginette Lucy e Molly, eredi
di tale
tradizione, si erano acquattate dietro la porta socchiusa della cucina
in
attesa del passaggio del prossimo vassoio. Hugo, con loro, tentava di
tenersi
la bacchetta in tasca, mentre le impietose bambine cercavano di
impadronirsene.
“E manca ancora
metà famiglia…”
Sbuffò Roxanne, seduta accanto a lei. Con un deciso colpo di
bacchetta richiuse
la porta, tra i moti di delusione delle due bambine, gemelle.
“Goditi
l’atmosfera, cugina!”
La apostrofò Dominique, che mangiava da mezz’ora e
nessuno aveva ancora capito
da dove avesse rubato la sua scorta infinita di cibo. Neanche nonna
Molly, che
l’aveva presa sul personale.
“Sì,
prima che arrivi quel
guastafeste di Tommy. Con la sua aura lugubre ci farà
cascare le palle a tutti!”
Esordì James che si rosolava le mani al fuoco del camino.
Lily vide il libro in
cui si era rifugiato Teddy tremare leggermente.
Fa
un pessimo lavoro, se pensa che non ci si accorga
che sta ridendo là dietro.
“Crepa
James.” Fu la naturale
e conseguente risposta di Al.
“È il
casino che non
sopporto.” Le confidò Roxie con un sospiro, mentre
le due rosse cuginette
avevano assalito l’altrettanto fulvo Hugo, nel tentativo di
rubargli la bacchetta.
“Difenditi con
onore, Gogo!”
Motteggiò sadica Dominique, mentre il poveretto tentava di
liberarsi dalle
grinfie delle figlie di Percy Weasley.
“A me invece
piace… dico,
questa confusione. È famiglia.” Rise Lily,
osservando le scene che si
svolgevano di fronte a loro. Quello per lei era Natale, e non riusciva
ad
immaginarlo diversamente.
Rose era l’unica
silenziosa
del gruppo, se si escludeva Teddy. Stava guardando fuori dalla
finestra, seduta
accanto ad Al. Non aveva però l’aria patibolare
degli ultimi tempi, ma quasi
l’espressione… tranquilla.
Anche
se quando è entrata stava tipo a venti metri da
zio Ron. Devono aver litigato. E sono piuttosto sicura di sapere qual
è stato
l’argomento.
Lily si voltò
verso la cugina,
ignorando le grida del suo valletto deputato seguite da rumori sospetti
come
qualcuno di ben più pesante di due bambine che gli si sedeva
sulla schiena.
Probabilmente Dominique. “Ehi
Roxie… sai
dov’è zia Aud?”
“Deve essere su.” Rispose l’altra
distratta, ridacchiando allo spettacolo del poveretto
attaccato da ben tre cugine, di cui una era appunto la micidiale
anglofrancese.
Lily si alzò,
approfittando
della distrazione generale. Sua zia Audrey era una magi-infermiera al
San
Mungo. E lei da un paio di giorni a quella parte aveva un pensiero che
le
frullava per la testa.
Ren.
Beh, non esattamente da un
paio di giorni, ma erano nuove le sue intenzioni a riguardo. Se voleva capire, doveva usare l’unica
cosa di cui
non era fiera. Il suo essere una LeNa.
Non aveva però idea da dove cominciare, con quel suo potere:
da bambina funzionava
senza che potesse farci niente.
Ma
adesso sono cresciuta. Forse è cambiato qualcosa?
Quando Ren e James si erano
sfidati a duello aveva funzionato, in qualche modo. Aveva sentito le
emozioni
dell’altro.
E
se potessi sentire anche i suoi pensieri? Sarebbe più
semplice. Potrei aiutarlo.
…
e capire anche di cosa ha parlato con il Preside
Piton, forse?
Lily vide con la coda
dell’occhio che Albus la stava guardando, ma lo
ignorò. Era arrabbiata con Thomas,
e per una strana osmosi dei sentimenti sentiva che doveva avercela
anche con il
fratello maggiore.
Quei
due sono simbiotici! Il dubbio che pensino anche
in contemporanea viene. Sarebbe una certezza, se non bisticciassero
sempre…
Sua zia Audrey era
effettivamente al piano di sopra, intenta a sistemare la ex-camera di
suo
marito di modo che ospitasse anche lei e le bambine. Stranamente
c’era solo zia
Angelina con lei, e non una pletora di altre zie, o cugine, o parenti
sparsi: era
il momento perfetto per chiederle un consulto.
“Zia
Aud?” Chiese, e la donna rotondetta,
si voltò con un sorriso tutto denti. Zia Audrey le era
sempre sembrata simile
ad una di quelle pagnotte dolci che si sfornavano nelle grandi
occasioni di
festa: morbida, profumata e che andava presa a piccole dosi, onde
evitare
indigestione.
Parla
il triplo di una persona normale…
“Oh, Lils, ciao
tesoro! Ti
serve qualcosa? Merlino, come sei carina oggi… questo
vestitino ti sta
benissimo! Il rosso spesso non sta bene a chi ha i capelli rossi,
ma…” Cominciò
infatti.
“Sì,
ehm, grazie.” La fermò. “Vorrei
parlarti. In privato.” Aggiunse.
“Vado di sotto a
vedere se
Molly ha bisogno di una mano in cucina.” Zia Angelina era una
delle sue parenti
acquisite preferite, avendo la meravigliosa abitudine di non
fare domande.
Caratteristica
rara, in questa famiglia.
Rimaste sole, Lily si
prodigò
nell’aiutare l’altra donna a riporre la roba delle
bambine nella cassapanca.
Certi piccoli gesti rendevano sempre più disponibili persone
del genere. “Zia …
ecco, avrei una domanda.” Iniziò.
“… medica.”
“Medica?”
La donna entrò in
modalità professionale, esattamente come aveva sperato.
“Ti senti poco bene
tesoro?”
“No, no sto
benissimo. È più
una curiosità. Cioè, io sono una LeNa,
no?” Iniziò con tono casuale, mentre
piegava golfini e maglioncini minuscoli. “Mi
chiedevo… dovrò tenere l’orecchino
di controllo, tipo, per tutta la vita?”
Aveva cercato di essere il più noncurante possibile, ma
davanti all’espressione
incuriosita dell’altra, seppe che non era stata poi
così brava.
“Ti dà
fastidio? Forse si è
danneggiato… vieni, fammi dare
un’occhiata.” Lily obbedì e si fece
docilmente
controllare. L’orecchino funzionava benissimo ed era ormai
parte di lei come i
capelli che aveva in testa. Non era quello il punto. “No,
sembra tutto a posto.”
Le fu infatti comunicato.
“Lo so.” Convenne. “È solo che
vorrei sapere se ne ho ancora
bisogno.” Spiegò.
L’altra
rifletté un momento.
“Lils, io non sono una Guaritrice, e non mi sono mai occupata
di questa branca
della Medimagia. Però questo genere di dispositivi sono
fatti per durare una
vita. Il che significa, suppongo, che tu debba
portarli…”
“… per una vita.” Non era dove voleva
che il discorso andasse a parare. Doveva
calcare un po’ la mano. “Ma se volessi togliermelo,
cosa pensi mi succederebbe?”
La donna fece un breve
sospiro, sedendosi sul letto. “Vediamo… la
Legimanzia Naturale è una
caratteristica della propria forza magica, come il metamorfismo dei
Metamorfomaghi.
Solo che mentre la seconda è stancante più o meno
quanto lanciare un Lumos…
la Legimanzia
Naturale è molto più
dispendiosa, in termini di sforzo fisico e magico.” Scosse la
testa. “È ciò che
ricordo dalle lezioni all’Accademia, Lils… non
ricordo molto altro.”
“Va bene… è già
qualcosa.” Rifletté: in effetti si era sentita sul
punto di
svenire quando l’aveva usata durante il duello tra James e
Ren. “Però tu la
paragoni al metamorfismo. Ted può decidere quando usarlo.
Non potrei farlo
anch’io?”
La donna scosse la testa. “Non funziona così,
tesoro. Questo genere di
caratteristiche possono essere sfruttate a comando, è vero,
ma sono anche
legate ai propri stati d’animo. Il che significa che se il
mago subisce una
forte emozione, i poteri si attivano senza che lui ne abbia il
controllo.”
“Ah…sì, è vero.”
Teddy sembrava non rendersi conto dei cambiamenti cromatici in
atto sulla sua testa. Era uno dei motivi principali per cui lei e James
lo
prendevano in giro quando erano bambini.
Perdere il controllo era
precisamente ciò che le era successo ad Hogsmeade.
Volevo
sentirle. Ma non è come se avessi puntato la
bacchetta e pronunciato un incantesimo.
È
successo e basta. E non potevo fermarmi in nessun
modo.
Cavolo.
“È
pericoloso Lily.” La
strappò ai suoi pensieri la zia, con aria seria.
“Capisco che tu sia attirata
dall’idea di sentire cosa pensano gli altri… chi
non lo sarebbe?” Sorrise tra
sé e sé. “Ma non saresti in grado di
controllarti. Potresti consumare…”
“Consumare?”
“La magia non è infinita. È come il
sangue. Può essere rigenerata, ma se ne
perdi troppa in incantesimi, o utilizzando caratteristiche come la tua
che
comportano un grande sforzo magico…”
“Muori?” A quello non aveva pensato.
No,
no, no. Non
è un opzione praticabile.
La donna le sorrise,
alzandosi
e prendendo in mano uno dei golf del marito per liberarlo da un filo
pendente.
“Non esageriamo. Il corpo umano ha dei
meccanismi di difesa. Prima di arrivare a quello, probabilmente
perderesti i
sensi. Poi per un bel po’ dovresti stare lontana da bacchette
e incantesimi.” Le
spiegò dandole una pacchetta sulla spalla.
“È raro che si muoia in questo
modo.”
Raro ma non impossibile? Mi basta.
“Insomma, non devo
togliermelo.” Riassunse, frustrata. Non aveva intenzione di
sentirsi male,
neppure per scoprire cosa passava nella testa del suo teutonico amico.
“Ma se
imparassi a controllarmi? Ci deve essere un modo!”
La strega stavolta le scoccò un’occhiata
perplessa. Probabilmente la sua
insistenza era un tantino sospetta. “Sì, immagino
di sì… te l’ho detto, è una
branca molto specifica, non ne so molto… ma
perché vuoi togliertelo?”
Esibì la sua espressione più innocente.
Sfortunatamente sapeva fosse poco
credibile. “Non lo so. Immagino sarebbe…
interessante… leggere nella testa
delle persone, come hai detto tu.”
Se solo avesse potuto
leggere i pensieri
dell’amico sarebbe stato tutto
più semplice. Non solo le sue emozioni. Con quelle ci faceva
ben poco. Capire
cosa provava non le forniva la causa.
So
come si sente, okay.
Ma non so il perché e chi lo fa
sentire così.
La donna assunse
un’aria
diffidente. “Dovresti chiedere al guaritore che ti ha messo
l’impianto. E
comunque, tesoro, non piace a nessuno sapere di aver vicino qualcuno
che gli fruga
trai pensieri…”
Già.
Si morse un labbro. Certe
pratiche
non erano accettate neppure nel Mondo Magico.
I
pensieri sono la cosa più personale e segreta che si
ha… in nessuno dei due mondi va a genio chi cerca di
rubartela.
“Hai
ragione…” Sorrise
scrollando le spalle. “Era solo una curiosità.
Sembra una cosa troppo
pericolosa comunque. Grazie zia, mi hai tolto un bel po’ di
domande dalla testa!”
La donna sembrò
rasserenata
dalla risposta, e le sorrise di rimando.
Uscita dalla stanza, Lily
sospirò.
Okay,
piano bocciato.
Avrebbe dovuto limitarsi ad
usare
gli strumenti che aveva già a disposizione.
Forse
dovrei solo cercare di farlo confessare… cioè.
Farlo aprire. Farlo parlare.
Cosa piuttosto difficile a
farsi, se ne rendeva conto.
****
“Sei
sicuro?”
“Papà…”
“No, devi dirmi se sei sicuro che
non
faranno uno di quei vostri trucchi…”
Tom alzò gli occhi al cielo, mentre accanto a lui Alicia e
sua madre
ridacchiavano sotto i baffi. Com’era ovvio Dudley Dursley era
terrorizzato
dall’eventualità di entrare in una casa che
pullulava di streghe e maghi di
ogni età e taglia. Anche Vern era tutto
un’occhiata ansiosa.
“Sì,
useranno la magia, ma no,
non lo faranno per spaventarvi.” Ripeté per circa
la ventesima volta da quando
erano partiti da Privet Drive. “Non mi sembra che nessuno di
voi abbia mai
agitato una presa elettrica di fronte ad Harry o ai suoi figli per
divertimento,
no?”
“Non è
la stessa cosa.”
Ribatté testardamente l’uomo, mentre la moglie gli
accarezzava supportiva un
braccio.
“Sta calmo, Big
D.” Lo
apostrofò con gli occhi che le ridevano. “Harry e
la sua famiglia sanno che la
magia ti innervosisce. Tom gliel’ha detto, non è
vero tesoro?”
“Sì.
Gliel’ho ripetuto, a
dirla tutta.” Aprì il
cancello sgangherato della proprietà, lanciando
un’occhiata alle finestre
illuminate della vecchia casa.
Meike accanto a lui diede
una
pacchetta solidale alla mano di Dudley. “Non si preoccupi Herr Dursley!”
Squadernò di colpo la propria bacchetta. “Se le
fanno qualche scherzo, io la difendo!”
Robin afferrò il
marito prima
che facesse uno schizzo indietro. “Grazie Meike, sei molto
cara. Hai sentito D? Sei ben
difeso.”
“Smettetela di prendermi in giro…”
Borbottò aggiustandosi il cappotto. “E tu,
ragazzina… che t’ho detto su quel
legnetto?”
“Bacchetta.” Precisò la bambina con
puntiglio così simile al suo, che Tom si
sentì sghignazzare sua sorella alle spalle. “Lo so
che non la devo tirare fuori
in casa, però adesso non siamo proprio proprio a casa, no?”
“Meike, via la bacchetta.” Tom dovette frenare un
sorrisetto.
Alicia invece non fece lo
stesso. “Andiamo papà, fattene una ragione, ne
vedrai un sacco questa sera!” Lo
apostrofò con aria eccitata, lanciando un’occhiata
curiosa alla casa.
Vernon aggrottò
in
contemporanea le sopracciglia. “Ma… è
tutta storta. Come fa a reggersi in
piedi?”
“Magia.” Ribatté Tom con una certa
soddisfazione, mentre il fratello adottivo
prendeva un’aria ancora più preoccupata.
“Sicuro che ci
regga tutti?”
“Più sicuro che un piano regolatore ben
eseguito.” Replicò, afferrando il battente
del portone e bussando un paio di volte. “Comunque dormiremo
da Harry e la sua
famiglia, non qui.” Spiegò: il viaggio di ritorno,
con un mezzo babbano sarebbe
stato troppo lungo. Robin aveva quindi accettato entusiasticamente
l’invito di
Ginny a trascorrere la notte da loro. Tom l’aveva saputo quel
pomeriggio
stesso.
Avrei
dovuto immaginarlo, dato le distanze. Adesso
capisco perché papà non voleva venire.
Una
serata sì, ma un’intera notte?
“Chissà
com’è dormire in una
casa magica…” Fantasticò Alicia.
Tom le sorrise appena,
mentre
acchiappava Meike per il cappuccio, onde evitare che si scapicollasse
in
giardino. Stava infatti puntando uno gnomo che tentava di passare
inosservato.
“In realtà non è diverso che dormire a
casa nostra. I letti non fluttuano
mentre dormi.”
A meno che tu non abbia imbarazzanti
strascichi di Magia Innata come James.
“Quello
è uno gnomo!” Strillò
Meike. “Non ne ho mai visto uno!”
“Potrai lanciarlo dopo.” La apostrofò,
non potendo fare a meno di notare che
suo padre e Vernon si erano praticamente messi alle sue spalle in cerca
di
protezione.
“Lanciarlo, sul
serio?!”
Tom roteò gli
occhi al cielo
nell’esatto momento in cui Al aprì la porta.
“Benvenuti e Buon
Natale!”
Esordì con la solita quieta giovialità. Questo
prima di vedere Meike ed aprirsi
in un largo sorriso. “Meike!”
“Al!”
Esclamò la bambina con
gioia, placcandolo alla vita. Al non fece una piega probabilmente
perché c’era
abituato grazie al Quidditch.
Mh.
A
quanto pare le sue lettere erano più sentimentali
delle mie, se gli si è affezionata tanto.
“Hai visto Al?
Guarda! Ho una super-nuova
bacchetta! Me l’ha regalata
Tom! Cioè, me l’avete regalata voi!”
Cinguettò felice, rischiando di
ficcargliela in un occhio per l’entusiasmo. “Grazie
per il regalo!”
“È
davvero bellissima, Meike.”
Al gli
scoccò un’occhiata e Tom non si
sentì più l’ultima ruota di scorta. In
realtà, si sentì molto
considerato. “Ma prego, entrate! Ha nevicato, vero? Venite a
scaldarvi!” Apostrofò il resto della famiglia,
salutandoli poi uno ad uno.
Tom aspettò nelle
retrovie.
Quando arrivò Harry riuscì a far spostare suo
padre e suo fratello, immobili,
dall’ingresso. Ringraziò il padrino con
un’occhiata e quello gli sorrise
comprensivo.
La
situazione si normalizzerà non appena capiranno che
nessuno vuole trasformarli in animali della fattoria…
Rimasti
tra soli maghi, Al tirò una
ciocca di capelli a Meike, rimasta saldamente abbracciata al suo
fianco.
“Allora… ti piace
l’Inghilterra?”
“È bellissima! Ci voglio venire a vivere, e so che
Tom mi farà venire ad
Hogwarts!”
“Ti
farà?”
Tom si schiarì la voce di fronte all’aria
divertita dell’altro. “Intendeva dire
… che faremo tutti in modo che il suo trasferimento sia
facilitato.”
“Sì, come ti pare.” Lo smontò
la peste. Guardò dall’uno all’altro.
“Ora vi
baciate?” Chiese dal nulla.
Tom vide Albus avvampare
come
se avesse messo il viso troppo vicino alle fiamme del camino.
“… eh?”
“C’è il vischio.”
Replicò imperturbabile, indicando una fronda particolarmente
cespugliosa sopra le loro teste. “Quando
c’è il vischio chi si vuole bene, si deve baciare.” Aggiunse con
teutonica
certezza.
“Non è
stata un mia idea.” Si
affrettò a spiegare loro Al, in piena agitazione.
“È stata Lily… e Freddy,
forse. Io…” Lo guardò in cerca di aiuto.
Spero
che non perda mai questa timidezza adorabile.
“L’hai
sentita. Ci si deve
baciare.” Replicò tranquillo,
facendo un sorrisetto d’approvazione alla bambina.
Al gli lanciò
un’occhiataccia.
“Bene.” Si chinò all’altezza
di Meike e le diede un bacio sulla guancia. “Ma al
momento non sono abbracciato a te, Tom. E quindi il bacio spetta a
lei.”
Meike fece un versetto che a
Tom sembrò inquietantemente civettuolo. Poi per fortuna fu
attirata di colpo da
una forte luce colorata proveniente dal salotto. “Ehi, Al!
C’è anche quel tuo
zio che fai i fuochi magici?”
“Certo, zio George.” Le assicurò.
“Credo ne abbia acceso uno proprio adesso.
Perché non vai a vedere?”
“Fico!” Esclamò, e li piantò
su due piedi senza aggiungere altro.
Al ridacchiò alla
sua
espressione perplessa. “Stasera dovrai dividerla con almeno
venti persone. Puoi
sopportarlo?”
“Naturalmente, voglio che faccia amicizia.”
Replicò sostenuto.
“Amici alla fine
della serata
non le mancheranno, sta’ sicuro.” Gli si
avvicinò, lanciandosi un’occhiata
distratta alle sue spalle, sentendo l’ennesimo botto e
scroscio di risa. “Alla
fine tuo padre si è convinto…”
Tom si spazzò la
neve dal
cappotto. “Credo sia grazie al tuo. Avrà fatto
pressioni.”
“Forse l’ha semplicemente convinto.”
Osservò. Poi gli passò le braccia attorno alla
vita con una naturalezza che
rilassò immediatamente Tom: poteva detestare il chiasso in
cui di lì a poco
sarebbe stato forzato ad entrare. Ma non detestava Albus.
Dato
di fatto ineluttabile come il sorgere del sole.
“Sono tanto, tanto
contento.”
Aveva le guance ancora rosse. Dunque non era imbarazzo per il vischio.
Scommetto
che anche quest’anno James e Fred gli hanno
corretto il succo di zucca.
Poi si ricordò
che quella era
la tipica frase iniziale che l’altro, da bambini, utilizzava
per salutarlo
quando riusciva a venire a Natale. Sogghignò di rimando.
“Mi hai
fatto il regalo
Tom?” Replicò, imitando la sua vocetta
infantile in maniera piuttosto
convincente.
Albus gli mollò un pugno leggero sulla spalla. Poi
però si fece serio di colpo.
“Certo che me l’hai fatto.”
Sussurrò piano. “Sei qui.”
“Al…”
Non finì
la frase che l’altro si alzò leggermente
in punta di piedi e appoggiò le labbra sulle sue. Tom
ricambiò il bacio sentendosi
sparire dalle spalle il peso che l’aveva quasi schiacciato
tre secondi prima
ricordando il motivo per cui Al aveva rimarcato la sua presenza.
Okay.
Niente sensi di colpa a Natale. Funziona così
questa festa ridicola, no?
“Lo sai che ti
hanno corretto
il succo, vero?” Gli sussurrò sulle labbra, che in
effetti avevano un vago
sentore alcolico.
Al sbuffò.
“Lo fanno ogni
anno. Ne ho bevuto solo un po’.” Poi gli strinse il
braccio, mentre il sorriso
prendeva una sfumatura maliziosa. “A proposito di
regalo… che dici, se mi dai
il permesso posso scartarlo?”
Tom fece mente locale.
Cenone,
famiglia a pochi metri. Molta
famiglia a pochi metri.
“Mi stai di nuovo
punendo per
qualcosa?” Chiese in tono informativo. Ormai illuderlo e poi
mollarlo eccitato
come un qualsiasi ormonale idiota era diventato il suo metodo di
rappresaglia
preferito.
Non
credo di aver fatto nulla di sbagliato stavolta. Ma
non si sa mai.
Al ridacchiò.
“No… o meglio,
dipende da come ti comporti stasera.” Lo sciolse
dall’abbraccio. Si obbligò a
non riacchiapparlo. “Tuo padre sembra molto teso…
e anche tuo fratello non
scherza. Se fossi un po’ più sociale
del solito e li aiutassi ad interagire con gli altri, magari potrebbero
rilassarsi.”
“E cosa ci guadagno?”
Al inarcò le
sopracciglia, già
sullo stipite della porta che dava sul salotto. “Il tuo
regalo?”
“Quello me lo devi fare comunque.”
Osservò piazzando una mano sul pomello per
evitare che la aprisse spalancando le porte dell’inferno
Weasley.
Al lo guardò da
sopra la
spalla con un’espressione furba. “Io parlavo dell’altro regalo.”
Rimase un attimo in
silenzio.
Poi ispirò. “Profondamente sleale, Signor
Potter.”
“Lo so. Siamo tremendi noi serpeverde, vero?” Gli
fece la linguaccia.
Tom fece un mezzo sorriso,
poi
tornò serio. “Dobbiamo parlare con
Harry.”
“Stasera?”
Fece una smorfia. “È la Vigilia!”
“Non qui, quando saremo a casa.” Vedendo che non
era convinto, andò sul pragmatico.
“Non abbiamo molto tempo. Luzhin tornerà per il
Ballo, ma il vascello di
Durmstrang salperà per Santo Stefano. Il ventisei, tra tre
giorni.” Soggiunse
vedendo che non capiva. “Fuori dal territorio britannico per
tuo padre sarà
difficile avere influenza. O direttamente indagare.”
Al sospirò.
“Va bene.” Mugugnò
sconfitto. “Andiamo adesso? Vorrei ricordarti che ci sono
persone che ci aspettano.”
Non aspettò un suo cenno
affermativo e spinse la porta, sparendo all’interno del
salotto.
Tom sospirò. Poi
lo seguì.
****
Albus osservò
ridendo l’animata
partita di neve che si disputava nel giardino della Tana.
Finita la cena era stato
proposto da Hugo di andare fuori a respirare un po’
d’‘aria pura’.
Naturalmente
una parola in codice…
Alicia e Vernon avevano
acconsentito volentieri, meno a disagio dopo aver scoperto che molti
dei loro
parenti acquisiti non erano totali alienati e conoscevano
l’uso dei basilari
sistemi di intrattenimento babbano. Hugo specialmente aveva intavolato
una
fitta conversazione sui videogiochi con Vern.
Appena fuori, Freddy e James
avevano aperto le danze. In meno di qualche minuto, l’aria si
era riempita di
decine di palle di neve. L’unica regola: niente uso della
magia.
Non
c’è niente di meglio che tirarsi blocchi di
ghiaccio congelato per fare amicizia.
Persino Alicia, che
possedeva a
volte la stessa indifferenza distaccata di Tom, al momento era rossa in
viso e ridente,
mentre cercava di ripararsi dagli attacchi di Freddy, le gemelle e
Dominique.
A
Natale siamo tutti meno misantropi.
Rose, seduta accanto a lui
su
un enorme e vecchio divano lasciato lì per essere buttato e
poi dimenticato, sospirò.
“Gliel’ho detto.” Esordì
mentre davanti a loro passava Hugo inseguito da
un’implacabile
Meike.
Al le scoccò
un’occhiata. “A
tuo padre?” Indovinò al primo colpo: facile del
resto, dato che suo zio Ron
aveva passato tutta la cena con un broncio infinito.
“Già.
Pensavo peggio. Pensavo
avrebbe cominciato a lanciare oggetti, sinceramente.”
Ironizzò, stringendosi
nel giubbotto. “Certo, probabilmente non mi
parlerà per decenni. E
mamma dovrà trascinarlo schiantato al matrimonio mio e
di Sy.”
“Wow, già pensiamo al matrimonio?” La
prese in giro, e l’altra arrossì.
“Non ho intenzione
di mollare la
presa su qualcuno che è riuscito a farmi litigare con mio
padre. È una
questione di principio. Poi, vedremo.” Mugugnò.
“Intanto beh… amo quello
stupido biondino.”
Al le strinse la mano,
ingoiandosi una risata. Rose sapeva diventare violenta quando era in
imbarazzo,
come metà dei membri femminili della loro famiglia.
“E tua mamma che ne pensa?”
“Credo che preferisca mantenersi neutrale finché
non ha raccolto tutti gli
elementi necessari ad un’analisi.”
Scherzò. “E mi sta benissimo. Non ho bisogno
di un’altra voce in testa al momento…”
Al le passò un
braccio attorno
alle spalle, e la strinse in un abbraccio che l’altra
ricambiò grata.
“La sua famiglia
non mi
accetterà mai, vero?” Soggiunse piano, ma senza
lacrime o incertezze.
“Penso che ci
vorrà tempo, per
entrambe le nostre famiglie. Ma io e
gli altri renderemo le cose più facili. Te lo
prometto.” Le baciò la tempia
fredda con affetto. Rose gli sorrise di rimando. Poi si
alzò, spazzolandosi i
pantaloni.
“Vado a
controllare che non mi
ammazzino Hugo. Vieni?” Fece un sorrisetto.
“Scommetto che stavolta riesco a
tirartene almeno una.”
“Impossibile. Ho riflessi da Cercatore.
Serpeverde.” Puntualizzo strizzandole
l’occhio. Poi guardò il campo di battaglia. Lily
non c’era. Strinse appena le
labbra. “Vai tu, io ti raggiungo tra un momento.”
Quando la cugina se ne fu
andata, rientrò immediatamente in casa. Gli adulti erano
seduti in salotto, sui
divani, a bere il digestivo alle erbe di nonna Molly e chiacchierare.
Sentì a
sorpresa la voce baritonale di Dudley associata a quella di suo zio
Ron. Chissà
di cosa parlavano due persone tanto diverse.
È
davvero la magia del Natale…
Lanciò
un’occhiata all’interno
e intercettò lo sguardo di Tom, seduto con zia Hermione
davanti al fuoco.
Tipico.
Se non lo conoscessi bene, sarei pure geloso
della sua cotta intellettuale. Passa tutte le feste al suo fianco.
Di Lily però non
c’era
traccia. Evitare il chiasso per lei era un sintomo preoccupante. Albus rifletté:
l’anno prima era stato lui
l’asociale della storia. E dove si era rifugiato?
Seppe di colpo
dov’era sua
sorella.
La soffitta della Tana era
il
luogo di raccoglimento interiore per eccellenza. Isolata dalla baraonda
dei
piani sottostanti, sufficientemente incasinata dal potercisi nascondere
sentendosi al sicuro.
La trovò seduta
di fronte alla
bassa finestrella che dava luce alla stanza quando era giorno.
Osservava il
buio fuori e aveva acceso un paio di candele per non averlo dentro.
“Ehi…”
La chiamò gentilmente.
Lily sobbalzò lo stesso, lanciandogli un’occhiata
allarmata. “Scusa, non volevo
spaventarti.”
“Pare che ci si spaventi quando si pensa troppo.”
Borbottò. Sembrava proprio
avercela con lui.
Tirò fuori la sua
aria più
confusa e dispiaciuta. “Lils, sei arrabbiata con me? Ho fatto
qualcosa?”
La sorellina arrossì, a disagio. “No…
cioè… no. Dai.” Sbuffò
arresa.
“Siediti.”
Al obbedì
trionfante, ma non
le chiese perché fosse lì. Non era il modo giusto
per iniziare quella
conversazione.
“Questo Natale
è molto
babbano, eh?” Le disse invece. “Sono contento che i
genitori di Tom si siano
ambientati. Certo, c’è stato quel momento in cui
Freddy ha quasi fatto
esplodere la sedia sotto il sedere di zio Dudley,
ma…”
“Pensavo che nonna l’avrebbe trasformato in una
zucchina.” Ridacchiò la
sorella. “Meno male che Jamie l’ha fermato in
tempo.”
“Chi l’avrebbe mai detto. Nostro fratello ha
finalmente l’età che dimostra, e
non cinque anni.”
“Tu dici? Io
gliene darei
dieci.”
Risero entrambi. Lily finalmente si era rilassata. Era quindi il
momento
giusto. “Emozionata per domani?” Le chiese con
noncuranza.
Lily scrollò le
spalle. “Ho il
vestito. Ho un appuntamento dal parrucchiere. Sono preparata.”
“E non
dimenticarti il
cavaliere.” Aggiunse dolcemente. Lily si irrigidì,
di nuovo. Però poi gli
sorrise.
“Sì,
giusto. Ed indosserà
l’uniforme di gala. Ci
pensi? Solo
zia Hermione ha avuto questa fortuna, e comunque zio Ron
pensò bene di
rovinarle la serata. Mai notato che zio Ron è un
rovina-serate?” Era chiaro
tentasse di cambiare discorso. Al non rispose e l’argomento
cadde da sé.
Lily si morse allora il
labbro, aggrottando le sopracciglia. “Perché a
nessuno di voi piace Ren?”
Sbottò di colpo, aggressiva. Protettiva, in
realtà. Ecco dove Tom aveva
sbagliato: aveva visto solo l’aggressività e aveva
reagito incalzandola fino
all’inevitabile ceffone.
Invece
vuole solo difendere il suo amico.
“Non ho mai detto
che non mi
piaccia.” Osservò quieto. “Sembra un
bravo ragazzo.” Ed era vero. Tralasciando
l’episodio sinistro con Fanny, Luzhin si era sempre
comportato da perfetto gentiluomo,
con tutti. Solo con James aveva perso la calma.
Ma
Jam sa come fa saltare i nervi a qualcuno…
Si comportava molto meglio
della maggior parte dei ragazzi della loro età. Specialmente
con Lily: la
portava praticamente in palmo di mano.
Ce
lo vedo a stendere il mantello su una pozzanghera,
per farla passare.
Inoltre sembrava sincero.
Non
poteva dimenticare come aveva parlato di Lily, la sicurezza nel suo
tono. Non gli
aveva detto quelle cose per ingraziarselo: gliele aveva dette
perché ci
credeva.
Ciò
non toglie però che abbia qualcosa che non va.
Lily nel frattempo
sbuffò.
“Allora se non ce l’hai con lui, mi spieghi
perché sia tu che Tom lo spiate?”
“Spiamo?”
Mantenne un tono
sorpreso, anche se la vera sorpresa era che se ne fosse accorta.
Neppure
tanto. Lo sai quanto è sveglia su queste cose…
“Sì, lo
spiate. Soprattutto
Tom. Perché?” Al si sentì un tantino
agitato, quando Lily gli piantò gli occhi
nei suoi. Sua sorella era un vero mastino, quando si trattava di avere
delle
risposte.
Non
molla finché non le ottiene.
Capì quindi che
doveva
concederle qualche rivelazione, per farla aprire di rimando. Era una
legge
vecchia come il mondo. “Tom pensa che nasconda
qualcosa… Pensa che Durmstrang
possa essere coinvolta nell’attacco della Prima
Prova.”
Non era vero: ma dirle la
verità, cruda e diretta, non sarebbe stata una buona idea.
Se
è innamorata di lui…
“Durmstrang? La
scuola?” Lily
batté le palpebre confusa. “Sì, beh, in
effetti dopo l’attacco dei Dissennatori
il Torneo è stato spostato là.
Magari…” Fece una pausa. “Credi che Ren
sia
coinvolto?”
“Credo che possa saperne qualcosa. Dopotutto è il
loro Campione.” Spiegò calmo.
Se le avesse detto che c’entrava quasi sicuramente la Thule,
Lily sarebbe
andata nel panico. Non c’era alcun bisogno di coinvolgerla.
Poteva aiutarli a
capire Ren…
Ma
non deve essere trascinata in questa storia.
“Ti ha colpita
qualche suo comportamento
particolare ultimamente?”
Lily nicchiò a lungo, infine fece un sospiro.
“Sembra… preoccupato. Spaventato.”
Si corresse. “Da qualcosa… o da qualcuno.
È come se avesse sempre… non so.
Ha…”
Esitò. “… ha la faccia di chi in un
vicolo buio pensa di essere seguito.”
Lily. Sia benedetta la sua capacità
di
dare immagini riassuntive perfette.
“Capito.”
Le sorrise.
“Comunque non preoccuparti. Sai com’è
fatto Tom. Pieno di teorie cospirative.”
Si alzò, sentendo che fuori gli altri stavano rientrando.
Presto qualcuno si
sarebbe chiesto dove erano finiti. “Io scendo.
Vieni?”
“Sì,
certo.” Annuì tranquilla.
Al fece per voltarsi quando, a sorpresa, Lily lo afferrò per
un braccio. Aveva
un’espressione concentrata, insolitamente seria. Si
mordicchiò il labbro un
momento, prima di parlare.
“Ren…
lui… non farebbe male ad
una mosca.” Mormorò. “Non ne sarebbe
capace. Qualsiasi cosa stia pensando Tom…
Ren non l’ha fatta. Ne sono sicura.”
Albus le sorrise: cosa
avrebbe
potuto dirle? Era chiaro che la sorellina non avrebbe mai potuto pensar
male
dell’amico. Ma lui… beh. Poteva aver tacciato per
mesi Tom di paranoia. Ma non
poteva più farlo, non dopo del collegamento di Luzhin con la
Magia Oscura.
Avrebbe voluto dirle di
allontanarsi, ma la conosceva: si sarebbe opposta per principio. In
questo
erano maledettamente simili.
Mi
hanno detto in tutti modi di star lontano da Tom, di
mettere la giusta distanza tra di noi.
L’ho
mai fatto?
Certo, tra Sören e
Lily non
c’era lo stesso rapporto che passava tra lui e Thomas: per
sua sorella
probabilmente era solo una cotta tenace.
Ma
sfortunatamente la nostra tenacia assomiglia
terribilmente alla testardaggine …
Lily non doveva
assolutamente
scoprire cosa lui e Tom supponevano del tedesco.
Meno
sa di tutta questa storia, meglio è. Non deve fare
domande, non deve sapere. Niente.
“Non
preoccuparti.” Le diede
un leggero colpetto sulla spalla, nel modo più rassicurante
che gli riuscì.
Lily gli sorrise appena di
rimando. “Okay.” Disse, e poi gli si
affiancò, scendendo con lui le scale.
Dobbiamo
tenerla fuori dai guai. Da questi
guai. A
tutti costi. Non anche mia sorella.
Io
ho scelto di farmi coinvolgere. Ma lei no.
Tom non aveva tutti i torti:
dovevano parlare con suo padre. Quella sera stessa.
****
Germania
del Nord
Residenza estiva degli Hohenheim.
La pendola vicino al camino
aveva appena segnato le dieci di sera e la cena non era ancora stata
annunciata.
Sören tese appena
le labbra in
una linea incerta, sfiorando con le dita la copertina del libro che
stava
tentando di leggere per distrarsi.
Non era da suo zio un
comportamento del genere.
Suo zio, che aveva sempre
preteso assoluta puntualità, rispetto delle tradizioni,
rispetto
dell’etichetta, persino quando erano soli.
Ma con la nuova casa, erano
arrivate nuove regole. A Sören era stato ordinato di non
lasciare i propri
appartamenti, a meno che non fosse espressamente chiamato. E
così aveva fatto
da quando era arrivato il giorno prima.
Suo zio l’aveva
accolto con
poche parole e un abbraccio cerimonioso. Nulla di inusuale.
Ma quel ritardo nel servire
la
cena della Vigilia non andava bene. Non era… normale.
Scrollò la cenere
della propria
pipa nel fuoco, riponendola poi dentro il panciotto. Si era vestito di
tutto
punto, come si conveniva ad un’occasione del genere, ma
questo era accaduto ore prima.
Doveva andare a controllare.
Si buttò addosso
il leggero
mantello che usava in casa per spostarsi lungo i corridoi gelidi: suo
zio non
amava il calore generato da incantesimi riscaldanti. Lo trovava
fastidioso.
Invece
non lo è. Ad Hogwarts è piacevole non trovarsi
perennemente con le punta delle dita congelate.
Impiegò svariati
minuti per
raggiungere le cucine. Non ricordava bene dove si trovassero: quella
tenuta
l’aveva visitata poco da bambino. In realtà, era
stata usata poco dallo stesso
Hohenheim.
Le trovò seguendo
il suono di
voci e il riverbero di candelabri. I servi dovevano essere
lì.
Si accostò alla
grande porta
ellittica, sentendoli ridere. Probabile stessero consumando la loro, di
cena.
Sentì un crampo
allo stomaco,
ma lo ignorò. Avrebbe sempre potuto farsi portare qualcosa
dopo.
Risentire il tedesco del
Nord
dopo tanto tempo era piacevole. Kirill e i ragazzi di Durmstrang
parlavano il
tedesco della Baviera, comprensibile per lui, ma dai suoni meno aspri,
meno
suoi.
“Povero
Signorino…” Udì. Era
la voce di un uomo. Forse il vecchio Etzel, servitore di suo zio da
decenni.
“Pensate che dovremo portargli qualcosa da
mangiare?”
“Sei matto, vecchio?” La seconda voce era giovane.
Un ragazzo. Doveva essere il
nuovo sguattero. “Sai come funziona meglio di me, qua.
Nessuna iniziativa
personale!”
“Ma starà morendo fame… il pranzo
è stato ore fa.”
“E che muoia!” Fu la risposta. “Tanto,
son tutti uguali quelli della loro
schiatta. Pensano che gli dobbiamo leccar le suole degli stivali per il
loro
sangue puro. Beh, ti dirò una cosa Etzel. Anche la mia, era
una famiglia di
purosangue. E dato che son nato Magonò, hanno ben pensato di
cacciarmi ad
elemosinare nelle strade di Lubecca!”
“Taci,
Milo!” Lo apostrofò una
terza voce, femminile. Sören la ricordava bene. Era la serva
che da bambino
aveva curato spesso le sue ferite dopo gli allenamenti. “Qui
lo siamo tutti, e
dovremo esser grati al padrone che ci ha dato un tetto sopra la testa e
pane da
mordere!”
“Grati
sì…” Sbuffò. “Lo
sono,
sicuro. O lo ero, mica lo so. Andiamo… lo avete visto come
si comporta in ‘sti
ultimi tempi! Ci ordina di restar confinati nei nostri quartieri, non
esce dal
suo studio… e se gli gira storto, non ci pensa due volte ad
agitar la
bacchetta! Hilda l’ha vista la mia schiena, dopo che il
padrone mi ha punito
perché avevo rovesciato un solo, fottuto
bicchiere!”
Sören
inspirò: suo zio che
usava violenza ai servi. Non era mai accaduto prima. Sì, era
un uomo duro,
inflessibile, e non perdonava gli errori. Ma ferire un ragazzo per un
bicchiere
rovesciato era… troppo.
“Zitto, zitto…” Mormorò
l’uomo, e il tono di voce era teso, spaventato.
“Non si
parla male del padrone. Lascia perdere. Fa’ silenzio. Pensa a
mangiare.”
“Bel Natale che è… rinchiusi qui con un
pazzo. Una belva.” Grugnì il ragazzo.
Poi seguì rumore di mascelle; avevano ripreso a mangiare.
Sören rimase
appoggiato alla
porta della cucina, pensando.
Sapeva bene che i
magonò
tendevano sempre ad esagerare le loro condizioni per farsi compatire.
Era una
lezione che gli era stata insegnata sin da bambino. Ma il tono di quel
servetto
esprimeva frustrazione e paura, dietro l’irritante
sfacciataggine. Non stava
esagerando.
Come
gli avrà ridotto la schiena?
Le comunicazioni con suo zio
in quei mesi erano state poche. Circostanziali alla sua missione. Non
aveva mai
pensato di chiedergli nulla, ma solo di rispondergli.
Quando
me ne sono andato era perfettamente in sé …
Certo è pur vero che son stato qui pochi giorni. Sono
tornato dalla Russia, ho
chiuso il vecchio maniero e poi qui… una settimana, forse.
Forse meno.
Decise che era il momento di
capire. Esagerazione dei servi o meno, qualcosa non andava.
Percorse la distanza tra le
cucine e lo studio di suo zio in pochi attimi, sentendo i crampi allo
stomaco
farsi sempre più forti e dolorosi. Non era solo la fame. Era
ansia.
Serrò i pugni, ma
poi bussò
alla vecchia porta in noce davanti cui aveva atteso tante volte. Non
era la
stessa, certo, ma era un simbolo.
Non ebbe alcuna risposta.
Normale, pensò nebulosamente. Non era stato annunciato.
E
se si fosse sentito male? I servi sembrano aver
talmente paura di lui che non saranno di sicuro entrati.
Si fece coraggio ed
aprì la
porta. Il fuoco baluginava morente nel camino, e le tende erano come
sempre
tirate. Sören non ricordava di averlo mai visto lavorare alla
luce naturale del
sole, persino durante le luminose giornate estive che talvolta
graziavano la
loro terra.
“Zio?”
Lo chiamò, non
riuscendo a capire se fosse seduto alla poltrona della scrivania. Era
troppo
buio e le ombre si allungavano e tremavano dinnanzi alle braci del
focolare,
inghiottendo tutto.
“Sören.”
La voce di Alberich
von Hohenheim non proveniva dalla scrivania, bensì vicino
alle grandi finestre
oscurate. Sören inspirò, voltandosi in quella
direzione. “Non mi sembra di
averti mandato a chiamare.”
“No.” Confermò con un lieve inchino di
saluto. “Ma è molto tardi e la cena non
è stata servita.”
“Lo so.” Fu la risposta inaspettatamente quieta.
Sören prese un
nuovo sospiro.
“Mi… mi stavo chiedendo il perché.
È la Vigilia, zio.”
“La
Vigilia…” Mormorò questi.
“Sì, naturalmente. Se hai fame, puoi chiedere di
farti preparare qualcosa. I
servi dovrebbero ancora essere in cucina.”
“Non è questo.” Obbiettò,
abbassando subito lo sguardo quando vide che l’uomo
si avvicinava nella sua direzione. “È che
… ho ascoltato i servi parlare, e ho
inteso… che neppure Voi avete cenato.”
“Non ho fame.” Tagliò corto.
“C’è dell’altro?”
C’era
dell’altro. C’era molto.
Sören si morse le labbra fino a
sentire il sapore ferroso del sangue.
Cosa
sta succedendo? Perché uno sguattero si permette
di darti del folle?
Perché il piano che sto eseguendo sembra far acqua da tutte
le parti, e fa
rischiare a me e a Poliakoff continuamente?
Qual
è l’obbiettivo finale?
C’è, un obbiettivo finale?
Erano un fiume di domande,
che
gli si erano formate lentamente, ma tenacemente in testa, come un
cancro silenzioso.
E non volevano saperne di andarsene, per quanto provasse a chiuderle
fuori.
“Non
c’è altro.” Disse però.
Poteva pensare, ma parlare… era tutta un’altra
storia. “Ero solo preoccupato.”
“Sei un buon
nipote.” L’uomo
uscì dal cono d’ombra. Sören trattenne un
esclamazione soffocata. Durante i
loro contatti l’aveva visto, ma sempre nebulosamente dietro
la cortina fumosa
del Fuoco Magico.
Dal vivo, si rese conto di
quanto suo zio fosse dimagrito, pallido. Non emanava più
quell’aria di
imponenza che l’aveva sempre paralizzato sin da bambino.
Non che questo lo rendesse
meno spaventoso ai suoi occhi.
Di colpo capì
cosa intendeva
il giovane Milo.
Sembra
una belva in gabbia…
Come se qualcosa lo
consumasse, un pensiero. Aveva l’aria di un uomo che stava
pensando troppo.
Ma
non è solo questo… è…
“Un nipote
affezionato.”
Riprese l’uomo, con quella sua voce bassa, che si insinuava
nel padiglione
auricolare come una lama avrebbe fatto elegantemente nella carne.
“Ma la tua
unica preoccupazione deve essere il piano che porterai a
termine.” Gli mise una
mano sulla spalla. “Solo quella.”
“Sì, zio.” Esitò, poi lo
disse. “Potremo cenare qui, se lo
desiderate…” Capì di
aver oltrepassato il segno quando vide lo sguardo dell’uomo.
“Al diavolo la
cena!” Ruggì di
colpo e Sören istintivamente fece un passo indietro.
“E tutto ciò a cui pensi,
sciocco ragazzo?! Questo tua non richiesta pietà un giorno
ti costerà cara! E
prega che non costi anche a me!”
“Io…” Si sentiva la bocca secca e il
cuore battere furioso nel petto. Sapeva
che era stupito essere terrorizzato e sentirsi in colpa per aver
semplicemente
proposto un’idea. Ma suo zio non aveva mai avuto quegli
scatti d’ira
improvvisi. Certo, a meno che non sbagliasse durante gli allenamenti.
Ma lì si
supponeva lo meritasse per essere goffo e poco reattivo.
“Sono Vostro servo
fedele.” Sussurrò in fretta, automaticamente.
L’uomo fece una
smorfia. “È
bene che tu lo ricordi.” Inspirò lentamente.
“Dammi un bicchier d’acqua.” Gli
ordinò secco.
Sören
obbedì, ma quando si
voltò a versarlo sentì un colpo secco, come di
qualcosa, qualcuno, che cadeva a
terra. Si voltò di scatto e vide l’altro mago
reggersi con forza alle tende
delle finestre. “Zio!” esclamò,
avvicinandoglisi in fretta, e afferrandolo per
un braccio per frenare la probabile caduta.
Sentì
immediatamente un dolore
accecante al volto e fu scagliato via con forza, a sbattere contro uno
dei
divani. “Non osare!”
Ruggì l’uomo.
“Non ho bisogno del tuo aiuto, patetico moccioso!”
Sören si
raddrizzò, sentendo
il sangue rombargli nelle orecchie e scaldargli il lato del viso
colpito. Cercò
di riflettere velocemente.
È
quasi caduto, respira male…
È
malato. Gravemente malato.
La realizzazione lo
ghiacciò
sul posto. Doveva esser così, dato che Alberich Von
Hohenheim difficilmente si
sarebbe fatto abbattere da una banale influenza. Da che ricordava, in
quella
casa l’unico a beneficiare delle cure del loro Guaritore
personale era stato
lui. Mai suo zio.
L’uomo nel
frattempo sembrò
essersi ripreso. Tirò un profondo respiro.
“Va’.” Gli ordinò. Ma la sola
sillaba bastò evidentemente a togliergli le poche forze che
aveva riacquistato,
perché le guance persero nuovamente colore.
“Zio…”
“Non darmi altri motivi per punire la tua
insolenza.” Replicò l’uomo.
“Ti ho
ordinato di congedarti. Ubbidisci.”
A Sören non
restò che
inchinarsi e lasciare la stanza. Allontanandosi lungo il corridoio,
incrociò
una dei servitori, la donna, Hilda. Reggeva un vassoio con piatti
coperti.
“Signorino…” Mormorò
sorpresa, occhieggiandolo. “… siete
ferito!”
“Non è nulla.” Tagliò corto.
“Stava portando la cena a mio zio?”
“No, Signorino.” Mormorò in tono
incerto. “La stavo portando a Voi. Il padrone
ci ha ordinato di non disturbarlo, ma abbiamo immaginato che potevate
aver fame.”
Sören sorrise appena, facendo una smorfia alla fitta che ne
conseguì. Il colpo
doveva avergli tagliato il labbro sui denti. “La ringrazio
Hilda. Posso
portarla sopra da solo.” Gliela prese dalle mani, senza
curarsi delle deboli
proteste. “È la Vigilia, dovrebbe essere
dispensata dai doveri dall’ora di
cena, credo.”
“Sì, Signorino, ma…”
“Buon Natale.” La fermò. La
Magonò capì l’antifona,
perché fece un breve cenno assertivo.
“Buon Natale anche a Voi, Signorino.” Si
inchinò, per poi allontanarsi. Sören
guardò il riverbero del candelabro che la donna reggeva per
farsi luce
spegnersi lentamente. Poi tornò sui suoi passi.
Appoggiò il
vassoio davanti
alla porta dello studio e bussò di nuovo.
“Zio.” Chiamò, sapendo che stava
ascoltandi. “Vi ho portato qualcosa da mangiare…
Vi prego almeno di assaggiarla.”
Non aggiunse altro. Prese il tozzo di pane che accompagnava la zuppa di
aringhe
– sapeva che l’uomo lo faceva sempre avanzare - e
se lo infilò in tasca,
tornando poi nei suoi appartamenti.
Quando si sedette sulla
poltrona accanto al fuoco, poté realizzare con calma la
portata di ciò che
aveva visto.
Zio
è malato. Non ho idea di quanto sia grave, ma una
malattia capace di piegarlo non dev’essere cosa di poco
conto.
Chiuse gli occhi, mordendo
il
pane per calmare i morsi della fame. La bocca protestò, ma
finì il suo frugale
pasto impietosamente.
Domani
spedirò un Gufo al nostro Guaritore…
L’avrebbe firmato
a nome di
suo zio; era capace di imitare la firma di chiunque. Era stata una
delle cose
che aveva dovuto imparare collateralmente
da Johannes.
Caricò la pipa.
Quello non era
disubbidire. Era molto peggio. Era prendere iniziative, era mentire,
era…
È
capire. Devo
capire.
Cosa
diavolo sta succedendo?
La pendola suonò
improvvisamente, facendogli quasi rovesciare il tabacco sulle gambe.
Ascoltò i
dodici rintocchi spegnersi lentamente nel silenzio della camera.
È
mezzanotte. È Natale.
Fuori non nevicava. Non
avrebbe nevicato quell’anno. Lanciò
involontariamente uno sguardo verso il
baule da viaggio: sapeva bene cosa ci fosse dentro, oltre ai libri, ai
vestiti
e ai suoi effetti personali. Si alzò lasciando perdere la
pipa e lo aprì. In
mezzo alle sue cose, spiccava una busta dai colori sgargianti e dal
fiocco
traslucido.
Il
regalo di Lily…
La prese.
“Ren!”
La sua carrozza era già arrivata ai cancelli di Hogwarts; si
era attardato per
semplici motivi burocratici legati al Torneo e aveva evitato lo sguardo
di
Albus Potter per tutta la riunione tra delegazioni.
“Lilian…”
Aveva visto Lily correre verso di lui dal
pendio soprastante e l’aveva quindi aspettata.
“Te
ne stavi andando senza salutarmi!” L’aveva accusato
tirandogli una botta con la borsa.
Sören
aveva fatto una smorfia al colpo. “Ma l’ho
fatto.”
Aveva obbiettato. “Stamattina, a colazione.”
C’era stato un momento di pausa. “Beh, di saluti
non se ne ha mai abbastanza!” Aveva
replicato l’altra senza scomporsi. Poi aveva frugato nella
borsa e ne aveva
estratto un pacchetto soffice che gli aveva messo in mano. Alla sua
espressione
confusa, aveva sospirato di nuovo. “È il tuo
regalo, tonto.”
“Regalo…” Aveva deglutito penosamente.
Certo, era Natale e lo scambio dei
regali era la norma. “Io…”
“Sarà meglio che tu me ne faccia uno entro la
mattina del venticinque.” Aveva
intuito con la solita, inquietante perspicacia. “Puoi
spedirmelo tramite Posta Gufica!”
Gli spiegò squadernando il dito espressivamente.
“Io ho preferito dartelo di
persona, ma solo perché a casa non abbiamo Gufi capaci di
traversate
continentali.”
“Capisco.”
L’aveva riposto nella tasca del mantello.
“Avrai notizie del tuo regalo.” Le aveva sorriso
preparandosi all’abbraccio che
era arrivato puntuale come un orologio. “Non
preoccuparti.”
“Non
lo faccio.” Aveva risposto Lily. Poi si era
staccata e con un saluto si era allontanata. Poi si era poi fermata di
botto,
voltandosi. “Oh, quasi dimenticavo… Buon
Natale!”
Era arrivato il momento di
scartarla come tradizione richiedeva.
Sören si sedette sul letto e tirò fuori una massa
soffice color bianco avorio,
seguita da un biglietto.
Ho pensato
che dato che da te fa davvero freddo (anche se in Scozia non si scherza, vero?)
magari poteva
servirtene una in più. È fatta a mano. Da me. Ti
terrà al caldo!
Buon Natale,
Ren. Sono sicura che
quando la scarterai (e indosserai!) già sentirò
la tua mancanza.
Con tanto
affetto,
Lily.
Se
la mise al collo. Era calda come prometteva il biglietto. Si
passò il tessuto
tra le dita, portandoselo al viso e aspirandone il profumo.
Sapeva
di Lily.
Le
sue labbra si mossero praticamente da sole.
“Mi
manchi anche tu…”
****
Inghilterra,
Devonshire, Casa Potter-Weasley.
“Avete fatto bene a dirmelo.”
Harry si aggiustò gli occhiali salvo poi toglierseli con un
gesto stanco.
Albus non era così sicuro che avessero fatto bene a parlare
con il padre,
tornati stanchi e satolli dalla Tana. Erano in salotto, con il
caminetto acceso
e davanti alle poltrone. Tutto urlava tranquillità e pace,
tranne le loro
espressioni.
Tom
gli lanciò un’occhiata. “Luzhin
è una persona strana. Non sappiamo esattamente
cosa voglia dire, quel che ti abbiamo detto.” Gli
confessò.
“Che probabilmente dovrò fargli un paio di
domande.” Replicò l’uomo con tono
grave. “Trovarsi in un posto e avere addosso prove che
è stato altrove, il
fatto che sia un Occlumante e che stia usando i suoi poteri…
e poi il sospetto
di uso della Magia Oscura.” Sospirò.
“Sono tutti indizi di cui devo prender
nota. Pur vero che potrebbero dare un buco nell’acqua, ma non
dobbiamo lasciare
nulla al caso. L’anno scorso con la Prynn, purtroppo, abbiamo
fatto
quest’errore…”
“Anche
lei sembrava a … posto, vero papà?”
Chiese Al, sentendosi sempre più a disagio.
Stavano facendo bene? Era quella la strada giusta?
E se Luzhin fosse davvero coinvolto? Mia
sorella è stata amica di penna di un ragazzo simile per anni?
Davvero
non si è mai
accorta di nulla?
“Però
papà…” Mormorò, con quel
tarlo che gli
era spuntato in testa. “… Lily lo conosce da
tanto.”
“È
vero.” Confermò il mago, massaggiandosi la nuca
con una smorfia. “E questo mi
rende solo più preoccupato, Albie.”
“Potrebbe anche avergli rubato
l’identità.” Esordì Tom dal
nulla. “Del vero
Luzhin, intendo.”
“E
come avrebbe fatto?” Esclamò Al sconvolto. A
quella eventualità non aveva
proprio pensato. Per lui Sören Luzhin era
Sören Luzhin. Non qualcun altro. “Scusa, Lily
dovrà aver ricevuto una sua foto
agli inizi della loro corrispondenza. Si fa così, tra amici
di piuma, ne sono
sicuro!”
Tom
esitò. “… vero.
Però qualcuno l’ha mai
vista?”
Al
scrollò le spalle. “Jamie la prendeva in giro in
continuazione, dicendole che
si era trovata il ragazzo… e così per evitare che
ficcanasasse ha nascosto
tutte le sue lettere. Foto compresa, ovvio.”
Suo
padre li stava ascoltando assorto. “Che rapporto
c’è tra lui e Lily?”
Al guardò Tom e venne ricambiato: era arrivata quella domanda.
E
come si fa a dire a
papà che Lily si è presa una cotta per il tedesco?
“Luzhin
con lei è un gentiluomo…”
Iniziò pieno di buone intenzioni.
“Albus,
non sono stupido.” Lo fermò con aria tremendamente
seria. “So che passano molto
tempo assieme. Che sono molto amici e che la tratta bene. Me lo avete
già
detto.”
“Lilian si è innamorata di lui.”
Andò brutalmente dritto al punto Tom. Al
avrebbe voluto tirargli un calcio, ma l’espressione di suo
padre non permetteva
intramezzi semi-comici. “Quando abbiamo cercato di capire se
avesse notato
qualcosa anche lei, è diventata aggressiva. Lo ha
giustificato.”
“Lo ha difeso!” Ribatté Al,
perchè l’altro stava esagerando.
“È suo amico, era
solo preoccupata!”
Tom
lo ignorò, rivolgendosi direttamente al padrino.
“Se provi a sapere qualcosa da
lei, si metterà in allarme e probabilmente
allerterà anche Luzhin. Se proverai
ad allontanarla da lui mentre viene chiarita la sua posizione, otterrai
solo
che ti antagonizzi.”
“Tom!” Quasi saltò in piedi, sentendosi
trascinato in causa. Poteva aver
ragione, ma era troppo.
Anche
io mi sono
comportato così l’anno scorso. E per difendere te,
pezzo di idiota!
Harry
li guardò entrambi, sempre con quella sua aria che lo faceva
sembrare a dirla
tutta persino un po’ distratto. Suo padre quando pensava lo
sembrava sempre.
“Thomas, conosco mia figlia…” Disse
calmo, e anche se non era un’accusa, il
messaggio passò comunque. Tom distolse infatti lo sguardo
imbarazzato.
“Lo
so. È solo che sono…” Prese un respiro.
“… preoccupato. Luzhin non mi convince
da quando ha messo piede ad Hogwarts. È come se fosse venuto
per un motivo
completamente diverso dal Torneo. Penso che ci sia un piano dietro. Non
so se
lo coinvolga, ma c’è. E mi fa impazzire
non…” Si passò una mano sul viso,
chiudendo gli occhi senza terminare la frase. Al capì che
era stanco. La serata
doveva essere stata particolarmente impegnativa per lui.
Ciò
non toglie che
deve piantarla di dissezionare i sentimenti altrui come fossero
Vermicoli!
Però,
il solito: vederlo con quelle ombre negli occhi gli faceva passare la
rabbia
come la neve si sarebbe sciolta al sole.
“So
quanto possa essere frustrante non capire le mosse
dell’avversario…” Mormorò
suo padre. “Ma non sei da solo, ricordatelo.” Li
guardò entrambi. “Avete
fatto bene a dirmi dei vostri
sospetti. Domani ci sarò anch’io al Ballo,
terrò gli occhi aperti.” Il sorriso
prese una sfumatura … piuttosto Serpeverde.
“… e naturalmente mi farò
presentare il cavaliere di mia figlia. Mi farò
un’idea.”
“Poi ce la dirai.” Era quasi un ordine, ma era Tom.
Al si trovò a guardare suo
padre e sorridere assieme.
“Sì,
Tom. Vi terrò informati.” Si alzò in
piedi, stiracchiandosi. “Ora andate a
letto. È tardi, e domani non vorrete perdervi
l’apertura dei regali, no?”
“Come mai potremo.” Replicò Tom con tono
cimiteriale, beccandosi stavolta una
meritatissima gomitata nelle costole.
“Ci
ha creduto subito, eh?”
Al si stese sul letto, accarezzandosi pigramente lo stomaco. Avrebbe
finito per
digerire in tempo per la Seconda Prova, probabilmente.
Tom
si infilò una delle sue magliette deprimenti che usava come
sopra del pigiama. “Perché
non avrebbe dovuto? Diversamente da
te, lui si fida del mio intuito.” Replicò con tono
sostenuto. Non doveva
essergli piaciuto esser ripreso davanti al suo adorato padrino,
riflettè Al.
“O
forse, siete sulla stessa lunghezza d’onda. Di
paranoia.” Alzò le mani in segno
di resa all’occhiataccia che ne conseguì.
“Non ho detto sia una brutta cosa! A
volte avete ragione.”
“A
volte? Finora non ho mai sbagliato.” Ribatté,
infilandosi sotto le coperte con
lui. Al tentò di avvicinarsi ma si beccò una
spinta sul petto.
Si
raddrizzò cercando di frenare l’istinto di
tirargli un calcio in zone indifese.
“Va bene. Quasi sempre.
Però hai
l’empatia di un fondo di calderone.” Non
mollò il punto. “Con Lily sei stato
orribile.”
“Lei è stata
orribile con me.”
Ritorse aggrottando le sopracciglia. Ma stavolta Al riuscì
ad insinuarsi tra le
sue braccia, per quanto l’idiota continuasse ad essere rigido
come un pezzo di
legno.
“Ti
ha tirato uno schiaffo. Sai quanti ne ha presi James? Non ne ha mai
fatto il
dramma che stai facendo tu.” Gli accarezzò piano
un braccio, comunque consolatorio.
“E poi con me ha parlato.”
Tom
lo guardò con improvviso interesse. “Cosa ti ha
detto?”
“Che le sembra che Luzhin sia tormentato da qualcuno.
Credimi, se lo dice lei,
può essere vero sul serio.”
“Mh.” Tom si lasciò cadere sul cuscino.
Discorsi seri, ma erano pur sempre
dentro un letto caldo mentre fuori aveva ripreso a nevicare con forza.
Era
l’atmosfera. “Di sicuro Hohenheim è il
peggior fiato sul collo che possa
capitare.”
“Già.”
Rimasero in silenzio. Albus non aveva sonno, forse per gli avvenimenti
della
giornata o forse perché il respiro di Tom, che gli aveva
appoggiato le labbra
sui capelli, gli dava un piacevole brivido lungo la schiena.
“Temevo
che Meike finisse per voler dormire con noi… a casa mi segue
come se avessi un
sacchetto di dolci in ogni tasca dei miei pantaloni.” Disse
Tom, con tono
insofferente.
Al
ridacchiò. “È inutile che fingi, tanto
lo so che sei contento che sia qui. Non
l’avresti lasciata salire sulle tue ginocchia per
più di metà cena, altrimenti.”
“Sono contento che abbia
fatto
amicizia con Lily e Alicia e che se la siano portata a dormire con
loro.”
Replicò gelido, dandogli un pizzicotto. “E sai
perché Meike ti ha chiamato Mutti
per tutta la sera?”
Al
rimase in silenzio, massaggiandosi il braccio. “No. Non credo
di volerlo sapere…
e comunque probabilmente gliel’hai suggerito tu.”
La
neve cadeva silenziosa imbiancando il resto del mondo. Al
reclinò la testa per
guardarla posarsi dolcemente sul ramo del pesco vicino alla finestra.
“A
me non sembra che Luzhin sia malvagio.” Disse.
Tom
non replicò, ed Al pensò che si fosse
addormentato. Poi però rispose.
“Neppure
a me… ma non sta a noi giudicare.”
Al
sorrise, stringendo appena la presa sul corpo spigoloso
dell’altro. “Con
quest’affermazione ti sei appena
meritato…”
“… il regalo.” Gli ricordò, e
stava sogghignando. “Voglio il mio regalo.”
“È
già mezzanotte?” Finse, mentre Tom
l’aveva già acchiappato a dovere e
schiacciato trai cuscini.
“Il
mio regalo.”
Insistette, sordo ad ogni monito temporale.
Al
soffocò una risata contro le sue labbra e tirò le
coperte sopra di loro.
I
go singing out of
tune
Singing
how I've always loved you, darling
And
I always will…
****
Note:
Ormai capitoli che sono storie a sé, dalla lunghezza. Damn.
Qui la
canzone. Da quanto
volevo usarla! La adoro.
Quando
Al e Tom parlano all’ingresso, il dialogo è
ripreso dalla 10song
challenge scritta più di un anno fa.
Coerenza, Signori! XD
Next: The Prom Il
Ballo del Ceppo!
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