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Autore: Dira_    01/08/2011    19 recensioni
“Mi chiamo Lily Luna Potter, ho quindici anni e credo nel Fato.
Intendiamoci: niente roba tipo scrutare il cielo. Io credo piuttosto che ciascuno di noi sia nato più di una volta e che prima o poi si trovi di fronte a scelte più vecchie di lui.”
Tom Dursley, la cui anima è quella di Voldemort, è scomparso. Al Potter lo cerca ancora. All’ombra del riesumato Torneo Tremaghi si dipanano i piani della Thule, società occulta, che già una volta ha tentato di impadronirsi dei Doni della Morte.
“Se aveste una seconda possibilità… voi cosa fareste?”
[Seguito di Doppelgaenger]
Genere: Azione, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, Lily Luna Potter, Nuovo personaggio, Rose Weasley, Scorpius Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Doppelgaenger's Saga'
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Capitolo XXXIX







Those Christmas lights, Light up the streets
Down where the sea and city meet
May all your troubles soon be gone
Oh Christmas lights, keep shining on
(Christmas Lights, Coldplay)
 
24 Dicembre 2022
Devonshire, La Tana.

 
Il Natale alla Tana era la teoria del caos applicata alla realtà.
Niente di più, niente di meno.
Frotte di persone – la maggior parte dei quali con capelli rossi – correva da un luogo all’altro, ridendo, urlando, inciampando, mentre carichi delicatissimi come vassoi, piatti o interi set di suppellettili erano lasciati a danzare nell’aria da incantesimi di levitazione.
Nonna Molly, la matrona di casa, impartiva ordini dalla cucina come un generale, acchiappando di tanto in tanto un figlio nella massa e snocciolando corvee da far impallidire Auror vissuti.
Lily da bambina si era sempre divertita un mondo: con i cugini era tutto un cercare di rubare qualche leccornia dal lungo tavolo della cucina prima che la nonna se ne accorgesse.
Al momento si godeva quei ricordi seduta sul divano del salotto in uno dei rari attimi di calma che precedevano il pantagruelico cenone. Le cuginette Lucy e Molly, eredi di tale tradizione, si erano acquattate dietro la porta socchiusa della cucina in attesa del passaggio del prossimo vassoio. Hugo, con loro, tentava di tenersi la bacchetta in tasca, mentre le impietose bambine cercavano di impadronirsene.
“E manca ancora metà famiglia…” Sbuffò Roxanne, seduta accanto a lei. Con un deciso colpo di bacchetta richiuse la porta, tra i moti di delusione delle due bambine, gemelle.
“Goditi l’atmosfera, cugina!” La apostrofò Dominique, che mangiava da mezz’ora e nessuno aveva ancora capito da dove avesse rubato la sua scorta infinita di cibo. Neanche nonna Molly, che l’aveva presa sul personale.
“Sì, prima che arrivi quel guastafeste di Tommy. Con la sua aura lugubre ci farà cascare le palle a tutti!” Esordì James che si rosolava le mani al fuoco del camino. Lily vide il libro in cui si era rifugiato Teddy tremare leggermente.
Fa un pessimo lavoro, se pensa che non ci si accorga che sta ridendo là dietro.
“Crepa James.” Fu la naturale e conseguente risposta di Al.
“È il casino che non sopporto.” Le confidò Roxie con un sospiro, mentre le due rosse cuginette avevano assalito l’altrettanto fulvo Hugo, nel tentativo di rubargli la bacchetta.
“Difenditi con onore, Gogo!” Motteggiò sadica Dominique, mentre il poveretto tentava di liberarsi dalle grinfie delle figlie di Percy Weasley.
“A me invece piace… dico, questa confusione. È famiglia.” Rise Lily, osservando le scene che si svolgevano di fronte a loro. Quello per lei era Natale, e non riusciva ad immaginarlo diversamente.
Rose era l’unica silenziosa del gruppo, se si escludeva Teddy. Stava guardando fuori dalla finestra, seduta accanto ad Al. Non aveva però l’aria patibolare degli ultimi tempi, ma quasi l’espressione… tranquilla.
Anche se quando è entrata stava tipo a venti metri da zio Ron. Devono aver litigato. E sono piuttosto sicura di sapere qual è stato l’argomento. 
Lily si voltò verso la cugina, ignorando le grida del suo valletto deputato seguite da rumori sospetti come qualcuno di ben più pesante di due bambine che gli si sedeva sulla schiena. Probabilmente Dominique.  “Ehi Roxie… sai dov’è zia Aud?”
“Deve essere su.” Rispose l’altra distratta, ridacchiando allo spettacolo del poveretto attaccato da ben tre cugine, di cui una era appunto la micidiale anglofrancese.

Lily si alzò, approfittando della distrazione generale. Sua zia Audrey era una magi-infermiera al San Mungo. E lei da un paio di giorni a quella parte aveva un pensiero che le frullava per la testa.
Ren.
Beh, non esattamente da un paio di giorni, ma erano nuove le sue intenzioni a riguardo. Se voleva capire, doveva usare l’unica cosa di cui non era fiera. Il suo essere una LeNa.
Non aveva però idea da dove cominciare, con quel suo potere: da bambina funzionava senza che potesse farci niente.

Ma adesso sono cresciuta. Forse è cambiato qualcosa?
Quando Ren e James si erano sfidati a duello aveva funzionato, in qualche modo. Aveva sentito le emozioni dell’altro.
E se potessi sentire anche i suoi pensieri? Sarebbe più semplice. Potrei aiutarlo.  
… e capire anche di cosa ha parlato con il Preside Piton, forse?
Lily vide con la coda dell’occhio che Albus la stava guardando, ma lo ignorò. Era arrabbiata con Thomas, e per una strana osmosi dei sentimenti sentiva che doveva avercela anche con il fratello maggiore.
Quei due sono simbiotici! Il dubbio che pensino anche in contemporanea viene. Sarebbe una certezza, se non bisticciassero sempre…
 
Sua zia Audrey era effettivamente al piano di sopra, intenta a sistemare la ex-camera di suo marito di modo che ospitasse anche lei e le bambine. Stranamente c’era solo zia Angelina con lei, e non una pletora di altre zie, o cugine, o parenti sparsi: era il momento perfetto per chiederle un consulto.
“Zia Aud?” Chiese, e la donna rotondetta, si voltò con un sorriso tutto denti. Zia Audrey le era sempre sembrata simile ad una di quelle pagnotte dolci che si sfornavano nelle grandi occasioni di festa: morbida, profumata e che andava presa a piccole dosi, onde evitare indigestione.
Parla il triplo di una persona normale…  
“Oh, Lils, ciao tesoro! Ti serve qualcosa? Merlino, come sei carina oggi… questo vestitino ti sta benissimo! Il rosso spesso non sta bene a chi ha i capelli rossi, ma…” Cominciò infatti.
“Sì, ehm, grazie.” La fermò. “Vorrei parlarti. In privato.” Aggiunse.
“Vado di sotto a vedere se Molly ha bisogno di una mano in cucina.” Zia Angelina era una delle sue parenti acquisite preferite, avendo la meravigliosa abitudine di non fare domande.
Caratteristica rara, in questa famiglia.
Rimaste sole, Lily si prodigò nell’aiutare l’altra donna a riporre la roba delle bambine nella cassapanca. Certi piccoli gesti rendevano sempre più disponibili persone del genere. “Zia … ecco, avrei una domanda.” Iniziò. “… medica.”
“Medica?” La donna entrò in modalità professionale, esattamente come aveva sperato. “Ti senti poco bene tesoro?”
“No, no sto benissimo. È più una curiosità. Cioè, io sono una LeNa, no?” Iniziò con tono casuale, mentre piegava golfini e maglioncini minuscoli. “Mi chiedevo… dovrò tenere l’orecchino di controllo, tipo, per tutta la vita?”
Aveva cercato di essere il più noncurante possibile, ma davanti all’espressione incuriosita dell’altra, seppe che non era stata poi così brava.

“Ti dà fastidio? Forse si è danneggiato… vieni, fammi dare un’occhiata.” Lily obbedì e si fece docilmente controllare. L’orecchino funzionava benissimo ed era ormai parte di lei come i capelli che aveva in testa. Non era quello il punto. “No, sembra tutto a posto.” Le fu infatti comunicato.
“Lo so.” Convenne. “È solo che vorrei sapere se ne ho ancora bisogno.” Spiegò.

L’altra rifletté un momento. “Lils, io non sono una Guaritrice, e non mi sono mai occupata di questa branca della Medimagia. Però questo genere di dispositivi sono fatti per durare una vita. Il che significa, suppongo, che tu debba portarli…”
“… per una vita.” Non era dove voleva che il discorso andasse a parare. Doveva calcare un po’ la mano. “Ma se volessi togliermelo, cosa pensi mi succederebbe?”

La donna fece un breve sospiro, sedendosi sul letto. “Vediamo… la Legimanzia Naturale è una caratteristica della propria forza magica, come il metamorfismo dei Metamorfomaghi. Solo che mentre la seconda è stancante più o meno quanto lanciare un Lumos la Legimanzia Naturale è molto più dispendiosa, in termini di sforzo fisico e magico.” Scosse la testa. “È ciò che ricordo dalle lezioni all’Accademia, Lils… non ricordo molto altro.”
“Va bene… è già qualcosa.” Rifletté: in effetti si era sentita sul punto di svenire quando l’aveva usata durante il duello tra James e Ren. “Però tu la paragoni al metamorfismo. Ted può decidere quando usarlo. Non potrei farlo anch’io?”
La donna scosse la testa. “Non funziona così, tesoro. Questo genere di caratteristiche possono essere sfruttate a comando, è vero, ma sono anche legate ai propri stati d’animo. Il che significa che se il mago subisce una forte emozione, i poteri si attivano senza che lui ne abbia il controllo.”
“Ah…sì, è vero.” Teddy sembrava non rendersi conto dei cambiamenti cromatici in atto sulla sua testa. Era uno dei motivi principali per cui lei e James lo prendevano in giro quando erano bambini.

Perdere il controllo era precisamente ciò che le era successo ad Hogsmeade.
Volevo sentirle. Ma non è come se avessi puntato la bacchetta e pronunciato un incantesimo.
È successo e basta. E non potevo fermarmi in nessun modo.
Cavolo.
“È pericoloso Lily.” La strappò ai suoi pensieri la zia, con aria seria. “Capisco che tu sia attirata dall’idea di sentire cosa pensano gli altri… chi non lo sarebbe?” Sorrise tra sé e sé. “Ma non saresti in grado di controllarti. Potresti consumare…”
“Consumare?”
“La magia non è infinita. È come il sangue. Può essere rigenerata, ma se ne perdi troppa in incantesimi, o utilizzando caratteristiche come la tua che comportano un grande sforzo magico…”
“Muori?” A quello non aveva pensato.

No, no, no. Non è un opzione praticabile.
La donna le sorrise, alzandosi e prendendo in mano uno dei golf del marito per liberarlo da un filo pendente. “Non esageriamo. Il corpo umano ha dei meccanismi di difesa. Prima di arrivare a quello, probabilmente perderesti i sensi. Poi per un bel po’ dovresti stare lontana da bacchette e incantesimi.” Le spiegò dandole una pacchetta sulla spalla. “È raro che si muoia in questo modo.”
Raro ma non impossibile? Mi basta.

“Insomma, non devo togliermelo.” Riassunse, frustrata. Non aveva intenzione di sentirsi male, neppure per scoprire cosa passava nella testa del suo teutonico amico. “Ma se imparassi a controllarmi? Ci deve essere un modo!”
La strega stavolta le scoccò un’occhiata perplessa. Probabilmente la sua insistenza era un tantino sospetta. “Sì, immagino di sì… te l’ho detto, è una branca molto specifica, non ne so molto… ma perché vuoi togliertelo?”
Esibì la sua espressione più innocente. Sfortunatamente sapeva fosse poco credibile. “Non lo so. Immagino sarebbe… interessante… leggere nella testa delle persone, come hai detto tu.”

Se solo avesse potuto leggere i pensieri dell’amico sarebbe stato tutto più semplice. Non solo le sue emozioni. Con quelle ci faceva ben poco. Capire cosa provava non le forniva la causa.
So come si sente, okay.  Ma non so il perché e chi lo fa sentire così.
La donna assunse un’aria diffidente. “Dovresti chiedere al guaritore che ti ha messo l’impianto. E comunque, tesoro, non piace a nessuno sapere di aver vicino qualcuno che gli fruga trai pensieri…”
Già.

Si morse un labbro. Certe pratiche non erano accettate neppure nel Mondo Magico.
I pensieri sono la cosa più personale e segreta che si ha… in nessuno dei due mondi va a genio chi cerca di rubartela.  
“Hai ragione…” Sorrise scrollando le spalle. “Era solo una curiosità. Sembra una cosa troppo pericolosa comunque. Grazie zia, mi hai tolto un bel po’ di domande dalla testa!”
La donna sembrò rasserenata dalla risposta, e le sorrise di rimando.
Uscita dalla stanza, Lily sospirò.
Okay, piano bocciato.
Avrebbe dovuto limitarsi ad usare gli strumenti che aveva già a disposizione.
Forse dovrei solo cercare di farlo confessare… cioè. Farlo aprire. Farlo parlare.
Cosa piuttosto difficile a farsi, se ne rendeva conto.
 
****
 
“Sei sicuro?”
“Papà…”
“No, devi dirmi se sei sicuro che non faranno uno di quei vostri trucchi…”
Tom alzò gli occhi al cielo, mentre accanto a lui Alicia e sua madre ridacchiavano sotto i baffi. Com’era ovvio Dudley Dursley era terrorizzato dall’eventualità di entrare in una casa che pullulava di streghe e maghi di ogni età e taglia. Anche Vern era tutto un’occhiata ansiosa.

“Sì, useranno la magia, ma no, non lo faranno per spaventarvi.” Ripeté per circa la ventesima volta da quando erano partiti da Privet Drive. “Non mi sembra che nessuno di voi abbia mai agitato una presa elettrica di fronte ad Harry o ai suoi figli per divertimento, no?”
“Non è la stessa cosa.” Ribatté testardamente l’uomo, mentre la moglie gli accarezzava supportiva un braccio.
“Sta calmo, Big D.” Lo apostrofò con gli occhi che le ridevano. “Harry e la sua famiglia sanno che la magia ti innervosisce. Tom gliel’ha detto, non è vero tesoro?”
“Sì. Gliel’ho ripetuto, a dirla tutta.” Aprì il cancello sgangherato della proprietà, lanciando un’occhiata alle finestre illuminate della vecchia casa.
Meike accanto a lui diede una pacchetta solidale alla mano di Dudley. “Non si preoccupi Herr Dursley!” Squadernò di colpo la propria bacchetta. “Se le fanno qualche scherzo, io la difendo!”
Robin afferrò il marito prima che facesse uno schizzo indietro. “Grazie Meike, sei molto cara. Hai sentito D? Sei ben difeso.”
“Smettetela di prendermi in giro…” Borbottò aggiustandosi il cappotto. “E tu, ragazzina… che t’ho detto su quel legnetto?”
“Bacchetta.” Precisò la bambina con puntiglio così simile al suo, che Tom si sentì sghignazzare sua sorella alle spalle. “Lo so che non la devo tirare fuori in casa, però adesso non siamo proprio proprio a casa, no?”
“Meike, via la bacchetta.” Tom dovette frenare un sorrisetto.

Alicia invece non fece lo stesso. “Andiamo papà, fattene una ragione, ne vedrai un sacco questa sera!” Lo apostrofò con aria eccitata, lanciando un’occhiata curiosa alla casa.
Vernon aggrottò in contemporanea le sopracciglia. “Ma… è tutta storta. Come fa a reggersi in piedi?”
“Magia.” Ribatté Tom con una certa soddisfazione, mentre il fratello adottivo prendeva un’aria ancora più preoccupata.

“Sicuro che ci regga tutti?”
“Più sicuro che un piano regolatore ben eseguito.” Replicò, afferrando il battente del portone e bussando un paio di volte. “Comunque dormiremo da Harry e la sua famiglia, non qui.” Spiegò: il viaggio di ritorno, con un mezzo babbano sarebbe stato troppo lungo. Robin aveva quindi accettato entusiasticamente l’invito di Ginny a trascorrere la notte da loro. Tom l’aveva saputo quel pomeriggio stesso.

Avrei dovuto immaginarlo, dato le distanze. Adesso capisco perché papà non voleva venire.
Una serata sì, ma un’intera notte?
“Chissà com’è dormire in una casa magica…” Fantasticò Alicia.
Tom le sorrise appena, mentre acchiappava Meike per il cappuccio, onde evitare che si scapicollasse in giardino. Stava infatti puntando uno gnomo che tentava di passare inosservato. “In realtà non è diverso che dormire a casa nostra. I letti non fluttuano mentre dormi.”
A meno che tu non abbia imbarazzanti strascichi di Magia Innata come James.

“Quello è uno gnomo!” Strillò Meike. “Non ne ho mai visto uno!”
“Potrai lanciarlo dopo.” La apostrofò, non potendo fare a meno di notare che suo padre e Vernon si erano praticamente messi alle sue spalle in cerca di protezione.

“Lanciarlo, sul serio?!”
Tom roteò gli occhi al cielo nell’esatto momento in cui Al aprì la porta.
“Benvenuti e Buon Natale!” Esordì con la solita quieta giovialità. Questo prima di vedere Meike ed aprirsi in un largo sorriso. “Meike!”
“Al!” Esclamò la bambina con gioia, placcandolo alla vita. Al non fece una piega probabilmente perché c’era abituato grazie al Quidditch.
Mh.
A quanto pare le sue lettere erano più sentimentali delle mie, se gli si è affezionata tanto.
“Hai visto Al? Guarda! Ho una super-nuova bacchetta! Me l’ha regalata Tom! Cioè, me l’avete regalata voi!” Cinguettò felice, rischiando di ficcargliela in un occhio per l’entusiasmo. “Grazie per il regalo!”
“È davvero bellissima, Meike.”  Al gli scoccò un’occhiata e Tom non si sentì più l’ultima ruota di scorta. In realtà, si sentì molto considerato. “Ma prego, entrate! Ha nevicato, vero? Venite a scaldarvi!” Apostrofò il resto della famiglia, salutandoli poi uno ad uno.
Tom aspettò nelle retrovie. Quando arrivò Harry riuscì a far spostare suo padre e suo fratello, immobili, dall’ingresso. Ringraziò il padrino con un’occhiata e quello gli sorrise comprensivo.
La situazione si normalizzerà non appena capiranno che nessuno vuole trasformarli in animali della fattoria…
Rimasti tra soli maghi, Al tirò una ciocca di capelli a Meike, rimasta saldamente abbracciata al suo fianco. “Allora… ti piace l’Inghilterra?”
“È bellissima! Ci voglio venire a vivere, e so che Tom mi farà venire ad Hogwarts!”

 Ti farà?
Tom si schiarì la voce di fronte all’aria divertita dell’altro. “Intendeva dire … che faremo tutti in modo che il suo trasferimento sia facilitato.”
“Sì, come ti pare.” Lo smontò la peste. Guardò dall’uno all’altro. “Ora vi baciate?” Chiese dal nulla.

Tom vide Albus avvampare come se avesse messo il viso troppo vicino alle fiamme del camino. “… eh?”
“C’è il vischio.” Replicò imperturbabile, indicando una fronda particolarmente cespugliosa sopra le loro teste. “Quando c’è il vischio chi si vuole bene, si deve baciare.” Aggiunse con teutonica certezza.

“Non è stata un mia idea.” Si affrettò a spiegare loro Al, in piena agitazione. “È stata Lily… e Freddy, forse. Io…” Lo guardò in cerca di aiuto.
Spero che non perda mai questa timidezza adorabile.
“L’hai sentita. Ci si deve baciare.” Replicò tranquillo, facendo un sorrisetto d’approvazione alla bambina.
Al gli lanciò un’occhiataccia. “Bene.” Si chinò all’altezza di Meike e le diede un bacio sulla guancia. “Ma al momento non sono abbracciato a te, Tom. E quindi il bacio spetta a lei.”
Meike fece un versetto che a Tom sembrò inquietantemente civettuolo. Poi per fortuna fu attirata di colpo da una forte luce colorata proveniente dal salotto. “Ehi, Al! C’è anche quel tuo zio che fai i fuochi magici?”
“Certo, zio George.” Le assicurò. “Credo ne abbia acceso uno proprio adesso. Perché non vai a vedere?”
“Fico!” Esclamò, e li piantò su due piedi senza aggiungere altro.

Al ridacchiò alla sua espressione perplessa. “Stasera dovrai dividerla con almeno venti persone. Puoi sopportarlo?”
“Naturalmente, voglio che faccia amicizia.” Replicò sostenuto.

“Amici alla fine della serata non le mancheranno, sta’ sicuro.” Gli si avvicinò, lanciandosi un’occhiata distratta alle sue spalle, sentendo l’ennesimo botto e scroscio di risa. “Alla fine tuo padre si è convinto…”
Tom si spazzò la neve dal cappotto. “Credo sia grazie al tuo. Avrà fatto pressioni.”
“Forse l’ha semplicemente convinto.” Osservò. Poi gli passò le braccia attorno alla vita con una naturalezza che rilassò immediatamente Tom: poteva detestare il chiasso in cui di lì a poco sarebbe stato forzato ad entrare. Ma non detestava Albus.

Dato di fatto ineluttabile come il sorgere del sole.
“Sono tanto, tanto contento.” Aveva le guance ancora rosse. Dunque non era imbarazzo per il vischio.
Scommetto che anche quest’anno James e Fred gli hanno corretto il succo di zucca.  
Poi si ricordò che quella era la tipica frase iniziale che l’altro, da bambini, utilizzava per salutarlo quando riusciva a venire a Natale. Sogghignò di rimando.
Mi hai fatto il regalo Tom?” Replicò, imitando la sua vocetta infantile in maniera piuttosto convincente.
Albus gli mollò un pugno leggero sulla spalla. Poi però si fece serio di colpo. “Certo che me l’hai fatto.” Sussurrò piano. “Sei qui.”

“Al…” Non  finì la frase che l’altro si alzò leggermente in punta di piedi e appoggiò le labbra sulle sue. Tom ricambiò il bacio sentendosi sparire dalle spalle il peso che l’aveva quasi schiacciato tre secondi prima ricordando il motivo per cui Al aveva rimarcato la sua presenza.
Okay. Niente sensi di colpa a Natale. Funziona così questa festa ridicola, no?
“Lo sai che ti hanno corretto il succo, vero?” Gli sussurrò sulle labbra, che in effetti avevano un vago sentore alcolico.
Al sbuffò. “Lo fanno ogni anno. Ne ho bevuto solo un po’.” Poi gli strinse il braccio, mentre il sorriso prendeva una sfumatura maliziosa. “A proposito di regalo… che dici, se mi dai il permesso posso scartarlo?”
Tom fece mente locale. Cenone, famiglia a pochi metri. Molta famiglia a pochi metri.
“Mi stai di nuovo punendo per qualcosa?” Chiese in tono informativo. Ormai illuderlo e poi mollarlo eccitato come un qualsiasi ormonale idiota era diventato il suo metodo di rappresaglia preferito.
Non credo di aver fatto nulla di sbagliato stavolta. Ma non si sa mai.
Al ridacchiò. “No… o meglio, dipende da come ti comporti stasera.” Lo sciolse dall’abbraccio. Si obbligò a non riacchiapparlo. “Tuo padre sembra molto teso… e anche tuo fratello non scherza. Se fossi un po’ più sociale del solito e li aiutassi ad interagire con gli altri, magari potrebbero rilassarsi.”
“E cosa ci guadagno?”

Al inarcò le sopracciglia, già sullo stipite della porta che dava sul salotto. “Il tuo regalo?”
“Quello me lo devi fare comunque.” Osservò piazzando una mano sul pomello per evitare che la aprisse spalancando le porte dell’inferno Weasley.

Al lo guardò da sopra la spalla con un’espressione furba. “Io parlavo dell’altro regalo.”
Rimase un attimo in silenzio. Poi ispirò. “Profondamente sleale, Signor Potter.”
“Lo so. Siamo tremendi noi serpeverde, vero?” Gli fece la linguaccia.

Tom fece un mezzo sorriso, poi tornò serio. “Dobbiamo parlare con Harry.”
Stasera?” Fece una smorfia. “È la Vigilia!”
“Non qui, quando saremo a casa.” Vedendo che non era convinto, andò sul pragmatico. “Non abbiamo molto tempo. Luzhin tornerà per il Ballo, ma il vascello di Durmstrang salperà per Santo Stefano. Il ventisei, tra tre giorni.” Soggiunse vedendo che non capiva. “Fuori dal territorio britannico per tuo padre sarà difficile avere influenza. O direttamente indagare.”

Al sospirò. “Va bene.” Mugugnò sconfitto. “Andiamo adesso? Vorrei ricordarti che ci sono persone che ci aspettano.” Non aspettò un suo cenno affermativo e spinse la porta, sparendo all’interno del salotto.
Tom sospirò. Poi lo seguì.
 
****
 
Albus osservò ridendo l’animata partita di neve che si disputava nel giardino della Tana.
Finita la cena era stato proposto da Hugo di andare fuori a respirare un po’ d’‘aria pura’.
Naturalmente una parola in codice…
Alicia e Vernon avevano acconsentito volentieri, meno a disagio dopo aver scoperto che molti dei loro parenti acquisiti non erano totali alienati e conoscevano l’uso dei basilari sistemi di intrattenimento babbano. Hugo specialmente aveva intavolato una fitta conversazione sui videogiochi con Vern.
Appena fuori, Freddy e James avevano aperto le danze. In meno di qualche minuto, l’aria si era riempita di decine di palle di neve. L’unica regola: niente uso della magia.
Non c’è niente di meglio che tirarsi blocchi di ghiaccio congelato per fare amicizia.
Persino Alicia, che possedeva a volte la stessa indifferenza distaccata di Tom, al momento era rossa in viso e ridente, mentre cercava di ripararsi dagli attacchi di Freddy, le gemelle e Dominique.
A Natale siamo tutti meno misantropi.
Rose, seduta accanto a lui su un enorme e vecchio divano lasciato lì per essere buttato e poi dimenticato, sospirò. “Gliel’ho detto.” Esordì mentre davanti a loro passava Hugo inseguito da un’implacabile Meike.
Al le scoccò un’occhiata. “A tuo padre?” Indovinò al primo colpo: facile del resto, dato che suo zio Ron aveva passato tutta la cena con un broncio infinito.
“Già. Pensavo peggio. Pensavo avrebbe cominciato a lanciare oggetti, sinceramente.” Ironizzò, stringendosi nel giubbotto. “Certo, probabilmente non mi parlerà per decenni. E mamma dovrà trascinarlo schiantato al matrimonio mio e di Sy.”
“Wow, già pensiamo al matrimonio?” La prese in giro, e l’altra arrossì.

“Non ho intenzione di mollare la presa su qualcuno che è riuscito a farmi litigare con mio padre. È una questione di principio. Poi, vedremo.” Mugugnò. “Intanto beh… amo quello stupido biondino.”
Al le strinse la mano, ingoiandosi una risata. Rose sapeva diventare violenta quando era in imbarazzo, come metà dei membri femminili della loro famiglia. “E tua mamma che ne pensa?”
“Credo che preferisca mantenersi neutrale finché non ha raccolto tutti gli elementi necessari ad un’analisi.” Scherzò. “E mi sta benissimo. Non ho bisogno di un’altra voce in testa al momento…”

Al le passò un braccio attorno alle spalle, e la strinse in un abbraccio che l’altra ricambiò grata.
“La sua famiglia non mi accetterà mai, vero?” Soggiunse piano, ma senza lacrime o incertezze.  
“Penso che ci vorrà tempo, per entrambe le nostre famiglie. Ma io e gli altri renderemo le cose più facili. Te lo prometto.” Le baciò la tempia fredda con affetto. Rose gli sorrise di rimando. Poi si alzò, spazzolandosi i pantaloni.
“Vado a controllare che non mi ammazzino Hugo. Vieni?” Fece un sorrisetto. “Scommetto che stavolta riesco a tirartene almeno una.”
“Impossibile. Ho riflessi da Cercatore. Serpeverde.” Puntualizzo strizzandole l’occhio. Poi guardò il campo di battaglia. Lily non c’era. Strinse appena le labbra. “Vai tu, io ti raggiungo tra un momento.”

Quando la cugina se ne fu andata, rientrò immediatamente in casa. Gli adulti erano seduti in salotto, sui divani, a bere il digestivo alle erbe di nonna Molly e chiacchierare. Sentì a sorpresa la voce baritonale di Dudley associata a quella di suo zio Ron. Chissà di cosa parlavano due persone tanto diverse.
È davvero la magia del Natale…
Lanciò un’occhiata all’interno e intercettò lo sguardo di Tom, seduto con zia Hermione davanti al fuoco.
Tipico. Se non lo conoscessi bene, sarei pure geloso della sua cotta intellettuale. Passa tutte le feste al suo fianco.
Di Lily però non c’era traccia. Evitare il chiasso per lei era un sintomo preoccupante.  Albus rifletté: l’anno prima era stato lui l’asociale della storia. E dove si era rifugiato?
Seppe di colpo dov’era sua sorella.
 
La soffitta della Tana era il luogo di raccoglimento interiore per eccellenza. Isolata dalla baraonda dei piani sottostanti, sufficientemente incasinata dal potercisi nascondere sentendosi al sicuro.
La trovò seduta di fronte alla bassa finestrella che dava luce alla stanza quando era giorno. Osservava il buio fuori e aveva acceso un paio di candele per non averlo dentro.
“Ehi…” La chiamò gentilmente. Lily sobbalzò lo stesso, lanciandogli un’occhiata allarmata. “Scusa, non volevo spaventarti.”
“Pare che ci si spaventi quando si pensa troppo.” Borbottò. Sembrava proprio avercela con lui.

Tirò fuori la sua aria più confusa e dispiaciuta. “Lils, sei arrabbiata con me? Ho fatto qualcosa?”
La sorellina arrossì, a disagio. “No… cioè… no. Dai.” Sbuffò arresa. “Siediti.” 

Al obbedì trionfante, ma non le chiese perché fosse lì. Non era il modo giusto per iniziare quella conversazione.
“Questo Natale è molto babbano, eh?” Le disse invece. “Sono contento che i genitori di Tom si siano ambientati. Certo, c’è stato quel momento in cui Freddy ha quasi fatto esplodere la sedia sotto il sedere di zio Dudley, ma…”
“Pensavo che nonna l’avrebbe trasformato in una zucchina.” Ridacchiò la sorella. “Meno male che Jamie l’ha fermato in tempo.”
“Chi l’avrebbe mai detto. Nostro fratello ha finalmente l’età che dimostra, e non cinque anni.”

“Tu dici? Io gliene darei dieci.”
Risero entrambi. Lily finalmente si era rilassata. Era quindi il momento giusto. “Emozionata per domani?” Le chiese con noncuranza.  

Lily scrollò le spalle. “Ho il vestito. Ho un appuntamento dal parrucchiere. Sono preparata.”  
“E non dimenticarti il cavaliere.” Aggiunse dolcemente. Lily si irrigidì, di nuovo. Però poi gli sorrise.
“Sì, giusto. Ed indosserà l’uniforme di gala. Ci pensi? Solo zia Hermione ha avuto questa fortuna, e comunque zio Ron pensò bene di rovinarle la serata. Mai notato che zio Ron è un rovina-serate?” Era chiaro tentasse di cambiare discorso. Al non rispose e l’argomento cadde da sé.
Lily si morse allora il labbro, aggrottando le sopracciglia. “Perché a nessuno di voi piace Ren?” Sbottò di colpo, aggressiva. Protettiva, in realtà. Ecco dove Tom aveva sbagliato: aveva visto solo l’aggressività e aveva reagito incalzandola fino all’inevitabile ceffone.
Invece vuole solo difendere il suo amico.
“Non ho mai detto che non mi piaccia.” Osservò quieto. “Sembra un bravo ragazzo.” Ed era vero. Tralasciando l’episodio sinistro con Fanny, Luzhin si era sempre comportato da perfetto gentiluomo, con tutti. Solo con James aveva perso la calma.
Ma Jam sa come fa saltare i nervi a qualcuno…  
Si comportava molto meglio della maggior parte dei ragazzi della loro età. Specialmente con Lily: la portava praticamente in palmo di mano.
Ce lo vedo a stendere il mantello su una pozzanghera, per farla passare.
Inoltre sembrava sincero. Non poteva dimenticare come aveva parlato di Lily, la sicurezza nel suo tono. Non gli aveva detto quelle cose per ingraziarselo: gliele aveva dette perché ci credeva.
Ciò non toglie però che abbia qualcosa che non va.
Lily nel frattempo sbuffò. “Allora se non ce l’hai con lui, mi spieghi perché sia tu che Tom lo spiate?”
“Spiamo?” Mantenne un tono sorpreso, anche se la vera sorpresa era che se ne fosse accorta.
Neppure tanto. Lo sai quanto è sveglia su queste cose…
“Sì, lo spiate. Soprattutto Tom. Perché?” Al si sentì un tantino agitato, quando Lily gli piantò gli occhi nei suoi. Sua sorella era un vero mastino, quando si trattava di avere delle risposte.
Non molla finché non le ottiene.
Capì quindi che doveva concederle qualche rivelazione, per farla aprire di rimando. Era una legge vecchia come il mondo. “Tom pensa che nasconda qualcosa… Pensa che Durmstrang possa essere coinvolta nell’attacco della Prima Prova.”
Non era vero: ma dirle la verità, cruda e diretta, non sarebbe stata una buona idea.
Se è innamorata di lui…
“Durmstrang? La scuola?” Lily batté le palpebre confusa. “Sì, beh, in effetti dopo l’attacco dei Dissennatori il Torneo è stato spostato là. Magari…” Fece una pausa. “Credi che Ren sia coinvolto?”
“Credo che possa saperne qualcosa. Dopotutto è il loro Campione.” Spiegò calmo. Se le avesse detto che c’entrava quasi sicuramente la Thule, Lily sarebbe andata nel panico. Non c’era alcun bisogno di coinvolgerla. Poteva aiutarli a capire Ren…

Ma non deve essere trascinata in questa storia.
“Ti ha colpita qualche suo comportamento particolare ultimamente?”
Lily nicchiò a lungo, infine fece un sospiro. “Sembra… preoccupato. Spaventato.” Si corresse. “Da qualcosa… o da qualcuno. È come se avesse sempre… non so. Ha…” Esitò. “… ha la faccia di chi in un vicolo buio pensa di essere seguito.”
Lily. Sia benedetta la sua capacità di dare immagini riassuntive perfette.

“Capito.” Le sorrise. “Comunque non preoccuparti. Sai com’è fatto Tom. Pieno di teorie cospirative.” Si alzò, sentendo che fuori gli altri stavano rientrando. Presto qualcuno si sarebbe chiesto dove erano finiti. “Io scendo. Vieni?”  
“Sì, certo.” Annuì tranquilla. Al fece per voltarsi quando, a sorpresa, Lily lo afferrò per un braccio. Aveva un’espressione concentrata, insolitamente seria. Si mordicchiò il labbro un momento, prima di parlare.
“Ren… lui… non farebbe male ad una mosca.” Mormorò. “Non ne sarebbe capace. Qualsiasi cosa stia pensando Tom… Ren non l’ha fatta. Ne sono sicura.”
Albus le sorrise: cosa avrebbe potuto dirle? Era chiaro che la sorellina non avrebbe mai potuto pensar male dell’amico. Ma lui… beh. Poteva aver tacciato per mesi Tom di paranoia. Ma non poteva più farlo, non dopo del collegamento di Luzhin con la Magia Oscura.
Avrebbe voluto dirle di allontanarsi, ma la conosceva: si sarebbe opposta per principio. In questo erano maledettamente simili.
Mi hanno detto in tutti modi di star lontano da Tom, di mettere la giusta distanza tra di noi.
L’ho mai fatto?
Certo, tra Sören e Lily non c’era lo stesso rapporto che passava tra lui e Thomas: per sua sorella probabilmente era solo una cotta tenace.
Ma sfortunatamente la nostra tenacia assomiglia terribilmente alla testardaggine …
Lily non doveva assolutamente scoprire cosa lui e Tom supponevano del tedesco.
Meno sa di tutta questa storia, meglio è. Non deve fare domande, non deve sapere. Niente.
“Non preoccuparti.” Le diede un leggero colpetto sulla spalla, nel modo più rassicurante che gli riuscì.
Lily gli sorrise appena di rimando. “Okay.” Disse, e poi gli si affiancò, scendendo con lui le scale.
Dobbiamo tenerla fuori dai guai. Da questi guai. A tutti costi. Non anche mia sorella.
Io ho scelto di farmi coinvolgere. Ma lei no.
Tom non aveva tutti i torti: dovevano parlare con suo padre. Quella sera stessa.
 
****
 
Germania del Nord
Residenza estiva degli Hohenheim.

 
La pendola vicino al camino aveva appena segnato le dieci di sera e la cena non era ancora stata annunciata.
Sören tese appena le labbra in una linea incerta, sfiorando con le dita la copertina del libro che stava tentando di leggere per distrarsi.
Non era da suo zio un comportamento del genere.
Suo zio, che aveva sempre preteso assoluta puntualità, rispetto delle tradizioni, rispetto dell’etichetta, persino quando erano soli.
Ma con la nuova casa, erano arrivate nuove regole. A Sören era stato ordinato di non lasciare i propri appartamenti, a meno che non fosse espressamente chiamato. E così aveva fatto da quando era arrivato il giorno prima.
Suo zio l’aveva accolto con poche parole e un abbraccio cerimonioso. Nulla di inusuale.
Ma quel ritardo nel servire la cena della Vigilia non andava bene. Non era… normale.
Scrollò la cenere della propria pipa nel fuoco, riponendola poi dentro il panciotto. Si era vestito di tutto punto, come si conveniva ad un’occasione del genere, ma questo era accaduto ore prima.
Doveva andare a controllare.
Si buttò addosso il leggero mantello che usava in casa per spostarsi lungo i corridoi gelidi: suo zio non amava il calore generato da incantesimi riscaldanti. Lo trovava fastidioso.
Invece non lo è. Ad Hogwarts è piacevole non trovarsi perennemente con le punta delle dita congelate.
Impiegò svariati minuti per raggiungere le cucine. Non ricordava bene dove si trovassero: quella tenuta l’aveva visitata poco da bambino. In realtà, era stata usata poco dallo stesso Hohenheim.
Le trovò seguendo il suono di voci e il riverbero di candelabri. I servi dovevano essere lì.
Si accostò alla grande porta ellittica, sentendoli ridere. Probabile stessero consumando la loro, di cena.
Sentì un crampo allo stomaco, ma lo ignorò. Avrebbe sempre potuto farsi portare qualcosa dopo.
Risentire il tedesco del Nord dopo tanto tempo era piacevole. Kirill e i ragazzi di Durmstrang parlavano il tedesco della Baviera, comprensibile per lui, ma dai suoni meno aspri, meno suoi.
“Povero Signorino…” Udì. Era la voce di un uomo. Forse il vecchio Etzel, servitore di suo zio da decenni. “Pensate che dovremo portargli qualcosa da mangiare?”
“Sei matto, vecchio?” La seconda voce era giovane. Un ragazzo. Doveva essere il nuovo sguattero. “Sai come funziona meglio di me, qua. Nessuna iniziativa personale!”
“Ma starà morendo fame… il pranzo è stato ore fa.”
“E che muoia!” Fu la risposta. “Tanto, son tutti uguali quelli della loro schiatta. Pensano che gli dobbiamo leccar le suole degli stivali per il loro sangue puro. Beh, ti dirò una cosa Etzel. Anche la mia, era una famiglia di purosangue. E dato che son nato Magonò, hanno ben pensato di cacciarmi ad elemosinare nelle strade di Lubecca!”

“Taci, Milo!” Lo apostrofò una terza voce, femminile. Sören la ricordava bene. Era la serva che da bambino aveva curato spesso le sue ferite dopo gli allenamenti. “Qui lo siamo tutti, e dovremo esser grati al padrone che ci ha dato un tetto sopra la testa e pane da mordere!”
“Grati sì…” Sbuffò. “Lo sono, sicuro. O lo ero, mica lo so. Andiamo… lo avete visto come si comporta in ‘sti ultimi tempi! Ci ordina di restar confinati nei nostri quartieri, non esce dal suo studio… e se gli gira storto, non ci pensa due volte ad agitar la bacchetta! Hilda l’ha vista la mia schiena, dopo che il padrone mi ha punito perché avevo rovesciato un solo, fottuto bicchiere!”
Sören inspirò: suo zio che usava violenza ai servi. Non era mai accaduto prima. Sì, era un uomo duro, inflessibile, e non perdonava gli errori. Ma ferire un ragazzo per un bicchiere rovesciato era… troppo.
“Zitto, zitto…” Mormorò l’uomo, e il tono di voce era teso, spaventato. “Non si parla male del padrone. Lascia perdere. Fa’ silenzio. Pensa a mangiare.”
“Bel Natale che è… rinchiusi qui con un pazzo. Una belva.” Grugnì il ragazzo. Poi seguì rumore di mascelle; avevano ripreso a mangiare.

Sören rimase appoggiato alla porta della cucina, pensando. 
Sapeva bene che i magonò tendevano sempre ad esagerare le loro condizioni per farsi compatire. Era una lezione che gli era stata insegnata sin da bambino. Ma il tono di quel servetto esprimeva frustrazione e paura, dietro l’irritante sfacciataggine. Non stava esagerando.
Come gli avrà ridotto la schiena?
Le comunicazioni con suo zio in quei mesi erano state poche. Circostanziali alla sua missione. Non aveva mai pensato di chiedergli nulla, ma solo di rispondergli.
Quando me ne sono andato era perfettamente in sé … Certo è pur vero che son stato qui pochi giorni. Sono tornato dalla Russia, ho chiuso il vecchio maniero e poi qui… una settimana, forse. Forse meno.
Decise che era il momento di capire. Esagerazione dei servi o meno, qualcosa non andava.
 
Percorse la distanza tra le cucine e lo studio di suo zio in pochi attimi, sentendo i crampi allo stomaco farsi sempre più forti e dolorosi. Non era solo la fame. Era ansia.
Serrò i pugni, ma poi bussò alla vecchia porta in noce davanti cui aveva atteso tante volte. Non era la stessa, certo, ma era un simbolo.
Non ebbe alcuna risposta. Normale, pensò nebulosamente. Non era stato annunciato.
E se si fosse sentito male? I servi sembrano aver talmente paura di lui che non saranno di sicuro entrati.
Si fece coraggio ed aprì la porta. Il fuoco baluginava morente nel camino, e le tende erano come sempre tirate. Sören non ricordava di averlo mai visto lavorare alla luce naturale del sole, persino durante le luminose giornate estive che talvolta graziavano la loro terra.
“Zio?” Lo chiamò, non riuscendo a capire se fosse seduto alla poltrona della scrivania. Era troppo buio e le ombre si allungavano e tremavano dinnanzi alle braci del focolare, inghiottendo tutto.
“Sören.” La voce di Alberich von Hohenheim non proveniva dalla scrivania, bensì vicino alle grandi finestre oscurate. Sören inspirò, voltandosi in quella direzione. “Non mi sembra di averti mandato a chiamare.”
“No.” Confermò con un lieve inchino di saluto. “Ma è molto tardi e la cena non è stata servita.”
“Lo so.” Fu la risposta inaspettatamente quieta.

Sören prese un nuovo sospiro. “Mi… mi stavo chiedendo il perché. È la Vigilia, zio.”
“La Vigilia…” Mormorò questi. “Sì, naturalmente. Se hai fame, puoi chiedere di farti preparare qualcosa. I servi dovrebbero ancora essere in cucina.”
“Non è questo.” Obbiettò, abbassando subito lo sguardo quando vide che l’uomo si avvicinava nella sua direzione. “È che … ho ascoltato i servi parlare, e ho inteso… che neppure Voi avete cenato.”
“Non ho fame.” Tagliò corto. “C’è dell’altro?”

C’era dell’altro. C’era molto. Sören si morse le labbra fino a sentire il sapore ferroso del sangue.
Cosa sta succedendo? Perché uno sguattero si permette di darti del folle?
Perché il piano che sto eseguendo sembra far acqua da tutte le parti, e fa rischiare a me e a Poliakoff continuamente?

Qual è l’obbiettivo finale?
C’è, un obbiettivo finale?

Erano un fiume di domande, che gli si erano formate lentamente, ma tenacemente in testa, come un cancro silenzioso. E non volevano saperne di andarsene, per quanto provasse a chiuderle fuori.
“Non c’è altro.” Disse però. Poteva pensare, ma parlare… era tutta un’altra storia. “Ero solo preoccupato.”
“Sei un buon nipote.” L’uomo uscì dal cono d’ombra. Sören trattenne un esclamazione soffocata. Durante i loro contatti l’aveva visto, ma sempre nebulosamente dietro la cortina fumosa del Fuoco Magico.
Dal vivo, si rese conto di quanto suo zio fosse dimagrito, pallido. Non emanava più quell’aria di imponenza che l’aveva sempre paralizzato sin da bambino.   
Non che questo lo rendesse meno spaventoso ai suoi occhi.
Di colpo capì cosa intendeva il giovane Milo.
Sembra una belva in gabbia…
Come se qualcosa lo consumasse, un pensiero. Aveva l’aria di un uomo che stava pensando troppo.
Ma non è solo questo… è…
“Un nipote affezionato.” Riprese l’uomo, con quella sua voce bassa, che si insinuava nel padiglione auricolare come una lama avrebbe fatto elegantemente nella carne. “Ma la tua unica preoccupazione deve essere il piano che porterai a termine.” Gli mise una mano sulla spalla. “Solo quella.”
“Sì, zio.” Esitò, poi lo disse. “Potremo cenare qui, se lo desiderate…” Capì di aver oltrepassato il segno quando vide lo sguardo dell’uomo.

“Al diavolo la cena!” Ruggì di colpo e Sören istintivamente fece un passo indietro. “E tutto ciò a cui pensi, sciocco ragazzo?! Questo tua non richiesta pietà un giorno ti costerà cara! E prega che non costi anche a me!”
“Io…” Si sentiva la bocca secca e il cuore battere furioso nel petto. Sapeva che era stupito essere terrorizzato e sentirsi in colpa per aver semplicemente proposto un’idea. Ma suo zio non aveva mai avuto quegli scatti d’ira improvvisi. Certo, a meno che non sbagliasse durante gli allenamenti. Ma lì si supponeva lo meritasse per essere goffo e poco reattivo. “Sono Vostro servo fedele.” Sussurrò in fretta, automaticamente.

L’uomo fece una smorfia. “È bene che tu lo ricordi.” Inspirò lentamente. “Dammi un bicchier d’acqua.” Gli ordinò secco.
Sören obbedì, ma quando si voltò a versarlo sentì un colpo secco, come di qualcosa, qualcuno, che cadeva a terra. Si voltò di scatto e vide l’altro mago reggersi con forza alle tende delle finestre. “Zio!” esclamò, avvicinandoglisi in fretta, e afferrandolo per un braccio per frenare la probabile caduta.
Sentì immediatamente un dolore accecante al volto e fu scagliato via con forza, a sbattere contro uno dei divani. “Non osare!” Ruggì l’uomo. “Non ho bisogno del tuo aiuto, patetico moccioso!”
Sören si raddrizzò, sentendo il sangue rombargli nelle orecchie e scaldargli il lato del viso colpito. Cercò di riflettere velocemente.
È quasi caduto, respira male…
È malato. Gravemente malato.
La realizzazione lo ghiacciò sul posto. Doveva esser così, dato che Alberich Von Hohenheim difficilmente si sarebbe fatto abbattere da una banale influenza. Da che ricordava, in quella casa l’unico a beneficiare delle cure del loro Guaritore personale era stato lui. Mai suo zio.
L’uomo nel frattempo sembrò essersi ripreso. Tirò un profondo respiro. “Va’.” Gli ordinò. Ma la sola sillaba bastò evidentemente a togliergli le poche forze che aveva riacquistato, perché le guance persero nuovamente colore.
“Zio…”
“Non darmi altri motivi per punire la tua insolenza.” Replicò l’uomo. “Ti ho ordinato di congedarti. Ubbidisci.”

A Sören non restò che inchinarsi e lasciare la stanza. Allontanandosi lungo il corridoio, incrociò una dei servitori, la donna, Hilda. Reggeva un vassoio con piatti coperti. “Signorino…” Mormorò sorpresa, occhieggiandolo. “… siete ferito!”
“Non è nulla.” Tagliò corto. “Stava portando la cena a mio zio?”
“No, Signorino.” Mormorò in tono incerto. “La stavo portando a Voi. Il padrone ci ha ordinato di non disturbarlo, ma abbiamo immaginato che potevate aver fame.”
Sören sorrise appena, facendo una smorfia alla fitta che ne conseguì. Il colpo doveva avergli tagliato il labbro sui denti. “La ringrazio Hilda. Posso portarla sopra da solo.” Gliela prese dalle mani, senza curarsi delle deboli proteste. “È la Vigilia, dovrebbe essere dispensata dai doveri dall’ora di cena, credo.”
“Sì, Signorino, ma…”
“Buon Natale.” La fermò. La Magonò capì l’antifona, perché fece un breve cenno assertivo.
“Buon Natale anche a Voi, Signorino.” Si inchinò, per poi allontanarsi. Sören guardò il riverbero del candelabro che la donna reggeva per farsi luce spegnersi lentamente. Poi tornò sui suoi passi.

Appoggiò il vassoio davanti alla porta dello studio e bussò di nuovo. “Zio.” Chiamò, sapendo che stava ascoltandi. “Vi ho portato qualcosa da mangiare… Vi prego almeno di assaggiarla.” Non aggiunse altro. Prese il tozzo di pane che accompagnava la zuppa di aringhe – sapeva che l’uomo lo faceva sempre avanzare - e se lo infilò in tasca, tornando poi nei suoi appartamenti.
Quando si sedette sulla poltrona accanto al fuoco, poté realizzare con calma la portata di ciò che aveva visto.
Zio è malato. Non ho idea di quanto sia grave, ma una malattia capace di piegarlo non dev’essere cosa di poco conto.
Chiuse gli occhi, mordendo il pane per calmare i morsi della fame. La bocca protestò, ma finì il suo frugale pasto impietosamente.
Domani spedirò un Gufo al nostro Guaritore…
L’avrebbe firmato a nome di suo zio; era capace di imitare la firma di chiunque. Era stata una delle cose che aveva dovuto imparare collateralmente da Johannes.
Caricò la pipa. Quello non era disubbidire. Era molto peggio. Era prendere iniziative, era mentire, era…
È capire. Devo capire.
Cosa diavolo sta succedendo?
La pendola suonò improvvisamente, facendogli quasi rovesciare il tabacco sulle gambe. Ascoltò i dodici rintocchi spegnersi lentamente nel silenzio della camera.
È mezzanotte. È Natale.
Fuori non nevicava. Non avrebbe nevicato quell’anno. Lanciò involontariamente uno sguardo verso il baule da viaggio: sapeva bene cosa ci fosse dentro, oltre ai libri, ai vestiti e ai suoi effetti personali. Si alzò lasciando perdere la pipa e lo aprì. In mezzo alle sue cose, spiccava una busta dai colori sgargianti e dal fiocco traslucido.
Il regalo di Lily…
La prese.
 
“Ren!”
La sua carrozza era già arrivata ai cancelli di Hogwarts; si era attardato per semplici motivi burocratici legati al Torneo e aveva evitato lo sguardo di Albus Potter per tutta la riunione tra delegazioni.

“Lilian…” Aveva visto Lily correre verso di lui dal pendio soprastante e l’aveva quindi aspettata.
“Te ne stavi andando senza salutarmi!” L’aveva accusato tirandogli una botta con la borsa.
Sören aveva fatto una smorfia al colpo. “Ma l’ho fatto.” Aveva obbiettato. “Stamattina, a colazione.”
C’era stato un momento di pausa. “Beh, di saluti non se ne ha mai abbastanza!” Aveva replicato l’altra senza scomporsi. Poi aveva frugato nella borsa e ne aveva estratto un pacchetto soffice che gli aveva messo in mano. Alla sua espressione confusa, aveva sospirato di nuovo. “È il tuo regalo, tonto.”
“Regalo…” Aveva deglutito penosamente. Certo, era Natale e lo scambio dei regali era la norma. “Io…”
“Sarà meglio che tu me ne faccia uno entro la mattina del venticinque.” Aveva intuito con la solita, inquietante perspicacia. “Puoi spedirmelo tramite Posta Gufica!” Gli spiegò squadernando il dito espressivamente. “Io ho preferito dartelo di persona, ma solo perché a casa non abbiamo Gufi capaci di traversate continentali.”

“Capisco.” L’aveva riposto nella tasca del mantello. “Avrai notizie del tuo regalo.” Le aveva sorriso preparandosi all’abbraccio che era arrivato puntuale come un orologio. “Non preoccuparti.”
“Non lo faccio.” Aveva risposto Lily. Poi si era staccata e con un saluto si era allontanata. Poi si era poi fermata di botto, voltandosi. “Oh, quasi dimenticavo… Buon Natale!”
 
Era arrivato il momento di scartarla come tradizione richiedeva.
Sören si sedette sul letto e tirò fuori una massa soffice color bianco avorio, seguita da un biglietto.

 
Ho pensato che dato che da te fa davvero freddo (anche se in Scozia non si scherza, vero?) magari poteva servirtene una in più. È fatta a mano. Da me. Ti terrà al caldo!
Buon Natale, Ren. Sono sicura che quando la scarterai (e indosserai!) già sentirò la tua mancanza.
 
Con tanto affetto,
Lily.

 
Se la mise al collo. Era calda come prometteva il biglietto. Si passò il tessuto tra le dita, portandoselo al viso e aspirandone il profumo.
Sapeva di Lily.
Le sue labbra si mossero praticamente da sole.
“Mi manchi anche tu…”
 
****
 
Inghilterra, Devonshire, Casa Potter-Weasley.

“Avete fatto bene a dirmelo.”
Harry si aggiustò gli occhiali salvo poi toglierseli con un gesto stanco.
Albus non era così sicuro che avessero fatto bene a parlare con il padre, tornati stanchi e satolli dalla Tana. Erano in salotto, con il caminetto acceso e davanti alle poltrone. Tutto urlava tranquillità e pace, tranne le loro espressioni.

Tom gli lanciò un’occhiata. “Luzhin è una persona strana. Non sappiamo esattamente cosa voglia dire, quel che ti abbiamo detto.” Gli confessò.
“Che probabilmente dovrò fargli un paio di domande.” Replicò l’uomo con tono grave. “Trovarsi in un posto e avere addosso prove che è stato altrove, il fatto che sia un Occlumante e che stia usando i suoi poteri… e poi il sospetto di uso della Magia Oscura.” Sospirò. “Sono tutti indizi di cui devo prender nota. Pur vero che potrebbero dare un buco nell’acqua, ma non dobbiamo lasciare nulla al caso. L’anno scorso con la Prynn, purtroppo, abbiamo fatto quest’errore…”

“Anche lei sembrava a … posto, vero papà?” Chiese Al, sentendosi sempre più a disagio. Stavano facendo bene? Era quella la strada giusta?
E se Luzhin fosse davvero coinvolto? Mia sorella è stata amica di penna di un ragazzo simile per anni?

Davvero non si è mai accorta di nulla?
 “Però papà…” Mormorò, con quel tarlo che gli era spuntato in testa. “… Lily lo conosce da tanto.”
“È vero.” Confermò il mago, massaggiandosi la nuca con una smorfia. “E questo mi rende solo più preoccupato, Albie.”
“Potrebbe anche avergli rubato l’identità.” Esordì Tom dal nulla. “Del vero Luzhin, intendo.”

“E come avrebbe fatto?” Esclamò Al sconvolto. A quella eventualità non aveva proprio pensato. Per lui Sören Luzhin era Sören Luzhin. Non qualcun altro. “Scusa, Lily dovrà aver ricevuto una sua foto agli inizi della loro corrispondenza. Si fa così, tra amici di piuma, ne sono sicuro!”
Tom esitò. “…  vero. Però qualcuno l’ha mai vista?”
Al scrollò le spalle. “Jamie la prendeva in giro in continuazione, dicendole che si era trovata il ragazzo… e così per evitare che ficcanasasse ha nascosto tutte le sue lettere. Foto compresa, ovvio.”
Suo padre li stava ascoltando assorto. “Che rapporto c’è tra lui e Lily?”
Al guardò Tom e venne ricambiato: era arrivata quella domanda.

E come si fa a dire a papà che Lily si è presa una cotta per il tedesco?
“Luzhin con lei è un gentiluomo…” Iniziò pieno di buone intenzioni.
“Albus, non sono stupido.” Lo fermò con aria tremendamente seria. “So che passano molto tempo assieme. Che sono molto amici e che la tratta bene. Me lo avete già detto.”
“Lilian si è innamorata di lui.” Andò brutalmente dritto al punto Tom. Al avrebbe voluto tirargli un calcio, ma l’espressione di suo padre non permetteva intramezzi semi-comici. “Quando abbiamo cercato di capire se avesse notato qualcosa anche lei, è diventata aggressiva. Lo ha giustificato.”
“Lo ha difeso!” Ribatté Al, perchè l’altro stava esagerando. “È suo amico, era solo preoccupata!”

Tom lo ignorò, rivolgendosi direttamente al padrino. “Se provi a sapere qualcosa da lei, si metterà in allarme e probabilmente allerterà anche Luzhin. Se proverai ad allontanarla da lui mentre viene chiarita la sua posizione, otterrai solo che ti antagonizzi.”
“Tom!” Quasi saltò in piedi, sentendosi trascinato in causa. Poteva aver ragione, ma era troppo.

Anche io mi sono comportato così l’anno scorso. E per difendere te, pezzo di idiota!
Harry li guardò entrambi, sempre con quella sua aria che lo faceva sembrare a dirla tutta persino un po’ distratto. Suo padre quando pensava lo sembrava sempre. “Thomas, conosco mia figlia…” Disse calmo, e anche se non era un’accusa, il messaggio passò comunque. Tom distolse infatti lo sguardo imbarazzato.
“Lo so. È solo che sono…” Prese un respiro. “… preoccupato. Luzhin non mi convince da quando ha messo piede ad Hogwarts. È come se fosse venuto per un motivo completamente diverso dal Torneo. Penso che ci sia un piano dietro. Non so se lo coinvolga, ma c’è. E mi fa impazzire non…” Si passò una mano sul viso, chiudendo gli occhi senza terminare la frase. Al capì che era stanco. La serata doveva essere stata particolarmente impegnativa per lui.
Ciò non toglie che deve piantarla di dissezionare i sentimenti altrui come fossero Vermicoli!
Però, il solito: vederlo con quelle ombre negli occhi gli faceva passare la rabbia come la neve si sarebbe sciolta al sole.
“So quanto possa essere frustrante non capire le mosse dell’avversario…” Mormorò suo padre. “Ma non sei da solo, ricordatelo.” Li guardò entrambi.  “Avete fatto bene a dirmi dei vostri sospetti. Domani ci sarò anch’io al Ballo, terrò gli occhi aperti.” Il sorriso prese una sfumatura … piuttosto Serpeverde. “… e naturalmente mi farò presentare il cavaliere di mia figlia. Mi farò un’idea.”
“Poi ce la dirai.” Era quasi un ordine, ma era Tom. Al si trovò a guardare suo padre e sorridere assieme.

“Sì, Tom. Vi terrò informati.” Si alzò in piedi, stiracchiandosi. “Ora andate a letto. È tardi, e domani non vorrete perdervi l’apertura dei regali, no?”
“Come mai potremo.” Replicò Tom con tono cimiteriale, beccandosi stavolta una meritatissima gomitata nelle costole.

 
“Ci ha creduto subito, eh?”
Al si stese sul letto, accarezzandosi pigramente lo stomaco. Avrebbe finito per digerire in tempo per la Seconda Prova, probabilmente.

Tom si infilò una delle sue magliette deprimenti che usava come sopra del pigiama.  “Perché non avrebbe dovuto? Diversamente da te, lui si fida del mio intuito.” Replicò con tono sostenuto. Non doveva essergli piaciuto esser ripreso davanti al suo adorato padrino, riflettè Al.
“O forse, siete sulla stessa lunghezza d’onda. Di paranoia.” Alzò le mani in segno di resa all’occhiataccia che ne conseguì. “Non ho detto sia una brutta cosa! A volte avete ragione.”
“A volte? Finora non ho mai sbagliato.” Ribatté, infilandosi sotto le coperte con lui. Al tentò di avvicinarsi ma si beccò una spinta sul petto.
Si raddrizzò cercando di frenare l’istinto di tirargli un calcio in zone indifese. “Va bene. Quasi sempre. Però hai l’empatia di un fondo di calderone.” Non mollò il punto. “Con Lily sei stato orribile.”
Lei è stata orribile con me.” Ritorse aggrottando le sopracciglia. Ma stavolta Al riuscì ad insinuarsi tra le sue braccia, per quanto l’idiota continuasse ad essere rigido come un pezzo di legno.

“Ti ha tirato uno schiaffo. Sai quanti ne ha presi James? Non ne ha mai fatto il dramma che stai facendo tu.” Gli accarezzò piano un braccio, comunque consolatorio. “E poi con me ha parlato.”
Tom lo guardò con improvviso interesse. “Cosa ti ha detto?”
“Che le sembra che Luzhin sia tormentato da qualcuno. Credimi, se lo dice lei, può essere vero sul serio.”
“Mh.” Tom si lasciò cadere sul cuscino. Discorsi seri, ma erano pur sempre dentro un letto caldo mentre fuori aveva ripreso a nevicare con forza. Era l’atmosfera. “Di sicuro Hohenheim è il peggior fiato sul collo che possa capitare.”

“Già.” Rimasero in silenzio. Albus non aveva sonno, forse per gli avvenimenti della giornata o forse perché il respiro di Tom, che gli aveva appoggiato le labbra sui capelli, gli dava un piacevole brivido lungo la schiena. 
“Temevo che Meike finisse per voler dormire con noi… a casa mi segue come se avessi un sacchetto di dolci in ogni tasca dei miei pantaloni.” Disse Tom, con tono insofferente.
Al ridacchiò. “È inutile che fingi, tanto lo so che sei contento che sia qui. Non l’avresti lasciata salire sulle tue ginocchia per più di metà cena, altrimenti.”
“Sono contento che abbia fatto amicizia con Lily e Alicia e che se la siano portata a dormire con loro.” Replicò gelido, dandogli un pizzicotto. “E sai perché Meike ti ha chiamato Mutti per tutta la sera?”

Al rimase in silenzio, massaggiandosi il braccio. “No. Non credo di volerlo sapere… e comunque probabilmente gliel’hai suggerito tu.”
La neve cadeva silenziosa imbiancando il resto del mondo. Al reclinò la testa per guardarla posarsi dolcemente sul ramo del pesco vicino alla finestra.
“A me non sembra che Luzhin sia malvagio.” Disse.
Tom non replicò, ed Al pensò che si fosse addormentato. Poi però rispose.
“Neppure a me… ma non sta a noi giudicare.” 
Al sorrise, stringendo appena la presa sul corpo spigoloso dell’altro. “Con quest’affermazione ti sei appena meritato…”
“… il regalo.” Gli ricordò, e stava sogghignando. “Voglio il mio regalo.”

“È già mezzanotte?” Finse, mentre Tom l’aveva già acchiappato a dovere e schiacciato trai cuscini.
Il mio regalo.” Insistette, sordo ad ogni monito temporale.
Al soffocò una risata contro le sue labbra e tirò le coperte sopra di loro.
 
I go singing out of tune
Singing how I've always loved you, darling
And I always will…
 
 
****
 
Note:
Ormai capitoli che sono storie a sé, dalla lunghezza. Damn.

Qui la canzone. Da quanto volevo usarla! La adoro.
Quando Al e Tom parlano all’ingresso, il dialogo è ripreso dalla 10song challenge scritta più di un anno fa. Coerenza, Signori! XD
Next: The Prom Il Ballo del Ceppo!
 
  
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