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Autore: Dira_    23/07/2011    20 recensioni
“Mi chiamo Lily Luna Potter, ho quindici anni e credo nel Fato.
Intendiamoci: niente roba tipo scrutare il cielo. Io credo piuttosto che ciascuno di noi sia nato più di una volta e che prima o poi si trovi di fronte a scelte più vecchie di lui.”
Tom Dursley, la cui anima è quella di Voldemort, è scomparso. Al Potter lo cerca ancora. All’ombra del riesumato Torneo Tremaghi si dipanano i piani della Thule, società occulta, che già una volta ha tentato di impadronirsi dei Doni della Morte.
“Se aveste una seconda possibilità… voi cosa fareste?”
[Seguito di Doppelgaenger]
Genere: Azione, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, Lily Luna Potter, Nuovo personaggio, Rose Weasley, Scorpius Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Doppelgaenger's Saga'
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Capitolo XXXVIII
 
 


I don't know where I am/ I don't know where I've been
But I know where I want to go
(The First Day of My Life, Bright Eyes)
 
24 Dicembre 2022
Hogsmeade, Centro. Mattina.
 
“Cento metri quadri, panorama, due camere e uno studio. Cosa ne pensa?”
Teddy non rispose subito: dopotutto non era ancora entrato.

Neville gli diede una pacca sulla spalla. “È davvero spaziosa. Più della prima casa mia e di Hannah.”  
Ted sorrise, lanciando uno sguardo al proprietario, un sottile vecchietto dal viso gentile. Gli aveva fatto subito una bella impressione. “Il camino è collegato alla Metropolvere?”
“Sì, professore, naturalmente!” Convenne il mago. “Il sistema di tiraggio è un po’ vecchiotto, ma sono certo che un giovanotto in forze come lei potrà aver ragione di qualche piccola manutenzione.”
Ted sorrise di nuovo. Una casa. Era una casa vera, vuota, pronta per essere arredata.

Sentiva una strana sensazione alla bocca dello stomaco, ma non era cattiva.
Aveva avuto una buona intuizione a chiedere a Neville: l’uomo conosceva la situazione immobiliare di Hogsmeade. Chi vendeva, chi acquistava, chi affittava. Lui voleva comprare.
Sapeva bene che James si aspettava qualcosa da lui. E la risposta era quello.
Un gesto eclatante. Una presa di posizione.
Forse era un regalo azzardato. Forse Jamie era ancora arrabbiato con lui. Forse non voleva trasferirsi in un villaggio e preferiva rimanere a Londra. Ma c’era un solo modo per scoprirlo.
Vedere se funziona.
Era la mattina della Vigilia e tra una manciata di ore avrebbe dovuto attendere alla pantagruelica cena della Tana; aveva tutte le intenzioni di presentarsi a James con le chiavi in mano.
Probabilmente avrò un infarto per la tensione… ma se sopravvivo, potrebbe funzionare.
Era stufo di deludere la gente attorno a lui, specialmente il suo ragazzino.
Ispirò una boccata d’aria fredda e sorrise all’aria comprensiva del suo vecchio professore di Erbologia.
Teddy si lanciò poi un’occhiata intorno: era una graziosa villetta, proprio al limitare di Hogsmeade, già nella pendenza delle grandi montagne. Il giardino aveva bisogno di una mano ferma, e il vecchio divano a dondolo pregava solo di essere riparato.
“Ormai la casa è troppo grande per me solo.” spiegò l’uomo, varcando la porta d’ingresso. Ted aspirò l’odore che filtrava dall’anticamera. Un largo sorriso prese certamente possesso dei suoi muscoli facciali.
Odore di libri.
Come se non bastasse a farlo sorridere come un bambino davanti a Mielandia, il salottino esplodeva di luce invernale.
Neville si guardò attorno, picchiando leggermente le nocche sugli infissi e mettendo la testa dentro il camino. “Avrà bisogno di un po’ di restauro, Teddy…”
“Non è un problema.” Forse era stupido, ma l’odore di libri, il vecchio dondolo e la luce che illuminava ogni singolo angolo del salotto erano molto più importanti di qualche passata di calce.

Neville gli sorrise. “Ti piace allora? Ho scelto bene?”
“Sì…” Convenne passando le dita su un vecchio scaffale vuoto, dove la polvere aveva mantenuta impressa le impronte quadrate dei libri. “Sì, mi piace. Però dovrà piacere anche a Jamie.”

“Non gliene hai ancora parlato?” Chiese l’altro stupito.
“No, è una sorpresa.” Si morse un labbro. “Pensavo di versare la caparra oggi e poi decidere insieme.”
Ho fatto male? Lo sapevo che era un’idea…
No. Dannazione. È un’ottima idea.  
Neville annuì, senza fare ulteriori commenti. Gliene fu grato. “Beh, fai un giro e vedi se ti piace.” Consultò l’orologio da taschino con una smorfia. “Mi aspettano per andare a Diagon Alley, ultimi regali e un ovvio giro ai Tiri Weasley.” Sospirò ironico. “Cedric sta diventando un piccolo maghetto viziato.”
Teddy sorrise. “Scommetto che non è solo colpa di Hannah.”
“Oh, no! È tutta colpa mia, lo ammetto!” Rise l’uomo. Poi gli diede un abbraccio che  ricambiò di tutto cuore. “Buon Natale, Ted. È davvero una bella casa, a James piacerà.” Aggiunse strizzandogli l’occhio.

“Beh, vuole fare un giro?” Chiese l’ometto quando rimasero soli. “Però la devo avvertire… tra un’oretta ho un altro possibile acquirente, quindi…”
“Non si preoccupi.” Lo fermò, anche se  seccato dall’avere così poco tempo. Aveva intenzione di studiare millimetricamente la casa: andarci ad abitare meritava almeno una riflessione ponderata.

Ma è la Vigilia, e probabilmente avrà fretta di concludere la vendita…
“La chiamo quando ho finito. Ma penso che la prenderò.” Disse con tono sicuro. Non aveva certo intenzione di farsi soffiare l’acquisto
Il vecchietto annuì, informandolo che l’avrebbe aspettato al caldo del Tre Manici.
Teddy, rimasto solo sospirò.
Non sentiva James da giorni, se non tramite brevi Gufi. In quel periodo aveva gli esami di metà corso e Teddy ricordava bene quanto fossero duri. L’aveva quindi lasciato stare. L’ultima lettera che si erano scambiati era stata solo per assicurare la reciproca presenza alla Tana.
Come se potessimo evitarla… ci verrebbero a prendere di peso.
Si soffiò distrattamente sulle mani intirizzite, sebbene coperte dai mezziguanti che usava quando correggeva i compiti. In quel periodo dell’anno alcuni punti di Hogwarts, specialmente le torri controvento e lui alloggiava in una di esse, erano simili a ghiacciaie.
Ma qui c’è un bel camino…
Non poté fare a meno di immaginarsi seduto in poltrona, con i piedi rivolti al fuoco, lasciati scaldare piacevolmente. Un libro sulle ginocchia e James stravaccato davanti al tappeto mentre divorava una di quelle riviste di Quidditch di cui era tanto appassionato e collezionava con la precisione di un filatelista.
Okay: probabilmente se non si fosse deciso a terminare il giro della casa avrebbe finito per trovarsi il prossimo, odioso aspirante acquirente trai piedi.
Mentre scendeva le scale dopo aver visionato il secondo piano, sentì aprirsi di nuovo la porta.
Ma non è possibile, saranno passati al massimo dieci minuti! Che diavolo!
Scese gli ultimi gradini infuriato, pronto a dirne quattro al proprietario, che da una rappresentazione magica di Babbo Natale era appena diventato Scrooge.
Si fermò di botto, con in faccia un’espressione demente da record – non aveva bisogno di controllare ad uno specchio – quando vide che con il vecchio c’era un James più sorpreso di lui.
“Jamie?” Esordì stupidamente.
L’altro batté le palpebre come se avesse visto un Marino seduto davanti al camino intendo a scaldarsi la coda. “Teddy…” Esalò più sbalordito di lui.

Okay, abbiamo appurato che siamo tutti sorpresi.
“Vi conoscete?” Disse ovviamente, come da copione Scro-… il proprietario.
“Alla grande.” Spiegò impassibile James. Era chiaro stesse cercando di far quadrare i conti dentro la sua testa. “Non eri ad Hogwarts?”
“Permesso.” Mormorò, poi si schiarì la voce. “Mi scusi, potrebbe lasciarci soli?”
“Naturalmente… ma vi prego di non litigare. C’è abbastanza spazio perché l’affittiate entrambi, se l’opzione vi aggrada.” Suggerì il buon uomo con aria pratica. Poi fortunatamente se ne andò senza ascoltare la risposta.

“Tu…” Iniziò James, ma Ted fu lesto a fermarlo.
“Sono venuto qui per comprare questa casa. O meglio, per vederla… e poi decidere se comprarla.”
“Per chi?” Chiese l’altro aggrottando le sopracciglia: probabilmente qualcun altro avrebbe già tirato le somme, ma Ted doveva ammettere che la loro ultima conversazione aveva virato su tutt’altre eventualità.

È chiaro sia confuso. Okay, un po’ troppo confuso… ma è James. Ha bisogno di risposte dirette.
Si avvicinò  e gli tolse il berretto di lana, perché sapeva che l’altro avrebbe cominciato a trovarlo fastidiosissimo entro pochi secondi, e poi gli passò le dita trai riccioli corti. James socchiuse gli occhi al tocco, ma non disse niente. Aspettava lui.
“Tu perché sei qui?” Gli chiese allora.
“Per comprarla, che storie!” Sbuffò. “Un mio amico dell’Accademia abita qui, e mi ha detto che c’era una casa niente male a buon prezzo dove aveva vissuto gente che amava i libri… e così ho pensato che…”
“Ho pensato la stessa cosa.” Sorrise spontaneo all’aria sbigottita dell’altro. “Volevo comprarla per noi.”
James si scostò leggermente dal suo tocco, fissandolo di sottecchi. “Avevi detto che non ti sentivi pronto.”
“E tu che avresti aspettato…” Ritorse senza vera intenzione di farlo. James dovette accorgersene, perché fece un ghignetto.

“Beh, magari volevo un po’ forzare la mano.” Gli diede una pacca sul fianco, facendo un passo ed eliminando qualsiasi distanza fisica tra di loro “E tu? Volevi strapparmi dalle braccia di Lenny?”
“Certo che n…” Cercò di negare ma poi notò che al tentativo aveva fatto corrispondere un abbraccio piuttosto serrato.

Dannato istinto.
“… forse.” Ammise mentre James ridacchiava. “Ma soprattutto… provarci. Con te.” Si schiarì la voce, e pensò nebulosamente che avrebbe dovuto tagliarsi i capelli perché lunghi in quel modo finivano sempre per entrargli nella visuale e fargli realizzare che erano un arcobaleno, quando c’era di mezzo quel ragazzino.
“Beh, provarci in che senso? Perché abbracciarmi così è già provarci, Teddy…” Lo canzonò, sporgendosi a tirargli un morsetto giocoso all’attaccatura della mascella. Ted ingoiò un brusco sospiro.
“Niente morsi.” Lo ammonì.
“Ma a te pia…”
“Il plenilunio è tra tre giorni, Jamie.”
“Ooops! Scusa.” Ghignò. “Comunque cosa intendi con provarci? Serio, eh.”

Ted fece un respiro profondo e poi tornò sul binario della ragionevolezza. Della serietà.
Facilissimo farlo con un adolescente con le smanie…
… e non mi riferisco a James.
“Provare a vivere assieme. Perché…” Il soffitto aveva bisogno di una mano di vernice robusta, e probabilmente avrebbero dovuto anche controllare l’eventuale presenza di perdite nell’impianto idraulico. C’erano delle macchie sospette. Comunque. “… perché stavolta so che posso farcela. E se avessi dei dubbi… tu li cancelleresti. È così che fai Jamie. Mi fai sentire al sicuro facendo cose che mi terrorizzano.” Concluse fissando una macchia che assomigliava tremendamente a Grop.
Non si accorse quindi delle mani di James che gli si piazzarono sulle guance, ma sentì il bacio fenomenale in cui l’altro lo coinvolse.
Avrebbe portato nella tomba gli occhi umidi di Jamie e il suo tentativo di frenare la gioia che gli tremava sulle labbra.
“Puoi contarci, Teddy. Ti proteggerò io dalle tue seghe mentali.” Promise solennemente.
Ted ridacchiò, stringendoselo addosso ed ispirando il suo odore come da bambino aspirava quello dell’erba appena tagliata. Era la stessa sensazione. Era bella.
James alzò gli occhi al soffitto, forse per darsi un tono come aveva tentato di fare lui poco prima.
“Woh Teddy, guarda là! Quella macchia assomiglia a Grop!”
 
I especially am slow
But I realized that I need you
And I wondered if I could come home…
 
****
 
Devonshire, Casa Potter-Weasley. Mattina.
 
“Così si è spaventato quando la tua fenice ha cominciato a cantare…”
“Non è la mia… ah, lascia perdere. Non era spaventato comunque, era terrorizzato!”
“Non penso che questo lo renda malvagio.”

… cosa? Sto davvero parlando con Tom?
Albus cercò di non farsi scivolare la cornetta dalle mani per la sorpresa. Il telefono: l’unico mezzo per comunicare con Thomas prima di vederlo di persona quella sera alla Tana.
Così si era ritrovato in salotto a sforzarsi di digitare correttamente la sequenza di numeri che corrispondeva al telefono di casa dell’altro. Ci aveva messo un po’, ma alla fine l’aveva avuta vinta.
Solo che adesso mi dice che… non pensa sia malvagio! Ma Fanny non può sbagliarsi è… Fanny!
 “Ma si dice che il canto delle fenici getti terrore nel cuore dei malvagi!”
Si dice, appunto.” Lo fermò. “Se questa frase fosse vera in senso letterale, sarei malvagio anch’io.”

“… come, scusa?”
“Non mi piace la tua fenice.” Mormorò. Meike doveva essere nei paraggi. “… perchè…” Ah no. Stava esitando perché era uno di quei casi in cui odiava ammettere una sua debolezza. “… perchè mi fa paura.”
Paura?

Non gli era sembrato particolarmente spaventato quando quell’estate gli aveva presentato Fanny in occasione del compleanno di zio Percy.
Pur vero che effettivamente le ha dato un’occhiata e poi è andato a chiacchierare con zia Hermione.
“Ma tu hai paura di tutte le cose che volano…”
“Non di tutte. Ho Kafka, ti ricordo. E i Gufi mi sono indifferenti.” Ritorse irritato. “Ho problemi con la tua fenice perché è una fenice.” Fece una breve pausa, in cui sentì un fruscio provenire dalla cornetta. Probabilmente aveva cambiato posizione. “… non so spiegarti bene cosa provo, ma quando me l’hai fatta vedere… ho provato ansia.”
Al non rispose, cercando di processare la notizia. Certo sì, Tom aveva fatto degli errori e a volte era attratto da cose che la maggior parte dei maghi di buon senso evitava, ma…

“Non sei cattivo, hai solo un carattere orribile!”
“Grazie.” Replicò l’altro asciutto. “Ma sono ciò che è rimasto dell’anima di Riddle.” A volte avrebbe dovuto esser meno brutale in certe affermazioni. “Volente o nolente, sono pieno di magia oscura.”
“Non capisco…” Lo ammetteva, era confuso.

“Ascolta.” Iniziò Tom, già spazientito dalla sua mancanza di ricettività. Nei periodi festivi aveva sempre i nervi a fior di pelle. “Si dice che il canto della fenice getti terrore nel cuore dei malvagi. Chi pensi sia universalmente noto per usare la magia oscura?”
“Un mago… malvagio?” Cominciò a capire. “Quindi in realtà spaventa chi usa la magia oscura?”
“Molto bene, Signor Potter.” Lo lodò canzonatorio.

“Sei sicuro?” Non l’aveva visto scritto in nessun libro. E di libri sulle fenici ne aveva letti.
Dovevo pur informarmi su Fanny.
Penso sia così.” Ammise. “Ti ricordi cosa ci hanno insegnato al Primo Anno? La magia lascia sempre una traccia nel corpo di un mago …” Lo sentì quasi fare una smorfia. “Abbiamo avuto prove di questa teoria.”
“Quindi Luzhin ha usato magia oscura!” Realizzò di colpo e la cornetta gli scivolò di nuovo dalle mani. La riprese al volo.  

“Data la reazione che ha avuto temo la usi tutt’ora.” Il tono era sarcastico, ma lo sentì teso. E come poteva dargli torto?
Quel tipo ronza attorno a mia sorella! Gira nei nostri corridoi!
“Dobbiamo immediatamente comunicarlo alla Commissione del Torneo!” Sbottò sentendo la collera esplodergli nel petto. “È pericoloso!”
“No.”
Al batté le palpebre, sbigottito. Forse il telefono aveva il difetto di distorcere le parole altrui?

“No?” Chiese per sicurezza.
“No.” Gli fu nuovamente confermato. “Non denunceremo Luzhin. Questo lo farebbe solo allontanare.”
“Ma è quello che vogliamo!”
“Non esattamente.” Ribatté Tom pacato. “Abbiamo solo il sospetto abbia fatto uso di incantesimi oscuri. Durante il Torneo ha giocato pulito.”
“Come lo sai?”
“Ci sono degli incantesimi di rilevamento durante le Prove. Non lo sai, Caposcuola?” Lo canzonò. Al inghiottì un insulto, anche se Merlino, se l’avesse avuto davanti gli avrebbe sicuramente sbattuto quella zucca impossibile contro il muro.  

“Non l’ha usata al Torneo, e allora? Basterà fare un Prior Incantato alla sua bacchetta, e se c’è qualcosa verrà fuori!” Esclamò lanciando un’occhiata verso la Tana. Erano tutti lì, ignari di quello che lui e Thomas stavano scoprendo. La cosa non gli dava una bella sensazione.
“Sì, vero.” Tom aveva l’irritante abitudine di farti ragionare esattamente come voleva. “… ma devi avere un motivo per farlo. Durmstrang non permetterà facilmente che la bacchetta del suo Campione sia esaminata, soprattutto se a chiederlo fossero due studenti per motivi non chiari.”
“Allora diciamolo a papà!” Esclamò, colto da illuminazione. “Sta investigando proprio su questo! Potrà ordinarglielo lui, è un auror!”
“Sta investigando sull’attacco durante la Prima Prova.” Obbiettò Tom. “E non credo che quello sia opera di Luzhin. Non aveva il tempo di uscire, produrre quel fumo nero e schiantare i Tiratori Scelti attorno allo stadio. È sempre stato in vista, prima nell’arena, e poi nella Tenda dei Campioni…”
“Un complice, forse?” Suggerì . Aveva voglia di sbattere la testa contro il muro: la vigilia di Natale si trovava a speculare sulla pericolosità di un tipo che portava al ballo sua sorella di quindici anni.

Posso almeno urlare?
“Un complice…sì, potrebbe.” Convenne l’altro meditabondo, ignaro dei suoi pensieri. “Forse quel Poliakoff.”
“Tom, dobbiamo parlarne con papà.” Insistette. Ormai era diventato una specie di disco rotto.

Ma con lui non fa mai male ricordargli che non siamo noi contro il resto del mondo, ma esistono degli adulti che magari possono evitarci il peggio.
Non quella sera però: per un giorno voleva solo perdersi nel caos della sua famiglia. Era chiedere troppo?
Probabilmente per qualcuno con il mio cognome… sì.
“Se gli auror cominciassero ad indagare, Luzhin si allarmerebbe…” Fu la risposta cocciuta. “E poi prima di Fanny pensavi anche tu che esagerassi. Il canto spaventoso di una fenice? Il suo strano comportamento? Non un granché.”
“E il suo assistente?” Chiese ed ebbe finalmente il potere di zittirlo. “Se è stato lui, dando un alibi a Luzhin, sicuramente si sarà assentato. Qualcuno l’avrà visto andarsene dalla Tenda dei Campioni!”

“Questo…” Si sentiva che Tom era riluttante. “Forse.”
Al ebbe l’impulso di lanciare la cornetta contro il muro.
“Massì, teniamoci tutto per noi!” Sbottò di colpo. “Mi sembra un’idea geniale!”
“Al?” Chiese l’altro con una lieve nota di preoccupazione nella voce. Era un sollievo sentirla.
Perlomeno vuol dire che mi ascolta.
“L’anno scorso con questa strategia hai rischiato di farti ammazzare.” Dava soddisfazione fargli chiudere il becco ogni tanto. “Diremo a papà dei nostri sospetti. Se Luzhin è così furbo come dici, allora avrà già una difesa. Altrimenti, forse, rischieremo di assicurare alla giustizia l’artefice di questo casino e magari sapremo anche cos’ha in mente Hohenheim.”  
Fu quasi certo di potersi immaginare la faccia colpevole di Tom al di là del filo.
“… non so quanto gli auror potranno investigare.” Tentò però. “L’anno scorso nessuno ha smascherato la Prynn, e c’era un’inchiesta in corso. Se Luzhin e compagno lavorano davvero per Hohenheim, avranno una copertura a prova di Veritaserum.”
“Spiacente, stavolta non ho intenzione di giocare al piccolo investigatore.” Replicò fermo. Mantenere il punto. Se Tom vedeva un’incertezza, colpiva peggio di un Battitore da Nazionale. “Non c’è in gioco solo la tua sicurezza, ma anche quella di Lily.”
Tom non disse nulla per qualche istante. “Va bene.” Sospirò infine. “Facciamo a modo tuo.”
Albus sorrise: l’anno prima non avrebbe ceduto così facilmente.

Non mi avrebbe neanche comunicato i suoi dubbi. Mi avrebbe detto che la fenice si era sbagliata e poi ci avrebbe rimuginato su. Da solo.
Era felice che fosse passato un anno. Decisamente.
“Stasera a che ore pensate di venire?” Cambiò discorso, perché si era stufato di tutte quelle teorie da complotto. Era la Vigilia, per tutti i Troll della Gran Bretagna!
In ogni caso, avrebbe parlato con Lily: se Tom si era beccato un ceffone era perché aveva avuto l’empatia di un mucchio di sassi. Premendo i tasti giusti, sua sorella avrebbe parlato come un fiume in piena.
Devo capire cosa Luzhin voglia da lei.
“Non ne ho idea.” Rispose intanto Tom. “Mio padre non è convinto, minaccia di portarci a Cokeworth¹.” Sbuffò, facendolo ridacchiare. “Ma penso che mia madre lo chiuderebbe nel portabagagli piuttosto che passare un altro Natale a litigare con Petunia. Verremo.”
“Il regalo per Meike?”
“Non glielo abbiamo già comprato?” Obbiettò con tono da martire. Albus soffocò un nuovo eccesso di risa – che poi erano anche un modo per sciogliere la tensione di poco prima.

Chi ha detto che parlare di cose stupide è stupido?
Il giorno dell’acquisto dei loro vestiti, aveva avuto la malaugurata idea di tirare fuori l’argomento ‘regalo di natale per la povera Meike’. Robin aveva colto la pluffa al balzo, trascinandoli in una serie infinita di negozi per bambini. Avevano finito per comprarle un vestito molto grazioso per il Ballo.
Tom alla fine aveva l’aria di poter cruciare sul serio qualcuno.
“Veramente quello è il regalo di Robin.” Gli fece notare. “Lo ha pagato lei, ricordi?”
“Gli daremo i soldi.” Obbiettò pronto.
“Tom!”
“Va bene.” Ringhiò di rimando. “La porto a Diagon Alley per pranzo e vedrò se si interessa a qualcosa.” Sbottò malmostoso. E riattaccò senza dargli tempo di dire altro.
Al fece un mezzo sorriso, posando la cornetta sul supporto.  
Mai un giorno di quiete…
Michel aveva avuto ragione e continuava ad averla: stare con Thomas Dursley non era stare con un ragazzo qualunque. Era dieci volte più complicato.
Allargò appena il sorriso.
… credo di avere un debole per i ragazzi Oltre Ogni Complicazione.
 
****
 
Londra, Casa Weasley – Granger.
 
Ron Weasley stava impacchettando gli ultimi regali per la famiglia. Non era un’operazione da poco, dato che aveva circa una ventina di persone in lista. Hermione quell’anno aveva preteso che perlomeno li confezionasse, visto che era del tutto refrattario allo shopping natalizio.
Sentì improvvisamente il rumore della porta del salotto che si apriva, salvo poi richiudersi.
E la serratura scattare.
… ma cosa?
Perplesso si voltò e rimase bloccato come un tonno preso alla rete quando vide che sua figlia Rose era nella stanza e che aveva appena chiuso la porta a chiave in modo estremamente determinato.
“Rosie…” Iniziò a disagio. La figlia non replicò il sorriso. “Ehm, hai bisogno di qualcosa?”
“Sì.” Disse con un’intonazione che gli ricordò paurosamente sua moglie da ragazza. “Parlare con te papà.”
Ron si alzò in piedi di scatto, lottando con lo scotch con cui stava incartando un pacco voluminoso. “Non adesso tesoro, devo finire tutti questi pacchi e poi caricarli in macchina.”

Sapeva cosa stava per succedere, e se c’era un modo per evitarlo l’avrebbe fatto; del resto era riuscito ad evitare di restar solo con la figlia sino a quella mattina.
Harry mi ha guardato male, ma lo Sparaschiocco del Venerdì sera è un’istituzione.
Non era stato scappare dalla figlia riparando a casa dell’amico la notte prima. Affatto.
“Papà.” Lo fermò, con quella determinazione d’acciaio negli occhi che poteva essere solo Granger. “Noi parleremo adesso.”  

Ron aveva fatto una smorfia, sentendo l’irritazione salire. Era il padre, era un adulto e aveva ragione.
E non importava che sua moglie gli fosse contro e che sua sorella si rifiutasse di dargli ragione.
Non Malfoy.
“Rosie, se è di quello là che mi vuoi parlare, sprechi fiato. Non ho intenzione di affrontare quest’argomento con te.” Esclamò, donando nuova attenzione ai regali.
 
Rose resistette all’impulso di gridare e prendere a calci qualcosa.
Suo padre era un maledetto testardo. E stava eufemizzando.
Quando era tornata da Hogwarts, la sera prima, lei e Hugo aveva trovato la casa occupata solo da sua madre che aveva comunicato loro che suo padre si sarebbe fermato a dormire da zio Harry.
Neanche Hugo si comporta così! Perché fa così?!
Non che avesse molta importanza. Avrebbero parlato, a costo di legarlo alla sedia con un incantesimo adesivo.
Gli si sedette accanto. “Papà.” Sottolineò quando lo vide in dirittura di alzarsi. “Per favore.
L’uomo storse le labbra, gli occhi incollati su scampoli di carta colorata. “Non capisco perché tu ti sia tanto fissata. Non è come se mi chiedessi il permesso, giusto?” Ribatté tagliente. “Tu e Malfoy…” E non aggiunse altro.
“Dovrei chiederti il permesso?” Chiese incredula. Non riusciva a credere suo padre fosse arrivato a quello. Certo, era protettivo, ma non aveva mai pensato di dover avere un dispaccio per frequentare un ragazzo. “Sono maggiorenne!”
“Sai che non è questo.” Replicò immediatamente, tendendo la mascella. “Non ho nulla in contrario con il fatto che ti veda con dei ragazzi… ma dipende dal tipo di ragazzo.”
“Scorpius è il miglior ragazzo che conosca!” Sbottò, trascinando il problema direttamente nella stanza. Di peso e svenuto: l’atmosfera difatti si fece immediatamente pesante.

“Sarà.” Le concesse, ma era sarcastico. “Ma ha una famiglia orrenda.” Poi si abbandonò sullo schienale, massaggiandosi la sella del naso. Tirò un lungo sospiro, e Rose sentì la disagiante sensazione di stare sbagliando tutto.
È così che ti fregano i genitori. Li deludi? Che una voragine possa inghiottirti.
“Ascolta Rosie…” Iniziò pacato, ma evitando accuratamente di guardarla. “Non ho niente contro Scorpius.”
Prego?
“Non hai niente contro…” Si fermò, prima di compiere un patricidio con il nastro da regali. “… papà, non è vero! Tu lo sopporti e non ti entra in testa che per me invece sia tutto il contrario! Io lo a…” Ma fu immediatamente fermata da un gesto nervoso dell’altro.

No.” Sbottò cocciuto. “Non detesto quel ragazzino, anche se penso che sia arrogante esattamente come suo padre. Ma ha diciassette anni… alla sua età può anche essere giustificato.”
Rose lo guardò confusa. Ma se non era per Scorpius in sé, allora…

No. Sul serio. Ancora questa storia?
“Scorpius è un Malfoy.” Era quella storia, decisamente. Suo padre era rigido, poteva capirlo senza toccarlo. Sprizzante malevolenza. Rose sentì un nodo spiacevole allo stomaco.
Come ci si sente quando invece i genitori deludono te?
Scorpius si era fatto in quattro per dimostrare a tutti che i Malfoy potevano avere qualcosa di diverso da una cattiva reputazione. Scorpius era il migliore amico di James, settario da morire sulle amicizie.
Questo papà deve saperlo. Eppure…
“I Malfoy, Rosie, sono persone cattive.” Disse infatti, con il suo miglior tono cocciuto. Quante volte aveva sentito quella filippica durante la sua infanzia? “Io li ho conosciuti, ho visto come si sono comportati durante la guerra. Pensano solo a sé stessi e a cosa può favorirli. Una famiglia è ciò che ti forma e Scorpius è cresciuto con loro. Può essere diverso, ma la natura non si cambia. Finirà per ferirti… ed è questo che mi spaventa. Perché conosco quelli come loro. Non ti accetteranno mai.”
A Rose strinse le dita contro la stoffa morbida del maglione, slargandolo. Era furiosa, era ferita. Non si era sentita così neppure quando…

No, decise. Non ci si era sentita mai, in quel modo.
Come ci si sente quando l’eroe della tua infanzia disattende le tue aspettative alla grande?
Forse aveva sempre evitato quel confronto proprio per paura inconscia di scoprire quanto suo padre potesse disilluderla. Forse era per questo che aveva avuto tanta paura a dirglielo.
Perché sapevo che sarebbe finita così.
L’uomo dovette notare la sua espressione, perché le scocco un’occhiata preoccupata. “Rosie…”
“Non è Scorpius che mi ha ferito.” Sentì la voce caricarlesi di pianto e si scostò quando suo padre tentò di toccarla. “Scorpius non mi ha mai ferito… sono io che ho ferito lui per difendere te. E ora mi chiedo se non abbia sbagliato tutto.”
“Ascolta Rosie… gli Weasley e i Malfoy…”

BASTA.
La famosa miccia tanto decantata fece esplodere il vaso. Altro che goccia.
La mia famiglia!” Sbottò, e sentì che in realtà urlava. Gli occhi sgranati di suo padre erano un buon indicatore “Il mio cognome! È questo, no? È sempre stato questo il problema! Ci definiamo un clan! Un maledetto, schifoso clan!”
“Rosie!” Sbottò l’uomo afferrandola per una spalla. “Calmati! Cosa…” Vedeva la confusione sul suo volto e capì che davvero non ci arrivava.

Una parte di lei capiva che non era del tutto colpa di suo padre: era solo il prodotto di uno stupido odio generazionale, rinforzato da comportamenti singoli.
E chi ne aveva pagato le conseguenze era stato proprio Scorpius, che lei si era offerto semplicemente per quello che era.
Ed io ho sempre ragionato con mio padre. Ma ho cambiato idea.
Perché per papà deve essere così difficile?
“Io sono Rose, non una Weasley nel campionario!” Seppe di aver scosso suo padre con quell’affermazione. E fu una soddisfazione, perché era vero. Amava la sua famiglia, ma era stufa di doversi giustificare per essere andata contro le sacre leggi insite nel loro cognome. “Scorpius è solo Scorpius. Io sono solo io. È tutto qui! Potrà avere una famiglia orrenda, ma non me ne frega niente, perché non voglio stare con la sua famiglia, voglio stare con lui! E lo stesso vale per lui!”
Suo padre serrò le labbra. Gli tremarono le parole sulle labbra, ed era certa che fossero cattive.
Poi si risedette di colpo sulla sedia, dandole le spalle. “Come vuoi, Rose. Non posso impedirtelo, ma scordati che sia d’accordo.” Fece una breve pausa, ma poi lo disse. “Mi hai deluso.”
Tu hai deluso me.” Non appena lo disse capì la portata di quell’affermazione da come suo padre si voltò per guardarla. Ma non si rimangiò la frase.
Perché è la verità.
Ricordò quando l’abbracciava e le diceva orgoglioso quanto fosse una brava bambina e di come assomigliasse a lui.
Ma non sto sbagliando. Non faccio la cattiva. Sono solo me stessa.
Inspirò lentamente, cercando di calmare i battiti furiosi del suo cuore. Era la prima volta che gridava così con suo padre. Era la prima volta che litigavano, direttamente.
Forse è per questo che ci abbiamo messo tanto. Nessuno di noi aveva il coraggio di arrivare a questo…
Le spalle di suo padre erano una linea dura. Non poteva toccarlo o avvicinarsi quando era di quell’umor tempestoso. 
“Io ti voglio bene papà…” Disse e fu felice che non le tremasse la voce. “… ma non posso abbandonare Scorpius solo per renderti tranquillo. Io e lui balleremo assieme al Ballo del Ceppo. E vorrei tanto che tu fossi felice per me. Perché io ho tutta l’intenzione di esserlo.”
L’altro non rispose: non che se l’aspettasse. Tirò un sospiro e poi uscì dalla stanza senza aggiungere un’altra parola.

Trovò Hugo raggomitolato nel corridoio, con aria corrucciata.
Deve aver imparato ad origliare da Lily…
“Cavolo, Rosie.” Disse grattandosi una tempia. “Cavolo.” Ripeté. Suo fratello non era mai tipo di molte parole. E fu felice che fosse così anche quella volta.
“Va’ da papà.” Gli sorrise. “Penso che adesso abbia bisogno del figlio giusto.”
“Ma va’, non sei sbagliata!” Esclamò. “Vai alla grande… e anche Malfoy. È a posto. Molto a posto.” Soggiunse con un sorrisetto incerto.

Rose gli arruffò i capelli senza peggiorare la già scombinata situazione. “Chi dice che sei scemo, non capisce niente.”
Hugo fece un sogghigno. “È mica lo stesso che dice che mia sorella non ha le palle?”

 
 
****
 
Diagon Alley, Londra. Primo pomeriggio.
 
“Ma è super-buona!”
Tom lanciò un’occhiata a Meike che si era sporta dal tavolino. Come risposta, si limitò ad un cenno disimpegnato. “Sta’ attenta a non sporcarti.”
“Looo so!” Sbuffò. “Non sono scema!” Si risedette però obbediente, sorseggiandola con esagerata attenzione. Tom fece un mezzo sorriso.

La telefonata con Al ancora gli ronzava in testa, ma cercava di non pensarci. Meike e il suo entusiasmo gli rendevano il compito più facile, anche se stare seduto in un bar magico, in mezzo a una cinquantina di altre persone in piena overdose da Natale Magico, non era la sua tazza di the.
Ma posso sopportarlo… per un’altra ora al massimo.
Purtroppo l’onere di scortare Meike nel suo primo bagno di folla magica londinese spettava a lui.
In compenso, non avevano trovato nulla che potesse andarle bene come regalo. Avevano visitato le principali botteghe del quartiere, e in tutte Meike si era comportata in modo strano: si avvicinava a oggetti che potevano interessarla. Quando poi però lo beccava a fissarla – per capire se fosse quello il regalo giusto– perdeva immediatamente interesse.
Ogni. Singola. Volta.
Era stato molto frustrante. Era inoltre chiaro ci fosse qualcosa che non andava, sin dal suo arrivo.
Quando l’aveva portata a casa dai suoi si era prevedibilmente intimidita.  Non appena però aveva capito che sarebbe stata vezzeggiata fino alla nausea, aveva riempito tutti di chiacchiere.
Esattamente come si era aspettato.
Solo che non mi aspettavo mi si appiccicasse come una Puffola Pigmea.
Aveva prima di tutto preteso di dormire nella sua stanza: non aveva fatto in tempo a spiegarle che non poteva che sua madre, cuore tenero, aveva piazzato la brandina degli ospiti attaccata al suo letto.
Aveva dovuto ordinarle di non seguirlo in bagno.
Non può essere normale. A Rügen non ha mai fatto così.
Sua madre non gli aveva dato spiegazioni in merito; le si erano solo inumiditi gli occhi, e aveva detto ‘stalle vicino tesoro’.
Detesto l’istinto materno.
“Hai finito?” Le chiese quando la vide infilare il dito nella tazza per leccare la cioccolata rimasta.
Nein, Ich…”
“Inglese, Meike.” La corresse: se doveva trasferirsi ad Hogwarts – e sarebbe successo - meglio  che imparasse subito a non rispondere automaticamente nella lingua madre.

Meike annuì obbediente. “No, non ho ancora finito. C’è n’è un po’!”
“I negozi stanno per chiudere.” Alla sua aria poco interessata, sospirò. “Non vuoi fare un ultimo giro?”
Al mi ucciderà se non ti trovo un regalo. Un regalo enorme e vistoso, possibilmente.

“Naah.” Replicò l’altra impietosa. “Ho già visto tutto, no?”
Tom si frenò dal mettersi una mano sulla faccia. Decise dunque di giocare la carta della brutale onestà.
“Al vorrebbe farti un regalo. Quindi fammi il favore di scegliere qualcosa di tuo gradimento, possibilmente non dai Tiri Infern… Vispi di George Weasley, così possiamo tornare a casa.”
Meike batté le palpebre confusa. Poi a sorpresa si morse un labbro. “Ma ce l’ho già un regalo… il vestito che mi ha fatto tua mamma per il ballo!”
“Solitamente a Natale i regali sono più di uno. Ne riceverai parecchi quest’anno, ho idea.”
“Ma non li voglio!” Sbottò di colpo, arrabbiata. Sbatté con forza la tazza sul tavolo. “Non sono una… una bettler!” Concluse, non sapendo il corrispondente in inglese.

Tom cercò di ricordare quale fosse. Lo ricordò. E serrò le labbra. “Accettare dei regali non significa mendicare, Meike. Come ti viene in mente?” Chiese in tono calmo.
Queste non sono idee che gli hanno messo in testa la gente di Rügen. Lì hanno tutti lo stesso tenore di vita. È stata Durmstrang.
La bambina abbassò lo sguardo: era umiliazione quella, bella e buona. “È che… io non vi ho fatto niente. Allora non è davvero scambiarsi i regali.”
“Tu hai undici anni. La gente non si aspetta che tu faccia loro regali. Hai per caso soldi tuoi? Lavori?”
“No…” Borbottò lanciandogli un’occhiata di sottecchi. “Però…”
“Chi ti ha detto che sei una mendicante?” La apostrofò quasi con durezza; non era uno psicologo dell’infanzia, non sapeva se stesse affrontando quei traumi in modo giusto.

… probabilmente no, ma so quali misure prenderò per evitargliene in futuro.
Meike chiuse le labbra, ostinata.  
“Meike.” La richiamò con tono fermo. “Dimmelo.”
“… le altre bambine. Quelle del dormitorio.” Buttò fuori infine, dondolandosi sulla sedia con aria riottosa. Era tornata al tedesco, ma non la corresse. “Però non preoccuparti. Sto bene.”

“Pensi che sia stupido?” La apostrofò con leggerezza. L’altra lo guardò allarmata e scosse la testa. “Allora perché pensi che mi beva le tue bugie?”
Cadde il silenzio mentre Meike si dondolava tenacemente sulla sedia. Tom si sporse per fermarla. “Tu non sei una mendicante.” Si assicurò che la bambina lo guardasse, prima di continuare. “Tua nonna non è ricca, ma ti ha sempre dato un tetto sulla testa e cibo nel piatto. Sono stato con voi quasi un anno, e sono stato bene. Quindi spero non crederai a quel che ti hanno detto delle ragazzine viziate.”

“No che non ci credo!” Obbiettò l’altra con forza. “Però…” Le lacrime le salirono di nuovo agli occhi. Eruppe in un singhiozzo. “… non ci voglio più tornare lì, Tom!”
Finalmente la verità.
Si guardò attorno, imbarazzato dalle famigliole che stavano fissando lo spettacolo. La prese per mano, ben attento a non trascinarla e si allontanò dal locale.
Le lacrime non si fermarono, ma almeno in strada poté darle un fazzoletto senza che fosse guardato con tenerezza da una ventina di streghe.

“Smettila di piangere.” Le ordinò continuando sul filone tedesco, dato che l’inglese in quelle condizioni era impossibile. “Dovrai finire l’anno a Durmstrang, ma poi farò di tutto per farti trasferire ad Hogwarts.” Tradì il suo proposito di non dirle nulla prima di averne la certezza, ma Meike piangeva.
A quella notizia l’altra si aprì in un istantaneo sorriso entusiasta. “Potrò venire a scuola con te e Al?”
“L’anno prossimo io e lui non ci saremo. Questo è il nostro ultimo anno.” Esitò, alla sua aria delusa. “… ma ci saranno Lily e Hugo. Non permetteranno che nessuno ti tratti male.”
“Fico…” Mormorò senza molto entusiasmo. “Ma tu proprio non ci sei?”
“Mi diplomo, Meike.” Le fece notare. Era forse una colpa? “Ma verrò a trovarti, e sono piuttosto certo che Al accorrerà ogni volta che lo chiamerai.”

Meike gli rivolse un gran sorriso. “Allora… ehm. Posso cercare il vostro regalo?”
La volubilità dei bambini…
“Sì.” Confermò. “Ma visto che hai rifiutato tutte le alternative proposte, lo sceglierò io.”
Aveva avuto un’illuminazione: la bacchetta di Meike era la stessa che aveva usato lui durante il suo soggiorno a Putgarten, quella del padre. Meike gli aveva confidato che non ci si trovava bene.

Il che significa che è totalmente inadatta.  
La bambina gli prese la mano fiduciosa. “Okay!” Fece una pausa meditabonda “Però se non mi piace lo cambio!” Aggiunse.
Sarebbe una splendida serpeverde…
Quando arrivarono di fronte a Olivander, lo trovarono però sprangato. E con un lezioso cartello canterino che informava gli spettabili clienti che l’esercizio rimaneva chiuso fino a Gennaio.
Tom fece una smorfia.
Al pretenderà la mia testa.
“Volevi comprarmi una bacchetta? Fico!” Intuì l’altra, purtroppo eccitata dall’eventualità. “Non preoccuparti, magari ci sono altri negozi di bacchette!” Esclamò liberandosi dalla sua mano.  
“È l’unico… non c’è un mercato competiti … Meike!” Esclamò quando la bambina sparì in un vicolo senza battere ciglio o dargliene annuncio.
Dovrei comprarle un guinzaglio?
La seguì per evitare di sgolarsi come un idiota in mezzo alla via.  
Meike.” La richiamò secco. Quella spuntò qualche secondo dopo, con un gran sorriso e la sciarpa allenata per la corsa.
“Ne ho trovato un altro!”
“Non dire sciocchezze.” La riprese, aggiustandole la sciarpa dato che erano in aria da sostanziosa nevicata. “Ti ho già detto che c’è n’è uno solo.”

“Ma io l’ho visto!” Protestò concitata, indicando l’interno del vicolo. “Là!”
Tom diresse lo sguardo nella direzione indicata dalla ragazzina. Non vide nulla.
“C’è, non dico bugie!” E lo prese per la manica del cappotto. Onde evitare che glielo strappasse – sapeva essere cocciuta quando voleva – la assecondò.

Effettivamente nel vicolo c’era una porta fornita di insegna con tanto di bacchetta. “È un laboratorio.” Le spiegò, indicando la dicitura appena sotto. “Qui fabbricano bacchette, non le vendono al pubblico.”
“Quindi le hanno.” Ribatté con tono di chi cercava di spiegare qualcosa ad una persona piuttosto tarda.
“Ma non le vendono.” Spiegò spazientito: voleva tornare a casa e farla finita con quel bagno di socialità. Gliene aspettava uno peggiore quella sera, e voleva avere almeno un’ora di quiete, lontano da qualsiasi essere vivente.   
Ma non aveva calcolato la testardaggine della piccola tedesca, che si mise a cercare il campanello per farsi aprire. A sorpresa, non fu necessario. La porta si aprì e ne emerse un uomo sulla cinquantina, sottile, con grandi occhi sporgenti di un marrone pastoso. Era vestito… curiosamente.  
È raro vedere un commerciante di Diagon Alley indossare un vestito babbano.  Che peraltro lo fa sembrare un maggiordomo degli anni ’50.
“Posso esservi utile?” Chiese, e per un attimo Tom si chiese se non fosse uno svitato alla Lovegood, dato che guardava nella direzione opposta alla loro. Poi vide come tendeva le dita saggiando la dimensione spaziale attorno a lui.
È cieco.  
“Cerchiamo una bacchetta!” Fu la vocetta acuta di Meike a rompere il silenzio.
Il mago si voltò nella loro direzione. “Non è questo il posto giusto, signorina, questo è un laboratorio.” Anche il tono era antiquato, di una gentilezza che ricordava vecchi film in bianco e nero. 
A Tom quei film piacevano. Tranquillizzato, fece un passo avanti. “La bacchetta è per lei.” Spiegò. “Capisco che non vende al dettaglio, ma Olivander è chiuso.”
“Chiuso?” La menzione dovette colpirlo perché i baffi squadrati tremarono appena. “Per quale motivo?”
“È la Vigilia, signore!” Esclamò Meike un po’ confusa.
“Non è davvero un buon motivo per privare una signorina di una bacchetta…” Sembrò riflettere brevemente. “Venite pure dentro. Forse troveremo qualcosa.”

“Mi chiamo Meike! E lui è Tom!” Disse la peste al mago con aria soddisfatta.
A Tom non restò che seguire entrambi. 
Il laboratorio era… un laboratorio. Tom non poté comunque fare a meno di guardarsi attorno. Aveva subito sin da bambino la fascinazione per luoghi simili dove idee prendevano forma e creavano cose.
L’ambiente era ordinato, pulito e con una chiara disposizione spaziale, probabilmente per facilitare l’artigiano. Ovunque sobbollivano alambicchi e c’era un forte odore di legno, cera per bacchette ed erbe secche.
“È la sua prima bacchetta, signorina?”
“Sì! Fin’ora ho usato quella di papà… ma non funziona tanto bene.” Spiegava intanto l’interpellata, saltellando attorno all’uomo. “Tom dice che forse è perché non va bene per me!”
“Capisco. Molto bene, vediamo cosa possiamo fare.” Tom notò che il mago cercava di capire dove fosse e si schiarì la voce per rendere chiara la sua posizione.

“Meike, non toccare nulla.” Aggiunse perché come qualsiasi undicenne che aveva avuto poco a che fare con il Mondo Magico, la bambina era totalmente eccitata e rischiava di travolgere qualcosa.
“Pensavo che fosse Olivander a creare le proprie bacchette.” Soggiunse, avvicinandosi alla piccola libreria in fondo al locale. I titoli non erano in braille. Che fossero incantati per leggersi da soli?   
“Il vero Olivander era un Fabbricante.” L’uomo si mosse verso una serie di scaffali contenenti scatole scure ed allungate. “Ma l’attuale proprietario del negozio, il signor Brooke… beh, è un semplice commerciante.”
“E lei no.” Osservò leggero.
L’uomo sorrise. “No.” Confermò quieto. Poi si toccò la tempia, come a ricordarsi qualcosa. “Che sciocco, non mi sono presentato. Potete chiamarmi Stevens.”
“Ma non è un nome!” Obbiettò Meike imbronciandosi. “Lei ha solo il cognome?”
“Meike, non essere invadente.” La riprese distratto. Notò che trai libri c’erano trattati di Pozioni, Incantesimi e Alchimia. E molti di essi iniziavano con ‘Trattato su’.

No, non è un banale commerciante.
“No, certo che no.” Annuì Stevens scorrendo con le dita la superficie ruvida delle scatole. “Ma è più facile che venga riconosciuto grazie al mio cognome.”
“Curioso, visto che è di origine babbana.” Tom notò un lieve fremito di allerta nei lineamenti dell’uomo.

Avrà una cinquantina d’anni. Durante la guerra era giovane. In età da rappresaglia di Mangiamorte.
Forse non era gentile analizzare un estraneo che stava facendo loro un favore, ma era curioso.
Dopotutto è il primo Fabbricante di bacchette che incontro.
Si era sempre chiesto come venisse alla luce una bacchetta, come fosse possibile far confluire il potere magico di un mago in un semplice agglomerato di legno e elementi organici. Quindi si sentiva legittimato ad appagare quella curiosità.
“Anche il tuo e il mio lo sono!” Replicò Meike, ignara del sottotesto. “E poi i cognomi purosangue non sembrano neanche veri!”
Tom fece un sorrisetto e sorrise anche il Fabbricante. “Signorina, sarebbe così gentile da darmi le sue mani?”
“Le mie mani?” Lanciò un’occhiata a Tom, che annuì una conferma. “Okay!” Gliele mise sulle sue invece di tendergliele, con un tatto che probabilmente lui alla sua età non avrebbe avuto.

Tipico di persone come lei e Al capire il gesto giusto senza che nessuno spieghi loro nulla.
L’artigiano vi passò la propria bacchetta, che Tom notò era un superbo esemplare finemente intagliato. Non sembrava uno dei prodotti dell’attuale Olivander.
“Vende le sue bacchette a Ol… a Brooke?” Chiese.
“La maggior parte. Ma ha anche altri fornitori. Il mio è un piccolo laboratorio, ed ho la deprecabile tendenza ad avere lunghi tempi di consegna.” Rispose il mago, e con un lieve cenno di ringraziamento, lasciò le mani della bambina. “Bene, posso avere la sua bacchetta?” Le chiese poi.
La bambina obbedì, usando lo stesso gesto di prima per consegnargliela. “Cioè, funziona!” Aggiunse un concitata, quasi fosse sua la colpa. “Però non funziona benissimo, ecco.”

Il mago se la rigirò tra le dita, mentre la ruga che aveva tra le sopracciglia si approfondiva. “È ovvio.” Decretò. “Non è una bacchetta adatta a lei.”
“Perché?” Chiese Tom. “È uso piuttosto comune passarsi bacchette di generazione in generazione, nelle famiglie di maghi.”

“Sì, ma non dovrebbe essere così. Specie quando…” Sorrise a Meike, interrompendosi. “Vede quelle scatole? Contengono bacchette. Le apra pure tutte, e trovi la sua.”
Davvero?” Esclamò gioiosa, lanciando uno sguardo dall’uno all’altro. “Posso Tom?”
“Il negozio non è mio. Se ti è stato dato il permesso…” Meike non aspettò che finisse la frase e si fiondò verso lo scaffale come una scheggia. 

Tom capì che l’uomo voleva parlargli in privato e quindi si avvicinò. “Cos’ha la bacchetta che non va?”
Usandola in prima persona aveva notato che faceva resistenza persino ad incantesimi banali.
Ma pensavo che fosse colpa mia, dato che ero abituato ad un legno diverso.
“Le bacchette non sono mai buone o cattive.” Esordì Stevens rigirandosela tra le dita e carezzandone il manico squadrato. “Ma ogni proprietario vi lascia un’impronta. La trasforma. La rende simile a sé.”
“Il padre di Meike, mi viene da supporre, per lei non era un buon proprietario…”
“Secondo la bacchetta, non era un buon’uomo. È una bacchetta rovinata, questa.” Scosse appena la testa. “Non va bene per una bambina.”

Tom non disse nulla: non sapeva nulla del defunto Wollin; solo che si chiamava Karl e aveva abbandonato il Mondo Magico per amore di una babbana. Non molto, quindi. Non si era neppure interessato, a dirla tutta.
È morto. Non è più un problema.
“Gliene comprerò una nuova.” Scrollò le spalle. “Una bacchetta che risponda solo a lei.”
“Saggia scelta.” Convenne il Fabbricante con un sorriso. Spostò leggermente in viso in direzione di Meike.  “Temo che il processo decisionale potrebbe andare per le lunghe. Gradisce una tazza di the…” Inarcò un sopracciglio con intenzione.
“Tom Dursley. E sì, volentieri.”
Dopo qualche minuto Meike era ancora con il naso negli scaffali e loro sorseggiavano the come si conveniva a due estranei di origine inglese costretti a passare del tempo assieme per cause di forza maggiore.
“Posso vedere la sua bacchetta?” Esordì Stevens dopo un paio di sorsi.
“Perché?” Istintivamente la cercò nel cappotto. Notò che il movimento non era sfuggito all’altro, per quanto cieco.

Altri sensi compensativi, suppongo.
“La sua aura magica è particolare.” Lo stupì. “Vorrei sapere come ne risponde la sua bacchetta.”
“La mia aura?” Percepire l’aura magica era una leggenda mai confermata: esistevano modi per misurarla ovviamente, per capire ad esempio se una maledizione avesse intaccato le capacità di un mago. Anche a lui era stata misurata alla nascita, visto il suo ritrovamento. Ma si trattava comunque di usare incantesimi di Medimagia.
Non di percepire l’aura di un mago come si sente vento sul viso.
“Noi fabbricanti di bacchetta non siamo bottegai.” Fu la risposta, mentre tendeva la mano in una muta richiesta. “Siamo studiosi. Molti di noi, semplicemente, finanziano i loro studi attraverso la vendita.”
“Studiate cosa?”
“L’Arte delle Bacchette². Non si aspetti che sia più specifico di così.” Si scusò con un lieve cenno della testa. Dopo un attimo riprese. “La guerra fu impietosa con il povero Olivander… così, prima di morire, decise di formare un apprendista. Disse che non avrebbe lasciato la Gran Bretagna priva di un Fabbricante.”
“È lei era quell’apprendista.” Intuì.
“In persona.” Tese di nuovo la mano. “Le bacchette sono soggette ad usura… e mi sembra che ultimamente la sua abbia avuto tempi duri. Me la lasci controllare.”
“Sente anche questo?” Lo canzonò, sentendosi però a disagio. E parimenti intrigato.

Possibile che davvero percepisca…?
“Sono cieco, ragazzo, ma ho altri sensi che rendono la mia vita meno dura.” Gli rispose.
A Tom non restò dunque che consegnargliela. Era interessato, e l’altro doveva averlo capito.

La curiosità un giorno mi ucciderà.
L’uomo chiuse gli occhi, un movimento involontario o forse per concentrarsi, e se la passò tra le dita come aveva fatto con quella di Karl Wollin. “Ah, una delle mie.” Disse con tranquillo compiacimento. “Agrifoglio, piuma di fenice, quattordici pollici.” Iniziò. “… leggermente rigida.” Fece un mezzo sorriso. “Non le piace stare in mano altrui. Neppure nelle mie, ed io sono il creatore.”
“… e questo come lo sa?” Gli uscì sbigottito, e poi si morse un labbro irritato.
L’uomo non prese in giro il suo tono di infantile sbalordimento. Si limitò a rispondere. “Si sente chiaramente. Ha per lei una fedeltà cieca. La riconosce come il vero padrone… e quindi non tollera di essere separata da lei. Cosa già successa, credo?”
“Sì. Per un periodo.” Tagliò corto, aspro. “Comunque è la mia prima, è normale mi sia fedele.” Smorzò un po’ i toni, lanciando un’occhiata a Meike che apriva e chiudeva scatole in allegria, completamente dimentica della loro presenza.

“Non si preoccupi, la lasci cercare…” Rispose quasi gli avesse letto nella mente. Piuttosto fastidioso. “E non è così comune come si pensa. Le bacchette riconoscono il padrone in chi la possiede, è vero, ma in teoria sono capaci di funzionare con chiunque. La sua temo non sarebbe funzionale in mano a nessuno.”
“Perché è mia.” Ammise infine, e l’altro fece un sorrisetto sottile.
“Precisamente. È un’ottima bacchetta e sa a chi appartiene. Ha dovuto affrontare molte prove…  e avrebbe bisogno di una buona manutenzione.” Aggiunse.
Ah, ecco. Non è solo un bottegaio, eh?
“Sono qui solo per comprarne una. Non per me.”
Il Fabbricante capì l’hint e ridacchiò. “Era un offerta disinteressata. Non mi sarei fatto pagare. E comunque… ne avrebbe bisogno. Perché non è bacchetta che ama gli incantesimi oscuri. Non le è piaciuto essere costretta.”
Dannazione.

Tom lanciò un’occhiata a Meike, che al momento agitava una bacchetta con decisione. Quando riportò lo sguardo sull’uomo sentì in sottofondo un gran rumore di cocci.
Spero non si tiri addosso uno scaffale come ha fatto Al.
“Come fa a saperlo?” Che ci fosse stata qualche soffiata, che l’avesse letto su qualche giornale? No, impossibile. Harry non l’avrebbe mai permesso.
“Lo leggo in questo legno come lei legge un buon libro, ragazzo. Ha un’amica devota. Veda di non usarla per certe cose.”
Tom era indeciso se essere irritato dall’invasività o o chiedergli come riuscisse a capire tutte quelle cose.

Essere un Fabbricante ti fa capire così tanto di un altro mago?
“Lei ne parla come se potesse pensare.”
“Non pensare, ma provare dei sentimenti. Fedeltà, slealtà…” Fece un mezzo sorriso. “La faccenda del possesso di una bacchetta non ha forse permesso ad Harry Potter di vincere Voldemort?”
Ah. Corsi e ricorsi storici…

“Sì, fu una storia complicata.”
“Fu una storia poco capita.” Obbiettò riconsegnandogliela. Tom la mise al sicuro, anche se non ce n’era bisogno. Ma la precauzione non aveva mai ucciso nessuno. “Molti maghi non capiscono l’importanza che questi oggetti hanno nelle loro vite.”
“Penso che chiunque possa capirlo senza sforzo.”
“No, non credo.” Sorrise beato all’ennesimo schianto causato da Meike. Forse era davvero un po’ matto. “La bacchetta non è un utensile. È parte di un mago. Di un solo mago. Se non si capisce questo, il mondo sarebbe colmo di Bacchette di Sambuco, l’unica bacchetta capace di tradire con intenzione. Non è la bacchetta che deve fedeltà al mago. È il mago che deve guadagnarsela.”

Tom guardò la sua. Il discorso di quello strano uomo vestito da maggiordomo aveva un certo grado di senso. Per lui particolarmente: senza la sua bacchetta, negli otto mesi tedeschi, si era sentito mancante.
“Mestiere singolare, quello del Fabbricante.” Concesse finendo il suo the.
“Mestiere unico e non alla portata di chiunque.” Fu la risposta.
Tom non disse nulla per un po’. Ma pensava.
È in un posto del genere che vorrei lavorare, un giorno… è sotto una persona del genere, che vorrei imparare. Uno studioso. Non un timbra carte … - pensò.
Aveva scoperto, date le recenti esperienze, che il Ministero non faceva per lui: c’era troppo rapporto interpersonale da curare, e doversi eventualmente piegare ad idioti come Scott, avrebbe finito per avvelenarlo. Non possedeva la diplomazia di Al o la simpatia carismatica di James.

Aveva sempre pensato ad un lavoro prestigioso, per ammansire la sua ambizione. Ma la sua sete di conoscenza era molto più stimolante.
Non era una scrivania ciò di cui aveva bisogno. Ma di un laboratorio.
“L’ho trovata!” Esordì Meike, trotterellando verso di loro con in pugno la bacchetta d’elezione. Tom capì che era quella giusta da come la bambina sembrava sollevata. Si produsse inoltre in un efficace incantesimo di levitazione delle loro tazze da the.
“Mi sembra adeguata.” Si alzò in piedi, portando la mano dentro il cappotto. “Quanto le devo?”
“È un regalo.” Scosse la testa l’uomo. “Non è forse Natale?”
“Wow, grazie signore!” Meike gli prese la mano di slancio stringendola. “Lei è meglio di Babbo Natale!”
“Non possiamo accettare.” Ribatté invece Tom. “È una bacchetta, non un giocattolo.”
“Appunto.” Sorrise questi, alzandosi in piedi con la fluidità di chi sapeva calcolare senza sforzo lo spazio attorno a sé. “So di aver lasciato questa bacchetta in ottime mani.” Sorrise in direzione di Meike, che avvampò compiaciuta. “Gliel’ho già detto, Mister Dursley. Non sono un commerciante in senso stretto.”

Tom detestava avere debiti, persino con persone che suscitavano il suo apprezzamento. “Insisto.”
“Allora… se devo pensare ad un compenso, forse poter studiare la sua bacchetta?”

“La mia bacchetta?”
“Ogni bacchetta racconta la storia del mago che la possiede.”  

Serrò le labbra. Un altro? “Quindi vuole studiare me.”
“No, la sua bacchetta.” Ripeté paziente. “Ogni bacchetta diventa un pezzo unico quando si adatta alla magia del suo possessore.” Fece un gesto che abbracciava il laboratorio. “Puro studio accademico.”

“Se avrò bisogno di una manutenzione, verrò da lei.” Non si sbilanciò, prendendo per mano Meike che intanto stava tentando di sollevare l’intero servizio di porcellana.
Non era la prima persona che si interessava a lui: per quanto lo interessasse di rimando, non era quello il periodo adatto per lasciar entrare un estraneo nella sua vita.
L’uomo non sembrò adontarsi della risposta fumosa, e aprì loro la porta. “Bene, allora… Buona Natale, ragazzi.”
“Buon Natale signore!” Trillò allegra Meike. Tom lanciò un’occhiata all’insegna, uscendo. Non disse nulla, lasciando che Meike cinguettasse in libertà elogi sul regalo. Ma pensò.  

 
 
****
 
 
Note:


Non volevate un capitolone? Bene, questo è diviso in due parti. Grasso, grosso natale Weasley.
Perché ho fatto tutto questo pippone finale sulle bacchette? Servirà. In futuro. Terza parte. ;D

(La mia logorreaaah…)
Questa la canzone.  Al di là di tutto. Bellissima. Un grazie a Shinu per avermela fatta conoscere. ^^
1.Cokeworth: da Pottermore. È il villaggio natale di Lily Evans, e per traslato, di Petunia. Ho sempre pensato che dopo aver lasciato Privet Drive, Petunia non vi sia mai tornata, anche se da brava borghese, abbia tenuto la casa per il figlio.
2.Arte delle Bacchette. In inglese, Wandlore. È praticamente intraducibile. Comunque, lo studio delle bacchette, dal punto di vista storico, fisico e di fabbricazione.
  
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