Note
Chi
va piano va sano e va lontano, la pazienza è la virtù dei forti,
gli ultimi saranno i primi... eccetera.
Ok,
sono imperdonabile. Ma alla fine ci sono riuscita a terminarla, avete
visto?! :P
Godetevi
quest'ultimo capitolo iper-zuccheroso e pre-natalizio! Ringrazio
tutte coloro che mi hanno seguita: kannuki e chi ha commentato ogni
capitolo fin dall'inizio, ma anche chi ha scoperto la fanfic da poco
e che ha commentato nonostante l'apparente abbandono. Grazie mille a
tutte e alla prossima!
Doralice
Last
Step: Love
Fai
entrare il gatto dalla finestra
anziché
dalla porta,
così
non andrà via.
- credenza popolare
americana -
Il
“discorso”, Gabriel non se l'era immaginato esattamente così. Ma
era solo l'inizio: quella nottata, ancora non lo sapeva, ma gli
avrebbe riservato parecchie sorprese.
– Aspetta. –
L'aveva
interrotto così, sul più bello. Ed era stato necessario un secondo
richiamo da parte di Claire, perché in quel momento faceva parecchia
fatica ad aspettare qualsiasi cosa. Aveva ritrovato il suo odore e il
suo sapore, aveva ripreso confidenza con quella pelle, ed era poco
propenso ad interrompere quello che stavano facendo.
E
così, solo al secondo “Aspetta”, mugolato in modo che si sarebbe
potuto dire tutto tranne che convinto, si era fermato.
–
Non qui. –
Non
qui, cosa?
Gabriel
batté le palpebre e la guardò incerto. Era rossa e accaldata e
aveva un vago broncio contrito, come nella migliore tradizione
virginale. Non avrebbe resistito a lungo.
Cosa
c'era che non andava nella sua stanza? Credeva che lì si sarebbe
sentita tranquilla, che in un ambiente che conosceva si sarebbe
rilassata. Non erano quelle le cose che dicevano le riviste per le
ragazze?
–
Se ti aspettavi lo
Sheraton, devo darti una delusione. – scherzò.
O
almeno ci provò: l'accenno all'hotel sembrò imbarazzarla,
rendendola ancora più appetitosa.
–
Non voglio... qui.
–
Balbettava,
non trovava le parole. Era adorabile.
–
C'è solo casa mia.
– accennò, convinto che non le sarebbe andata bene.
Claire
s'illuminò nel dire quel “Sì.”.
–
Sì? – ripeté
Gabriel, confuso.
Se
era convinta lei...
~~~
Quella
seconda materializzazione li aveva portati nella sua camera da letto.
Poco romantico, forse, ma Gabriel non era l'unico a provare una certa
urgenza.
Le
finestre serrate chiudevano fuori la luce del pomeriggio. Accese la
luce e la guardò. Claire appariva più a disagio di prima mentre si
sedeva compostamente sul letto, eppure sentiva provenire da lei una
nuova tranquillità.
–
Non ero mai stata
qui. – commentò, osservandolo avvicinarsi.
Gabriel
s'inginocchiò davanti a lei: – C'è sempre una prima volta. –
Ed
ecco la paura: gliela riversò addosso, come quella notte, ma adesso
sapeva distinguerla. Non le diede il tempo di crogiolarvisi. Né
diede il tempo a sé stesso di pensare troppo. Il sangue non aveva
smesso di affluirgli all'inguine.
Le
afferrò il viso tra le mani e affondò la bocca nella sua. Passò un
braccio intorno alla sua vita sottile e Claire lasciò che la
stendesse sul letto e insinuasse il bacino tra le sue gambe.
Niente
avrebbe potuto interrompere quella magia. Assolutamente niente. A
parte Gatto.
–
Miao. – fece lo
stronzetto, piombando esattamente di fianco a loro.
Con
sommo disappunto, Gabriel vide Claire puntellarsi sui gomiti per
guardarlo con un sorriso. Eh, no: non gli avrebbe rubato la scena
un'altra volta. Quello era il suo momento.
–
Sciò! –
Mosse
due dita e, sotto lo sguardo allibito di Claire, lo fece volare fuori
dalla stanza.
–
Ma... –
–
Starà benissimo. –
la interruppe secco, afferrandola nuovamente.
Si
sarebbe anche pentito dei suoi modi bruschi, salvo notare un'ondata
di eccitazione da parte di Claire.
Forse
il suo errore era stato quello di esitare troppo, riuscì a
riflettere mentre riprendeva a divorarla. Forse, se non avesse fatto
tanto il signorino, si sarebbero risparmiati quegli ultimi casini.
Che Claire provasse fin dall'inizio un'ambigua attrazione per lui,
che sfiorava la Sindrome di Stoccolma, non era un mistero. Ma Gabriel
non aveva mai avuto il modo – né il coraggio – d'indagare più
approfonditamente quanto fosse radicata in lei.
E
in lui. Perché c'era un lato di Gabriel che ancora si nutriva della
paura altrui. Un lato nascosto e malsano, che – ne era consapevole
– non sarebbe mai riuscito a sopprimere del tutto, e che alimentava
in lui i pensieri più perversi e i desideri più oscuri nei
confronti di Claire. Lo stesso lato che, assieme al desiderio di
“rimettere le cose a porto”, aveva contribuito alla decisione di
ridonare a Claire la capacità di provare dolore. Era Sylar: il lato
che si arrogava il diritto di far soffrire gli altri quando e come
voleva. Restava da capire quanto ne fosse ancora schiavo.
Forse
quella era la volta buona per dare una risposta a quei dubbi.
I
jeans cominciarono ad essere un impedimento, così come i loro
maglioni. Gabriel se ne disfò velocemente, e si trovarono seminudi e
intirizziti, con la pelle increspata dagli sbalzi di calore.
Poi
Claire lo richiamò – un'altra volta. Gabriel si staccò da lei ed
emise un faticosissimo “Cosa?”.
–
La luce. –
Gabriel
serrò gli occhi e abbassò la testa, tentando di riprendere una
parvenza di autocontrollo.
–
La luce. – ripeté
atono.
–
Puoi spegnerla? Per
favore. –
Quella
vocetta timida contrastava in modo allucinante con i capelli
arruffati e la lingerie di pizzo e le pupille dilatate dal piacere.
Gabriel si trattenne a stento dal strapparle di dosso quegli ultimi,
ridicoli pezzetti di stoffa e prenderla immediatamente. Aveva ancora
un po' di sangue nel cervello per arrivare a comprendere che non era
il caso di comportarsi come un troglodita. Ma Claire doveva capire
che tuttosommato lui era umano e non avrebbe sopportato un'ulteriore
interruzione.
Avrebbe
potuto far scattare l'interruttore con la telecinesi, ma non aveva
granché il controllo di sé. La lampadina s'infranse, causando
contemporaneamente un sussulto di Claire e la penombra nella stanza.
C'era
silenzio, adesso. Per un po' Gabriel ebbe paura di muoversi. Ma anche
di respirare e figuriamoci di parlare. Quella sotto di lui non era
Claire, era una specie di creatura selvatica terrorizzata tanto
quanto curiosa. Pericolosissima. Gabriel poteva percepire ogni
sfumatura di ciò che provava e si chiese come poteva un essere umano
provare così tante cose e tutte insieme e così diverse.
Le
donne...
Poi
si accorse di un fatto strano: quelle cose le stava provando anche
lui. Non era empatia, era pura e semplice agitazione. E forse anche
un po' ansia da prestazione, ad essere onesto. Non c'era niente –
proprio niente – nei suoi trascorsi che potesse essergli d'aiuto
per affrontare quella situazione. Un bel casino per un maniaco del
controllo come lui.
Capì
all'istante che tutte le seghe mentali di prima si stavano
dissolvendo davanti alla realtà dei fatti: quella cosina tra le sue
braccia lo amava e lui l'amava di rimando. La sola idea di causarle
del male gli suscitava disgusto e gli faceva crollare l'eccitazione.
Quel
momento di esitazione gli costò caro. Claire gli prese una
mano e se la portò al seno. Era assurdamente morbida: non riusciva a
pensare ad altro se non alla consistenza soffice sotto le sue dita.
Quando gli cinse i bacino con le gambe, Gabriel capì che era il
momento di darci un taglio con quelle paranoie.
Scostò
le coperte, seppellendo entrambi sotto. La avvolse tra le braccia e
non lasciò più andare.
.~:°:~.
Ogni
cosa era illuminata. Claire batté le palpebre nella luce sfocata.
Filtrava dalle tende bianche, donando contorni opalescenti a tutto
l'ambiente.
Alzò
la testa tra le lenzuola chiare e occhieggiò la zazzera scura sul
cuscino. A metà della nottata avevano ribaltato la posizione in cui
si erano addormentati: era stata lei a finire con l'abbracciarlo alle
spalle. Avevano ancora le gambe strettamente intrecciate e le sue mani erano
intrappolate tra quelle di lui.
Gabriel
e il suo paradossale, incolmabile bisogno di sentirsi amato. Cosa
implicasse, Claire l'aveva imparato a sue spese quella stessa notte.
Non che ci avesse rimesso, eh...
La
sua esperienza in tema sessuale si riduceva a qualche scambio di
saliva con un paio di ragazzi ai tempi del liceo, e ad un brevissimo
quanto impacciato incontro con Grethcen, risalente ad un anno prima,
che l'aveva lasciata con la consapevolezza di essere totalmente
etero.
Quella
notte, Gabriel l'aveva presa e rivoltata come come un calzino. Con la
sua tipica sistematicità maniacale, l'aveva esplorata senza
tralasciare alcun anfratto, l'aveva assaggiata, l'aveva divorata.
E quando ne aveva avuto abbastanza, aveva affondato dentro di lei.
Claire
credeva che quel momento non sarebbe arrivato mai. Per un tempo
infinito l'aveva lasciato fare, aspettando, con i muscoli che
tremavano di adrenalina e il cuore impazzito e nel ventre un liquido
vischioso che sembrava farsi più bollente ogni secondo.
Tutto
il resto si era perso in un oblio di carne e singulti e umori.
Ma
ciò che l'aveva schiantata, era stato il dopo. Il suo sguardo e le
sue carezze. E quel rifiuto di lasciarla andare.
Claire
l'aveva assecondato ed era giunto il suo momento di rivoltarlo come
un calzino. Non aveva proferito parola mentre piangeva in silenzio.
L'aveva baciato piano e non l'aveva lasciato andare un attimo.
Aveva
fatto l'amore con lui. Ancora. L'aveva cavalcato dolcemente, senza nemmeno
capire come le riuscisse, lasciandosi semplicemente guidare da ciò
che le diceva l'istinto. Aveva osservato la sua espressione innocente e
fiduciosa, intuendo quale sensazione di potere doveva provare un uomo
quando prendeva la sua donna – cosa doveva aver provato lui quando
l'aveva presa.
Gabriel
non era vergine, ma a Claire parve che quella notte le avesse donato
molto più di ciò che lei aveva donato a lui.
Ciò
che era successo chiudeva il cerchio. Con un po' di malinconia,
Claire realizzò che tutto quel lungo corteggiamento era finito:
erano entrati in una nuova fase, che non comprendeva più le
silenziose coccole notturne e i the con biscotti in laboratorio. Cosa
l'aspettava – cosa aspettava entrambi? Doveva iniziare a
pensarsi come parte di una coppia e non era per niente facile: era abituata ad
immaginarsi sola.
–
Guarda che non
scappo. –
Claire
si rese conto di averlo stritolato nell'abbraccio. Lo lasciò andare
di botto: magari gli dava fastidio. Magari si sentiva soffocare, e
non solo fisicamente.
Gabriel
si era rigirato e la scrutava senza alcuna pietà.
–
Non mi
dà fastidio. –
Claire
alzò un sopracciglio. Leggeva anche nel pensiero, adesso?
–
No. – lui fece
una smorfia di sufficienza e si strinse nelle spalle – Per un
empatico è un potere superfluo. –
Claire
aprì bocca, accigliata. Ci mise un po' a capire che l'aveva fregata.
Precisamente, quando l'afferrò per i fianchi portandola sopra di sé.
–
Buongiorno. – le
mormorò.
Il
proposito di mantenersi offesa s'infranse nel sguardo affamato di
Gabriel che saettava sul suo corpo nudo. Anche un terzo incomodo si
svegliò.
–
Buongiorno anche a
te. – dichiarò, tra l'imbarazzato e il divertito. ~~~
Come
fosse riuscita a sfuggirgli era un mistero. Forse era stata l'idea di
fare la doccia insieme. No, anzi, sicuramente era stato
quello.
Claire
era inesperta, ma era sempre stata convinta che quella del sesso
selvaggio in doccia – o, peggio ancora, in vasca da bagno – fosse
una una leggenda metropolitana. Che chiunque ci avesse provato fosse
finito in traumatologia con prognosi di un mese. Non aveva fatto i
conti con la telecinesi di Gabriel.
Fu
una doccia molto lunga e assai articolata, che li lasciò ebbri di
endorfine e con lo stomaco che brontolava. Forse era il caso di fare
una pausa.
~~~
Le
strade di New York erano sempre affollate, in qualsiasi ora di
qualsiasi giorno dell'anno, ma mai come in quel periodo. Il Black
Friday era appena passato e frotte di gente carica di acquisti si
accalcava sui marciapiedi, entrava e usciva dai negozi, inseguiva
taxi nell'aria fredda di nevischio.
Claire
inciampò tra i piedi della calca e Gabriel l'afferrò al volo,
evitando per un soffio che il suo frappuccino si schiantasse sul
cappotto. Si scambiarono uno sguardo significativo: chi gliel'aveva
fatto fare di abbandonare la calda tranquillità dell'appartamento?
Poi
il cellulare di Claire squillò e non ci fu bisogno nemmeno di
guardare il display: era il solito avviso che le ricordava
l'appuntamento settimanale con Peter. Sotto lo sguardo interrogativo
di Gabriel, si diede una manata in fronte: l'aveva completamente scordato.
Afferrò
Gabriel per mano e, non senza fatica, riuscì a districarsi dalla
folla e a condurlo in un vicolo miracolosamente vuoto.
–
Qui? – disse
guardandosi attorno e fingendo un'aria stupita – A casa eravamo più
comodi... –
–
Oh, taci! –
borbottò lei arrossendo – Peter mi sta aspettando. –
Gabriel
annuì: – Ok. –
Claire
alzò gli occhi al cielo: non aveva capito niente.
–
Vieni con me, no?
Anzi, materializziamoci lì! – lo incalzò, afferrandolo per una
manica.
Lo
vide accigliarsi: – Insieme? –
–
No, certo,
materializzati solo tu. – lo canzonò – Ovviamente insieme! –
–
No. – Gabriel
batté le palpebre e scosse la testa – Voglio dire... andiamo
insieme da Peter? –
Le
sopracciglia inarcate e il suo tono titubante la stupirono.
–
Qual è il
problema? Non è mica mio padre! – gli sorrise, divertita all'idea
che credesse di volerlo incastrare – Non voglio presentarti in
famiglia. –
–
Uh? Peccato,
sarebbe stato un bello spettacolo la faccia di Noah. – commentò
con un sorrisetto e l'aria perplessa.
Trattennero
una risata.
–
Mi è venuta
un'idea. – se ne uscì d'un tratto, mentre tornavano ad immettersi
nella fiumana – Hai voglia di fare shopping? –
.~:°:~.
Con
un sospiro, Peter si alzò dal tavolino e andò al bancone a pagare.
Non era la prima volta che Claire lo paccava, ma di solito gli
mandava almeno un sms per avvertirlo. Era un po' preoccupato.
Sopratutto considerato che l'ultima volta che l'aveva vista l'aveva
lasciata in compagnia di uno psicopatico serial killer, assassino di
suo fratello.
–
Vai già via, Pete?
Che fine ha fatto la bambolina? –
Ben
non si faceva mai gli affari suoi. Aveva messo gli occhi su Claire
dalla prima volta che Peter l'aveva portata al bar e a niente era
servito ribadirgli che in quanto sua nipote lei era off-limits.
–
Oggi aveva un
impegno. – tirò fuori fuori cinque dollari e glieli porse –
Tieni il resto. –
–
Uhm... vedo. –
Peter
non badò al commento di Ben. Almeno finché non guardò
distrattamente davanti a sé e vide nel riflesso dello specchio
dietro il bancone due figure familiari.
Ben
stava facendo qualche battuta laida sull'aspetto di Claire, ma Peter
lo ignorò completamente. Era troppo preso ad assimilare la visione
di Claire e Gabriel che si tenevano per mano, lì, sul marciapiede
davanti all'entrata del bar.
Claire
gli fece “ciao” con la mano inguantata. Aveva le guance
rosse per il freddo e un sorriso che le andava da un orecchio
all'altro. Avanzò, tirando per mano Gabriel e trascinandolo dentro
il locale. Peter si mosse per andare loro incontro e si ritrovò
stritolato dall'abbraccio di Claire. Guardò con costernazione
Gabriel da sopra la sua testa bionda: la sua espressione era
indecifrabile.
Avrebbe
voluto fare loro mille domande, anche se non era così sicuro di
volerne sentire le risposte. Ma comunque non riusciva a spiccicare
parola. Si lasciò trascinare a sedere, e così si trovarono tutti e
tre attorno allo stesso tavolo.
–
Abbiamo un cosa per
te! –
Claire
si sfilò i guanti e tirò fuori dalla borsa un pacchetto involto in
carta colorata.
Peter
lo prese con una certa circospezione. Perché gli facevano un regalo?
Non era ancora Natale e il suo compleanno era lontano.
– E
questo perché...? – fece scartandolo.
Tra
la carta strappata, Peter si ritrovò tra le mani l'ultimo album di
Plushgun.
Sorrise
loro: – Devo dedurne che la discussione di ieri si è conclusa
positivamente? –
Li
vide scambiarsi un'occhiata. Claire abbassò la testa con aria
imbarazzata e Gabriel si schiarì la voce. Peter si sentì
improvvisamente investito di un ruolo che – lo sapeva bene –
aveva più o meno ricoperto fin dall'inizio, ma che non aveva mai
sentito così pesante come in quel momento.
–
Perché ci hai
sopportati in questi mesi. – spiegò semplicemente Gabriel.
Claire
si sporse verso di lui, posando il mento su una mano.
– E
perché sappiamo che ti piace Plushgun. – aggiunse.
Peter
semplicemente non sapeva che cosa dire. Gli arrivò in soccorso Ben:
prese le ordinazioni senza schiodare gli occhi di dosso a Claire. Ci
fu uno scambio di sguardi tra di loro e Gabriel trafisse il barista
con un espressione alla Sylar che non prometteva niente di buono.
–
Che c'è? – fece,
sentendosi osservato.
Claire
lo guardò severamente: – Lascialo in pace. –
–
Ehi, io non ho
fatto niente. – si difese lui.
–
Mhm... già, come
se non... –
La
risata soffocata di Peter attirò la loro attenzione.
–
Scusate, – scosse
la testa davanti alle loro espressioni incuriosite – è che
siete... adorabili! –
Claire
ridacchiò. Gabriel emise un grugnito imbarazzato.
–
Se la fai soffrire,
ti uccido. – lo avvertì diventando improvvisamente serio – E
comunque non è finita qui: mi aspetto di più di un CD la prossima
volta. –
I
due lo guardarono con aria confusa.
–
Come minimo voglio
essere il testimone. – dichiarò solennemente, scatenando una
reazione impagabile da parte di entrambi.
Un
misto di imbarazzo, agitazione e terrore.
– O
il padrino. – incalzò, troppo divertito dalle loro espressioni
scioccate – O entrambi, perché no? –
D'improvviso
Gabriel si tramutò una statua di sale e gli occhi di Claire
divennero larghi come piattini. Peter saettò lo sguardo dall'uno
all'altra e, intuendo la situazione, l'unica cosa che gli riuscì fu
di scoppiare a ridere.
–
Noi dobbiamo
andare! – dichiarò Claire afferrando le sue cose alla bellemeglio.
Gabriel
scattò in piedi: – Sì. Andare. –
Lei
gli scoccò un frettoloso bacio sulla guancia: – Ciao Peter. –
–
Ciao Peter. –
ripeté meccanicamente Gabriel.
E
si dileguarono verso l'uscita, proprio mentre Ben stava arrivando con
le ordinazioni. Guardò la scena senza capire e se ne
tornò indietro borbottando qualcosa sulle bionde svampite.
–
Se è maschio
voglio che lo chiamiate Peter! – urlò loro dietro.
Lo
sguardo atterrito che gli lanciò Gabriel prima di svanire, fu
memorabile.
Di
nuovo solo, Peter sospirò nuovamente. Un sospiro molto diverso dal
precedente.
–
Metti sul conto,
Ben. – disse mentre s'infilava il cappotto e afferrava lo zaino.
Uscì
nell'aria fredda e s'incamminò verso l'ospedale. Era in ritardo per
attaccare il turno, ma cinque minuti poteva ancora concederseli: tirò
fuori il lettore CD antidiluviano che si portava sempre appresso e
c'infilò il suo regalo. Il primo brano partì e, come gli succedeva
sempre quando ascoltava musica per strada, ebbe la sensazione di
essere protagonista di un film, con una colonna sonora appositamente
ideata per lui.
Ma
no. Più che il protagonista, Peter era il regista. E anche quella
volta, la sceneggiatura che aveva scritto era perfetta e gli attori
che aveva diretto erano stati magistrali, anche migliori delle
aspettative. E chissenefrega se non aveva vinto l'Oscar.
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