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Autore: Doralice    06/11/2011    4 recensioni
Sette scalini tra Claire e Gabriel. Sette gradi di differenza da superare.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Claire Bennet, Peter Petrelli, Sylar
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Note

Chi va piano va sano e va lontano, la pazienza è la virtù dei forti, gli ultimi saranno i primi... eccetera.

Ok, sono imperdonabile. Ma alla fine ci sono riuscita a terminarla, avete visto?! :P

Godetevi quest'ultimo capitolo iper-zuccheroso e pre-natalizio! Ringrazio tutte coloro che mi hanno seguita: kannuki e chi ha commentato ogni capitolo fin dall'inizio, ma anche chi ha scoperto la fanfic da poco e che ha commentato nonostante l'apparente abbandono. Grazie mille a tutte e alla prossima!

Doralice







Last Step: Love


Fai entrare il gatto dalla finestra

anziché dalla porta,

così non andrà via.

- credenza popolare americana -



Il “discorso”, Gabriel non se l'era immaginato esattamente così. Ma era solo l'inizio: quella nottata, ancora non lo sapeva, ma gli avrebbe riservato parecchie sorprese.

– Aspetta. –

L'aveva interrotto così, sul più bello. Ed era stato necessario un secondo richiamo da parte di Claire, perché in quel momento faceva parecchia fatica ad aspettare qualsiasi cosa. Aveva ritrovato il suo odore e il suo sapore, aveva ripreso confidenza con quella pelle, ed era poco propenso ad interrompere quello che stavano facendo.

E così, solo al secondo “Aspetta”, mugolato in modo che si sarebbe potuto dire tutto tranne che convinto, si era fermato.

Non qui. –

Non qui, cosa?

Gabriel batté le palpebre e la guardò incerto. Era rossa e accaldata e aveva un vago broncio contrito, come nella migliore tradizione virginale. Non avrebbe resistito a lungo.

Cosa c'era che non andava nella sua stanza? Credeva che lì si sarebbe sentita tranquilla, che in un ambiente che conosceva si sarebbe rilassata. Non erano quelle le cose che dicevano le riviste per le ragazze?

Se ti aspettavi lo Sheraton, devo darti una delusione. – scherzò.

O almeno ci provò: l'accenno all'hotel sembrò imbarazzarla, rendendola ancora più appetitosa.

Non voglio... qui. –

Balbettava, non trovava le parole. Era adorabile.

C'è solo casa mia. – accennò, convinto che non le sarebbe andata bene.

Claire s'illuminò nel dire quel “Sì.”.

Sì? – ripeté Gabriel, confuso.

Se era convinta lei...

~~~

Quella seconda materializzazione li aveva portati nella sua camera da letto. Poco romantico, forse, ma Gabriel non era l'unico a provare una certa urgenza.

Le finestre serrate chiudevano fuori la luce del pomeriggio. Accese la luce e la guardò. Claire appariva più a disagio di prima mentre si sedeva compostamente sul letto, eppure sentiva provenire da lei una nuova tranquillità.

Non ero mai stata qui. – commentò, osservandolo avvicinarsi.

Gabriel s'inginocchiò davanti a lei: – C'è sempre una prima volta. –

Ed ecco la paura: gliela riversò addosso, come quella notte, ma adesso sapeva distinguerla. Non le diede il tempo di crogiolarvisi. Né diede il tempo a sé stesso di pensare troppo. Il sangue non aveva smesso di affluirgli all'inguine.

Le afferrò il viso tra le mani e affondò la bocca nella sua. Passò un braccio intorno alla sua vita sottile e Claire lasciò che la stendesse sul letto e insinuasse il bacino tra le sue gambe.

Niente avrebbe potuto interrompere quella magia. Assolutamente niente. A parte Gatto.

Miao. – fece lo stronzetto, piombando esattamente di fianco a loro.

Con sommo disappunto, Gabriel vide Claire puntellarsi sui gomiti per guardarlo con un sorriso. Eh, no: non gli avrebbe rubato la scena un'altra volta. Quello era il suo momento.

Sciò! –

Mosse due dita e, sotto lo sguardo allibito di Claire, lo fece volare fuori dalla stanza.

Ma... –

Starà benissimo. – la interruppe secco, afferrandola nuovamente.

Si sarebbe anche pentito dei suoi modi bruschi, salvo notare un'ondata di eccitazione da parte di Claire.

Forse il suo errore era stato quello di esitare troppo, riuscì a riflettere mentre riprendeva a divorarla. Forse, se non avesse fatto tanto il signorino, si sarebbero risparmiati quegli ultimi casini. Che Claire provasse fin dall'inizio un'ambigua attrazione per lui, che sfiorava la Sindrome di Stoccolma, non era un mistero. Ma Gabriel non aveva mai avuto il modo – né il coraggio – d'indagare più approfonditamente quanto fosse radicata in lei.

E in lui. Perché c'era un lato di Gabriel che ancora si nutriva della paura altrui. Un lato nascosto e malsano, che – ne era consapevole – non sarebbe mai riuscito a sopprimere del tutto, e che alimentava in lui i pensieri più perversi e i desideri più oscuri nei confronti di Claire. Lo stesso lato che, assieme al desiderio di “rimettere le cose a porto”, aveva contribuito alla decisione di ridonare a Claire la capacità di provare dolore. Era Sylar: il lato che si arrogava il diritto di far soffrire gli altri quando e come voleva. Restava da capire quanto ne fosse ancora schiavo.

Forse quella era la volta buona per dare una risposta a quei dubbi.

I jeans cominciarono ad essere un impedimento, così come i loro maglioni. Gabriel se ne disfò velocemente, e si trovarono seminudi e intirizziti, con la pelle increspata dagli sbalzi di calore.

Poi Claire lo richiamò – un'altra volta. Gabriel si staccò da lei ed emise un faticosissimo “Cosa?”.

La luce. –

Gabriel serrò gli occhi e abbassò la testa, tentando di riprendere una parvenza di autocontrollo.

La luce. – ripeté atono.

Puoi spegnerla? Per favore. –

Quella vocetta timida contrastava in modo allucinante con i capelli arruffati e la lingerie di pizzo e le pupille dilatate dal piacere. Gabriel si trattenne a stento dal strapparle di dosso quegli ultimi, ridicoli pezzetti di stoffa e prenderla immediatamente. Aveva ancora un po' di sangue nel cervello per arrivare a comprendere che non era il caso di comportarsi come un troglodita. Ma Claire doveva capire che tuttosommato lui era umano e non avrebbe sopportato un'ulteriore interruzione.

Avrebbe potuto far scattare l'interruttore con la telecinesi, ma non aveva granché il controllo di sé. La lampadina s'infranse, causando contemporaneamente un sussulto di Claire e la penombra nella stanza.

C'era silenzio, adesso. Per un po' Gabriel ebbe paura di muoversi. Ma anche di respirare e figuriamoci di parlare. Quella sotto di lui non era Claire, era una specie di creatura selvatica terrorizzata tanto quanto curiosa. Pericolosissima. Gabriel poteva percepire ogni sfumatura di ciò che provava e si chiese come poteva un essere umano provare così tante cose e tutte insieme e così diverse.

Le donne...

Poi si accorse di un fatto strano: quelle cose le stava provando anche lui. Non era empatia, era pura e semplice agitazione. E forse anche un po' ansia da prestazione, ad essere onesto. Non c'era niente – proprio niente – nei suoi trascorsi che potesse essergli d'aiuto per affrontare quella situazione. Un bel casino per un maniaco del controllo come lui.

Capì all'istante che tutte le seghe mentali di prima si stavano dissolvendo davanti alla realtà dei fatti: quella cosina tra le sue braccia lo amava e lui l'amava di rimando. La sola idea di causarle del male gli suscitava disgusto e gli faceva crollare l'eccitazione.

Quel momento di esitazione gli costò caro. Claire gli prese una mano e se la portò al seno. Era assurdamente morbida: non riusciva a pensare ad altro se non alla consistenza soffice sotto le sue dita. Quando gli cinse i bacino con le gambe, Gabriel capì che era il momento di darci un taglio con quelle paranoie.

Scostò le coperte, seppellendo entrambi sotto. La avvolse tra le braccia e non lasciò più andare.


.~:°:~.


Ogni cosa era illuminata. Claire batté le palpebre nella luce sfocata. Filtrava dalle tende bianche, donando contorni opalescenti a tutto l'ambiente.

Alzò la testa tra le lenzuola chiare e occhieggiò la zazzera scura sul cuscino. A metà della nottata avevano ribaltato la posizione in cui si erano addormentati: era stata lei a finire con l'abbracciarlo alle spalle. Avevano ancora le gambe strettamente intrecciate e le sue mani erano intrappolate tra quelle di lui.

Gabriel e il suo paradossale, incolmabile bisogno di sentirsi amato. Cosa implicasse, Claire l'aveva imparato a sue spese quella stessa notte. Non che ci avesse rimesso, eh...

La sua esperienza in tema sessuale si riduceva a qualche scambio di saliva con un paio di ragazzi ai tempi del liceo, e ad un brevissimo quanto impacciato incontro con Grethcen, risalente ad un anno prima, che l'aveva lasciata con la consapevolezza di essere totalmente etero.

Quella notte, Gabriel l'aveva presa e rivoltata come come un calzino. Con la sua tipica sistematicità maniacale, l'aveva esplorata senza tralasciare alcun anfratto, l'aveva assaggiata, l'aveva divorata. E quando ne aveva avuto abbastanza, aveva affondato dentro di lei.

Claire credeva che quel momento non sarebbe arrivato mai. Per un tempo infinito l'aveva lasciato fare, aspettando, con i muscoli che tremavano di adrenalina e il cuore impazzito e nel ventre un liquido vischioso che sembrava farsi più bollente ogni secondo.

Tutto il resto si era perso in un oblio di carne e singulti e umori.

Ma ciò che l'aveva schiantata, era stato il dopo. Il suo sguardo e le sue carezze. E quel rifiuto di lasciarla andare.

Claire l'aveva assecondato ed era giunto il suo momento di rivoltarlo come un calzino. Non aveva proferito parola mentre piangeva in silenzio. L'aveva baciato piano e non l'aveva lasciato andare un attimo.

Aveva fatto l'amore con lui. Ancora. L'aveva cavalcato dolcemente, senza nemmeno capire come le riuscisse, lasciandosi semplicemente guidare da ciò che le diceva l'istinto. Aveva osservato la sua espressione innocente e fiduciosa, intuendo quale sensazione di potere doveva provare un uomo quando prendeva la sua donna – cosa doveva aver provato lui quando l'aveva presa.

Gabriel non era vergine, ma a Claire parve che quella notte le avesse donato molto più di ciò che lei aveva donato a lui.

Ciò che era successo chiudeva il cerchio. Con un po' di malinconia, Claire realizzò che tutto quel lungo corteggiamento era finito: erano entrati in una nuova fase, che non comprendeva più le silenziose coccole notturne e i the con biscotti in laboratorio. Cosa l'aspettava – cosa aspettava entrambi? Doveva iniziare a pensarsi come parte di una coppia e non era per niente facile: era abituata ad immaginarsi sola.

Guarda che non scappo. –

Claire si rese conto di averlo stritolato nell'abbraccio. Lo lasciò andare di botto: magari gli dava fastidio. Magari si sentiva soffocare, e non solo fisicamente.

Gabriel si era rigirato e la scrutava senza alcuna pietà.

Non mi dà fastidio. –

Claire alzò un sopracciglio. Leggeva anche nel pensiero, adesso?

No. – lui fece una smorfia di sufficienza e si strinse nelle spalle – Per un empatico è un potere superfluo. –

Claire aprì bocca, accigliata. Ci mise un po' a capire che l'aveva fregata. Precisamente, quando l'afferrò per i fianchi portandola sopra di sé.

Buongiorno. – le mormorò.

Il proposito di mantenersi offesa s'infranse nel sguardo affamato di Gabriel che saettava sul suo corpo nudo. Anche un terzo incomodo si svegliò.

Buongiorno anche a te. – dichiarò, tra l'imbarazzato e il divertito.

~~~

Come fosse riuscita a sfuggirgli era un mistero. Forse era stata l'idea di fare la doccia insieme. No, anzi, sicuramente era stato quello.

Claire era inesperta, ma era sempre stata convinta che quella del sesso selvaggio in doccia – o, peggio ancora, in vasca da bagno – fosse una una leggenda metropolitana. Che chiunque ci avesse provato fosse finito in traumatologia con prognosi di un mese. Non aveva fatto i conti con la telecinesi di Gabriel.

Fu una doccia molto lunga e assai articolata, che li lasciò ebbri di endorfine e con lo stomaco che brontolava. Forse era il caso di fare una pausa.

~~~

Le strade di New York erano sempre affollate, in qualsiasi ora di qualsiasi giorno dell'anno, ma mai come in quel periodo. Il Black Friday era appena passato e frotte di gente carica di acquisti si accalcava sui marciapiedi, entrava e usciva dai negozi, inseguiva taxi nell'aria fredda di nevischio.

Claire inciampò tra i piedi della calca e Gabriel l'afferrò al volo, evitando per un soffio che il suo frappuccino si schiantasse sul cappotto. Si scambiarono uno sguardo significativo: chi gliel'aveva fatto fare di abbandonare la calda tranquillità dell'appartamento?

Poi il cellulare di Claire squillò e non ci fu bisogno nemmeno di guardare il display: era il solito avviso che le ricordava l'appuntamento settimanale con Peter. Sotto lo sguardo interrogativo di Gabriel, si diede una manata in fronte: l'aveva completamente scordato.

Afferrò Gabriel per mano e, non senza fatica, riuscì a districarsi dalla folla e a condurlo in un vicolo miracolosamente vuoto.

Qui? – disse guardandosi attorno e fingendo un'aria stupita – A casa eravamo più comodi... –

Oh, taci! – borbottò lei arrossendo – Peter mi sta aspettando. –

Gabriel annuì: – Ok. –

Claire alzò gli occhi al cielo: non aveva capito niente.

Vieni con me, no? Anzi, materializziamoci lì! – lo incalzò, afferrandolo per una manica.

Lo vide accigliarsi: – Insieme? –

No, certo, materializzati solo tu. – lo canzonò – Ovviamente insieme! –

No. – Gabriel batté le palpebre e scosse la testa – Voglio dire... andiamo insieme da Peter? –

Le sopracciglia inarcate e il suo tono titubante la stupirono.

Qual è il problema? Non è mica mio padre! – gli sorrise, divertita all'idea che credesse di volerlo incastrare – Non voglio presentarti in famiglia. –

Uh? Peccato, sarebbe stato un bello spettacolo la faccia di Noah. – commentò con un sorrisetto e l'aria perplessa.

Trattennero una risata.

Mi è venuta un'idea. – se ne uscì d'un tratto, mentre tornavano ad immettersi nella fiumana – Hai voglia di fare shopping? –


.~:°:~.


Con un sospiro, Peter si alzò dal tavolino e andò al bancone a pagare. Non era la prima volta che Claire lo paccava, ma di solito gli mandava almeno un sms per avvertirlo. Era un po' preoccupato. Sopratutto considerato che l'ultima volta che l'aveva vista l'aveva lasciata in compagnia di uno psicopatico serial killer, assassino di suo fratello.

Vai già via, Pete? Che fine ha fatto la bambolina? –

Ben non si faceva mai gli affari suoi. Aveva messo gli occhi su Claire dalla prima volta che Peter l'aveva portata al bar e a niente era servito ribadirgli che in quanto sua nipote lei era off-limits.

Oggi aveva un impegno. – tirò fuori fuori cinque dollari e glieli porse – Tieni il resto. –

Uhm... vedo. –

Peter non badò al commento di Ben. Almeno finché non guardò distrattamente davanti a sé e vide nel riflesso dello specchio dietro il bancone due figure familiari.

Ben stava facendo qualche battuta laida sull'aspetto di Claire, ma Peter lo ignorò completamente. Era troppo preso ad assimilare la visione di Claire e Gabriel che si tenevano per mano, lì, sul marciapiede davanti all'entrata del bar.

Claire gli fece “ciao” con la mano inguantata. Aveva le guance rosse per il freddo e un sorriso che le andava da un orecchio all'altro. Avanzò, tirando per mano Gabriel e trascinandolo dentro il locale. Peter si mosse per andare loro incontro e si ritrovò stritolato dall'abbraccio di Claire. Guardò con costernazione Gabriel da sopra la sua testa bionda: la sua espressione era indecifrabile.

Avrebbe voluto fare loro mille domande, anche se non era così sicuro di volerne sentire le risposte. Ma comunque non riusciva a spiccicare parola. Si lasciò trascinare a sedere, e così si trovarono tutti e tre attorno allo stesso tavolo.

Abbiamo un cosa per te! –

Claire si sfilò i guanti e tirò fuori dalla borsa un pacchetto involto in carta colorata.

Peter lo prese con una certa circospezione. Perché gli facevano un regalo? Non era ancora Natale e il suo compleanno era lontano.

E questo perché...? – fece scartandolo.

Tra la carta strappata, Peter si ritrovò tra le mani l'ultimo album di Plushgun.

Sorrise loro: – Devo dedurne che la discussione di ieri si è conclusa positivamente? –

Li vide scambiarsi un'occhiata. Claire abbassò la testa con aria imbarazzata e Gabriel si schiarì la voce. Peter si sentì improvvisamente investito di un ruolo che – lo sapeva bene – aveva più o meno ricoperto fin dall'inizio, ma che non aveva mai sentito così pesante come in quel momento.

Perché ci hai sopportati in questi mesi. – spiegò semplicemente Gabriel.

Claire si sporse verso di lui, posando il mento su una mano.

E perché sappiamo che ti piace Plushgun. – aggiunse.

Peter semplicemente non sapeva che cosa dire. Gli arrivò in soccorso Ben: prese le ordinazioni senza schiodare gli occhi di dosso a Claire. Ci fu uno scambio di sguardi tra di loro e Gabriel trafisse il barista con un espressione alla Sylar che non prometteva niente di buono.

Che c'è? – fece, sentendosi osservato.

Claire lo guardò severamente: – Lascialo in pace. –

Ehi, io non ho fatto niente. – si difese lui.

Mhm... già, come se non... –

La risata soffocata di Peter attirò la loro attenzione.

Scusate, – scosse la testa davanti alle loro espressioni incuriosite – è che siete... adorabili! –

Claire ridacchiò. Gabriel emise un grugnito imbarazzato.

Se la fai soffrire, ti uccido. – lo avvertì diventando improvvisamente serio – E comunque non è finita qui: mi aspetto di più di un CD la prossima volta. –

I due lo guardarono con aria confusa.

Come minimo voglio essere il testimone. – dichiarò solennemente, scatenando una reazione impagabile da parte di entrambi.

Un misto di imbarazzo, agitazione e terrore.

O il padrino. – incalzò, troppo divertito dalle loro espressioni scioccate – O entrambi, perché no? –

D'improvviso Gabriel si tramutò una statua di sale e gli occhi di Claire divennero larghi come piattini. Peter saettò lo sguardo dall'uno all'altra e, intuendo la situazione, l'unica cosa che gli riuscì fu di scoppiare a ridere.

Noi dobbiamo andare! – dichiarò Claire afferrando le sue cose alla bellemeglio.

Gabriel scattò in piedi: – Sì. Andare. –

Lei gli scoccò un frettoloso bacio sulla guancia: – Ciao Peter. –

Ciao Peter. – ripeté meccanicamente Gabriel.

E si dileguarono verso l'uscita, proprio mentre Ben stava arrivando con le ordinazioni. Guardò la scena senza capire e se ne tornò indietro borbottando qualcosa sulle bionde svampite.

Se è maschio voglio che lo chiamiate Peter! – urlò loro dietro.

Lo sguardo atterrito che gli lanciò Gabriel prima di svanire, fu memorabile.

Di nuovo solo, Peter sospirò nuovamente. Un sospiro molto diverso dal precedente.

Metti sul conto, Ben. – disse mentre s'infilava il cappotto e afferrava lo zaino.

Uscì nell'aria fredda e s'incamminò verso l'ospedale. Era in ritardo per attaccare il turno, ma cinque minuti poteva ancora concederseli: tirò fuori il lettore CD antidiluviano che si portava sempre appresso e c'infilò il suo regalo. Il primo brano partì e, come gli succedeva sempre quando ascoltava musica per strada, ebbe la sensazione di essere protagonista di un film, con una colonna sonora appositamente ideata per lui.

Ma no. Più che il protagonista, Peter era il regista. E anche quella volta, la sceneggiatura che aveva scritto era perfetta e gli attori che aveva diretto erano stati magistrali, anche migliori delle aspettative. E chissenefrega se non aveva vinto l'Oscar.

   
 
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