That
Love is All There is
Terre_del_Nord
Slytherin's Blood
Chains - IV.009
- Il Mantello dell'Invisibilità
Sirius Black
Hogwarts, Highlands - giov. 6 gennaio 1972
“Mi piacerebbe sapere che cosa avete in testa voi due...
Gobbiglie forse?”
Sollevai gli occhi dal piatto e li fissai su Remus J. Lupin, al mio
fianco, poi li richiusi: mi sembrava di essere a casa, davanti a mio
padre che snocciolava l'elenco dei doveri di un bravo Black, subito
sentii gli angoli delle mie labbra incurvarsi in un fremito divertito e
furfantesco. A quel punto non c'era più nulla da fare,
tentare di resistere era inutile. Riaprii gli occhi, sorseggiai un po'
di succo di zucca e indolente, sbottai, a mezza bocca.
“Singolare...”
“Singolare? Che cosa significa
“singolare”?”
“Singolare nel senso di
“una”: una Gobbiglia, una sola Gobbiglia... In due,
naturalmente...”
Sentii lo sbuffo ilare di James, seduto di fronte a me, ma non mi
voltai a guardarlo, continuai a fissare Remus. Immaginai che
la mia espressione fosse tanto ironica quanto la sua era severa:
vedendolo così, responsabile e serioso, con un che di adulto
nello sguardo, che cambiava colore non capacitandosi
dell'assurdità delle mie risposte alle sue sagge
osservazioni, non riuscii a trattenermi oltre e iniziai pure a ridergli
in faccia, sguaiatamente, come avevo già fatto poco prima,
in camera nostra, solo che stavolta il succo di zucca mi
uscì dal naso e rischiai quasi di soffocare. James, che
smaniava per rispondere a tono a Lupin, si ritrovò a dover
scegliere se canzonare lui o sfottere me e, indeciso, rimase zitto solo
un secondo, poi scoppiò a ridere anche lui, agitandosi sulla
panca e rovesciando sul tavolo, addosso a Peter, quel che restava del
suo porridge.
“Bravi, continuate
così, almeno vi daranno un'altra settimana di punizione, e
quel che è peggio, prima o poi, tirerete in mezzo anche noi
due!”
“E ti lamenti, Lupin? Pensa
quanto potremmo divertirci, tutti e quattro insieme!
Ahahah...”
Remus, di solito calmo e posato, trafisse Potter con uno sguardo
furibondo, io mi aspettavo di sentirlo insultare James e la sua
espressione esaltata, invece, come sempre, riuscì a
contenersi: se non fossi stato tanto impegnato a ridere, l'avrei
ammirato per l'indubbia capacità di sopportazione. Peter,
intanto, spaventato all'idea di essere coinvolto, suo malgrado, nel
nostro triste destino di penitenza presso Mastro Filch,
cercò di porre rimedio in qualche modo al disastro, andando
ad asciugare con un tovagliolo, rapido, il pantano di latte e zucca che
avevamo riversato sulla nostra porzione di tavolo, riuscendo, in
realtà, solo a “impastrocchiarsi” ancora
di più la divisa. Sentii montarmi dentro un'altra
ondata di risate, un po' per Peter che si agitava, infervorato, gli
occhi acquosi messi in risalto dalle guanciotte rosse e paffute, un po'
per la sadica soddisfazione al pensiero di quei due mocciosi coinvolti
di forza nelle nostre ardite scorribande, ma soprattutto al pensiero
dei danni che avremmo potuto fare in giro per il castello, tutti e
quattro insieme. Il rischio che ci mettessimo in altri guai
già quella mattina era, in effetti, reale, non c'era
possibilità che passassimo inosservati, visto che eravamo
stati tra i primi a scendere a colazione e, pur a debita distanza da
orecchi indiscreti, eravamo ben visibili dal tavolo dei professori: nel
marasma generale, notai di sfuggita l'espressione indecifrabile del
preside rivolta verso di noi e il misterioso bisbiglio che si
scambiò con la McGonagall, osservando intensamente Remus.
“Ti preoccupi troppo, Lupin,
in questo modo non apprezzerai mai del tutto le opportunità
offerte dalla scuola... non siamo qui solo per ascoltare barbosissime
ciance e ammuffire in biblioteca! Dobbiamo esplorare il castello,
scoprirne i segreti... Sirius ed io approfitteremo della situazione e
andremo in avanscoperta, fin da stasera... sarà
entusiasmante, dico bene Black?”
Mi limitai a ghignare, puntando Peter con una delle mie classiche
occhiatacce in tralice, da “futuro Mago Oscuro degno
dell'antica casata dei Black”, come vaticinava spesso il
nostro pauroso compagno, che, appunto, sentendosi osservato tanto
intensamente, divenne prima paonazzo poi pallido e tornò a
fissare il suo piatto, mentre io scoppiavo di nuovo a ridere.
“Siete due idioti... anzi,
siete proprio due pazzi! E se, come ho sentito dire dai Prewett, Filch
vi mandasse a far la ronda là fuori, con il
guardiacaccia?”
“Magari, Remus, magari! Pensa
che emozione! Da quando la McGonagall mi ha messo in castigo, io
“prego” che Filch mi mandi nella foresta con quel
tale, quel Rubeus Hagrid! Altro che perdere tempo a riordinare
schedari, come l'altra volta! E ti dirò... se hanno atteso
che mi riprendessi dal mal di gola per mettermi in punizione,
è sicuro che stasera andremo nella foresta!”
“Ma... James... è
gennaio e là fuori si gela e... quella là fuori
è... è... la Foresta... Proibita...”
“Quisquilie, Pettigrew... non
vorrai credere a tutto quello che dicono i grandi! Lo fanno solo per
avere tutto il castello per sé e non avere noi
più piccoli tra i piedi: lo sai che molti di loro, di notte,
scendono ad assaltare le cucine? Non vorresti farlo anche tu? Beh, ve
lo dico fin da ora... io non intendo aspettare di avere diciotto anni
per fare quello che mi pare! Chi è con me?”
“Presente!”
Cianciai a bocca piena, distratto, tutto preso da una deliziosa fetta
di torta di mele.
“Bravo Black... e voi
due?”
“Ma le cucine sono una cosa...
la foresta... invece...”
“Se ci fosse davvero pericolo,
Peter, il Preside non consentirebbe a nessuno di portare gli studenti
là fuori... e se questo non bastasse a tranquillizzarti, ti
ricordo che il gradasso affamato che siede qui davanti a noi
è pur sempre l'erede dei Black! Ve le immaginate le grida di
Lady Walburga e gli Avada degli altri membri dell'antica casata dei
“Toujours Pur” che risuonano nei corridoi di
Hogwarts, se il preside si perdesse il loro principino nella
foresta?”
Mentre gli altri s’infervoravano, io addentai pure una fetta
di pane tostato e imburrato, ghignando al pensiero di mia madre alle
prese con “quel lurido mezzosangue di Dumbledore”:
anche se non le importava nulla di me, un eventuale incidente a scuola
che coinvolgesse un Black sarebbe stato usato dalla mia famiglia per
far fuori l'odiato preside, poco ma sicuro!
“Mmm... Non so... Essendo
destinato, in un futuro molto prossimo, a essere diseredato... non so
quanto ai miei importerebbe se un oscuro mostro alato uscisse dal fitto
della foresta e... zac!”
“AHHHHHHHH!”
“Ahahahah...”
Feci una mossa fulminea e rapinosa davanti agli occhi già
atterriti di Peter che saltò su dalla panca, squittendo e
rovesciando altro latte sul tavolo... James ed io scoppiammo di nuovo a
ridere, sotto lo sguardo scandalizzato della Evans, appena entrata in
Sala Grande col suo Snivellus e l'esasperazione più profonda
di Lupin: lo vidi sospirare a fondo per trattenersi e non reagire, per
poi ricominciare a rampognarmi, con i suoi soliti modi pacati ma
“autorevoli”.
“Queste sono cose che non si
dovrebbero dire nemmeno per scherzo, Black!”
“Andiamo, Remus... dopo che mi
sono offerto al mostro, così... Dovresti esaltare il mio
coraggio e il mio sacrificio: finché è impegnato
a mangiarmi, non si pappa lui... rowr... ahahahah...”
Pettigrew passò di nuovo dal rosso porpora della vergogna a
un terrorizzato pallore, Remus mi guardò con la stessa
espressione carica di compassione che aveva il mio precettore quando,
invece di seguire le sue noiose lezioni, cercavo di spaventare mio
fratello o gli facevo altri dispetti. James, infine, mi
lasciò fare, approvando come al solito il caos che avevo
provocato e godendosi rapito la vista della “rossa
tentazione” che si sedeva a distanza di sicurezza da tutti
noi.
“E comunque... ha ragione
Potter... cosa vuoi che ci capiti, là fuori, a parte buscare
un raffreddore e saltare meritatamente qualche ora di
lezione?”
“Po... potrebbero esserci...
dei... lupi... lupi mannari... nella foresta... tanto per dirne
una...”
Stavolta a ridere per primo fu James, una risata alta e cristallina, di
cuore, che fece girare diverse teste in tutta la sala, Remus lo
fulminò con l'ennesima occhiataccia, la Evans, alla quale,
lo sapevo, quella risata era dedicata, si voltò dalla parte
opposta, più ostinata e ostile del solito. Ghignai,
allusivo, James mi guardò e arrossì, poi riprese
a parlare a voce molto più bassa.
“Mannari? A Hogwarts? Andiamo,
Peter... il preside non permetterebbe mai ai mannari di avvicinarsi
tanto al castello... E anche se fosse... se avessi un
“lupastro” qui di fronte a me... state tranquilli
che saprei dargli il fatto suo, io!”
“Sei solo un povero idiota
Potter... e con quest'ennesima cavolata da sbruffone me ne hai appena
dato la prova definitiva! Io vado a lezione, tu resti con questi qui,
Peter?”
Remus non sembrava solo arrabbiato ma anche inquieto, fece per alzarsi
e andar via, io gli misi una mano sul braccio per fermarlo: ci
fissammo, sfidandoci a vicenda, in silenzio, io volevo sapere, lui non
voleva parlare, eppure, benché la sua reazione spropositata
mi preoccupasse, la parte idiota di me, inesorabile, prese il
sopravvento ancora una volta.
“Ma dove vai? Manca ancora
mezzora! E se... soli... nel mezzo della gelida distesa ghiacciata che
porta alle serre, vi assalisse un “Drago delle
Nevi” nascosto in qualche anfratto?”
“Ahahahaha”
“A te e a quest'altro idiota,
Black, il Natale ha fatto proprio male... se te ne fossi scordato, noi,
oggi, abbiamo Erbologia alla seconda ora! Adesso c'è Storia
della Magia!”
“Ahahahahah”
“Vai a quel paese,
Black!”
“Ahahahah”
Ridendo, li guardai andar via: Remus avanzava rigido e arrabbiato, con
passo deciso, Peter gli trotterellava dietro, sollevato di potersi
finalmente allontanare da noi, James di fronte a me mi guardava e
faceva no con la testa.
“Godric, quanto siete comici,
tutti e tre!”
“Ha parlato quello
serio!”
“Giusto... ma Lupin...
Godric... Non trovi che quel Lupin sia una vera forza, Black?”
“Sì, è
simpatico, bravo... complice... però mi preoccupa ogni
giorno di più... per te cos'ha?”
“Non ne ho idea... E nemmeno
mio padre mi ha saputo dire qualcosa, quando gliene ho parlato... lui
dice che ci sono persone così... persone cagionevoli di
salute...”
“Anche mio fratello era
cagionevole, da piccolo... ma non era così... Lupin ha...
qualcosa...”
“Mmmm... non so cosa pensare,
ma ho intenzione di seguire il suggerimento di mio padre...”
“Ovvero?”
“Essere pronto a stargli
vicino, quando deciderà di confidarsi con noi: siamo
amici... no?”
Annuii, un po' stranito perché di colpo i nostri discorsi
erano diventati tanto seri. Non capivo ancora tutto, ma avevo una
sensazione indefinita dentro: James aveva ragione, volevo essere amico
di Remus, meritare la sua fiducia, e fare qualcosa per lui,
perché fosse sereno e libero di divertirsi insieme con noi;
tutto stava a capire cosa potessimo fare di preciso...
“Di certo, però,
ora che quei due mocciosi sono andati via, posso dirtelo... Lupin non
ha tutti i torti su di te, Black... Tu sei proprio un folle
irrecuperabile! Solo un pazzo si metterebbe a lanciare Caccabombe dove
la McGonagall può vederlo...”
Addentai un altro “muffin” e ghignai, al ricordo di
quello che era successo la sera precedente: l'agguato a Jameson, la
fuga per i corridoi, il lancio in mezzo alle ragazzine
“schifate”, le risate dei maschi nel cortile di
Trasfigurazione, la McGonagall infuriata.
“E soprattutto dove
può sentirlo... ahahahah... Merlino, me le son sognate pure
stanotte le sue urla che rimbombavano per tutto il cortile...
”
“Io invece mi rivedo quella
specie di gigante di Jameson e i suoi rubicondi amici con le lingue di
fuori che ti corrono dietro! Per tutti i Fondatori, Black, non sapevo
fossi così veloce! Stavano per restarci secchi, a starti
dietro... quanto mi son divertito!”
“Così impara a
vantarsi di aver portato giochi illegali a scuola, quel gonzo! Quando
la McGonagall mi ha trascinato nello studio e mi ha chiesto
spiegazioni, io, angelico, mi sono giustificato proprio
così, le ho detto che ho sottratto quelle Caccabombe e le ho
eliminate “per il bene e l'ordine della
scuola...”... solo che lei... non so perché... non
ha voluto credermi!”
“Povero Black, da tutti
incompreso!”
“Ahahahah”
“Lo dico per il tuo bene,
però, Sirius... cerca di fare qualcosa per questa tua
“risata”! Godric... ha qualcosa di… come
dire... animalesco! Non puoi sperare di cavartela se ridi come... come
un cane! Anche se non ti vedessero, ti riconoscerebbero ovunque,
sentendoti guaire così...”
“Un cane? Dici? Allora non
posso farci nulla, Potter... il cane è il simbolo della mia
casa... porto il nome della prima stella del Cane Maggiore... e sai che
cosa ho scoperto durante le vacanze? Il Patronus di mio padre ha forma
canina! Il mio destino è segnato, non trovi? Owff...
ahahah”
“Eh sì... Sei
proprio messo male, vecchio mio! Ahahah...”
Guardai il mio piatto, mentre lui continuava a osservarmi: di solito
ero infastidito se qualcuno mi fissava con tanta insistenza, ma con
James non mi sentivo a disagio perché era una delle poche
persone che conoscevo capace di guardarti dentro senza
giudicare. Chiusi gli occhi godendomi, rapito, la golosa
sofficità del mio ultimo “muffin” e il
tepore che veniva dal caminetto dietro la mia schiena, le labbra che
sapevano ancora di succo di zucca... Mi concentrai, come mi
aveva insegnato Alshain, chiusi mente e orecchie al caos che c'era
intorno a me, nella Sala Grande che via via si era ormai riempita,
seguendo un solo pensiero, una sola voce, l'unica che volessi sentire:
la percepii, aprii gli occhi e mi voltai verso quella direzione,
ammirai a distanza Meissa che si muoveva verso le panche degli
Slytherins, al seguito di Rigel e di quei due bambocci biondi dei
fratelli Emerson, diretti al tavolo dei Ravenclaw, di fianco al
loro. Erano già tre giorni che eravamo tornati a
scuola e nonostante qualche lezione seguita insieme, non ero ancora
stato in grado di dirle qualcosa di più di un goffo
“Ciao, come stai?”. Ero preoccupato per
lei: secondo i Prewett, i fratelli Sherton di sera non andavano a
dormire nei sotterranei con gli altri Slytherins, ma passavano la notte
in infermeria, per completare le cure, e questo contrastava con
l'ottimismo esibito da mio padre, secondo il quale le recenti
disavventure non avevano avuto conseguenze di rilievo né per
Rigel né per Meissa. La fissai così
intensamente che si voltò, mi sorrise e mi salutò
con la mano: lo vedevo a distanza che non era felice ed ero sicuro che
volesse parlarmi almeno quanto lo desideravo io... Volevo
correre da lei, fregandomene delle chiacchiere, di tutto e di
tutti. James però, a quel punto, si
voltò, seguì il mio sguardo e si alzò,
rapido.
“Direi che è ora di
uscire da qui! Stiamo facendo tardi... come al solito...”
Lo guardai e a malincuore tornai in me: no, aveva ragione, non era il
momento, né il luogo. Non me ne aveva ancora mai
parlato apertamente, ma non era difficile immaginare perché,
in quei pochi giorni, James avesse fatto di tutto per evitare Meissa,
perché fosse tanto turbato, perché cambiasse
umore quando incrociavamo lei o suo fratello: suo padre era uno degli
Aurors che avevano scortato il Ministro a Herrengton per il matrimonio
di Mirzam e, probabilmente, ora considerava gli Sherton responsabili
della morte di Longbottom, come molti altri tra i
Gryffindors. E non erano nemmeno gli unici: avevo percepito
gli umori della scuola, erano pochi quelli che concedevano a Mirzam il
beneficio del dubbio e gli stessi fratelli Sherton, consapevoli di
essere al centro di troppe dicerie e sospetti, sembravano fare in modo,
sempre, di evitare tutto e tutti. Quanto a me, pur desiderando
correre da Meissa e sincerarmi delle sue condizioni, non riuscivo ad
avercela del tutto con James quando s'immischiava e mi distoglieva da
lei, in un certo senso, anzi, lo ringraziavo, perché...
anche se me ne vergognavo molto... io… avevo paura... Per
come l'avevo conosciuto a Herrengton, mi era difficile pensare a Mirzam
come a un assassino, però, dopo la storia del pugnale,
qualche sospetto avevo iniziato ad averlo anch'io e ora temevo che, se
i discorsi fossero finiti su suo fratello, non sarei stato in grado di
tenere per me i dubbi che avevo e avrei finito, invece di consolarla,
col dire a Meissa qualcosa che l'avrebbe fatta soffrire di
più e che avrebbe rovinato la nostra amicizia per
sempre. Avevo già combinato tanti disastri, in
passato, per colpa della mia boccaccia... e ricordavo il sogno fatto a
Herrengton, in cui lei mi cacciava, dicendomi che non mi avrebbe
perdonato mai. Ero diviso in due, tra il desiderio di starle
vicino e la paura fottuta di combinare disastri. Non sapevo
come comportarmi (1).
“Allora, andiamo?”
Mi alzai, lo segui svogliato e di malumore, ci avviammo verso l'aula di
Cuthbert Binns, il professore fantasma di Storia della Magia, salendo
al primo piano, correndo per il ritardo, mentre, oltre le finestre, un
sole pallido si specchiava sul ghiaccio che ricopriva le colline e i
monti e la foresta e il lago, e tutto ciò che si apriva
intorno a noi... Dopo giorni e giorni, aveva smesso di nevicare:
speravo fosse il segno che il peggio era ormai alle nostre spalle e
presto tutto, in un modo o nell'altro si sarebbe aggiustato. Mentre io
continuavo a pensare a Meissa, James, tutto preso dalla vista della
Evans, che rideva con le amiche davanti a noi, non mi filava per
niente, mi “svolazzava” di fianco, trasognato,
l'andatura stanca, i capelli sparati per aria, nonostante la mezzora
buona passata a pettinarsi. All'improvviso, senza un motivo
preciso, solo osservandolo, mi ritrovai a
sorridere. Sì, essere amici era anche questo, in
fondo, riuscire a ridere di una piccola sciocchezza. Se
davvero volevo bene a Meissa, perciò, dovevo smettere di
avere paura di farle del male, perché era proprio
così, fuggendo da lei senza motivo, che gliene stavo facendo
davvero. La situazione era grave, fuori dalla portata di un
ragazzino di undici anni, ma forse, ciò di cui ora Meissa
aveva bisogno era solo un piccolo gesto, una parola, una stupidaggine
qualsiasi che venisse dal cuore, un semplice segno d'amicizia che la
sorprendesse e le strappasse un sorriso, cacciando via, magari solo per
un istante, i suoi pensieri più tristi.
“Perché stai
sorridendo come uno stupido? Sei tra le tue nuvolette scozzesi, Black?
“No... Stavo pensando a quanto
mi hai deluso, Potter!”
Eravamo quasi giunti all'aula, James, incuriosito, si fermò
poi iniziò a camminare di spalle, per guardarmi mentre
parlavamo, un punto di domanda stampato in faccia, mentre io riprendevo
a ghignare, deciso a stuzzicarlo prima di farmi fagocitare dalla
solita, catalettica, lezione di Storia.
“Io? Cosa avrei fatto per
deluderti? Mi sa che tutti quei dolci iniziano a farti
vaneggiare...”
“Mi hai deluso
perché... non hai ancora capito che fa tutto parte di un
piano... ”
“Un piano? Quale piano?
Godric, di cosa parli? Non ti seguo...”
“Le Caccabombe e tutto il
resto fanno parte di un piano più ampio...”
“Ah sì? Era tua
intenzione metterti nei guai? Black, ammettilo, tu sei folle... punto e
basta...”
“Certamente... Io non sono
come te, non mi azzuffo appena salito sul treno, così tanto
per fare, rischiando pure di prenderle davanti a tutti da quel moccioso
di Snivellus!”
Potter si fermò, mi fissò serio, poi si
avvicinò puntandomi un indice minaccioso contro il naso, ed
io per puro miracolo riuscii a non ridergli sul muso.
“Non le ho prese da Snivellus,
chiaro? Ero sotto perché siamo stati interrotti troppo
presto!”
“Per fortuna! Così
puoi sempre dire di essere scivolato, ma se vi avessero interrotti
dopo?”
“Nemmeno c'eri, cosa puoi
saperne? Vuoi che ti dimostri qui chi è che, di solito, le
prende? Non mi sembra che tu,
“mammoletta”londinese, abbia mai dato prova di
grandi abilità fisiche!”
Sghignazzai: era proprio buffo, così rosso in volto,
arrabbiato e imbarazzato; quanto a me non potevo dargli torto,
nell'ultimo anno le avevo prese persino da quel pulcino di mio fratello!
“Appurato che sei una mammola
e non hai diritto di replica, Black, spiegami il piano!”
“Mi sono fatto beccare solo
perché non volevo lasciarti solo con Filch per un'intera
settimana... Che razza di amico, anzi di fratello, sarei se
l'avessi permesso? Dovrebbero punirci tutti e quattro insieme, una
volta, così potremmo mettere sotto Filch, la sua gatta e
tutto il castello!”
“Tu, io e quei due? Dice bene
Remus, a te ha fatto male il Natale! Ahahahah!”
“Parlo sul serio, Potter... e,
ti ricordo, tu devi anche mantenere la promessa che ci hai
fatto!”
“Una promessa? Io? Quale
promessa?”
“Avevamo deciso che a gennaio
avremmo iniziato a esplorare il castello, ricordi? Sbaglio o avevi
promesso di farci vedere come ci si muove per Hogwarts, senza farci
beccare? Non vorrai farmi credere che sei uno
“sparaballe”, oltre una mammola che le prende da
Snivellus!”
Un lampo di malizia accese i suoi occhi nocciola, mentre un ghignetto
maligno gli arricciò le labbra, mi fermai e lo fissai,
aspettando una confessione che non arrivò: godeva nel
vedermi sulle spine, ma ero troppo curioso per pensare a una tattica
per strappargli il segreto, salvandomi la faccia, o per mettermi
addosso la solita maschera da Black, quella indifferente a tutto e a
tutti.
“Se sai come ci si muove nella
scuola senza farsi beccare, Potter, è il momento di dirlo;
io conosco segreti che nemmeno immagini, sul castello... mettiamo
insieme le nostre risorse... ci stai?”
Per tutta risposta scoppiò a ridere e corse via, lasciandomi
indietro come un fesso, per raggiungere Remus e Peter che ci
aspettavano impazienti davanti all'aula di Storia. Lo mandai a
quel paese, tra me e me: che stupido ero stato! Ci contavo, ero
sopravvissuto a quelle funeste vacanze di Natale solo grazie all'idea
delle avventure che mi aspettavano tornato a scuola, e Potter,
invece... Potter era solo uno “sparaballe”!
Raggiunsi la porta, entrai per ultimo, funereo e mi avviai mesto al mio
posto, Remus si sedette di fianco a me, James e Peter, più
bassi, si sistemarono nel banco davanti al nostro. Come il
professore-fantasma si schiarì la voce e iniziò a
declamare la lezione, mentre vagheggiavo tra me e me, escogitando un
modo per parlare con Meissa e farla ridere, gli occhi persi nella
distesa di neve che scendeva lungo i fianchi delle colline fino al Lago
Nero, James si voltò e, misterioso, mi fece l'occhietto, poi
lasciò cadere sulla mia porzione di banco un bigliettino.
Senza farmi notare da Remus, tutto impegnato ad appuntarsi i dati della
lezione, l'aprii.
“Ti aspetto in bagno,
stanotte, appena senti gli altri russare! E cerca di non fare
casino!”
Ghignai: le meraviglie del castello, dunque, sarebbero state presto a
portata di mano? Passai il resto della lezione, incurante di
Binns e delle sue battaglie medievali tra Maghi e Folletti, a
fantasticare di quattro ragazzi scelti dal destino per diventare i
nuovi Signori di Hogwarts.
*
“I Prewett sono solamente dei
gran bugiardi, è questa la verità!”
Mi doleva ammetterlo ma zia Lucretia, su quell’argomento, era
sincera. Non avevo mai capito come mai nonno Arcturus, da bravo Black
osservante della tradizione, avesse accettato per sua figlia la
proposta di nozze di un Prewett (2)
: quella era una famiglia di solida tradizione purosangue da secoli,
certo, ma ormai l'adesione a certi precetti appariva sempre
più tiepida tra i suoi componenti, al punto che, posti
dinanzi al Cappello Parlante, da decenni più nessun Prewett
era stato smistato nella casa di Salazar e la tradizionale maggioranza
Ravenclaw, di anno in anno, si assottigliava sempre di più
in favore di un numero incredibilmente alto di Gryffindors. Questo,
com’era comprensibile, da un lato scandalizzava i puristi,
dall’altro convinceva i più esagitati, che ormai
da anni, parlando dei Prewett, non avevano più remore a
usare un'espressione da sempre foriera di sventure: Traditori del
sangue puro. Durante le cene di famiglia, nonno Pollux, come al solito
molto “diplomatico”, parlava di quel matrimonio
come di un'onta indelebile per l'antica casata dei Black, e se fosse
dipeso solo da lui, ne eravamo tutti convinti, tanto il nome della zia,
tanto quello di nonno Arcturus, che non si era opposto, sarebbero stati
bruciati via dall'arazzo, com'era successo di recente a quello di
Andromeda. Non sapevo quale fosse la verità, di sicuro c'era
un qualche segreto sfuggente dietro quel matrimonio, ma dubitavo che
noi piccoli di casa ne saremmo mai venuti a conoscenza. Una volta,
avevo sentito zio Cygnus e zio Alphard parlare di zia Lucretia come di
una vittima sacrificata a un Prewett per una storia di debiti contratti
da nonno Arcturus; tenendo conto della morigerata austerità
di mio nonno, però, ero sicuro che si trattasse soltanto di
una favoletta. Almeno quanto fantasiosa e infondata doveva essere la
versione di Andromeda: secondo mia cugina, infatti, Lucretia era
veramente innamorata e nonna Melania, volendole bene, aveva chiesto al
nonno di accontentarla, per questo mia zia era molto meno arcigna e
ossessionata della maggior parte degli altri nostri parenti, e
l'impossibilità, per lei, di avere figli suoi era un sincero
rammarico. Non ero molto convinto della teoria di Andromeda,
era molto difficile per me immaginare i miei nonni dotati di un cuore,
d'altra parte il dolore della zia per l'assenza di figli non era dovuto
a un mero problema di “estinzione” dell'ennesima
famiglia magica: il futuro della famiglia Prewett non era a rischio, il
fratello di suo marito, infatti, aveva già tre figli grandi,
due dei quali, Fabian e Gideon, frequentavano proprio in quel periodo
gli ultimi anni di scuola, a Gryffindor. La professoressa
McGonagall, direttrice della Casa, era solita definire i fratelli
Prewett “Due terremoti incontenibili”, dal mio
punto di vista, di ragazzino nato e cresciuto sotto duemila regole e
divieti, invece, quei due pessimi soggetti erano, come dire, un esempio
da imitare... assolutamente. Nonostante la stima che avevo per
loro e le loro bravate, però, dovevo riconoscere che i
Prewett erano due bugiardi patentati, privi di qualsiasi
moralità e credibilità e indegni della fiducia
del prossimo: stavo ribadendo questo concetto con James, ormai da
diversi minuti, al termine delle due ore di punizione mentre,
sconsolati e con la coda tra le gambe, raggiungevamo gli altri, a cena.
“Altro che foresta! Ti rendi
conto? Due ore passate a lucidar ferraglia, tra ragnatele e polvere,
ridotti alla stregua di due Elfi domestici!”
“Povero principino Black,
trattato come un miserevole e ripugnante Elfetto! Ahahahah...”
“Ma cosa ridi? Non lo trovi
offensivo anche tu? Se penso che ora abbiamo due ore di compiti da
recuperare... Ho pure tutti i polpastrelli indolenziti! E per cosa?
Salazar, faremo notte!”
“Naaaa... fidati, amico, i
compiti non saranno un problema: ci aiuterà Lupin! Finora ci
ha sempre fatto copiare, non vedo perché non dovrebbe farlo
pure stavolta!”
“Non saprei... forse
perché stamani l'abbiamo preso per i fondelli senza
pietà?”
“Problema tuo, io stavo solo
lì ad ascoltarvi! Ma non temere, farà copiare
anche te, fidati!”
Grugnii, le parti scritte potevamo cercare di elemosinarle da lui, di
solito era clemente, ma la probabilità che volesse
vendicarsi per le battute di quella mattina non era poi tanto remota:
Remus J. Lupin sembrava un ragazzino buono e caro, a prima vista, ma
chi come noi iniziava a conoscerlo davvero, aveva notato che possedeva
anche un'insospettabile natura maligna, talmente perfida da far
impallidire James e me, nelle nostre giornate migliori.
“Ahahah...”
“Ancora? Ma non la smetti
più? Per quanto pensi di continuare?”
Sbuffai, irritato con Potter, sapendo che stava ancora ridendo di me.
“Godric, Black, dimmelo tu,
come faccio? Tu non avevi uno specchio, non ti sei visto, ma io ho
potuto ammirare la tua faccia schifata! E per ben due ore!”
“Infatti…
è per questo che ci abbiamo messo due ore, perché
ho lavorato solo io... tu, invece di sgobbare, stavi a guardarmi fisso,
a bocca aperta, come un babbeo... Un babbeo infame!”
“Eri troppo divertente, Black!
Ahahah... Doveva essere proprio quella che portavi in faccia la mitica
espressione “Salazar, che puzza di cacca!” che dici
ha sempre tua madre... Ahahah...”
“Te lo ripeto per l'ultima
volta, Potter... vedi di smetterla!”
“Ha ragione papà,
lui dice che i maschi prendono sempre dalle madri... Signore e Signori,
ecco a voi, “Sirius walburghino Black”...
ahahahah...”
“TI – HO - DETTO -
DI – SMETTERLA!”
“Ahahahah...”
Gli rifilai una sberla sulla collottola, ma l'unica cosa che ottenni fu
farlo ridere pure di più, allora mi fermai, lasciandolo
andare avanti da solo, piegato in due dalle risate, e cercando di farmi
sbollire il nervosismo: James credeva stessi scherzando, invece, a me,
la sola idea di assomigliare a mia madre in qualche modo, seppur per
scherzo, ripugnava e mi faceva imbestialire. Come se non fossi
già stato esasperato a sufficienza! Ripensai con un
sospiro di delusione a quel pomeriggio carico di aspettative disattese.
Due ore prima, al termine dell'ultima lezione, secondo gli accordi con
la McGonagall c’eravamo presentati da Mastro Filch e, per non
perdere tempo utile, James ed io eravamo scesi muniti dei mantelli
caldi e pesanti, eccitati all'idea che ci saremmo immersi nel parco
innevato. Come ci vide, il custode ci fissò con
aria truce e ci gracchiò contro di seguirlo, ma, invece di
uscire e dirigerci verso le serre, ci aveva condotti al terzo piano,
dove avevamo attraversato cortili e corridoi fino a raggiungere un'ala
piena di aule in disuso, tutte chiuse da porte tarlate e da pesanti
catenacci arrugginiti: quando avevo letto
“Schedario”, complice precedenti esperienze di
James, non nuovo ai pomeriggi di punizione, mi ero spaventato non
volevo passare due ore ad ammuffire tra polvere e ragnatele cercando di
rimettere in ordine vecchi registri ridotti a brandelli. Filch
spazientito ci aveva detto di muoverci, ed io, lasciando lo
“schedario” alle mie spalle avevo tirato un sospiro
di sollievo... almeno fino alla nostra definitiva
destinazione: il custode, infatti, non aveva solo la nomea di essere un
vecchio pazzo, sadico e maligno. Lo era
veramente. Muovendoci a lume di candela,
nell'oscurità fitta di quel corridoio che puzzava di umido e
di chiuso, Mastro Filch ci condusse fino all'ultima porta, la luce
tremula che gettava pesanti ombre malefiche sul suo viso scarno, scelse
dal mazzo la chiave appropriata e dopo averla scovata miracolosamente
in quella massa di ferracci arrugginiti, fece scattare la serratura, si
fece da parte e ci intimò di aprire ed entrare in silenzio,
facendo attenzione a non rompere niente. La porta si era
aperta con un cigolio sinistro sotto la spinta leggera di James, la
luce in mano a Filch, alle nostre spalle, aveva ondeggiato su pesanti
ragnatele che scendevano come un manto compatto dal soffitto, io ero
scoppiato subito a tossire respirando le nuvole di polvere che erano
fuggite, secolari, da quell'antro infernale, mentre la gatta del
custode entrava rapida e soddisfatta, come fosse la regina di un
maniero. Mentre James era colto da un attacco di starnuti a
raffica ed io rischiavo di soffocare, Filch ci superò,
spazientito, borbottando qualcosa che mi parve suonasse come
“ai miei tempi”, “appendere per i
pollici”, “rampolli viziati”, e avanzando
un po' zoppicante fino a un tavolaccio senza sedie su cui giaceva, lo
vidi con orrore, una quantità impressionante di ciarpame,
tutta roba di metallo, brocche, tazze, piatti, elmi, pezzi di armatura,
coppe, tutti inesorabilmente addobbati con sudice macchie di lordura,
miste a polvere e terriccio, sedimentato, pareva, da secoli e secoli.
L’uomo fece spazio malamente in mezzo a quella bolgia, depose
lì, al centro del tavolaccio, la lanterna che aveva portato
con s'è, l'accese, ed estrasse dal grembiule una coppia di
strofinacci.
“Non uscirete da qui
finché non avrete tirato a lucido tutta questa
roba... domani vi occuperete della seconda parte, poi della terza, poi
della quarta... e così via...”
James ed io ci guardammo increduli, non era possibile, provai a
protestare dicendo che esistevano gli Elfi appunto per quei compiti
gravosi, ma rimediai solo un ghigno disgustato.
“Niente Elfi, qui... Questa
roba è stata incantata a posta per punire gli studentelli
viziati e nullafacenti come voi due... visto che ora non vi si
può più nemmeno frustare a sangue le chiappe! Bei
tempi quelli quando legati ai ceppi... Su, su... Al
lavoro!”
Deluso e indolente, James aveva estratto la bacchetta, pronto a
eseguire qualcuno dei semplici incantesimi di pulizia che il professor
Vitious aveva iniziato a insegnarci per tenere in ordine le nostre
cose, ma Filch, ghignando si era avvicinato rapidamente e con le mani
callose gliel’aveva tolta, senza tante cerimonie, facendomi
poi il cenno di consegnargli anche la mia.
“Niente Magia, qua dentro...
Solo olio d gomito...”
James si guardò attorno, alla vana ricerca di uno spigolo di
muro senza ragnatele, contro cui sbattere la testa, annichilito e senza
parole, io osservai Filch chiudersi la porta dietro, lasciandoci da
soli, sgomenti, in compagnia della gatta che da quel momento, sul
tavolo, ci avrebbe “ruggito” contro ogni volta che
ci avesse visto battere la fiacca o ci avesse sentito chiacchierare
troppo. Disgustato, ripensando alle condizioni indegne della divisa
quando finalmente Filch era venuto a liberarci e all'ennesima mezzora
passata a sistemarci per recuperare un aspetto umano, andammo a sederci
al tavolo dei Gryffindors, nella Sala Grande allestita per la cena.
“Ehi, ragazzi, guardate, sono
tornati i nostri giovani eroi dalla missione nella foresta!”
“Ahahahah...”
“Allora, che
novità, Potter? Avete catturato i lupi mannari, come ci ha
riferito Pettigrew?”
“Ahahahah...”
Li guardai, inferocito: tutti quelli del sesto e del settimo ci
additavano e sfottevano, quelli del quinto si sgomitavano e molti altri
sghignazzavano più o meno apertamente, scorsi lo sguardo
lungo il tavolo fino a Remus, stava seduto sulla panca, con gli altri
e, un po' intimidito, ghignava anche lui, affiancato dai Prewett, che
si stavano sganasciando tanto da mostrare persino le
tonsille. James, fino a quel momento in stato catatonico,
perduta, proprio davanti alla sua rossa Evans, la poca
dignità rimasta, lo additò tremante, preda di un
attacco di nervi.
“Tu, malefico individuo, tu...
tu hai iniziato a dire che secondo i Prewett saremmo andati nella
foresta... tu... tu, infame... sapevi tutto, vero?”
Gideon esplose a ridere, ancora più forte, facendo tremare
tutta la tavolata dei Gryffindors e suscitando gli sguardi incuriositi
e divertiti di molti altri studenti e persino di qualche professore, io
sentii le guance andarmi in fiamme, mentre dal tavolo di Hufflepuff
sentii qualcuno dire “stanno sfottendo quei creduloni di
Potter e di Black” e sapevo che la voce presto sarebbe
passata a Ravenclaw e da lì al tavolo degli Slytherin:
sentii feroce il desiderio di vendetta farsi largo, complice
quell'indubbio orgoglio Black che, lo volessi o meno, mi scorreva come
veleno nelle vene.
“Suvvia Potter, un ragazzino
sveglio come te avrebbe dovuto capirlo: tutte le matricole sono
chiamate a pagar pegno, chi prima chi dopo... voi tra l'altro avete
fatto tutto da soli, nemmeno abbiamo dovuto faticare!
Ahahahah!”
“Non c’era scelta,
ci avete fatto perdere cento punti in due in nemmeno una settimana, e
quest'anno non abbiamo nemmeno il Quidditch, con cui rifarci...
Potevamo farvela passare liscia?”
“Ahahahah...”
A testa bassa mi sedetti al primo posto libero, senza curarmi oltre dei
lazzi cui mi stavano sottoponendo, grugnii a destra e a sinistra un
paio di saluti poco educati e mi affrettai a mangiare la zuppa,
desideroso di salire al più presto in dormitorio e iniziare
a studiare. Ci mancava solo di non essere pronto per
l'interrogazione dell'indomani, ci tenevo tanto a far bella figura
davanti a Meissa, con le pozioni che avevo iniziato a studiare a
Herrengton, quell'estate!
“E sia chiaro... guai a chi
cercherà di passar loro i compiti, questa settimana! Devono
imparare che gli Slytherins vanno messi in riga, certo, ma non devono
più farsi beccare!”
Guardai James, gli era improvvisamente passata ogni voglia di ridere,
di azzuffarsi, di far polemiche, aveva l'espressione più
terrificata che gli avessi mai visto in quei tre mesi, peggiore persino
di quando, prima di tornare a casa, si era svegliato con una criniera
leonina in testa! La notte che avevamo davanti, a quel punto,
non l'avrei augurata nemmeno al mio peggior nemico: mangiammo poco, a
cena, un po' per la paura che avevamo, un po' per non appesantirci lo
stomaco, rischiando di addormentarci sui libri, ma soprattutto per
correre subito di sopra, nella speranza di guadagnare un tavolo vicino
al caminetto e non morire assiderati, durante lo studio. Lo
spirito sadico dei Prewett, però, aveva previsto anche
questo: pur saliti di sopra con largo anticipo, affamati, per
guadagnare il divano, appena raggiunti dai ragazzi più
grandi, fummo “gentilmente” invitati a sloggiare,
relegati in un angoletto freddo e oscuro, tra le risate
generali. Remus ci osservava preoccupato ma non poteva fare
molto, sia lui, sia Peter, infatti, erano tenuti a debita distanza da
un paio di ragazzi del quinto anno, mentre i più grandi,
capitanati dai Prewett, ghignavano scommettendo falci e zellini sui
voti risibili che avremmo rimediato l'indomani. Erano ormai le
undici di sera quando la McDonald e le sue amiche chiusero i libri e
infilarono le scale dei loro dormitori, lasciandoci la Sala Comune
finalmente tutta per noi: James ed io riuscimmo a spostarci di nuovo
davanti al camino, ma per chiudere almeno con gli scritti, ci mancavano
i due rotoli di pergamena per Slughorn, ed io dubitavo ci saremmo mai
riusciti, avevo troppo sonno e James, ridotto peggio di me, si
accasciò sul divano, simulando una morte istantanea.
“Pss... pss... voi due... non
dormite! Buttate un occhio dietro l'arazzo vicino
all'ingresso...”
Alzammo gli occhi, increduli: Remus, in pigiama, stava acquattato
dietro la ringhiera del nostro pianerottolo e ci faceva dei gesti
inequivocabili, poi sparì di nuovo nell'oscurità
del ballatoio che portava alla nostra stanza, avendo sentito, come noi,
cigolii provenienti dal piano di sotto. Sorrisi tra me,
dandomi dello stupido: quando l'avevo visto andare a dormire un paio di
ore prima, seguito da Peter, tra me e me l'avevo chiamato traditore in
mille modi diversi, invece, forse...
“Secondo te ci ha veramente
lasciato qualcosa per aiutarci, dietro quell'arazzo?”
“Chi? Quel traditore infame?
Non credergli, Black, tutt'al più potremmo trovarci una
trappola per schiacciarci le dita o qualcosa con cui sbeffeggiarci
ancora di più... pece e piume, forse.”
“Dai, James... lo scherzo
è bello se dura poco, no? Secondo me vuole
aiutarci...”
“Se lo dici tu... vai, vai...
Vai tu... io resto qui, a debita distanza, a guardare! Addio
Black!”
Andai fino all'arazzo, sollevai appena lo spigolo sinistro con la punta
della bacchetta, poi mi voltai a guardare James, che mi fissava
divertito, mezzo sbracato sul divano, ghignando.
“Sprizzi fiducia da tutti i
pori pure tu, vedo… eheheh...”
“Sai com'è... come
dici tu, visto con chi abbiamo a che fare, fidarsi è bene,
ma non fidarsi...”
Lo guardai stropicciarsi gli occhi e sorridermi, esausto, fu allora che
sentii cadere a terra qualcosa, mi chinai e raccolsi un foglietto
piccolo, di carta babbana, sul dorso c'era scritto “usa
l'incantesimo Engorgio, muovi la bacchetta…”
più tutte le istruzioni per eseguire quell'incantesimo:
avrei dovuto conoscerle bene da almeno un anno, erano state trattate
teoricamente anche dal mio precettore, ma ricordavo molto meglio tutte
le palline di carta che arrotolavo durante quei pomeriggi noiosi, e
tutta la concentrazione che mettevo nel colpire Regulus, invece di
ascoltarlo. Provai tre volte, invano, maledicendomi per la mia passata
cretineria, infine ci riuscii e ci ritrovammo in mano quattro fogli
scritti fitti fitti, nella calligrafia regolare e precisa di Lupin,
pronti da ricopiare, a lato persino le frasi alternative da usare per
creare due compiti non troppo simili.
“Quel Lupin, geniale, furbo e
malefico!”
Ci buttammo entusiasti nell’opera di copiatura, ma nonostante
tutto l'aiuto, quando finimmo di preparare il compito per Slughorn era
ormai l'una e mezza: ci mancava ancora molta roba da studiare, ma
trattenerci ancora sui libri ormai sarebbe stato del tutto inutile,
salimmo perciò di corsa in camera, non tanto per il sonno,
preoccupati com'eravamo avremmo passato entrambi una notte insonne,
quanto per il freddo pungente, si battevano i denti, in quella torre
piena di spifferi. Gettai via la divisa e mi sistemai addosso
il mio pigiama più caldo, James, invece, si mise a
trafficare dentro il suo baule: non capivo che diavolo stesse facendo,
l'invitai a smetterla, c'era il rischio che svegliassimo anche gli
altri.
“È da questa
mattina che mi rompi le scatole per questa faccenda! Dai, seguimi,
piattola!”
“Ho un freddo cane, James, che
cavolo...”
“Non fare casino e muoviti,
dai... se non sei tonto, facciamo in fretta...”
James s’infilò furtivo in bagno, al buio, io
rischiai di inciampare nel baule di Remus e cadergli lungo steso nel
letto, Potter si affacciò sibilando sulla porta del bagno,
nervoso, finché, mortificato e infreddolito, lo raggiunsi:
nonostante la curiosità, maledivo me stesso per aver
insistito tanto, e soprattutto per essere stato tanto stolto da
mettermi in pigiama così in fretta.
“Ecco qua...
contento?”
“Cosa? Non fare lo stupido
Potter, non hai nulla in mano... Che diavolo hai in testa? È
freddo, è tardi, ne ho abbastanza di scherzi
stupidi... per oggi!”
“Non vedi proprio nulla di
strano?”
“No, nulla, a parte la tua
solita faccia da idiota!”
“Aspetta che faccio
più luce...”
James accese la lampada a olio sulla mensola e depose la bacchetta: la
stanza da bagno, finora in penombra, si accese di una luce non troppo
forte, ma calda e avvolgente, lo vidi ghignare mentre faceva uno strano
gesto col braccio, come se avvolgesse la mano dentro qualcosa. La sua
mano ora era o sembrava sparita. Lo guardai, arrabbiato
credevo mi stesse prendendo in giro, mi avvicinai alla porta, la mano
sulla maniglia, esasperato.
“Non è l'ora di
fare lo stupido! Tira fuori quelle dita dalla giacca, Potter, siamo
Maghi, non ciarlatani!”
“Sei proprio tonto eh...
Vediamo se stavolta capisci, Black...”
Guardandomi irridente, fece un gesto molto più ampio con
entrambe le braccia, come se stesse aprendo una tovaglia e se la stesse
gettando sulle spalle e sulla testa. Strabuzzai gli occhi:
Potter all’improvviso non c'era più.
“James!”
Squittii quasi, mentre la risata giocosa di James mi raggiungeva alle
spalle e mi arrivava un ceffone sulla collottola.
“Ti piace prendere le sberle
quanto rifilarle agli altri, Black? Ahahah...”
“Potter, che
diavolo...”
“Non è possibile!
Non ci arrivi nemmeno adesso? Che cosa credi, che mi sia nascosto tutto
dentro la manica della giacca, stavolta? Ahahahaha... Toccami, dai,
sono qui, davanti a te!”
Allungai la mano, incerto, James era davvero lì, davanti a
me, lo sentivo come attraverso un velo impalpabile, gli toccai un
braccio, poi il collo, la bocca, il naso, ma non riuscivo a
vederlo. All’improvviso aprì quella
cortina impalpabile di cui non ero riuscito a trovare bordi o margini,
né alcun'altra discontinuità, mi
abbracciò, trafficò un po' attorno a me e al mio
collo, quindi mi spinse fino allo specchio e ridendo, mi disse di
guardare: osservammo insieme la mia faccia stupefatta mentre il
riflesso ci rimandava solo le nostre teste fluttuanti nell'aria, prive
del corpo. A parte la testa, in pratica, sembravamo scomparsi.
“Come...”
“Ohhhh, non è
possibile, non ci sei arrivato nemmeno adesso? E voi Black sareste i
malvagi Maghi oscuri che dicono? Ahahahah... Che ridere!”
“Da quando hai un Mantello
dell'Invisibilità, James?”
“Allora hai capito
cos’è questo! A essere precisi, però,
non ho “un” mantello dell'invisibilità,
io ho “IL MANTELLO
DELL'INVISIBILITà”!”
“Come questo se ne vendono
diversi, non molti vero, in negozi come quello di Burke e Borgin...
quello che non capisco, Potter, è come mai la tua famiglia
vada a comprare roba simile...”
“Semplice: noi non l'abbiamo
comprato, l'abbiamo ereditato! Questo è il Mantello della
fiaba, quello che la Morte diede al più giovane dei
Peverell... c'è la sua tomba a Godric's Hollow, lo sapevi? E
mio padre dice che noi Potter discendiamo da lui...”
“Sì, come io
discendo da Salazar Slytherin! Andiamo, Potter, non sei troppo grande
per credere ancora alle fiabe di Beda il Bardo?”
“Anche se fosse tutta una
favola, Black, questo è reale, lo vedi da te... ed
è un Mantello speciale,perché al contrario di
tutti quelli che si vendono, che non ti rendono davvero invisibile,
questo lo fa! Per davvero!”
“Se lo dici tu... Vai, vai
là fuori... provalo... ne riparleremo quando la McGonagall
ti beccherà e ti consegnerà a Mastro Filch
trascinandoti per le orecchie... ahahahah...”
“Uomo di poca fede, fai come
ti pare! Resta ad ammuffire qui, da bravo Black, il mio finto Mantello
ed io andremo là fuori, a caccia di gloria, avventure,
misteri e... donzelle! Ahah...”
Non riuscì a finire di ridere, come un lampo la porta si
spalancò: Peter Pettigrew, nel suo caldo pigiamino rosso con
i coniglietti bianchi, fece irruzione correndo a tutta
velocità verso l'angolo, pigolando scuse farfugliate e
insonnolite, perché non riusciva più a trattenere
la pipì. Ci guardammo, atterriti, mentre di noi restavano
ancora visibili solo le teste fluttuanti nella stanza: al momento, con
gli occhi annebbiati dal sonno e preso dalla necessità
impellente, Peter non pareva essersi accorto di nulla e James, furtivo,
cercò di liberarci del mantello, facendolo scivolare a
terra, rapido, mentre Pettigrew ancora ci dava le spalle. Il mantello,
però, rimase impigliato nella tenda della doccia, dietro di
noi, continuando a mascherarci per tre quarti della nostra altezza:
così, senza gambe e senza braccia, sembravamo proprio due
busti di pollo pronti da cucinare!
“Godric!”
Potter smaniava per liberarsi, io cercavo di aiutarlo senza riuscirci,
arrotolando disperato i bordi del mantello, Peter, impegnato,
continuava a fissare il muro davanti a sé, la voce impastata.
“Avete trovato il compito di
Pozioni dietro l'arazzo, alla fine?”
“Eh? Ah sì... ehm,
sì, sì... il compito...
sì...”
Peter, sistemandosi l'elastico del pigiama, si voltò,
andò ad aprire il rubinetto per lavarsi le mani, quindi
sollevò gli occhi sullo specchio, per continuare a parlarci
guardandoci in faccia: ci beccò così, alle prese
con quella trappola infernale, urlò, con tutto il fiato che
aveva in gola, farfugliando di maledizioni, di fatture, di Maghi
Oscuri, di noi che stavamo svanendo.
“Per l'amor di Merlino, Peter,
calmati e stai zitto! É tutto sotto controllo!”
James era riuscito a sfilare il mantello dall'appiglio, facendolo
scivolare rapidamente a terra, ma non abbastanza in fretta da illudere
Peter di aver solo sognato; Remus a sua volta irruppe con la bacchetta
in mano, gli occhi spiritati, simili a quelli del professor Pascal
quando, assatanato, raccontava e recitava delle sue vicissitudini di ex
Auror a caccia di temibili Maghi Oscuri. Roteò lo
sguardo, mise a fuoco Peter con i capelli dritti addossato al
lavandino, pallido come un cencio, la sinistra ancora sotto l'acqua e
il rubinetto aperto che stava allagando mezzo pavimento, la destra
puntata su me e James, io che, fingendo indifferenza, stavo davanti a
Potter e cercavo di coprirlo alla meglio mentre lui, calciandolo via,
provava a nascondere il mantello dietro un mobiletto, in faccia
l'espressione colpevole di chi è colto con le mani nel
sacco. Il mantello infine era a terra, certo... ma non
abbastanza. Quando vidi che James aveva ancora mezza gamba
coperta che pareva un moncherino fluttuante a mezz'aria, lanciai un
guaito di terrore: stavolta non potevamo cavarcela! Remus ci
fissò, la faccia gli cambiava colore così
rapidamente che sembrava un arcobaleno con le gambe; infine
abbassò la bacchetta, abbandonando il braccio destro lungo
il corpo, con la sinistra salì a spettinarsi i capelli, per
poi scendere a massaggiarsi la faccia allucinata. Non disse
nulla, si limitò a darci la schiena, le spalle
improvvisamente cascanti, tornando nella nostra stanza.
“Remus, aspetta... Remus? Che
intendi fare? Eh... che hai intenzione di fare, Remus?”
Si voltò, non capivo se volesse ridere o arrabbiarsi,
aprì la bocca per dire qualcosa, poi la richiuse e fece
altri passi, si voltò di nuovo, alzò una mano e
la poggiò sul petto di James, aprì bocca, ma non
disse niente, strascicò i piedi fino al suo letto, poi vi si
lasciò cadere, privo di volontà.
“Non hai intenzione di
denunciarmi alla McGonagall, vero, Remus? Vero?”
James gli s’inginocchiò sul letto, i capelli per
aria, la divisa stropicciata e la cravatta sulle ventitré,
il mantello avvolto e serrato addosso, tanto che pareva avesse un buco
sullo stomaco. Remus parve perdersi a guardare quel fianco
trasparente di James, poi tornò a fissare l'intradosso del
baldacchino, senza guardarlo davvero, senza dire niente, mentre Peter
si decideva a riprendere vita e usciva titubante dal bagno, guardandosi
attorno come se aspettasse un attacco da qualche entità
maligna da un momento all'altro, io, infine, mi mantenevo in disparte,
a vedere l'evolversi della faccenda, appoggiato a una delle colonnine
del mio baldacchino.
“É proprio quello
che penso che sia, Potter?”
Nemmeno lo guardava, restava immoto, gli occhi chiusi, la mano portata
alla testa come se avesse all'improvviso un'emicrania fulminante.
“Oh sì, Lupin, ed
è una meraviglia! Non ne vedrai mai un altro simile in tutta
la tua vita! Vuoi provarlo? Quest'infame qui non ci crede, ma scommetto
che tu capirai subito che...”
Non sapevo dove James avesse trovato tutta quella fiducia, ma
all'improvviso era lì che dispiegava quel velo impalpabile
davanti a un Remus in pratica svenuto che si ostinava a non guardarlo,
quasi fosse un venditore ambulante che importunava un poveraccio nella
sua stessa casa.
“É un Mantello
dell'Invisibilità? Un vero Mantello
dell'Invisibilità?”
“Questo è IL
Mantello dell'Invisibilità, Peter!”
Guardai Pettigrew, mi chiesi quanto ci avrebbe messo Madame Pomfrey a
riattaccargli la bocca, visto che ormai era lì lì
per farsela cadere a terra, sbavante. Io non sapevo cosa
pensare: avevo riposto tante speranze nel famigerato segreto di James
per andare alla conquista del castello e, ora, non capivo se ero
più eccitato per le prospettive che si aprivano dinanzi a
noi, o più incredulo e diffidente, perché questa
novità era molto di là di quanto avessi mai
immaginato.
“Sì, Peter,
evidentemente James Potter ha un Mantello dell'Invisibilità
e questo significa...”
Remus J. Lupin parve riprendere colore e l'energia sufficiente a
rialzarsi a sedere sul letto, allungarsi verso il suo comodino, aprire
il cassetto, estrarre una delle sue famigerate tavolette di cioccolato,
spezzarla in quattro pezzi e distribuirla, in silenzio, tra noi quattro.
“... questo significa che
grazie a lui, nei prossimi anni, ci faremo la muffa dentro i dannati
schedari di Mastro Filch...”
Un'ombra di delusione calò sul viso stanco di James, anche
per lui, come per me, quella che stava volgendo al termine era stata
una giornata ricca di emozioni, tante, troppe emozioni.
“... sempre ammesso, certo,
che riesca a beccarci!”
Ci guardammo tutti e quattro, increduli, mentre un sorprendente e
inatteso ghigno pestifero si affacciava sulla faccia pulita di Remus;
James, felice come la mattina di Natale gli si lanciò al
collo, gli scompigliò i capelli e lo sentii mugugnare un
commosso “Grazie, fratello!”
“Allora ci stiamo? Tutti?
Tutti insieme, alla conquista di Hogwarts? Come i tuoi moschettieri,
uno per tutti, tutti per uno? Anche tu, Peter?”
Sentendosi chiamato in causa, dopo aver fatto finora solo la parte
dello spettatore, Peter farfugliò qualcosa
d’indecifrabile, allora Remus si allungò sul letto
fino a toccargli una mano, guardandolo con i soliti occhi rassicuranti
e comprensivi.
“Se non te la senti, Peter
...”
“No... no... è
che... vorrei venirci anch’io... con voi… certo...
magari però... per ora... solo quando andate ad assaltare la
cucina, vi sta bene? D'accordo?”
“Certo che sì,
appena vuoi, ti faccio compagnia io, in cucina, Pettigrew!”
Mi allungai, cingendogli le spalle con un braccio, l'altra mano pronta
a spettinargli i capelli, Peter mi guardò per la prima volta
in quei tre mesi senza l'abituale aria spaventata e sospettosa, lo
sentii rilassarsi nel mio abbraccio, sorridendomi timido ed io feci
altrettanto. James rosso in volto, per le altalenanti emozioni degli
ultimi minuti, prese il mantello, lo aprì, lo distese bene e
ci disse di avvicinarci l'un l'altro, poi ce lo tirò sopra,
senza chiuderlo bene, tutti protetti da quel magico manto.
“E ora... qua la mano,
Malandrini! Mettetela qui, su questo mantello e ripetete con me:
“IO GIURO SOLENNEMENTE DI NON AVERE BUONE INTENZIONI!"(3)!”
Giurammo e rimanemmo lì, in circolo, sul letto sfatto di
Remus, raccontandoci l'un l'altro, per tutto il resto della notte, come
mai avevamo fatto prima, di sogni e desideri, che cosa ciascuno di noi
avrebbe voluto fare con quel mantello, abbandonandoci alle fantasie
più astruse e divertenti, sicuri in cuor nostro che ci
saremmo impegnati a fondo per renderle reali, una dopo
l'altra. Tutte. La prima giornata dei Malandrini nelle vesti
dei nuovi "Signori di Hogwarts", finì così,
ridendo… Esattamente com'era iniziata.
*continua*
NdA:
Ringrazio tutti al solito per le recensioni, le letture, le preferenze,
ecc.
L'immagine di inizio capitolo è stata realizzata per
me da Ary Yuna
(che ringrazio), potete trovare i suoi lavori su DeviantArt
e nella sua pagina
Artista su FB. A mia volta, questo capitolo era dedicato a
lei per il suo compleanno (tanti
auguri, carissimA). Per il resto, non c'è molto
da dire, su questo capitolo, ho cercato di attenermi il più
possibile al canon ma qualcosa come sempre mi sarà sfuggito,
in occasione della revisione completa metterò mano a
eventuali dettagli. Qualche chiarimento:
1) Mi son detta "se Harry, Ron e Hermione, già al
primo anno, erano abbastanza svegli da muoversi tra reparti proibiti e
la facevano in barba a Gazza, perché i Malandrini, che
divennero Animagi da giovanissimi, dovevano essere da meno?"; forse sto
dando loro una sensibilità eccessiva per la loro
età, ma nessuno dei quattro personaggi ha avuto una vita
"semplice" e per come li ho caratterizzati sin qui, sono tutti portati
all'introspezione e all'introversione: James figlio viziato ma
cresciuto da solo; Sirius con la famiglia che sappiamo, Remus con i
problemi che sappiamo, Peter, quello dalla vita apparentemente
più semplice, è anche il più fragile e
bambino dei quattro;
2) L’albero genealogico della Row riguardo Lucrezia
Black in Prewett non indica figli, per cui in attesa che la Row
chiarisca su Pottermore, mi sono presa la libertà di “non considerare i
fratelli Prewett e Molly Wesley” suoi figli;
3) La formula del “Giuro solennemente di non avere buone
intenzioni” fa parte del rituale della Mappa, ma immagino che
la Mappa non sia stato il primo e unico giuramento dei Malandrini, e
magari che i Malandrini non giurassero ogni volta in modo diverso, ma
usassero una formula che per loro aveva un significato particolare. La
formula la faccio nascere circa due anni prima della Mappa, e da qui in
poi sarà il giuramento classico dei Malandrini.
A
presto.
Valeria
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