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Autore: Terre_del_Nord    18/11/2011    10 recensioni
Sirius Black e la sua Nobile Casata; gli Sherton e la Confraternita del Nord; l’Ascesa di Lord Voldemort e dei suoi Mangiamorte; gli Intrighi di Lestrange e Malfoy; le leggende di Potere e Sangue risalenti a Salazar Slytherin. E Hogwarts, i primi passi dei Malandrini e di chi, Amico o Nemico, condivise la loro Storia. UNA STORIA DI AMORE E DI GUERRA.
Anni 70. Il Mondo Magico, alle prese con Lord Voldemort, sempre più potente e feroce, farà da sfondo dark a storie d'amicizia per la vita, a un complicato rapporto tra un padre e i suoi figli, a vicende di fratelli divisi dalle scelte e dal sangue, a storie d'amore romantiche e avventurose. Gli eventi sono narrati in 1° persona da vari personaggi, canon e originali. "Nuovo Personaggio" indica la famiglia Sherton e altri OC.
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HABARCAT (Chap. 1/20) *** ORION (Chap. 21/24) *** HOGWARTS (Chap. 25/39) *** MIRZAM (Chap. 40/52) *** STORM IN HEAVEN (Chap. 53/62) *** CHAINS (Chap. 63/X) *** FEAR (Chap.97/) ***
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VINCITRICE 1° TURNO "Harry Potter Final Contest"
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Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Mangiamorte, Nuovo personaggio, Regulus Black, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'That Love is All There is'
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That Love is All There is
Terre_del_Nord

Slytherin's Blood

Chains - IV.009 - Il Mantello dell'Invisibilità

IV.009


Sirius Black
Hogwarts, Highlands - giov. 6 gennaio 1972

    “Mi piacerebbe sapere che cosa avete in testa voi due... Gobbiglie forse?”

Sollevai gli occhi dal piatto e li fissai su Remus J. Lupin, al mio fianco, poi li richiusi: mi sembrava di essere a casa, davanti a mio padre che snocciolava l'elenco dei doveri di un bravo Black, subito sentii gli angoli delle mie labbra incurvarsi in un fremito divertito e furfantesco. A quel punto non c'era più nulla da fare, tentare di resistere era inutile. Riaprii gli occhi, sorseggiai un po' di succo di zucca e indolente, sbottai, a mezza bocca.

    “Singolare...”
    “Singolare? Che cosa significa “singolare”?”
    “Singolare nel senso di “una”: una Gobbiglia, una sola Gobbiglia... In due, naturalmente...”

Sentii lo sbuffo ilare di James, seduto di fronte a me, ma non mi voltai a guardarlo, continuai a fissare Remus. Immaginai che la mia espressione fosse tanto ironica quanto la sua era severa: vedendolo così, responsabile e serioso, con un che di adulto nello sguardo, che cambiava colore non capacitandosi dell'assurdità delle mie risposte alle sue sagge osservazioni, non riuscii a trattenermi oltre e iniziai pure a ridergli in faccia, sguaiatamente, come avevo già fatto poco prima, in camera nostra, solo che stavolta il succo di zucca mi uscì dal naso e rischiai quasi di soffocare. James, che smaniava per rispondere a tono a Lupin, si ritrovò a dover scegliere se canzonare lui o sfottere me e, indeciso, rimase zitto solo un secondo, poi scoppiò a ridere anche lui, agitandosi sulla panca e rovesciando sul tavolo, addosso a Peter, quel che restava del suo porridge.

    “Bravi, continuate così, almeno vi daranno un'altra settimana di punizione, e quel che è peggio, prima o poi, tirerete in mezzo anche noi due!”
    “E ti lamenti, Lupin? Pensa quanto potremmo divertirci, tutti e quattro insieme! Ahahah...”

Remus, di solito calmo e posato, trafisse Potter con uno sguardo furibondo, io mi aspettavo di sentirlo insultare James e la sua espressione esaltata, invece, come sempre, riuscì a contenersi: se non fossi stato tanto impegnato a ridere, l'avrei ammirato per l'indubbia capacità di sopportazione. Peter, intanto, spaventato all'idea di essere coinvolto, suo malgrado, nel nostro triste destino di penitenza presso Mastro Filch, cercò di porre rimedio in qualche modo al disastro, andando ad asciugare con un tovagliolo, rapido, il pantano di latte e zucca che avevamo riversato sulla nostra porzione di tavolo, riuscendo, in realtà, solo a “impastrocchiarsi” ancora di più la divisa. Sentii montarmi dentro un'altra ondata di risate, un po' per Peter che si agitava, infervorato, gli occhi acquosi messi in risalto dalle guanciotte rosse e paffute, un po' per la sadica soddisfazione al pensiero di quei due mocciosi coinvolti di forza nelle nostre ardite scorribande, ma soprattutto al pensiero dei danni che avremmo potuto fare in giro per il castello, tutti e quattro insieme. Il rischio che ci mettessimo in altri guai già quella mattina era, in effetti, reale, non c'era possibilità che passassimo inosservati, visto che eravamo stati tra i primi a scendere a colazione e, pur a debita distanza da orecchi indiscreti, eravamo ben visibili dal tavolo dei professori: nel marasma generale, notai di sfuggita l'espressione indecifrabile del preside rivolta verso di noi e il misterioso bisbiglio che si scambiò con la McGonagall, osservando intensamente Remus.

    “Ti preoccupi troppo, Lupin, in questo modo non apprezzerai mai del tutto le opportunità offerte dalla scuola... non siamo qui solo per ascoltare barbosissime ciance e ammuffire in biblioteca! Dobbiamo esplorare il castello, scoprirne i segreti... Sirius ed io approfitteremo della situazione e andremo in avanscoperta, fin da stasera... sarà entusiasmante, dico bene Black?”
    
Mi limitai a ghignare, puntando Peter con una delle mie classiche occhiatacce in tralice, da “futuro Mago Oscuro degno dell'antica casata dei Black”, come vaticinava spesso il nostro pauroso compagno, che, appunto, sentendosi osservato tanto intensamente, divenne prima paonazzo poi pallido e tornò a fissare il suo piatto, mentre io scoppiavo di nuovo a ridere.

    “Siete due idioti... anzi, siete proprio due pazzi! E se, come ho sentito dire dai Prewett, Filch vi mandasse a far la ronda là fuori, con il guardiacaccia?”
    “Magari, Remus, magari! Pensa che emozione! Da quando la McGonagall mi ha messo in castigo, io “prego” che Filch mi mandi nella foresta con quel tale, quel Rubeus Hagrid! Altro che perdere tempo a riordinare schedari, come l'altra volta! E ti dirò... se hanno atteso che mi riprendessi dal mal di gola per mettermi in punizione, è sicuro che stasera andremo nella foresta!”
    “Ma... James... è gennaio e là fuori si gela e... quella là fuori è... è... la Foresta... Proibita...”
    “Quisquilie, Pettigrew... non vorrai credere a tutto quello che dicono i grandi! Lo fanno solo per avere tutto il castello per sé e non avere noi più piccoli tra i piedi: lo sai che molti di loro, di notte, scendono ad assaltare le cucine? Non vorresti farlo anche tu? Beh, ve lo dico fin da ora... io non intendo aspettare di avere diciotto anni per fare quello che mi pare! Chi è con me?”
    “Presente!”

Cianciai a bocca piena, distratto, tutto preso da una deliziosa fetta di torta di mele.

    “Bravo Black... e voi due?”
    “Ma le cucine sono una cosa... la foresta... invece...”
    “Se ci fosse davvero pericolo, Peter, il Preside non consentirebbe a nessuno di portare gli studenti là fuori... e se questo non bastasse a tranquillizzarti, ti ricordo che il gradasso affamato che siede qui davanti a noi è pur sempre l'erede dei Black! Ve le immaginate le grida di Lady Walburga e gli Avada degli altri membri dell'antica casata dei “Toujours Pur” che risuonano nei corridoi di Hogwarts, se il preside si perdesse il loro principino nella foresta?”

Mentre gli altri s’infervoravano, io addentai pure una fetta di pane tostato e imburrato, ghignando al pensiero di mia madre alle prese con “quel lurido mezzosangue di Dumbledore”: anche se non le importava nulla di me, un eventuale incidente a scuola che coinvolgesse un Black sarebbe stato usato dalla mia famiglia per far fuori l'odiato preside, poco ma sicuro!

    “Mmm... Non so... Essendo destinato, in un futuro molto prossimo, a essere diseredato... non so quanto ai miei importerebbe se un oscuro mostro alato uscisse dal fitto della foresta e... zac!”
    “AHHHHHHHH!”
    “Ahahahah...”

Feci una mossa fulminea e rapinosa davanti agli occhi già atterriti di Peter che saltò su dalla panca, squittendo e rovesciando altro latte sul tavolo... James ed io scoppiammo di nuovo a ridere, sotto lo sguardo scandalizzato della Evans, appena entrata in Sala Grande col suo Snivellus e l'esasperazione più profonda di Lupin: lo vidi sospirare a fondo per trattenersi e non reagire, per poi ricominciare a rampognarmi, con i suoi soliti modi pacati ma “autorevoli”.

    “Queste sono cose che non si dovrebbero dire nemmeno per scherzo, Black!”
    “Andiamo, Remus... dopo che mi sono offerto al mostro, così... Dovresti esaltare il mio coraggio e il mio sacrificio: finché è impegnato a mangiarmi, non si pappa lui... rowr... ahahahah...”

Pettigrew passò di nuovo dal rosso porpora della vergogna a un terrorizzato pallore, Remus mi guardò con la stessa espressione carica di compassione che aveva il mio precettore quando, invece di seguire le sue noiose lezioni, cercavo di spaventare mio fratello o gli facevo altri dispetti. James, infine, mi lasciò fare, approvando come al solito il caos che avevo provocato e godendosi rapito la vista della “rossa tentazione” che si sedeva a distanza di sicurezza da tutti noi.

    “E comunque... ha ragione Potter... cosa vuoi che ci capiti, là fuori, a parte buscare un raffreddore e saltare meritatamente qualche ora di lezione?”
    “Po... potrebbero esserci... dei... lupi... lupi mannari... nella foresta... tanto per dirne una...”

Stavolta a ridere per primo fu James, una risata alta e cristallina, di cuore, che fece girare diverse teste in tutta la sala, Remus lo fulminò con l'ennesima occhiataccia, la Evans, alla quale, lo sapevo, quella risata era dedicata, si voltò dalla parte opposta, più ostinata e ostile del solito. Ghignai, allusivo, James mi guardò e arrossì, poi riprese a parlare a voce molto più bassa.

    “Mannari? A Hogwarts? Andiamo, Peter... il preside non permetterebbe mai ai mannari di avvicinarsi tanto al castello... E anche se fosse... se avessi un “lupastro” qui di fronte a me... state tranquilli che saprei dargli il fatto suo, io!”
    “Sei solo un povero idiota Potter... e con quest'ennesima cavolata da sbruffone me ne hai appena dato la prova definitiva! Io vado a lezione, tu resti con questi qui, Peter?”

Remus non sembrava solo arrabbiato ma anche inquieto, fece per alzarsi e andar via, io gli misi una mano sul braccio per fermarlo: ci fissammo, sfidandoci a vicenda, in silenzio, io volevo sapere, lui non voleva parlare, eppure, benché la sua reazione spropositata mi preoccupasse, la parte idiota di me, inesorabile, prese il sopravvento ancora una volta.

    “Ma dove vai? Manca ancora mezzora! E se... soli... nel mezzo della gelida distesa ghiacciata che porta alle serre, vi assalisse un “Drago delle Nevi” nascosto in qualche anfratto?”
    “Ahahahaha”
    “A te e a quest'altro idiota, Black, il Natale ha fatto proprio male... se te ne fossi scordato, noi, oggi, abbiamo Erbologia alla seconda ora! Adesso c'è Storia della Magia!”
    “Ahahahahah”
    “Vai a quel paese, Black!”
    “Ahahahah”

Ridendo, li guardai andar via: Remus avanzava rigido e arrabbiato, con passo deciso, Peter gli trotterellava dietro, sollevato di potersi finalmente allontanare da noi, James di fronte a me mi guardava e faceva no con la testa.

    “Godric, quanto siete comici, tutti e tre!”
    “Ha parlato quello serio!”
    “Giusto... ma Lupin... Godric... Non trovi che quel Lupin sia una vera forza, Black?”
    “Sì, è simpatico, bravo... complice... però mi preoccupa ogni giorno di più... per te cos'ha?”
    “Non ne ho idea... E nemmeno mio padre mi ha saputo dire qualcosa, quando gliene ho parlato... lui dice che ci sono persone così... persone cagionevoli di salute...”
    “Anche mio fratello era cagionevole, da piccolo... ma non era così... Lupin ha... qualcosa...”
    “Mmmm... non so cosa pensare, ma ho intenzione di seguire il suggerimento di mio padre...”
    “Ovvero?”
    “Essere pronto a stargli vicino, quando deciderà di confidarsi con noi: siamo amici... no?”

Annuii, un po' stranito perché di colpo i nostri discorsi erano diventati tanto seri. Non capivo ancora tutto, ma avevo una sensazione indefinita dentro: James aveva ragione, volevo essere amico di Remus, meritare la sua fiducia, e fare qualcosa per lui, perché fosse sereno e libero di divertirsi insieme con noi; tutto stava a capire cosa potessimo fare di preciso...
    
    “Di certo, però, ora che quei due mocciosi sono andati via, posso dirtelo... Lupin non ha tutti i torti su di te, Black... Tu sei proprio un folle irrecuperabile! Solo un pazzo si metterebbe a lanciare Caccabombe dove la McGonagall può vederlo...”

Addentai un altro “muffin” e ghignai, al ricordo di quello che era successo la sera precedente: l'agguato a Jameson, la fuga per i corridoi, il lancio in mezzo alle ragazzine “schifate”, le risate dei maschi nel cortile di Trasfigurazione, la McGonagall infuriata.

    “E soprattutto dove può sentirlo... ahahahah... Merlino, me le son sognate pure stanotte le sue urla che rimbombavano per tutto il cortile... ”
    “Io invece mi rivedo quella specie di gigante di Jameson e i suoi rubicondi amici con le lingue di fuori che ti corrono dietro! Per tutti i Fondatori, Black, non sapevo fossi così veloce! Stavano per restarci secchi, a starti dietro... quanto mi son divertito!”
    “Così impara a vantarsi di aver portato giochi illegali a scuola, quel gonzo! Quando la McGonagall mi ha trascinato nello studio e mi ha chiesto spiegazioni, io, angelico, mi sono giustificato proprio così, le ho detto che ho sottratto quelle Caccabombe e le ho eliminate “per il bene e l'ordine della scuola...”... solo che lei... non so perché... non ha voluto credermi!”
    “Povero Black, da tutti incompreso!”
    “Ahahahah”
    “Lo dico per il tuo bene, però, Sirius... cerca di fare qualcosa per questa tua “risata”! Godric... ha qualcosa di… come dire... animalesco! Non puoi sperare di cavartela se ridi come... come un cane! Anche se non ti vedessero, ti riconoscerebbero ovunque, sentendoti guaire così...”
    “Un cane? Dici? Allora non posso farci nulla, Potter... il cane è il simbolo della mia casa... porto il nome della prima stella del Cane Maggiore... e sai che cosa ho scoperto durante le vacanze? Il Patronus di mio padre ha forma canina! Il mio destino è segnato, non trovi? Owff... ahahah”
    “Eh sì... Sei proprio messo male, vecchio mio! Ahahah...”

Guardai il mio piatto, mentre lui continuava a osservarmi: di solito ero infastidito se qualcuno mi fissava con tanta insistenza, ma con James non mi sentivo a disagio perché era una delle poche persone che conoscevo capace di guardarti dentro senza giudicare. Chiusi gli occhi godendomi, rapito, la golosa sofficità del mio ultimo “muffin” e il tepore che veniva dal caminetto dietro la mia schiena, le labbra che sapevano ancora di succo di zucca... Mi concentrai, come mi aveva insegnato Alshain, chiusi mente e orecchie al caos che c'era intorno a me, nella Sala Grande che via via si era ormai riempita, seguendo un solo pensiero, una sola voce, l'unica che volessi sentire: la percepii, aprii gli occhi e mi voltai verso quella direzione, ammirai a distanza Meissa che si muoveva verso le panche degli Slytherins, al seguito di Rigel e di quei due bambocci biondi dei fratelli Emerson, diretti al tavolo dei Ravenclaw, di fianco al loro. Erano già tre giorni che eravamo tornati a scuola e nonostante qualche lezione seguita insieme, non ero ancora stato in grado di dirle qualcosa di più di un goffo “Ciao, come stai?”. Ero preoccupato per lei: secondo i Prewett, i fratelli Sherton di sera non andavano a dormire nei sotterranei con gli altri Slytherins, ma passavano la notte in infermeria, per completare le cure, e questo contrastava con l'ottimismo esibito da mio padre, secondo il quale le recenti disavventure non avevano avuto conseguenze di rilievo né per Rigel né per Meissa. La fissai così intensamente che si voltò, mi sorrise e mi salutò con la mano: lo vedevo a distanza che non era felice ed ero sicuro che volesse parlarmi almeno quanto lo desideravo io... Volevo correre da lei, fregandomene delle chiacchiere, di tutto e di tutti. James però, a quel punto, si voltò, seguì il mio sguardo e si alzò, rapido.
    
    “Direi che è ora di uscire da qui! Stiamo facendo tardi... come al solito...”

Lo guardai e a malincuore tornai in me: no, aveva ragione, non era il momento, né il luogo. Non me ne aveva ancora mai parlato apertamente, ma non era difficile immaginare perché, in quei pochi giorni, James avesse fatto di tutto per evitare Meissa, perché fosse tanto turbato, perché cambiasse umore quando incrociavamo lei o suo fratello: suo padre era uno degli Aurors che avevano scortato il Ministro a Herrengton per il matrimonio di Mirzam e, probabilmente, ora considerava gli Sherton responsabili della morte di Longbottom, come molti altri tra i Gryffindors. E non erano nemmeno gli unici: avevo percepito gli umori della scuola, erano pochi quelli che concedevano a Mirzam il beneficio del dubbio e gli stessi fratelli Sherton, consapevoli di essere al centro di troppe dicerie e sospetti, sembravano fare in modo, sempre, di evitare tutto e tutti. Quanto a me, pur desiderando correre da Meissa e sincerarmi delle sue condizioni, non riuscivo ad avercela del tutto con James quando s'immischiava e mi distoglieva da lei, in un certo senso, anzi, lo ringraziavo, perché... anche se me ne vergognavo molto... io… avevo paura... Per come l'avevo conosciuto a Herrengton, mi era difficile pensare a Mirzam come a un assassino, però, dopo la storia del pugnale, qualche sospetto avevo iniziato ad averlo anch'io e ora temevo che, se i discorsi fossero finiti su suo fratello, non sarei stato in grado di tenere per me i dubbi che avevo e avrei finito, invece di consolarla, col dire a Meissa qualcosa che l'avrebbe fatta soffrire di più e che avrebbe rovinato la nostra amicizia per sempre. Avevo già combinato tanti disastri, in passato, per colpa della mia boccaccia... e ricordavo il sogno fatto a Herrengton, in cui lei mi cacciava, dicendomi che non mi avrebbe perdonato mai. Ero diviso in due, tra il desiderio di starle vicino e la paura fottuta di combinare disastri. Non sapevo come comportarmi (1).
    
    “Allora, andiamo?”

Mi alzai, lo segui svogliato e di malumore, ci avviammo verso l'aula di Cuthbert Binns, il professore fantasma di Storia della Magia, salendo al primo piano, correndo per il ritardo, mentre, oltre le finestre, un sole pallido si specchiava sul ghiaccio che ricopriva le colline e i monti e la foresta e il lago, e tutto ciò che si apriva intorno a noi... Dopo giorni e giorni, aveva smesso di nevicare: speravo fosse il segno che il peggio era ormai alle nostre spalle e presto tutto, in un modo o nell'altro si sarebbe aggiustato. Mentre io continuavo a pensare a Meissa, James, tutto preso dalla vista della Evans, che rideva con le amiche davanti a noi, non mi filava per niente, mi “svolazzava” di fianco, trasognato, l'andatura stanca, i capelli sparati per aria, nonostante la mezzora buona passata a pettinarsi. All'improvviso, senza un motivo preciso, solo osservandolo, mi ritrovai a sorridere. Sì, essere amici era anche questo, in fondo, riuscire a ridere di una piccola sciocchezza. Se davvero volevo bene a Meissa, perciò, dovevo smettere di avere paura di farle del male, perché era proprio così, fuggendo da lei senza motivo, che gliene stavo facendo davvero. La situazione era grave, fuori dalla portata di un ragazzino di undici anni, ma forse, ciò di cui ora Meissa aveva bisogno era solo un piccolo gesto, una parola, una stupidaggine qualsiasi che venisse dal cuore, un semplice segno d'amicizia che la sorprendesse e le strappasse un sorriso, cacciando via, magari solo per un istante, i suoi pensieri più tristi.

    “Perché stai sorridendo come uno stupido? Sei tra le tue nuvolette scozzesi, Black?
    “No... Stavo pensando a quanto mi hai deluso, Potter!”

Eravamo quasi giunti all'aula, James, incuriosito, si fermò poi iniziò a camminare di spalle, per guardarmi mentre parlavamo, un punto di domanda stampato in faccia, mentre io riprendevo a ghignare, deciso a stuzzicarlo prima di farmi fagocitare dalla solita, catalettica, lezione di Storia.

    “Io? Cosa avrei fatto per deluderti? Mi sa che tutti quei dolci iniziano a farti vaneggiare...”
    “Mi hai deluso perché... non hai ancora capito che fa tutto parte di un piano... ”
    “Un piano? Quale piano? Godric, di cosa parli? Non ti seguo...”
    “Le Caccabombe e tutto il resto fanno parte di un piano più ampio...”
    “Ah sì? Era tua intenzione metterti nei guai? Black, ammettilo, tu sei folle... punto e basta...”
    “Certamente... Io non sono come te, non mi azzuffo appena salito sul treno, così tanto per fare, rischiando pure di prenderle davanti a tutti da quel moccioso di Snivellus!”

Potter si fermò, mi fissò serio, poi si avvicinò puntandomi un indice minaccioso contro il naso, ed io per puro miracolo riuscii a non ridergli sul muso.

    “Non le ho prese da Snivellus, chiaro? Ero sotto perché siamo stati interrotti troppo presto!”
    “Per fortuna! Così puoi sempre dire di essere scivolato, ma se vi avessero interrotti dopo?”
    “Nemmeno c'eri, cosa puoi saperne? Vuoi che ti dimostri qui chi è che, di solito, le prende? Non mi sembra che tu, “mammoletta”londinese, abbia mai dato prova di grandi abilità fisiche!”

Sghignazzai: era proprio buffo, così rosso in volto, arrabbiato e imbarazzato; quanto a me non potevo dargli torto, nell'ultimo anno le avevo prese persino da quel pulcino di mio fratello!

    “Appurato che sei una mammola e non hai diritto di replica, Black, spiegami il piano!”
    “Mi sono fatto beccare solo perché non volevo lasciarti solo con Filch per un'intera settimana...  Che razza di amico, anzi di fratello, sarei se l'avessi permesso? Dovrebbero punirci tutti e quattro insieme, una volta, così potremmo mettere sotto Filch, la sua gatta e tutto il castello!”
    “Tu, io e quei due? Dice bene Remus, a te ha fatto male il Natale! Ahahahah!”
    “Parlo sul serio, Potter... e, ti ricordo, tu devi anche mantenere la promessa che ci hai fatto!”
    “Una promessa? Io? Quale promessa?”
    “Avevamo deciso che a gennaio avremmo iniziato a esplorare il castello, ricordi? Sbaglio o avevi promesso di farci vedere come ci si muove per Hogwarts, senza farci beccare? Non vorrai farmi credere che sei uno “sparaballe”, oltre una mammola che le prende da Snivellus!”

Un lampo di malizia accese i suoi occhi nocciola, mentre un ghignetto maligno gli arricciò le labbra, mi fermai e lo fissai, aspettando una confessione che non arrivò: godeva nel vedermi sulle spine, ma ero troppo curioso per pensare a una tattica per strappargli il segreto, salvandomi la faccia, o per mettermi addosso la solita maschera da Black, quella indifferente a tutto e a tutti.

    “Se sai come ci si muove nella scuola senza farsi beccare, Potter, è il momento di dirlo; io conosco segreti che nemmeno immagini, sul castello... mettiamo insieme le nostre risorse... ci stai?”

Per tutta risposta scoppiò a ridere e corse via, lasciandomi indietro come un fesso, per raggiungere Remus e Peter che ci aspettavano impazienti davanti all'aula di Storia. Lo mandai a quel paese, tra me e me: che stupido ero stato! Ci contavo, ero sopravvissuto a quelle funeste vacanze di Natale solo grazie all'idea delle avventure che mi aspettavano tornato a scuola, e Potter, invece... Potter era solo uno “sparaballe”! Raggiunsi la porta, entrai per ultimo, funereo e mi avviai mesto al mio posto, Remus si sedette di fianco a me, James e Peter, più bassi, si sistemarono nel banco davanti al nostro. Come il professore-fantasma si schiarì la voce e iniziò a declamare la lezione, mentre vagheggiavo tra me e me, escogitando un modo per parlare con Meissa e farla ridere, gli occhi persi nella distesa di neve che scendeva lungo i fianchi delle colline fino al Lago Nero, James si voltò e, misterioso, mi fece l'occhietto, poi lasciò cadere sulla mia porzione di banco un bigliettino. Senza farmi notare da Remus, tutto impegnato ad appuntarsi i dati della lezione, l'aprii.

    “Ti aspetto in bagno, stanotte, appena senti gli altri russare! E cerca di non fare casino!”

Ghignai: le meraviglie del castello, dunque, sarebbero state presto a portata di mano? Passai il resto della lezione, incurante di Binns e delle sue battaglie medievali tra Maghi e Folletti, a fantasticare di quattro ragazzi scelti dal destino per diventare i nuovi Signori di Hogwarts.

*

    “I Prewett sono solamente dei gran bugiardi, è questa la verità!”

Mi doleva ammetterlo ma zia Lucretia, su quell’argomento, era sincera. Non avevo mai capito come mai nonno Arcturus, da bravo Black osservante della tradizione, avesse accettato per sua figlia la proposta di nozze di un Prewett (2) : quella era una famiglia di solida tradizione purosangue da secoli, certo, ma ormai l'adesione a certi precetti appariva sempre più tiepida tra i suoi componenti, al punto che, posti dinanzi al Cappello Parlante, da decenni più nessun Prewett era stato smistato nella casa di Salazar e la tradizionale maggioranza Ravenclaw, di anno in anno, si assottigliava sempre di più in favore di un numero incredibilmente alto di Gryffindors. Questo, com’era comprensibile, da un lato scandalizzava i puristi, dall’altro convinceva i più esagitati, che ormai da anni, parlando dei Prewett, non avevano più remore a usare un'espressione da sempre foriera di sventure: Traditori del sangue puro. Durante le cene di famiglia, nonno Pollux, come al solito molto “diplomatico”, parlava di quel matrimonio come di un'onta indelebile per l'antica casata dei Black, e se fosse dipeso solo da lui, ne eravamo tutti convinti, tanto il nome della zia, tanto quello di nonno Arcturus, che non si era opposto, sarebbero stati bruciati via dall'arazzo, com'era successo di recente a quello di Andromeda. Non sapevo quale fosse la verità, di sicuro c'era un qualche segreto sfuggente dietro quel matrimonio, ma dubitavo che noi piccoli di casa ne saremmo mai venuti a conoscenza. Una volta, avevo sentito zio Cygnus e zio Alphard parlare di zia Lucretia come di una vittima sacrificata a un Prewett per una storia di debiti contratti da nonno Arcturus; tenendo conto della morigerata austerità di mio nonno, però, ero sicuro che si trattasse soltanto di una favoletta. Almeno quanto fantasiosa e infondata doveva essere la versione di Andromeda: secondo mia cugina, infatti, Lucretia era veramente innamorata e nonna Melania, volendole bene, aveva chiesto al nonno di accontentarla, per questo mia zia era molto meno arcigna e ossessionata della maggior parte degli altri nostri parenti, e l'impossibilità, per lei, di avere figli suoi era un sincero rammarico. Non ero molto convinto della teoria di Andromeda, era molto difficile per me immaginare i miei nonni dotati di un cuore, d'altra parte il dolore della zia per l'assenza di figli non era dovuto a un mero problema di “estinzione” dell'ennesima famiglia magica: il futuro della famiglia Prewett non era a rischio, il fratello di suo marito, infatti, aveva già tre figli grandi, due dei quali, Fabian e Gideon, frequentavano proprio in quel periodo gli ultimi anni di scuola, a Gryffindor. La professoressa McGonagall, direttrice della Casa, era solita definire i fratelli Prewett “Due terremoti incontenibili”, dal mio punto di vista, di ragazzino nato e cresciuto sotto duemila regole e divieti, invece, quei due pessimi soggetti erano, come dire, un esempio da imitare... assolutamente. Nonostante la stima che avevo per loro e le loro bravate, però, dovevo riconoscere che i Prewett erano due bugiardi patentati, privi di qualsiasi moralità e credibilità e indegni della fiducia del prossimo: stavo ribadendo questo concetto con James, ormai da diversi minuti, al termine delle due ore di punizione mentre, sconsolati e con la coda tra le gambe, raggiungevamo gli altri, a cena.

    “Altro che foresta! Ti rendi conto? Due ore passate a lucidar ferraglia, tra ragnatele e polvere, ridotti alla stregua di due Elfi domestici!”
    “Povero principino Black, trattato come un miserevole e ripugnante Elfetto! Ahahahah...”
    “Ma cosa ridi? Non lo trovi offensivo anche tu? Se penso che ora abbiamo due ore di compiti da recuperare... Ho pure tutti i polpastrelli indolenziti! E per cosa? Salazar, faremo notte!”
    “Naaaa... fidati, amico, i compiti non saranno un problema: ci aiuterà Lupin! Finora ci ha sempre fatto copiare, non vedo perché non dovrebbe farlo pure stavolta!”
    “Non saprei... forse perché stamani l'abbiamo preso per i fondelli senza pietà?”
    “Problema tuo, io stavo solo lì ad ascoltarvi! Ma non temere, farà copiare anche te, fidati!”
 
Grugnii, le parti scritte potevamo cercare di elemosinarle da lui, di solito era clemente, ma la probabilità che volesse vendicarsi per le battute di quella mattina non era poi tanto remota: Remus J. Lupin sembrava un ragazzino buono e caro, a prima vista, ma chi come noi iniziava a conoscerlo davvero, aveva notato che possedeva anche un'insospettabile natura maligna, talmente perfida da far impallidire James e me, nelle nostre giornate migliori.

    “Ahahah...”
    “Ancora? Ma non la smetti più? Per quanto pensi di continuare?”

Sbuffai, irritato con Potter, sapendo che stava ancora ridendo di me.
    
    “Godric, Black, dimmelo tu, come faccio? Tu non avevi uno specchio, non ti sei visto, ma io ho potuto ammirare la tua faccia schifata! E per ben due ore!”
    “Infatti… è per questo che ci abbiamo messo due ore, perché ho lavorato solo io... tu, invece di sgobbare, stavi a guardarmi fisso, a bocca aperta, come un babbeo... Un babbeo infame!”
    “Eri troppo divertente, Black! Ahahah... Doveva essere proprio quella che portavi in faccia la mitica espressione “Salazar, che puzza di cacca!” che dici ha sempre tua madre... Ahahah...”
    “Te lo ripeto per l'ultima volta, Potter... vedi di smetterla!”
    “Ha ragione papà, lui dice che i maschi prendono sempre dalle madri... Signore e Signori, ecco a voi, “Sirius walburghino Black”... ahahahah...”
    “TI – HO - DETTO - DI – SMETTERLA!”
    “Ahahahah...”

Gli rifilai una sberla sulla collottola, ma l'unica cosa che ottenni fu farlo ridere pure di più, allora mi fermai, lasciandolo andare avanti da solo, piegato in due dalle risate, e cercando di farmi sbollire il nervosismo: James credeva stessi scherzando, invece, a me, la sola idea di assomigliare a mia madre in qualche modo, seppur per scherzo, ripugnava e mi faceva imbestialire. Come se non fossi già stato esasperato a sufficienza! Ripensai con un sospiro di delusione a quel pomeriggio carico di aspettative disattese. Due ore prima, al termine dell'ultima lezione, secondo gli accordi con la McGonagall c’eravamo presentati da Mastro Filch e, per non perdere tempo utile, James ed io eravamo scesi muniti dei mantelli caldi e pesanti, eccitati all'idea che ci saremmo immersi nel parco innevato. Come ci vide, il custode ci fissò con aria truce e ci gracchiò contro di seguirlo, ma, invece di uscire e dirigerci verso le serre, ci aveva condotti al terzo piano, dove avevamo attraversato cortili e corridoi fino a raggiungere un'ala piena di aule in disuso, tutte chiuse da porte tarlate e da pesanti catenacci arrugginiti: quando avevo letto “Schedario”, complice precedenti esperienze di James, non nuovo ai pomeriggi di punizione, mi ero spaventato non volevo passare due ore ad ammuffire tra polvere e ragnatele cercando di rimettere in ordine vecchi registri ridotti a brandelli. Filch spazientito ci aveva detto di muoverci, ed io, lasciando lo “schedario” alle mie spalle avevo tirato un sospiro di sollievo...  almeno fino alla nostra definitiva destinazione: il custode, infatti, non aveva solo la nomea di essere un vecchio pazzo, sadico e maligno. Lo era veramente. Muovendoci a lume di candela, nell'oscurità fitta di quel corridoio che puzzava di umido e di chiuso, Mastro Filch ci condusse fino all'ultima porta, la luce tremula che gettava pesanti ombre malefiche sul suo viso scarno, scelse dal mazzo la chiave appropriata e dopo averla scovata miracolosamente in quella massa di ferracci arrugginiti, fece scattare la serratura, si fece da parte e ci intimò di aprire ed entrare in silenzio, facendo attenzione a non rompere niente. La porta si era aperta con un cigolio sinistro sotto la spinta leggera di James, la luce in mano a Filch, alle nostre spalle, aveva ondeggiato su pesanti ragnatele che scendevano come un manto compatto dal soffitto, io ero scoppiato subito a tossire respirando le nuvole di polvere che erano fuggite, secolari, da quell'antro infernale, mentre la gatta del custode entrava rapida e soddisfatta, come fosse la regina di un maniero. Mentre James era colto da un attacco di starnuti a raffica ed io rischiavo di soffocare, Filch ci superò, spazientito, borbottando qualcosa che mi parve suonasse come “ai miei tempi”, “appendere per i pollici”, “rampolli viziati”, e avanzando un po' zoppicante fino a un tavolaccio senza sedie su cui giaceva, lo vidi con orrore, una quantità impressionante di ciarpame, tutta roba di metallo, brocche, tazze, piatti, elmi, pezzi di armatura, coppe, tutti inesorabilmente addobbati con sudice macchie di lordura, miste a polvere e terriccio, sedimentato, pareva, da secoli e secoli. L’uomo fece spazio malamente in mezzo a quella bolgia, depose lì, al centro del tavolaccio, la lanterna che aveva portato con s'è, l'accese, ed estrasse dal grembiule una coppia di strofinacci.

    “Non uscirete da qui finché non avrete tirato a  lucido tutta questa roba... domani vi occuperete della seconda parte, poi della terza, poi della quarta... e così via...”

James ed io ci guardammo increduli, non era possibile, provai a protestare dicendo che esistevano gli Elfi appunto per quei compiti gravosi, ma rimediai solo un ghigno disgustato.
    
    “Niente Elfi, qui... Questa roba è stata incantata a posta per punire gli studentelli viziati e nullafacenti come voi due... visto che ora non vi si può più nemmeno frustare a sangue le chiappe! Bei tempi quelli quando legati ai ceppi... Su, su...  Al lavoro!”

Deluso e indolente, James aveva estratto la bacchetta, pronto a eseguire qualcuno dei semplici incantesimi di pulizia che il professor Vitious aveva iniziato a insegnarci per tenere in ordine le nostre cose, ma Filch, ghignando si era avvicinato rapidamente e con le mani callose gliel’aveva tolta, senza tante cerimonie, facendomi poi il cenno di consegnargli anche la mia.

    “Niente Magia, qua dentro... Solo olio d gomito...”

James si guardò attorno, alla vana ricerca di uno spigolo di muro senza ragnatele, contro cui sbattere la testa, annichilito e senza parole, io osservai Filch chiudersi la porta dietro, lasciandoci da soli, sgomenti, in compagnia della gatta che da quel momento, sul tavolo, ci avrebbe “ruggito” contro ogni volta che ci avesse visto battere la fiacca o ci avesse sentito chiacchierare troppo. Disgustato, ripensando alle condizioni indegne della divisa quando finalmente Filch era venuto a liberarci e all'ennesima mezzora passata a sistemarci per recuperare un aspetto umano, andammo a sederci al tavolo dei Gryffindors, nella Sala Grande allestita per la cena.

    “Ehi, ragazzi, guardate, sono tornati i nostri giovani eroi dalla missione nella foresta!”
    “Ahahahah...”
    “Allora, che novità, Potter? Avete catturato i lupi mannari, come ci ha riferito Pettigrew?”
    “Ahahahah...”

Li guardai, inferocito: tutti quelli del sesto e del settimo ci additavano e sfottevano, quelli del quinto si sgomitavano e molti altri sghignazzavano più o meno apertamente, scorsi lo sguardo lungo il tavolo fino a Remus, stava seduto sulla panca, con gli altri e, un po' intimidito, ghignava anche lui, affiancato dai Prewett, che si stavano sganasciando tanto da mostrare persino le tonsille. James, fino a quel momento in stato catatonico, perduta, proprio davanti alla sua rossa Evans, la poca dignità rimasta, lo additò tremante, preda di un attacco di nervi.

    “Tu, malefico individuo, tu... tu hai iniziato a dire che secondo i Prewett saremmo andati nella foresta... tu... tu, infame... sapevi tutto, vero?”

Gideon esplose a ridere, ancora più forte, facendo tremare tutta la tavolata dei Gryffindors e suscitando gli sguardi incuriositi e divertiti di molti altri studenti e persino di qualche professore, io sentii le guance andarmi in fiamme, mentre dal tavolo di Hufflepuff sentii qualcuno dire “stanno sfottendo quei creduloni di Potter e di Black” e sapevo che la voce presto sarebbe passata a Ravenclaw e da lì al tavolo degli Slytherin: sentii feroce il desiderio di vendetta farsi largo, complice quell'indubbio orgoglio Black che, lo volessi o meno, mi scorreva come veleno nelle vene.

    “Suvvia Potter, un ragazzino sveglio come te avrebbe dovuto capirlo: tutte le matricole sono chiamate a pagar pegno, chi prima chi dopo... voi tra l'altro avete fatto tutto da soli, nemmeno abbiamo dovuto faticare! Ahahahah!”
    “Non c’era scelta, ci avete fatto perdere cento punti in due in nemmeno una settimana, e quest'anno non abbiamo nemmeno il Quidditch, con cui rifarci... Potevamo farvela passare liscia?”
    “Ahahahah...”

A testa bassa mi sedetti al primo posto libero, senza curarmi oltre dei lazzi cui mi stavano sottoponendo, grugnii a destra e a sinistra un paio di saluti poco educati e mi affrettai a mangiare la zuppa, desideroso di salire al più presto in dormitorio e iniziare a studiare. Ci mancava solo di non essere pronto per l'interrogazione dell'indomani, ci tenevo tanto a far bella figura davanti a Meissa, con le pozioni che avevo iniziato a studiare a Herrengton, quell'estate!

    “E sia chiaro... guai a chi cercherà di passar loro i compiti, questa settimana! Devono imparare che gli Slytherins vanno messi in riga, certo, ma non devono più farsi beccare!”

Guardai James, gli era improvvisamente passata ogni voglia di ridere, di azzuffarsi, di far polemiche, aveva l'espressione più terrificata che gli avessi mai visto in quei tre mesi, peggiore persino di quando, prima di tornare a casa, si era svegliato con una criniera leonina in testa! La notte che avevamo davanti, a quel punto, non l'avrei augurata nemmeno al mio peggior nemico: mangiammo poco, a cena, un po' per la paura che avevamo, un po' per non appesantirci lo stomaco, rischiando di addormentarci sui libri, ma soprattutto per correre subito di sopra, nella speranza di guadagnare un tavolo vicino al caminetto e non morire assiderati, durante lo studio. Lo spirito sadico dei Prewett, però, aveva previsto anche questo: pur saliti di sopra con largo anticipo, affamati, per guadagnare il divano, appena raggiunti dai ragazzi più grandi, fummo “gentilmente” invitati a sloggiare, relegati in un angoletto freddo e oscuro, tra le risate generali. Remus ci osservava preoccupato ma non poteva fare molto, sia lui, sia Peter, infatti, erano tenuti a debita distanza da un paio di ragazzi del quinto anno, mentre i più grandi, capitanati dai Prewett, ghignavano scommettendo falci e zellini sui voti risibili che avremmo rimediato l'indomani. Erano ormai le undici di sera quando la McDonald e le sue amiche chiusero i libri e infilarono le scale dei loro dormitori, lasciandoci la Sala Comune finalmente tutta per noi: James ed io riuscimmo a spostarci di nuovo davanti al camino, ma per chiudere almeno con gli scritti, ci mancavano i due rotoli di pergamena per Slughorn, ed io dubitavo ci saremmo mai riusciti, avevo troppo sonno e James, ridotto peggio di me, si accasciò sul divano, simulando una morte istantanea.

    “Pss... pss... voi due... non dormite!  Buttate un occhio dietro l'arazzo vicino all'ingresso...”

Alzammo gli occhi, increduli: Remus, in pigiama, stava acquattato dietro la ringhiera del nostro pianerottolo e ci faceva dei gesti inequivocabili, poi sparì di nuovo nell'oscurità del ballatoio che portava alla nostra stanza, avendo sentito, come noi, cigolii provenienti dal piano di sotto. Sorrisi tra me, dandomi dello stupido: quando l'avevo visto andare a dormire un paio di ore prima, seguito da Peter, tra me e me l'avevo chiamato traditore in mille modi diversi, invece, forse...  

    “Secondo te ci ha veramente lasciato qualcosa per aiutarci, dietro quell'arazzo?”
    “Chi? Quel traditore infame? Non credergli, Black, tutt'al più potremmo trovarci una trappola per schiacciarci le dita o qualcosa con cui sbeffeggiarci ancora di più... pece e piume, forse.”
    “Dai, James... lo scherzo è bello se dura poco, no? Secondo me vuole aiutarci...”
    “Se lo dici tu... vai, vai... Vai tu... io resto qui, a debita distanza, a guardare! Addio Black!”

Andai fino all'arazzo, sollevai appena lo spigolo sinistro con la punta della bacchetta, poi mi voltai a guardare James, che mi fissava divertito, mezzo sbracato sul divano, ghignando.

    “Sprizzi fiducia da tutti i pori pure tu, vedo… eheheh...”
    “Sai com'è... come dici tu, visto con chi abbiamo a che fare, fidarsi è bene, ma non fidarsi...”

Lo guardai stropicciarsi gli occhi e sorridermi, esausto, fu allora che sentii cadere a terra qualcosa, mi chinai e raccolsi un foglietto piccolo, di carta babbana, sul dorso c'era scritto “usa l'incantesimo Engorgio, muovi la bacchetta…” più tutte le istruzioni per eseguire quell'incantesimo: avrei dovuto conoscerle bene da almeno un anno, erano state trattate teoricamente anche dal mio precettore, ma ricordavo molto meglio tutte le palline di carta che arrotolavo durante quei pomeriggi noiosi, e tutta la concentrazione che mettevo nel colpire Regulus, invece di ascoltarlo. Provai tre volte, invano, maledicendomi per la mia passata cretineria, infine ci riuscii e ci ritrovammo in mano quattro fogli scritti fitti fitti, nella calligrafia regolare e precisa di Lupin, pronti da ricopiare, a lato persino le frasi alternative da usare per creare due compiti non troppo simili.
    
    “Quel Lupin, geniale, furbo e malefico!”

Ci buttammo entusiasti nell’opera di copiatura, ma nonostante tutto l'aiuto, quando finimmo di preparare il compito per Slughorn era ormai l'una e mezza: ci mancava ancora molta roba da studiare, ma trattenerci ancora sui libri ormai sarebbe stato del tutto inutile, salimmo perciò di corsa in camera, non tanto per il sonno, preoccupati com'eravamo avremmo passato entrambi una notte insonne, quanto per il freddo pungente, si battevano i denti, in quella torre piena di spifferi. Gettai via la divisa e mi sistemai addosso il mio pigiama più caldo, James, invece, si mise a trafficare dentro il suo baule: non capivo che diavolo stesse facendo, l'invitai a smetterla, c'era il rischio che svegliassimo anche gli altri.

    “È da questa mattina che mi rompi le scatole per questa faccenda! Dai, seguimi, piattola!”
    “Ho un freddo cane, James, che cavolo...”
    “Non fare casino e muoviti, dai... se non sei tonto, facciamo in fretta...”

James s’infilò furtivo in bagno, al buio, io rischiai di inciampare nel baule di Remus e cadergli lungo steso nel letto, Potter si affacciò sibilando sulla porta del bagno, nervoso, finché, mortificato e infreddolito, lo raggiunsi: nonostante la curiosità, maledivo me stesso per aver insistito tanto, e soprattutto per essere stato tanto stolto da mettermi in pigiama così in fretta.
    
    “Ecco qua... contento?”
    “Cosa? Non fare lo stupido Potter, non hai nulla in mano... Che diavolo hai in testa? È freddo, è tardi, ne ho abbastanza di scherzi stupidi...  per oggi!”
    “Non vedi proprio nulla di strano?”
    “No, nulla, a parte la tua solita faccia da idiota!”
    “Aspetta che faccio più luce...”

James accese la lampada a olio sulla mensola e depose la bacchetta: la stanza da bagno, finora in penombra, si accese di una luce non troppo forte, ma calda e avvolgente, lo vidi ghignare mentre faceva uno strano gesto col braccio, come se avvolgesse la mano dentro qualcosa. La sua mano ora era o sembrava sparita. Lo guardai, arrabbiato credevo mi stesse prendendo in giro, mi avvicinai alla porta, la mano sulla maniglia, esasperato.

    “Non è l'ora di fare lo stupido! Tira fuori quelle dita dalla giacca, Potter, siamo Maghi, non ciarlatani!”
    “Sei proprio tonto eh... Vediamo se stavolta capisci, Black...”

Guardandomi irridente, fece un gesto molto più ampio con entrambe le braccia, come se stesse aprendo una tovaglia e se la stesse gettando sulle spalle e sulla testa. Strabuzzai gli occhi: Potter all’improvviso non c'era più.

    “James!”

Squittii quasi, mentre la risata giocosa di James mi raggiungeva alle spalle e mi arrivava un ceffone sulla collottola.

    “Ti piace prendere le sberle quanto rifilarle agli altri, Black? Ahahah...”
    “Potter, che diavolo...”
    “Non è possibile! Non ci arrivi nemmeno adesso? Che cosa credi, che mi sia nascosto tutto dentro la manica della giacca, stavolta? Ahahahaha... Toccami, dai, sono qui, davanti a te!”

Allungai la mano, incerto, James era davvero lì, davanti a me, lo sentivo come attraverso un velo impalpabile, gli toccai un braccio, poi il collo, la bocca, il naso, ma non riuscivo a vederlo. All’improvviso aprì quella cortina impalpabile di cui non ero riuscito a trovare bordi o margini, né alcun'altra discontinuità, mi abbracciò, trafficò un po' attorno a me e al mio collo, quindi mi spinse fino allo specchio e ridendo, mi disse di guardare: osservammo insieme la mia faccia stupefatta mentre il riflesso ci rimandava solo le nostre teste fluttuanti nell'aria, prive del corpo. A parte la testa, in pratica, sembravamo scomparsi.

    “Come...”
    “Ohhhh, non è possibile, non ci sei arrivato nemmeno adesso? E voi Black sareste i malvagi Maghi oscuri che dicono? Ahahahah... Che ridere!”
    “Da quando hai un Mantello dell'Invisibilità, James?”
    “Allora hai capito cos’è questo! A essere precisi, però, non ho “un” mantello dell'invisibilità, io ho “IL MANTELLO DELL'INVISIBILITà”!”
    “Come questo se ne vendono diversi, non molti vero, in negozi come quello di Burke e Borgin... quello che non capisco, Potter, è come mai la tua famiglia vada a comprare roba simile...”
    “Semplice: noi non l'abbiamo comprato, l'abbiamo ereditato! Questo è il Mantello della fiaba, quello che la Morte diede al più giovane dei Peverell... c'è la sua tomba a Godric's Hollow, lo sapevi? E mio padre dice che noi Potter discendiamo da lui...”
    “Sì, come io discendo da Salazar Slytherin! Andiamo, Potter, non sei troppo grande per credere ancora alle fiabe di Beda il Bardo?”
    “Anche se fosse tutta una favola, Black, questo è reale, lo vedi da te... ed è un Mantello speciale,perché al contrario di tutti quelli che si vendono, che non ti rendono davvero invisibile, questo lo fa! Per davvero!”
    “Se lo dici tu... Vai, vai là fuori... provalo... ne riparleremo quando la McGonagall ti beccherà e ti consegnerà a Mastro Filch trascinandoti per le orecchie... ahahahah...”
    “Uomo di poca fede, fai come ti pare! Resta ad ammuffire qui, da bravo Black, il mio finto Mantello ed io andremo là fuori, a caccia di gloria, avventure, misteri e... donzelle! Ahah...”

Non riuscì a finire di ridere, come un lampo la porta si spalancò: Peter Pettigrew, nel suo caldo pigiamino rosso con i coniglietti bianchi, fece irruzione correndo a tutta velocità verso l'angolo, pigolando scuse farfugliate e insonnolite, perché non riusciva più a trattenere la pipì. Ci guardammo, atterriti, mentre di noi restavano ancora visibili solo le teste fluttuanti nella stanza: al momento, con gli occhi annebbiati dal sonno e preso dalla necessità impellente, Peter non pareva essersi accorto di nulla e James, furtivo, cercò di liberarci del mantello, facendolo scivolare a terra, rapido, mentre Pettigrew ancora ci dava le spalle. Il mantello, però, rimase impigliato nella tenda della doccia, dietro di noi, continuando a mascherarci per tre quarti della nostra altezza: così, senza gambe e senza braccia, sembravamo proprio due busti di pollo pronti da cucinare!

    “Godric!”

Potter smaniava per liberarsi, io cercavo di aiutarlo senza riuscirci, arrotolando disperato i bordi del mantello, Peter, impegnato, continuava a fissare il muro davanti a sé, la voce impastata.

    “Avete trovato il compito di Pozioni dietro l'arazzo, alla fine?”
    “Eh? Ah sì... ehm, sì, sì... il compito... sì...”
    
Peter, sistemandosi l'elastico del pigiama, si voltò, andò ad aprire il rubinetto per lavarsi le mani, quindi sollevò gli occhi sullo specchio, per continuare a parlarci guardandoci in faccia: ci beccò così, alle prese con quella trappola infernale, urlò, con tutto il fiato che aveva in gola, farfugliando di maledizioni, di fatture, di Maghi Oscuri, di noi che stavamo svanendo.

    “Per l'amor di Merlino, Peter, calmati e stai zitto! É tutto sotto controllo!”

James era riuscito a sfilare il mantello dall'appiglio, facendolo scivolare rapidamente a terra, ma non abbastanza in fretta da illudere Peter di aver solo sognato; Remus a sua volta irruppe con la bacchetta in mano, gli occhi spiritati, simili a quelli del professor Pascal quando, assatanato, raccontava e recitava delle sue vicissitudini di ex Auror a caccia di temibili Maghi Oscuri. Roteò lo sguardo, mise a fuoco Peter con i capelli dritti addossato al lavandino, pallido come un cencio, la sinistra ancora sotto l'acqua e il rubinetto aperto che stava allagando mezzo pavimento, la destra puntata su me e James, io che, fingendo indifferenza, stavo davanti a Potter e cercavo di coprirlo alla meglio mentre lui, calciandolo via, provava a nascondere il mantello dietro un mobiletto, in faccia l'espressione colpevole di chi è colto con le mani nel sacco. Il mantello infine era a terra, certo... ma non abbastanza. Quando vidi che James aveva ancora mezza gamba coperta che pareva un moncherino fluttuante a mezz'aria, lanciai un guaito di terrore: stavolta non potevamo cavarcela! Remus ci fissò, la faccia gli cambiava colore così rapidamente che sembrava un arcobaleno con le gambe; infine abbassò la bacchetta, abbandonando il braccio destro lungo il corpo, con la sinistra salì a spettinarsi i capelli, per poi scendere a massaggiarsi la faccia allucinata. Non disse nulla, si limitò a darci la schiena, le spalle improvvisamente cascanti, tornando nella nostra stanza.

    “Remus, aspetta... Remus? Che intendi fare? Eh... che hai intenzione di fare, Remus?”

Si voltò, non capivo se volesse ridere o arrabbiarsi, aprì la bocca per dire qualcosa, poi la richiuse e fece altri passi, si voltò di nuovo, alzò una mano e la poggiò sul petto di James, aprì bocca, ma non disse niente, strascicò i piedi fino al suo letto, poi vi si lasciò cadere, privo di volontà.

    “Non hai intenzione di denunciarmi alla McGonagall, vero, Remus? Vero?”

James gli s’inginocchiò sul letto, i capelli per aria, la divisa stropicciata e la cravatta sulle ventitré, il mantello avvolto e serrato addosso, tanto che pareva avesse un buco sullo stomaco. Remus parve perdersi a guardare quel fianco trasparente di James, poi tornò a fissare l'intradosso del baldacchino, senza guardarlo davvero, senza dire niente, mentre Peter si decideva a riprendere vita e usciva titubante dal bagno, guardandosi attorno come se aspettasse un attacco da qualche entità maligna da un momento all'altro, io, infine, mi mantenevo in disparte, a vedere l'evolversi della faccenda, appoggiato a una delle colonnine del mio baldacchino.

    “É proprio quello che penso che sia, Potter?”

Nemmeno lo guardava, restava immoto, gli occhi chiusi, la mano portata alla testa come se avesse all'improvviso un'emicrania fulminante.

    “Oh sì, Lupin, ed è una meraviglia! Non ne vedrai mai un altro simile in tutta la tua vita! Vuoi provarlo? Quest'infame qui non ci crede, ma scommetto che tu capirai subito che...”

Non sapevo dove James avesse trovato tutta quella fiducia, ma all'improvviso era lì che dispiegava quel velo impalpabile davanti a un Remus in pratica svenuto che si ostinava a non guardarlo, quasi fosse un venditore ambulante che importunava un poveraccio nella sua stessa casa.

    “É un Mantello dell'Invisibilità? Un vero Mantello dell'Invisibilità?”
    “Questo è IL Mantello dell'Invisibilità, Peter!”

Guardai Pettigrew, mi chiesi quanto ci avrebbe messo Madame Pomfrey a riattaccargli la bocca, visto che ormai era lì lì per farsela cadere a terra, sbavante. Io non sapevo cosa pensare: avevo riposto tante speranze nel famigerato segreto di James per andare alla conquista del castello e, ora, non capivo se ero più eccitato per le prospettive che si aprivano dinanzi a noi, o più incredulo e diffidente, perché questa novità era molto di là di quanto avessi mai immaginato.

    “Sì, Peter, evidentemente James Potter ha un Mantello dell'Invisibilità e questo significa...”

Remus J. Lupin parve riprendere colore e l'energia sufficiente a rialzarsi a sedere sul letto, allungarsi verso il suo comodino, aprire il cassetto, estrarre una delle sue famigerate tavolette di cioccolato, spezzarla in quattro pezzi e distribuirla, in silenzio, tra noi quattro.

    “... questo significa che grazie a lui, nei prossimi anni, ci faremo la muffa dentro i dannati schedari di Mastro Filch...”
    
Un'ombra di delusione calò sul viso stanco di James, anche per lui, come per me, quella che stava volgendo al termine era stata una giornata ricca di emozioni, tante, troppe emozioni.

    “... sempre ammesso, certo, che riesca a beccarci!”
    
Ci guardammo tutti e quattro, increduli, mentre un sorprendente e inatteso ghigno pestifero si affacciava sulla faccia pulita di Remus; James, felice come la mattina di Natale gli si lanciò al collo, gli scompigliò i capelli e lo sentii mugugnare un commosso “Grazie, fratello!”

    “Allora ci stiamo? Tutti? Tutti insieme, alla conquista di Hogwarts? Come i tuoi moschettieri, uno per tutti, tutti per uno? Anche tu, Peter?”

Sentendosi chiamato in causa, dopo aver fatto finora solo la parte dello spettatore, Peter farfugliò qualcosa d’indecifrabile, allora Remus si allungò sul letto fino a toccargli una mano, guardandolo con i soliti occhi rassicuranti e comprensivi.

    “Se non te la senti, Peter ...”
    “No... no... è che... vorrei venirci anch’io... con voi… certo... magari però... per ora... solo quando andate ad assaltare la cucina, vi sta bene? D'accordo?”
    “Certo che sì, appena vuoi, ti faccio compagnia io, in cucina, Pettigrew!”

Mi allungai, cingendogli le spalle con un braccio, l'altra mano pronta a spettinargli i capelli, Peter mi guardò per la prima volta in quei tre mesi senza l'abituale aria spaventata e sospettosa, lo sentii rilassarsi nel mio abbraccio, sorridendomi timido ed io feci altrettanto. James rosso in volto, per le altalenanti emozioni degli ultimi minuti, prese il mantello, lo aprì, lo distese bene e ci disse di avvicinarci l'un l'altro, poi ce lo tirò sopra, senza chiuderlo bene, tutti protetti da quel magico manto.

    “E ora... qua la mano, Malandrini! Mettetela qui, su questo mantello e ripetete con me: “IO GIURO SOLENNEMENTE DI NON AVERE BUONE INTENZIONI!"(3)!”

Giurammo e rimanemmo lì, in circolo, sul letto sfatto di Remus, raccontandoci l'un l'altro, per tutto il resto della notte, come mai avevamo fatto prima, di sogni e desideri, che cosa ciascuno di noi avrebbe voluto fare con quel mantello, abbandonandoci alle fantasie più astruse e divertenti, sicuri in cuor nostro che ci saremmo impegnati a fondo per renderle reali, una dopo l'altra. Tutte. La prima giornata dei Malandrini nelle vesti dei nuovi "Signori di Hogwarts", finì così, ridendo… Esattamente com'era iniziata.


*continua*



NdA:
Ringrazio tutti al solito per le recensioni, le letture, le preferenze, ecc.
L'immagine di inizio capitolo è stata realizzata per me da Ary Yuna (che ringrazio), potete trovare i suoi lavori su DeviantArt e nella sua pagina Artista su FB. A mia volta, questo capitolo era dedicato a lei per il suo compleanno (tanti auguri, carissimA). Per il resto, non c'è molto da dire, su questo capitolo, ho cercato di attenermi il più possibile al canon ma qualcosa come sempre mi sarà sfuggito, in occasione della revisione completa metterò mano a eventuali dettagli. Qualche chiarimento:
1) Mi son detta "se Harry, Ron e Hermione, già al primo anno, erano abbastanza svegli da muoversi tra reparti proibiti e la facevano in barba a Gazza, perché i Malandrini, che divennero Animagi da giovanissimi, dovevano essere da meno?"; forse sto dando loro una sensibilità eccessiva per la loro età, ma nessuno dei quattro personaggi ha avuto una vita "semplice" e per come li ho caratterizzati sin qui, sono tutti portati all'introspezione e all'introversione: James figlio viziato ma cresciuto da solo; Sirius con la famiglia che sappiamo, Remus con i problemi che sappiamo, Peter, quello dalla vita apparentemente più semplice, è anche il più fragile e bambino dei quattro;
2) L’albero genealogico della Row riguardo Lucrezia Black in Prewett non indica figli, per cui in attesa che la Row chiarisca su Pottermore, mi sono presa la libertà di “non considerare i fratelli Prewett e Molly Wesley” suoi figli;
3) La formula del “Giuro solennemente di non avere buone intenzioni” fa parte del rituale della Mappa, ma immagino che la Mappa non sia stato il primo e unico giuramento dei Malandrini, e magari che i Malandrini non giurassero ogni volta in modo diverso, ma usassero una formula che per loro aveva un significato particolare. La formula la faccio nascere circa due anni prima della Mappa, e da qui in poi sarà il giuramento classico dei Malandrini.
A presto.
Valeria



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