III)
Nel ragazzo in
piedi di fronte ad un
negozio vecchio Fedor aveva riconosciuto uno dei luminosi santi di
Athena. Prima della Guerra, forse, gli avrebbe rivolto parole di
scherno: viso
da bambola,
l'avrebbe chiamato, per quel pallore
delicato e i capelli biondi da principessa. Ma lo sguardo che gli
rivolse non aveva nulla di fanciullesco.
Viso da bambola aveva penetrato
le porte dell'Inferno.
Viso da bambola non aveva
conservato la speranza per cantarci una bella canzone, ma per farci
esplodere i muri della Giudecca.
Viso da bambola era l'ultimo
rifugio del perdente.
Attraversò
la strada a falcate
pesanti, pestando la brina raggrumata ai bordi del marciapiede. Orme
sporche, aria fredda. Clima di merda. Spalancò le braccia in
un
sorriso beffardo:
“Benvenuto
in Grande Madre Patria
Russia.”
“Non
scherzare.”
Gli rispose il
ragazzo nella sua stessa
lingua. Così Fedor capì esattamente chi si
trovava di fronte.
Gli rispose,
adattandosi d'istinto:
“Che
cosa ci fai, qui?”
“Potrei
farti la stessa domanda.”
Pari
è patta.
Così
passarono cinque minuti in
silenzio, non trovando di meglio da fare che scrutare attentamente
l'interno della vetrina. Era un negozio di antiquariato, o solo di
roba vecchia, e i riflessi sul vetro erano scuri, tanto che Fedor
credeva che fosse chiuso. Invece di lì a poco la porta si
aprì, e
fece uscire con un lieve tintinnio una donna curva sotto il peso
degli anni. Il saint vi scambiò uno sguardo, lo spectre
nessuno.
Rimasero in silenzio a guardare un altro po'.
“Che
cosa stai guardando?”
“Dietro
quel mazzo di carte da gioco,
tra quelle spille d'argento.”
“È
qualcosa di tuo?”
“Sì.”
“Possiamo
entrare a prenderlo. Non ho
niente da fare.”
Hyoga di
Cygnus alzò lo sguardo al suo
interlocutore, finalmente. Non l'aveva più fatto, da quando
si erano
squadrati l'uno dall'altra parte della strada. In seguito, aveva
solamente accettato la sua presenza al suo fianco, gli occhi immersi
nella polvere della vetrina.
Lo
studiò lungamente, e allora Fedor
si accorse che aveva un occhio bendato. Il sinistro. Speculare al
suo.
Nella polvere
di diamanti c'erano un
occhio e un altro occhio fermi a guardarsi direttamente, e la cosa
gli diede un brivido.
Pensava che
l'avrebbe liquidato con una
risposta fredda, ritornando a rivolgere lo sguardo all'interno;
pensava che se c'era qualche cosa da spartire tra saint e spectre
sarebbe successo subito, lì, al freddo, in poche stilettate
tra
nemici usciti dalle tombe.
“Sei
mai stato in questo posto?”,
domandò invece il saint.
“No”,
rispose lui, mascherando la
sorpresa. “Dovrei?”
Il ragazzo
– il ragazzino,
quanti anni poteva avere quella cosetta bionda? - lo
oltrepassò,
silenzioso, girandogli attorno. Fedor lo seguì con lo
sguardo, e
vide che era già con la mano sulla porta. Attese qualche
secondo,
prima di spingere per aprirla, e Fedor capì che la
chiacchierata era
soltanto iniziata.
“Quindi
è questo quello che ti
appartiene? Questo medaglione?”
“Non
toccarlo.”
Fedor
fermò la mano a mezz'aria,
sbuffando.
“Se
non sei qui per venire a
riprenderlo, perché siamo entrati?”
“Non
vedi che la signora è uscita?
Siamo soli, qui dentro.”
“E
allora?”
“Allora
aspettiamo.”
Incomprensibilmente,
lo assecondò di
nuovo. Siccome non c'era nessuno, però, lo spectre
allungò la testa
sul ripiano, osservando gli oggetti vecchi e meno vecchi, alcuni
coperti da un velo di polvere. Accarezzò il dorso della
scatola di
carte che giaceva vicino ai gioielli.
“Queste
non sono carte da gioco.”
“Come?”
“Questi
sono tarocchi.”
Quelli,
siccome non c'era nessuno a
protestare, Fedor li prese in mano.
“Li
sai leggere?”
“Un
po'. Vuoi vedere il futuro?”
Hyoga
socchiuse appena l'occhio
azzurro, studiando il suo interlocutore come sul campo avversario.
“Non
fare quella faccia. Non ti
getterò addosso alcuna maledizione. E poi, non sono
così bravo. Ho
un amico molto più bravo di me in questo genere di
cose.”
“Non
schermirti”, rispose lui, con
più calma di quando Fedor si aspettasse dall'occhiata.
“Se non le
temi, butta pure giù le carte.”
“E
da quando stiamo parlando di me?”
“Sei
tu che stai parlando di te. Tu
li hai presi.”
Fedor si
irrigidì. Lo sguardo del
ragazzo era limpido.
La luce era
poca, ma dovette
riconoscerlo. Viso da bambola stava in piedi molto meglio di lui.
Quando taceva
era perché non c'era
bisogno di parlare. Quando alzava lo sguardo era per osservare
qualcosa d'importante. Non c'era vodka nella sua pancia a dargli il
calore che gli serviva per camminare.
“Vuoi
vedere il futuro?”, gli
domandò a sua volta.
Non urlare, Fedor.
“Credi
che io ne abbia paura?”
“Lo
stai dicendo tu.”
Non urlare, Fedor.
D'accordo.
Davanti
al Saint che non ne sapeva nulla, Fedor estrasse una carta dal mazzo.
La buttò sul ripiano tondo del tavolino che li divideva. Poi
un'altra. Poi un'altra. Sul centrino di pizzo, liso e perfettamente
pulito, spiccarono la Luna, il Matto e l'Appeso.
Tanta roba.
Byaku
sicuramente ne avrebbe estratto
concetti più elaborati.
La cosa
più elaborata che Fedor riuscì
a pensare fu un bel vaffanculo.
Davanti al
saint che non se sapeva
nulla, provò a pensare a che cosa avrebbe detto il
Negromante al
posto suo. Gli aveva fatto le carte un numero sufficiente di volte
per potere immaginare come sarebbe andata la scena.
La Luna ti indica
un sentiero al
buio,
avrebbe detto Byaku. Sei guidato solamente
dagli
istinti. Hai paura a compiere il passo successivo. Di che cosa hai
paura?
“La
Luna indica un sentiero oscuro”, tradusse lui.
“Nell'arco di un
percorso, può indicare esitazione. È all'inizio.
Forse il timore è
infondato. Forse serve solo la forza per procedere.”
Sì,
diciamo così, se proprio ci
tieni.
Sì,
grazie, Byaku.
Un po' di ottimismo. Andiamo avanti.
Il Matto
è il caos dal quale tutto
nasce,
avrebbe detto Byaku. Non
vede dove va, ma non se ne cura. Il suo cammino nulla lascia
presagire. Dove stai andando?
“Il
Matto è il caos dal quale tutto nasce. Con questa carta si
ricomincia da zero”, tradusse nuovamente. “Non vede
dove va, ma
la sua sicurezza istintiva lo difende dai pericoli. Il matto
è
spensierato.”
Come tutti i
matti.
Sì,
certo.
Non mi sembra un
buon termine di
paragone.
Sì,
ma da qualche
parte si dovrà pur partire, no? Avanti.
L'Appeso
simboleggia l'arresto,
avrebbe detto Byaku. E non per tua
volontà. Le circostanze
esterne ti rendono impotente ed incapace di importi. Ed è
sempre
necessario un sacrificio per superare la crisi.
“L'appeso
è una situazione di stallo”, addolcì
Fedor. “bloccata senza
apparente via di uscita. Con un'adeguata riflessione, bisogna cercare
di capire qual è la cosa da abbandonare per incominciare un
ciclo
nuovo.”
Delizioso.
Faccio del mio
meglio.
E ora pagami.
Hyoga di
Cygnus
alzò la testa e studiò il disegno delle carte, ma
non proferì
parola. Per un attimo Fedor si domandò se per caso si fosse
lasciato
sfuggire l'ingiunzione di pagamento, ma era abbastanza certo di
averla lasciata lì, nella sua testa, con la faccia del
cartomante di
fiducia. Non aveva voglia di passare per schizofrenico con un bronze
saint.
“Ho
capito.”
Disse il
bronze
saint.
Aveva capito,
diceva.
Aveva capito.
Come
no.
“Pare
che tu sia nei guai.”
Neanche lo
guardava
più in faccia.
Di
là dal bancone,
come se ci fosse qualche negoziante fantasma pronto a restituirgli il
suo dannato cimelio.
“E
che tu abbia davvero un po' di paura.”
Non urlare,
Fedor.
La storia della
sua vita.
Genitori che non
si parlano, un
bambino spostato come un oggetto. Sua nonna, decrepita, a spiare
tutto dalla poltrona con i suoi brutti occhi da avvoltoio. Non
credeva che l'aria ferma potesse essere così fredda.
Rarefatta, come
quella delle bambole sotto le campane di vetro.
Non urlare,
Fedor.
Le persone ferite
e i loro sguardi
di accusa. Uomini grandi e grossi rintanati nei loro angoli, guarda,
guarda com'è comodo, guarda i miei occhi da cane bastonato,
Fedor,
dispiaciti, corri da me. Yuri e Matt e Josh e Comesichiama
e Comesichiamaquell'altro.
Non provi pena per me, Fedor?
Non urlare,
Fedor.
Byaku che prende
pegno e tace. I
mutismi, le labbra serrate per il troppo orgoglio di entrambi. Le
decine e le centinaia di volte che Fedor mandava giù parole
per il
gozzo e se le lasciava lì a marcire.
Non urlare,
Fedor.
Non urlare, Fedor.
“Fedor.”
Risuonò netto nell'aria chiusa del negozio. “Ti
chiami così?”
“Sì.”
Prima di domandargli il perché, Fedor si ricordò
del nome cucito
sulla vecchia maglia del college. Aggiunse solamente:
“Mandrake.”
“Io
sono Hyoga di Cygnus.”
“Lo
so chi sei tu.” Si sforzò di non suonare astioso.
Ma era
difficile. “Che cosa vuoi? Che cosa stiamo aspettando di
preciso?”
“Io
sono venuto a prendere una vecchia cosa del mio passato”,
disse il
ragazzo.
Viso da
bambola
aveva le spalle la metà delle sue e decisamente
più dritte. Oltre a
dire cose che avrebbe voluto dire lui – o meglio, avere anche
solo
la certezza di poter dire qualcosa del genere. Invece non ne aveva
mezza.
“E
tu?”
“Io?”
rispose Fedor, infatti. “Io non ho proprio niente da
riprendere
indietro.”
“E
allora perché sei qui a Mosca?”
“Mosca
non è la mia città.”
Questa volta
Hyoga
di Cygnus reagì.
Lo
degnò del suo
sguardo, dall'unico occhio azzurro.
Aveva detto
qualcosa che lo aveva sorpreso, pare.
“Non
la è?”
“È
San Pietroburgo. E fa anche più freddo di qua. Un freddo da
gelare
la pancia.”
“Sì,
ho presente.”
Simpatico.
In effetti
doveva
essere uno che di freddo se ne intendesse. La cosa un po' lo faceva
ridere e un po' incazzare assieme. O forse era il nervosismo
più
generale di quando si comincia a scoperchiare un po' di scatole
vecchie.
“Allora
perché sei qui?”
“Ah,
non lo so. Per farmi una vodka come si deve.”
Per
ritornare, sì, ma non-del-tutto: senza dirlo a nessuno,
tanto per
cominciare, che sa troppo di cosa ufficiale. Non ritornare
che ritornare
era una
cosa seria. Mosca era sempre la Russia, ma era ancora lontana da San
Pietroburgo. Una soluzione di comodo. Un quasi-ritornare. Un ritorno
monco. Una cosa a metà. Un occhio guercio.
“Credevo
che voi spectre” disse finalmente il ragazzo, e per dieci
fottutissimi secondi sembrò davvero
un ragazzo. “Non aveste paura della morte.”
Questo fu
più famigliare della vodka.
Prima ancora
della sua vita, c'era una
fiaba.
Prima ancora
delle fiabe, c'erano...
Fedor sorrise
per la prima volta.
“Non
ho paura della morte.” Gli
confidò allora. “Ho paura della vita.”
Non aveva avuto
paura, nemmeno un
po', affondando nell'abisso di terra e radici.
Cose buone, cose
famigliari,
nell'oscurità rassicurante come quella del tuo letto. Cose
contorte
e nascoste e segrete e più vere del vero. Radici che gli
sfioravano
la faccia con amore affondando sempre più giù,
sempre più giù, in
una terra riarsa e calda di vapori sulfurei, in cui si arrotolavano,
annidate, ronfando come gatti soddisfatti.
Il suo maestro
aveva la mascella
dura da denti serrati, e un paio di occhi di ghiaccio da dividerti in
due. Il genere di uomo per cui ti fai ammazzare.
Urla,
Fedor, gli
aveva detto.
Urla.
Oh, Dio,
sì.
Anni e anni di
vita mortale in quel
nodo gonfio e tirato, in quell'urlo che aspettava di esplodere e
quando è esploso ha distrutto e ammazzato. All'inizio se ne
era
pentito – questa
è la
punizione di tutti i peccati, Dio – ma poi
mai più. Mai
più. E
liberaci da ogni male.
Così
sì che aveva senso. Urla e liberaci da tutti i mali.
Sottoterra ci
stava bene.
Morto era morto
persino volentieri.
E adesso, cosa
tornava a vivere a
fare?
Uscendo dal suo
girone infernale,
aveva sputato tra i denti un vaffanculo.
“Ho
capito.”
Disse il
bronze
saint.
Aveva capito,
diceva.
Aveva capito.
Forse
sì.
Non la pensava
allo
stesso modo, certo.
Ma forse messa
così
la poteva almeno capire.
Suonò
il
campanello all'ingresso. La signora era rientrata.
Una zaffata di
freddo, e la vecchia allungò le mani unghiute al volto del
difensore
della Giustizia. Gli tirò le guance.
“Sapevo
che mi avresti aspettato, piccolo.”
“Come
sta,
tetja Dana?”
“Bene,
piccino. Dovevo comprare il
burro.”
La vecchia
curva aprì lo sportello a
molla che separava i due uomini dal bancone del negozio, e per farlo
mollò la borsa della spesa in mano a Fedor. Che non
riuscì a
trovare niente da ribattere.
“Vieni
vicino, passa di dietro al
bancone. Attento al gradino. Vieni, vieni a vedere. È bello,
non è
vero? Non l'ho venduto mai, non era in vendita. Tante volte, lo sai,
tante volte me l'hanno chiesto, ma io no, no, no. Lo tengo in vetrina
solo per fare vedere a tutti com'è bello.”
“È
com'era allora, tetja.”
Hyoga finalmente sorrise. “Sei stata cara.”
“Era
di Natassia” rispose lei, come se spiegasse ogni cosa. Un
velo di
lacrime le offuscò gli occhi già opachi di
cataratta. “La piccola
Natassia...”
L'anziana
signora aveva le mani che
tremavano, sfilando il medaglione dal sacchetto di velluto sui cui
era appoggiato in vetrina. Il piatto di metallo penzolò
dalla
catena, tintinnò contro due bicchieri, ne smosse uno,
cozzandoci
malamente. Lei sussultò così forte che Hyoga
dovette trattenerla
per paura che cadesse.
“Che
maldestra.”
“No,
no.”
“Adesso
te lo pulisco.”
“No,
sta bene.”
“Non
si è ammaccato per niente,
guarda.”
“Sta
benissimo.”
“Gli
do una lucidatina.”
Il saint
desistette e la vecchia
inforcò un paio di occhiali per mettersi all'opera con un
panno
bagnato. Solo quando ebbe le lenti sul naso ed entrambe le mani
occupate poté fissare Fedor con la migliore delle
espressioni
arcigne. Le sue sopracciglia erano due cespugli di disapprovazione.
“E
tu, soldato, rimetti a posto
quelle carte.”
“Non
vuole sapere il futuro, nonna?”
“Son
così vecchia che posso crepare
domani.”
L'anziana
signora
dell'antiquario era passata da agnellino belante nelle mani del saint
a testarda caprona faccia a faccia con uno spectre. Fedor lo
notò
con una specie di antica soddisfazione. Sogghignò.
“Tёtja
Dana, cosa dici.”
“Cose
da vecchi, piccino. Adesso questo te lo lucido benino e poi prendiamo
il tè. Se il tuo amico mi ridà la borsa della
spesa.”
“Guardi
che me l'ha messa in mano lei.”
“E
le carte, te lo ho messe anche quelle in mano io?”
Lo spectre
desistette. Appoggiò la borsa di tela sul bancone e rimise a
posto
le carte. Tre arcani maggiori che osservò un'ultima volta
prima di
mischiare all'intero mazzo.
“Certo
che se ti piacciono tanto potresti pure comprarle”
chiosò l'ormai
nota vocina, anche se la proprietaria non alzò
più gli occhi dal
lavoro. Pareva che non dovesse smettere mai di lucidare quell'affare.
Fedor si domandò se non l'avesse già consumato a
strofinacci,
durante quel tempo che aveva conservato il cimelio, e come facesse il
saint ad essere così paziente.
“Mi
piacerebbe, nonnina, ma i mazzi di tarocchi non si comprano. Vanno
regalati.”
“Come
siete difficili voi giovani. E va bene. Mettili qua sopra che te li
tengo da parte. Manda pure un tuo amico a prenderli.”
Fedor rise, ad
alta
voce.
Si
guadagnò
un'occhiata di rimprovero da Viso da bambola, ma dalla vecchia
stranamente no.
Si
cacciò le mani
in tasca, ignorando entrambi, e aprì la porta sul freddo.
“Me
ne ricorderò, nonna.”
“Mandrake.”
“Tranquillo.
Ci rivedremo, forse.”
Non aveva
molta
importanza.
Lasciò
Hyoga di Cygnus alla sua tetja
mezza cieca e ai suoi cimeli.
Non aveva
nessun passato da
riprendersi, ma un posto in cui tornare sì.
Il ventre
della terra era accogliente,
e vi penetrò con soddisfazione.
S'immerse a
fondo, aprendo passaggi
nascosti ai mortali. Ne percorse le viscere umide e sempre
più
roventi, ed infine batté i piedi sul suolo pietroso. Si
sentì a
casa: brulichio di radici che strisciano soddisfatte nell'humus della
terra madre.
Avvertì
immediatamente un Cosmo
potente provenire dalle carceri, ruderi pericolanti battuti dal
vento. Le sue carceri. Affrettò il passo, convinto di
trovare il
Maggiore allineare i soldati all'appello. Questa volta sarebbe stato
in ritardo.
“Fedor”,
lo apostrofò Olim di
Fafnir appena fece il suo ingresso.
“Signore”,
rispose lui
immediatamente, allineandosi al suo compagno d'armi, già in
posizione al centro della stanza.
Da lui ricevette una strizzata
d'occhio, pur nella sua immobilità marziale: nulla di grave.
L'ispezione era appena cominciata.
“Dov'eri?”
“Turno
di guardia allo Yomotsu
Hirasaka, signore.”
“Tutto
regolare?”
“Ovviamente.”
Drake di
Scolopendra non disse nulla,
anche se aveva una certa idea di come Fedor avesse impiegato il suo
turno: aveva ancora addosso l'aria pungente di un paese non suo, e
che non avrebbe saputo riconoscere. Ma di certo non era la fossa dei
dannati che soffiava minuscoli fiocchi di neve ghiacciata tra i
capelli dello spectre. Sorrise per conto proprio, impenetrabile.
“Sull'attenti.
Abbiamo in visita il
luogotenente Valentine di Harpy, braccio destro del Generale
Rhadamanthys.”
Il Maggiore
stesso fece un passo
indietro, petto in fuori. Fece un mezzo giro, cedendo il passo
all'uomo che era appena emerso dall'ombra. Ecco il Cosmo che Fedor
aveva avvertito in vista delle carceri: più potente di
quello del
suo maestro, ne vibrarono le catene che pendevano dalle sbarre
arrugginite. Leggermente, come polvere. Fedor schiuse le labbra,
affascinato, e il Luogotenente sfilò loro davanti degnandoli
appena
di un'occhiata.
“Buongiorno,
signore.”
“Buongiorno,
signore.”
“Riposo.”
Li liquidò rapidamente.
“Avevo bisogno di parlare solo con te, Olim.”
“Sissignore.
Drake, Fedor, ritornate
ai vostri posti.”
Entrambi i
soldati fecero il saluto
marziale, battendo i tacchi al passaggio dei due gradi superiori. Poi
sciolsero l'esigua fila, tornando alle loro occupazioni. Il
Luogotenente sparì negli antri bui delle carceri, un lampo
fugace di
colore e di luce metallica al fuoco delle torce. Fedor lo
guardò con
più interesse finché non affondò nel
nero.
“Uh,
una visita rara, da queste
parti.”
“Mh-mh.”
“Ehi,
ma dove ti eri cacciato?”
“L'ho
detto. A sorvegliare
alacremente le distese di spiriti in fila indiana. Hanno un ottimo
senso dell'orientamento, comunque”, sogghignò
Fedor, raggiungendo
l'altro carceriere.
Notò
un lampo divertito nello sguardo
di Drake, che d'altro canto non insistette. Avrebbe visto la sdrucita
maglia del college sotto la surplice solo a fine giornata, ma anche
allora chissà se avrebbe chiesto qualcosa.
“Non
avevo mai visto così da vicino
il luogotenente Harpy.”
“Nemmeno
io. Zona infame, questa. Più
vicina ai mondi dei mortali che al cuore del regno di Hades. Pochi
coraggiosi spectre si avventurano sin quaggiù”,
motteggiò ancora
Fedor, sradicando un'alabarda arrugginita dalla parete. C'era un bel
po' di lavoro da fare, a rimettere in piedi quel posto.
“Che
ne pensi, Fedor?”
“Un
uomo forte.”
Occhi sottili,
sguardo deciso. Per
niente facile da ferire.
Anzi,
probabilmente con una gran voglia
di urlare anche lui.
“E
un gran bel culo.”
A Drake
occorse una manciata di secondi
per rispondere. Quando realizzò, sollevò la testa
dai suoi moduli
per guardarlo, inarcando le sopracciglia e aggrottando tutta la
fronte.
“Fai
schifo.”
Fedor rise.
“No,
davvero, sei uno schifoso.
Inqualificabile. Adesso ti metti a puntare troppo in alto.”
“E
perché? Non ho mai insidiato
nessuno, io.”
“...Che
faccia tosta. Lasciamo
perdere.”
“Tecnicamente...”
“No,
non voglio sapere proprio niente
di tecnico. Scrosta quell'alabarda.”
“Punto
troppo in alto, dici?”
“Se
non avessi un po' di ritegno, ci
proveresti anche con il Maggiore.”
Fedor
evitò di dire a voce alta quello
che aveva pensava del Maggiore (sì che ci aveva pensato. Di
notte.
Nel suo letto, da solo). Non era esattamente una questione di
ritegno. Ma Drake l'aveva implorato di evitare i dettagli tecnici,
quindi lasciò perdere.
“Non
me lo dici allora dove sei
stato?”
“Mh.
Diciamo che ci ritornerò”,
sogghignò Fedor. “Forse. Un giorno.”
Chissà
se la vecchia glieli avrebbe
tenuti da parte ancora a lungo, quei tarocchi. O se se ne sarebbe
dimenticata, dopo il tè e i biscotti col giovane saint di
Athena –
russo come lui, con quella stessa, sola sentinella azzurra a guardare
le miserie del mondo. Ma pieno di certezze da fare invidia, in un
certo senso.
Beh, lui non
sarebbe stato da meno. Un
salto su, così, di nascosto, poteva ancora farlo.
Forse,
così, di nascosto, un qualche
sordido cartomante un mazzo di carte poteva pure regalarlo.
Dato che a
quanto pare un futuro
c'era...
Angolino della Mandragola Assassina ~ Meglio tardi che mai!
Questa piccola raccolta, invece,
nasce cogliendomi completamente impreparata. Non so che cosa ne
uscirà. So che sarà in tre piccole parti, di cui
questa è la prima. Le scriverò in poco, credo,
per darvele tutte di fila. <<
Questa era Rucci il dicembre scorso. La stessa Rucci che ha finito la
fic di tre miseri capitoli cinque minuti fa. Questa era una Rucci da
prendere a pomodori in faccia (no, tutta questa è
un'evasione. Sono io-adesso quella che merita i pomodori, mi sa.
°_°) Per molte ragioni ho allentato tantissimo con la
scrittura, cosa che non mi era mai successa, e me ne dispiaccio;
confido di poter riprendere col botto un giorno o l'altro, quando
avrò finito tante cose da fare.
Io a Fedor comunque gli voglio
bene. Questo Fedor della Mandragola. Che poi è praticamente
un OC: per quel poco che ho preso dal Lost Canvas e tutto
quello che ho arrogantemente rifatto, fa praticamente paio con Stevan
(il mio altro OC spectre, quello "vero", quello più OC nel
senso della parola, quello che... boh, quello biondo, insomma).
Prendetelo così com'è, ecco. Non pretendo
più di reinterpretare il Fedor del Lost Canvas; me ne guardo
bene. Questo è il mio Fedor, palesemente. Prendeteci le
misure voi come volete. =*=
Avrei voluto in verità spiegare tante altre cose (il
doppione Alraune/Mandragola, per esempio) ma esulava dalla direzione
che hanno preso questi capitoletti di Radici. E quindi
pazienza. Magari troverò il modo un'altra volta, da qualche
altra parte. Spero che vi sia piaciuto tutto quanto, anche nelle sue
allusioni elusive da cogliere. Non è colpa vostra. E' colpa
di quel coso con l'occhio solo là sopra. Ci assomigliamo
molto. Comunque ci vogliamo bene e rimbalziamo l'ammmore a voi tutti.
Ringrazio i Soliti Ignoti, vale a
dire i miei compagnucci dei Gold
Saint e tutta la cricca di Gold Insanity,
in special modo Shinji
che
mi ha regalato un Signor Maggiore, Olim
del Fafnir, altro OC che compare in maniera Cattiva
& Teutonica in
questo capitolo del Canto della Banshee. E' un figone pazzesco
un bellissimo spectre che Fedor è fiero di servire, e
pertanto no, non ci ha provato, neanche un po', giuro.
Altresì devo ringraziare Beat
per avermi prestato il suo amabile Drake
di Scolopendra (non ancora apparso in alcuna fic, per ora, ma il pg
è suo :P), col quale invece Fedor ci ha provato eccome ma lo
stronzo non ci è stato. Però gli vuole bene lo
stesso. L'amicizia corre per vie imperscrutabili e bellissime.
Valentine di Harpy,
personaggio canonicissimo invece (deh :D), è destinato ad
essere il love interest
del nostro simpatico guercio, per la gioia del crack e delle nostre
fantasie più rosa, e difatti lo troverete anche nella
shottina che abbiamo dedicato io e LeFleurDuMal
a questa coppietta: Stella
e Zucchero.
Con questo ho finito e andate in pace. Je vous aime e vi
risponderò presto alle recensioni nello spazietto apposito,
dato che ora si può. *_*
Gioia a voi! <3
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