Sì, mi rendo conto di essere parecchio in ritardo. A mia
discolpa, posso dire che questo capitolo è breve ma...
Intenso.
E vi avviso già da subito: è forse il capitolo
più delirante che io abbia mai scritto. In esso troverete
tre diverse visioni, due punti di vista, voci ovunque, occhi ovunque,
dolore e grida ovunque...
C’è un senso, non sono io che sto impazzendo.
Ecco, volevo soltanto dirvelo.
Buona lettura.
Sybelle
The Phantom of the
Opera – Il Fantasma dell’Opera
Ognuno vive la propria vita e
paga il proprio prezzo per viverla. Il guaio è che molto
spesso si paga per un unico errore. Anzi, non si finisce mai di pagare.
Nei suoi rapporti con gli uomini, il destino non chiude mai i conti.
-Oscar Wilde-
Sarah.
Chi era?
Sarah.
Ah, certo, conoscevo quella voce.
Ciao Sarah.
Ero io.
“Smettila di chiamare quel nome.”
Perché? In
fondo è il tuo
bellissimo nome.
“Sei in vena di ironia, eh?. ...Sto morendo, vero?”
Sì, stiamo
morendo.
“Oh... Mi dispiace. Credo sia colpa mia...”
Stai tranquilla, ho
sbagliato anch’io. Abbiamo sbagliato entrambi. Non avremmo
mai dovuto creare il patto con Logan.
“E’ stato lui a uccidermi, vero?”
... Mi dispiace.
“Avevi ragione tu... Non dovevo fidarmi.”
Non piangere, ti prego.
Mi tastai il viso: “Sto piangendo?”
Sì, sei
terrorizzata. Stai morendo e sei in uno stato di shock. Piangi
perché non esisterai più.
“In fondo non sono mai esistita... In fondo io ho usurpato il
tuo trono. Ma tu, tu che stai morendo insieme a me, non hai
paura?”
Sono stati rari i
momenti in cui non l’ho avuta... Dalla nascita alla morte, in
ogni istante della mia vita, tutto ciò che ho provato
è stato paura.
“Stai piangendo anche tu. Posso asciugare le tue
lacrime?” Mi avvicinai e sfiorai il suo viso, raccogliendo
quelle gocce salate con le dita.
“Sei una bella persona. Forse avresti meritato un
po’ di felicità.” Provai a consolare
quell’anima ferita, ma sapevo che non esisteva una cura. Io
non sarei mai guarita dai miei crimini.
Non l’avremmo fatta franca.
Ho fatto del male ai
miei amici.
Annuii.
L’ho fatto
senza pensarci due volte.
Negai.
Non ho riflettuto sulle
conseguenze delle mie azioni.
Annuii.
Sono una persona
malvagia.
Negai.
Merito di morire.
Meritiamo di morire.
Ammutolii.
“Chi può veramente dire come sarebbe stato, se
avessimo scelto diversamente? Forse a quest’ora saremmo
già stati morti, tutti. Invece ora stiamo morendo solo
noi...”
E Kenny. E quel bambino.
Siamo assassini Sarah!
“A-assassini? N-no... non li abbiamo uccisi noi... Non
è colpa nostra. Non lo è, vero? Non
può esserlo!”
Arretrai spaventata, quando improvvisamente le mie membra
s’irrigidirono come se fossero diventate di pietra.
Mi mancò il respiro: “SOFFOCO!” Invocai
il suo aiuto.
Ma non parlava più, non c’era più; ero
sola, eravamo soli, ero sola, ero solo io, eravamo entrambi!
Un colpo violento al corpo.
Uno strappo netto.
Urlai come se qualcuno mi avesse staccato la pelle di dosso: mi accorsi
con orrore che essa si stava veramente
lacerando; veniva tirata via dalle ossa con lentezza, in modo
inesorabile. Tutto ciò produceva un suono sinistro, orrendo
a sentirsi. Faceva criiik,
criiik, CRIIIK!
Guardai con occhi colmi di terrore quello scempio; mi dissi:
“E’ un sogno.”
Ma impazzivo ugualmente per il male.
Gemiti di panico si alternarono a conati di vomito: potevo vedere i
muscoli staccarsi insieme alla pelle, o spappolarsi, o sciogliersi, o
imputridire nell’ istante stesso in cui venivano a contatto
con l’aria.
Sentii l’impulso di toccare le braccia, ma fu fatale: un
dolore lancinante pervase ogni cellula del mio organismo, accecandomi;
rantolai, singhiozzai qualcosa di indecifrabile.
Mi accorsi presto che ogni tentativo di fermare lo scuoiamento era
inutile: se cercavo di trattenere la pelle, essa si staccava in modo
ancora più violento. Gridai, urlai, bestemmiai.
Piansi.
“Uccidimi, piuttosto!” Parole quasi vomitate, colme
di disperazione.
“UCCIDETEMI!!” Gridavo nel silenzio, contorcendomi.
Ma nessuno rispondeva.
C’erano solo le mie urla e quel dannato suono, quel tetro criik, criik, CRIIK!
Volevo parlare ancora, spiegare (a
chi?) che c’era un errore, che ero solo una
poveretta, solo una piccola creaturina il cui corpo non poteva
tollerare simili torture; volevo riattaccare la pelle e scoprire che
era stato solo un terrificante equivoco, un’impressione, un
errore della mia mente malata.
Io non ero lì e non stavo morendo; non ero lì e
non stavo soffrendo in quel modo così atroce.
Io... io.
Infine osai riguardarmi: mi ritrovai rivestita solo del mio scheletro,
con solo qualche brandello di tessuto a ricoprirmi.
Le mie ossa erano nere,
nere più del diavolo!
Non potevo sopportare oltre: piansi veleno, piansi dolore; strofinai al
punto gli occhi da ritrovarmeli nelle mani scheletriche, grandi come
biglie. Li vidi, pur non avendoli addosso. Urlai ancora, ma non avevo
più lingua.
Era il mio corpo che non
era più mio.
Percepii una strana atmosfera intorno a me: l’aria divenne
viva e rovente, e si apprestò a circondarmi in una morsa
letale. Venni spinta verso l’alto; ciò che mi
stava risucchiando era tanto potente da schiacciarmi. Le ossa si
ruppero, comprimendosi; il dolore divenne agonia.
“Non voglio più soffrire!” Il grido,
disperato, era mio, ma non venne da me. Dalle orbite vuote scesero
lacrime pesanti e melmose, viscide: scendendo, mi corrosero le guance
scavate.
Soffrivo a causa della sofferenza. Non l’avrei augurato a
nessuno, mai; nessuno doveva provare tutto quello. Era disumano.
La spinta si fece più intensa, gli occhi (che fino a quel
momento avevo stretto tra le mani) scivolarono dalla mia presa e
caddero nel vuoto; quando tentai di recuperarli, mi resi conto di
averne di nuovi, ben saldi nel volto.
Incitata da un’insensata voglia di autolesionismo, li toccai
con le dita; irritai la loro superficie ed il dolore fu molto
più acuto di quanto non avrebbe dovuto essere. Lasciai
perdere.
Sarah, non permettere
che ti portino in alto!
“Guardami...”, e lì scoppiai in lacrime,
“... sono uno scheletro. Fa male, fa terribilmente
male!”
Sarah, NON PERMETTERE
CHE TI RISUCCHINO IN ALTO!
Guardai la presenza di fronte a me come pietrificata, incredula:
“Io... Io... TU, proprio TU mi dici che non devo farmi
risucchiare?! HO PAURA, STO MALE!”
Singhiozzai, esausta: “Almeno tu... ascoltami... almeno
tu...”
Le spalle nodose erano scosse dai singhiozzi, le labbra (quel poco che
era rimasto, giusto un brandello di carne) tremavano convulsamente.
Ero brutta, morta e sola. Anzi... Come potevo ancora parlare di essere? Ero ancora? Io non ero!
Cos’ero io? Esisteva un io?
La figura mi guardò in silenzio. La forza si fece
più energica, il mio fragile corpo venne innalzato con
brutalità.
Sopra di me, il buio.
Sarah, OPPONITI!
Ero già morta o era quella, la morte?
SARAH, RESISTI
DANNAZIONE!
O forse quello era il limbo? Ero condannata a quella tortura per
l’eternità, per pagare i miei errori?
SARAH, NO! TORNA QUA,
TORNA DA ME!
“Scusami, ma sono tanto stanca. Tanto, tanto
stanca...” Giustificai così la mia debolezza.
Ma non lo capisci? Lui
ti sta portando via! Vuole rovinarti!
Finsi di non sentire, perché stava diventando fastidiosa
quella voce.
Finsi di non vedere, perché guardare in faccia la
realtà era sempre troppo doloroso.
Finsi, come avevo sempre fatto.
Perché in fondo io non ero che una finzione.
Respirare ancora fu molto più brutale di quanto non mi sarei
mai aspettata: l’aria penetrava nei polmoni troppo
velocemente, non riuscivo a gestirne il flusso. Annaspai come se fossi
appena uscita dall’acqua, cercando di mettere ordine in tutto
quell’ossigeno che entrava ed in tutta
quell’anidride carbonica che usciva.
La forza risucchiante era ancora lì, ma ora mi sosteneva
semplicemente nel vuoto, senza più spingere: era diventata
quasi nulla, tanto che temetti di precipitare ancora.
Precipitare, sì... Ma da dove?
Mi costrinsi a girare la testa, per capire cosa fosse cambiato; che
patimento!
I contorni delle figure erano confusi, indefiniti; mi parve di
distinguere, nell’ombra ( o c’era luce? Non
capivo...), uomini neri, che ad un secondo esame identificai come
incappucciati e avvolti da un mantello tetro. Poi una luce, una luce
debole ma grande; dalla luce giungevano delle voci che sussurravano e
gridavano il mio nome, con grande gioia.
Gli incappucciati ringhiavano, parole dal tono aspro e velenoso
uscivano dalle loro labbra bianche.
Affinai l’udito, dato che la vista non mi era
d’aiuto.
La prima voce (e forse l’unica, la più forte, la
più autentica) che sentii, fu quella di Takao.
Takao? Era morto anche lui?? No, non potevo sopportarlo! Non anche lui!
Lui che aveva dato forza ai suoi amici, che li aveva sempre consolati e
sostenuti! Lui che in fondo era sempre stato il mio...
No, non lui!
“TAKAO!” Gridai, chiamandolo forte. Le mie labbra,
però, non si aprirono. Ero muta.
“E’ Sarah!”
“Guardate, l’ha tirata su!”
“Ci vede?”
“Ma certo, ci sta guardando!”
“E’ viva?”
“Ma che domande fai?! SARAH!”
Mi chiamavano, ma non sapevo dove fossero; non sapevo nemmeno chi
fossero.
Sentivo Takao, sentivo solo Takao. Era come se le mie orecchie fossero
sintonizzate su di lui, come se volessero ascoltare solamente la sua,
di voce. Poi lo vidi; fu un lampo, un’apparizione: un attimo
ed io potevo ancora vedere. Vidi Takao: era nella prigione, vivo. Aveva
le lacrime agli occhi, piangeva per me.
Piangeva perché ero morta?
Focalizzai anche gli altri, piangenti anch’essi. Poi notai i
vampiri incappucciati... furenti.
Sentii la presenza di Armand; per un momento lo ebbi davanti agli
occhi, ma una parte di me sapeva che non era lì. In fondo,
poteva lui mancare? Se avevo capito una cosa di lui, era che non aveva
bisogno del corpo per esserci.
Non mi rincuorò saperlo lì; io volevo il suo
abbraccio, non il suo sguardo onnisciente.
Iniziai a spiegarmi tutto: la sensazione di essere rimasta senza pelle
era probabilmente dovuta alla velocità della caduta,
così come io, in quel momento, non ero morta.
Ero viva.
Perché ero viva? Quale miracolo, o quale sacrilegio era
accaduto?
Sentii una presa forte e secca sul mio collo: emisi un rantolo di
dolore, prima di capire che quella stessa energia che mi aveva spinta
in alto, via dal baratro e verso il mondo dei vivi, ora mi stava
strozzando.
Capii subito: era Logan. E lo vidi, oh, lo vidi! Era là, sul
ponte, con la mano protesa verso di me e stretta in un pugno: i suoi
occhi mandavano fiamme e folgori. Gli altri vampiri (le figure
incappucciate) lo stavano ingiuriando, chiedendogli il motivo di quel
ripensamento, maledicendolo e insultandolo.
Lui rimaneva in silenzio, con lo sguardo fisso verso di me.
Era furioso!
Pazzi i suoi compagni a provocarlo! Pazzi! Non vedevano
l’ira? Non coglievano il tremito di quell’animo
folle di gelosia, cieco per la brama di potere e delirante per le cose
avvenute?
Qualcosa nel suo sguardo mutò, un’idea
attraversò i suoi occhi: aprì la mano, tornai a
respirare; temetti di precipitare ma non successe.
Qualcosa di strano stava accadendo...
Il mio corpo, fino a quel momento rigido e freddo come quello di un
morto, improvvisamente si mosse: fluttuai fino al ponte, dove caddi in
un tonfo. Takao batteva i pugni contro la parete, urlando
“SARAH, SARAH!”, incoraggiato ed accompagnato da
molti altri, dei quali non riuscii a distinguerne nessuno. Stranamente,
riuscii ad incrociare lo sguardo di Yurij, solo il suo. Nei suoi occhi
vidi qualcosa, ma non capii cosa.
Logan mi sovrastava, immenso, senza alcuna emozione in viso.
Oooh... Non era pazzo, avevo visto male. Era tornato ad essere il Logan
dei primi tempi, il calcolatore, il cupo signore di una cupa razza di
cupi mostri. Nell’azzurro dei suoi occhi colsi il sangue
delle sue vittime.
“Logan.” Affannata, sussurrai il suo nome; mi
mancava il respiro, le energie mi abbandonavano; non riuscivo in alcun
modo ad alzarmi.
“Logan.” Ripetei, chiedendomi perché mi
avesse salvata, se allora mi amava davvero o se quello non era che uno
dei suoi tanti giochi di società in cui il dado era in sua
mano ed io non ero che la pedina logora.
“Ho cambiato idea.” Disse soltanto, con tono
incolore ed uniforme.
“Idea?” Domandai con un filo di voce. Non mi
piacevano le sue idee.
Logan si diresse verso la gabbia a passi lenti e sicuri, passando in
rassegna i volti dei suoi prigionieri e prendendosi il tempo di
catturarne l’attenzione: “Lei non
morirà.”
Nessuno sospirò di sollievo; ognuno temette per la propria
vita. Si chiedevano: “Se non lei, allora io?”
Logan rise; anche i vampiri stessi tremarono di terrore, nel sentire
quel suono aspro e metallico.
“Ehi, Ivanov! Ripeti la tua domanda!”
Gridò improvvisamente, facendosi serio.
Yurij sussultò, lo vidi. Lo guardò incredulo,
senza capire di cosa stesse parlando; ma non era uno stupido, non fece
domande superflue; Logan voleva QUELLA domanda e solo quella.
Sì, ma qual era QUELLA?
Logan rise di nuovo: “E’ una domanda che hai
ripetuto più volte, in questi mesi di prigionia!”
Mesi? Erano passati mesi? La stanza iniziò a vorticare:
dov’ero io? Mi ritrovai, in tempo per sentire la risposta di
Yurij, risposta che trapassò il mio cuore da parte a parte.
Yurij infatti prese fiato, ponderò le parole e infine disse,
con cautela: “Dov’è Kei?”
Logan scoppiò nuovamente a ridere, sotto lo sguardo
atterrito di tutti.
“No...” Fiatai.
“Puoi ripetere?” Ora l’attenzione del
vampiro era su di me, era la sua voce ridente quella che mi
interpellava.
Non aspettò la mia risposta –risposta che comunque
non sarei riuscita a ripetere-: “Avete chiesto, domandato,
implorato, immaginato, sperato di sapere dove fosse. Non è
così?”
Rise.
“Suvvia, chiediamolo insieme! DOV’E’ KEI?
Andiamo, su! Non siate timidi! Chiedetelo!”
Stava delirando, non poteva essere vero, non poteva! Logan non avrebbe
mai osato, mai tradito...! Riuscii ad alzarmi, seppur a fatica, ma lo
sguardo di Logan mi arpionò all’istante.
“Non andartene, cara! Non vuoi rispondere?”
“Tu non puoi...!” Fu tutto quello che riuscii a
dire, prima che lui mi apparisse improvvisamente davanti, solo lo
spazio di un respiro a separarci.
I suoi occhi cattivi furono l’ultima cosa che vidi.
“Oh, io posso!” Sibilò.
Denti. Sangue. Grido. Il mio? Sì, sembrava proprio il mio.
Tutto intorno si offuscò, poi mi sembrò di cadere
e di atterrare centinaia di metri più in basso, nelle
profondità dell’universo, in un luogo selvaggio
con fumi e piante velenose; davanti ai miei occhi apparvero scene
inquietanti di orchi danzanti intorno a falò alimentati da
persone vive, mentre vampiri sudici e fetidi attendevano
nell’ombra per assalire i mostri in festa, come felini nella
savana. Senza che mi muovessi, senza neppure volerlo, mi ritrovai in
mezzo agli orchi; la situazione mi parve incredibilmente familiare. Uno
di essi mi vide, gettandomi addosso uno sguardo bieco e nauseabondo
colmo di disprezzo; mi afferrò con brutalità.
CRAC: aveva spezzato il mio braccio ma non me ne accorsi, no,
poiché vedevo solo quei volti deformi, quei denti marci e
quel fuoco alto, immenso. Improvvisamente l’orco mi
lanciò: volai. Un istante ed ero tra le fiamme, festeggiata
da nuove danze frenetiche.
Il fuoco prese la forma di una fenice araba, una fenice dallo sguardo
intelligente e per questo terribile: mi avviluppò ed
artigliò, bruciando la mia pelle fresca; vidi la cute
sciogliersi come cera. Eppure era un dolore sottile, come se quelle
fiamme stessero cercando di lenire il dolore con l’accortezza.
Non avevo già
vissuto tutto questo? La pelle che si scioglie, la fenice che mi
avviluppa, gli orchi così familiari. Io l’avevo
già vissuto, sì. Ma quando?
Davanti a me comparve una mano, che si addentrò nella coltre
di fuoco e mi strappò a quell’inferno: gli orchi
giacevano a terra perché erano stati uccisi dai vampiri ed
uno di questi mi portava in salvo. Era un vampiro cieco: i suoi occhi
erano coperti da un velo opaco.
Mi prese, mi buttò a terra e mi maneggiò con poca
grazia, afferrando i lembi di pelle e mettendoli dove voleva lui,
facendomi gridare di dolore; allungò le mie ossa e
raschiò via le rotondità, lavorando con febbrile
rapidità. Mi plasmava come fossi una candela, o un vaso. Mi
strappò i capelli bruciacchiati e le labbra carnose,
storpiò il naso e, con mio profondo orrore, decise di
cambiare anche i miei bulbi oculari.
Mi contorsi disperata, ma una sua mano afferrò saldamente la
mia testa, bloccandomi. Quel gesto mi impose la calma, quasi mi
rimbambì; dovetti interrompere le grida, frenare
l’impeto e tacere la paura. Fu in quel momento che mi accorsi
di avere un corpo nuovo, un io
nuovo. Le mie ossa erano più robuste ed i miei muscoli
allenati e scattanti, avevo addominali scolpiti e petto piatto, braccia
forti e piedi lunghi. Percepii, tra le mie gambe, un pene.
Aprii di scatto gli occhi: quello
era il MIO corpo!
Era il mio
pene, quello! E i miei occhi? Erano rossi, come sempre? Tastai i
capelli: corti capelli neri, una frangia spettinata sulla fronte... Mi
alzai da terra, saggiando la forza dei miei arti: ero agile.
Mi schiarii la voce: un suono cupo e roco uscì dalle mie
labbra, nulla di aggraziato. Riguardai il vampiro che mi aveva
ricreato, ma fu con orrore che mi accorsi della realtà: non
ero più nella landa abitata dagli orchi, né il
vampiro che avevo davanti era colui che mi aspettavo di vedere.
Ero sul ponte e di fronte a me stava Logan.
Capii.
“Ciao Kei.” Sorrise lui, esponendo con orgoglio i
denti macchiati del mio sangue.
“Non saluti i tuoi amici, Kei? O forse devo chiamarti Sarah?
Suona meglio?” Mi scimmiottò, ammiccando in mia
direzione.
Sgranai gli occhi, mentre sfioravo con alcune dita le labbra sottili e
ruvide: ero io. Ero io! Respiravo velocemente, quasi a singhiozzi, con
la frenesia di un sopravvissuto; ma, diavolo, ero io!
Logan mi guardava con fare a tratti interessato e a tratti nauseato,
girandomi attorno con circospezione come se stesse contemplando una
statua in un museo.
“Ma guardati”, disse in un sussurro,
“guarda come sei cresciuto dall’ultima
volta.”
Improvvisamente compresi la mia situazione: ero circondato da vampiri
ostili e, ancor peggio, ero tornato me stesso proprio di fronte ai miei
amici. Deglutii saliva amara.
Se fossi stato Sarah, sarei impallidito e avrei chiesto
pietà; ma io non ero più Sarah. Ero Kei!
Kei, Kei, Kei. Io ero
Kei!
Come avevo potuto
dimenticarmi di me stesso?
Reagii finalmente come desideravo: mi gettai contro Logan, cercando di
afferrarne il collo; mi sentii d’un tratto inferocito.
“Tu! Lurido bastardo!” Cercai di accanirmi su di
lui, invano: era duro come il cemento, irremovibile e potente come non
mai.
Se la rise di gusto, assaporando i miei colpi come se fossero stati
calici di sangue fresco: “Io ti ho salvato la vita e tu mi
ringrazi così? Sei il solito maleducato, arrogante
sbruffone. Non è su di me che dovresti
concentrarti.”
Aveva dannatamente ragione, purtroppo. Lasciai cadere le braccia,
sconfitto, mentre una nuova consapevolezza entrava in me: non potevo più
nascondermi.
Erano finiti i tempi delle bugie, delle trame e dei tranelli; erano
finiti i tempi dei mascheramenti, delle recite e dei sacrifici; erano
finiti i tempi delle lacrime ingoiate e dei sorrisi insapore. Non ero
più quello che mi era stato detto di essere, non dovevo
più farlo: incredibile come ogni debolezza ricompaia, una
volta scioltosi il cerone. Sarah era stata la maschera che Logan mi
aveva imposto in cambio della vita.
Era diventata una compagna, un’amica, un’altra
anima... Ed ora ero solo.
Mi hai abbandonato, sei
stata risucchiata e ora non esisti più!
Non dare la colpa a me!
Io non sono che la tua ombra, anzi, il sogno di un’ombra*!
Quanto può resistere un’ombra di fronte alla cruda
realtà?
“Kei...” Era la voce di Takao, lui era sempre il
primo e l’unico a parlare. Era un po’ un leader,
dopotutto. Un guerriero. Una volta il guerriero ero io.
Ma non c’era solo la sua voce, io mi ostinavo a sentire la
sua ma non c’era solo quella: percepii molti bisbigli, suoni
diversi tra loro; il presidente si mise a piangere, fu devastante.
Respirai.
Mi voltai.
“Ragazzi.” Gracchiai, trovandomi di fronte al
desolante spettacolo dell’amicizia tradita; Yurij mi guardava
come a domandarmi: “Sei diventato marcio anche tu?”
“Non sono marcio!” Avrei voluto dirgli; ma lo ero,
ero marcio. Nelle ossa (le avevo viste, erano nere!), nel cuore.
Forse ero persino morto. Le mie mani erano gelide.
“Non ci credo...” Sussurrava qualcuno, triste.
“Non ci credo!” Ringhiava qualcun altro, nauseato. Nauseato
da me? Probabile.
Takao era diventato come di pietra, mi fissava con occhi sgranati,
pallido, sfinito, disilluso da tutto.
Logan mi si avvicinò: “Avete tutti perso la
lingua, a quanto vedo.”
Mi strinse per i fianchi fino a farmi male, ma non me ne lamentai,
perché oramai ero diventato un essere vuoto; fece una
qualche battuta crudele che io non sentii e ne rise compiaciuto.
“Noto che questo nuovo attore si è dimenticato le
sue battute; gli spettatori fremono ed il regista si lamenta dello
spettacolo che langue: forse è l’ora di richiamare
in scena la prima attrice, non vi pare?”
Queste ultime parole mi risvegliarono, rigettandomi a forza nel mondo
dei vivi e dei peccatori senza appello.
Riuscii a pensare solo a una cosa: “Se Sarah torna, io sono perduto
per sempre.”
Non potevo permettergli di ricacciarmi via dalla mia stessa psiche e
dal mio stesso corpo; mi ribellai.
Un colpo, un tonfo. Buio.
Senza sapere come, mi ritrovai in ginocchio, con la testa schiacciata
al pavimento.
“Non sei riuscito ad opporti una volta, non riuscirai a farlo
adesso.” Una sentenza.
Una scossa.
Vidi bambini cattivi e deformi circondarmi in un girotondo grottesco,
ridere e cantare parole offensive; dicevano che ero un idiota, dicevano
che ero solo un altro bambino rotto.
Bambino rotto, bambino
rotto!
Anche loro erano rotti; ero destinato a quel ballo eterno di
fanciullini spezzati.
Sarah comparve di fianco a me, riversa al suolo, pallida.
“Sarah!” Urlai. Si svegliò, ma non a
causa mia: un’altra voce la chiamava, insistente.
Articolò una sola parola: “Arrivo.”
Non parlava a me... parlava a Logan.
“No! Fermati, non andare! Guardami Sarah, guardami! Cazzo,
guardami!”
Ma lei non mi vedeva, lei non mi sentiva: mi stava già
seppellendo nel suo inconscio. Avveniva così che
l’ombra soppiantasse il corpo reale, che la maschera
diventasse il volto.
Logan era molto più forte di me: l’amore che lei
provava per Logan era molto più forte di me; mi parve tutto
troppo buffo, troppo spaventosamente buffo; Sarah una volta ero ancora
io, ora non ne ero più sicuro. Era diventata troppo vera,
troppo diversa da me; era nata dalla mia trasformazione, era diventata
il mio alter ego. Ed ora mi sopprimeva.
“SARAH!”
Finalmente si voltò, osservandomi come a dire:
“Ah, è vero, io sono Kei. Come avevo potuto
dimenticarmi di te?”
Sorrisi, porgendole la mano: “Afferrami, Sarah! Ti ha
già strappata via da me una volta, non ripetere
l’errore! Noi
siamo Kei! Ne usciremo insieme, vedrai! Io non potrò mai
tradirti!”
“Kei...” Sussurrò, venendomi incontro
come in uno stato di trance, fluttuando, circondata da nebbie e vapori;
ma quando le sue mani furono ormai ad un tocco dalle mie... Un muro.
Tastammo entrambi con incredula disperazione la barriera che
improvvisamente ci aveva separati, guardandoci come a volerci
rassicurare, come a volerci ripetere che non era colpa nostra, che noi
stavamo facendo davvero di tutti per riunirci alla nostra parte
mancante.
“Kei!” Esclamò la me, sbigottita,
ma non ebbe il tempo di dire altro: una mano enorme, immensa,
l’agguantò, e la trascinò lontano da
me.
“Sarah...” Biascicai. Lei non c’era
più, ed io mi ritrovai di nuovo solo.
Di nuovo solo nei baratri del mio inconscio.
Quando tornai in me
ero a terra, tramortita: Logan non c’era più, non
c’era più nessuno; mi rimisi a sedere e mi
sembrò strano essere così magra e fragile. Vidi
il seno e pensai: “Ah, giusto, avevo anche quello.”
Qualcosa graffiava nel mio animo con ferocia, unghie spezzate e
rovinate, denti agguerriti e grida e imprecazioni: eppure, per quanto
mi sforzassi, non capivo di cosa si trattasse.
L’illuminazione venne in un secondo momento: era Kei.
Io sono KEI.
Provai a ripetermelo, ma non mi fece lo stesso effetto che
–così mi sembrava- mi aveva fatto poco prima;
erano solo parole vuote. Io non ero Kei.
Ecco, suonava già meglio.
Ma quelle persone là, tutta quella gente (chi erano, a
proposito?) che si era accalcata di fronte a me e mi guardava,
incredula e infelice e infuriata, tutte quelle facce non volevano di
nuovo Sarah, lo capii. Loro cercavano Kei.
Dovetti ripescarlo, dunque; d’altronde era lui il vero
colpevole, perciò era più che giusto che fosse
lui a pagare – pagare per ogni errore.
Fu faticoso, ma infine, con un grande sforzo, riuscii a tornare ad
essere Kei.
Eccoli, sono tutti tuoi!
Smettila Sarah!
Arrenditi alla realtà: tu sei me! Tu NON sei TU! Non devi
rinnegarmi!
Un mal di testa allucinante, gambe tremanti e respiro fragile: ecco il
prezzo per il mio ritorno.
Essere me stesso in quel corpo roseo e femminile mi disgustò
(come era successo la prima volta, tanto tempo prima), ma era
necessario e dovetti accettarlo. Del resto, chissà se avrei
mai riavuto indietro il mio vero aspetto.
“Posso spiegare.” Mi aspettavo di sentire una voce
forte e profonda, invece a parlare fu una vocina dolce e tremolante.
Ragiona Kei, questo non
è il tuo corpo! Non puoi sconvolgerti ogni volta!
“Hai permesso che ammazzassero Kappa.” Con mia
profonda sorpresa, fu Max il primo a parlare.
Aveva le lacrime agli occhi.
“Ci hai rinchiusi qua dentro.” Stavolta era Boris.
Pallido.
“Che diavolo hai fatto, Kei?” Takao singhiozzava;
lo guardai con orrore. Avevo spezzato qualcosa, tra di noi: avevo
spezzato qualcosa in lui.
“No...” Rantolai.
“Io non volevo che finisse così...” Le
parole caddero nel vuoto insieme alle lacrime.
E in quel momento, mentre tentavo di riorganizzare i pensieri e di
raccontare ciò che davvero era successo, una voce
più debole, certo, ma più forte delle altre
straziò i miei timpani.
“Che cosa sei diventato? Hai ucciso Kappa...Sei un mostro,
non sei più il nostro amico!”
Era Rei. No, non era semplicemente Rei. Era il loro ultimo barlume di
speranza che crollava miseramente.
In qualche modo, desiderai tornare nel baratro, e morire di nuovo, e
risentire la pelle staccarsi, e gli orchi, e i bambini rotti, e il
sangue, le grida, il fuoco, la paura, l’orrore, il vomito.
Tutto, pur di non essere lì.
Tutto, pur di non essere un mostro.
Ehi, guardate
là! Un traditore!
Un vigliacco, un vile,
un pagliaccio! Il mostro supremo, il nemico più oscuro.
Come ci si sente ad
essere la creatura più abbietta? Come ci si sente ad essere
il peccatore senza ritorno?
Persino Giuda si
vergognerebbe di uno come te! Pensi di meritare un qualche tipo di
perdono?
Neanche la grazia della
morte, meriti!
Hai giocato con le tue
maschere troppo a lungo, ora le hai fatte sbadatamente cadere. Si sono
spezzate e ti hanno mostrato per come sei realmente.
Sei solo un altro
bambino rotto.
Fine 11°
capitolo
Ed eccoci qua... Buon anno, cari!
Lo chiedo con molta, moltissima prudenza: cosa ne pensate?
Qualcuno di voi l’aveva capito, intuito, sperato, azzardato?
Lo ammetto: ho una grande fifa. XD
Ma passo subito alle curiosità...
Curiosità
Questo capitolo in realtà doveva essere ben più
lungo: doveva comprendere anche tutta la spiegazione di Kei, i punti di
vista dei personaggi, un finale completamente diverso...
Però rischiavo l’effetto pappardella,
così ho deciso di separare le due cose.
Inoltre, come vi ho già detto è un capitolo
folle: lo scheletro, gli orchi, i bambini... Vi assicuro che
nemmeno io pensavo di scrivere scene simili.
Ma la scrittura mi ha trasportata e mi ha portata fin qui.
Ammetto di essere in grave difficoltà, perché sto
cercando di trasmettere al lettore un qualcosa che io stessa non colgo
appieno. E’ la follia, la pazzia, il delirio. Spero di
riuscire anche solo in minima parte a farvi partecipi di tutto questo.
Poi... Ah, giusto. Sogno di un’ombra è una
citazione del poeta greco Pindaro, per il quale gli uomini
sono "skias
onar", sogni di ombre per l’appunto.
La canzone, come tutti avrete intuito, è tratta
dall’omonimo musical; o meglio, io utilizzo la versione dei
Nightwish.
Inizialmente l’avevo scelta per rappresentare il binomio
Sarah-Logan: lei è la sua pedina, la maschera che lui ha
creato... Tuttavia, arrivati a questo punto è evidente che
si addice maggiormente a Sarah-Kei.
E’ stato, lo assicuro, un capitolo strano: quando ho iniziato
questa storia l’ho immaginato in mille modi, ma mai
così. Mi sto un po’ buttando nel vuoto,
proponendovelo.
Spero davvero che voi capiate il perché di certe scelte.
Non temete, dal prossimo capitolo tutto inizierà ad avere un
senso.
BenHuznestova:
salve J Guarda, io fossi in te sarei cauta nel giudicare Armand. Anche
se nei prossimi capitoli avrà molto spazio e avrai modo di
odiarlo –o amarlo, chissà!- ancora di
più. Che dirti, Ben... lo ripeto: le tue opinioni sono
davvero importanti. Quindi incrocio le dita per questo capitolo davvero
molto azzardato. Soprattutto, è arrivato Kei...Kei che
c’era sempre stato. Aspetto la tua opinione, un bacio!
Padme86:
ciao Pad! Come vedi, a volte ritornano... XD In questo capitolo
dovresti finalmente aver capito in cosa consistono i dialoghi di Sarah
con se stessa, vero? E’ Kei che discute con lei, con se
stesso. Sono contenta che ti sia piaciuto lo scenario del lago,
l’ho scritto sperando di renderlo tangibile, visibile, reale.
Armand che uccide Zefir: c’hai preso, per certi versi.
Io amo Logan, ma amo anche Armand: assomiglio a Sarah in questo. XD
Su Kei... t’ho fregata alla grande, eh? Aspetto le tue
opinioni in merito, sono molto curiosa. Un bacio!
Aphrodite:
Scherzetto! Col cavolo che la faccio morire a metà storia.
ù.u’’ Sarah è stata sciocca,
sì: ma lo è stata perché, come spero
si capisca, la situazione intorno a lei e dentro di lei sta
degenerando.
Armand... Armand è molto affascinante; nei prossimi capitoli
acquisirà spazio, spessore e si capirà meglio
quanto sia subdolo e in quanto sia stato falso. Si capirà
anche in cosa è stato sincero però.
Ci credi? Io Logan lo odiavo. Lo detestavo con tutto il cuore. Negli
ultimi capitoli me ne sono innamorata, invece. Me ne sorprendo io
stessa. Armand è perfetto, sì. E capirai solo
alla fine chi è in realtà.
Ed eccoci arrivate a Kei.............. Eeeeeeh, gran brutta storia, eh?
Non credo ti aspettassi che Kei è Sarah. E così,
finalmente, puoi capire perché temevo che lei ti deludesse.
Lei non è lei, ecco tutto. O meglio, inizialmente non era
una lei, poi lo è diventata, soppiantando Kei stesso.
E’ un discorso complesso, me ne rendo conto. Ecco
perché questo capitolo mi spaventa: sto iniziando a svelare
l’impalcatura dello spettacolo, e temo che mostrarla rompa la
magia. Che dire... Aspetto. ._.
Voglio ringraziare tutti
coloro che hanno messo la storia tra i preferiti e tra i seguiti.
Traduzione testo canzone:
[CHRISTINE:]
Mi ha cantato nel sonno
Mi è venuto in sogno,
Quella voce che mi chiama,
E chiama il mio nome.
Sto sognando di nuovo?
Poiché ora scopro
Che il Fantasma dell’Opera è lì,
Nella mia mente.
[FANTASMA:]
Canta ancora una volta con me
Il nostro insolito duetto;
Il mio potere su te
Aumenta ancora di più.
E anche se ti volti
Per guardare indietro,
Il Fantasma dell’Opera è lì
Nella tua mente.
[CHRISTINE:]
Quelli che hanno visto il tuo viso,
Indietreggiano impauriti.
Io sono la maschera che indossi,
[FANTASMA:]
E’ me che ascoltano.
[INSIEME:]
Il mio/tuo spirito e la tua/mia voce
Sono un tutt’uno;
Il Fantasma dell’Opera è lì
Nella tua/mia mente.
E’ lì, il Fantasma dell’Opera
Guardatevi dal Fantasma dell’Opera.
[FANTASMA:]
In tutte le tue fantasie
Hai sempre saputo
Che l’uomo e il mistero
[CHRISTINE:]
Erano entrambi in te.
[INSIEME:]
E in questo labirinto
Dove la notte è cieca,
Il Fantasma dell’Opera è qui
Nella tua/mia mente.
[FANTASMA:]
Canta, angelo mio della musica!
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