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Autore: Sybelle    03/01/2012    2 recensioni
"Come potevano sapere che quello era l’Inferno? Un Inferno persino peggiore del monastero, persino peggiore dell’Inferno stesso.
Come potevano sapere che quello sarebbe stato il primo passo verso la tragedia?"

Se siete pronti ad entrare negli abissi di una mente disperata, prego...accomodatevi.
Sybelle
Genere: Generale, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kei Hiwatari, Nuovo personaggio, Takao Kinomiya, Yuri
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Sì, mi rendo conto di essere parecchio in ritardo. A mia discolpa, posso dire che questo capitolo è breve ma... Intenso.
E vi avviso già da subito: è forse il capitolo più delirante che io abbia mai scritto. In esso troverete tre diverse visioni, due punti di vista, voci ovunque, occhi ovunque, dolore e grida ovunque...
C’è un senso, non sono io che sto impazzendo. Ecco, volevo soltanto dirvelo.
Buona lettura.

Sybelle

The Phantom of the Opera – Il Fantasma dell’Opera

Ognuno vive la propria vita e paga il proprio prezzo per viverla. Il guaio è che molto spesso si paga per un unico errore. Anzi, non si finisce mai di pagare. Nei suoi rapporti con gli uomini, il destino non chiude mai i conti.
-Oscar Wilde-
Sarah.    
Chi era?
Sarah.
Ah, certo, conoscevo quella voce.
Ciao Sarah.
Ero io.
“Smettila di chiamare quel nome.”
Perché? In fondo è il tuo bellissimo nome.
“Sei in vena di ironia, eh?. ...Sto morendo, vero?”
Sì, stiamo morendo.
“Oh... Mi dispiace. Credo sia colpa mia...”
Stai tranquilla, ho sbagliato anch’io. Abbiamo sbagliato entrambi. Non avremmo mai dovuto creare il patto con Logan.
“E’ stato lui a uccidermi, vero?”
... Mi dispiace.
“Avevi ragione tu... Non dovevo fidarmi.”
Non piangere, ti prego.
Mi tastai il viso: “Sto piangendo?”
Sì, sei terrorizzata. Stai morendo e sei in uno stato di shock. Piangi perché non esisterai più.
“In fondo non sono mai esistita... In fondo io ho usurpato il tuo trono. Ma tu, tu che stai morendo insieme a me, non hai paura?”
Sono stati rari i momenti in cui non l’ho avuta... Dalla nascita alla morte, in ogni istante della mia vita, tutto ciò che ho provato è stato paura.
“Stai piangendo anche tu. Posso asciugare le tue lacrime?” Mi avvicinai e sfiorai il suo viso, raccogliendo quelle gocce salate con le dita.
“Sei una bella persona. Forse avresti meritato un po’ di felicità.” Provai a consolare quell’anima ferita, ma sapevo che non esisteva una cura. Io non sarei mai guarita dai miei crimini.
Non l’avremmo fatta franca.
Ho fatto del male ai miei amici.
Annuii.
L’ho fatto senza pensarci due volte.
Negai.
Non ho riflettuto sulle conseguenze delle mie azioni.
Annuii.
Sono una persona malvagia.
Negai.
Merito di morire. Meritiamo di morire.
Ammutolii.
“Chi può veramente dire come sarebbe stato, se avessimo scelto diversamente? Forse a quest’ora saremmo già stati morti, tutti. Invece ora stiamo morendo solo noi...”
E Kenny. E quel bambino. Siamo assassini Sarah!
“A-assassini? N-no... non li abbiamo uccisi noi... Non è colpa nostra. Non lo è, vero? Non può esserlo!”
Arretrai spaventata, quando improvvisamente le mie membra s’irrigidirono come se fossero diventate di pietra.
Mi mancò il respiro: “SOFFOCO!” Invocai il suo aiuto.
Ma non parlava più, non c’era più; ero sola, eravamo soli, ero sola, ero solo io, eravamo entrambi!
Un colpo violento al corpo.
Uno strappo netto.
Urlai come se qualcuno mi avesse staccato la pelle di dosso: mi accorsi con orrore che essa si stava veramente lacerando; veniva tirata via dalle ossa con lentezza, in modo inesorabile. Tutto ciò produceva un suono sinistro, orrendo a sentirsi. Faceva criiik, criiik, CRIIIK!
Guardai con occhi colmi di terrore quello scempio; mi dissi: “E’ un sogno.”
Ma impazzivo ugualmente per il male.
Gemiti di panico si alternarono a conati di vomito: potevo vedere i muscoli staccarsi insieme alla pelle, o spappolarsi, o sciogliersi, o imputridire nell’ istante stesso in cui venivano a contatto con l’aria.
Sentii l’impulso di toccare le braccia, ma fu fatale: un dolore lancinante pervase ogni cellula del mio organismo, accecandomi; rantolai, singhiozzai qualcosa di indecifrabile.
Mi accorsi presto che ogni tentativo di fermare lo scuoiamento era inutile: se cercavo di trattenere la pelle, essa si staccava in modo ancora più violento. Gridai, urlai, bestemmiai.
Piansi.
“Uccidimi, piuttosto!” Parole quasi vomitate, colme di disperazione.
“UCCIDETEMI!!” Gridavo nel silenzio, contorcendomi. Ma nessuno rispondeva.
C’erano solo le mie urla e quel dannato suono, quel tetro criik, criik, CRIIK!    
Volevo parlare ancora, spiegare (a chi?) che c’era un errore, che ero solo una poveretta, solo una piccola creaturina il cui corpo non poteva tollerare simili torture; volevo riattaccare la pelle e scoprire che era stato solo un terrificante equivoco, un’impressione, un errore della mia mente malata.
Io non ero lì e non stavo morendo; non ero lì e non stavo soffrendo in quel modo così atroce.
Io... io.

Infine osai riguardarmi: mi ritrovai rivestita solo del mio scheletro, con solo qualche brandello di tessuto a ricoprirmi.
Le mie ossa erano nere, nere più del diavolo!
Non potevo sopportare oltre: piansi veleno, piansi dolore; strofinai al punto gli occhi da ritrovarmeli nelle mani scheletriche, grandi come biglie. Li vidi, pur non avendoli addosso. Urlai ancora, ma non avevo più lingua.
Era il mio corpo che non era più mio.
Percepii una strana atmosfera intorno a me: l’aria divenne viva e rovente, e si apprestò a circondarmi in una morsa letale. Venni spinta verso l’alto; ciò che mi stava risucchiando era tanto potente da schiacciarmi. Le ossa si ruppero, comprimendosi; il dolore divenne agonia.
“Non voglio più soffrire!” Il grido, disperato, era mio, ma non venne da me. Dalle orbite vuote scesero lacrime pesanti e melmose, viscide: scendendo, mi corrosero le guance scavate.
Soffrivo a causa della sofferenza. Non l’avrei augurato a nessuno, mai; nessuno doveva provare tutto quello. Era disumano.
La spinta si fece più intensa, gli occhi (che fino a quel momento avevo stretto tra le mani) scivolarono dalla mia presa e caddero nel vuoto; quando tentai di recuperarli, mi resi conto di averne di nuovi, ben saldi nel volto.
Incitata da un’insensata voglia di autolesionismo, li toccai con le dita; irritai la loro superficie ed il dolore fu molto più acuto di quanto non avrebbe dovuto essere. Lasciai perdere.
Sarah, non permettere che ti portino in alto!
“Guardami...”, e lì scoppiai in lacrime, “... sono uno scheletro. Fa male, fa terribilmente male!”
Sarah, NON PERMETTERE CHE TI RISUCCHINO IN ALTO!
Guardai la presenza di fronte a me come pietrificata, incredula: “Io... Io... TU, proprio TU mi dici che non devo farmi risucchiare?! HO PAURA, STO MALE!”
Singhiozzai, esausta: “Almeno tu... ascoltami... almeno tu...”
Le spalle nodose erano scosse dai singhiozzi, le labbra (quel poco che era rimasto, giusto un brandello di carne) tremavano convulsamente.
Ero brutta, morta e sola. Anzi... Come potevo ancora parlare di essere? Ero ancora? Io non ero!
Cos’ero io? Esisteva un io?
La figura mi guardò in silenzio. La forza si fece più energica, il mio fragile corpo venne innalzato con brutalità.
Sopra di me, il buio.
Sarah, OPPONITI!
Ero già morta o era quella, la morte?
SARAH, RESISTI DANNAZIONE!
O forse quello era il limbo? Ero condannata a quella tortura per l’eternità, per pagare i miei errori?
SARAH, NO! TORNA QUA, TORNA DA ME!
“Scusami, ma sono tanto stanca. Tanto, tanto stanca...” Giustificai così la mia debolezza.
Ma non lo capisci? Lui ti sta portando via! Vuole rovinarti!
Finsi di non sentire, perché stava diventando fastidiosa quella voce.   
Finsi di non vedere, perché guardare in faccia la realtà era sempre troppo doloroso.
Finsi, come avevo sempre fatto.
Perché in fondo io non ero che una finzione.

Respirare ancora fu molto più brutale di quanto non mi sarei mai aspettata: l’aria penetrava nei polmoni troppo velocemente, non riuscivo a gestirne il flusso. Annaspai come se fossi appena uscita dall’acqua, cercando di mettere ordine in tutto quell’ossigeno che entrava ed in tutta quell’anidride carbonica che usciva.
La forza risucchiante era ancora lì, ma ora mi sosteneva semplicemente nel vuoto, senza più spingere: era diventata quasi nulla, tanto che temetti di precipitare ancora.
Precipitare, sì... Ma da dove?
Mi costrinsi a girare la testa, per capire cosa fosse cambiato; che patimento!
I contorni delle figure erano confusi, indefiniti; mi parve di distinguere, nell’ombra ( o c’era luce? Non capivo...), uomini neri, che ad un secondo esame identificai come incappucciati e avvolti da un mantello tetro. Poi una luce, una luce debole ma grande; dalla luce giungevano delle voci che sussurravano e gridavano il mio nome, con grande gioia.
Gli incappucciati ringhiavano, parole dal tono aspro e velenoso uscivano dalle loro labbra bianche.
Affinai l’udito, dato che la vista non mi era d’aiuto.
La prima voce (e forse l’unica, la più forte, la più autentica) che sentii, fu quella di Takao.
Takao? Era morto anche lui?? No, non potevo sopportarlo! Non anche lui! Lui che aveva dato forza ai suoi amici, che li aveva sempre consolati e sostenuti! Lui che in fondo era sempre stato il mio...
No, non lui!
“TAKAO!” Gridai, chiamandolo forte. Le mie labbra, però, non si aprirono. Ero muta.
“E’ Sarah!”
“Guardate, l’ha tirata su!”
“Ci vede?”
“Ma certo, ci sta guardando!”
“E’ viva?”
“Ma che domande fai?! SARAH!”
Mi chiamavano, ma non sapevo dove fossero; non sapevo nemmeno chi fossero.
Sentivo Takao, sentivo solo Takao. Era come se le mie orecchie fossero sintonizzate su di lui, come se volessero ascoltare solamente la sua, di voce. Poi lo vidi; fu un lampo, un’apparizione: un attimo ed io potevo ancora vedere. Vidi Takao: era nella prigione, vivo. Aveva le lacrime agli occhi, piangeva per me.
Piangeva perché ero morta?
Focalizzai anche gli altri, piangenti anch’essi. Poi notai i vampiri incappucciati... furenti.
Sentii la presenza di Armand; per un momento lo ebbi davanti agli occhi, ma una parte di me sapeva che non era lì. In fondo, poteva lui mancare? Se avevo capito una cosa di lui, era che non aveva bisogno del corpo per esserci. Non mi rincuorò saperlo lì; io volevo il suo abbraccio, non il suo sguardo onnisciente.
Iniziai a spiegarmi tutto: la sensazione di essere rimasta senza pelle era probabilmente dovuta alla velocità della caduta, così come io, in quel momento, non ero morta.
Ero viva.
Perché ero viva? Quale miracolo, o quale sacrilegio era accaduto?
Sentii una presa forte e secca sul mio collo: emisi un rantolo di dolore, prima di capire che quella stessa energia che mi aveva spinta in alto, via dal baratro e verso il mondo dei vivi, ora mi stava strozzando.
Capii subito: era Logan. E lo vidi, oh, lo vidi! Era là, sul ponte, con la mano protesa verso di me e stretta in un pugno: i suoi occhi mandavano fiamme e folgori. Gli altri vampiri (le figure incappucciate) lo stavano ingiuriando, chiedendogli il motivo di quel ripensamento, maledicendolo e insultandolo.
Lui rimaneva in silenzio, con lo sguardo fisso verso di me.
Era furioso!
Pazzi i suoi compagni a provocarlo! Pazzi! Non vedevano l’ira? Non coglievano il tremito di quell’animo folle di gelosia, cieco per la brama di potere e delirante per le cose avvenute?
Qualcosa nel suo sguardo mutò, un’idea attraversò i suoi occhi: aprì la mano, tornai a respirare; temetti di precipitare ma non successe.
Qualcosa di strano stava accadendo...
Il mio corpo, fino a quel momento rigido e freddo come quello di un morto, improvvisamente si mosse: fluttuai fino al ponte, dove caddi in un tonfo. Takao batteva i pugni contro la parete, urlando “SARAH, SARAH!”, incoraggiato ed accompagnato da molti altri, dei quali non riuscii a distinguerne nessuno. Stranamente, riuscii ad incrociare lo sguardo di Yurij, solo il suo. Nei suoi occhi vidi qualcosa, ma non capii cosa.
Logan mi sovrastava, immenso, senza alcuna emozione in viso.
Oooh... Non era pazzo, avevo visto male. Era tornato ad essere il Logan dei primi tempi, il calcolatore, il cupo signore di una cupa razza di cupi mostri. Nell’azzurro dei suoi occhi colsi il sangue delle sue vittime.
“Logan.” Affannata, sussurrai il suo nome; mi mancava il respiro, le energie mi abbandonavano; non riuscivo in alcun modo ad alzarmi.
“Logan.” Ripetei, chiedendomi perché mi avesse salvata, se allora mi amava davvero o se quello non era che uno dei suoi tanti giochi di società in cui il dado era in sua mano ed io non ero che la pedina logora.
“Ho cambiato idea.” Disse soltanto, con tono incolore ed uniforme.
“Idea?” Domandai con un filo di voce. Non mi piacevano le sue idee.
Logan si diresse verso la gabbia a passi lenti e sicuri, passando in rassegna i volti dei suoi prigionieri e prendendosi il tempo di catturarne l’attenzione: “Lei non morirà.”
Nessuno sospirò di sollievo; ognuno temette per la propria vita. Si chiedevano: “Se non lei, allora io?”
Logan rise; anche i vampiri stessi tremarono di terrore, nel sentire quel suono aspro e metallico.
“Ehi, Ivanov! Ripeti la tua domanda!” Gridò improvvisamente, facendosi serio.
Yurij sussultò, lo vidi. Lo guardò incredulo, senza capire di cosa stesse parlando; ma non era uno stupido, non fece domande superflue; Logan voleva QUELLA domanda e solo quella. Sì, ma qual era QUELLA?
Logan rise di nuovo: “E’ una domanda che hai ripetuto più volte, in questi mesi di prigionia!”
Mesi? Erano passati mesi? La stanza iniziò a vorticare: dov’ero io? Mi ritrovai, in tempo per sentire la risposta di Yurij, risposta che trapassò il mio cuore da parte a parte.
Yurij infatti prese fiato, ponderò le parole e infine disse, con cautela: “Dov’è Kei?”
Logan scoppiò nuovamente a ridere, sotto lo sguardo atterrito di tutti.
“No...” Fiatai.
“Puoi ripetere?” Ora l’attenzione del vampiro era su di me, era la sua voce ridente quella che mi interpellava.
Non aspettò la mia risposta –risposta che comunque non sarei riuscita a ripetere-: “Avete chiesto, domandato, implorato, immaginato, sperato di sapere dove fosse. Non è così?”
Rise.
“Suvvia, chiediamolo insieme! DOV’E’ KEI? Andiamo, su! Non siate timidi! Chiedetelo!”
Stava delirando, non poteva essere vero, non poteva! Logan non avrebbe mai osato, mai tradito...! Riuscii ad alzarmi, seppur a fatica, ma lo sguardo di Logan mi arpionò all’istante.
“Non andartene, cara! Non vuoi rispondere?”
“Tu non puoi...!” Fu tutto quello che riuscii a dire, prima che lui mi apparisse improvvisamente davanti, solo lo spazio di un respiro a separarci.
I suoi occhi cattivi furono l’ultima cosa che vidi.
“Oh, io posso!” Sibilò.
Denti. Sangue. Grido. Il mio? Sì, sembrava proprio il mio. Tutto intorno si offuscò, poi mi sembrò di cadere e di atterrare centinaia di metri più in basso, nelle profondità dell’universo, in un luogo selvaggio con fumi e piante velenose; davanti ai miei occhi apparvero scene inquietanti di orchi danzanti intorno a falò alimentati da persone vive, mentre vampiri sudici e fetidi attendevano nell’ombra per assalire i mostri in festa, come felini nella savana. Senza che mi muovessi, senza neppure volerlo, mi ritrovai in mezzo agli orchi; la situazione mi parve incredibilmente familiare. Uno di essi mi vide, gettandomi addosso uno sguardo bieco e nauseabondo colmo di disprezzo; mi afferrò con brutalità.
CRAC: aveva spezzato il mio braccio ma  non me ne accorsi, no, poiché vedevo solo quei volti deformi, quei denti marci e quel fuoco alto, immenso. Improvvisamente l’orco mi lanciò: volai. Un istante ed ero tra le fiamme, festeggiata da nuove danze frenetiche.
Il fuoco prese la forma di una fenice araba, una fenice dallo sguardo intelligente e per questo terribile: mi avviluppò ed artigliò, bruciando la mia pelle fresca; vidi la cute sciogliersi come cera. Eppure era un dolore sottile, come se quelle fiamme stessero cercando di lenire il dolore con l’accortezza.
Non avevo già vissuto tutto questo? La pelle che si scioglie, la fenice che mi avviluppa, gli orchi così familiari. Io l’avevo già vissuto, sì. Ma quando?
Davanti a me comparve una mano, che si addentrò nella coltre di fuoco e mi strappò a quell’inferno: gli orchi giacevano a terra perché erano stati uccisi dai vampiri ed uno di questi mi portava in salvo. Era un vampiro cieco: i suoi occhi erano coperti da un velo opaco.
Mi prese, mi buttò a terra e mi maneggiò con poca grazia, afferrando i lembi di pelle e mettendoli dove voleva lui, facendomi gridare di dolore; allungò le mie ossa e raschiò via le rotondità, lavorando con febbrile rapidità. Mi plasmava come fossi una candela, o un vaso. Mi strappò i capelli bruciacchiati e le labbra carnose, storpiò il naso e, con mio profondo orrore, decise di cambiare anche i miei bulbi oculari.
Mi contorsi disperata, ma una sua mano afferrò saldamente la mia testa, bloccandomi. Quel gesto mi impose la calma, quasi mi rimbambì; dovetti interrompere le grida, frenare l’impeto e tacere la paura. Fu in quel momento che mi accorsi di avere un corpo nuovo, un io nuovo. Le mie ossa erano più robuste ed i miei muscoli allenati e scattanti, avevo addominali scolpiti e petto piatto, braccia forti e piedi lunghi. Percepii, tra le mie gambe, un pene.
Aprii di scatto gli occhi: quello era il MIO corpo!
Era il mio pene, quello! E i miei occhi? Erano rossi, come sempre? Tastai i capelli: corti capelli neri, una frangia spettinata sulla fronte... Mi alzai da terra, saggiando la forza dei miei arti: ero agile.
Mi schiarii la voce: un suono cupo e roco uscì dalle mie labbra, nulla di aggraziato. Riguardai il vampiro che mi aveva ricreato, ma fu con orrore che mi accorsi della realtà: non ero più nella landa abitata dagli orchi, né il vampiro che avevo davanti era colui che mi aspettavo di vedere.
Ero sul ponte e di fronte a me stava Logan.
Capii.
“Ciao Kei.” Sorrise lui, esponendo con orgoglio i denti macchiati del mio sangue.
“Non saluti i tuoi amici, Kei? O forse devo chiamarti Sarah? Suona meglio?” Mi scimmiottò, ammiccando in mia direzione.
Sgranai gli occhi, mentre sfioravo con alcune dita le labbra sottili e ruvide: ero io. Ero io! Respiravo velocemente, quasi a singhiozzi, con la frenesia di un sopravvissuto; ma, diavolo, ero io!
Logan mi guardava con fare a tratti interessato e a tratti nauseato, girandomi attorno con circospezione come se stesse contemplando una statua in un museo.
“Ma guardati”, disse in un sussurro, “guarda come sei cresciuto dall’ultima volta.”
Improvvisamente compresi la mia situazione: ero circondato da vampiri ostili e, ancor peggio, ero tornato me stesso proprio di fronte ai miei amici. Deglutii saliva amara.
Se fossi stato Sarah, sarei impallidito e avrei chiesto pietà; ma io non ero più Sarah. Ero Kei!
Kei, Kei, Kei. Io ero Kei!
Come avevo potuto dimenticarmi di me stesso?
Reagii finalmente come desideravo: mi gettai contro Logan, cercando di afferrarne il collo; mi sentii d’un tratto inferocito.
“Tu! Lurido bastardo!” Cercai di accanirmi su di lui, invano: era duro come il cemento, irremovibile e potente come non mai.
Se la rise di gusto, assaporando i miei colpi come se fossero stati calici di sangue fresco: “Io ti ho salvato la vita e tu mi ringrazi così? Sei il solito maleducato, arrogante sbruffone. Non è su di me che dovresti concentrarti.”
Aveva dannatamente ragione, purtroppo. Lasciai cadere le braccia, sconfitto, mentre una nuova consapevolezza entrava in me: non potevo più nascondermi.
Erano finiti i tempi delle bugie, delle trame e dei tranelli; erano finiti i tempi dei mascheramenti, delle recite e dei sacrifici; erano finiti i tempi delle lacrime ingoiate e dei sorrisi insapore. Non ero più quello che mi era stato detto di essere, non dovevo più farlo: incredibile come ogni debolezza ricompaia, una volta scioltosi il cerone. Sarah era stata la maschera che Logan mi aveva imposto in cambio della vita.
Era diventata una compagna, un’amica, un’altra anima... Ed ora ero solo.
Mi hai abbandonato, sei stata risucchiata e ora non esisti più!
Non dare la colpa a me! Io non sono che la tua ombra, anzi, il sogno di un’ombra*! Quanto può resistere un’ombra di fronte alla cruda realtà?
“Kei...” Era la voce di Takao, lui era sempre il primo e l’unico a parlare. Era un po’ un leader, dopotutto. Un guerriero. Una volta il guerriero ero io.
Ma non c’era solo la sua voce, io mi ostinavo a sentire la sua ma non c’era solo quella: percepii molti bisbigli, suoni diversi tra loro; il presidente si mise a piangere, fu devastante.
Respirai.
Mi voltai.
“Ragazzi.” Gracchiai, trovandomi di fronte al desolante spettacolo dell’amicizia tradita; Yurij mi guardava come a domandarmi: “Sei diventato marcio anche tu?”
“Non sono marcio!” Avrei voluto dirgli; ma lo ero, ero marcio. Nelle ossa (le avevo viste, erano nere!), nel cuore.
Forse ero persino morto. Le mie mani erano gelide.
“Non ci credo...” Sussurrava qualcuno, triste.
“Non ci credo!” Ringhiava qualcun altro, nauseato. Nauseato da me? Probabile.
Takao era diventato come di pietra, mi fissava con occhi sgranati, pallido, sfinito, disilluso da tutto.
Logan mi si avvicinò: “Avete tutti perso la lingua, a quanto vedo.”
Mi strinse per i fianchi fino a farmi male, ma non me ne lamentai, perché oramai ero diventato un essere vuoto; fece una qualche battuta crudele che io non sentii e ne rise compiaciuto.
“Noto che questo nuovo attore si è dimenticato le sue battute; gli spettatori fremono ed il regista si lamenta dello spettacolo che langue: forse è l’ora di richiamare in scena la prima attrice, non vi pare?”
Queste ultime parole mi risvegliarono, rigettandomi a forza nel mondo dei vivi e dei peccatori senza appello.
Riuscii a pensare solo a una cosa: “Se Sarah torna, io sono perduto per sempre.”
Non potevo permettergli di ricacciarmi via dalla mia stessa psiche e dal mio stesso corpo; mi ribellai.
Un colpo, un tonfo. Buio.
Senza sapere come, mi ritrovai in ginocchio, con la testa schiacciata al pavimento.
“Non sei riuscito ad opporti una volta, non riuscirai a farlo adesso.” Una sentenza.
Una scossa.
Vidi bambini cattivi e deformi circondarmi in un girotondo grottesco, ridere e cantare parole offensive; dicevano che ero un idiota, dicevano che ero solo un altro bambino rotto.
Bambino rotto, bambino rotto!
Anche loro erano rotti; ero destinato a quel ballo eterno di fanciullini spezzati.
Sarah comparve di fianco a me, riversa al suolo, pallida.
“Sarah!” Urlai. Si svegliò, ma non a causa mia: un’altra voce la chiamava, insistente.
Articolò una sola parola: “Arrivo.”
Non parlava a me... parlava a Logan.
“No! Fermati, non andare! Guardami Sarah, guardami! Cazzo, guardami!”
Ma lei non mi vedeva, lei non mi sentiva: mi stava già seppellendo nel suo inconscio. Avveniva così che l’ombra soppiantasse il corpo reale, che la maschera diventasse il volto.
Logan era molto più forte di me: l’amore che lei provava per Logan era molto più forte di me; mi parve tutto troppo buffo, troppo spaventosamente buffo; Sarah una volta ero ancora io, ora non ne ero più sicuro. Era diventata troppo vera, troppo diversa da me; era nata dalla mia trasformazione, era diventata il mio alter ego. Ed ora mi sopprimeva.
“SARAH!”
Finalmente si voltò, osservandomi come a dire: “Ah, è vero, io sono Kei. Come avevo potuto dimenticarmi di te?”
Sorrisi, porgendole la mano: “Afferrami, Sarah! Ti ha già strappata via da me una volta, non ripetere l’errore! Noi siamo Kei! Ne usciremo insieme, vedrai! Io non potrò mai tradirti!”
“Kei...” Sussurrò, venendomi incontro come in uno stato di trance, fluttuando, circondata da nebbie e vapori; ma quando le sue mani furono ormai ad un tocco dalle mie... Un muro.
Tastammo entrambi con incredula disperazione la barriera che improvvisamente ci aveva separati, guardandoci come a volerci rassicurare, come a volerci ripetere che non era colpa nostra, che noi stavamo facendo davvero di tutti per riunirci alla nostra parte mancante.
“Kei!” Esclamò la me, sbigottita, ma non ebbe il tempo di dire altro: una mano enorme, immensa, l’agguantò, e la trascinò lontano da me.
“Sarah...” Biascicai. Lei non c’era più, ed io mi ritrovai di nuovo solo.
Di nuovo solo nei baratri del mio inconscio.

Quando tornai in me ero a terra, tramortita: Logan non c’era più, non c’era più nessuno; mi rimisi a sedere e mi sembrò strano essere così magra e fragile. Vidi il seno e pensai: “Ah, giusto, avevo anche quello.”
Qualcosa graffiava nel mio animo con ferocia, unghie spezzate e rovinate, denti agguerriti e grida e imprecazioni: eppure, per quanto mi sforzassi, non capivo di cosa si trattasse.
L’illuminazione venne in un secondo momento: era Kei.
Io sono KEI.
Provai a ripetermelo, ma non mi fece lo stesso effetto che –così mi sembrava- mi aveva fatto poco prima; erano solo parole vuote. Io non ero Kei.
Ecco, suonava già meglio.
Ma quelle persone là, tutta quella gente (chi erano, a proposito?) che si era accalcata di fronte a me e mi guardava, incredula e infelice e infuriata, tutte quelle facce non volevano di nuovo Sarah, lo capii. Loro cercavano Kei.
Dovetti ripescarlo, dunque; d’altronde era lui il vero colpevole, perciò era più che giusto che fosse lui a pagare – pagare per ogni errore.
Fu faticoso, ma infine, con un grande sforzo, riuscii a tornare ad essere Kei.
Eccoli, sono tutti tuoi!
Smettila Sarah! Arrenditi alla realtà: tu sei me! Tu NON sei TU! Non devi rinnegarmi!

Un mal di testa allucinante, gambe tremanti e respiro fragile: ecco il prezzo per il mio ritorno.
Essere me stesso in quel corpo roseo e femminile mi disgustò (come era successo la prima volta, tanto tempo prima), ma era necessario e dovetti accettarlo. Del resto, chissà se avrei mai riavuto indietro il mio vero aspetto.
“Posso spiegare.” Mi aspettavo di sentire una voce forte e profonda, invece a parlare fu una vocina dolce e tremolante.
Ragiona Kei, questo non è il tuo corpo! Non puoi sconvolgerti ogni volta!
“Hai permesso che ammazzassero Kappa.” Con mia profonda sorpresa, fu Max il primo a parlare.
Aveva le lacrime agli occhi.
“Ci hai rinchiusi qua dentro.” Stavolta era Boris. Pallido.
“Che diavolo hai fatto, Kei?” Takao singhiozzava; lo guardai con orrore. Avevo spezzato qualcosa, tra di noi: avevo spezzato qualcosa in lui.
“No...” Rantolai.
“Io non volevo che finisse così...” Le parole caddero nel vuoto insieme alle lacrime.
E in quel momento, mentre tentavo di riorganizzare i pensieri e di raccontare ciò che davvero era successo, una voce più debole, certo, ma più forte delle altre straziò i miei timpani.
“Che cosa sei diventato? Hai ucciso Kappa...Sei un mostro, non sei più il nostro amico!”
Era Rei. No, non era semplicemente Rei. Era il loro ultimo barlume di speranza che crollava miseramente.
In qualche modo, desiderai tornare nel baratro, e morire di nuovo, e risentire la pelle staccarsi, e gli orchi, e i bambini rotti, e il sangue, le grida, il fuoco, la paura, l’orrore, il vomito.
Tutto, pur di non essere lì.
Tutto, pur di non essere un mostro.

Ehi, guardate là! Un traditore!
Un vigliacco, un vile, un pagliaccio! Il mostro supremo, il nemico più oscuro.
Come ci si sente ad essere la creatura più abbietta? Come ci si sente ad essere il peccatore senza ritorno?
Persino Giuda si vergognerebbe di uno come te! Pensi di meritare un qualche tipo di perdono?
Neanche la grazia della morte, meriti!
Hai giocato con le tue maschere troppo a lungo, ora le hai fatte sbadatamente cadere. Si sono spezzate e ti hanno mostrato per come sei realmente.
Sei solo un altro bambino rotto.

Fine 11° capitolo

Ed eccoci qua... Buon anno, cari!
Lo chiedo con molta, moltissima prudenza: cosa ne pensate?
Qualcuno di voi l’aveva capito, intuito, sperato, azzardato?
Lo ammetto: ho una grande fifa. XD
Ma passo subito alle curiosità...

Curiosità
Questo capitolo in realtà doveva essere ben più lungo: doveva comprendere anche tutta la spiegazione di Kei, i punti di vista dei personaggi, un finale completamente diverso...
Però rischiavo l’effetto pappardella, così ho deciso di separare le due cose.
Inoltre, come vi ho già detto è un capitolo folle: lo scheletro, gli orchi, i bambini...  Vi assicuro che nemmeno io pensavo di scrivere scene simili.
Ma la scrittura mi ha trasportata e mi ha portata fin qui.
Ammetto di essere in grave difficoltà, perché sto cercando di trasmettere al lettore un qualcosa che io stessa non colgo appieno. E’ la follia, la pazzia, il delirio. Spero di riuscire anche solo in minima parte a farvi partecipi di tutto questo.
Poi... Ah, giusto. Sogno di un’ombra è una citazione del poeta greco Pindaro, per il quale gli uomini sono "skias onar", sogni di ombre per l’appunto.
La canzone, come tutti avrete intuito, è tratta dall’omonimo musical; o meglio, io utilizzo la versione dei Nightwish.
Inizialmente l’avevo scelta per rappresentare il binomio Sarah-Logan: lei è la sua pedina, la maschera che lui ha creato... Tuttavia, arrivati a questo punto è evidente che si addice maggiormente a Sarah-Kei.
E’ stato, lo assicuro, un capitolo strano: quando ho iniziato questa storia l’ho immaginato in mille modi, ma mai così. Mi sto un po’ buttando nel vuoto, proponendovelo.
Spero davvero che voi capiate il perché di certe scelte.
Non temete, dal prossimo capitolo tutto inizierà ad avere un senso.


BenHuznestova: salve J Guarda, io fossi in te sarei cauta nel giudicare Armand. Anche se nei prossimi capitoli avrà molto spazio e avrai modo di odiarlo –o amarlo, chissà!- ancora di più. Che dirti, Ben... lo ripeto: le tue opinioni sono davvero importanti. Quindi incrocio le dita per questo capitolo davvero molto azzardato. Soprattutto, è arrivato Kei...Kei che c’era sempre stato. Aspetto la tua opinione, un bacio!
Padme86: ciao Pad! Come vedi, a volte ritornano... XD In questo capitolo dovresti finalmente aver capito in cosa consistono i dialoghi di Sarah con se stessa, vero? E’ Kei che discute con lei, con se stesso. Sono contenta che ti sia piaciuto lo scenario del lago, l’ho scritto sperando di renderlo tangibile, visibile, reale.
Armand che uccide Zefir: c’hai preso, per certi versi.
Io amo Logan, ma amo anche Armand: assomiglio a Sarah in questo. XD
Su Kei... t’ho fregata alla grande, eh? Aspetto le tue opinioni in merito, sono molto curiosa. Un bacio!
Aphrodite: Scherzetto! Col cavolo che la faccio morire a metà storia. ù.u’’ Sarah è stata sciocca, sì: ma lo è stata perché, come spero si capisca, la situazione intorno a lei e dentro di lei sta degenerando.
Armand... Armand è molto affascinante; nei prossimi capitoli acquisirà spazio, spessore e si capirà meglio quanto sia subdolo e in quanto sia stato falso. Si capirà anche in cosa è stato sincero però.
Ci credi? Io Logan lo odiavo. Lo detestavo con tutto il cuore. Negli ultimi capitoli me ne sono innamorata, invece. Me ne sorprendo io stessa. Armand è perfetto, sì. E capirai solo alla fine chi è in realtà.
Ed eccoci arrivate a Kei.............. Eeeeeeh, gran brutta storia, eh? Non credo ti aspettassi che Kei è Sarah. E così, finalmente, puoi capire perché temevo che lei ti deludesse. Lei non è lei, ecco tutto. O meglio, inizialmente non era una lei, poi lo è diventata, soppiantando Kei stesso. E’ un discorso complesso, me ne rendo conto. Ecco perché questo capitolo mi spaventa: sto iniziando a svelare l’impalcatura dello spettacolo, e temo che mostrarla rompa la magia. Che dire... Aspetto. ._.

Voglio ringraziare tutti coloro che hanno messo la storia tra i preferiti e tra i seguiti.

Traduzione testo canzone:

[CHRISTINE:]
Mi ha cantato nel sonno
Mi è venuto in sogno,
Quella voce che mi chiama,
E chiama il mio nome.
Sto sognando di nuovo?
Poiché ora scopro
Che il Fantasma dell’Opera è lì,
Nella mia mente.

[FANTASMA:]
Canta ancora una volta con me
Il nostro insolito duetto;
Il mio potere su te
Aumenta ancora di più.
E anche se ti volti
Per guardare indietro,
Il Fantasma dell’Opera è lì
Nella tua mente.

[CHRISTINE:]
Quelli che hanno visto il tuo viso,
Indietreggiano impauriti.
Io sono la maschera che indossi,

[FANTASMA:]
E’ me che ascoltano.

[INSIEME:]
Il mio/tuo spirito e la tua/mia voce
Sono un tutt’uno;
Il Fantasma dell’Opera è lì
Nella tua/mia mente.

E’ lì, il Fantasma dell’Opera
Guardatevi dal Fantasma dell’Opera.

[FANTASMA:]
In tutte le tue fantasie
Hai sempre saputo
Che l’uomo e il mistero

[CHRISTINE:]
Erano entrambi in te.

[INSIEME:]
E in questo labirinto
Dove la notte è cieca,
Il Fantasma dell’Opera è qui
Nella tua/mia mente.

[FANTASMA:]
Canta, angelo mio della musica!
   
 
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