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THE PROPOSAL
CAPITOLO 2
WOULD YOU MARRY ME?
St. Patrick St. era tranquilla e non troppo trafficata quella mattina, quando
uscirono dal palazzo tutti e quattro assieme, come un gruppo di amici
particolarmente affiatato o piuttosto “come una famigliola in vacanza” come li
aveva definiti il portiere, che avevano incrociato sulle scale mentre uscivano.
Arthur era arrossito visibilmente sotto i ciuffi biondo ocra e Alfred era
scoppiato a ridere, cingendo le spalle del fratello e del fidanzato con le
braccia; Francis non aveva detto nulla, ma il sorriso che gli illuminava il
volto era più che eloquente.
“Una famigliola in vacanza?! E tu chi saresti, la mamma?” borbottò l’inglese,
rivolgendosi al francese con espressione imbronciata mentre salivano in
macchina.
L’auto uscì dal garage e si immise sulla strada, dirigendosi a tutta velocità
verso nord: erano ormai le dieci passate e, sulle vie principali, c’era
parecchio traffico, ma Francis non aveva intenzione di farsi passare il
buonumore per una motivazione così stupida.
Dal sedile posteriore, sentiva la voce allegra di Alfred, vanamente rimproverato
da Arthur, che tradiva però la sua soddisfazione nell’essere lì, in vacanza una
volta tanto e di una cosa il francese era certo: Kirkland avrebbe dovuto
concedersi più giorni di relax, il suo umore ci avrebbe sicuramente guadagnato.
“Benvenuti al tour cittadino Bonnefoy.” esclamò all’improvviso, schiarendosi la
voce e modulandola fino a trasformarla in quel lezioso falsetto tipico delle
guide turistiche che affollavano la zona della City Hall o il Toronto Centre of
Arts: “Prego tenere eventuali effusioni amorose per dopo, a meno che queste
effusioni non siano concesse al sottoscritto dal suo Matt.” precisò con un
sorrisino malizioso, che fece avvampare il biondo seduto al suo fianco.
“Umpf, maniaco…” borbottò l’inglese dal sedile posteriore: “Sei proprio un
maniaco.” disse, incrociando le braccia al petto con aria severa; con una
risata, Francis si voltò verso di lui, approfittando del semaforo, “Devo
ricordarti, cherì, quello che hai combinato ai danni del povero Alfred a
Capodanno? Eri totalmente ubriaco e quel santo ragazzo ti ha assecondato in
tutto, anche quando lo hai trascinato davanti al camino e ave-umpf!”.
Subito, Matt si sporse a chiudergli la bocca nell’unico modo possibile, un
bacio, per evitare inutili spargimenti di sangue da parte di un Arthur
letteralmente paonazzo, a stento trattenuto da un Alfred che rideva come un
matto.
In quel momento, scattò il verde e ci volle qualche clacson per permettere al
francese di riprendersi dallo shock del bacio inaspettato.
Il francese sorrise compiaciuto prima di pigiare sull’acceleratore con forse
troppa foga, tanto da mandare l’inglese a sbattere col naso contro il
poggiatesta del sedile del guidatore.
“So già che non ne uscirò vivo da qui…” mugolò dolorante Kirkland,
massaggiandosi il setto nasale nel punto dove aveva preso la botta.
“Dove stiamo andando?” chiese Alfred, guardando fuori dal finestrino con
curiosità: non riusciva proprio a capire cosa c’entrasse quella gita con l’idea
di Francis, “Ehi, fratellino,tu riconosci questa strada?” proseguì,
aggrappandosi allo schienale del sedile del passeggero per sporgersi verso Matt.
Questi annuì: “Dundas Street West, ma non riesco a pensare a un posto…”
s’interruppe improvvisamente, ricordava.
Si voltò verso l’americano seduto dietro, era raggiante: “Toronto Eaton Centre!
Ecco dove stiamo andando!” esclamò, mentre Francis accanto a lui annuiva con
aria sorniona, “Ho pensato che un po’ di shopping avrebbe disteso i nervi di
tutti, soprattutto i tuoi, cherie.” e così dicendo, il francese spiava
Arthur con la coda dell’occhio.
Intanto che parlavano, l’auto aveva già raggiunto la fine della strada e,
svoltato a destra, aveva imboccato Victoria St, con gli alti palazzi che
coprivano il sole.
In un paio di minuti, avevano raggiunto Yonge St e, con essa, la loro
destinazione.
“Benvenuti al Toronto Eaton Centre, il più grande centro commerciale
dell’Est-Canada!” annunciò Francis mentre imboccavano la rampa che portava al
parcheggio sotterraneo; s’infilarono nel primo posto libero e, in un attimo,
Alfred si era già precipitato fuori, afferrando il fratello per il polso e
trascinandoselo dietro: “Sai per caso dove trovare un negozio di videogiochi?”
gli chiese.
Il più piccolo annuì: “È qui vicino.” assicurò.
“Noi andiamo! Se avete bisogno di noi, chiamateci!” esclamò l’americano, prima
di sparire oltre le porte scorrevoli, i due giovani uomini li fissavano
sconvolti, vedendoli allontanarsi su per le scale mobili.
“Quell’Alfred… è decisamente iperattivo. Tanto è tranquillo il mio Matt tanto
lui è esagitato.” sospirò rassegnato Francis, voltandosi verso Arthur: “Ti và di
aiutarmi in questa ricerca?”
L’inglese lo guardò di sottecchi, poi annuì: “Almeno la mia presenza qui servirà
a qualcosa.”.
E, come già avevano fatto i due ragazzini prima di loro, entrambi varcarono le
porte scorrevoli e si gettarono a capofitto nella folla confusionaria.
§§§
“Feli, sei qui?”
Il primo negozio dove Francis aveva trascinato il malcapitato avvocato vendeva
giocattoli.
E
non semplici giocattoli, ma peluche di tutte le forme e dimensioni e di ogni
tipo: dai portachiavi ai modelli in scala.
Era il negozio adatto ai bambini e difatti vantava una discreta fama, anche
grazie ai suoi proprietari, soprattutto uno dei tre.
Feliciano Vargas, un adorabile ragazzino, di poco più giovane rispetto al
francese, di origine italiana: lui e Kiku, un loro vecchio compagno di college,
si erano trasferiti assieme a Ludwig, il fidanzato di Feli, lì a Toronto, dove
avevano intrapreso quella particolare attività commerciale, che dava i suoi
frutti.
E
col carattere dell’italiano, così aperto ed espansivo nei confronti di tutti,
non poteva che essere l’idolo dei più piccoli.
Si udì un tramestio e un tonfo sordo provenire dal retro bottega mentre, da una
porticina a scomparsa dietro il bancone comparve uno strano ciuffo ricurvo:
“Francis, arrivo!” esclamò una vocetta lamentosa dall’altra parte, “Scusa, Kiku
e Lud mi hanno lasciato da solo in negozio mentre loro andavano a ritirare il
tuo pacco dal corriere… E mi è crollata addosso una scatola piena di leoni.”.
Finalmente, Feliciano fece la sua comparsa, teneva ancora in braccio uno degli
“attentatori” e sembrava appena uscito da una lotta di cuscini, tanto era
spettinato e con gli abiti stropicciati: “Quindi è arrivato?” chiese il
francese, poggiando i gomiti sul bancone, “Veh, Kiku ha fatto i salti mortali
per fartelo avere. A quanto pare era fuori produzione da parecchio, ma è
riuscito a convincere un suo vecchio amico a vendergliene uno tra quelli che
ancora teneva in magazzino.”.
Bonnefoy sorrise: “Grazie di cuore, Feli. Mi hai salvato. Senti, riguardo a
quella faccenda lì… Sapresti consigliarmi un metodo per far capitolare anche
quell’orso di Arthur?”.
Vargas lo guardò con espressione stupefatta: “Ma Francis, non puoi sposarti con
entrambi!” esclamò.
“Scemo! Non voglio sposarmi con lui! Devo convincerlo a proporsi ad Alfred!”.
L’italiano sembrò sollevato: “Perché non chiedi ad Antonio? È il proprietario
della gioielleria qui accanto. Anche se, secondo me, lui e il fratellone hanno
qualcosa da nascondere, ogni volta che gli chiedo qualcosa, è sempre in grado di
aiutarmi! È la persona ideale a cui chiedere consigli.”.
Francis fece per aprire bocca, per dire al più giovane che forse era l’unico a
non sapere della relazione tra lo spagnolo e il fratello, ma decise di tacere:
non voleva essere lui la causa di un fratricidio.
“D’accordo, chiederò a lui allora. Tanto devo passare a ritirare una cosa.”
concluse, guardandosi nervosamente attorno: sperava solo che Alfred riuscisse a
tenere Matt lontano abbastanza a lungo per permettere loro di concludere tutte
le faccende.
“Benvenuti, Francis-san, Arthur-san.”.
Ed ecco comparire alle loro spalle Kiku Honda, seguito da Ludwig, che portava su
un carrello un grosso pacco, con timbri doganali stampati un po’ dappertutto, e
l’aria visibilmente soddisfatta: “Almeno non l’hanno tenuto a prendere la
polvere in ufficio per dei mesi.” aveva esclamato il tedesco mentre scaricava,
cercando di staccarsi al contempo di dosso una piattola dal lungo ciuffo
ricurvo.
Il giapponese fece un leggero inchino all’indirizzo dei due ex compagni di
studi, che ricambiarono a loro volta: “Sei stato fortunato, Francis-san. Questo
particolare oggetto era stato prodotto in pochissimi esemplari e credevo che,
difficilmente, ne avrei trovato uno. Ma la tua buona stella ti ha aiutato.”
disse lui, andando dietro il bancone.
Francis si avvicinò al pacco mentre Ludwig si apprestava ad aprirlo, Feliciano
era visibilmente su di giri, tanto che perfino Arthur mollò il peluche a forma
di hamburger che stava guardando per raggiungerli: doveva ammettere che era
curioso di vedere cosa si nascondesse in quel grosso pacco.
Ciò che si palesò dinanzi ai loro occhi aveva dell’incredibile.
Un paio di vispi occhietti neri e lucenti li fissavano, contornati da una folta
e morbida pelliccia bianca che, al tatto sembrava quasi seta, chiunque avesse
prodotto quel meraviglioso pupazzo non doveva aver lesinato sui componenti.
Era un adorabile orsacchiotto di peluche, grosso quanto una persona.
Francis se n’era innamorato subito, non appena l’aveva visto su un vecchio
catalogo del negozio, e Kiku, in virtù della loro amicizia, aveva smosso mari e
monti per trovarlo: non sembrava, ma era stato proprio così, aveva chiamato
praticamente chiunque, sia in madrepatria sia lì in Canada, fino a trovarlo.
“Ecco a voi Kumajiro!” esclamò Feli, cadendo quasi nella scatola nel tentativo
di accarezzarlo.
“Prima di permettervi di andare via,” aveva aggiunto Honda, riemergendo da
dietro il bancone con un filo dorato in mano, “Voglio mettergli questo.” e così
dicendo, si portò a fianco dell’inglese, inginocchiandosi di fronte al pacco e
legando il nastrino al collo dell’orsacchiotto, “Matthew-kun ne sarà
entusiasta.”.
Poi, alzata la testa verso Arthur, sorrise: “Arthur-san, Alfred-kun ti ama,
questo lo sai, vero? So che certe cose non andrebbero dette da chi non c’entra
nulla, però è anche vero che un sentimento del genere non va assolutamente
lasciato morire. Afferra il cielo con le mani, adesso che puoi.”.
Francis non capiva quelle parole ma, quando vide Arthur arrossire
imbarazzatissimo e indicare, senza aprire bocca, un grosso peluche a forma di
hamburger sorridente, più o meno delle stesse dimensioni del Kumajiro che
stazionava ancora nel pacco, fu come se una lampadina gli si fosse accesa nel
cervello.
“Chèrie, non dirmi che ti sei deciso, finalmente!” esclamò con gli occhi
luminosi: “Sono orgoglioso di te!”.
Arthur era paonazzo, ma cercò di darsi un contegno.
Con l’aiuto di Ludwig, e di Feliciano che aveva deciso di partire alla ricerca
dei due ragazzi di modo da placcarli nel caso si fossero avvicinati troppo al
parcheggio, il francese e l’inglese avevano caricato entrambi i colli nel
bagagliaio dell’auto, coprendoli con una pesante coperta di modo che non si
vedessero dall’esterno.
Una volta tornati in negozio, trovarono l’italiano tutto esagitato che parlava
con Kiku: “Feliciano dice che sono ancora nel negozio di videogiochi al piano di
sopra e che non sembra abbiano voglia di andarsene molto presto da lì, almeno
per quanto riguarda Alfred-kun.”.
Francis ridacchiò, massaggiandosi la testa: “Forse è meglio che vada a salvare
il mio fidanzato dalle grinfie di suo fratello. Ma prima, ancora una cosa.”.
Il viaggio nella gioielleria avvenne con l’ausilio dell’onnipresente Feli che,
offertosi di aiutare Arthur nella ricerca di un anello anche per Alfred, li
aveva accompagnati: Antonio, così si chiamava il proprietario, era stato
gentilissimo e aveva avuto tanta pazienza con l’inglese, che non riusciva a
trovare qualcosa che lo soddisfasse appieno senza sembrare troppo barocco o
eccessivamente svenevole e stucchevole.
Alla fine, ripiegò su uno d’argento, senza troppi fronzoli e con una leggera
doratura al centro.
Stavano per uscire quando, all’improvviso, Antonio placcò l’italiano e gli
borbottò qualcosa all’orecchio mentre gli altri aspettavano fuori.
“Che ti ha detto?” chiese curioso Francis, non appena Feliciano ebbe messo piede
fuori: “Mi ha chiesto di dire al fratellone Romano di ricordarsi che devono
vedersi stasera… Chissà perché…” borbottò il ragazzino, affondando le mani nel
grosso grembiule che indossava sopra i vestiti.
Il francese scosse la testa: decisamente Feli non avrebbe mai capito.
Salutarono l’italiano sulla soglia del negozio, promettendogli che lo avrebbero
informato in merito alla “missione segreta”come lui la chiamava, prima di
dirigersi a passo sostenuto verso il piano superiore: “Vedo che Kiku ci sa fare
con te.” ridacchiò il biondo, spiando l’espressione stranamente beata
dell’inglese, “È riuscito a convincerti in meno di mezzo secondo.”.
“Taci!” esclamò lui, imbarazzato: “E non osare dire una parola ad Alfred prima
del tempo, sono stato chiaro?!” ma questo suo tentativo di mostrarsi deciso ebbe
come unico effetto quello di far ulteriormente sganasciare l’amico dalle risate.
“Cosa è successo di tanto divertente?” “Vogliamo saperlo anche noi!”
Alfred e Matthew si erano materializzati in cima alla scala mobile e li
fissavano incuriositi.
“Assolutamente nulla, mon amour!” dichiarò il francese, baciando il proprio
fidanzato sulle labbra con dolcezza: “Siamo passati a salutare Kiku in negozio e
stavamo rivangando i bei vecchi tempi del college, quando il qui presente
inglese era frigido come un iceberg.”.
Alfred sghignazzò, guadagnandosi un’occhiataccia da parte di Arthur.
“Forza, andiamo a mangiare qualcosa!”.
§§§
Con un sospiro cupo, Matthew guardò distrattamente la tazza di caffè ormai
tiepido dinanzi a sé mentre lui e Alfred, seduti al tavolino di un bar,
aspettavano, in teoria, Francis e Arthur, che erano scappati subito dopo pranzo
per…
“Su, non fare quella faccia, dopotutto non sono andati a divertirsi.” cercò di
consolarlo il fratello, tentando al contempo di non scoppiargli a ridere in
faccia: sapeva che, in realtà, non era così, però non importava, tutte quelle
bugie erano per una buona causa.
I
due erano stati chiari: tenere Matt distratto per il tempo necessario a
concludere i preparativi per “l’idea malsanamente svenevole” del
francese, come amava rimarcare l’inglese. E così, con la scusa di una
“telefonata di lavoro particolarmente urgente”, erano schizzati sulla macchina,
dritti verso casa.
L’americano aveva preso dannatamente sul serio il suo ruolo e si era impegnato a
tenere il più possibile su di morale il fratellino in attesa della chiamata del
fidanzato e del “cognato”, anche se era difficile: il suo malumore sembrava
quasi contagioso.
“Però lo cercano sempre, anche quando è il suo giorno libero, non è molto
gentile da parte loro.” borbottò il biondo, sbocconcellando di malavoglia un
biscotto: “Vuol dire che sanno di potersi fidare di lui, che è una persona
capace e in grado di fare qualunque cosa. Trovo che sia molto positivo!” esclamò
Alfred, dando un poderoso morso al suo hamburger, “Mmmh, salsa canadese,
deliziosa!”.
L’altro si lasciò andare a una risatina malinconica: “Però mi chiedo come mai
sia andato con lui anche Arthur.” bofonchiò lui, osservando con grande interesse
il liquido scuro nella tazza.
Ecco, quello sarebbe stato più difficile da giustificare…
“A quanto pare, l’avvocato della compagnia di assicurazioni si trova in ferie!”
replicò, forse con troppa enfasi: “E quel brontolone del mio fidanzato si è
offerto di aiutare Francis in onore della loro vecchia amicizia!”.
L’americano pregò che il fratello ci credesse.
Sembrava di si, perché Matt fece cadere il discorso e propose di andare a fare
un giro al negozio di peluche di Kiku-san: “In libreria e al negozio di
videogiochi siamo passati stamattina, dopotutto.” aveva aggiunto.
Per un attimo, Alfred sentì il cuore balzargli in gola: di Ludwig e del
giapponese ci si poteva fidare, un segreto erano perfettamente in grado di
tenerlo… Ma con Feli non si poteva mai essere sicuri!
“Ehi, fratellone, hai sentito quello che ho detto?” lo scosse Matt, fissandolo
preoccupato.
Il biondo annuì: “S-Si, d’accordo… Andremo a dare un’occhiata, ma dobbiamo
sbrigarci. Siamo a piedi e dobbiamo tornare a casa.” replicò, “Ma sono appena le
cinque, abbiamo un po’ di tempo.” si difese il canadese, alzandosi in piedi e
prendendo la tracolla, “E poi non dobbiamo fare tanta strada…”.
L’americano inghiottì il resto del panino con un paio di morsi mentre Matthew
chiedeva il conto alla cameriera: pagarono in fretta e si alzarono dal tavolo,
muovendosi tra la gente che s’affrettava nello shopping, urtando ragazzine con
le buste delle compere che sballottavano da tutte le parti e osservando
distrattamente le vetrine che riflettevano il loro cammino.
Erano ormai a pochi metri di distanza dal negozio, quando, all’improvviso, Matt
si fermò, tenendo lo sguardo basso, in mezzo alla folla pulsante.
Alfred, non sentendo più il passo regolare del fratellino, si voltò di scatto e
lo vide, immobile tra la calca; si morse un labbro, non gli era mai sembrato
così piccolo e indifeso, neppure quando erano bambini.
Gli andò davanti e, senza dire nulla, lo abbracciò, incurante della gente che li
fissava e di ciò che tutti potevano pensare nel vederli in quella posizione: “È
mio fratello, non devo dare spiegazioni a nessuno.” borbottò tra sé e sé
l’americano, stringendolo ancora più forte.
Voleva solo capire come mai tutto d’un tratto avesse avuto quella reazione, non
era da lui.
“Veh, Mattie! Al!”
Una voce allegra ed estremamente bambinesca li fece sobbalzare e staccare
precipitevolmente, come se fossero stati bambini sorpresi con le mani nella
marmellata.
Davanti a loro, materializzatosi quasi all’improvviso, c’era Feliciano, con un
grosso cesto di delfini di peluche dai meravigliosi toni del blu e dell’azzurro,
con gli occhietti talmente lucidi da sembrare vivi.
“Successo qualcosa?” chiese l’italiano, preoccupatosi per lo sguardo triste del
canadese.
Ma questi scosse la testa, tornando apparentemente di buon umore mentre si
asciugava una lacrima fuggiasca: “Allora venite in negozio! Lud e Kiku saranno
contenti di vedervi!” e senza dire altro, mollò poco gentilmente in braccio
all’americano il cesto e afferrò i polsi di entrambi, trascinandoseli dietro in
una specie di strana gimkana tra le persone. Che a malapena riuscivano a
evitarli.
I
tre arrivarono al negozio con Alfred che aveva un paio di peluche trattenuti a
malapena tra le dita, nel tentativo di non farli cadere a terra.
“Ma che modi sono…?!” brontolò lui senza fiato, scoccando un’occhiataccia
all’italiano ma sentendosi infinitamente più sereno nel vedere Matt che rideva a
crepapelle.
“Feliciano! Cos’hai combinato?”
Il tono severo di Ludwig pose fine alle ultime risate del più piccolo, che aiutò
il fratello a rimettere i delfini nel loro cesto e li consegnò all’italiano:
“Grazie, mi ha fatto bene ridere un po’.” disse, prima di seguire il tedesco
all’interno del negozio.
Kiku li aspettava nel retro, seduto a un basso tavolino con un certo numero di
cuscini tutti intorno e cinque tazze disposte in bell’ordine, con una teiera
fumante al centro.
Non appena il giapponese vide entrare i due ragazzi, alzò la testa, rivolgendo
loro un sorriso gentile e invitandoli a prendere posto con un gesto della mano:
“Avevo il sospetto che sareste passati, oggi.” affermò lui, passando a Feliciano
il piattino coi dolciumi da unire al thè.
Lo sguardo del giapponese si spostò su Matt, mentre si sedeva accanto al
fratello, poi con un sorriso comprensivo gli passò un fazzoletto: “Asciugati gli
occhi, Matt-kun.” gli disse con tono paterno, versandogli il tè nella tazza; lo
osservò con pazienza, mentre anche il tedesco si affrettava a prendere posto,
dopo essersi richiuso la porta alle spalle.
“Ma non c’è pericolo che arrivi qualche cliente?” s’informò Alfred, pescando un
dolcetto dal piattino: “No, abbiamo chiuso per oggi.” replicò il tedesco,
accomodandosi accanto a Feliciano, che gli si accoccolò contro all’istante,
“Aspettavamo voi.”.
A
quelle parole, il canadese alzò di scatto la testa, non capiva proprio dove
volesse andare a parare: “Francis-san e Arthur-san sono passati qui, prima di
andare in ufficio, e ci hanno chiesto di riaccompagnarvi a casa perché loro
avranno parecchio da fare per stasera… e non riusciranno a tornare in un tempo
ragionevole.”.
Alfred prevenne ogni malinconia del fratello cingendogli le spalle col braccio.
“Mattie, su! Non essere triste!” cercò di consolarlo Feliciano, tirando fuori
una marionetta da sotto il tavolo: “Guarda guarda! Anche il Capitano non vuole
che tu lo sia!” e così dicendo, gliela agitava sotto il naso, sembrava un
bambolotto vestito alla marinara, l’americano trovava che somigliasse
incredibilmente all’italiano.
“Veh, veh! Ascolta il Capitano, figliolo. Non andare mai in nave se soffri il
mal di mare, ma resta sulla spiaggia e raccogli conchiglie.
Il canadese lo guardò stupito: “Ma non c’è la rima.” notò il ragazzo.
“E chi l’ha detto che doveva esserci?” ridacchiò Feliciano, muovendo il
bambolotto tramite i fili per farlo ballare sul tavolo, tra le tazze e la
teiera.
Mentre tutti erano troppo presi dal buffo spettacolo messo su in quattro e
quattr’otto dal bruno, nessuno si era accorto del telefonino di Alfred che
squillava, o meglio, vibrava, nella sua tasca: facendolo scivolare fuori con
attenzione, l’americano vide che gli era arrivato un messaggio da parte di
Francis.
Beau-frère, qui è tutto pronto. Potete tornare a casa.
§§§
“Guarda che restare a fissare quel cellulare non serve a granché.”.
Semi-sdraiato com’era sul divano del salotto di casa dei due piccioncini, Arthur
squadrava l’amico con aria critica, e un poco preoccupata.
Perché quella reazione quando era così vicino al suo obiettivo, al suo sogno?
Sembrava triste, quasi malinconico, e anche spaventato, in un certo senso.
“Non mi dirai che ci hai ripensato?!” sbottò l’inglese mentre quel sospetto
cominciava a farsi strada nella sua mente: non credeva che Francis potesse
essere così vigliacco!
“Non è così!”saltò su improvvisamente il francese, facendo cadere a terra il
cellulare con gran fragore: “Io amo Mattie,” mormorò, con tono velato di
tenerezza, “è solo che…”.
Solo che…
“Se non volesse che io gli stia accanto per tutta la vita?”.
§§§
Nel frattempo, i due fratelli erano in macchina con Ludwig e Feliciano, stanchi
e un poco assonnati per la lunga giornata.
Malgrado tutto, però, Williams non riusciva assolutamente a prendere sonno.
C’era qualcosa che lo punzecchiava, qualcosa che gli impediva anche solo di
chiudere un poco gli occhi.
Sbagliava o il suo cellulare vibrava insistentemente in tasca?
Spalancare gli occhi e tirarlo fuori, annaspando e facendolo cadere, furono le
uniche azioni che riuscì a compiere, mentre il cuore gli balzava in gola alla
vista del mittente della chiamata: forse Francis e Arthur avevano finito di
lavorare e li avrebbero raggiunti.
Preda di una sorta di euforia, che cercava in tutti i modi di scacciare la
malinconia e l’orribile sensazione di gelo che lo aveva attanagliato, il
ragazzino rispose: “Francis, noi stiamo tornando a casa, Lud e Feli ci stanno
portando indietro. Voi-“.
Ma la voce del francese suonava incrinata e stranamente seria mentre parlava
con…
“Arthur…?” balbettò il giovane, sgranando gli occhi per lo stupore.
“Hai preparato tutto con cura, vedrai che capirà. Non farti venire strane idee…
Piuttosto, dove hai infilato quegli accidenti di biglietti!? E poi, ricordati di
preparare le valigie, che l’aereo domattina non aspetta.”.
“Lo so, accidenti di un inglese, lo so! Non mettermi ancora più sottopressione,
che finisce che non riesco a dire nulla a Matthew e ci faccio la figura dello
stronzo che illude le persone!”
“Perché, non lo sei, in fondo in fondo?”
“Non voglio che Matthew pensi questo di me!”
Quel dialogo era assurdo…
Anelli, aerei, biglietti, valigie…
Cosa stava succedendo?
“Ohi, Matt, cosa ti prende?!” esclamò Alfred all’improvviso, accorgendosi del
fiume di lacrime che avevano invaso il viso del fratellino minore, che non si
decideva a mollare il telefono.
Con un modo forse un po’ troppo brusco, riuscì infine a strapparglielo di mano e
a guardarne lo schermo: sentì il cuore balzargli in gola quando sentì la voce
del “cognato” e del fidanzato provenire dall’apparecchio.
“…e non dimenticare che ho dovuto portarmi sulla schiena quell’accidenti di orso
di peluche perché non entrava nell’ascensore! Mi hai fatto viaggiare fino a qui
di notte e su un aereo, perdipiù! Anche a costo di prenderti a ceffoni, ti farò
rinsavire!”.
“Io non ho detto di non amare Matthew, anzi! Se non lo amassi, pensi che avrei
organizzato tutto questo per chiedergli di sposarmi?! Ho solo paura della sua
reazione! È ancora molto giovane…”
L’americano maledisse ad alta voce sia il fidanzato che l’altro deficiente: ma
si poteva essere più ottusi?! Far partire una stupida chiamata in quel modo… Era
naturale che suo fratello si fosse spaventato! Senza sapere nulla di quello che
stava accadendo, chiunque si sarebbe preso un coccolone coi fiocchi.
“RAZZA DI DEFICIENTI CHE NON SIETE ALTRO!” gridò il biondo, stringendo al
contempo con forza la mano di Matt.
Poi richiuse la comunicazione, accogliendo tra le sue braccia il fratellino, che
singhiozzava senza controllo.
“Lud, Feli… Potete accelerare un pochettino?” chiese Jones con tono dimesso:
“Quei due cretini hanno rovinato tutto.”.
Senza chiedere nulla, il tedesco annuì, infilandosi attraverso un intrico di
stradine laterali e deserte, mentre l’italiano, con ansia, guardava verso i due
ragazzi seduti dietro: “Mattie, non piangere… O piango anche io…” bisbigliò il
bruno, allungandosi verso di lui, “Il fratellone Romano si arrabbia se piango!”
aggiunse.
Ma dal più giovane non giunse alcuna risposta.
§§§
Impegnati com’erano nella loro discussione, i due nell’appartamento si accorsero
a malapena del campanello che suonava.
Fu solo quando udirono le chiavi girare nel chiavistello che vennero presi dal
panico!
Ma perché non avevano chiamato?!
“Razza di deficienti integrali! Venite a darmi una mano!”
Il tono furente di Alfred, e la totale assenza della voce di Matt,
impensierirono non poco entrambi, che si precipitarono nell’ingresso, solo per
trovare l’americano che teneva stretto tra le braccia il fratellino, svenuto e
incredibilmente pallido, tra le lacrime che scendevano dalle palpebre chiuse.
“Che è successo?!” quasi urlò il francese, accogliendo tra le proprie il corpo
privo di sensi del fidanzato.
Mentre lo portava in salotto per stenderlo sul divano, Arthur e Alfred lo
seguivano.
“È successo, duo di coglioni che non siete altro, che avete fatto partire una
fottuta chiamata al telefonino di Matt, e vi ha sentito!”.
Se Francis non era sobbalzato, poco ci era mancato.
“I-In che senso…?” balbettò l’inglese, perdendo quel poco di colorito che ancora
aveva.
“Nell’unico senso possibile! Eravamo in macchina con Ludwig e Feliciano quando
Matt ha ricevuto una telefonata. Sulle prime non ci ho fatto granché caso, ma
non sentendolo parlare mi sono preoccupato. E l’ho visto piangere! Quando ho
preso il telefono, vi ho sentito. Spiegatemi cosa cavolo vi siete messi in
testa.”.
I
due si guardarono negli occhi con aria confusa, colpevole e anche cupamente
consapevole.
“Dev’essere successo quando la donna mestruata qui presente si è fatta
prendere dall’ansia del proposal.” sfottè l’inglese, guardando storto l’amico.
“Non voglio sapere di chi è la colpa. Era partita bene come giornata, vediamo di
non rovinare tutto per una cazzata, okay?”.
Certo che l’americano era un bel peperino.
“E ora, Francis. Sveglia mio fratello e digli quello che devi, su!”.
“N-Non è necessario… Sono già sveglio.”.
Lo sguardo ferito e triste di Matt era la cosa più brutta che Francis avesse mai
visto in vita sua.
“Non saltare subito alle conclusioni errate, little bro.” lo apostrofò il
biondo, pur se con evidente tenerezza nella voce, sedendosi poi accanto a lui
sul divano per accarezzargli i capelli con affetto: “Questi due hanno piantato
un casino immenso senza volerlo davvero.” Li guardò con espressione truce, “Ti
fidi di me?”.
Gli occhioni di Matt esprimevano tutta la fiducia che aveva nei confronti del
fratello maggiore.
“Perfetto! Ora, prima che la qui presente donna mestruata decida di
buttarsi dalla finestra per la sua stupidità, ti consiglio di stare ad ascoltare
quello che ha da dire.” continuò, poggiandogli lievemente le labbra sulla
fronte.
Scivolando giù dal divano, Alfred lasciò totalmente campo libero a Bonnefoy, che
si avvicinò al fidanzato con lo sguardo basso.
Solo in quel momento, il canadese notò, alle spalle del francese, qualcosa di
incredibile, stagliato contro i vetri da cui entrava il riverbero del tramonto
su Toronto.
Sbagliava o era un orsacchiotto di peluche, grosso quanto lui per di più?
“Mi spiace per quello che hai sentito… Doveva essere una sorpresa, io…”.
Si morse il labbro, incapace di continuare.
Eppure lui amava Mattie, accidenti! Ne amava il sorriso ogni mattina al
risveglio, ne amava le guance arrossate ogniqualvolta rientrava dall’università
in pieno inverno… Ne amava la presenza quando, di notte, erano abbracciati
mentre stavano a letto.
Lo amava, punto.
E
allora perché esitava?!
D’impulso, lo prese tra le braccia, stringendolo con forza al petto e lasciando
il più giovane basito, incapace di comprendere cosa stesse succedendo.
Entrambi scivolarono all’indietro, verso quel pacifico orsacchiotto in loro
attesa, e quando la presa sulle proprie spalle si dissolse, il canadese si
ritrovò disteso in grembo al peluche, con una scatoletta di raso blu sul naso.
“Aprila…” gli sussurrò all’orecchio Francis.
Mettendosi goffamente seduto, il biondo annuì, prendendo l’oggettino con le mani
tremanti.
Dentro, c’era lo stesso anello che avevano scelto al mattino con Antonio, anzi…
Ce n’erano due!
A
quella vista, Arthur annaspò terrorizzato, gettandosi sul piccolo contenitore ma
colpendo gli occhiali di Matt nel tentativo, che andò a cozzare contro il
morbido pelo dell’orso polare alle sue spalle.
Ridendo per l’espressione da triglia bollita di Alfred, che non aveva capito
nulla di ciò che stava succedendo, Bonnefoy, spinse in avanti Jones, che atterrò
sull’hamburger sorridente, e tirò su in piedi Kirkland, che lo fissava con odio.
“Su, cherì. Siamo in ballo e dobbiamo ballare!” esclamò il francese, agguantando
la scatoletta e consegnando uno dei due anelli all’inglese.
“Voulez-vous m'épouser?”
“Would you marry me?”
§§§
ANGOLO DEL LEMURE:
Sono conscia del fatto che ho detto che la fic sarebbe durata solo due capitoli,
ma questo è già di 13 pagine, e c’è ancora moltissimo da dire, quindi mi vedo
costretta a interrompere qui e a rimandare il tutto al prossimo capitolo! Non
credevo sarebbe stata così lunga, mi spiace >< Visto che si è spupazzata il
capitolo in anteprima, la dedica a Elena è quasi doverosa e d’obbligo!
Alla prossima per vedere se…
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