Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Premessa. Visto
che è da un mesetto e più che non pubblico,
e visto che più volte mi è stato detto che c’è chi fa ancora molta confusione
tra i nuovi personaggi, ho pensato di fare un “riassunto delle puntate
precedenti”, concentrandomi un po’ su parentele, legami vari. Se avete tutto
ben chiaro, proseguite allegramente oltre e fate al riassunto ‘ciao ciao’ con la manina. In caso contrario, readthis!
Dunque,
nelle puntate precedenti: per oltre un secolo ho vissuto nel segreto…. Eh no,
questa è roba vecchia. Dunque, la nostra storia è
ambientata circa venticinque anni dopo la serie TV. Damon,Stefan e Katherine non sono più a Mystic Falls ormai da
anni; Damon ha girovagato un po’ per l’Europa con Katherine, ma nell’ultimo
periodo la Petrova si trova in Florida, università di Jacksonville -
ovviamente non per studiare - . Stefan e Caroline si sono trasferiti
a New York, ma dieci anni dopo l’ultima visita della vampira a Mystic Falls, la
ragazza decide di tornare finalmente a casa: la nostra storia incomincia così.
Nel frattempo, a Mystic Falls, i nostri vecchi protagonisti umani sono
cresciuti, si sono sposati, e hanno avuto dei pargoli. Tyler ha tre marmocchi,
Richard jr (Ricki), è il maggiore e frequenta l’università di
Jacksonville assieme al migliore amico Jeffrey Donovan (figlio di Matt e Elena). Lo incontriamo per la prima volta a Jacksonville,
dove Katherine fa conoscenza proprio con Jeff: quella per ora, è l’unica
occasione in cui abbiamo incontrato Katherine, perché Ricki e Jeffrey sono
tornati a Mystic Falls per una settimana. Appena tornato, Ricki nota che c’è
qualcosa di insolito nel modo in cui lo sceriffo
osserva casa sua, e incontra Vicki junior, secondogenita di Elena e
Matt, che da sempre ha una cotta per lui. Dopo Ricki, c’è Caroline (Lockwood),
sportiva e vivace, e Mason Junior, che alla sua prima comparsa,
individua Caroline (Forbes XD) nei corridoi di Mystic Falls ed è sicuro di
averla già vista da qualche parte. Anche Jeremy si è sposato e ha avuto due
figli, Alexander “Xander” (migliore amico di Caroline Lockwood) e Oliver,
che ha ereditato la sua passione per il disegno, e cui carattere mite combacia
alla perfezione con quello opposto – burbero e suscettibile – di Mason, suo
migliore amico. Infine, Bonnie è separata con due figli: Julian, che per
ora abbiamo incontrato solo una volta all’università –
e ci ha mostrato le sue abilità da maghetto
impacciato – e Autumn, che pare non aver ereditato i poteri della madre,
ma che ha un comportamento piuttosto insolito quando incontra Caroline
(Forbes). All’infuori di questa atmosfera composta da
allegre famigliole felici, abbiamo tre loschi individui: lo sceriffo Fell,
già citato prima, il supplente di storia, Gregory Lester, che continua a
interessarsi di particolari sospetti – come l’anello di Alexander che per i
Gilbert si passa di generazione in generazione – e LeanneWillard-Forbes, la misteriosa figliastra di Bill Forbes,
che sembra essersi trasferita a Mystic Falls per indire un nuovo Consiglio,
dopo che gli eredi dei fondatori non ne hanno più convocato uno da anni. Fell,
Lester e Willard-Forbes,hanno
dunque dato origine a un nuovo consiglio, ma pare che dai vampiri, il loro
interesse si sia spostato ai licantropi. Caroline (Forbes) che è venuta a
sapere delle macchinazione insolite del Consiglio dal
padre Bill, ha deciso di tornare a Mystic Falls, proprio per tenere d’occhio la
situazione. Ha riabbracciato la mamma, salutato alcuni dei suoi vecchi amici, e
l’abbiamo lasciata alla partita di Hockey,mentre si
allontanava dalle tribune per andare a prendersi da bere.
Fine super riassunto!Ora
direi di cominciare. Buona lettura!
Dedicato
a chiunque abbia aspettato la scena Forwood con tanto amore (e
insistenza!): siete belle, e spero che questo capitolo non vi deluda.
E
ad Ale bella, che ama Tyler in versione papà [e Mase!]
They say
that home is where the heart is
I guess I haven't found my home.
We keep driving around in circles
afraid to call this place our home.
Are we
there yet?Ingrid Michaelson
Sei anni prima.
Caroline amava New York: la sua personalità vivace
si abbinava perfettamente allo stile di vita frenetico della metropoli, e il
fatto che ci fosse così tanta a vita a circondarla, la aiutava a tenere a bada
le riflessioni troppo scomode, incitandola a godersi un’eternità spensierata,
priva di preoccupazioni troppo grandi.
Eppure, nonostante fossero ormai passati diversi
anni dall’ultima volta che aveva messo piede a Mystic Falls, non era mai
riuscita ad accantonare del tutto la nostalgia per la Virginia.
La rievocava di frequente, sfogliando vecchi album
in compagnia di Stefan, e prendendo poi in giro l’attaccamento nostalgico che
nutriva nei confronti dei luoghi in cui era cresciuta.
Più volte era stata sul
punto di tornare a casa, salvo poi cambiare idea all’ultimo minuto: Mystic
Falls era cambiata per lei, dal primo giorno in cui aveva deciso di lasciarsela
alle spalle. Nonostante nel primo periodo in cui aveva
vissuto a New York tornasse spesso a farle visita, c’era sempre qualcosa che
stonava. Piccoli dettagli fastidiosi che la facevano sentire a disagio, fuori
posto, in luoghi che invece avrebbero sempre dovuto ispirarle fiducia e
quotidianità.
Era quella, per lei, la parte più dolorosa
dell’eternità: girovagare per strade in cui i suoi ricordi echeggiavano ancora,
ma che ormai non la riconoscevano più. Strade che non erano più in grado di
indicarle la via di casa.
Senza più
punti di riferimento stabili nella cittadina in cui aveva vissuto per così
tanti anni, Caroline faceva fatica a ricordare che, seppur non
invecchiando mai, il tempo avrebbe dovuto contribuire anche a farla crescere,
maturare.
Non è facile diventare grandi, quando ci si sente
fuori posto nel luogo in cui si è nati e cresciuti; e per anni, Caroline Forbes
faticò a considerarsi adulta.
Ai suoi occhi, gli occhi di
una diciassettenne, appariva semplicemente come una delle tante ragazze che
frugavano New York con lo sguardo, alla ricerca di un luogo cui appartenere:
una ragazza smarrita.
Chapter
5.
Lost
Girls.
They say
there's linings made of silver
folded inside each rainy cloud
will we need someone to deliver
our silver lining now?
Are we
there yet?Ingrid Michaelson
Eppure, in Virginia ci tornava spesso: a volte da
sola, a volte in compagnia di Stefan – di rado, anche
con Damon. Le piaceva girovagare senza una meta precisa per le cittadine poco
popolate, non poi così dissimili dal luogo in cui era cresciuta. Spesso, si
divertiva a ripercorrere luoghi che aveva visitato da
bambina, di cui ormai possedeva solo un vago ricordo. Il suo preferito era una
piccola riserva naturale che non distava poi molto da Mystic Falls. Era sicura
di esserci stata parecchie volte quando frequentava le elementari, un paio di
quelle probabilmente in gita con la scuola.
Ritornare lì era piacevole, per Caroline; quel luogo
le era familiare, ma non a punto tale
dall’impensierirla nel notare i cambiamenti che c’erano stati nel corso degli
anni.
Tornò a visitare la riserva almeno tre o quattro volte
nel corso di quei dieci anni in cui si tenne lontana da Mystic Falls: in una di
queste visite, si trovò ad avere a che fare con uno dei motivi che più
l’avevano spinta ad abbandonare la cittadina, anche se non se ne rese conto
subito.
Era un ragazzino accovacciato di fronte alla
staccionata, le ginocchia strette al petto. Aveva un’aria particolarmente
crucciata, quasi preoccupata, come se stesse rimuginando su qualcosa che lo
facesse sentire in colpa.
Caroline lo osservò per qualche secondo, improvvisamene
turbata: di ragazzini, alla riserva, ne intravedeva ogni
giorno parecchi. Eppure, in lui, riconobbe qualcosa di tremendamente
familiare.
L’aria abbattuta del bambino e una particolare
sensazione di déjà-vu la convinsero ad avvicinarsi alla staccionata; quando poi,
fu abbastanza vicina da poter esaminare meglio i lineamenti del ragazzino,
qualcosa la costrinse a fermarsi: aveva già incontrato quegli occhi grigi, quel
viso spaurito, prima di quel pomeriggio.
E per quanto il buonsenso continuasse a suggerirle
che si stesse sbagliando, che la coincidenza sarebbe stata troppo forzata, da
una parte sentiva che non poteva essere così: se il suo cuore non fosse stato
immobile ormai da troppo tempo, le avrebbe indicato quel bambino.
Per questo scavalcò la staccionata. Atterrò a pochi
metri di distanza dal ragazzino che sobbalzò, rivolgendole un’occhiata
intimorita. I suoi occhi grigi sgranati alimentarono in Caroline la sensazione
di déjà-vu .
“Ciao!” lo salutò amichevolmente accovacciandosi a
sua volta nell’erba.
“Stai bene?”
Il ragazzino si affrettò ad annuire, evitando il suo
sguardo. Sembrava talmente a disagio, che la stessa Caroline si sentì
attraversare da un vago alone di tristezza.
“Sai?
A me non sembra.” commentò con un sorriso incoraggiante, incrociando
le gambe sul tappeto d’erba.
“Ti stai nascondendo?”
La domanda le sorse spontanea, anche se non riuscì a
comprenderne il perché. Episodi sfocati della sua infanzia sfilarono scomposti
di fronte ai suoi occhi, strappandole un sorriso:
bambine che per capriccio si nascondevano alle mamme arrabbiate, fratellini
pestiferi che si rifugiavano sotto il letto … e Tyler. Tyler che da bambino era
sempre stato il re dei nascondigli.
Il ragazzino, d’altro canto, sembrò sorprendersi
della sua domanda. Sgranò gli occhi una seconda volta, prima di rivolgerle
un’occhiata furtiva.
“Anche io mi sto
nascondendo, sai?”
Rivelò a quel punto Caroline strofinando la mano
sull’erba. Questa volta, fu sicura di aver fatto centro: un po’
dell’inquietudine, che fino a quel momento aveva trionfato sul volto del
bambino, scemò.
“Da, da che cosa?” balbettò scrutandola con aria
incuriosita, seppur ancora diffidente. Caroline sorrise,
abbandonandosi in grembo i fili d’erba strappati.
“Da diverse cose.” ammise tornando a rivolgersi al
ragazzino.
“Dalle persone a cui voglio
bene. Dalle cose che mi rendono triste. E da quelle che mi
rendevano felice.”
Il ragazzino annuì lentamente, smettendo di cingersi
le ginocchia.
“È perché hai paura?” domandò.
La vampira gli rivolse un’occhiata sorpresa,
prima di annuire.
“Ogni tanto.
Sì, ci sono delle cose di cui ho paura.” confessò,
sorridendogli con dolcezza: più lo guardava, e più era convinta di conoscere
quei lineamenti, di aver già visto quel viso prima di quel pomeriggio.
Il ragazzino tornò a chinare il capo verso il basso,
incominciando a sua volta a strappare qualche filo d’erba.
“Io invece ho paura di tutto.” commentò in tono di
voce secco, quasi arrabbiato. Caroline scosse il capo, intenerita.
“Ma dai, non ci credo.”
“E invece è così.” ribatté il bambino con aria
triste.
La vampira sospirò; tese una mano per accarezzargli
il capo, ma la ritrasse quasi subito, impacciata: era nell’età per essere una
madre, ma non aveva familiarità con quel modo di sfiorare docile e rassicurante
che appartiene solo alle donne che hanno avuto dei figli.
“È per questo che ti nascondi?
Perché hai paura?” domandò allora con dolcezza, avvicinandosi
al ragazzino. Il piccolo annuì a capo chino, lasciando andare l’erba e
tornando a cingersi le ginocchia con le braccia.
“Non volevo venire alla riserva.” aggiunse poi,
appoggiandoci sopra il mento.
“Non mi piacciono i…”
incominciò, arrossendo per l’imbarazzo. Sospirò. “Mi, Mi,Mi fanno paura i lupi.” ammise infine.
Caroline gli rivolse un’occhiata spiazzata, cosa che
alimentò il rossore sulle guance del ragazzino.
“I lupi?” ripeté lentamente, mentre il bambino
annuiva: c’era qualcosa, nel rinnovato disagio del piccolo, che le infondeva
tristezza.
“So che ci sono alla riserva.” specificò il
ragazzino agitando nervosamente le ginocchia.
“E a me non va tanto di vederli.”
“I lupi sono animali bellissimi.” lo incoraggiò
Caroline sfilando via un filo d’erba che si era incastrato nella suola di una
sua scarpa.
“Ma sono pericolosi...”
obiettò il bambino con una punta di inquietudine nello sguardo.
“Io non mi fido.”
“Quelli della riserva non ti faranno del male.” lo
tranquillizzò la ragazza, convincendosi finalmente a tendere il braccio, per
accarezzargli il capo.
“Sono abituati ad avere
gente intorno. E poi, i lupi sono davvero delle creature speciali: sono
coraggiosi e anche molto leali, specialmente con la propria famiglia.”spiegò, avvertendo un lieve tremore nel suo tono di
voce. La parola “famiglia” accostata a “lupo”, era ancora in grado di turbarla,
nonostante tutto.
Il ragazzino annuì lentamente, stringendosi le
caviglie con le mani.
“Forse è per questo che
mi fanno paura.” azzardò infine, voltandosi esitante in direzione di Caroline.
“Io non sono coraggioso come loro: in realtà non lo
sono proprio per niente. Mi nascondo sempre: i, i miei
fratelli invece non hanno mai paura di nulla.”
“Sai…”
La vampira inclinò appena il capo, sorridendogli con
dolcezza.
“Non sempre le persone sanno di essere coraggiose.
C’è chi se ne accorge all’improvviso e chi impara a farlo lentamente, un
passetto alla volta. A volte siamo convinti di non poter essere coraggiosi,
solo perché non abbiamo mai davvero provato a esserlo.”
Il ragazzino la ascoltava in silenzio, scrutandola
pensieroso.
“Tu sei coraggiosa?” domandò infine indirizzandole
un’occhiata penetrante. Caroline gli sorrise.
“Non lo so, tu che dici?”
Il bambino la osservò per qualche istante in
silenzio, prima di annuire.
“Hai l’aria di esserlo.” ammise accennando al primo
vero sorriso del pomeriggio. La ragazza scoppiò a ridere.
“Ti ringrazio!” esclamò poi, con aria divertita.
“Maallora…”
continuò poi il ragazzino corrugando la fronte, nuovamente impensierito, “…se sei coraggiosa, perché ti nascondi?”
Caroline gli rivolse un’occhiata sorpresa, prima di
indirizzare il proprio sguardo verso il parcheggio, distratta da un fischio in
lontananza.
“Devo andare!” annunciò improvvisamente il bambino
con aria preoccupata, non appena il rumore si fece più vicino.
“È il fischietto dell’insegnante.” rivolse alla
vampira un’occhiata leggermente titubante.
“Grazie.” aggiunse, sollevandosi da terra.
“Senti…” Caroline si alzò
a sua volta.
“Me lo dici come ti chiami?” domandò con aria quasi
speranzosa, nonostante qualcosa dentro di lei le stesse suggerendo di non
farlo.
Il ragazzino la analizzò con aria diffidente,
aggrappandosi al legno della staccionata.
“Mi chiamo Mason.”rivelò
infine, permettendo a un sorriso timido di arricciare gli angoli delle sue
labbra.
“Mason Lockwood.”
Erano trascorsi quattro anni, dall’ultima volta che
Caroline Forbes aveva messo piede a Mystic Falls. Dieci da quando aveva deciso
di trasferirsi a New York. Più di quindici da quando il suo cuore si era
fermato, impedendole di continuare a crescere. Vietandole di vivere pienamente
la sua vita.
Eppure, in quel momento, poté quasi giurare di avere
sentito qualcosa muoversi dentro di lei: per un attimo, osservando quel bambino
sorridere, fu come se il suo cuore avesse ricominciato a battere.
***
Autumn si slacciò frettolosamente la sciarpa dal collo,
percorrendo il corridoio che portava alle gradinate. Sbuffò, intuendo dai
rumori provenienti dalla pista, che la partita fosse già iniziata; si era persa il numero di apertura delle cheerleaders: Vicki le
avrebbe tenuto il broncio per il resto del pomeriggio.
Fece una smorfia quando si accorse di aver perso la
sciarpa per strada e tornò indietro a recuperarla, visibilmente irritata. Quel
pomeriggio l’aveva decisamente incominciato con il
piede sbagliato – tra l’ennesima litigata con sua madre e un libro di scienze
scomparso chissà dove alla vigilia di un compito in classe – e la giornata non
accennava a voler migliorare nemmeno di una virgola. C’era poi stato l’incontro
con quella ragazza, Caroline, che per qualche strana ragione le aveva impresso addosso uno strano nervosismo. Qualcosa di
insolito era accaduto, quando le due si erano strette la mano:
d’istinto, lei aveva ritratto bruscamente la sua, spaventata da un
presentimento improvviso.
Ora, Autumn era sempre stata il tipo di persona che
lavorava parecchio di testa, abbandonandosi talvolta a lunghe e calcolate
riflessioni, pur di non prendere decisioni affrettate. Non dava retta al suo
istinto; semplicemente non era da lei fare affidamento su qualcosa che non
rimasse con una motivazione logica. Eppure, quella stretta di mano – quella
ragazza, Caroline – le aveva suggerito a pelle di allontanarsi il più
possibile: in quel contatto, c’era qualcosa che stonava.
Sbuffò una seconda volta, accorgendosi di avere
incominciato a ragionare come suo fratello, cosa che finì per infastidirla
parecchio: lei e Julian non erano mai stati molto
legati. Si volevano bene, ma si sentivano di rado, e ancor più raramente
si vedevano, soprattutto in seguito alla separazione dei genitori.
Julian era l’opposto di sua sorella: lui era un
sognatore, un impulsivo. Era sempre stato quello strano, il classico ragazzino
che non può fare a meno di porsi delle domande, dubitando che le cose che lo
circondano stiano veramente al loro posto. I suoi, erano gli interrogativi che
ad Autumn avevano sempre fatto roteare gli occhi: a lei piaceva credere che
tutto nel suo mondo avesse un ordine preciso; che le cose accadessero con
regolarità, giorno dopo giorno, e che quindi fosse
inutile provare a spaccarsi la testa con mille punti di domanda, dubbi,
supposizioni. Non si sarebbe mai affidata all’istinto per scegliere
un’università, come invece aveva fatto Julian. Per certi versi, la ragazza
somigliava molto al padre.
Era quello uno dei motivi per cui ancora faticava a
comprendere come mai avesse deciso di stabilirsi con la madre; lei e Bonnie
erano troppo simili per certi versi, e troppo diverse per altri, e questo
miscuglio di analogie e differenze sfociava spesso in litigate, a volte anche
per le cose più stupide. Ciò nonostante, in fondo, Autumn credeva di sapere
come mai avesse acconsentito a restare a Mystic Falls, pur lamentandosi di
continuo. Bonnie non aveva mai faticato ad intuire che
cosa le passasse per la testa, nonostante di rado si sforzasse di intervenire.
Non era mai stata una madre particolarmente oppressiva, né con lei né con
Julian, e quello era da sempre un punto a suo favore. E in fondo era anche in
grado di ascoltarla, anche se Autumn difficilmente gliene dava l’opportunità.
Per Julian e suo padre, invece, comprensione e
complicità erano parole che non si allacciavano per niente al loro rapporto.
L’impulsività e la fiducia cieca che il ragazzo riponeva nei suoi progetti,
talvolta per nulla verosimili, cozzavano apertamente con l’indole realista e a
tratti cinica di David Morgan. In seguito alla separazione dei genitori, Julian
aveva acconsentito a trasferirsi a Richmond–
l’anno successivo si sarebbe dovuto comunque spostare per via del college – ma
tra i due, continuava a non esserci un legame particolarmente stretto. Di
certo, non litigavano sbattendosi la porta in faccia come facevano Bonnie e
Autumn, ma il dialogo era ridotto all’osso. Da quando aveva incominciato a
frequentare l’università, il giovane cercava di tenersi il più possibile fuori casa e David non aveva mai fatto obiezioni a riguardo.
Autumn superò il bar camminando svelta, sperando di
riuscire ad arrivare in tempo almeno per il primo intervallo. Attraversando il
corridoio, individuò con la coda dell’occhio un ragazzo appoggiato al muro, che
stava trafficando con il cellulare. Roteò gli occhi nel riconoscerlo e si
affrettò a proseguire oltre, diretta verso la pista.
Mase sollevò gli occhi dal display e le rivolse
un’occhiata altrettanto seccata.
“Che hai da fare quella faccia?” la rimbeccò
scontrosamente, aprendo la sua lattina di coca cola. Autumn si fermò.
“Magari non sono affari tuoi.” commentò bruscamente,
squadrandolo infastidita.Lei e Mason si
detestavano cordialmente da anni ed era difficile per tutti e due trattenersi
dal renderlo pubblico, ogni volta che si incontravano.
“Magari lo sono, visto che l’occhiataccia era
rivolta a me.” ribattè il ragazzo inarcando presuntuosamente un sopracciglio.
Autumn sbuffò, osservandolo con sdegno.
“Magari non ruota sempre
tutto attorno a te, Mason Lockwood. Sei l’ultima persona
al mondo che mi verrebbe voglia di guardare, specialmente in giornate come
questa.”
E lo pensava veramente; il nervoso
aveva incominciato a punzecchiarla con insistenza e le mani le prudevano in
maniera insolita: la negatività che aveva assorbito in quel pomeriggio
continuava a crescere, spingendola a perdere la pazienza.
Mason diede una scrollata di spalle.
“In tal caso, sei strabica.” commentò con
noncuranza, avvicinandosi la lattina alle labbra. Autumn, che si era finalmente
decisa a raggiungere la pista, si voltò di scatto in direzione del ragazzo.
Nello stesso istante, la lattina di Mase sibilò e la coca cola schizzò fuori
dal contenitore, colpendo il ragazzo sulla maglietta.
“Ma che cazzo…”
Mason schiacciò la parte superiore della lattina con la mano, rosso in
viso. Autumn arretrò lentamente, il nervosismo improvvisamente tramutato
in panico: le dita le prudevano ancora.
“Non sono stata io.” mormorò quasi senza
accorgersene, indietreggiando ancora. Mason le rivolse un’occhiata seccata,
mentre le sue mani si frugavano freneticamente tra le tasche alla ricerca di un
fazzoletto.
“Ma va?” commentò
ironicamente, cercando di asciugarsi il collo come meglio poteva.
“Idiota…” aggiunse poi tra
sé, mentre la ragazza si allontanava, diretta verso la pista da hockey. Autumn
incominciò a respirare forte, guardandosi le mani che ancora le formicolavano:
c’era qualcosa che non andava.
Aveva
caldo e freddo al tempo stesso; e il suo cuore aveva preso a battere più in
fretta, ma non era per rabbia, né per il nervoso.
Eppure non poteva essere stata lei.
Era agitata e non riusciva a comprendere il perché.
La ragazza si cacciò le mani in tasca, poi le tirò
nuovamente fuori. Strinse forte le dita a pugno, ma servì a poco: il prurito non
accennava a dileguarsi, il batticuore era ancora insistente. E
la fastidiosa impressione di essere in qualche modo collegata all’incidente
della lattina, anche.
Ci aveva pensato – era sicura di averci pensato – e poi era successo. Follia,
considerò fra sé, appoggiandosi alle parete. Il fatto che ci avesse pensato,
non significava nulla. Era stata una coincidenza; una stupida coincidenza. Eppure il formicolio alle mani non cessava e il
presentimento che qualcosa di insolito stesse
accadendo continuò a pungolarla con insistenza.
Si sentiva come se il mondo avesse improvvisamente
incominciato a girare più in fretta e lei non avesse idea di come fermarlo. Di
come rallentarlo. Ciò che le era sempre stato ostile –un
presentimento, il suo istinto – si sforzava di suggerirle qualcosa a cui non
voleva dare ascolto, ma che non riusciva ad evitare, per quanto si sforzasse.
E aveva paura.
Una paura sottile, ma
paralizzante. Aveva paura e non riusciva a spiegarsi il perché. Eppure sentiva
che sarebbe andato tutto per il meglio, se solo le sue mani avessero
smesso di formicolare così tanto.
Il prurito non cessò.
***
Mason si chiuse la porta del bagno alle spalle,
imprecando a denti stretti. Cercò il cestino con lo sguardo e si liberò della
lattina ancora mezza piena, prima di raggiungere il lavandino per darsi una
sciacquata. Scrutò poi con aria truce la chiazza di coca cola che si era
formata sulla sua maglietta: fanculo, farfugliò digrignando i denti.
Mentre si asciugava le
mani, qualcun altro fece ingresso nel bagno, catturando l’attenzione del
ragazzo sgranchendosi la voce. Mase lo riconobbe come uno dei compagni di corso
di sua sorella, un certo Mike, Michael, qualcosa
del genere. Era uno di quegli energumeni dall’umorismo forzato con il vizio
di inserire frecciatine a ogni frase, convinti di far ridere. Mason li trovava irritanti e proprio per questo aveva trascorso gli ultimi
mesi cercando di evitare i tipi come Michael, ben conoscendo il tipo di
reazione che avrebbero fatto scattare in lui: quel pomeriggio, non gli fu
possibile.
“Bella maglietta, Lockwood.
Problemi ad aprire le lattine?” commentò l’adolescente
con un guizzo divertito nello sguardo. Mason strinse le mani a pugno, ma si
limitò a tacere, affrettandosi a raggiungere la porta del bagno; forse, nonostante
l’umore nero, sarebbe perfino riuscito a tenersi fuori dai guai, una volta
tanto.
“Avresti dovuto chiedere alla tua sorellona di darti una mano. A proposito, dimentico sempre
quanti anni hai; dodici?”
O forse no.
***
La squadra di Mystic Falls aveva vinto: Caroline
Forbes lo intuì avvertendo le prime note dell’inno della scuola mescolarsi a un
tripudio di voci entusiaste provenienti dalla pista. Sorrise, abbandonando il
bar per raggiungere l’uscita dell’edificio: aveva deciso di fare un salto a
casa, prima di tornare dai Donovan nel pomeriggio, ma i suoi progetti finirono
nel dimenticatoio, quando la vampira oltrepassò il bagno dei ragazzi; rumori di
rissa, mescolati all’odore pungente del sangue la
convinsero a fare marcia indietro. Era consapevole del fatto che sarebbe stato
meglio per lei proseguire oltre, cercando di non impicciarsi, di non dare nell’occhio… o magari di fare entrambe le cose. Si infilò comunque nel bagno dei ragazzi, cercando con lo
sguardo i protagonisti della lite: erano due adolescenti, uno decisamente più
piccolo dell’altro. Caroline li raggiunse appena in tempo per evitare che il
minore si avventasse un’altra volta sull’altro, già pronto a colpirlo di nuovo.
“Fermatevi subito.
Smettetela entrambi!” li intimò afferrando il più giovane per le spalle che si
scansò, portandosi poi il dorso della mano alla bocca per sfilare l’accenno di
sangue che aveva sotto al labbro. Nel momento in cui i
loro sguardi si scontrarono, Caroline lo riconobbe.
“Mason!” si lasciò sfuggire, mentre ancora lo
tratteneva per la giacca. Colto alla sprovvista, Mase si voltò verso di lei; la
riconobbe come la ragazza che aveva sorpreso a fissarlo a scuola. Aprì la bocca
per dire qualcosa, ma Caroline fu più veloce. Si frappose tra i due ragazzi,
mentre il più grande dei due cercava di approfittare
del momento di distrazione di Mase, per sferrargli un pugno.
“Adesso calmatevi.
Tutti e due.” esclamò placcando il colpo del ragazzo e
spingendolo verso il lavandino.
“E tu chi diavolo sei?”
ringhiò a quel punto Mason, cercando di superarla per raggiungere l’altro
ragazzo.
“Che cosa vuoi da me? Perché sei
sempre ovunque?”
Caroline si limitò a trattenerlo, mentre l’altro
adolescente le rivolgeva un’occhiata diffidente, imbarazzato e intimidito al
tempo stesso, dalla forza di quella ragazza mai vista prima.
“Che sta succedendo, qui?”
Nel momento esatto in cui quelle parole venne pronunciate, accaddero due cose: gli occhi di
Mason si ridussero a due fessure e il ragazzo si fece da parte, allineandosi
alla parete. Nello stesso istante, Caroline lasciò andare l’altro adolescente,
irrigidendosi di scatto.
Tutto ciò che fino a quel momento aveva percepito venne meno, incluso l’odore del sangue. Il mondo
si sfumò; i rumori si affievolirono. Si spense tutto; tutto tranne quella voce.
Le quattro parole che aveva udito rimbombarono
ripetutamente nella sua testa e quella voce, la voce che si era sforzata di
ignorare per mesi, gli rimbalzò addosso e si frappose ai suoi pensieri con
insolenza, costringendola ad arretrare a sua volta.
Tyler non ebbe alcuna reazione, fino a quando i loro
sguardi non si incrociarono. Sgranò gli occhi, nel
riconoscere quei lineamenti da ragazzina, quegli occhi chiari, quella luce
ancora presente – dopo tutto quel tempo – nello sguardo di Caroline.
Non disse nulla; rimasero entrambi in silenzio, gli
sguardi fusi l’uno all’altro e i loro corpi immobili, come paralizzati. Mason
analizzò l’espressione di entrambi con aria nervosa, non riuscendo a
comprendere che cosa stesse succedendo. Infine, Tyler si decise a spostare la
propria attenzione da Caroline, al figlio. Notò all’istante il labbro ammaccato
del ragazzo e l’aspetto scomposto di tutti e due gli
adolescenti e i suoi occhi si cerchiarono di rabbia.
“Non è successo nulla, signor Lockwood.” esclamò
improvvisamente il maggiore dei ragazzi, in soggezione.
“Fuori di qui.” lo intimò Tyler indicandogli la
porta del bagno.
“Avanti.”
Il giovanotto non se lo fece
ripetere due volte. Scoccò un’ultima occhiata truce in direzione di Mase e si
allontanò dai presenti, sistemandosi i capelli con la mano. Caroline si
costrinse a seguirlo, farfugliando qualcosa che somigliava a un “vi lascio soli”, ma Tyler si mosse nella sua direzione.
“Aspetta.” affermò rivolgendole un’occhiata
esitante. Caroline si bloccò; l’uomo tornò a osservare il figlio, che aveva
messo le mani in tasca e lo fissava di sottecchi, rosso in viso. Se per la
rabbia o per la vergogna, non era facile da intuire. Infine, l’uomo si voltò
nuovamente in direzione della vampira.
“Dammi due minuti.” insistette. E nel suo sguardo,
Caroline fu quasi convinta di aver intravisto una punta di supplica. Annuì,
abbandonando comunque la stanza e appoggiando le spalle al muro, a pochi metri
dalla porta del bagno.
Non appena la ragazza fu scomparsa dalla sua visuale,
lo sguardo di Tyler mutò nuovamente. Con le iridi cerchiate di rabbia, si
avvicinò il figlio.
“Che diavolo stavi cercando di fare?”ringhiò appoggiando la mano al muro e stringendo le
dita a pugno: le nocche impallidirono. Mason scansò il suo sguardo e scrutò con
odio il pavimento.
“Era solo una litigata scema…”
tentò di difendersi a mezza voce, ben sapendo che quelle parole avrebbero
semplicemente irritato ulteriormente Tyler.
“E per una litigata scema, ti metti a fare a botte?”
ringhiò, infatti, il padre rivolgendogli un’occhiata che mescolava lo stupore
alla rabbia. Mason non rispose: il rossore sulle sue guance era sempre più
evidente. Tyler sospirò, mettendosi a sua volta le mani in tasca.
“Cristo, Mason, io non so più che cosa fare con te.”
sbottò infine scuotendo il capo più volte, “Ma ti sei visto allo specchio?”
aggiunse, afferrandolo per le spalle e dandogli un colpetto in direzione del
lavandino.
“Guardati!
Sei un nanerottolo.” lo intimò Tyler indicandogli lo specchio.
“Un marmocchio con il sangue al naso. E nonostante questo, parti in quarta come un giocattolo a molla,
alla minima provocazione. Continua pure con questo
atteggiamento da cazzone, fatti massacrare dai
ragazzi più grandi, ma sappi che prima o poi capiterà che becchi la giornata
sbagliata e non ci sarò più io a venire a salvarti il culo. O
tuo fratello.”
“Che cosa centra Ricki?” sbottò improvvisamente
Mason allentando la presa del padre sulla sua spalla. Tyler sospirò, riuscendo
a recuperare pian piano il controllo della sua rabbia.
“Mase, per favore.” si limitò a pregarlo
infine, osservando il riflesso del figlio con aria stanca, “Fai
attenzione. Smettila di fare casini. A volte può bastare un passo falso, un
unico stupido errore… e finisci per rovinarti la
vita. Questo, non ti deve succedere.”
Mason trovò il coraggio di sollevare il capo e
squadrò il padre con aria diffidente.
“Da come parli, sembra che tu, quell’errore, l’abbia
commesso.” commentò a voce asciutta. Fuori dal bagno, Caroline trattenne il
fiato, mordicchiandosi nervosamente un labbro. In quel momento, incrociò lo
sguardo del ragazzo che stava camminando nella sua direzione. Gli sorrise istintivamente, riconoscendo l’andatura
rilassata e lo sguardo luminoso del giovane. Sorpreso, Oliver ricambiò il
sorriso, prima di sbirciare oltre la porta del bagno dei ragazzi, convinto di
aver riconosciuto la voce del suo migliore amico.
“Mase?” lo chiamò con titubanza, intuendo
all’istante il brutto momento non appena il suo sguardo si posò su Tyler. L’uomo
fece per dire qualcosa al figlio, ma poi sembrò ripensarci.
“Va’ di là con Oliver e
sistemati quel labbro.” ordinò infine dandogli una pacca sulla spalla. Mason si
mosse in direzione dell’amico, con aria più che mai scontrosa.
“E stai vicino ai tuoi fratelli!” si raccomandò
ancora il padre, mentre i due ragazzi si allontanavano in direzione opposta a
lui.
Caroline li osservò avviarsi, captando alla
perfezione il “non ho più dieci anni!” brontolato in maniera secca dal minore
dei Lockwood. Con sua sorpresa si accorse che non era stata la sola a sentirlo.
“A me invece sembra proprio di sì.” commentò Tyler
passandosi una mano sul viso con aria stanca. La ragazza gli rivolse un sorriso
comprensivo. Quando se ne accorse, l’uomo sospirò.
“Grazie.” mormorò prima di appoggiare la schiena
contro il muro.
“Veramente non ho fatto nulla.” rispose la ragazza
denegando con il capo.
“Io non so proprio che gli sia preso.” continuò
imperterrito Tyler, visibilmente preoccupato.
“Da bambino non era così. Io…”
Si fermò, volgendosi in direzione di Caroline.
La guardò per una frazione di secondo e poi le
sorrise, come se avesse appena riavvolto un nastro immaginario, per tornare al
momento in cui, poco prima, si erano incontrati.
“È bello rivederti, Care.” ammise, allargando le
braccia per invitarla a stringerlo. Caroline si lasciò abbracciare, sforzandosi
di sorridere, ma avvertì dell’impaccio in quel contatto. Le braccia di Tyler,
così come tutto a Mystic Falls, avevano dimenticato come farla sentire al
sicuro. Avevano dimenticato, che un tempo erano state
in grado di farla sentire a casa.
I hate to
turn up out of the blue uninvited But I couldn't stay away, I couldn't fight it.
I had hoped you'd see my face and that you'd be reminded That for me it isn't over.
A Caroline, quel pensiero fece male; aveva trascorso
gli ultimi mesi cercando di convincersi che il suo ritorno a casa non avesse
nulla a che vedere con lui; aveva ignorato la sua
presenza insistente, i ricordi che echeggiavano ogni volta che il suo sguardo
si posava su un dettaglio diverso di quella cittadina. In ogni luogo, sembrava
esserci qualcosa che la ricollegasse a Tyler. Aveva riabbracciato sua madre, i
suoi amici, la sua famiglia. Per un giorno, era perfino riuscita a convincersi
che la loro presenza bastasse, che fosse più che sufficiente per riuscire a
colmare quel vuoto, l’assenza totale di qualcosa che ancora la feriva,
nonostante tutto. Aveva sorriso a quei ragazzi sconosciuti, li aveva vegliati
in silenzio, desiderando a volte solo di poter imparare a conoscerli, diventare
parte delle loro vite. Come amica, come confidente.
E ci era quasi riuscita, in fondo, a convincersi di
desiderare solo il loro bene. Il bene dei ragazzi; la felicità delle persone a cui teneva, quello e nient’altro.
I wish nothing but the best for you
Eppure, in quel momento, con Tyler al suo fianco, si
rese finalmente conto che in fondo, per anni, non aveva fatto altro che sperare
che un giorno le cose potessero tornare come una volta.
Per anni, una parte di lei,
aveva preservato per Tyler quel tipo di amore che aveva provato quando avevano
diciassette anni e scarso interesse verso ciò che serbava loro il futuro.
Forse era davvero tornata per lui, dopotutto.
“Sei silenziosa.” obiettò in quel momento l’uomo,
indirizzandole un’occhiata sospettosa.
“Non è da te.” aggiunse scherzosamente.
Old
friend, why are you so shy? Ain’t like you to hold back or hide from the light.
Caroline cercò di rispondere, ma le parole
faticarono a uscire. Si limitò a rivolgergli un sorriso appena abbozzato.
“Mi hai mai pensata?”
riuscì a domandargli infine, costringendosi a ricambiare il suo sguardo.
“In questi anni. Hai mai pensato a
me?”
Tyler sorrise, portandosi le braccia sul petto.
“Io penso spesso a te, Caroline.” ammise, sfiorandole
la guancia con delicatezza.
“Ogni volta che chiamo mia figlia per nome…” dichiarò sotto lo sguardo pensieroso della ragazza,
“…O quando mi mette il
broncio.” aggiunse riuscendo a strapparle un sorriso.
“Durante le notti di luna piena…
Caroline, come potrei non pensare a te?” lo disse in fretta, e notando il modo
in cui l’aveva guardata, alla ragazza parve quasi un rimprovero.
“Tu c’eri sempre. Pensi davvero che potrei
dimenticarmi di questo?”
Caroline tentennò, prima di rispondere.
“Dovresti.” azzardò infine, dimezzando il tono di
voce. Tyler inclinò appena il capo verso destra.
“Sei sposato, ora.” aggiunse. L’uomo aggrottò appena
le sopracciglia.
“Sono sposato.” confermò.
“E amo mia moglie. Amo i miei figli più di qualsiasi
altra cosa al mondo. Suonerà banale, ma è la pura verità: non so cosa farei se
un giorno dovesse succedere qualcosa a uno di loro, probabilmente perderei la testa…”
Il modo in cui parlava della sua famiglia era
qualcosa che non era mai riuscita a dimenticare, dopo tutto quel tempo. C’era
qualcosa nel suo tono di voce che la inebriava e la feriva al tempo stesso. Non
riuscì più a sostenere il suo sguardo: gli occhi dell’uomo le sembravano
diversi, improvvisamente. Erano gli occhi di un lupo, un lupo
pronto a tutto, pur di difendere il suo branco. I suoi piccoli, la sua
famiglia.
“Ma non posso comunque
dimenticarmi di te.” aggiunse Tyler, tendendo il braccio per stringerle una
mano.
“O di noi.
Proverò sempre qualcosa di molto forte per te, Caroline. Anche se non è il
genere di legame che ci ha legati in passato. Anche se ora è tutto diverso.
Anche se sono cresciuto, mi fa sempre bene averti vicino. La
nostra amicizia, Caroline…” aggiunse, sollevandole il mento con delicatezza.
“…Diquella ne avrò bisogno sempre E mi è mancata, durante questi
dieci anni.” ammise.
Caroline inspirò a fondo e infine annuì, stringendo
con più forza la mano ancora intrecciata a quella dell’uomo.
“Terrò d’occhio Mason per te.” decise infine, voltandosi
per sfilare via una lacrima che era sfuggita al suo controllo.
“Mi sembra che ne abbia bisogno.”
“Non devi farlo, Care. Non è compito tuo.” la rassicurò Tyler. Tuttavia, la ragazza
notò subito che il suo sguardo si era fatto nuovamente pensieroso.
“Voglio farlo.” si impuntò,
lasciandogli la mano.
“E poi non so se hai notato, sembra che mi venga
naturale. Sono sempre al posto giusto e al momento giusto per impedire che gli
succeda qualcosa.”
“Un po’ come in passato è successo con me.” scherzò
Tyler, infilandosi le mani in tasca. Le sorrise, e per un attimo Caroline fu quasi convinta che il Tyler che aveva davanti fosse
l’adolescente di un tempo, il Tyler che l’aveva amata a lungo.
“Puoi abbracciarmi un’altra volta?” domandò a
bruciapelo, chinando appena lo sguardo. Con un accenno di sorriso divertito,
l’uomo tirò fuori le mani dalle tasche e avvolse le braccia attorno alla sua
vita.
Subito, a Caroline ,quell’abbraccio parve quasi
freddo, come il precedente. Ma la ragazza non si
arrese. Ci frugò dentro, sforzandosi di recuperare vecchi ricordi. Evocò il
modo in cui si sentiva quando all’alba riusciva finalmente a scaldarlo,
sfilandogli via il freddo che la luna piena gli aveva lasciato addosso. Ricordò
le loro mani intrecciate e l’ultimo bacio che si erano
scambiati, assaporandone per un istante il retrogusto amaro: era un bacio di
addio.
Si fece coraggio e scavò ancora indietro; prima dei
baci, delle carezze di due innamorati, Caroline trovò infine quello che
cercava. C’era un ragazzo spaventato ec’era
lei, Caroline, e il tocco della sua mano tiepida, a contatto con la sua pelle
nuda. C’era un girotondo di cicli lunari, notti insonni trascorse a piangere o
a vegliare, ossa che si spezzano, occhi che si tingono di giallo, occhi di lupo. C’era una ragazza che in quel periodo aveva
imparato a mettere sé stessa dopo gli altri. A tendere
la propria mano verso chi era alla ricerca di un appiglio. E Tyler, a quella
mano, ci si era aggrappato con forza, scoprendo grazie a Caroline di non essere
solo: di non esserlo mai stato.
Fu in quel momento, che l’abbraccio di Tyler
incominciò a mutare. E le sembrò tiepido, tutto d’un
tratto. E sicuro, proprio come un tempo.
Fu in
quell’abbraccio, l’abbraccio di un amico, che per la
prima volta – da quando era tornata a Mystic Falls - si rese conto di essere
davvero a casa.
They say
you're really not somebody
until somebody else loves you.
Well, I am waiting to make
somebody, somebody soon.
And are
we there yet? Home.
Are we
there yet?Ingrid
Michaelson
***
“Bella partita, vero?”
Lester spostò lo sguardo verso la persona che aveva appena fatto capolino alla
sua destra. Leanne Willard-Forbesgli
sorrise, prendendo posto accanto a lui. L’uomo frugò la pista con lo sguardo,
come se stesse cercando qualcuno. Infine, indicò uno dei ragazzi.
“Il figlio dei Gilbert ha una buona mira.” commentò
infine osservandolo raggiungere la sua famiglia.
“Potrebbe diventare un bravo
cacciatore. Come i suoi avi.”
“Non ci servono cacciatori di vampiri.” gli ricordò
la donna. Lester le rivolse un’occhiata poco convinta.
“Come mai è qui, Leanne?” domandò poi,
passandosi la mano sotto il mento. Leanne gli sorrise
di nuovo , e nel farlo, Gregory notò che i suoi occhi brillavano di una leggera
punta di malizia.
“Ho un’informazione che potrebbe interessarle; lo
sceriffo mi ha appena avvertita.” ammise, porgendogli
il cellulare: sullo schermo, il nome di Fell era susseguito dall’immagine di un
uomo anziano.
“Questo è il professor Finn.
È per sostituire lui, che sto facendo supplenza.” notò Lester.
“Beh, temo che dovrà continuare a sostituirlo ancora
a lungo.” rivelò la donna ritirando nuovamente il cellulare in tasca. Quando
Gregory le rivolse un’occhiata perplessa, sembrò quasi divertita della sua
reazione.
“è scomparso.” specificò, sollevandosi per
abbandonare le tribune.
“Da più di due settimane ormai.”
Si allontanò in direzione dell’uscita, abbandonando
un più che mai pensieroso Lester, solo con i suoi pensieri.
***
“Che ti è successo?” Si affrettò ad
esclamare Ricki, notando l’aria più che mai afflitta del fratello minore.
Oliver denegò appena con il capo, ma il maggiore dei fratelli Lockwood lo
ignorò.
“Che hai fatto a quel labbro?
Diamine, Mase, non di nuovo!” gli appoggiò una mano sulla
spalla con aria preoccupata, ma il ragazzo lo scansò.
“Rick, vai a chiamare Caroline.” si
introdusse il padre nel discorso rivolgendo un’occhiata intensa al
figlio maggiore. Ricki tentò di comunicargli la sua apprensione con lo sguardo,
ma il padre fu irremovibile. Infine, il ragazzo annuì e raggiunse la
sorella.
Tyler sospirò, tornando a osservare Mason.
“Adesso andiamo a casa.” annunciò infine
allacciandosi il giubbotto. Il figlio si infilò a sua
volta il suo, in silenzio.
“Caroline!” Tyler richiamò bruscamente la figlia,
deciso ad andarsene in fretta.
“Un momento solo!” lo supplicò la ragazza
trattenendo Ricki per il braccio e cercando Vicki con lo sguardo.
“Oh, eccola lì!
Vic! Ehi, Vic!” esclamò mentre il fratello maggiore roteava
gli occhi.
“Che rompiscatole che sei, sorella…”
mormorò sotto lo sguardo divertito di Alexander che osservava la scena
ridacchiando. Vicki, tuttavia non li raggiunse. Aveva riconosciuto Autumn
seduta per conto suo tra le ultime tribune e la sua espressione tormentata, la
impensierì.
“Guarda che ti perdono, se sei arrivata in ritardo.”
scherzò sfuggendo ai richiami insistenti di Caroline, per arrampicarsi sulle
gradinate. Quando prese posto di fianco all’amica,
Autumn smise di fissare il vuoto e la osservò atona, quasi non si fosse accorta
del suo arrivo prima di quel momento.
“Che succede, ‘Tumn?” domandò poi Victoria rivolgendole un’occhiata
preoccupata. L’altra ragazza scosse il capo, guardandosi le mani: non prudevano
più, ma ricordava perfettamente il formicolio che aveva avvertito quel
pomeriggio e continuava a temere che sarebbe tornato presto. Senza che lei
potesse farci nulla.
“Non lo so.” ammise infine, traendo un lungo
respiro. Una lacrima sfuggì al suo controllo, rimanendo aggrappata alle sue
ciglia, quasi avesse paura di scivolare a terra.
“Non lo so, Vicki.”
Victoria sospirò, abbandonando malamente la sacca da
ginnastica a terra. Strinse l’amica forte a sé, cercando di infondergli
conforto, ma domandandosi al tempo stesso che cosa potesse esserle successo; la
analizzò di sottecchi, alla ricerca del cipiglio scettico che la caratterizzava
di solito, ma in quel momento, in lei, riconobbe solo lo sguardo confuso di una
ragazza che non somigliava più di tanto a quello di Autumn Morgan.
Era lo sguardo di una ragazza smarrita.
“
***
Oliver aprì gli occhi di scatto, tirandosi a sedere
con aria confusa. Si arruffò i capelli, ancora mezzo
addormentato, cercando di riportare la sua mente al sogno che aveva appena
fatto. Allungò la mano verso il comodino, e cercò a tentoni
la lampada, premendo il tasto di accensione.
Non ricordava più il suo sogno; sapeva solo che
centrava una ragazza. Fu solo quando il suo sguardo cadde sull’album da disegno
che era scivolato a terra, ancora aperto dalla sera precedente, che il ragazzo
ricordò: era quella, la ragazza del sogno. La stessa che stava ritraendo.
Sbadigliando, chiuse l’album con uno scatto secco e
lo posò sul copriletto, prima di dirigersi in bagno. Quando tornò indietro, si
accorse che il blocco da disegno era di nuovo aperto all’ultima pagina. La
ragazza del ritratto gli sorrise dal disegno: un
sorriso di carta e carboncino. Che strano, pensò chiudendo nuovamente l’album.
Eppure, era convinto di averlo già fatto poco prima.
Spense la lampada sul comodino e scivolò
nuovamente sotto le coperte, dimenticandosi all’istante sia del sogno, sia della
ragazza.
Improvvisamente, la porta della sua camera sbatté;
Oliver scattò a sedere, tornando ad accendere la lampada.
“Jeremy?” una voce lo colse di sorpresa. Oliver
sobbalzò, riconoscendo nella penombra generata dalla luce fioca della lampada,
il profilo di una ragazza.
“Chi sei?” domandò confuso, cercando di
assottigliare lo sguardo per riconoscerne i lineamenti.
La ragazza si avvicinò ulteriormente, guardandosi attorno
con aria pensierosa. Quando vide l’album da disegno, il suo viso si illuminò.
Infine, volse lo sguardo verso il giovane Gilbert: gli sorrise.
“Sei Oliver, vero?” domandò.
In quel momento, la riconobbe: era la ragazza del
suo ritratto.
Nota dell’autrice.
Prima di tutto, tre annuncetti
legati stretti stretti a History
Repeating (o IstuarRepitìng, come la chiama la mia bella mamma <3).
Dunque,
in questo periodo Natalizio, ho pubblicato tre cosette legate a questa storia,
le pubblico qui nel caso qualcuno fosse interessato:
Pyramid:a questo tengo iper tanto. È
un ipotetico mini prequel di History Repeating che spiega come Jeremy e la sua
donna, Hazel si siano conosciuti. E anche come mai
Xander e Oliver si chiamano proprio così *W*
A verymerryScary Christmas:questa è unaone-shot natalizia pseudo
comica sui protagonisti di HR in formato ridotto. E vi dico una sola cosa:
Alaric Babbo Natale XD
Passiamo,ordunque,
al capitolo! [ma voi in realtà chiudete la
pagina sempre prima di arrivare qui vero? Non so, me lo sono sempre chiesta D:]
Tadaaaaam! *Laura
fa una capriola, perché è pazza e voi ve la dovete tenere così*
Sono
tornata. Con un polpettone più polpettoso
del solito. Ma eh, dovevo sopperire a due mesi
d’assenza, che vi credete? E così, ecco il tanto (?) atteso capitolo con tanto
di forwood, IL FORWOOD, gente! Eh, dopo il
casino che sta succedendo nella serie tv in qualche modo
sono felice che il loro momento (seppur non in termini romantici) sia arrivato
proprio adesso. Maaaandiamo
con ordine.
Anzitutto,
il capitolo è ispirato in gran parte a due splendide canzoni meravigliose: are
wethereyet? Di Ingrid Michaelson
(che è anche nella colonna sonora di TVD) e [vabbè,
questa la conoscete tutti] someonelikeyou, di Adele, che già
avevo usato, ma che comunque sapevo avrei recuperato, perché trovo
che rappresenti la mia idea future!Forwood in tutto e per tutto. Il
titolo l’ho prelevato da uno degli episodi della prima stagione e si collega
sia a Caroline, che a Autumn *abbraccia protettiva la sua piccola strega*
come avrete notato.
Passiamo
al flashback ** Avevo anticipato nella pagina di FB
che ci sarebbe stato un flashback iniziale sul passato di Mase, e vedrete che
ci torneremo prima o poi. Poi c’è stata Autumn, che come ci aveva
lasciato intuire dalla sua reazione alla stretta di mano con Caroline, pare
abbia ereditato anche lei qualcosa dalla madre. Lo so che la detestate quasi
tutti, ma ci tenevo ad approfondire lei e Julian, i
Morgan e la loro storia, quindi mi sono dilungata un pochetto
sulla sua introspezione.
Mase è un fessacchiotto *W* *lospuccia* Ha un carattere
particolare, ancora non sono riuscita nemmeno io a farmi raccontare per filo e
per segno quello che gli passa per la testa, si racconterà pian piano.
E poi il
capitolo si chiude con Oliver e la fatidica ragazza misteriosa, che
finalmente è comparsa, ma è ancora misteriosa! Dai che io lo so che sapete chi è *_* Ad ogni modo nel prossimo capitolo,
verificheremo chi aveva avuto ragione e chi un po’ meno.
Un’ultima
cosa! In questo periodo davvero tantissime persone hanno aggiunto History
Repeating ai preferiti o a le seguite e io volevo
ringraziarvi davvero infinitamente, per aver letto questa storia e dato fiducia
a tutti questi personaggi nuovi. Spero di spere presto che cosa ne pensate di
loro!
Porca
paletta, ma il polpettone è diventato un frigo pieno di polpette D: Va bene,
scappo ricordandomi che per foto, informazioni e chi più ne ha e più ne metta,
mi trovate QUI.
Un
abbraccio
Laura
P. S. (perché se non c’è un p.s. non sono io: sotto suggerimento della Sil, ho aggiunto
il video della “sigla” a inizio di
ogni capitolo. E ho sostituito la mia copertina schifoserrima
nel prologo
con quella che mi ha fatto sempre la Sil
come regalino di Natale *-*