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Autore: Kary91    22/01/2012    24 recensioni
Sono trascorsi quasi trent'anni da quando abbiamo incontrato per la prima volta Elena Gilbert e i fratelli Salvatore.
A Mystic Falls molte cose sono cambiate da allora; i ragazzi sono cresciuti, gli adulti invecchiati. Nuove generazioni di adolescenti portano il cognome delle famiglie fondatrici, eppure certi dettagli hanno concluso per rimanere in circolazione nella vita di ogni giorno destinati a ripetersi all'infinito ; in un modo o nell'altro la storia si ripete e Caroline Forbes di questo è al corrente, nel momento in cui decide di tornare a Mystic Falls:questa volta per restare.
***
“…Hai presente quando eravamo piccoli e io cercavo di farti cagare sotto, raccontandoti storie di cadaveri sanguinolenti e orripilanti mostri succhia-sangue?”
Jeffrey assunse un’espressione perplessa.
“Me lo ricordo fin troppo bene, direi…”
“Ricordi anche quando cercavo di convincerti che mio padre fosse un lupo mannaro?”
“Per via di quella storia, avevo incominciato ad andare nel panico ogni volta che rimanevo da solo in una stanza con lui…”
“…E se ti dicessi che non tutte le stronzate che dicevo da bambino fossero effettivamente delle balle?”
“Ti risponderei che bevi troppo.”
Genere: Introspettivo, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elena Gilbert, Jeremy Gilbert, Matt Donovan, Nuovo personaggio, Tyler Lockwood
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'It calls me home.'
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Premessa. Visto che è da un mesetto e più che non pubblico, e visto che più volte mi è stato detto che c’è chi fa ancora molta confusione tra i nuovi personaggi, ho pensato di fare un “riassunto delle puntate precedenti”, concentrandomi un po’ su parentele, legami vari. Se avete tutto ben chiaro, proseguite allegramente oltre e fate al riassunto ‘ciao ciao’ con la manina. In caso contrario, read this!

 

Dunque, nelle puntate precedenti: per oltre un secolo ho vissuto nel segreto. Eh no, questa è roba vecchia. Dunque, la nostra storia è ambientata circa venticinque anni dopo la serie TV.  Damon,Stefan e Katherine non sono più a Mystic Falls ormai da anni; Damon ha girovagato un po’ per l’Europa con Katherine, ma nell’ultimo periodo la Petrova si trova in Florida, università di Jacksonville  - ovviamente non per studiare - . Stefan e Caroline si sono trasferiti a New York, ma dieci anni dopo l’ultima visita della vampira a Mystic Falls, la ragazza decide di tornare finalmente a casa: la nostra storia incomincia così. Nel frattempo, a Mystic Falls, i nostri vecchi protagonisti umani sono cresciuti, si sono sposati, e hanno avuto dei pargoli. Tyler ha tre marmocchi, Richard jr (Ricki), è il maggiore e frequenta l’università di Jacksonville assieme al migliore amico Jeffrey Donovan (figlio di Matt e Elena). Lo incontriamo per la prima volta a Jacksonville, dove Katherine fa conoscenza proprio con Jeff: quella per ora, è l’unica occasione in cui abbiamo incontrato Katherine, perché Ricki e Jeffrey sono tornati a Mystic Falls per una settimana. Appena tornato, Ricki nota che c’è qualcosa di insolito nel modo in cui lo sceriffo osserva casa sua, e incontra Vicki junior, secondogenita di Elena e Matt, che da sempre ha una cotta per lui. Dopo Ricki, c’è Caroline (Lockwood), sportiva e vivace, e Mason Junior, che alla sua prima comparsa, individua Caroline (Forbes XD) nei corridoi di Mystic Falls ed è sicuro di averla già vista da qualche parte. Anche Jeremy si è sposato e ha avuto due figli, Alexander “Xander” (migliore amico di Caroline Lockwood) e Oliver, che ha ereditato la sua passione per il disegno, e cui carattere mite combacia alla perfezione con quello opposto – burbero e suscettibile – di Mason, suo migliore amico. Infine, Bonnie è separata con due figli: Julian, che per ora abbiamo incontrato solo una volta all’università – e ci ha mostrato le sue abilità da maghetto impacciato – e Autumn, che pare non aver ereditato i poteri della madre, ma che ha un comportamento piuttosto insolito quando incontra Caroline (Forbes). All’infuori di questa atmosfera composta da allegre famigliole felici, abbiamo tre loschi individui: lo sceriffo Fell, già citato prima, il supplente di storia, Gregory Lester, che continua a interessarsi di particolari sospetti – come l’anello di Alexander che per i Gilbert si passa di generazione in generazione – e Leanne Willard-Forbes, la misteriosa figliastra di Bill Forbes, che sembra essersi trasferita a Mystic Falls per indire un nuovo Consiglio, dopo che gli eredi dei fondatori non ne hanno più convocato uno da anni. Fell, Lester e Willard-Forbes,  hanno dunque dato origine a un nuovo consiglio, ma pare che dai vampiri, il loro interesse si sia spostato ai licantropi.  Caroline (Forbes) che è venuta a sapere delle macchinazione insolite del Consiglio dal padre Bill, ha deciso di tornare a Mystic Falls, proprio per tenere d’occhio la situazione. Ha riabbracciato la mamma, salutato alcuni dei suoi vecchi amici, e l’abbiamo lasciata alla partita di Hockey,mentre si allontanava dalle tribune per andare a prendersi da bere.

 

Fine super riassunto!Ora direi di cominciare. Buona lettura!

Dedicato a chiunque abbia aspettato la scena Forwood con tanto amore (e insistenza!): siete belle, e spero che questo capitolo non vi deluda.

E ad Ale bella, che ama Tyler in versione papà [e Mase!]

 

 

They say that home is where the heart is
I guess I haven't found my home.
We keep driving around in circles
afraid to call this place our home.

Are we there yet? Ingrid Michaelson

Sei anni prima.

 

Caroline amava New York: la sua personalità vivace si abbinava perfettamente allo stile di vita frenetico della metropoli, e il fatto che ci fosse così tanta a vita a circondarla, la aiutava a tenere a bada le riflessioni troppo scomode, incitandola a godersi un’eternità spensierata, priva di preoccupazioni troppo grandi.

Eppure, nonostante fossero ormai passati diversi anni dall’ultima volta che aveva messo piede a Mystic Falls, non era mai riuscita ad accantonare del tutto la nostalgia per la Virginia.

La rievocava di frequente, sfogliando vecchi album in compagnia di Stefan, e prendendo poi in giro l’attaccamento nostalgico che nutriva nei confronti dei luoghi in cui era cresciuta.

Più volte era stata sul punto di tornare a casa, salvo poi cambiare idea all’ultimo minuto: Mystic Falls era cambiata per lei, dal primo giorno in cui aveva deciso di lasciarsela alle spalle. Nonostante nel primo periodo in cui aveva vissuto a New York tornasse spesso a farle visita, c’era sempre qualcosa che stonava. Piccoli dettagli fastidiosi che la facevano sentire a disagio, fuori posto, in luoghi che invece avrebbero sempre dovuto ispirarle fiducia e quotidianità.

Era quella, per lei, la parte più dolorosa dell’eternità: girovagare per strade in cui i suoi ricordi echeggiavano ancora, ma che ormai non la riconoscevano più. Strade che non erano più in grado di indicarle la via di casa.

Senza più punti di riferimento stabili nella cittadina in cui aveva vissuto per così tanti anni, Caroline faceva fatica a  ricordare che, seppur non invecchiando mai, il tempo avrebbe dovuto contribuire anche a farla crescere, maturare.

Non è facile diventare grandi, quando ci si sente fuori posto nel luogo in cui si è nati e cresciuti; e per anni, Caroline Forbes faticò a considerarsi adulta.

Ai suoi occhi, gli occhi di una diciassettenne, appariva semplicemente come una delle tante ragazze che frugavano New York con lo sguardo, alla ricerca di un luogo cui appartenere: una ragazza smarrita.

Chapter 5.

Lost Girls.

They say there's linings made of silver
folded inside each rainy cloud
will we need someone to deliver
our silver lining now?

Are we there yet? Ingrid Michaelson

 

 

Eppure, in Virginia ci tornava spesso: a volte da sola, a volte in compagnia di Stefan – di rado, anche con Damon. Le piaceva girovagare senza una meta precisa per le cittadine poco popolate, non poi così dissimili dal luogo in cui era cresciuta. Spesso, si divertiva a ripercorrere luoghi che aveva visitato da bambina, di cui ormai possedeva solo un vago ricordo. Il suo preferito era una piccola riserva naturale che non distava poi molto da Mystic Falls. Era sicura di esserci stata parecchie volte quando frequentava le elementari, un paio di quelle probabilmente in gita con la scuola.

Ritornare lì era piacevole, per Caroline; quel luogo le era familiare, ma non a punto tale dall’impensierirla nel notare i cambiamenti che c’erano stati nel corso degli anni.

Tornò a visitare la riserva almeno tre o quattro volte nel corso di quei dieci anni in cui si tenne lontana da Mystic Falls: in una di queste visite, si trovò ad avere a che fare con uno dei motivi che più l’avevano spinta ad abbandonare la cittadina, anche se non se ne rese conto subito.

Era un ragazzino accovacciato di fronte alla staccionata, le ginocchia strette al petto. Aveva un’aria particolarmente crucciata, quasi preoccupata, come se stesse rimuginando su qualcosa che lo facesse sentire in colpa.

Caroline lo osservò per qualche secondo, improvvisamene turbata: di ragazzini, alla riserva, ne intravedeva ogni giorno parecchi. Eppure, in lui, riconobbe qualcosa di tremendamente familiare.

L’aria abbattuta del bambino e una particolare sensazione di déjà-vu la convinsero ad avvicinarsi alla staccionata; quando poi, fu abbastanza vicina da poter esaminare meglio i lineamenti del ragazzino, qualcosa la costrinse a fermarsi: aveva già incontrato quegli occhi grigi, quel viso spaurito, prima di quel pomeriggio.

E per quanto il buonsenso continuasse a suggerirle che si stesse sbagliando, che la coincidenza sarebbe stata troppo forzata, da una parte sentiva che non poteva essere così: se il suo cuore non fosse stato immobile ormai da troppo tempo, le avrebbe indicato quel bambino.

Per questo scavalcò la staccionata. Atterrò a pochi metri di distanza dal ragazzino che sobbalzò, rivolgendole un’occhiata intimorita. I suoi occhi grigi sgranati alimentarono in Caroline la sensazione di déjà-vu .

“Ciao!” lo salutò amichevolmente accovacciandosi a sua volta nell’erba.

“Stai bene?”

Il ragazzino si affrettò ad annuire, evitando il suo sguardo. Sembrava talmente a disagio, che la stessa Caroline si sentì attraversare da un vago alone di tristezza.

“Sai? A me non sembra.” commentò con un sorriso incoraggiante, incrociando le gambe sul tappeto d’erba.

“Ti stai nascondendo?”

La domanda le sorse spontanea, anche se non riuscì a comprenderne il perché. Episodi sfocati della sua infanzia sfilarono scomposti di fronte ai suoi occhi, strappandole un sorriso: bambine che per capriccio si nascondevano alle mamme arrabbiate, fratellini pestiferi che si rifugiavano sotto il letto … e Tyler. Tyler che da bambino era sempre stato il re dei nascondigli.

Il ragazzino, d’altro canto, sembrò sorprendersi della sua domanda. Sgranò gli occhi una seconda volta, prima di rivolgerle un’occhiata furtiva.

Anche io mi sto nascondendo, sai?”

Rivelò a quel punto Caroline strofinando la mano sull’erba. Questa volta, fu sicura di aver fatto centro: un po’ dell’inquietudine, che fino a quel momento aveva trionfato sul volto del bambino, scemò.

“Da, da che cosa?” balbettò scrutandola con aria incuriosita, seppur ancora diffidente. Caroline sorrise, abbandonandosi in grembo i fili d’erba strappati.

“Da diverse cose.” ammise tornando a rivolgersi al ragazzino.

“Dalle persone a cui voglio bene. Dalle cose che mi rendono triste. E da quelle che mi rendevano felice.”

Il ragazzino annuì lentamente, smettendo di cingersi le ginocchia.

“È perché hai paura?” domandò.

 La vampira gli rivolse un’occhiata sorpresa, prima di annuire.

“Ogni tanto. Sì, ci sono delle cose di cui ho paura.” confessò, sorridendogli con dolcezza: più lo guardava, e più era convinta di conoscere quei lineamenti, di aver già visto quel viso prima di quel pomeriggio.

Il ragazzino tornò a chinare il capo verso il basso, incominciando a sua volta a strappare qualche filo d’erba.

“Io invece ho paura di tutto.” commentò in tono di voce secco, quasi arrabbiato. Caroline scosse il capo, intenerita.

Ma dai, non ci credo.”

“E invece è così.” ribatté il bambino con aria triste.

La vampira sospirò; tese una mano per accarezzargli il capo, ma la ritrasse quasi subito, impacciata: era nell’età per essere una madre, ma non aveva familiarità con quel modo di sfiorare docile e rassicurante che appartiene solo alle donne che hanno avuto dei figli.

“È per questo che ti nascondi? Perché hai paura?” domandò allora con dolcezza, avvicinandosi al ragazzino. Il piccolo annuì a capo chino, lasciando andare l’erba e tornando a cingersi le ginocchia con le braccia.

“Non volevo venire alla riserva.” aggiunse poi, appoggiandoci sopra il mento.

“Non mi piacciono i…” incominciò, arrossendo per l’imbarazzo. Sospirò. “Mi, Mi, Mi fanno paura i lupi.” ammise infine.

Caroline gli rivolse un’occhiata spiazzata, cosa che alimentò il rossore sulle guance del ragazzino.

“I lupi?” ripeté lentamente, mentre il bambino annuiva: c’era qualcosa, nel rinnovato disagio del piccolo, che le infondeva tristezza.

“So che ci sono alla riserva.” specificò il ragazzino agitando nervosamente le ginocchia.

“E a me non va tanto di vederli.”

“I lupi sono animali bellissimi.” lo incoraggiò Caroline sfilando via un filo d’erba che si era incastrato nella suola di una sua scarpa.

 “Ma sono pericolosi...” obiettò il bambino con una punta di inquietudine nello sguardo.

“Io non mi fido.”

“Quelli della riserva non ti faranno del male.” lo tranquillizzò la ragazza, convincendosi finalmente a tendere il braccio, per accarezzargli il capo.

 “Sono abituati ad avere gente intorno. E poi, i lupi sono davvero delle creature speciali: sono coraggiosi e anche molto leali, specialmente con la propria famiglia.”  spiegò, avvertendo un lieve tremore nel suo tono di voce. La parola “famiglia” accostata a “lupo”, era ancora in grado di turbarla, nonostante tutto.

Il ragazzino annuì lentamente, stringendosi le caviglie con le mani.

 “Forse è per questo che mi fanno paura.” azzardò infine, voltandosi esitante in direzione di Caroline.

“Io non sono coraggioso come loro: in realtà non lo sono proprio per niente. Mi nascondo sempre: i, i miei fratelli invece non hanno mai paura di nulla.”

Sai…

La vampira inclinò appena il capo, sorridendogli con dolcezza.

“Non sempre le persone sanno di essere coraggiose. C’è chi se ne accorge all’improvviso e chi impara a farlo lentamente, un passetto alla volta. A volte siamo convinti di non poter essere coraggiosi, solo perché non abbiamo mai davvero provato a esserlo.

Il ragazzino la ascoltava in silenzio, scrutandola pensieroso.

“Tu sei coraggiosa?” domandò infine indirizzandole un’occhiata penetrante. Caroline gli sorrise.

“Non lo so, tu che dici?”

Il bambino la osservò per qualche istante in silenzio, prima di annuire.

“Hai l’aria di esserlo.” ammise accennando al primo vero sorriso del pomeriggio. La ragazza scoppiò a ridere.

“Ti ringrazio!” esclamò poi, con aria divertita.

Ma allora…” continuò poi il ragazzino corrugando la fronte, nuovamente impensierito, “…se sei coraggiosa, perché ti nascondi?”

Caroline gli rivolse un’occhiata sorpresa, prima di indirizzare il proprio sguardo verso il parcheggio, distratta da un fischio in lontananza.

“Devo andare!” annunciò improvvisamente il bambino con aria preoccupata, non appena il rumore si fece più vicino.

“È il fischietto dell’insegnante.” rivolse alla vampira un’occhiata leggermente titubante.

“Grazie.” aggiunse, sollevandosi da terra.

Senti…” Caroline si alzò a sua volta.

“Me lo dici come ti chiami?” domandò con aria quasi speranzosa, nonostante qualcosa dentro di lei le stesse suggerendo di non farlo.

Il ragazzino la analizzò con aria diffidente, aggrappandosi al legno della staccionata.

“Mi chiamo Mason.”  rivelò infine, permettendo a un sorriso timido di arricciare gli angoli delle sue labbra.

“Mason Lockwood.”

Erano trascorsi quattro anni, dall’ultima volta che Caroline Forbes aveva messo piede a Mystic Falls. Dieci da quando aveva deciso di trasferirsi a New York. Più di quindici da quando il suo cuore si era fermato, impedendole di continuare a crescere. Vietandole di vivere pienamente la sua vita.

Eppure, in quel momento, poté quasi giurare di avere sentito qualcosa muoversi dentro di lei: per un attimo, osservando quel bambino sorridere, fu come se il suo cuore avesse ricominciato a battere.

***

 

Autumn si slacciò frettolosamente la sciarpa dal collo, percorrendo il corridoio che portava alle gradinate. Sbuffò, intuendo dai rumori provenienti dalla pista, che la partita fosse già iniziata; si era persa il numero di apertura delle cheerleaders: Vicki le avrebbe tenuto il broncio per il resto del pomeriggio.

Fece una smorfia quando si accorse di aver perso la sciarpa per strada e tornò indietro a recuperarla, visibilmente irritata. Quel pomeriggio l’aveva decisamente incominciato con il piede sbagliato – tra l’ennesima litigata con sua madre e un libro di scienze scomparso chissà dove alla vigilia di un compito in classe – e la giornata non accennava a voler migliorare nemmeno di una virgola. C’era poi stato l’incontro con quella ragazza, Caroline, che per qualche strana ragione le aveva impresso addosso uno strano nervosismo. Qualcosa di insolito era accaduto, quando le due si erano strette la mano: d’istinto, lei aveva ritratto bruscamente la sua, spaventata da un presentimento improvviso.

Ora, Autumn era sempre stata il tipo di persona che lavorava parecchio di testa, abbandonandosi talvolta a lunghe e calcolate riflessioni, pur di non prendere decisioni affrettate. Non dava retta al suo istinto; semplicemente non era da lei fare affidamento su qualcosa che non rimasse con una motivazione logica. Eppure, quella stretta di mano – quella ragazza, Caroline – le aveva suggerito a pelle di allontanarsi il più possibile: in quel contatto, c’era qualcosa che stonava.

Sbuffò una seconda volta, accorgendosi di avere incominciato a ragionare come suo fratello, cosa che finì per infastidirla parecchio: lei e Julian non erano mai stati molto legati.  Si volevano bene, ma si sentivano di rado, e ancor più raramente si vedevano, soprattutto in seguito alla separazione dei genitori.

Julian era l’opposto di sua sorella: lui era un sognatore, un impulsivo. Era sempre stato quello strano, il classico ragazzino che non può fare a meno di porsi delle domande, dubitando che le cose che lo circondano stiano veramente al loro posto. I suoi, erano gli interrogativi che ad Autumn avevano sempre fatto roteare gli occhi: a lei piaceva credere che tutto nel suo mondo avesse un ordine preciso; che le cose accadessero con regolarità, giorno dopo giorno, e che quindi fosse inutile provare a spaccarsi la testa con mille punti di domanda, dubbi, supposizioni. Non si sarebbe mai affidata all’istinto per scegliere un’università, come invece aveva fatto Julian. Per certi versi, la ragazza somigliava molto al padre.

Era quello uno dei motivi per cui ancora faticava a comprendere come mai avesse deciso di stabilirsi con la madre; lei e Bonnie erano troppo simili per certi versi, e troppo diverse per altri, e questo miscuglio di analogie e differenze sfociava spesso in litigate, a volte anche per le cose più stupide. Ciò nonostante, in fondo, Autumn credeva di sapere come mai avesse acconsentito a restare a Mystic Falls, pur lamentandosi di continuo. Bonnie non aveva mai faticato ad intuire che cosa le passasse per la testa, nonostante di rado si sforzasse di intervenire. Non era mai stata una madre particolarmente oppressiva, né con lei né con Julian, e quello era da sempre un punto a suo favore. E in fondo era anche in grado di ascoltarla, anche se Autumn difficilmente gliene dava l’opportunità.

Per Julian e suo padre, invece, comprensione e complicità erano parole che non si allacciavano per niente al loro rapporto. L’impulsività e la fiducia cieca che il ragazzo riponeva nei suoi progetti, talvolta per nulla verosimili, cozzavano apertamente con l’indole realista e a tratti cinica di David Morgan. In seguito alla separazione dei genitori, Julian aveva acconsentito a trasferirsi a Richmond  – l’anno successivo si sarebbe dovuto comunque spostare per via del college – ma tra i due, continuava a non esserci un legame particolarmente stretto. Di certo, non litigavano sbattendosi la porta in faccia come facevano Bonnie e Autumn, ma il dialogo era ridotto all’osso. Da quando aveva incominciato a frequentare l’università, il giovane cercava di tenersi il più possibile fuori casa e David non aveva mai fatto obiezioni a riguardo.

Autumn superò il bar camminando svelta, sperando di riuscire ad arrivare in tempo almeno per il primo intervallo. Attraversando il corridoio, individuò con la coda dell’occhio un ragazzo appoggiato al muro, che stava trafficando con il cellulare. Roteò gli occhi nel riconoscerlo e si affrettò a proseguire oltre, diretta verso la pista.

Mase sollevò gli occhi dal display e le rivolse un’occhiata altrettanto seccata.

“Che hai da fare quella faccia?” la rimbeccò scontrosamente, aprendo la sua lattina di coca cola. Autumn si fermò.

“Magari non sono affari tuoi.” commentò bruscamente, squadrandolo infastidita.  Lei e Mason si detestavano cordialmente da anni ed era difficile per tutti e due trattenersi dal renderlo pubblico, ogni volta che si incontravano.

Magari lo sono, visto che l’occhiataccia era rivolta a me.” ribattè il ragazzo inarcando presuntuosamente un sopracciglio. Autumn sbuffò, osservandolo con sdegno.

Magari non ruota sempre tutto attorno a te, Mason Lockwood. Sei l’ultima persona al mondo che mi verrebbe voglia di guardare, specialmente in giornate come questa.  

E lo pensava veramente; il nervoso aveva incominciato a punzecchiarla con insistenza e le mani le prudevano in maniera insolita: la negatività che aveva assorbito in quel pomeriggio continuava a crescere, spingendola a perdere la pazienza.

Mason diede una scrollata di spalle.

“In tal caso, sei strabica.” commentò con noncuranza, avvicinandosi la lattina alle labbra. Autumn, che si era finalmente decisa a raggiungere la pista, si voltò di scatto in direzione del ragazzo. Nello stesso istante, la lattina di Mase sibilò e la coca cola schizzò fuori dal contenitore, colpendo il ragazzo sulla maglietta.

Ma che cazzo…” Mason schiacciò la parte superiore della lattina con la mano, rosso in viso.  Autumn arretrò lentamente, il nervosismo improvvisamente tramutato in panico: le dita le prudevano ancora.

“Non sono stata io.” mormorò quasi senza accorgersene, indietreggiando ancora. Mason le rivolse un’occhiata seccata, mentre le sue mani si frugavano freneticamente tra le tasche alla ricerca di un fazzoletto.

Ma va?” commentò ironicamente, cercando di asciugarsi il collo come meglio poteva.

Idiota…” aggiunse poi tra sé, mentre la ragazza si allontanava, diretta verso la pista da hockey. Autumn incominciò a respirare forte, guardandosi le mani che ancora le formicolavano: c’era qualcosa che non andava.

Aveva caldo e freddo al tempo stesso; e il suo cuore aveva preso a battere più in fretta, ma non era per rabbia, né per il nervoso.

Eppure non poteva essere stata lei.

Era agitata e non riusciva a comprendere il perché.

La ragazza si cacciò le mani in tasca, poi le tirò nuovamente fuori. Strinse forte le dita a pugno, ma servì a poco: il prurito non accennava a dileguarsi, il batticuore era ancora insistente. E la fastidiosa impressione di essere in qualche modo collegata all’incidente della lattina, anche.

Ci aveva pensato – era sicura di averci pensato – e poi era successo. Follia, considerò fra sé, appoggiandosi alle parete. Il fatto che ci avesse pensato, non significava nulla. Era stata una coincidenza; una stupida coincidenza. Eppure il formicolio alle mani non cessava e il presentimento che qualcosa di insolito stesse accadendo continuò a pungolarla con insistenza.

Si sentiva come se il mondo avesse improvvisamente incominciato a girare più in fretta e lei non avesse idea di come fermarlo. Di come rallentarlo. Ciò che le era sempre stato ostile –  un presentimento, il suo istinto – si sforzava di suggerirle qualcosa a cui non voleva dare ascolto, ma che non riusciva ad evitare, per quanto si sforzasse.

E aveva paura.

Una paura sottile, ma paralizzante. Aveva paura e non riusciva a spiegarsi il perché. Eppure sentiva che sarebbe andato tutto per il  meglio, se solo le sue mani avessero smesso di formicolare così tanto.

Il prurito non cessò.

***

Mason si chiuse la porta del bagno alle spalle, imprecando a denti stretti. Cercò il cestino con lo sguardo e si liberò della lattina ancora mezza piena, prima di raggiungere il lavandino per darsi una sciacquata. Scrutò poi con aria truce la chiazza di coca cola che si era formata sulla sua maglietta: fanculo, farfugliò digrignando i denti.

Mentre si asciugava le mani, qualcun altro fece ingresso nel bagno, catturando l’attenzione del ragazzo sgranchendosi la voce. Mase lo riconobbe come uno dei compagni di corso di sua sorella, un certo Mike, Michael, qualcosa del genere. Era uno di quegli energumeni dall’umorismo forzato con il vizio di inserire frecciatine a ogni frase, convinti di far ridere. Mason li trovava irritanti e proprio per questo aveva trascorso gli ultimi mesi cercando di evitare i tipi come Michael, ben conoscendo il tipo di reazione che avrebbero fatto scattare in lui: quel pomeriggio, non gli fu possibile.

“Bella maglietta, Lockwood. Problemi ad aprire le lattine?” commentò l’adolescente con un guizzo divertito nello sguardo. Mason strinse le mani a pugno, ma si limitò a tacere, affrettandosi a raggiungere la porta del bagno; forse, nonostante l’umore nero, sarebbe perfino riuscito a tenersi fuori dai guai, una volta tanto.

“Avresti dovuto chiedere alla tua sorellona di darti una mano. A proposito, dimentico sempre quanti anni hai; dodici?

O forse no.

***

La squadra di Mystic Falls aveva vinto: Caroline Forbes lo intuì avvertendo le prime note dell’inno della scuola mescolarsi a un tripudio di voci entusiaste provenienti dalla pista. Sorrise, abbandonando il bar per raggiungere l’uscita dell’edificio: aveva deciso di fare un salto a casa, prima di tornare dai Donovan nel pomeriggio, ma i suoi progetti finirono nel dimenticatoio, quando la vampira oltrepassò il bagno dei ragazzi; rumori di rissa, mescolati all’odore pungente del sangue la convinsero a fare marcia indietro. Era consapevole del fatto che sarebbe stato meglio per lei proseguire oltre, cercando di non impicciarsi, di non dare nell’occhio… o magari di fare entrambe le cose. Si infilò comunque nel bagno dei ragazzi, cercando con lo sguardo i protagonisti della lite: erano due adolescenti, uno decisamente più piccolo dell’altro. Caroline li raggiunse appena in tempo per evitare che il minore si avventasse un’altra volta sull’altro, già pronto a colpirlo di nuovo.

“Fermatevi subito. Smettetela entrambi!” li intimò afferrando il più giovane per le spalle che si scansò, portandosi poi il dorso della mano alla bocca per sfilare l’accenno di sangue che aveva sotto al labbro. Nel momento in cui i loro sguardi si scontrarono, Caroline lo riconobbe.

“Mason!” si lasciò sfuggire, mentre ancora lo tratteneva per la giacca. Colto alla sprovvista, Mase si voltò verso di lei; la riconobbe come la ragazza che aveva sorpreso a fissarlo a scuola. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma Caroline fu più veloce. Si frappose tra i due ragazzi, mentre il più grande dei due cercava di approfittare del momento di distrazione di Mase, per sferrargli un pugno.

“Adesso calmatevi. Tutti e due.” esclamò placcando il colpo del ragazzo e spingendolo verso il lavandino.

“E tu chi diavolo sei?” ringhiò a quel punto Mason, cercando di superarla per raggiungere l’altro ragazzo.

“Che cosa vuoi da me? Perché sei sempre ovunque?”

Caroline si limitò a trattenerlo, mentre l’altro adolescente le rivolgeva un’occhiata diffidente, imbarazzato e intimidito al tempo stesso, dalla forza di quella ragazza mai vista prima.

“Che sta succedendo, qui?”

Nel momento esatto in cui quelle parole venne pronunciate, accaddero due cose:  gli occhi di Mason si ridussero a due fessure e il ragazzo si fece da parte, allineandosi alla parete. Nello stesso istante, Caroline lasciò andare l’altro adolescente, irrigidendosi di scatto.

Tutto ciò che fino a quel momento aveva percepito venne meno, incluso l’odore del sangue. Il mondo si sfumò; i rumori si affievolirono. Si spense tutto; tutto tranne quella voce. Le quattro parole che aveva udito rimbombarono ripetutamente nella sua testa e quella voce, la voce che si era sforzata di ignorare per mesi, gli rimbalzò addosso e si frappose ai suoi pensieri con insolenza, costringendola ad arretrare a sua volta.

Tyler non ebbe alcuna reazione, fino a quando i loro sguardi non si incrociarono. Sgranò gli occhi, nel riconoscere quei lineamenti da ragazzina, quegli occhi chiari, quella luce ancora presente – dopo tutto quel tempo – nello sguardo di Caroline.

Non disse nulla; rimasero entrambi in silenzio, gli sguardi fusi l’uno all’altro e i loro corpi immobili, come paralizzati. Mason analizzò l’espressione di entrambi con aria nervosa, non riuscendo a comprendere che cosa stesse succedendo. Infine, Tyler si decise a spostare la propria attenzione da Caroline, al figlio. Notò all’istante il labbro ammaccato del ragazzo e l’aspetto scomposto di tutti e due gli adolescenti e i suoi occhi si cerchiarono di rabbia.

“Non è successo nulla, signor Lockwood.” esclamò improvvisamente il maggiore dei ragazzi, in soggezione.

“Fuori di qui.” lo intimò Tyler indicandogli la porta del bagno.

“Avanti.”

Il giovanotto non se lo fece ripetere due volte. Scoccò un’ultima occhiata truce in direzione di Mase e si allontanò dai presenti, sistemandosi i capelli con la mano. Caroline si costrinse a seguirlo, farfugliando qualcosa che somigliava a un vi lascio soli”, ma Tyler si mosse nella sua direzione.

“Aspetta.” affermò rivolgendole un’occhiata esitante. Caroline si bloccò; l’uomo tornò a osservare il figlio, che aveva messo le mani in tasca e lo fissava di sottecchi, rosso in viso. Se per la rabbia o per la vergogna, non era facile da intuire. Infine, l’uomo si voltò nuovamente in direzione della vampira.

“Dammi due minuti.” insistette. E nel suo sguardo, Caroline fu quasi convinta di aver intravisto una punta di supplica. Annuì, abbandonando comunque la stanza e appoggiando le spalle al muro, a pochi metri dalla porta del bagno.

Non appena la ragazza fu scomparsa dalla sua visuale, lo sguardo di Tyler mutò nuovamente. Con le iridi cerchiate di rabbia, si avvicinò il figlio.

“Che diavolo stavi cercando di fare?”  ringhiò appoggiando la mano al muro e stringendo le dita a pugno: le nocche impallidirono. Mason scansò il suo sguardo e scrutò con odio il pavimento.

“Era solo una litigata scema…” tentò di difendersi a mezza voce, ben sapendo che quelle parole avrebbero semplicemente irritato ulteriormente Tyler.

“E per una litigata scema, ti metti a fare a botte?” ringhiò, infatti, il padre rivolgendogli un’occhiata che mescolava lo stupore alla rabbia. Mason non rispose: il rossore sulle sue guance era sempre più evidente. Tyler sospirò, mettendosi a sua volta le mani in tasca.

“Cristo, Mason, io non so più che cosa fare con te.” sbottò infine scuotendo il capo più volte, “Ma ti sei visto allo specchio?” aggiunse, afferrandolo per le spalle e dandogli un colpetto in direzione del lavandino.

“Guardati! Sei un nanerottolo.” lo intimò Tyler indicandogli lo specchio.

“Un marmocchio con il sangue al naso. E nonostante questo, parti in quarta come un giocattolo a molla, alla minima provocazione. Continua pure con questo atteggiamento da cazzone, fatti massacrare dai ragazzi più grandi, ma sappi che prima o poi capiterà che becchi la giornata sbagliata e non ci sarò più io a venire a salvarti il culo. O tuo fratello.”

“Che cosa centra Ricki?” sbottò improvvisamente Mason allentando la presa del padre sulla sua spalla. Tyler sospirò, riuscendo a recuperare pian piano il controllo della sua rabbia.

“Mase, per favore.” si limitò a pregarlo infine, osservando il riflesso del figlio con aria stanca, “Fai attenzione. Smettila di fare casini. A volte può bastare un passo falso, un unico stupido errore… e finisci per rovinarti la vita. Questo, non ti deve succedere.”

Mason trovò il coraggio di sollevare il capo e squadrò il padre con aria diffidente.

“Da come parli, sembra che tu, quell’errore, l’abbia commesso.” commentò a voce asciutta. Fuori dal bagno, Caroline trattenne il fiato, mordicchiandosi nervosamente un labbro. In quel momento, incrociò lo sguardo del ragazzo che stava camminando nella sua direzione. Gli sorrise istintivamente, riconoscendo l’andatura rilassata e lo sguardo luminoso del giovane. Sorpreso, Oliver ricambiò il sorriso, prima di sbirciare oltre la porta del bagno dei ragazzi, convinto di aver riconosciuto la voce del suo migliore amico.

“Mase?” lo chiamò con titubanza, intuendo all’istante il brutto momento non appena il suo sguardo si posò su Tyler. L’uomo fece per dire qualcosa al figlio, ma poi sembrò ripensarci.

Va’ di là con Oliver e sistemati quel labbro.” ordinò infine dandogli una pacca sulla spalla. Mason si mosse in direzione dell’amico, con aria più che mai scontrosa.

“E stai vicino ai tuoi fratelli!” si raccomandò ancora il padre, mentre i due ragazzi si allontanavano in direzione opposta a lui.

Caroline li osservò avviarsi, captando alla perfezione il “non ho più dieci anni!” brontolato in maniera secca dal minore dei Lockwood. Con sua sorpresa si accorse che non era stata la sola a sentirlo.

“A me invece sembra proprio di sì.” commentò Tyler passandosi una mano sul viso con aria stanca. La ragazza gli rivolse un sorriso comprensivo. Quando se ne accorse, l’uomo sospirò.

“Grazie.” mormorò prima di appoggiare la schiena contro il muro.

“Veramente non ho fatto nulla.” rispose la ragazza denegando con il capo.

“Io non so proprio che gli sia preso.” continuò imperterrito Tyler, visibilmente preoccupato.

“Da bambino non era così. Io…

Si fermò, volgendosi in direzione di Caroline.

La guardò per una frazione di secondo e poi le sorrise, come se avesse appena riavvolto un nastro immaginario, per tornare al momento in cui, poco prima, si erano incontrati.

“È bello rivederti, Care.” ammise, allargando le braccia per invitarla a stringerlo. Caroline si lasciò abbracciare, sforzandosi di sorridere, ma avvertì dell’impaccio in quel contatto. Le braccia di Tyler, così come tutto a Mystic Falls, avevano dimenticato come farla sentire al sicuro. Avevano dimenticato, che un tempo erano state in grado di farla sentire a casa.

I hate to turn up out of the blue uninvited
But I couldn't stay away, I couldn't fight it.
I had hoped you'd see my face and that you'd be reminded
That for me it isn't over.

 

A Caroline, quel pensiero fece male; aveva trascorso gli ultimi mesi cercando di convincersi che il suo ritorno a casa non avesse nulla a che vedere con lui; aveva ignorato la sua presenza insistente, i ricordi che echeggiavano ogni volta che il suo sguardo si posava su un dettaglio diverso di quella cittadina. In ogni luogo, sembrava esserci qualcosa che la ricollegasse a Tyler. Aveva riabbracciato sua madre, i suoi amici, la sua famiglia. Per un giorno, era perfino riuscita a convincersi che la loro presenza bastasse, che fosse più che sufficiente per riuscire a colmare quel vuoto, l’assenza totale di qualcosa che ancora la feriva, nonostante tutto. Aveva sorriso a quei ragazzi sconosciuti, li aveva vegliati in silenzio, desiderando a volte solo di poter imparare a conoscerli, diventare parte delle loro vite. Come amica, come confidente.

E ci era quasi riuscita, in fondo, a convincersi di desiderare solo il loro bene. Il bene dei ragazzi; la felicità delle persone a cui teneva, quello e nient’altro.

I wish nothing but the best for you

Eppure, in quel momento, con Tyler al suo fianco, si rese finalmente conto che in fondo, per anni, non aveva fatto altro che sperare che un giorno le cose potessero tornare come una volta.

Per anni, una parte di lei, aveva preservato per Tyler quel tipo di amore che aveva provato quando avevano diciassette anni e scarso interesse verso ciò che serbava loro il futuro.

Forse era davvero tornata per lui, dopotutto.

“Sei silenziosa.” obiettò in quel momento l’uomo, indirizzandole un’occhiata sospettosa.

“Non è da te.” aggiunse scherzosamente.

Old friend, why are you so shy?
Ain’t like you to hold back or hide from the light.

Caroline cercò di rispondere, ma le parole faticarono a uscire. Si limitò a rivolgergli un sorriso appena abbozzato.

“Mi hai mai pensata?” riuscì a domandargli infine, costringendosi a ricambiare il suo sguardo.

“In questi anni. Hai mai pensato a me?”

Tyler sorrise, portandosi le braccia sul petto.

“Io penso spesso a te, Caroline.” ammise, sfiorandole la guancia con delicatezza.

 “Ogni volta che chiamo mia figlia per nome…” dichiarò sotto lo sguardo pensieroso della ragazza,

…O quando mi mette il broncio.” aggiunse riuscendo a strapparle un sorriso.

“Durante le notti di luna piena… Caroline, come potrei non pensare a te?” lo disse in fretta, e notando il modo in cui l’aveva guardata, alla ragazza parve quasi un rimprovero.

“Tu c’eri sempre. Pensi davvero che potrei dimenticarmi di questo?

Caroline tentennò, prima di rispondere.

“Dovresti.” azzardò infine, dimezzando il tono di voce. Tyler inclinò appena il capo verso destra.

“Sei sposato, ora.” aggiunse. L’uomo aggrottò appena le sopracciglia.

“Sono sposato.” confermò.

“E amo mia moglie. Amo i miei figli più di qualsiasi altra cosa al mondo. Suonerà banale, ma è la pura verità: non so cosa farei se un giorno dovesse succedere qualcosa a uno di loro, probabilmente perderei la testa…

Il modo in cui parlava della sua famiglia era qualcosa che non era mai riuscita a dimenticare, dopo tutto quel tempo. C’era qualcosa nel suo tono di voce che la inebriava e la feriva al tempo stesso. Non riuscì più a sostenere il suo sguardo: gli occhi dell’uomo le sembravano diversi, improvvisamente. Erano gli occhi di un lupo, un lupo pronto a tutto, pur di difendere il suo branco. I suoi piccoli, la sua famiglia.

Ma non posso comunque dimenticarmi di te.” aggiunse Tyler, tendendo il braccio per stringerle una mano.

“O di noi. Proverò sempre qualcosa di molto forte per te, Caroline. Anche se non è il genere di legame che ci ha legati in passato. Anche se ora è tutto diverso. Anche se sono cresciuto, mi fa sempre bene averti vicino. La nostra amicizia, Caroline…” aggiunse, sollevandole il mento con delicatezza.

 “…Di quella ne avrò bisogno sempre E mi è mancata, durante questi dieci anni.” ammise.

Caroline inspirò a fondo e infine annuì, stringendo con più forza la mano ancora intrecciata a quella dell’uomo.

“Terrò d’occhio Mason per te.” decise infine, voltandosi per sfilare via una lacrima che era sfuggita al suo controllo.

“Mi sembra che ne abbia bisogno.”

“Non devi farlo, Care. Non è compito tuo.” la rassicurò Tyler. Tuttavia, la ragazza notò subito che il suo sguardo si era fatto nuovamente pensieroso.

“Voglio farlo.” si impuntò, lasciandogli la mano.

“E poi non so se hai notato, sembra che mi venga naturale. Sono sempre al posto giusto e al momento giusto per impedire che gli succeda qualcosa.

“Un po’ come in passato è successo con me.” scherzò Tyler, infilandosi le mani in tasca. Le sorrise, e per un attimo Caroline fu quasi convinta che il Tyler che aveva davanti fosse l’adolescente di un tempo, il Tyler che l’aveva amata a lungo.

“Puoi abbracciarmi un’altra volta?” domandò a bruciapelo, chinando appena lo sguardo. Con un accenno di sorriso divertito, l’uomo tirò fuori le mani dalle tasche e avvolse le braccia attorno alla sua vita.

Subito, a Caroline ,quell’abbraccio parve quasi freddo, come il precedente. Ma la ragazza non si arrese. Ci frugò dentro, sforzandosi di recuperare vecchi ricordi. Evocò il modo in cui si sentiva quando all’alba riusciva finalmente a scaldarlo, sfilandogli via il freddo che la luna piena gli aveva lasciato addosso. Ricordò le loro mani intrecciate e l’ultimo bacio che si erano scambiati, assaporandone per un istante il retrogusto amaro: era un bacio di addio.

Si fece coraggio e scavò ancora indietro; prima dei baci, delle carezze di due innamorati, Caroline trovò infine quello che cercava. C’era un ragazzo spaventato e  c’era lei, Caroline, e il tocco della sua mano tiepida, a contatto con la sua pelle nuda. C’era un girotondo di cicli lunari, notti insonni trascorse a piangere o a vegliare, ossa che si spezzano, occhi che si tingono di giallo, occhi di lupo. C’era una ragazza che in quel periodo aveva imparato a mettere stessa dopo gli altri. A tendere la propria mano verso chi era alla ricerca di un appiglio. E Tyler, a quella mano, ci si era aggrappato con forza, scoprendo grazie a Caroline di non essere solo: di non esserlo mai stato.

Fu in quel momento, che l’abbraccio di Tyler incominciò a mutare. E le sembrò tiepido, tutto d’un tratto. E sicuro, proprio come un tempo.

Fu in quell’abbraccio, l’abbraccio di un amico, che per la prima volta – da quando era tornata a Mystic Falls - si rese conto di essere davvero a casa.

 

They say you're really not somebody
until somebody else loves you.
Well, I am waiting to make
somebody, somebody soon.

And are we there yet? Home.

Are we there yet? Ingrid Michaelson

 

***

“Bella partita, vero?” Lester spostò lo sguardo verso la persona che aveva appena fatto capolino alla sua destra. Leanne Willard-Forbes gli sorrise, prendendo posto accanto a lui. L’uomo frugò la pista con lo sguardo, come se stesse cercando qualcuno. Infine, indicò uno dei ragazzi.

“Il figlio dei Gilbert ha una buona mira.” commentò infine osservandolo raggiungere la sua famiglia.

“Potrebbe diventare un bravo cacciatore. Come i suoi avi.”

“Non ci servono cacciatori di vampiri.” gli ricordò la donna. Lester le rivolse un’occhiata poco convinta.

 “Come mai è qui, Leanne?” domandò poi, passandosi la mano sotto il mento. Leanne gli sorrise di nuovo , e nel farlo, Gregory notò che i suoi occhi brillavano di una leggera punta di malizia.

“Ho un’informazione che potrebbe interessarle; lo sceriffo mi ha appena avvertita.” ammise, porgendogli il cellulare: sullo schermo, il nome di Fell era susseguito dall’immagine di un uomo anziano.

“Questo è il professor Finn. È per sostituire lui, che sto facendo supplenza.” notò Lester.

“Beh, temo che dovrà continuare a sostituirlo ancora a lungo.” rivelò la donna ritirando nuovamente il cellulare in tasca. Quando Gregory le rivolse un’occhiata perplessa, sembrò quasi divertita della sua reazione.

 “è scomparso.” specificò, sollevandosi per abbandonare le tribune.

“Da più di due settimane ormai.”

Si allontanò in direzione dell’uscita, abbandonando un più che mai pensieroso Lester, solo con i suoi pensieri.

 

***

“Che ti è successo?” Si affrettò ad esclamare Ricki, notando l’aria più che mai afflitta del fratello minore. Oliver denegò appena con il capo, ma il maggiore dei fratelli Lockwood lo ignorò.

“Che hai fatto a quel labbro? Diamine, Mase, non di nuovo!” gli appoggiò una mano sulla spalla con aria preoccupata, ma il ragazzo lo scansò.

“Rick, vai a chiamare Caroline.” si introdusse il padre nel discorso rivolgendo un’occhiata intensa al figlio maggiore. Ricki tentò di comunicargli la sua apprensione con lo sguardo, ma il padre fu irremovibile. Infine, il ragazzo annuì e raggiunse la sorella.

Tyler sospirò, tornando a osservare Mason.

“Adesso andiamo a casa.” annunciò infine allacciandosi il giubbotto. Il figlio si infilò a sua volta il suo, in silenzio.

“Caroline!” Tyler richiamò bruscamente la figlia, deciso ad andarsene in fretta.

“Un momento solo!” lo supplicò la ragazza trattenendo Ricki per il braccio e cercando Vicki con lo sguardo.

“Oh, eccola lì! Vic! Ehi, Vic!” esclamò mentre il fratello maggiore roteava gli occhi.

“Che rompiscatole che sei, sorella…” mormorò sotto lo sguardo divertito di Alexander che osservava la scena ridacchiando. Vicki, tuttavia non li raggiunse. Aveva riconosciuto Autumn seduta per conto suo tra le ultime tribune e la sua espressione tormentata, la impensierì.

“Guarda che ti perdono, se sei arrivata in ritardo.” scherzò sfuggendo ai richiami insistenti di Caroline, per arrampicarsi sulle gradinate. Quando prese posto di fianco all’amica, Autumn smise di fissare il vuoto e la osservò atona, quasi non si fosse accorta del suo arrivo prima di quel momento.

“Che succede,Tumn?” domandò poi Victoria rivolgendole un’occhiata preoccupata. L’altra ragazza scosse il capo, guardandosi le mani: non prudevano più, ma ricordava perfettamente il formicolio che aveva avvertito quel pomeriggio e continuava a temere che sarebbe tornato presto. Senza che lei potesse farci nulla.

“Non lo so.” ammise infine, traendo un lungo respiro. Una lacrima sfuggì al suo controllo, rimanendo aggrappata alle sue ciglia, quasi avesse paura di scivolare a terra.

“Non lo so, Vicki.”

Victoria sospirò, abbandonando malamente la sacca da ginnastica a terra. Strinse l’amica forte a sé, cercando di infondergli conforto, ma domandandosi al tempo stesso che cosa potesse esserle successo; la analizzò di sottecchi, alla ricerca del cipiglio scettico che la caratterizzava di solito, ma in quel momento, in lei, riconobbe solo lo sguardo confuso di una ragazza che non somigliava più di tanto a quello di Autumn Morgan.

Era lo sguardo di una ragazza smarrita.

 

***

Oliver aprì gli occhi di scatto, tirandosi a sedere con aria confusa. Si arruffò i capelli, ancora mezzo addormentato, cercando di riportare la sua mente al sogno che aveva appena fatto. Allungò la mano verso il comodino, e cercò a tentoni la lampada, premendo il tasto di accensione.

Non ricordava più il suo sogno; sapeva solo che centrava una ragazza. Fu solo quando il suo sguardo cadde sull’album da disegno che era scivolato a terra, ancora aperto dalla sera precedente, che il ragazzo ricordò: era quella, la ragazza del sogno. La stessa che stava ritraendo.

Sbadigliando, chiuse l’album con uno scatto secco e lo posò sul copriletto, prima di dirigersi in bagno. Quando tornò indietro, si accorse che il blocco da disegno era di nuovo aperto all’ultima pagina. La ragazza del ritratto gli sorrise dal disegno: un sorriso di carta e carboncino. Che strano, pensò chiudendo nuovamente l’album. Eppure, era convinto di averlo già fatto poco prima.

Spense la lampada sul comodino e scivolò nuovamente sotto le coperte, dimenticandosi all’istante sia del sogno, sia della ragazza.

Improvvisamente, la porta della sua camera sbatté; Oliver scattò a sedere, tornando ad accendere la lampada.

“Jeremy?” una voce lo colse di sorpresa. Oliver sobbalzò, riconoscendo nella penombra generata dalla luce fioca della lampada, il profilo di una ragazza.

“Chi sei?” domandò confuso, cercando di assottigliare lo sguardo per riconoscerne i lineamenti.

La ragazza si avvicinò ulteriormente, guardandosi attorno con aria pensierosa. Quando vide l’album da disegno, il suo viso si illuminò.

Infine, volse lo sguardo verso il giovane Gilbert: gli sorrise.

“Sei Oliver, vero?” domandò.

In quel momento, la riconobbe: era la ragazza del suo ritratto.

 

Nota dell’autrice.

Prima di tutto, tre annuncetti legati stretti stretti a History Repeating (o  Istuar Repitìng, come la chiama la mia bella mamma <3).

Dunque, in questo periodo Natalizio, ho pubblicato tre cosette legate a questa storia, le pubblico qui nel caso qualcuno fosse interessato:

May I love you? [Buon Natale Xander bello!]: Questa è una one-shot natalizia tutta su Xander e Caroline in chiave un po’ romantico-fluffosa <3 (e scritta per la Sil!)

Pyramid: a questo tengo iper tanto. È un ipotetico mini prequel di History Repeating che spiega come Jeremy e la sua donna, Hazel si siano conosciuti. E anche come mai Xander e Oliver si chiamano proprio così *W*

A very merry Scary Christmas: questa è una one-shot natalizia pseudo comica sui protagonisti di HR in formato ridotto. E vi dico una sola cosa: Alaric Babbo Natale XD

Passiamo,ordunque, al capitolo! [ma voi in realtà chiudete la pagina sempre prima di arrivare qui vero? Non so, me lo sono sempre chiesta D:]

Tadaaaaam! *Laura fa una capriola, perché è pazza e voi ve la dovete tenere così*

Sono tornata. Con un polpettone più polpettoso del solito. Ma eh, dovevo sopperire a due mesi d’assenza, che vi credete? E così, ecco il tanto (?) atteso capitolo con tanto di forwood, IL FORWOOD, gente! Eh, dopo il casino che sta succedendo nella serie tv in qualche modo sono felice che il loro momento (seppur non in termini romantici) sia arrivato proprio adesso. Maaa andiamo con ordine.

Anzitutto, il capitolo è ispirato in gran parte a due splendide canzoni meravigliose: are we there yet? Di Ingrid Michaelson (che è anche nella colonna sonora di TVD) e [vabbè, questa la conoscete tutti] someone like you, di Adele, che già avevo usato, ma che comunque sapevo avrei recuperato, perché trovo che rappresenti la mia idea future!Forwood in tutto e per tutto. Il titolo l’ho prelevato da uno degli episodi della prima stagione e si collega sia a Caroline, che a Autumn *abbraccia protettiva la sua piccola strega* come avrete notato.

Passiamo al flashback ** Avevo anticipato nella pagina di FB che ci sarebbe stato un flashback iniziale sul passato di Mase, e vedrete che ci torneremo prima o poi. Poi c’è stata Autumn, che come ci aveva lasciato intuire dalla sua reazione alla stretta di mano con Caroline, pare abbia ereditato anche lei qualcosa dalla madre. Lo so che la detestate quasi tutti, ma ci tenevo ad approfondire lei e Julian, i Morgan e la loro storia, quindi mi sono dilungata un pochetto sulla sua introspezione.

Mase è un fessacchiotto *W* *lo spuccia* Ha un carattere particolare, ancora non sono riuscita nemmeno io a farmi raccontare per filo e per segno quello che gli passa per la testa, si racconterà pian piano.

E poi il capitolo si chiude con Oliver e la fatidica ragazza misteriosa, che finalmente è comparsa, ma è ancora misteriosa! Dai che io lo so che sapete chi è *_* Ad ogni modo nel prossimo capitolo, verificheremo chi aveva avuto ragione e chi un po’ meno.

Un’ultima cosa! In questo periodo davvero tantissime persone hanno aggiunto History Repeating ai preferiti o a le seguite e io volevo ringraziarvi davvero infinitamente, per aver letto questa storia e dato fiducia a tutti questi personaggi nuovi. Spero di spere presto che cosa ne pensate di loro!

Porca paletta, ma il polpettone è diventato un frigo pieno di polpette D: Va bene, scappo ricordandomi che per foto, informazioni e chi più ne ha e più ne metta, mi trovate QUI.

Un abbraccio

Laura

P. S. (perché se non c’è un p.s. non sono io: sotto suggerimento della Sil, ho aggiunto il video della “sigla” a inizio di ogni capitolo. E ho sostituito la mia copertina schifoserrima nel prologo con quella che mi ha fatto sempre la Sil come regalino di Natale *-*

   
 
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