«
Dr. Watson! E' in perfetto orario! Come tutti i soldati rispettabili,
d'altronde. » disse Sherlock affabile, stringendo
energicamente la mano di colui che sarebbe stato il suo inquilino: il
dottor John Hamish Watson, un medico di guerra assolutamente innocuo ed
emotivo come tutte le persone ordinarie.
Mrs.
Hudson si affacciò ed invitò i due ad entrare.
L'appartamento
si tovava in uno stato piuttosto caotico, dato che Sherlock aveva
già traslocato. Watson sembrava apprezzare e gli
bastò una visita veloce alle stanze per decidere che avrebbe
traslocato il giorno seguente, e firmò il contratto con aria
soddisfatta.
I
due disfecero gli scatoloni insieme e si scambiarono giusto qualche
parola. Holmes aveva notato che il compagno avrebbe voluto parlare di
più e conoscerlo in qualche modo, ma lui riuscì a
far emergere l'argomento solo in rare occasioni. Soprattutto
perché gli sembrava inutile parlarne e perché non
capiva il motivo per cui Watson desse tanta importanza a argomenti
quali filosofia, astronomia e letteratura: tutte cose che riteneva
assolutamente inutili e insensate.
I
primi tempi di convivenza furono facili, Holmes usciva presto e cercava
di essere il più puntuale possibile. Watson, dal canto suo,
sembrava soddisfatto di quell'appartamento e del suo coinquilino. In
più, Holmes notava con una punta di celata esaltazione,
ascoltava con trasporto le magnifiche melodie eseguite in modo
pressoché perfetto dal detective, che muoveva le dita agili
sull'amato violino.
La
scintilla tra i due, però, si accese in un preciso istante.
Watson
aveva appena convinto un indolente Holmes a prender parte in un caso
alquanto intrigante.
Infilando
il cappotto, Sherlock, disse al suo amico « Andiamo, Watson,
prenda il cappello! »
«
Vuole che venga anch'io? » chiese il dottore quasi incredulo.
Holmes
sorrise dentro per l'innocenza dell'altro.
«
Sì se non ha di meglio da fare. » rispose con uno
sguardo eloquente, e uscirono di casa trafelati.
***
Sherlock
si svegliò con un lieve sorriso che rischiarava il viso
maturo e il sole che filtrava deciso attraverso le tende, posandosi
sugli occhi ancora chiusi del detective. Si svegliò e si
vestì in pochi minuti, ma rimase ancora qualche istante a
contemplare il vuoto. Pensò che, dopotutto, gli sarebbe
piaciuto condividere con il suo unico amico almeno qualcuno dei ricordi
che aveva rivissuto in quella nottata, ma non si sarebbe mai sognato di
aprire un argomento tanto sentimentale. In fondo lui sapeva tutto di
Watson, grazie alle sue doti di osservazione, mentre il caro John era
all'oscuro di tutto il suo passato e se ne lamentava raramente. Proprio
per questo, Holmes, sentiva che lui, quell'amico, quel compagno con il
quale aveva condiviso le avventure più intriganti, era
l'unica persona con cui avrebbe mai avuto un rapporto di
lealtà e fiducia, un legame, così forte.
Scosse
la testa con disappunto, cacciando quelle emozioni che rischiavano di
offuscare la sua logica impeccabile.
Con
un ultimo sospiro, il detective si lisciò la giacca ed
uscì dalla stanza, pronto ad immergersi in un altra anonima
giornata, in vista di qualcosa che potesse sollazzare la sua
instancabile mente.
|