Jude era
uscito presto quella mattina. Aveva indossato la sciarpa grigia che gli
aveva
regalato la madre, il Natale precedente, quella fatta a mano con i
ricami neri.
E in silenzio, si era immerso nel traffico mattutino della
città, scivolando
tra i passanti all’ingresso della metro.
Con le cuffie
nelle orecchie mise una canzone triste per fargli compagnia, sedendosi
sul
primo sedile vuoto trovato, rigirandosi l’Ipod tra le mani.
Accanto a lui
vi erano due donne, una sicuramente più giovane
dell’altra. La prima, quella
seduta alla sua destra, teneva il giornale tra le mani, a volte
abbassava il
volto per sfogliarlo, altre volte lo chiudeva con aria scocciata,
tamburellando
il piede. Era visibilmente annoiata, Jude se ne accorse quando,
arrivata alla sua
fermata, sia alzò sbuffando, dimenticandosi persino il
giornale sul sedile.
L’altra
donna
invece, teneva i capelli sciolti e si divertiva ad accarezzarli, a
volte li
pettinava con le dita altre volte provava diverse acconciature, non
riuscendo a
stare ferma neppure un secondo. Visibilmente più giovane,
non poteva che avere
una ventina d’anni, anche se le sue gambe nude ne
dimostravano di più.
Jude non era
quel tipo di ragazzo, a lui non importava molto delle gambe delle donne
o della
loro forma. Lui si perdeva a osservare la pelle, perché
credeva che su di essa albergassero
le storie più interessanti. Una volta si era innamorato
della pelle di una
ragazza, solo perché aveva una bella storia dietro. Questa
ragazza, passava
tutte l’estati su un’isola a sud del Brasile,
perché diceva che lì il sole non
colpiva semplicemente la pelle, ma ci marchiasse sopra il suo sapore. E
Jude,
quando le baciava le guancie, lo sentiva sulle sue labbra il profumo
del sole.
Così,
quando
vide la pelle di quella ragazza, così bianca, da sembrare
fatta di latte, le
venne in mente la donna incontrata qualche settimana prima in un
vecchio pub.
Si ricordò del candore della sua pelle scoperta sotto una
semplice gonna
scozzese. Si ricordò del suo chiarore e di quanto sotto la
luce soffusa della
sala, quella pelle sembrasse brillare. In tutta la sua vita non aveva
mai
incontrato una pelle così, e pensò, che dovesse
avere una bellissima ma anche
tristissima storia dietro.
Quando anche
la ragazza andò via, Jude rimase solo, immerso ancora una
volta nei suoi
numerosi pensieri.
Lui non lo
faceva di proposito, non amava perdersi, eppure ogni volta che
ricordava
qualcosa, inspiegabilmente si ritrovava a vivere quelle sensazioni
passate,
perdendosi il presente. E se non fosse stato per la gamba di un vecchio
barbone
che aveva urtato la sua, per raggiungere una delle due porte scorrevoli
del
vagone, non si sarebbe mai risvegliato da quel leggero stato di trans,
e così,
alla fine, avrebbe perso la sua fermata.
Sorrise,
sollevandosi per raggiungere la porta, e quando questa si
aprì, fu felici di
essere finalmente arrivato.
L’aeroporto
di Heathrow era senza dubbio, il luogo più affollato che
avesse mai visto, aveva
superato persino lo stadio di Wimbledon durante i tornei.
Con passo
lento si era avvicinato al tabellone degli arrivi, stando attento a non
farsi
investire da qualche frettoloso viandante.
Spense la
musica e infilò le cuffie nella tasca sinistra del cappotto,
alzando gli occhi
verso i numerosi voli.
Talmente
assorto nella lettura di quei nomi che non si accorse di una minuta
presenza
accanto a lui. E solo quando avvertì il suo respiro
affannoso, si voltò
incontrando due grandi occhi scuri, dello stesso colore del fango. Jude
avvertì
le forze mancargli e un improvviso eccesso del battito cardiaco, quando
si rese
conto di aver ritrovato la ragazza del pub.
Quella sera
c’erano diversi tavoli a dividerli e più di dieci
ubriachi, eppure era riuscito
a catturare anche il più piccolo particolare di quel volto
ovale e pallido.
Così, avendola molto più vicino, fu felice di
riscontrare gli stessi
particolari, felice di non averli dimenticati.
Gin dal canto
suo, non aveva fatto molta attenzione al ragazzo che le stava accanto,
così
fissava ingenuamente il tabellone, senza lasciar trapelare alcuna
emozione.
Averla così
vicino causò diversi spasmi all’anima di Jude,
mentre i suoi occhi non riuscivano
a smettere di contare le lentiggini disegnate sul viso di Gin.
Poi, quando,
al limite della sopportazione, riuscì a distogliere
l’attenzione dal suo viso,
una voce sottile e delicata lo costrinse a voltarsi nuovamente,
perché quando
Gin parlava, non lo faceva mai per caso. E questo Jude lo sapeva, come
ne fosse
a conoscenza, però era un mistero.
«Come hai
detto scusa?» Domandò Jude, voltandosi verso di
lei.
Gin si
accorse di lui, solo quando, ascoltando la sua voce, il suo cuore
iniziò a
tremare. «Stavo leggendo ad alta voce». Rispose
imbarazzata, perdendosi dentro
gli occhi azzurro cielo del ragazzo.
Jude sorrise
e Gin perse un battito, «Lo faccio spesso
anch’io».
«Quale volo
aspetti?» Aggiunse subito dopo, inumidendosi le labbra con la
lingua.
Gin fissò
il
labbro inferiore del ragazzo, leggermente più gonfio di
quello superiore, «Chicago».
«Anch’io».
Lei rimase in
silenzio, abbassando gli occhi.
«Anche se
è
in ritardo di dieci minuti», continuò Jude,
desiderando sentire ancora una
volta quella voce, bearsi del suo suono.
La ragazza
scosse la testa, fissando nuovamente il viso del ragazzo,
«secondo me non è
affatto importante. Voglio dire, cosa cambia arrivare un minuto dopo o
trenta
minuti più tardi? Alla fine si è comunque in
ritardo». Disse tutto in un fiato,
«il ritardo non è altro che un numero, e tu nel
momento in cui lo perdi non
puoi più riaverlo, capisci quello che voglio
dire?» Domandò passandosi una mano
tra i lunghi capelli rossastri.
Jude fece
spallucce, «una volta perso non si può riavere? E
chi te lo dice?»
«Il tempo
stesso», rispose con un sorriso Gin, «sai quanto ne
stai perdendo con me, in
questo momento? Anche tu sei in ritardo».
Il ragazzo
sollevò gli angoli delle labbra, incrociando le braccia al
petto, «perché sarei
in ritardo?»
«Perché
stai
perdendo tempo con me, e quindi di conseguenza, stai facendo aspettare
qualcun altro».
«Quel
qualcuno è mio fratello, e se devo essere totalmente
sincero, non ho ancora
capito bene questa storia dell’essere in ritardo,
sai?»
Gin corrugò
la fronte, «tuo fratello è
sull’aereo?»
«Si».
«Allora non
sei tu quello in ritardo. Perché rimanendo con me, tu
recuperi tempo mentre tuo
fratello che viaggia sull’aereo già in ritardo, ne
sta perdendo». Spiegò con
naturalezza, «questo mi fa sentire meglio».
«Perché?»
Chiese incuriosito Jude.
«Mi sento
meno in colpa così, significa che non ti sto facendo
sprecare il tuo tempo».
Il ragazzo
scoppiò a ridere, passandosi una mano tra i capelli,
«direi di no.»
Gin sorrise
imbarazzata, scorgendo negli occhi del ragazzo un vivo interesse. E pur
rischiando tanto, decise di rimanere, di non andare via. Perché
occhi come quelli non si perdono mica.
E la mamma
non le aveva mica detto cosa avrebbe dovuto fare, davanti a due occhi
così.
E cosa non
avrebbe dovuto dire, davanti a due occhi così.
Davanti a due
occhi così.
«Comunque,
io
sono Jude», si presentò il ragazzo allungandole la
mano.
«Jude? Come
la canzone dei Beatles?» Gli occhi di Gin brillarono, e
quella fu la conferma
alla sua muta domanda.
Sarebbe
rimasta.
«Si».
«Io sono
Gin».
Jude rise,
«ti si addice, Gin».
«Anche a te,
Jude ti si addice».
Si sorrisero.
E mentre lei capiva che non vi era più alcun bisogno di
scappare, lui si sentì
finalmente libero di parlare, senza più nodi stretti in gola.
«E tu
invece,
aspetti qualcuno?» Domandò Jude, accarezzando le
guancie delle ragazza con la
sua voce.
Gin scosse la
testa.
«Allora
perché aspetti che atterri l’aereo?» Le
chiese incuriosito.
La ragazza
arrossì visibilmente, «è sempre per una
mia teoria».
«Ti andrebbe
di spiegarmela, magari davanti a una cioccolata calda, si dice che in
quel bar
facciano la cioccolata migliore dell’aeroporto»,
disse indicando un bar a caso.
Lei sorrise,
«e questo chi lo dice?»
«Questo lo
dico io», rispose felice di averla ritrovata.
Non è oggi il mio compleanno, intendiamoci,
perciò niente auguri anticipati che portano sfiga, e a me la
sfiga già perseguita giornalmente. Diciamo che in
prossimità del mio compleanno, sono stata assalita dalla
voglia di fare del bene e anche che ne so, di non essere troppo
pignola, così eccomi qui, a lasciarvi il secondo e
probabilmente ultimo capitolo di questa breve, anzi no che dico breve?
Brevissima storia, che se l'hanno letta dieci persone è
già assai, ma tantè, uno ci prova lo stesso no?
Pff bene, che dire? Ah si, dove li avrei dovuto far incontrare i nostri
piccioncini se non in un aeroporto? Si vai con l'originalità
direte, ma che ci posso fare? sarà l'anno in più
che grava sulla mia testa come spada di Democle, a farmi scrivere
queste ciofeche -che termine è?
Concludo dicendo e questa volta sul serio, che alla fine ho scelto il
mio regalo di compleanno, anche senza il vostro aiuto (che
cattivi che siete stati, potevate darmelo un suggerimento, anche ino
ino ino) e per punizione non ve lo dirò
ù.ù
Sembrerò demente? Si tanto!
Bene allora vi saluto, tanto ritornerò, che di me non si ci
libera tanto facilmente (che culo!)
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