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Autore: S o p h i e    24/02/2012    2 recensioni
«Amico la stai mangiando con gli occhi», sorrise malizioso il barista, catturando l’attenzione del giovane uomo.
Jude rise, senza allegria, «e che ci ho pieno gli occhi della sua immagine», ammise voltandosi nuovamente verso di lei.
Il barman lo fissò attentamente, puntandogli lo strofinaccio sul viso, «allora vai da lei a parlarle, no?»
«Ho la voce secca, non sono bravo con le parole, finisco sempre per non farmi capire. Ho questo problema io. Non riesco a parlare, a mettere in fila i miei pensieri, così quando parlo, faccio solo un gran casino». Sospirò riprendendo a bere la sua birra.
«Sarà, ma sappi che quella lì andrà via prima o poi, e tu invece rimarrai qui, la perderai. Ed io dico sul serio eh? Persa per sempre». Disse mettendolo in guardia, ritornando a versare dell'alcol ai soliti ubriachi del sabato sera.
Jude rimase in silenzio, assimilando le parole dell’uomo.
«Eh, dimmi un po’, come si fa a perdere qualcuno che non si è mai avuto?»
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Jude era uscito presto quella mattina. Aveva indossato la sciarpa grigia che gli aveva regalato la madre, il Natale precedente, quella fatta a mano con i ricami neri. E in silenzio, si era immerso nel traffico mattutino della città, scivolando tra i passanti all’ingresso della metro.

Con le cuffie nelle orecchie mise una canzone triste per fargli compagnia, sedendosi sul primo sedile vuoto trovato, rigirandosi l’Ipod tra le mani.
Accanto a lui vi erano due donne, una sicuramente più giovane dell’altra. La prima, quella seduta alla sua destra, teneva il giornale tra le mani, a volte abbassava il volto per sfogliarlo, altre volte lo chiudeva con aria scocciata, tamburellando il piede. Era visibilmente annoiata, Jude se ne accorse quando, arrivata alla sua fermata, sia alzò sbuffando, dimenticandosi persino il giornale sul sedile.
L’altra donna invece, teneva i capelli sciolti e si divertiva ad accarezzarli, a volte li pettinava con le dita altre volte provava diverse acconciature, non riuscendo a stare ferma neppure un secondo. Visibilmente più giovane, non poteva che avere una ventina d’anni, anche se le sue gambe nude ne dimostravano di più.
Jude non era quel tipo di ragazzo, a lui non importava molto delle gambe delle donne o della loro forma. Lui si perdeva a osservare la pelle, perché credeva che su di essa albergassero le storie più interessanti. Una volta si era innamorato della pelle di una ragazza, solo perché aveva una bella storia dietro. Questa ragazza, passava tutte l’estati su un’isola a sud del Brasile, perché diceva che lì il sole non colpiva semplicemente la pelle, ma ci marchiasse sopra il suo sapore. E Jude, quando le baciava le guancie, lo sentiva sulle sue labbra il profumo del sole.
Così, quando vide la pelle di quella ragazza, così bianca, da sembrare fatta di latte, le venne in mente la donna incontrata qualche settimana prima in un vecchio pub. Si ricordò del candore della sua pelle scoperta sotto una semplice gonna scozzese. Si ricordò del suo chiarore e di quanto sotto la luce soffusa della sala, quella pelle sembrasse brillare. In tutta la sua vita non aveva mai incontrato una pelle così, e pensò, che dovesse avere una bellissima ma anche tristissima storia dietro.
Quando anche la ragazza andò via, Jude rimase solo, immerso ancora una volta nei suoi numerosi pensieri.
Lui non lo faceva di proposito, non amava perdersi, eppure ogni volta che ricordava qualcosa, inspiegabilmente si ritrovava a vivere quelle sensazioni passate, perdendosi il presente. E se non fosse stato per la gamba di un vecchio barbone che aveva urtato la sua, per raggiungere una delle due porte scorrevoli del vagone, non si sarebbe mai risvegliato da quel leggero stato di trans, e così, alla fine, avrebbe perso la sua fermata.
Sorrise, sollevandosi per raggiungere la porta, e quando questa si aprì, fu felici di essere finalmente arrivato.
L’aeroporto di Heathrow era senza dubbio, il luogo più affollato che avesse mai visto, aveva superato persino lo stadio di Wimbledon durante i tornei.
Con passo lento si era avvicinato al tabellone degli arrivi, stando attento a non farsi investire da qualche frettoloso viandante.
Spense la musica e infilò le cuffie nella tasca sinistra del cappotto, alzando gli occhi verso i numerosi voli.
Talmente assorto nella lettura di quei nomi che non si accorse di una minuta presenza accanto a lui. E solo quando avvertì il suo respiro affannoso, si voltò incontrando due grandi occhi scuri, dello stesso colore del fango. Jude avvertì le forze mancargli e un improvviso eccesso del battito cardiaco, quando si rese conto di aver ritrovato la ragazza del pub.
Quella sera c’erano diversi tavoli a dividerli e più di dieci ubriachi, eppure era riuscito a catturare anche il più piccolo particolare di quel volto ovale e pallido. Così, avendola molto più vicino, fu felice di riscontrare gli stessi particolari, felice di non averli dimenticati.
Gin dal canto suo, non aveva fatto molta attenzione al ragazzo che le stava accanto, così fissava ingenuamente il tabellone, senza lasciar trapelare alcuna emozione.
Averla così vicino causò diversi spasmi all’anima di Jude, mentre i suoi occhi non riuscivano a smettere di contare le lentiggini disegnate sul viso di Gin.
Poi, quando, al limite della sopportazione, riuscì a distogliere l’attenzione dal suo viso, una voce sottile e delicata lo costrinse a voltarsi nuovamente, perché quando Gin parlava, non lo faceva mai per caso. E questo Jude lo sapeva, come ne fosse a conoscenza, però era un mistero.
«Come hai detto scusa?» Domandò Jude, voltandosi verso di lei.
Gin si accorse di lui, solo quando, ascoltando la sua voce, il suo cuore iniziò a tremare. «Stavo leggendo ad alta voce». Rispose imbarazzata, perdendosi dentro gli occhi azzurro cielo del ragazzo.
Jude sorrise e Gin perse un battito, «Lo faccio spesso anch’io».
«Quale volo aspetti?» Aggiunse subito dopo, inumidendosi le labbra con la lingua.
Gin fissò il labbro inferiore del ragazzo, leggermente più gonfio di quello superiore, «Chicago».
«Anch’io».
Lei rimase in silenzio, abbassando gli occhi.
«Anche se è in ritardo di dieci minuti», continuò Jude, desiderando sentire ancora una volta quella voce, bearsi del suo suono.
La ragazza scosse la testa, fissando nuovamente il viso del ragazzo, «secondo me non è affatto importante. Voglio dire, cosa cambia arrivare un minuto dopo o trenta minuti più tardi? Alla fine si è comunque in ritardo». Disse tutto in un fiato, «il ritardo non è altro che un numero, e tu nel momento in cui lo perdi non puoi più riaverlo, capisci quello che voglio dire?» Domandò passandosi una mano tra i lunghi capelli rossastri.
Jude fece spallucce, «una volta perso non si può riavere? E chi te lo dice?»
«Il tempo stesso», rispose con un sorriso Gin, «sai quanto ne stai perdendo con me, in questo momento? Anche tu sei in ritardo».
Il ragazzo sollevò gli angoli delle labbra, incrociando le braccia al petto, «perché sarei in ritardo?»
«Perché stai perdendo tempo con me, e quindi di conseguenza, stai facendo aspettare qualcun altro».
«Quel qualcuno è mio fratello, e se devo essere totalmente sincero, non ho ancora capito bene questa storia dell’essere in ritardo, sai?»
Gin corrugò la fronte, «tuo fratello è sull’aereo?»
«Si».
«Allora non sei tu quello in ritardo. Perché rimanendo con me, tu recuperi tempo mentre tuo fratello che viaggia sull’aereo già in ritardo, ne sta perdendo». Spiegò con naturalezza, «questo mi fa sentire meglio».
«Perché?» Chiese incuriosito Jude.
«Mi sento meno in colpa così, significa che non ti sto facendo sprecare il tuo tempo».
Il ragazzo scoppiò a ridere, passandosi una mano tra i capelli, «direi di no.»
Gin sorrise imbarazzata, scorgendo negli occhi del ragazzo un vivo interesse. E pur rischiando tanto, decise di rimanere, di non andare via. Perché occhi come quelli non si perdono mica.
E la mamma non le aveva mica detto cosa avrebbe dovuto fare, davanti a due occhi così.
E cosa non avrebbe dovuto dire, davanti a due occhi così.
Davanti a due occhi così.
«Comunque, io sono Jude», si presentò il ragazzo allungandole la mano.
«Jude? Come la canzone dei Beatles?» Gli occhi di Gin brillarono, e quella fu la conferma alla sua muta domanda.
Sarebbe rimasta.
«Si».
«Io sono Gin».
Jude rise, «ti si addice, Gin».
«Anche a te, Jude ti si addice».
Si sorrisero. E mentre lei capiva che non vi era più alcun bisogno di scappare, lui si sentì finalmente libero di parlare, senza più nodi stretti in gola.
«E tu invece, aspetti qualcuno?» Domandò Jude, accarezzando le guancie delle ragazza con la sua voce.
Gin scosse la testa.
«Allora perché aspetti che atterri l’aereo?» Le chiese incuriosito.
La ragazza arrossì visibilmente, «è sempre per una mia teoria».
«Ti andrebbe di spiegarmela, magari davanti a una cioccolata calda, si dice che in quel bar facciano la cioccolata migliore dell’aeroporto», disse indicando un bar a caso.
Lei sorrise, «e questo chi lo dice?»
«Questo lo dico io», rispose felice di averla ritrovata.





Non è oggi il mio compleanno, intendiamoci, perciò niente auguri anticipati che portano sfiga, e a me la sfiga già perseguita giornalmente. Diciamo che in prossimità del mio compleanno, sono stata assalita dalla voglia di fare del bene e anche che ne so, di non essere troppo pignola, così eccomi qui, a lasciarvi il secondo e probabilmente ultimo capitolo di questa breve, anzi no che dico breve? Brevissima storia, che se l'hanno letta dieci persone è già assai, ma tantè, uno ci prova lo stesso no?
Pff bene, che dire? Ah si, dove li avrei dovuto far incontrare i nostri piccioncini se non in un aeroporto? Si vai con l'originalità direte, ma che ci posso fare? sarà l'anno in più che grava sulla mia testa come spada di Democle, a farmi scrivere queste ciofeche -che termine è?
Concludo dicendo e questa volta sul serio, che alla fine ho scelto il mio regalo di compleanno,  anche senza il vostro aiuto (che cattivi che siete stati, potevate darmelo un suggerimento, anche ino ino ino) e per punizione non ve lo dirò ù.ù
 Sembrerò demente? Si tanto!
Bene allora vi saluto, tanto ritornerò, che di me non si ci libera tanto facilmente (che culo!)

  
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