La Vita è un Sogno, Charles van Pelt.... di Good Old Charlie Brown (/viewuser.php?uid=97316)
Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Capitolo 4
Capitolo 4.
Ricercato!
La stanza degli ospiti era abbastanza ampia, silenziosa e tranquilla.
Un piccolo globo di luce azzurrina galleggiava pigramente a
mezz’aria illuminando una parte dell’ambiente, ma lasciando
tutto il resto in penombra. Seduto alla scrivania alla pigra luce della
stanza, Charles fissava un grande quadro sulla parete di fronte a lui.
Rappresentava una nave, in balia di una grande tempesta che la agitava
e la scuoteva: si trattava di un dipinto magico e quindi le immagini si
muovevano rendendo ancora più realistica e terribile
l’immagine della piccola nave che, sempre di nuovo, veniva
investita da onde e cavalloni e che sempre di nuovo continuava a
galleggiare mentre intorno ad essa infuriava la pioggia. In quel
momento Charles si sentiva come quella nave: sballottata qui e
là da qualcosa di immensamente più grande di lei e che
non poteva in alcun modo controllare. Poteva solo resistere, ondata
dopo ondata e colpo su colpo sperando di passare, se non indenne
(sarebbe stato impossibile) almeno sufficientemente sano da poter
ritrovare la rotta per un porto sicuro.
Si sentiva soprattutto solo. Hac aveva iniziato il
suo corso di addestramento per spezza-incantesimi: presto,
probabilmente, sarebbe stato assunto alla Gringott, ma già
così era impegnato per buona parte della giornata; Gwen a sua
volta si faceva vedere sempre più di rado, occupata
com’era dal lungo e difficile tirocinio di Guaritrice. Ma Charles
non poteva fare nulla, condannato a rimanere isolato, ospite benvoluto,
ma pur sempre ospite, della famiglia di Hac. Certo, con la sua
“nuova politica” il Ministero della Magia non avrebbe
mai assunto un “Nato Babbano” (ancora non osavano dire
pubblicamente “Sanguesporco”): si parlava persino di
provvedimenti contro di essi necessari per “proteggere la razza
magica” non si sapeva bene da quale strano pericolo.
L’Ufficio Misteri era destinato a rimanere un sogno. Ma
c’era dell’altro. Qualcosa per la quale lui si sentiva
colpevole. Qualcosa per la quale chiunque fosse vicino a lui poteva
essere in pericolo. Era passata poco più di una settimana ma
sembrava appartenesse ad un’altra vita: dopo quel fatto era come
se il suo primo Io fosse morto e un nuovo Charles avesse preso il posto
di quello vecchio. Non fosse stato per i suoi amici, giunti lì
come gli eroi delle grandi storie proprio nel momento giusto, e tuttora
vicini, malgrado la lontananza fisica, chissà cosa sarebbe stato
di lui.
Il cono di luce
che veniva dalla bacchetta era appena sufficiente ad illuminare
più chiaramente il marciapiede davanti a lui. I lampioni
più vicini in quel momento non funzionavano: lo stesso Charles
li aveva spenti non appena aveva sentito qualcuno avvicinarsi. Tutto
era silenzio; Charles sentiva il proprio cuore battere sempre
più forte e veloce man mano che i tre estranei si avvicinavano.
Non ci volle molto perché giungessero appena fuori dal cono
illuminato: riflessi che uscivano dall’ombra, appena
distinguibili.
«Fermi! Chi siete? Fatevi vedere, lentamente. O sarò costretto ad attaccare!»
Una voce nota gli
rispose. «Ehi Jack! Siamo noi! Siamo i tuoi amici!
Cos’è questa storia? Che è successo?». Hac
Riddle avanzò lentamente, mettendosi in luce, presto seguito da
suo padre, Uther, e dalla sua ragazza, nonché amica di Charles,
Gwen O’Sullivan. In un’altra situazione Charles avrebbe
anche potuto sospettare o almeno essere più prudente: anche se
fossero stati davvero dei Mangiamorte travestiti non sarebbe stato in
grado di reagire in alcun modo.
«HAC! GWEN!
– gridò, lasciando quasi cadere la bacchetta magica per la
sorpresa – Siete voi! Santo Merlino! Non sono mai stato
così felice di vedervi!». Abbracciò con forza prima
Hac e poi Gwen lasciandosi brevemente cullare dal calore di quelle
strette, cercando di far scivolare via il dolore e l’orrore che
si erano impadroniti di lui. Non passò molto, però, prima
che la realtà con la sua crudele indifferenza lo riportasse
indietro attraverso la voce di Uther.
«Cosa è successo qui?. Charles...c’è una ragazza svenuta qui...».
Serena! La gioia di vedere i suoi
amici in un momento così teso e terribile gli aveva quasi fatto
dimenticare di lei. Staccandosi lentamente dall’abbraccio di Gwen
si chinò su di lei, fissandola triste. Era colpa sua se era
stata torturata, se aveva sofferto: se solo l’avesse lasciata
prima. Se solo non fosse stato tanto egoista!
«Un
Mangiamorte ci ha attaccati. – si costrinse a spiegare,
benché ogni parola fosse come una pugnalata – è
arrivato all’improvviso. Non capisco perché le difese non
abbiano funzionato. Ha torturato me... poi...Serena si è messa
in mezzo e lui... l’ha torturata...la stava per uccidere».
Non riuscì a continuare. Un nodo alla gola gli bloccò la
parola.
«E il Mangiamorte? Cosa gli è successo? Dove è andato».
Charles si
limitò ad indicare stancamente nella direzione in cui il corpo
dell’uomo era stato sbalzato dall’incantesimo. In attesa.
Presto lo avrebbero visto per ciò che era. Un assassino.
«Ma è
morto!» nella voce di Gwen sentì l’orrore, simile a
quello che anch’egli provava verso se stesso. La guardò e
annuì.
«Quest’uomo è stato ucciso – intervenne Uther
con la sua voce profonda e calma, anch’egli chino sul cadavere. E
sembrerebbe opera di un Anatema-che-Uccide. Cosa...?»
«Sono stato
io. – disse Charles con voce neutra – L’ho
ucciso io». Incrociò rapidamente lo sguardo di Gwen, ma
distolse subito gli occhi di fronte allo stupito orrore che vi aveva
letto: Hac, invece lo fissava con uno strano sguardo stupito e in
qualche modo ammirato.
«Beh credo
che ci convenga lasciarlo qui, per ora. Tanto non gli può
accadere nulla. Meglio occuparsi della ragazza».
Il sommesso rumore di qualcuno che bussava alla
porta lo distolse dai ricordi, riportandolo alla realtà del
presente. «Avanti!».
Endora Riddle si fece avanti, il volto come sempre sorridente, portando
un vassoio con una tazza una teiera e dei biscotti. «Non è
necessario fare questo, sai? - disse, indicando il globo di luce
– abbiamo la luce elettrica che è molto più
efficace».
«Grazie, signora Riddle, ma preferisco
così. L’altra luce è troppo intensa. Questa...
lascia la giusta quantità di buio. Mi piace che ci sia del
buio...ora. Mi fa sentire più tranquillo...».
«Ti ho portato un po’ di the con qualche
biscotto fatto in casa. Stamattina non hai preso nulla di colazione.
Non va bene».
«La colazione è il pasto più
importante della giornata... già – rispose Charles con un
sorriso stentato – bene ne prenderò un po’. Grazie
ancora, signora Riddle».
«Questa sera Hac tornerà e penso che
anche Gwen passerà per un saluto. Mi dispiace che tu non possa
uscire... non deve essere piacevole».
«Non lo è. Ma ciò che mi succederebbe se uscissi sarebbe ancora meno piacevole».
Mentre Endora usciva dalla stanza, rivolgendogli un
ultimo sorriso caldo e quasi materno, Charles versò un poco di
the nella tazza intingendovi un biscotto. Aveva un vago aroma di
cannella – ad Hac piacevano i the aromatizzati e li aveva imposti
all’intera famiglia e, di conseguenza anche a lui. Ripensando ai
Riddle e alla loro incredibile, sorprendente gentilezza nei suoi
confronti, Charles si sentì improvvisamente in colpa. Li stava
mettendo in pericolo, tutti quanti. Hac, Uther ed Endora erano quelli
più esposti, visto che lo ospitavano nella loro casa. Ma anche
Gwen e la sua famiglia erano in visto che sapevano dove si
trovava e contribuivano a nasconderlo.
Almeno Serena era in salvo e al sicuro: lo shock
provocato dal dolore della Cruciatus l’aveva fatta svenire ed
anche quando si era ripresa tremava, ancora spaventata dalla terribile
esperienza. Allontanarsi da lei era stato doloroso per entrambi. Aveva
modificato la sua memoria perché non ricordasse nulla di quella
serata – sperava che non ritornasse a tormentarla nei suoi sogni,
non poteva esserne sicuro. E aveva fatto anche in modo che dimenticasse
quasi tutto di lui. Ai suoi occhi era ritornato solo il vicino di casa
un po’ strano che spariva per mesi nessuno sapeva dove.
Un’ottima decisione visto quanto aveva scoperto poco dopo.
Camminavano
lentamente, in direzione della casa dei van Pelt, entrando e uscendo
dai coni di luce dei lampioni che si susseguivano lungo Oak Street, le
ombre che si allungavano e accorciavano davanti e dietro di loro.
«Grazie per
il vostro aiuto, amici – disse dopo aver lanciato un ultimo
sguardo alla casa di Serena – ma, scusate, cosa vi ha portato
qui? Avete ricevuto la mia lettera da Gwahir?»
«No...,
Cioè si.... voglio dire. Quando Gwahir è arrivato stavamo
già partendo per venirti a prendere».
«Venirmi a
prendere? Senti, Hac, capisco che voi possiate essere preoccupati per
me. Ma non era il caso. E soprattutto non è il momento.
Deciderò io quando venire da te... per ora dovrò tornare
a casa... aspettando il processo...».
«No, Charles! Tu non capisci! Sei in pericolo! Non puoi assolutamente restare qui!».
Gwen era chiaramente molto
preoccupata: non era mai stata una ragazza incline a cedere alla
disperazione o a dimostrarsi sconvolta.
«Cosa
è successo? Insomma! Non mi piace quello che ho fatto ma... il
Wizengamot dovrà capire che non avevo scelta! Che l’ho
fatto per autodifesa... per difendere Serena».
Gwen, Hac e Uther
lo fissarono tristemente: «No, Charles. Non credo nemmeno che
potrai avere un processo. Il Ministero della Magia è caduto. I
Mangiamorte hanno ucciso il Ministro e...hanno preso il potere».
Charles
impiegò qualche secondo ad assorbire l’impatto di quella
notizia: aveva temuto che potesse accadere, ci aveva pensato più
volte, aveva persino preparato anche dei piani di azione per essere
pronto. Eppure tutto rimaneva nel vago ambito del possibile. Essere
colpito dalla realtà, con tutta la sua terribile forza era
tutt’altra cosa. Si riprese in fretta, tuttavia, riuscendo a
ritrovare la sua solita calma. «Molto bene. Anzi – si
corresse con una smorfia – molto male. Non posso dire che me lo
aspettassi. Quindi il nuovo ministro è Vol...»
«NO!!
– lo interruppe gridando Hac, cercando di coprirgli la bocca con
la mano, ma finendo per colpirgli il naso con una forte manata –
Scusa! Non devi più pronunciare il suo nome! È un
tabù. Chi lo fa si rende subito reperibile!»
«Va bene va
bene ho capito! – rispose Charles toccandosi il naso dolorante
– C'era proprio bisogno di colpirmi in questo modo? Non lo
pronuncerò più...adesso ho capito cosa...». Si
interruppe come sconvolto da un pensiero improvviso.
«Che succede Charles? Cosa hai capito?».
«NO! È colpa mia! Quello che è successo... è colpa mia».
«Colpa tua? Cosa intendi?».
«Ho
pronunciato il suo nome, Gwen! Mentre parlavo con lei. Non ci ho
nemmeno pensato. È questo che deve aver portato qui il
Mangiamorte. È per questo che sono saltate le mie protezioni...
per colpa mia...».
«Non dire
sciocchezze, Charlie! Non è per niente colpa tua! La colpa
è solo di quel Mangiamorte e di quell’altro pazzo che li
comanda! Se ti sento fare un’altra volta discorsi del genere,
giuro che ti schianto!».
«Dovevo
aspettare di commettere un omicidio per sentirti usare il mio nome,
Hackluit» rispose il ragazzo con una risata nervosa.
I suoi due amici sorrisero brevemente
di rimando, ma senza divertimento: era evidente che il giovane non
fosse affatto allegro: aveva la stessa espressione seria e concentrata
di quando era morto Dumbledore o di quando il preside aveva dato la
notizia del ritorno di Voldemort. Era evidente che si sentisse ancora
in colpa per quello che era sueccesso oltre che preoccupato da tutto
ciò che era appena accaduto.
«Tornerai da lei Charlie?»
«Non credo,
Gwen. Sarebbe... troppo complicato tornare indietro. In questo momento
Serena si ricorda a malapena della mia esistenza. Anche se tutto
tornasse come prima che V..lui prendesse il potere ormai sarebbe troppo
tardi».
«Mi dispiace, Jack!»
«Grazie,
Hac, sei un amico prezioso. E lo saresti di più se evitassi di
chiamarmi Jack». Rispose Charles abbandonandosi ad una risata,
sincera e genuina.
Quella risata mancava ormai da diversi giorni dal volto di Charles: da
quella fatidica sera viveva nascosto nella casa di Hac che aveva
rifiutato anche solo di prendere in considerazione l’idea che lui
fuggisse da solo e vivesse come un reietto. Avevano preparato accurati
piani per proteggerlo e per farlo eventualmente fuggire: quasi tutta la
sua roba era stata abilmente nascosta in vari luoghi della casa in modo
da non essere troppo visibile e nel caso (non probabile, ma pur sempre
possibile) di un’ispezione del Ministero avrebbe potuto
trasformarsi in falco per non farsi trovare in casa.
Essere costretto ad una vita da recluso, a mille cautele e precauzioni,
a nascondersi ogni volta che un estraneo veniva a visitare i Riddle
cominciava a pesargli. Ancora più gli pesava la forzata,
pressocchè totale, inattività. Uther gli aveva messo a
disposizione una discreta biblioteca, grazie alla quale aveva
approfondito le sue conoscenze in vari campi della Magia, ma si sentiva
un inutile peso per la famiglia dei Riddle, visto che non poteva
lavorare né fare alcunché. D’altronde lui era un ricercato.
Il gufo che come
ogni mattina recava la copia quotidiana della Gazzetta del Profeta
atterrò placidamente sul tavolo della colazione, rischiando di
far cadere la tazza di caffèlatte di Charles. Uther prese il
giornale lasciando cadere un paio di Falci nel sacchetto legato alla
zampa del gufo che subito riprese il volo. Charles e Hac, troppo
impegnati con la loro colazione per prestare attenzione, diedero solo
una rapida occhiata all’uccello (quanto bastava per evitare un
disastro con il Caffèlatte). All’improvviso la voce del
sig. Riddle, stranamente agitato, attirò la loro attenzione.
«Oh
Santo Cielo! No!». Dietro alla coltre del giornale si poteva
indovinare la sua espressione preoccupata, il viso piegato da rughe, i
neri occhi aperti e spaventati.
«C osa succede papà?».
Il signor Riddle
si limitò a porgere il giornale ai due ragazzi, perché lo
leggessero di persona. In prima pagina campeggiava il volto di Harry
Potter sotto un titolo a tutta pagina: RICERCATO COME PERSONA INFORMATA
SUI FATTI RELATIVI ALLA MORTE DI ALBUS SILENTE.
«Potter
– osservò Charles – beh c’era da aspettarselo.
Con il nuovo regime del “Signore Oscuro” era ovvio che
finisse per diventare una sorta di nemico pubblico. Spero che se la
cavi...».
«Non mi riferisco a lui. Guarda in terza pagina!».
Hac girò
pagina e a Charles quasi prese un colpo vedendo la sua foto campeggiare
in alto a destra accanto ad un articolo dal titolo tutt’altro che
rassicurante per lui.
L’OMICIDIO SELWYN. RICERCATO IL NATO BABBANO CHARLES VAN PELT
L’articolo
non diceva nulla che Charles non sapesse in fondo anzi, come era ovvio
glissava su punti essenziali come la ragione per cui il
“dipendente del Ministero” (come era definito il
Mangiamorte) si trovava lì e come la tortura inflitta a lui e ad
una Babbana, o la minaccia di morte. Ma costituiva chiaramente un punto
di non ritorno: era chiaro ormai che mai il Wizengamot o il Ministero
avrebbero preso in considerazione le sue ragioni o gli avrebbero
garantito un processo equo. Come a dimostrare definitivamente tutto
ciò Hac lesse «il signor Augustus Rookwood,
dipendente del Ministero, ha dichiarato: “Questo dimostra
chiaramente quanto la presenza di Nati Babbani sia pericolosa per il
nostro buon mondo dei Maghi la presenza di questi usurpatori. Il
Ministero deve fare qualcosa per proteggere la razza dei puri
maghi”». Hac lasciò il giornale, schifato, e lo
restituì al padre «Non posso crederci! È uno
scandalo quello che è successo».
«Fantastico!
– osservò Charles con amarezza – ora non solo sono
un assassino ricercato dal Ministero e dai Mangiamorte, ma sono anche
il pretesto per una campagna contro i Nati Babbani. Ci voleva
proprio»
«Non è colpa tua, Jack. Non pensarlo nemmeno per un momento»
Il ragazzo sorrise
debolmente, in parte seriamente rincuorato dalla sincera vicinanza
dell’amico, in parte come ancora dubbioso. «Sentite –
mormorò gettando uno sguardo alla sua foto sul Profeta –
forse non è il caso che io continui a rimanere qui. Sono in
pericolo e sono un pericolo per voi. Non siete tenuti a nascondermi...
posso cavarmela».
«Non dire
sciocchezze, ragazzo. Quando abbiamo deciso di tenerti qui sapevamo
bene quali rischi avremmo corso. E li abbiamo accettati. Hac, io ed
Endora siamo fieri di poter fare qualcosa – ti assicuro che
è poco – per contrastare questo regime. E poi, dove
vorresti andare? Cosa vorresti fare da solo? Saresti catturato subito.
Resterai qui. Per tutto il tempo necessario a che le cose si calmino
poi... vedremo».
********************
Molto ma molto benissimo. Sono
soddisfatto di aver finalmente completato anche questo capitolo. Non so
però quanto essere soddisfatto del capitolo in sè. Fatemi
sapere cosa ne pensate.
Un'annotazione che volevo scrivere nel capitolo precedente. ma che sta bene anche in questo:
Charles usa abbastanza abitualmente il vero nome di Voldemort. Lo fa
perchè è un Nato Babbano e non è mai stato
"educato" alla paura di quel nome. Inoltre quando si è trovato
di fronte alle reazioni dei suoi amici ha deciso di continuare a
pronunciarlo perchè ritiene le locuzuoni "Tu-sai-chi" o
"Colui-che-non-deve-essere-nominato" stupide e ridicole.
Hac ogni tanto finisce per utilizzare a sua volta questo nome, proprio
perchè influenzato e "abituato" dall'amico e lo stesso vale (in
misura minore) per Gwen.
Ringrazio tutti quelli che seguono e ricordano questa storia e tutti
quelli che l'hanno recensita e anche quelli che l'hanno solo letta. Se
mi lasciate una traccia del vostro passaggio vi ringrazierò
ancora più sentitamente.
Al prossimo capitolo (che probabilmente non sarà l'ultimo come avevo creduto).
Ciao
Good Old Charlie Brown.
|
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=982073 |