#4
- A Winter's Tale
San
Pietroburgo, Dicembre 1935.
“Cravings
are there, but it's easier.
Lexi's
on to her next project... Getting me to laugh.”
Intorno
a loro tutto è
bianco e perfettamente immobile: un manto di neve che si estende
ininterrotto a perdita d'occhio, punteggiato qua e là
soltanto da
alcuni alberi più testardi ad arrendersi al rigore
dell'inverno. La
distesa sembra continuare infinita, almeno fino a quando non
raggiunge la costa e lì si mescola con il mare, anch'esso
immoto ma
di un brillante grigio ghiaccio. È un paesaggio
così bello da
sembrare quasi irreale, come se fossero finiti per caso dentro
l'illustrazione di un libro di fiabe.
Lexi
si sistema meglio
il colbacco, afferrandolo per i paraorecchie e calandoselo ben bene
sulla testa. I suoi capelli biondi spiccano quasi brutalmente contro
il bianco sia del copricapo che della pesante pelliccia, è
quello è
l'unico vero tocco di colore visibile per miglia.
Avvolto
in una
pelliccia simile, ma di un colore indefinito tra il nero e il marrone
scuro, Stefan osserva l'enorme distesa bianca di fronte ai suoi
occhi, completamente insensibile al freddo gelido che gli frusta la
faccia.
Sono
arrivati a San
Pietroburgo da meno di due settimane, dopo un tremendo e lunghissimo
viaggio sulla nuova ferrovia Transiberiana: un'esperienza che Stefan
eviterebbe ben volentieri di ripetere, se non fosse che Lexi si
rifiuta categoricamente di salire su una nave russa e quindi non ci
sono altri modi per lasciare la città. Per quanto bello
possa
essere, nessuno dei due ha alcuna intenzione di trasferirsi
permanentemente in quel luogo.
«Torniamo
a casa?»,
domanda all'improvviso Lexi, e Stefan si volta a guardarla con un
sopracciglio alzato, o almeno ci prova, dato che il volto gli si
è
quasi completamente congelato.
«A
quale casa ti
riferisci di preciso? A questa alle nostre spalle», e
così dicendo
indica l'isba che hanno affittato da una famiglia di contadini per il
loro breve soggiorno. «O più in generale a quella
dall'altra parte
del mondo?»
Lexi
sorride e scuote
la testa, poi gli si avvicina e passa un braccio sotto il suo,
stringendoglisi contro.
«Al
momento intendevo
questa, sì. Però non mi dispiacerebbe tornare in
America. Siamo
stati lontani per parecchio tempo, non è vero?»,
sospira.
«Già»,
concorda
Stefan. «Mi spiace», aggiunge dopo un attimo,
consapevole che quel
viaggio infinito è stato fatto solo per lui.
Per
tutta risposta Lexi
gli tira un pugno nel fianco. Stefan lo sente appena, protetto
com'è
da tutta quella pelliccia, ma decide di prenderlo come un invito a
smetterla di dire stupidaggini.
«Riserva
le tue scuse
per qualcuno che ha bisogno di sentirle», lo rimprovera
comunque la
sua amica. «E non insultare me credendomi una di quelle
persone»
Stefan
si stringe nelle
spalle, e sta quasi per scusarsi di nuovo, quando l'occhiataccia di
Lexi lo fulmina sul posto.
«Okay,
okay», dice
allora, alzando le mani avvolte nei guanti in gesto di difesa.
«Ho
capito: niente scuse. Passando a cose serie... hai fatto scorta di
vodka, vero?»
«Oh
sì», risponde
Lexi, con un sorriso irresistibile e un luccichio di divertimento
negli occhi.
Tornano
all'isba
correndo e incespicando nella neve, spintonandosi ma senza volersi
davvero allontanare l'uno dall'altra. Cosa tecnicamente difficile,
comunque, dal momento che si tengono per mano tutto il tempo.
La
vodka c'è, e ce n'è
anche tanta, probabilmente troppa persino per loro. Non che si
lascino scoraggiare, naturalmente, anzi entrambi attaccano le
bottiglie con grande temerarietà, pronti ad averla vinta su
di esse
o a perire ubriachi sotto il tavolo.
Il
fuoco nel camino
scoppietta sullo sfondo delle loro risate, quasi con compiacenza,
scaldandoli quasi più di quanto non riesca a fare l'alcool.
Ben
presto i discorsi
cominciano a perdere qualsiasi senso logico, e a nessuno dei due
importa, fintantoché hanno entrambi una bottiglia ancora
piena in
mano e nessun tipo di tristezza riesce ad infiltrarsi tra le loro
parole.
La
notte arriva senza
che se ne accorgano, portata dolcemente dal vento e accompagnata dal
turbinio dei fiocchi di neve che si accalcano sui davanzali della
finestre, oscurando ben presto la vista. Non che ci sia poi qualcosa
da vedere: a parte un paio di luci solitarie che brillano tenui in
lontananza, il buio è totale e perfetto, come difficilmente
potrebbe
mai esserlo in una città.
Stefan
piega la testa
all'indietro, posandola sul bracciolo di stoffa, e chiude per un
attimo gli occhi, cercando di costringere la propria testa a smettere
di girare come una giostra. Accoccolata all'altra estremità
del non
proprio grandissimo divano, Lexi ne approfitta per allungare le gambe
e posargliele in grembo, distendendosi quindi su di lui.
«Comoda?»,
borbotta
Stefan, pizzicandole la caviglia per dispetto.
«Mhmh»,
annuisce lei,
sorridendo.
Per
qualche minuto un
silenzio confortevole e palesemente ubriaco scende sulla piccola
stanza, interrotto solo dallo scrocchiare ─
un po' meno convinto rispetto ad alcune ore prima ─
dei ceppi di legno che ancora bruciano nel camino. La vodka sembra
aver riportato una vittoria schiacciante, e in fin dei conti nessuno
dei due può dirsi veramente sorpreso della cosa.
«Lexi?»,
la richiama
Stefan dopo un po', seguendo il filo dei suoi pensieri sconnessi che
ormai da qualche ora non fanno altro che continuare a tornare ad una
e una sola domanda.
«Mh?»,
mormora
l'altra, e il fatto che stia continuando a comunicare a mugugni la
dice lunga su quanto terribile sia la sconfitta inflittale
dall'alcool. Stefan pensa per un attimo di lasciar perdere, di
aspettare che i fumi della vodka si dissolvano, portandosi via anche
quella domanda che ─
lo
nota solo adesso ─
gli
brucia sulla lingua non già da ore, ma ormai da lunghi anni.
Di
fronte al suo
silenzio prolungato, però, Lexi si rimette faticosamente a
sedere,
poi si china in avanti, posa il mento sulle dita intrecciate delle
mani e fissa il compagno con aria interrogativa.
Stefan
si rende conto
che è la sua ultima occasione di liquidare quel momento
dicendo una
sciocchezza qualunque, e finire quindi quella serata così
come lei
vorrebbe che finisse, ovvero in una risata e un probabile mal di
testa.
«Perché?»,
domanda
invece, non riuscendo a trattenersi. È una cosa che non
riesce a
capire, che non ha spiegazioni logiche, almeno non ai suoi occhi.
Forse adesso, dopo anni e anni di conoscenza, lui e Lexi possono
considerarsi davvero amici ─
lui di sicuro la considera un'amica, ma d'altronde Stefan è
quello a
cui quell'amicizia giova di più e pesa di meno ─,
ma all'inizio... all'inizio per lei non era altro che un mostro
assetato di sangue, sciocco e violento, uno sconosciuto pericoloso e
decisamente più facile da eliminare che da redimere.
Eppure
Lexi aveva
deciso che lui valeva la pena di essere salvato, e si era accollata
quella missione che tutto sembrava, ai suoi stessi occhi, tranne che
facile o piacevole.
«Solo...
perché?»,
ripete, con un soffio di voce a stento udibile.
Lexi
capisce benissimo
il senso di quella domanda, ma non risponde, non subito. I suoi occhi
si fanno improvvisamente lontani e distanti, e quel senso di vuoto
che Stefan vi riesce ora a leggere dentro ha ben poco a che fare con
l'ubriachezza. È qualcosa di antico e triste, qualcosa che
l'altro
vampiro può riconoscere facilmente come il peso di un
ricordo
doloroso o una perdita troppo importante perché il tempo ne
curi la
cicatrice, o forse entrambe le cose.
Aspetta
in silenzio,
indeciso su come comportarsi. Da una parte vorrebbe dirle di lasciar
perdere, scusarsi per quella domanda che sembra toccare una sfera
forse troppo intima perché lui ne possa già
reclamare l'accesso,
dall'altra sa che non riuscirebbe mai e poi mai a togliersi di testa
quell'interrogativo, che sta diventando quasi un'ossessione, e in
fondo non è stata la stessa Lexi a dirgli che non le deve
alcuna
scusa, mai, per nessun motivo?
Dopo
una indefinita
quantità di tempo gli occhi di Lexi perdono quella sfumatura
di
lontananza e tornano a focalizzarsi su di lui, abbandonando il
passato in favore di quel presente. Forse tenta di sorridere, forse
no, Stefan non saprebbe dirlo. Sa che sta per rispondergli,
però, è
questo lo tranquillizza più di quanto credeva possibile.
«Ho
fatto una
promessa», racconta pacatamente Lexi, mentre le ombre gli
danzano
sul viso, seguendo i movimenti leggeri delle fiamme del camino.
«Due
promesse a dire il vero. Una sola riguarda te, l'altra l'ho fatta a
me stessa, secoli prima che tu nascessi».
Stefan
annuisce, le
labbra piegate appena in un sorriso di circostanza, che è
l'unica
cosa che gli riesce di mettere insieme di fronte a quell'argomento
che sembra rivelarsi più scomodo di quanto non pensasse
all'inizio.
«Della
prima non ho
intenzione di raccontarti, perché non è compito
mio», chiarisce
subito la vampira, e quando lui fa per interromperla alza una mano
per bloccarlo e scuote la testa. «Mi spiace, Stefan, prendere
o
lasciare. Sarà qualcun altro a farlo, se mai
deciderà di volerlo
fare», spiega.
Nel
sentire quel
qualcun altro Stefan pensa immediatamente a Damon,
poi si dà
dell'idiota perché le probabilità che Damon
c'entri qualcosa in
tutto quello sono totalmente sotto lo zero. Ma chi altri avrebbe mai
potuto chiedere a Lexi di fare una promessa su di lui? Non ha
più
alcun legame con nessuno, se non con suo fratello, e anche questo non
per loro scelta.
«Posso
dirti della
seconda, però. Se ti interessa», continua Lexi,
interrompendo il
filo dei suoi pensieri.
Davanti
a quella
proposta Stefan spalanca appena gli occhi. Nonostante lei lo conosca
probabilmente meglio di se stesso, fino a quel momento Lexi si
è
sempre gentilmente astenuta dal raccontargli qualcosa sulla sua vita
passata, e soprattutto non ha mai accennato della sua vita da essere
umana.
«Mi
farebbe molto
piacere», risponde allora il vampiro, trattenendo a stento la
propria curiosità. «Anche se forse dovremmo
aspettare domani,
quando saremo entrambi meno ubriachi»
«No»,
sorride Lexi.
«Se non fossi così ubriaca non te lo racconterei.
E lo sto facendo
solo perché mi aspetto che domani tu abbia dimenticato
completamente
quello che sto per dirti. Il passato mi piace quando rimane tale,
senza disturbare il mio presente. Chiaro?»
Stefan
annuisce,
intuendo sia il rimprovero che la minaccia nascoste dietro quelle
parole apparentemente divertite.
«Avevo
un fratello»,
inizia quindi a raccontare Lexi. «Un fratello a cui ero molto
legata, e che avevo promesso di proteggere da qualsiasi cosa, a
qualsiasi prezzo. Diventare un vampiro mi sembrava un ottimo modo per
adempiere alla mia promessa»
«Ti
sei trasformata
volontariamente?», domanda Stefan, leggermente sorpreso. Una
risata
amara accompagna il sospiro di Lexi.
«Era
il
diciassettesimo secolo, non uno dei migliori per una ragazza orfana e
non benestante. Inoltre ero giovane ed ero innamorata. Sì,
di un
vampiro, prima che tu me lo chieda. Dovresti sapere che esercitano un
certo fascino sugli esseri umani, no?»
«Non
proprio su tutti
gli esseri umani», mormora Stefan, mentre il ricordo del
volto
furioso di suo padre gli passa come un lampo davanti agli occhi. Lo
caccia via con rabbia, e torna a concentrarsi sulla sua amica.
«Quindi hai lasciato che ti uccidesse?»
«Non
prima di avermi
promesso il mondo, l'eternità e poteri sovrannaturali che mi
avrebbero permesso di proteggere l'unica persona che amavo oltre a
lui», sorride Lexi, recuperando intanto una delle bottiglie
di vodka
ancora piene. «Ero sciocca, Stefan. Lo siamo tutti a
vent'anni»
L'altro
vampiro non sa
come rispondere se non annuendo di nuovo.
«Per
un po' le cose
andarono bene», prosegue Lexi, facendo saltare via il tappo
con
un'abile mossa e portandosi la bottiglia alle labbra. Un po' di
liquore gli scivola via dall'angolo della bocca e lei lo raccoglie
con un dito, prima di decidersi a continuare a raccontare.
«Sono
stata più fortunata di te, questo è certo. Non so
se il vampiro che
mi ha creata mi abbia mai davvero amato, ma mi è stato
accanto
durante quel primo periodo, il più difficile, e mi ha
insegnato come
muovermi in quella nuova vita. Quando poi gli ho detto addio mi ha
lasciata andare, anche se avrebbe potuto non farlo»
«Un
vero gentiluomo»,
considera Stefan con un pizzico di sarcasmo.
«Lo
era più di quanto
potresti pensare, credimi», replica Lexi, e l'altro non
può fare a
meno di notare il continuo uso del passato.
«Non
l'hai più
rivisto?», domanda, protendendosi ad afferrare la bottiglia
che lei
tiene ancora tra le mani. Prima di passargliela Lexi ne beve un sorso
così lungo che gli occhi le si riempiono di lacrime.
«Una
sola volta dopo
quel giorno, e per non più di qualche minuto. Giusto quanto
bastava
per trafiggergli il cuore con un paletto di legno», risponde
poi,
con semplicità.
Stefan
non si permette
alcun commento.
Lexi
si arrotola una
ciocca dei lunghi capelli intorno alle dita, e si volta a guardare il
fuoco come se stesse cercando l'ispirazione o la forza per andare
avanti.
«Che
ne è stato di
tuo fratello?», la precede Stefan, intuendo che è
proprio quello il
punto della questione.
«Morto.
In un
incendio», risponde velocemente Lexi. «Il mio
insegnante si era
dimenticato di dirmi che se non invecchi nemmeno di un giorno e
rimani nello stesso luogo per anni, prima o poi la gente
comincerà a
farsi domande. E a darsi risposte. A quel tempo di solito la risposta
migliore consisteva in una sfilata di fiaccole e forconi».
«In
questo le cose non
sono cambiate poi molto, durante gli ultimi trecento anni»,
commenta
Stefan.
«Già»,
sbuffa Lexi,
e poi, con lo stesso tono sbrigativo di poco prima, conclude:
«Io
sono riuscita a scappare. Mio fratello no. Aveva sedici
anni».
Entrambi
lasciano che
quell'ultima frase cada nel silenzio. Stefan passa di nuovo la
bottiglia all'amica, e lei la svuota senza pensarci due volte. Ormai
la notte è già entrata nella sua seconda
metà, quella più vicina
all'alba, e perfino la tormenta di neve si è assopita.
Stefan
non dice che gli
dispiace. «Ancora non capisco», mormora invece.
«Hanno dato fuoco
alla tua casa, hanno ucciso una persona che amavi e probabilmente ti
hanno dato la caccia. Quando è successo a me, l'unica cosa a
cui
riuscivo a pensare era la vendetta».
«Lo
stesso valeva per
me. Abbiamo semplicemente scelto due modi diversi per
vendicarci»,
spiega Lexi, e Stefan ripensa al vampiro che l'ha trasformata e che
lei non ha mai chiamato per nome, come se bastasse quello ad
offenderla.
«E
comunque io ho
imparato a controllare le mie emozioni amplificate molto prima che
venissero messe alla prova così violentemente. A te ne
è mancata
l'occasione, e i primi sentimenti che hai provato dopo la
trasformazione sono quelli che ti hanno travolto e segnato, e da cui,
come avrai notato, è difficile liberarsi»,
aggiunge Lexi.
Stefan
le è
mentalmente grato per aver detto difficile e non impossibile.
«Ma
cosa c'entra tutto
questo con me?», non può fare a meno di domandare
ancora il
vampiro.
Lexi
piega la testa
contro lo schienale del divano e socchiude gli occhi, chiaramente
esausta ed assonnata.
«Mi
ricordi lui»,
sussurra con un filo di voce. «Non so neanche io bene il
perché, ma
mi ricordi lui»
Stefan
non sa proprio
cosa replicare di fronte a quella confidenza. Così non dice
nulla e
lascia che lei si addormenti lentamente, con le gambe ancora posate
sulle sue e la bottiglia vuota stretta al petto.
Cercando
di disturbarla
il meno possibile, Stefan si china in avanti, le toglie la bottiglia
dalle mani e, dopo una leggera esitazione, le posa un brevissimo
bacio sulla guancia.
Il
giorno successivo si
rivela essere uno dei momenti più confusi, caotici e
tremendi del
loro viaggio. Appena sveglia Lexi decide che la Russia non le piace,
che la vodka è orribile, che la neve è fastidiosa
e che quella
parte del mondo, in generale, non ha più alcuna attrattiva.
Si
ritrovano quindi a fare i bagagli e a correre da una parte all'altra
del paese, seduti su carretti sbilenchi e circondati da persone che
non capiscono una parola di quello che dicono, cercando di
raggiungere, in un modo o nell'altro la stazione ferroviaria in tempo
per prendere il primo e ultimo treno della giornata.
Finalmente
si ritrovano
sani e salvi all'interno del vagone gelido, seduti su sedili che
sembrano fatti di ghiaccio scolpito, con la prospettiva di giorni e
giorni da passarci dentro prima di poter raggiungere un posto un po'
meno inospitale delle pianure russe. E dopo una mattinata intera
passata a litigare anche per le più piccole cose, non
possono fare a
meno di guardarsi negli occhi e scoppiare a ridere, così
forte da
attirarsi dietro i rimbrotti degli altri viaggiatori.
«Ora
che siamo
riusciti a tirare fuori di nuovo il tuo lato umano, c'è solo
un'altra cosa da fare», dice Lexi, ad un certo punto, quando
finalmente riescono a calmare le risa.
«Ovvero?»
«Cercare
di far
emergere anche il tuo senso dell'umorismo», risponde
seriamente
Lexi. «E so che sarà un'impresa ancora
più difficile della prima,
ma─»
Stefan
le lancia
addosso il proprio cappello, cercando di zittire la sua risata.
Fuori
dal finestrino il
paesaggio scorre veloce, macchie confuse di bianco e di grigio,
mentre il treno continua a correre ad una velocità folle
lungo
binari che si estendono per una lunghezza tale che è
difficile
persino cercare di immaginarsela.
Le
ultime settimane
dell'inverno fuggono via quasi con la stessa rapidità di
quel treno,
e quando infine Lexi e Stefan tornano a casa è di nuovo
primavera.
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