Sono
passati sei mesi? Eh, va beh. Guardate, non rileggo neanche, così vi
ripago dell'attesa con il divertimento che proverete a trovare
erroracci qua e là.
Più vado avanti, più mi convinco che, nonostante il suo aspetto fisico,
Garanwyn non sia AFFATTO uke.
La
delusione è un'amara compagna, e ancor più quando avevamo riposto ogni
nostra speranza in colui che ci ha deluso. In futuro, ripensando a
quella situazione, riusciremo a giustificare le sue azioni, e persino a
comprendere che eravamo stati noi ad illuderci, ma al tempo presente ci
sentiamo incapaci di dare ancora fiducia a qualcuno.
Aline si era sentita presa in giro e usata da Sir Bedivere. Aveva
veramente creduto ch'egli non avrebbe mai rinunciato a veder crescere
Cailleagh, che la considerasse più una figlia che una nipote, che -
questa era stata un'esagerazione della sua fantasia, doveva ammetterlo
- per lui fosse più importante del resto della sua famiglia. Se persino
Sir Bors aveva rinunciato alla vita monastica per strappare Benwick
dalle mani avide di Sir Dinas, perché mai il duca aveva lasciato
Lindsey, la terra dei suoi avi, ad un ragazzino come Conn?
Ma soprattutto perché l'aveva obbligata a diventare la moglie di quel ragazzino?
Eppure, quando era giunta a Lincoln aveva provato un'istintiva simpatia
per Conn. La sua gentilezza, il suo sorriso ottimista (e non
neghiamolo, i suoi occhi così simili a quelli di Lucan) l'avevano
conquistata. Se fosse passato più tempo, è possibile che sarebbe giunta
ad innamorarsi di lui; ma il matrimonio forzato aveva trasformato quei
sentimenti in boccio in dispetto e rifiuto.
In quanto a lui... avete senza dubbio un'idea abbastanza chiara dei
sentimenti che in
quegli anni avevano albergato nel cuore del giovane duca di Lindsey.
Egli s'era infatuato di Aline, ed era stato felice quando gli era stata
data in moglie, ma si era anche impegnato a comprenderla e ad
aspettarla tutto il tempo necessario. Aveva insomma lasciato che il
tempo ricucisse le ferite, piuttosto che causarne di nuove.
Nella sua ingenuità aveva creduto che il dolore fosse come la sabbia di
una clessidra, che scende poco a poco fino ad esaurirsi; non sapeva
invece che una donna tiene volentieri quella clessidra tra le mani e la
scuote perché non resti mai vuota. Aline non avrebbe mai ammesso, anche
quando il sole aveva iniziato a fare capolino tra le nuvole, che il suo
cuore avesse ricominciato a battere: le sarebbe sembrato un tradimento.
Continuava a dirsi che doveva restare fedele al ricordo di Lucan, che
non avrebbe mai
consumato quel nuovo matrimonio: ma non c'era purezza nei suoi sogni
inquieti,
e l'uomo di quei sogni non aveva
ormai più un volto.
Conn non avrebbe potuto comportarsi più saggiamente con lei. La
coinvolgeva nelle mille faccende quotidiane del ducato, le affidava
responsabilità e la faceva sentire importante in ogni momento. Insieme,
essi crescevano, acquisivano saggezza, sapevano capirsi e prendere
decisioni importanti. E più Aline si distraeva dal suo dolore, più egli
ne gioiva, tentando di scalzare una pietra da quel muro ch'ella aveva
eretto intorno a sé, sempre però attento a non oltrepassare il limite.
Il giovane era affettuoso con Cailleagh, ma senza pretese, poiché
comprendeva che sua moglie se ne sarebbe potuta
risentire. D'altro canto, Aline cercava di non intromettersi
nell'intesa tutta particolare tra lui e il piccolo Haliesin.
Maryel li compativa e benediceva entrambi. Avrebbe desiderato per suo
figlio un amore più semplice, una donna tenera e senza ombre, ma
sentiva che dopotutto Aline era quella
giusta e che con il tempo qualcosa sarebbe cambiato.
Al contrario, Armelle era inquieta e non ne faceva mistero. Smaniava
letteralmente dall'urgenza che il duca e sua moglie avessero
un bambino per
conto loro. Non sopportava le attenzioni di Conn per Haliesin: non ne
era soltanto preoccupata, ma contrariata al massimo grado. Temeva che
suo figlio gli si affezionasse troppo, che lo considerasse come un
padre e magari, in futuro, sviluppasse il desiderio di diventare suo
erede. Sarebbe stata una follia, una tragedia forse... gli eventi di
Camelot, e anche quelli di Benwick, insegnavano.
Così, ad un certo punto, prese a tenerselo stretto dovunque andasse,
causandogli un gran
dispiacere - ma ella credeva che questo ne avrebbe evitato uno più
grande a tutti loro.
Questi erano pressappoco gli strani e fragili equilibri tra gli
abitanti del castello, che sembravano destinati - se non a restare
immutati - a modificarsi molto lentamente. Ma giunse qualcosa di nuovo
a cambiare il risultato di dadi già lanciati.
Anche Conn si era sentito tirare in un'altra dimensione, in una
visione che l'avviluppava in una ragnatela dolce e invitante.
La
creatura nei suoi sogni aveva molto più che un volto, e molto meno
che un nome.
Cominciò una notte, una di quelle notti di velluto stellato che
profumano di fiori e sospiri, solo che Conn era al chiuso e non vedeva
né stelle né cielo; inoltre se ne stava sdraiato sulla paglia, nella
stalla del suo cavallo preferito, e potete ben capire come l'odore non
fosse precisamente di fiori.
In quel momento pensava a mille piccole faccende, nessuna delle quali
riguardava Aline, e si addormentò senza avvedersene. Lo stalliere,
abituato alle stranezze del giovane padrone, si accoccolò poco distante
e sprofondò nel sonno a sua volta.
Sembrava la più graziosa e dolce fanciulla che avesse mai visto, quella
che gli veniva incontro cavalcando. Tutto in lei era desiderabile,
perfetto. Occhi, capelli, labbra, non c'era nulla che non gli piacesse.
Eppure... eppure... la sua espressione non era quella di una vergine,
né di una maliarda. Era il cipiglio severo e amareggiato di un
cavaliere suo pari.
Quell'inverno era stato inspiegabilmente rigido. Pareva che l'armonia
avesse abbandonato Camelot, che persino la natura avesse iniziato a
rifiutarsi di concedere la propria indulgenza più a lungo. Il clima in
Britannia non sarebbe stato mai più come un tempo. La pioggia aveva
preso ad accompagnarsi stretta ad ogni stagione, e lentamente sparivano
creature che sino ad allora avevano abitato i boschi e i cieli di
Logres.
Come un demone sarcasticamente pietoso, quell'inverno, mentre il vento
sibilava attraverso le feritoie malchiuse con il suono di serpenti
attirati dal latte, si era portato via ciò che restava della famiglia
di Garanwyn - in un modo così plateale da far invidia alla più tragica
delle tragedie greche.
L'avevano trovato accanto al pozzo dove Celemon si era affogata insieme
al suo segreto, come un vecchio cane che si rintana nel bosco per
sfuggire agli sguardi pietosi, la brina ad imbiancare le braci spente
dei suoi capelli. Non si sapeva come fosse riuscito ad arrivare in
cortile, considerato che si trovava a letto da alcuni mesi; né come ne
avesse trovato le forze, né come nessuno dei servi se ne fosse accorto.
Ma si può immaginare che un suo ordine fosse vangelo ai loro occhi ben
più di quanto lo fosse la parola di re Constantine, perciò le domande
si persero tra lo sgomento e la rassegnazione.
E Garanwyn, ormai diventato l'ombra del re, il primo e il più feroce
dei suoi cavalieri, ritornò bambino per un poco, a piangere le sue
lacrime di figlio, ripromettendosi che sarebbero state davvero le
ultime. Amren stesso avrebbe faticato a riconoscere il suo tenero e
fragile amante; Eneuawc non avrebbe osato rivolgere la parola all'amico
e confidente di un tempo. La sua presenza non suscitava più sguardi
derisori o compassionevoli, ma soggezione e una vaga invidia tra i suoi
pari.
Lo ritroviamo quindi ad occhi socchiusi, davanti ad una tomba che reca
incise le parole Cai ap Ector.
Si lascia sfuggire una frase, che insieme al fiato gelido si dissolve
apparentemente inascoltata:
- Non sono riuscito a trattenervi ancora...
Un braccio robusto circonda le sue spalle, inducendolo gentilmente a
voltarsi. - Davvero avresti desiderato vederlo soffrire più a lungo?
Forse non aveva vissuto abbastanza?
Nessun padre vive abbastanza, avrebbe voluto rispondere Garanwyn, ma
non volle mostrarsi più debole di quanto già non sembrasse agli occhi
del re. - Avete ragione. - Sospirò e i due s'incamminarono insieme
verso il castello. - Dovete comunicarmi qualcosa d'importante, non è
vero?
Constantine sospirò. - Questa volta non potremo più evitare lo scontro.
Tutti i porti di Logres sono presidiati, ma i Sassoni riusciranno a
trovare un'altra strada.
- Da est?
- Non certo dalla Cornovaglia! - scattò il sovrano. - Non si
avvicineranno allo stretto. Certo che arriveranno da est, e troveranno
un fiorente ducato di agricoltori, pastori e nessun soldato! Sir
Bedivere ha affidato le sue terre ad un poppante. Un bamboccino con cui
però ho un piccolo debito in sospeso: gli promisi che avrei ucciso Sir
Melehan con le mie mani, ma qualcuno
- e qui fissò Garanwyn con finta severità - mi ha preceduto... ora, se
gli ordinassi di radunare un esercito, avrebbe tutte le ragioni per
rifiutarsi. Non ascolterebbe un messaggero qualsiasi, ma tu...
- Rifiutarsi? I nemici potrebbero sbarcare sotto la sua finestra e lui
resterebbe a guardare! - ribattè Garanwyn, esterrefatto. - Partirò
immediatamente.
Conn non riusciva ancora a capacitarsi di come la fanciulla apparsa nei
suoi
sogni si fosse rivelata un cavaliere giunto da Camelot per costringerlo
a scendere in guerra. Lui proprio non aveva che uomini
mandare, senza togliere braccia all'agricoltura: opzione, questa, che
gli sembrava un'idiozia. Ma non poteva
sottovalutare l'offensiva dei Sassoni, né sopravvalutare l'esercito di
Logres. C'era persino il rischio che, essendo i porti a nord e ad ovest
del Kent controllati e presidiati, ai nemici venisse in mente di
sbarcare davvero da quelle
parti.
- Posso capirvi, Sir Garanwyn. Anch'io persi mio padre quand'ero molto
giovane.
- Quand'eravate... ah, ah! Perché ora cosa siete? No, non capite, non
capirete mai. Avete versato le vostre lacrime, d'accordo, ma su una
notizia giunta da lontano...Voi non sapete cosa significhi vederlo
spegnersi come un tizzone consumato... e poi rendersi conto che ogni
giorno, ogni parola, ogni suo respiro sono stati un regalo del destino!
Non
aveva avuto obiezioni. E aveva già predisposto l'addestramento di un
certo numero di giovani delle campagne, proprio ciò che si era
ripromesso di non fare. Lentamente il fascino inconsapevole di Garanwyn
lo stava plasmando. Lui non poteva saperlo, ma la canzone che il
cavaliere intonò per la prima volta nella sala grande, accompagnata dal
crepitio del fuoco,
Tu sei cresciuta come un fiore in
primavera,
non hai dovuto lottare contro il gelo.
Da vergine a regina, non è stato
senza nuvole,
ma nessuna mano ti ha spezzata.
Noi, i cardi e le rose, sentiamo
gridare
la pelle graffiata dal nostro stesso
amore
era la prima a scaturire dalle sue labbra dopo tanto tempo. La voce si
era dispiegata dapprima incerta e arrochita, poi via via più
squillante, mentre lo guardava negli occhi; le dita sfioravano le corde
di quell'arpa appartenuta alla defunta duchessa Cailleagh, moglie di
Corneus.
Quei versi erano un omaggio a madamigella Eneuawc, ora imperatrice
d'Oriente e di certo, ormai, lontana anche con il pensiero dal passato
in cui essi ancora indugiavano.
Conn sorrise ammirato, quasi soggiogato. Aveva ascoltato con
gratitudine quel perfetto, incantevole ritratto dell'amata cugina, ma
non poteva riconoscere in sé la rabbia ed il rimpianto delle ultime
parole della strofa:
- Che cosa intendete per "i cardi e le rose"? Non conosco questa
metafora.
Garanwyn sbirciò di sottecchi il duca di Lindsey, a sincerarsi che
fosse realmente interessato alla sua poetica e non stesse solo cercando
di blandirlo in quanto emissario del re, ma si rese conto che
difficilmente Conn sarebbe stato in grado di recitare una parte. Si
rigirò quel pensiero nella mente come una trovata buffa, un guizzo
ironico che, accompagnandosi alla ballata appena conclusa, inaugurava
la sua lenta ripresa dal recente lutto. Sì, quel ragazzo era una
creatura senza malizia, come nemmeno lui era stato durante i suoi anni
ad Estangore. Forse non era un guerriero, né aveva mai dimostrato atti
di coraggio, ma la malafede era da escludere.
- Una rosa è bella, ma fragile. Il fiore del cardo è insignificante, ma
resistente al freddo. Entrambi hanno spine che li difendono dai nemici
e nel contempo allontanano chiunque si avvicini.
- Dunque voi siete una rosa. Chi avete graffiato? Quanti cuori avete
spezzato?
Sul punto di ricordare a Conn che si stava prendendo un po' troppe
libertà con domande del genere, tuttavia Garanwyn dichiarò con
fierezza: - Mai! Non sono mai stato amato senza ricambiare con tutto me
stesso.
- Dunque siete voi a portare quei graffi. - Così parlando, sul filo di
una sfida alquanto sciocca e alquanto rischiosa, Conn si sentiva ebbro.
Il vino di Neustria, di cui aveva consumato una quantità abbondante ma
che il suo ospite aveva cortesemente rifiutato, ne era una delle
ragioni, ma non l'unica.
- Non riesco a capirvi. Siete tanto giovane, quanti anni avete?
Diciassette? Diciotto? Siete già sposato, siete sopravvissuto a Camlann
ma non sapete nulla sul come difendere la vostra stessa terra, e in tre
giorni, dacché sono qui, non mi avete mai chiesto come mai uno storpio
abbia potuto ricevere l'investitura!
Conn lo fissò. - Sono deluso, Sir Garanwyn. Anch'io non riesco a
capirvi, ora: perché mostrare tanto vittimismo? Avevo semplicemente
dato per scontato che la vostra fosse una ferita di guerra...
- Una ferita di guerra? Davvero? - Garanwyn si alzò, trasudando
sarcasmo, i riflessi del fuoco che tingevano i suoi capelli di nuove
sfumature. - D'accordo, siete un giovane senza preconcetti. Ma non
posso aggiungere "senza malizia". Sono forse una bella fanciulla, che
mi guardate a quel modo?
Conn arrossì, colto in flagrante. Secondo la sua limitata esperienza,
l'attrazione tra due uomini era un affare da consumarsi nel retro di
una taverna, tra odori immondi e spasmi dolorosi. Era la prima volta
che, provandola, l'associava a qualcosa di tanto... delicato.
- Non desidero mancarvi di rispetto...
L'altro scosse la testa, divertito dalla timidezza di Conn che in un
gioco di ruoli gli restituiva la sua stessa immagine, in un tempo
diverso. Allungò la mano a toccarlo appena sotto la spalla, quasi
volesse assicurarsi che il suo cuore continuasse a battere.
- Non scusatevi. È vero, sono più vecchio di voi. Ma chi sono per
giudicarvi sul vostro modo di governare? Sono qui per un'emergenza, per
guidarvi in un frangente difficile che riguarda l'intera isola... non
per svilirvi o farvi sentire inferiore. In realtà ho capito che
eravate degno del vostro titolo dal momento in cui vi ho guardato negli
occhi, e trovo inutile continuare a mostrarmi come ciò che non sono...
Vi debbo io delle scuse, semmai.
Conn gli sorrise, rassicurato e insieme infiacchito da quelle parole.
Se gli era passato per la mente di essere ubriaco, ora ne aveva la
smentita: quell'allusione ai suoi occhi era giunta da monito. Non
sarebbe mai stato amato per quel che era, non totalmente... lui era
solo una pallida imitazione dei suoi più nobili e leggendari parenti. I
suoi non erano gli occhi di Conn, ma di Corneus, di Lucan, di Amren...
E in quel momento indovinò il motivo di tanto interesse. Ricordò i toni
entusiasti con cui Eneuawc aveva sempre parlato di lui, e di come ogni
volta non riuscisse ad evitare di sorridere al fratello, mentre
raccontava. E comprese perché avesse richiesto in maniera esplicita in
quali camere alloggiare, sebbene fosse chiaro che non aveva mai messo
piede in quel castello.
Fece per scostarsi, in un impeto d'orgoglio e frustrazione, quando si
accorse che Garanwyn era impallidito d'improvviso, irrigidendosi;
qualcuno era entrato nella sala.
- Perdonate, avrei dovuto farmi
annunciare, o quanto meno bussare... non vi disturberò oltre. Vi auguro
la buona notte.
Con un inchino, come la più umile delle serve, la duchessa di Lindsey
scomparve così com'era venuta, lasciando il marito stupefatto ed il suo
ospite in un confuso imbarazzo.
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