Between Stars

di Daisy Pearl
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The Past -- 1 ***
Capitolo 2: *** The Past -- 2 ***
Capitolo 3: *** The Present -- 1 ***
Capitolo 4: *** The Present -- 2 ***
Capitolo 5: *** The Present -- 3 ***
Capitolo 6: *** The present -- 4 ***
Capitolo 7: *** The Present -- 5 ***
Capitolo 8: *** The Present -- 6 ***
Capitolo 9: *** The Present -- 7 ***
Capitolo 10: *** The Present -- 8 ***
Capitolo 11: *** The Present -- 9 ***
Capitolo 12: *** The Future -- 1 ***



Capitolo 1
*** The Past -- 1 ***


Questa è una storia d’amore che paradossalmente nasce da un testo scolastico. Studiavo i primi capitoli di astronomia e mi sono ritrovata a fantasticare. Ed è nata BETWEEN STARS.
Farò riferimenti a persone realmente esistite e altre frutto della mia immaginazione, ma ci tengo a precisare che la trame della storia è TOTALMENTE INVENTATA.
Spero che la lettura di questa breve storia vi appassioni, come ha appassionato me scriverla. Se potete commentate, mi farebbe molto piacere sapere cosa ne pensate, sia se vi piace sia se non vi piace.
Buona lettura.
Daisy Pearl.

 


THE PAST -- PART ONE

   

Sognavo …
Era notte e il buio avvolgeva tutto il mondo …
… tutto tranne loro che da lassù osservavano silenziose i nostri movimenti …
… provai a contarle …
… non ci riuscii …
… ne rimasi affascinata …
… volevo conoscerle …
Mi risvegliai secoli dop  o.

 
Mi ammirai nello specchio soddisfatta, la sarta aveva fatto davvero un ottimo lavoro. L’abito ceruleo che avevo ordinato era stato preparato alla perfezione e si intonava particolarmente ai miei occhi. Avevo visto le bozza della sarta, avevo approvato il vestito ancor prima di vederlo realizzato, ma non avrei mai pensato che avrebbe potuto starmi così bene. La scollatura era contornata di pizzo bianco e non era esagerata, ma d’altra parte la stoffa sottile si modellava attorno al mio esile fisico in modo da evidenziarne le curve. La gonna ricadeva ampiamente sulle gambe fino a coprirmi i piedi, adoravo quel particolare dei vestiti perché avrei potuto mettere un qualsiasi tipo di scarpe, tanto nessuno le avrebbe notate.
Quella sera sembravo proprio una principessa.
“Siete soddisfatta?” mi chiese Giada mentre senza posa mi ammiravo da tutte le angolazioni nello specchio logoro.
Le sorrisi gioiosa “Non si nota?” e feci un giro su me stessa.
“L’abito è favoloso …” continuai “e con i capelli hai fatto davvero un ottimo lavoro!” mi complimentai sorridendole.
Infatti aveva raccolto la maggior parte dei miei morbidi boccoli in uno shignon lasciandone qualcuno libero di  ondeggiare accanto al mio viso. Ero talmente bella da non sembrare io.
“Oh grazie signorina.” Replicò abbassando lo sguardo, visibilmente imbarazzata per il mio complimento.
“Ma ci pensi?” chiesi con entusiasmo “La mia vita sta per diventare bellissima!!”.
Sorrisi a trentadue denti. Giada reagì alla mia felicità con un sospiro. Mi sedetti sul letto e con la mano le feci segno di raggiungermi.
“Cosa c’è Giada?” le domandai prendendo le sue mani tra le mie.
“Bambina mia …” iniziò con voce un po’ rotta dall’emozione “… mi chiedo se davvero sarete felice …”.
“Perché ti chiedi una cosa del genere? È ovvio che lo sarò!” replicai sicura.
“Oh signorina, siete cresciuta così in fretta, mi sembra ieri, che ancora neonata, ti feci nascere. Ti ho allevata, accudita come se tu fossi una figlia per me, ed ora… ed ora…” le sue parole furono interrotte dai suoi singhiozzi, ormai piangeva senza più darsi un contegno. Non riuscivo proprio a capirla la mia nutrice.
“Qual è allora il problema? Sei commossa perché sono diventata una donna?”
“Voi non siete ancora una donna, siete una bambina, e tutto questo è sbagliato, io lo so, vi porterà all’infelicità, come portò all’infelicità la vostra povera madre!” affermò lei con voce malferma.
“Mio padre si è trasformato con gli anni, è diventato un uomo brusco, violento, non era così all’inizio! Loro prima erano felici!” esclamai un po’ irritata per il suo comportamento.
“Oh no, no no, non lo sono mai stati!” altri singhiozzi.
“Dove vuoi arrivare Giada?” chiesi repentina incrociando le braccia al petto, mi stavo decisamente arrabbiando.
“Dove NON voglio arrivare bimba! Non voglio vederti fuggire con la tua bambina, come fece tua madre, lasciandoti al fratello mentre lei, ormai macchiata nell’onore, non avrebbe più potuto vederti!” aveva iniziato a tremare senza contegno. “Un matrimonio combinato non è MAI un buon matrimonio!”.
“Ma come ti permetti?” sbottai alzandomi in piedi di scatto. “Tu non lo conosci, non puoi affatto giudicarlo!”
“Perché signorina? Voi lo conoscete?” sgranai gi occhi per la sua impertinenza. Avevo sempre ascoltato i consigli di Giada, mi erano sempre tornati utili, lei era la madre che non avevo avuto per molti anni della mia infanzia, ma rimaneva una persona a me subordinata e non poteva permettersi di parlarmi in quel modo.
Vedendo la mia espressione cercò di rimediare, si alzò anche lei e mi abbracciò.
“Sono solo molto preoccupata per voi!”
Mi calmai. Dolcemente la allontanai da me.
“Non devi Giada! Lo zio mi ha assicurato che Johannes è un uomo fantastico! E poi pensa a come sarebbe contento, il suo assistente e la sua nipotina sposati, e poi, pensa! Non è nemmeno vecchio!” sorrisi gioiosa.
“Ha trent’anni signorina, tredici più di voi!”.
Risi “Tredici anni non sono niente rispetto ai matrimoni che sono soliti fare le persone, senza contare che dicono che sia un uomo molto bello!”.
 
Quando scesi nella sala da pranzo ero ancora gioiosa come prima della mia discussione con Gaia, anche perché ero consapevole che le sue preoccupazioni erano dovute al fatto che mi voleva un gran bene; era
ovvio che non volesse che io facessi la stessa fine di mia madre!
Non appena mi vide lo zio sorrise radioso e mi venne incontro a braccia aperte, mi prese le spalle.
“Buona sera zio Tycho!” dissi abbassando lo sguardo in segno di rispetto.
Lui sorrise nuovamente e abbracciandomi mi sussurrò all’orecchio “Ti piacerà vedrai!”.
Tra me e lo zio c’era sempre stata una sorta di complicità, fin da quando mi sedevo da piccola sulle sue ginocchia e lui iniziava a raccontarmi tutte quelle leggende sull’universo che tanto adoravo. Ma non l’avevo mai visto così felice. In reazione a tale comportamento la mia euforia aumentò ancora di più. Mi condusse lungo il tavolo imbandito e subito notai che oltre alla zia, seduto vicino al posto dello zio, vi era un giovane. Non era di una bellezza travolgente, aveva la barba appuntita e i baffi neri e questo gli conferiva un’aurea di mistero. Felice, e anche decisamente imbarazzata, seguii lo zio.
L’uomo che doveva essere Johannes si alzò in piedi e fece un breve inchino.
“Questo Cassidy …” mi disse lo zio indicandolo con la mano “ … è Johannes Kepler. Johannes, questa è la mia nipotina Cassidy Brahe!”.
Mi inchinai a mia volta fissando l’uomo negli occhi. Mi avevano insegnato che un uomo che non sa sostenere lo sguardo di una donna non valeva nulla, così lo misi alla prova. Mi fissò negli occhi con una tale intensità da costringere me stessa a distoglierli. Decisamente un uomo di carattere!
Presi di buon grado il posto accanto al suo e iniziammo a mangiare. Lo zio chiacchierava amabilmente con Johannes e io non potevo far altro se non ascoltare.
“Signor Brahe, come naturalmente sapete, lavoro da poco come vostro assistente e in queste poche settimane mi sono unicamente dedicato allo studio dell’orbita delle stelle mobili. Ma so che voi mi volete proporre altri quesiti non è così?”.
“Ahaahah!” rise lo zio “Johannes! Non mi sembra il caso di parlarne a cena! Suvvia! Credo che troverete la conversazione con mia nipote più interessante!”. Gentilmente Johannes si voltò verso di me.
“E voi signorina? Quali sono le vostre passioni?”
“Amo leggere!” dissi sorridendo.
“E non solo!” aggiunse fiero mio zio “La mia dolce nipotina condivide la mia stessa passione!”.
“Ma zio!” esclamai decisamente imbarazzata. Mi avevano sempre detto che una donna non deve avere gli stessi interessi di conoscenza che avevano gli uomini, ciò le avrebbe rese decisamente ridicole.
“Non ti preoccupare cara!” ribattè lo zio con uno strano luccichio negli occhi. “Johannes non ti giudicherà per questo! Anzi ti ammirerà!”.
A tali parole mi sentii decisamente meglio.
“E così amate le stelle?”.
Annuii con foga. Amavo le stelle, erano così belle così misteriose, così lontane.
“E quali conoscenze, il vostro facoltoso zio vi ha tramandato?”.
Sorrisi gioiosa per la domanda. Nessun uomo avrebbe mai chiesto una cosa del genere ad una ragazza. La curiosità è donna, non la conoscenza.
“Conosco il nome di alcune stelle, so che alcune scompaiono, e che ci sono delle stelle che si muovono”.
“Già, i pianeti! Le stelle mobili!” affermò il mio interlocutore annuendo.
“Però ci sono molte cose che non so, ad esempio lo zio ha ideato un suo preciso schema di movimento dei pianeti, ma ancora non me l’ha voluto svelare!” ammisi un po’ amareggiata.
“E’ perché va perfezionato Cassidy! Quando sarà perfetto te ne parlerò”.
“Ehm ehm” tossicchiò la zia “Siamo qui per una precisa ragione, ovvero per un matrimonio, non per parlare di astri. Di quello ne potrete discutere in separata sede”.
Il marito sbuffò divertito, sapeva bene quanto questi discorsi, alle orecchie della zia incomprensibili, la irritassero, soprattutto perché era convinta che suo marito amasse più il cielo che lei.
Idea che probabilmente non era tanto dissimile dalla realtà.
“Cassidy …” iniziò mio zio rivolgendosi direttamente a me “… Johannes ti ha chiesta in sposa, qual è la tua risposta?”.
Sorrisi imbarazzata e abbassai lo sguardo fissando il mio piatto.
“Dico che sarei onorata di diventare la moglie di un uomo così attraente, intelligente e un così caro collaboratore di mio zio!”. La mia breve risposta  suscitò l’euforia dello zio che si alzò in piedi e tirando in alto il calice propose un brindisi a noi due. Ero felice! Davvero felice e anche un po’ imbarazzata, ma soprattutto felice.
 
Dopo cena io e Johannes, per conoscerci meglio, facemmo un giro nel giardino intorno a villa Brahe.
Io tenevo lo sguardo basso, e lui mi camminava a fianco con passo leggero.
“Siete bellissima!” mi disse fermandosi e prendendomi il mento tra le mani. Fui costretta a guardarlo negli occhi.
“Il modo i cui prima avete accettato di essere la mia sposa è stato … è stato molto sentito e toccante. Sono davvero un uomo fortunato”.
Sorrisi al complimento arrossendo “Sono io ad essere fortunata! Un uomo della vostra intelligenza e del vostro calibro che si interessa ad una ragazzina come me non è una cosa da tutti i giorni!”.
Mentre parlavo mi osservava rapito, come se stessi svelando chissà quali misteri.
“Siete fantastica!” sussurrò infine. Mi cinse con le braccia facendomi aderire al suo corpo magro e senza mai distogliere gli occhi dai miei avvicinò il suo viso.
“Mi permettete?” chiese in un sospiro.
Annuii impercettibilmente. Bastò. Si avvicinò dolcemente a me e mi sfiorò le labbra con le sue. Io non sentii niente, probabilmente era così che una donna si sentiva quando baciava un uomo, o meglio non si sentiva. Perché il bacio era per l’uomo non per la donna. Si scostò da me e mi prese la mano. Mi condusse in cima ad una collinetta, sempre nel territorio vicino a casa. Una volta arrivati si sdraiò a terra e mi tirò leggermente il braccio per portarmi a fere lo stesso. Mi adagiai accanto a lui obbediente, avevo paura. Temevo che quell’uomo potesse farmi sua prima del matrimonio, cosa che non doveva assolutamente accadere, perché ci sarebbe andato di mezzo il mio onore. Ma d’altra parte come potersi ribellare? Se lo avessi fatto avrei mandato a monte tutto, il mio futuro e la felicità di mio zio, a cui dovevo tutto.
Lui alzò il dito al cielo e disse con voce appassionata “La vedi quella?”.
“Quale?” chiesi.
“Quella stelle luminosissima!”. La vidi, era bellissima.
“Sì!”
“Quello è Venere!”. Affermò con voce trasognata.
“E’ l’astro più bello dell’universo!” affermai totalmente rapita.
“Tu sei quasi bella come lei!”.
Fu in quel momento che capii.
 

 Non mi avrebbe MAI amata come amava quei puntini luminosi.
Non lo avrei MAI amato come anche io amavo loro.

 
Desiderai ardentemente di scappare il più lontano possibile da quella collina, da quel villaggio, da quel mondo, e di elevarmi ad esse, così lontane da me eppure così vicine al mio cuore.

 
 
 

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Capitolo 2
*** The Past -- 2 ***


Ringrazio Shadowstar e AlyDragneel per aver messo la mia storia tra i preferiti!
Grazie di cuore, spero di non deludervi. Questo capitolo è tutto per voi :)



 




Lontano, nel tempo e nello spazio …
… non desidero essere da nessun’altra parte se non lì.

 
 
 
Durante le notti successive tornai su quella collina, a riflettere. Non sapevo più cosa fare. Dopo aver accettato repentinamente la proposta di Johannes me ne ero amaramente pentita nel corso di pochissime ore. Ero arrabbiata con me stessa per la mia volubilità, ero furiosa con lui per essere così cinico e così distaccato.
Se una qualsiasi persona non era una stella e non stava lassù in poco tempo perdeva ogni tipo di interesse.
In quelle giornate avevo spesso visitato il suo studio. Si trattava di una stanza molto particolare. Era ricolma di oggetti di ogni genere, carte celesti, la maggior parte delle quali disegnate da mio zio, astrolabi, libri.
Era talmente disordinato che molti di essi si trovavano sul pavimento.
Quando uno di quei giorni vi entrai ne raccolsi uno, il titolo recitava “De revolutionibus orbium coelestium” , feci per aprirlo quando lui spuntò, da non so dove, e mi strappò quasi con violenza il libro dalle mani. Rimasi parecchio sconvolta da quel gesto e dall’espressione di collera che aveva sul viso.
Non devi mai più entrare nel mio ufficio senza il mio permesso!” aveva detto freddamente e con una calcolata calma. Fosse stato per lui, probabilmente mi avrebbe buttata fuori dalla finestra.
Fatto sta che quell’episodio mi aveva parecchio incuriosita, quindi  continuavo incessantemente a rifletterci sopra, incapace di decidere se parlare dell’accaduto con mio zio o meno.
E così passavo le prime ore della notte su quella collina persa nel blu dell’universo a interrogare ininterrottamente Loro, senza tuttavia ricevere mai una risposta.
Una sera senza luna chiusi gli occhi e desiderai, desiderai con tutto il cuore di essere lontana da quel posto, non solo nello spazio, ma anche nel tempo.
 
La mattina seguente decisi di andare dallo zio. Il suo studio era molto più ordinato di quello di Johannes , e lui stava chino su una mappa stellare che esaminava con estrema attenzione.
“Cha fai zio Tycho?” chiesi curiosa, avvicinandomi.
Lui mi sorrise, evidentemente felice di vedermi.
“Mettevo ordine tra queste vecchie carte!”.
“Cosa rappresentano?”. Sorrise amareggiato.
“Siediti Cassidy, voglio raccontarti una storia, una storia che inizia prima che tu nascessi!”
Incuriosita presi posto nella sedia davanti alla sua e lui iniziò a raccontare.
“Trent’anni fa nel cielo accadde una cosa alquanto strana. Improvvisamente nella costellazione di Callisto comparve una stella. Ero convinto che lo fosse perché non si muoveva rispetto alla volta celeste. La studiai per due anni, ininterrottamente. Era diventata la mia ossessione! Non mangiavo il giorno e non dormivo la notte, ogni mia energia era concentrata a risolvere quel mistero, quella stella la chiamai Cassidy!”
Sbarrai gli occhi, stavo per aprire la bocca per porgli una domanda, ma con un cenno della mano mi fece tacere e continuò il suo racconto.
“Poi dopo due anni essa sparì, così come era apparsa, inspiegabilmente, da un momento all’altro! Amareggiato mi chiusi al mondo per molto tempo, studiai a fondo, creai un modello di movimento dei corpi celesti e dei pianeti mai visto prima, né prospettato nelle ipotesi di Tolomeo, né in quelle eretiche di Copernico, tutto per cercare di spiegarel’esistenza di quella dannata stella. Tua madre rimase talmente impressionata da tale storia che decise di darti questo nome. Cassidy!”.
Io, dal canto mio, ascoltavo rapita la storia, impaziente che andasse avanti.
“Queste sono le carte astronomiche prodotte in quegli anni!” precisò porgendomele affinchè io potessi guardarle. Il gesto mi fece sorridere, sapeva che non avrei potuto capirci niente in tutti quegli strani disegni, ma aveva voluto rendermi ugualmente partecipe, a differenza di come si sarebbe comportato Johannes.
“Un’altra stella è apparsa due mesi fa nel cielo, così come aveva fatto Cassidy a suo tempo. Per questo ho chiesto a Johannes, conoscendo la sua buona fama di astrologo, di aiutarmi a comprendere. Altrimenti sarei impazzito. Ma siamo sempre al punto di partenza, ovvero non sappiamo niente. E Johannes mi sembra così assente e poco collaborativo!”.
Per la prima volta vidi io zio in uno stato d’animo che poteva avvicinarsi molto a quello della depressione. Si prese la testa tra le mani e rimase immobile per alcune decine di secondi, approfittai del silenzio per introdurgli il motivo della mia visita.
“Zio nell’ufficio di Johannes ho trovato un libro, De revolutionibus orbium coelestium… lui non voleva farmelo vedere quel libro! Così mi sono incuriosita e ho pensato di chiedertelo!”.
Lo zio tirò su velocemente il capo e notai con dispiacere un’espressione di paura nei suoi occhi blu come i miei.
“Hai detto De revolutionibus orbium coelestium??”.
Annuii senza comprendere quale fosse la ragione del suo orrore a sentire tale libro.
“Ommiodio! Siamo in pericolo. L’inquisizione! Se trovano quel libro in casa nostra ci daranno degli eretici!”.
“Perché zio ? Perché?” chiesi con una leggera punta d’ansia nella voce.
“Perché quello è il libro scritto da Copernico! È stato messo all’indice! Siamo in pericolo!” quasi sudava.
“Zio, sono sicura che Johannes avrà delle buone ragioni per tenere un libro così pericoloso con sé, no?”
“Cassidy…” disse con foga “… i nostri studi si limitano alle stelle che appaiono e scompaiono, se lui possiede quel libro lo fa per degli studi, studi non attinenti al motivo per cui lo pago!”.
La paura stava lasciando il posto alla rabbia per essere stato raggirato. Si alzò di scatto e si precipitò nella stanza di Johannes. Lo sentii poi imprecare, non doveva averlo trovato. Uscii in corridoi per assistere alla scena, ma non appena i due uomini si incontrarono iniziarono a sbraitare l’uno contro l’altro, io ebbi un’idea.
Volevo dare una sbirciatina all’ufficio del signor Johannes Kepler, al quale lo zio aveva offerto un tetto, uno stipendio e una moglie, e che lo stava così meschinamente tradendo.
Quando entrai la stanza si trovava nelle stesse condizioni di alcuni giorni prima. Il libro di Copernico era sparito, nel tentativo di trovarlo, aprii il grosso armadio che si trovava accanto alla finestra. All’interno vi era solo cartaccia e con mia grande sorpresa un bacile di pietra. Al suo interno c’era un liquido denso e argentato, a dir poco bellissimo. Rimasi ancora più affascinata quando vidi che la mia immagine si rifletteva meglio in tale liquido piuttosto che nello specchio logoro che avevo nella mia stanza. Sul bacile vi era la seguente incisione:
L’etere prima di esser nulla.
In quel momento ricordai quello che mi aveva detto mio zio qualche anno prima su tale strana sostanza.
 
Ricordai che, affettuoso, mi aveva fatta sedere sulle sue ginocchia e aveva iniziato dicendo “L’etere è il quinto elemento! Lo vedi il sole Cassidy?”.
“Sì!” avevo risposto con vocetta da bambina.
“Come fa la luce a raggiungere la terra? Non può propagarsi nel vuoto!” aveva continuato contento di raccontarmi quella storia.
“Nooo…” avevo fatto eco io.
Sorrise “Infatti! Quindi qualcosa deve riempire lo spazio tra terra e sole, e deve essere un materiale, rigido ed elastico al tempo stesso! L’etere!”.
“Ooooo!” avevo esclamato, senza in realtà aver capito molto.
“Ma c’è anche una leggenda …!” aveva continuato sogghignando, sapendo che così avrebbe attirato di più la mia attenzione.
“Leggenda?” avevo chiesto sempre più affascinata.
“Eh si” mi sorrise “Si dice che l’Etere possa essere sintetizzato dalla polvere di stelle!”.
“Polvere di stelle??” avevo chiesto immaginando quei fantastici puntini luminosi disgregarsi fino a diventare polvere.
“E sai da dove viene?”. Scossi la testa per negare.
Altro sorriso. “Dai figli di stelle!”.
“E chi sono?” avevo domandato curiosa.
“Tutto ciò che viene dal cielo, in realtà. Meteoriti o stelle”.
“Oooo le stelle possono cadere?” dissi iniziando a desiderarne una.
“Ahahah,quando una stella muore, fa cadere la sua essenza, l’Etere che la compone, che una volta qui ha il potere di creare la vita. Nasceranno così esseri umani che avranno dentro di loro l’essenza delle stelle, l’Etere, e da loro si potrà prelevare la polvere di stelle!”. Sorrise felice e mi strinse forte a sé. Mi aveva sempre adorata.
“Uccidendoli?” chiesi rabbrividendo.
“Ahahha nono, non è necessario, più un figlio di stelle ti è vicino e più tiene a te, più hai a disposizione la sua polvere … ma piccina, sono tutte leggende …”
“Ma non c’è un po’ di verità?” avevo chiesto speranzosa. Dopotutto volevo una stella!
“Non lo so!” ammise sincero “Lo sto studiando!”. E così dicendo mi fece vedere quattro grossi tomi che parlavano di questo argomento.
 
Capii all’istante che Johannes ce l’aveva fatta! Aveva sintetizzato l’etere, il quinto elemento che riempiva tutto l’universo, ma non l’aveva detto a mio zio, si era tenuto il segreto per sé.  Aveva utilizzato i risultati degli studi di Tycho Brahe solo per raggiungere lui stesso la conoscenza. Rimpiansi ancora una volta di essergli promessa sposa.
Intanto il dolce liquido argentato sembrava chiamarmi, tirarmi verso di esso, mi voleva con sé. Mossa da questa grande tentazione toccai la magica sostanza con un dito.
In una frazione di secondo percepii il mio corpo che si contraeva esageratamente, e veniva risucchiato.
Poi il buio.
 
Mi risvegliai secoli dopo.

Ecco terminato anche il secondo capitolo! 
Fatemi sapere cosa ne pensate!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
A presto!
Daisy Pearl!

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Capitolo 3
*** The Present -- 1 ***



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Catapultata lontano …
… in un mondo che non mi appartiene …
… pieno di persone sconosciute …
… ma che vivono sotto lo stesso cielo di casa mia …
… fratelli di stelle …
… ad una stella era stato dato il mio nome …
… quindi anche fratelli miei.
 

Mi sentii spinta verso l’alto con una grande forza. La testa girava vorticosamente senza che io riuscissi davvero a capire perché. La sensazione di nausea si impossessò di me. Avevo gli occhi serrati, non osavo aprirli, ma dovevo farlo, ne sentivo l’impulso, anche perché percepivo che mi stavo innalzando, lo sapevo, stavo raggiungendo Loro.
Li spalancai  non appena la sensazione di volare finì. Avevo ragione! Intorno a me c’erano tante stelle, grandi e piccole, mediamente della dimensione del palmo di una mano. Strano, dal basso erano così piccine da sembrare dei puntini e pulsavano così tanto. Da vicino esse invece non possedevano il loro caratteristico tremolio, erano fisse.
Improvvisamente ne vidi due avvicinarsi a me con grande velocità.
Rimasi paralizzata.  Temevo che mi sarebbero arrivate addosso. Volevo che mi arrivassero addosso, avrei potuto toccarle, chissà che consistenza avrebbero potuto avere. Avrei soddisfatto una dei miei tanti desideri.
Intanto il loro moto verso di me venne accompagnato da uno strano suono, simile a quello di una tromba.
Sorrisi gioiosa, mio zio non mi avrebbe mai creduta se gli avessi detto che buffo suono facevano le stelle.
Ormai, completamente stregata, avevo preso la mia decisione, volevo toccarle! Protesi le braccia davanti a me in modo da accoglierle prontamente non appena fossero state abbastanza vicine.
Mancava poco…
Improvvisamente qualcosa o qualcuno di molto forte, arrivandomi dal lato, mi atterrò, battei la testa su qualcosa di duro. Iniziai a sentire delle voci. Voci di astri?
 
Aprii gli occhi piano. Il capo mi faceva un gran male e mi sentivo leggermente stordita. Cercai di mettere a fuoco l’ambiente circostante, dovevo ritrovare le mie stelle, ma non ci riuscii, in compenso vidi tante sagome. Presa dal panico iniziai a vedere una moltitudine di puntini neri.
“No! Non di nuovo!” esclamò una voce maschile.
Mentre stavo per svenire, due forti braccia mi cinsero e bloccarono la mia caduta verso il suolo.
Tutto il mio campo visivo era dominato da un paio di meravigliose stelle. Non erano delle stelle comuni, eranoverdi.
Bellissime.
Calde e fredde insieme. Gioiose e preoccupate.
“Riesci a sentirmi?” chiesero le stelle con la stessa voce maschile che avevo sentito poco prima.
Esse si allontanarono da me. Mugugnai, non le volevo lontane. Ma tale movimento allargò il mio campo visivo, e scoprii che quelle stelle appartenevano ad un ragazzo bellissimo. Aveva la mascella squadrata e la carnagione olivastra. I capelli erano corti e neri.
Degno di quegli occhi che brillavano di luce propria!
“Sì!” risposi ancora abbagliata da quella visione.
Mi guardai attorno. Mi spaventai. C’erano tantissime persone attorno a noi. Tutte mi guardavano incuriosite e bisbigliavano tra di loro. Ma la cosa più strana era com’erano vestiti. Avevano tutti i pantaloni, comprese le donne. Particolare poco comune dalle mie parti. E al posto dei mantelli che io ero solita usare per ripararmi dal freddo avevano delle strane coperte con le maniche. Alcuni sul viso portavano delle lenti come quelle d’ingrandimento che lo zio mi aveva fatto vedere, altri degli strani copricapo. Lì seduta dov’ero indietreggiai intimorita. Chi erano quelle persone? Cosa volevano da me?
Il ragazzo dagli occhi verdi si alzò in piedi e si rivolse alla folla “Andate via, via! Non c’è nulla da vedere!”.
Sospirai riconoscente. Era un angelo, senz’ombra di dubbio.
Peccato che nessuno sembrasse intenzionato a muoversi minimamente da lì. Così lui si riavvicinò a me, e mi abbracciò con fare protettivo. Non ebbi la forza di sciogliere quell’abbraccio che sapeva così tanto di casa.
“Stai tranquilla, tra poco arriverà l’ambulanza!”.
Sbarrai gli occhi e iniziai a tremare come una foglia “Ambuchè?”. Chiesi.
“Ma tu tremi!” disse preoccupato e si tolse la sua mantella strana per coprirmi. Gli sorrisi un po’ timorosa, ma senz’ombra di dubbio rincuorata da quel comportamento così gentile, che nessuno, accetto un corteggiatore, avrebbe mai avuto con una donna dove abitavo io.
Chissà dov’ero. Stavo per porre la domanda al giovane quando un uomo barbuto si avvicinò a me “Ommioddio! Sta bene signorina?”, annuii perplessa. Perché erano tutti così preoccupati e gentili? E chi era quella gente?
“Agente deve credermi!” disse l’uomo parlando con un signore con una strana uniforme blu che teneva in mano un taccuino.
“E’ saltata fuori dal nulla! Le ho clacsonato, ma lei non si muoveva!” continuò “Non ho frenato più di tanto perché chiunque sarebbe corso via vedendosi arrivare un grosso camion addosso!”.
“Ma non lei!” affermò l’uomo in uniforme.
“Era in uno stato di shock!” affermò il ragazzo.
“E lei sarebbe?” gli domandò l’uomo in uniforme sprezzante.
A rispondergli fu l’uomo barbuto “Lui è l’altro pazzo! Quello che è saltato fuori dal nulla e ha salvato la ragazza! Agente deve credermi, lei non si muoveva, io alla fine per evitarli entrambi ho sterzato, ma non pensavo che avrei rotto una vetrina! C’era del ghiaccio!”.
Guardai alle sue spalle e vidi uno strano macchinario conficcato in una grande entrata. Per terra dei frammenti di vetro.
“Non può farmi pagare i danni!” si lamentò il barbuto con l’uomo chiamato Agente.
“Questo lo vedremo” rispose Agente.
Non mi perdevo nemmeno una battuta tra i due. Anche se mi sentivo sempre più insicura e spaventata. Non osavo parlare.
Si sentii un suono molto acuto che si stava avvicinando a noi.
“Tranquilla …” mi sussurrò all’orecchio il ragazzo che a quanto pare mi aveva salvata dal macchinario distrutto “L’ambulanza è qui!”.
Sbarrai gli occhi terrorizzata. Cos’era un’ambulanza? Se si fosse trattato di quello strano carro con le luci blu lampeggianti che era appena arrivato, ciò non avrebbe significato nulla di buono. Sicuramente si dovevano essere accorti che venivo da lontano, che ero una straniera, doveva essere per quello che mi guardavano così malamente. Volevano condannarmi, soprattutto perché una donna, vestita in abiti da camera per strada significava solo una cosa: meretrice.
Un uomo scese dal carro e mi si avvicinò.
“Ce la fa ad alzarsi signorina?” per tutta risposta tremai, sapevo che mi avrebbero condotta in una qualche cella buia o avrebbero approfittato di me.
“Ma non vede che è sconvolta?” gli diede contro il ragazzo.
Detto ciò si chinò e pose un braccio sotto le mie ginocchia, e l’altro sotto la mia schiena, e senza il minimo sforzo mi sollevò tenendomi stretta a lui. Chiusi gli occhi, quello poteva essere l’ultimo momento decente della mia vita quindi tentai di godermelo il più possibile. Il ragazzo con gli occhi smeraldo era muscoloso, lo sentivo e il respiro, che arrivava dolce tra i miei capelli, sapeva di sera. Sera d’estate! Il suo ritmo mi trasmetteva una sensazione di pace e di tranquillità assoluta. Paradisiaca.
Fece qualche passo poi mi adagiò su qualcosa di morbido.
Il terrore si impadronì nuovamente di me ed iniziai a guardare convulsamente a destra e a sinistra quando sentii qualcosa di appuntito che mi entrava nel braccio. Mi voltai per capire. Era un ago collegato ad un recipiente contenete del liquido che stava lentamente entrando in me.
“Era proprio necessario?” sbottò il ragazzo.
“E’ solo un sedativo! La farà stare più tranquilla, è sotto shock!”.
Mentre l’uomo che aveva appena parlato col ragazzo mi mise una benda nera sul braccio, Agente si avvicinò a occhi-stellati “Vuole seguirmi un attimo prego? Dovrei farle alcune domande …”.
“Certamente” rispose lui. Lanciò un ultimo sguardo a me che con gli occhi cercavo di implorarlo a non andarsene e seguì Agente.
Mi voltai verso la benda e notai con stupore che essa si stava gonfiando e mi stava stringendo il braccio ancora di più, cercai di divincolarmi, ma non avevo abbastanza  forze. Mi avrebbero uccisa?
Continuavo a temerlo.
Ben presto la stretta sul braccio diminuì e trassi un sospiro di sollievo. Poi mi puntarono una luce negli occhi, era davvero fastidiosa. Tentai di ribellarmi. Che strane torture erano quelle?
Pian piano mi tornarono le energie.
“Si sieda!” mi ordinarono ed io obbedii per non far precipitare la situazione. A quel punto non riuscii più a trattenere le lacrime. Troppe emozioni, troppe paure. In quel momento rimpiansi di essere entrata nella stanza di Johannes e di aver toccato l’Etere.  Era stata quella strana sostanza ad avermi trasportata a chilometri da casa!
Piansi amaramente.
Mi tirarono un martello piccolo sul ginocchio. La mia gamba si mosse automaticamente e le miei lacrime erano sempre più copiose. La tortura rincominciava. Quando lo sguardo mi si appannò, le Sue braccia mi cinsero dolcemente, cullandomi. Sospirai, come potevo un attimo prima essere in preda al panico e l’attimo dopo sentirmi così al sicuro?
“Tranquilla …” mi sussurrò “Stanno solo controllando che tu non abbia niente di rotto?”.
Tirai su col naso.
“N-n-non mi v-vogliono fare del m-male?” chiesi impercettibilmente tra i singhiozzi.
Sorrise così vicino al mio viso.
“Assolutamente no!”.
Forzai un sorriso, ma non ero molto certa di quello che quel bel ragazzo mi diceva.
“Come ti chiami?” chiese sempre gioviale. Il suo viso era una visione così tranquillizzante.
“C-cassidy”.
“Che bel nome!” esclamò “Io sono Eric, il nome non sarà bello come il tuo ma non è malaccio!”.
Gli sorrisi intimidita. Poi, con mio grande dispiacere, si allontanò e andò dal torturatore.
“A lei devo lasciare le generalità?” gli domandò.
“Sì, ma può farlo solo se è parente della vittima!”.
“Oh, è mia cugina Cassidy Stevenson. Viene dagli Stati Uniti e non capisce niente di quello che stiamo dicendo! Mi dà il permesso di portarla a casa?”.
“Mi serve un documento che attesti la vostra parentela!” ribattè lui.
“Ho solo la mia carta d’identità con me. Basterà lo stesso cognome?”
“Se la ragazza non ha documenti non credo proprio, sarà portata in centrale”.
Centrale doveva essere il nome delle loro prigioni. Rabbrividii.
“Come vuole!”. Disse il ragazzo.
Le si avvicinò e mi posò le labbra sull’orecchio facendomi rabbrividire.
“Pronta?” chiese.
Lo guardai interrogativa.
“Tieniti!”. Mi prese nuovamente in braccio e io mi strinsi forte a lui mentre ridendo come un pazzo correva a tutta velocità lontano da lì.
Il suo respiro mi riempiva i polmoni e sembrava che mi stesse facendo rinascere. Rinascere da quella brutta esperienza.
Ci fermammo in un vicolo buio poco dopo. Lui riprese fiato e mi fece sedere a terra.
“Emozionante eh?”
Tremai ancora una volta, incerta se fidarmi o meno di lui. Si accucciò per essere all’altezza dei miei occhi.
“Si può sapere chi sei?”
Alzai gli occhi al cielo di fronte a quella domanda. Magari le stelle avrebbero potuto suggerirmi la risposta giusta. Nel cielo non se ne vedevano tante, ma riconobbi la stelle polare. Sorrisi. Queste persone vivevano sotto il mio stesso cielo… erano, dunque, fratelli di stelle.
 
 
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Ciao ragazze!! Allora non sono molto convinta su questo capitolo quindi vi chiedo se potete darmi un vostro parere! Ve ne sarei molto grata.
Grazie a chi è arrivato a leggere fino a qui, e grazie in particolare a Shadowstar e AlyDragneel per aver recensito i precedenti due capitoli! È molto importante per me!
Che dire? Bè Agente in realtà è un agente di polizia, ma Cassidy pensa che sia il suo nome, le due stelle che vanno verso di lei sono i fari del camion e il suono è il clacson. Le torture sono le visite mediche!
Spero di avervi fatte sorridere con l' ingenuità di Cassidy! Alla prossima!

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Capitolo 4
*** The Present -- 2 ***



Stelle, stelle, stelle …
… stelle in cielo e in terra …
… stelle nel cuore e nella mente …
… stelle negli occhi …
… i suoi occhi!
 



“Dove sono?” sussurrai io in tutta risposta.
“Milano! Bella città non trovi? Piena di gente curiosa!”
Milano. Non mi diceva niente.
“Ma tu che ci fai vestita così?” domandò lui indicandomi.
“Sei andata a qualche festa a tema sul sedicesimo o diciasettesimo secolo?” continuò sorridendomi amichevolmente.
Lo guardai a bocca aperta, mi chiedevo se facesse il finto tonto, o lo fosse realmente.
 “Da me TUTTI si vestono così!”. Ribattei sdegnata. Chi era quel ragazzo che osava giudicare? Uno che vestiva, senz’ombra di dubbio, in un modo più starno del mio.
“Ahahah seriamente?” rise coprendosi con una mano la bocca mentre con l’altra si teneva la pancia. “Sembri una dama ottocentesca!!! Nel ventunesimo secolo ce ne vuole di coraggio per andare in giro vestiti così!!!”.
Sbarrai gli occhi incredula e poi domandai con voce insolitamente acuta “Ventunesimo secolo?”.
“Che c’è?” chiese con una punta di preoccupazione “E’ ovvio no? Sembri sconvolta!”.
“Ovvio…” ripetei in automatico.
Ma non era ovvio per niente.
Come poteva pensare che fosse ovvio??
 
Mentre, sicuri di non essere più seguiti da Agente, attraversavamo la buia città lui continuava a riempirmi di domande. Era un ragazzo sveglio, non gli era affatto sfuggito il mio stupore quando mi aveva rivelato che non solo ero lontana nello spazio da casa mia, ma anche nel tempo …
Io, de parte mia, reagivo a quell’interrogatorio rimanendo in silenzio, non avevo ancora deciso se potevo meno fidarmi di lui. Anche se la sua calda mano nella mia, che mi guidava per quelle vie nuove e sconosciute, mi trasmetteva molta sicurezza.
Ero talmente concentrata su quel contatto da non prestare attenzione al paesaggio che mi circondava.
Improvvisamente si fermò e mi spinse contro il muro vicino, bruscamente e allo stesso tempo molto dolcemente. Avvicinò il viso al mio. Che intenzioni aveva? Io non ero una sgualdrina, che avesse capito male?
“Da dove vieni?” sussurrò. Era così vicino che sentivo ancora una volta quel suo meraviglioso respiro che sapeva di cielo. Avevo paura. Il suo odore mi attirava, inevitabilmente. Più lo sentivo più la sua presenza era vitale.
Chiusi gli occhi per salvarmi dalla bellissima visione quale erano i suoi occhi. Lo feci per proteggermi, per un attimo immaginai di essere ancora a casa, promessa sposa a Johannes e non in balia di un bellissimo sconosciuto.
La mia bocca era serrata.
“So quello che ho visto, non sono pazzo!” continuò lui, quasi minaccioso, per la prima volta.
Mi limitai  ad abbassare la testa  sempre ad occhi chiusi. Non gli dovevo niente tanto meno delle spiegazioni.
Le sue lunghe dita afferrarono dolcemente, ma in modo deciso, il mio mento in modo che lo guardassi. Avevo paura dei suoi nuovi modi, di quel suo essere autoritario, ma anche farlo senza mancarmi di rispetto. Ma cosa voleva quello sconosciuto da me? Riaprii gli occhi. Mi persi nei suoi, così dolci, così profondi e così luminosi. Non so come ma trovai il coraggio di ribattere.
“E cosa avete visto?” chiesi in un sussurro. Temevo la sua risposta.
“Una bellissima ragazza, che vestita come una d’altri tempi, è comparsa dal nulla in mezzo alla strada e se un bel cavaliere non fosse intervenuto,  sarebbe stata spiaccicata da un enorme camion. Voglio sapere se quella ragazza, alla quale per inciso ho salvato anche la vita, sia una perfetta squilibrato o no, dal momento che mi pare logico offrirle un letto dove dormire finchè non mi rivelerà da dove viene”.
Sbuffai. Che bisogno c’era di parlare in terza persona. Non sapevo se lo stesse facendo per confondermi o per scherzare.
“Non sono pazza, se è questo che volete sapere. Il pazzo siete voi! Come vi salata in mente che io sia saltata fuori dal nulla?” negare, negare e ancora negare. Se il silenzio non era servito, almeno questo poteva essere un po’ più utile. O almeno lo speravo.
“Ah-ah” finse di ridere “Io SO quello che ho visto, non mi convincerai di altro! E poi cos’è sta storia che continui a darmi del voi? Tu non me la racconti giusta!”
Alzai la testa fieramente.
“E’ un segno di rispetto dalle mie parti!” affermai.
“O di sottomissione” Sibilò contrariato. Era evidente che sapeva che mentivo, ma come potevo raccontargli la verità? Mi avrebbe mai creduta?
“Oh al diavolo!” imprecò decisamente infastidito “Non vuoi raccontarmi niente? Fantastico!”.
Con decisione mi riprese la mano finchè non arrivammo davanti a un gran palazzo.
Rimasi meravigliata. Dovunque fossi finita erano tutti ricchi. I palazzi sorgevano da tutte le parti, maestosi e belli. Lui tirò fuori delle chiavi e aprì il portone.
 L’interno era alquanto strano. Niente ingresso maestoso, con lampadari giganteschi di cristallo, niente scale con tappeti rossi e niente domestiche che venivano a dare il bentornato al padrone di casa. Solo un’austera stanza con una pianticella e delle scale.
Salimmo per tre piani, e stupita mi chiesi come mai non oltrepassavamo nessuna delle porte che incontravamo sul nostro tragitto.
Poi finalmente estrasse un’altra chiave ed entrò.
Buio. Mi aspettavo qualche candela o qualche lampada ad illuminare la stanza dove avrei passato la notte ma niente. Poi improvvisamente una luce fortissima illuminò tutto. fui costretta a socchiudere le palpebre. Dopo che mi abituai ne guardai la fonte. Non potei fare a meno di rimanerne impressionata. Una piccola stella, delle dimensioni di un pugno pendeva dal soffitto. Non riuscii a trattenermi.
“Voi usate le stelle …!”.
Il ragazzo, Eric, si rilassò e rise.
“No. È una luce!”.
“Infatti! E’ una stella!”.
“Non tutto ciò che luccica è una stella!” Poi sbarrò gli occhi come se avesse avuto un intuizione geniale.
“Ami molto le stelle, non è così?”. Annuii vigorosamente.
“Prima, poco dopo la tua comparsa …” rabbrividii a queste parole “… hai proteso le mani avanti, perché?”.
Silenzio.
“Era perché credevi che ti stessero venendo incontro due belle stelle, e inconsciamente le volevi abbracciare!”. Rise di gusto.
Io mi sentivo decisamente in imbarazzo per essere sembrata una stupida, talmente tanto da farlo ridere in quel  modo.
“Erano dei fari, fatti di lampadine. Come questa!” disse come se fosse la cosa più ovvia del mondo indicandomi la stella sul soffitto .
“Le stelle invece stanno là fuori, nel cielo, sono piccolissimissime, ma noi le vediamo così perché sono molto lontane! In realtà sono tremendamente grandi e tremendamente calde. Non potresti nemmeno avvicinarti tanto da abbracciarle, ti scioglieresti!”
Sbarrai gli occhi. Questa mi era nuova.
Risi di fronte all’assurdità di quell’affermazione  “Sono fatte di fuoco?” domandai.
“Sì, possiamo dire così!” sorrise.
“Dubito!”
“E di cosa sarebbero fatte sentiamo!”.
“Oh. Non lo so, ma sicuramente non di qualcosa che possa fare del male, come il fuoco, forse di polvere di stelle!”.
“Polvere di stelle?” fu lui a ridere quella volta “Stai scherzando vero? NON ESITE LA POLVERE DI STELLE!” esclamò sicuro.
“E tu che ne sai?” domandai un po’ indispettita dl suo comportamento.
“Sicuramente ne so più di te!” ribattè sorridendo. Si stava divertendo un mondo.
Abbozzai un sorriso anche io. Insomma quel bellissimo ragazzo mi aveva salvato la vita! Almeno dovevo essere educata. Cosa mi era preso. Non avevo mai risposto in quel modo ad un uomo!
Decisi di cambiare argomento.
“ Prima io ho visto così poche stelle nel cielo! Non ditemi che le avete prese tutte per fare queste!” affermai convinta indicando l’aggeggio che illuminava la stanza.
Rise di nuovo. Aveva una risata così limpida e bella. E io dovevo sembrare una vera idiota a stare lì a guardarlo stupita, incosciente di cosa trovasse di così divertente nelle mie parole.
“Ahah no! Le stelle le abbiamo lasciate lì dove sono sempre state. E’ solo che a Milano vederle è alquanto difficile, e con tutte queste per strada” disse indicando quella che lui chiamava lampadina “E’ impossibile in qualsiasi altro paese!”.
“Oscurano la loro luce!” azzardai ammirata. Chi erano queste persone che avevano creato qualcosa capace di oscurare ciò che di più bello avevamo. Dei?
“Ma non solo le luci ci impediscono di vedere il cielo in modo chiaro. C’è anche lo smog!”
“Smog?” che lingua parlava? Latino?
“Sì! Non sai cos’è lo smog?”.
“Sì che lo so!” ribattei orgogliosa.
“E che cos’è?”.
“Uff… non lo so!” ammisi sentendomi una sciocca.
“E’ una sorta di nebbiolina, sì chiamiamola così. Ed è prodotta dalle macchine, ad esempio.”
“Macchine?” troppi termini nuovi, sembrava di star imparando una nuova lingua.
“Non sai cos’è una macchina?”
Scossi la testa.
“Beh, hai presente il camion che prima ti voleva investire? Ecco quello ad esempio è una grande macchina!”.
Quante informazioni! Annuii elaborandole tutte.
Mi condusse su un morbido divano. Mi sedetti. Mi prese le mani tra le sue ponendosi accanto a me.
“Te ne faccio un’altra di domanda, ti prego rispondimi …” implorò con sguardo sincero.
“Vieni da molto lontano vero?” continuò.
“Sì”.
“Quanto?”.
“Molto!”
“Un’altra epoca?”.
Sospirai rassegnata “Forse”. Lo prese per un sì.
“Secolo?”
“Appena diciassettesimo. 1600.” Sussurrai.
Sorrise. “Allora ti do il benvenuto ufficiale nel 2012!”.
2012?? Feci un rapido calcolo mentale. 412 anni dopo! Sbiancai.
“Come sei giunta qua?”.
“Non lo so!” in parte era la verità, non sapevo cosa fosse l’Etere di preciso e se fosse stato quello la causa del mio viaggio.
“Ok. Hai fame, straniera?” chiese sorridendomi amichevolmente. Scossi la testa.
“Allora adesso andiamo a dormire, va bene?”. Annuii nuovamente. Portò un paio di coperte e una maglietta gigante che mi disse di indossare.
“Le signorine per bene non si spogliano davanti agli uomini!” esclamai indignata dato che lui non sembrava voler lasciare la stanza.
“Ah! Sì scusami!” esclamò leggermente in imbarazzo. Poi se ne andò.
La maglietta che mi era sembrata così gigante in realtà mi copriva solo fino a metà coscia. Cercai di allungarmela il più possibile. Non avevo mai indossato qualcosa di così corto!
“Fatto?” domandò lui con quella sua bella voce. Si precipitò nella stanza senza nemmeno attendere una mia risposta. Si bloccò.
“Caspita! Non avrei mai pensato che quell’orrenda maglietta potesse starti così bene!” constatò con voce più roca prolungando lo sguardo lanciato alle mie gambe quasi nude. Cercai inutilmente di coprirmi. Era piuttosto sconveniente farsi vedere conciata in quel modo da un uomo.
Lui ridacchiò del mio vano tentativo.
“Vuoi qualcosa di più lungo?” chiese gentilmente.
Scossi la testa. Non volevo approfittare della sua ospitalità. E poi gradivo molto il suo sguardo esploratore. Anche se tutta la situazione era decisamente sconveniente! Insomma cosa mi passava per la testa?
Mi piaceva il suo sguardo? Mi stavo lanciando a capofitto negli abissi della perdizione.
Così per non pensai agii.
Feci per sdraiarmi sul divano, quando mi bloccò.
“Agli ospiti si dà il proprio letto!” esclamò porgendomi la mano.
La strinsi nella mia e dolcemente mi guidò fino alla sua camera da letto.
Mi fece sdraiare, mi rimboccò le coperte e mi diede un dolce bacio sulla guancia. Sorrise and un palmo dalle mie labbra. Provavo attrazione verso esse. Inspiegabilmente.
“Buona notte stellina venuta da lontano!”.
“Buonanotte Eric!”. Gioì nel sentirsi chiamare per nome. “Grazie!” aggiunsi. Mi diede un altro bacio sulla fronte e sparì spegnendo la luce.
Quel piccolo contatto generò la tempesta dentro di me. Mi sentii arrossire fino alla punta delle orecchie, per fortuna aveva già spento la luce. Sospirai. Così non si poteva proprio continuare!
Dovevo darmi una regolata.
Mi girai a pancia in giù sperando di riuscire a prender sonno dopo una giornata del genere.
Sorrisi ripensando a quella magia che erano i suoi occhi.
Mi addormentai in meno di un secondo.
_________________________________________________________________________________________________-

 
Spero vi siano piaciuti questi primi momenti in cui Cassidy ed Eric stanno insieme!!
Ringrazio di cuore AlyDragneel e Shadowstar per aver recensito gli scorsi capitoli e aver messo a mia storia tra le preferite!
Ringrazio anche chi l’ha messa tra le seguite o ricordate. Non so come farei senza tutti voi!!
Commentate!!!
Daisy

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Capitolo 5
*** The Present -- 3 ***


Utilizzo …
… ecco cosa fanno le persone senza scrupoli  …
… utilizzano gli altri per creare la propria fama …
… ed io chiedo vendetta …
… quel che è giusto è giusto!

 

 
 
Un raggio di luce attraversò le mie palpebre chiuse. Aprii gli occhi, stiracchiandomi in quel letto morbido.
Ripensai allo strano sogno che avevo fatto quella notte.
Mi trovavo lontano da casa, tante persone mi circondavano e io avevo paura.
Poi ricordavo due splendidi occhi verdi.
Sorrisi sperando di rivederli quando avrei richiuso gli occhi.
Feci per alzarmi quando la realtà mi colpì come un pugno nello stomaco. Quella non era la mia stanza!
Il mio letto era a baldacchino, avevo uno specchio logoro e un’enorme lampadario pendeva dal soffitto.
Quella non aveva lampadari né baldacchini. Nella penombra scorsi oggetti strani, non osavo nemmeno pensare cosa fossero.
L’avventura di quella notte non era stata un sogno. Sospirai.
Guardandomi attorno trovai una sedia con sopra degli strani indumenti ed un biglietto. Presi quest’ultimo piuttosto incuriosita.
 
Buon giorno stellina!(sorrisi consapevole di chi fosse il mittente)
Dormito bene? Spero di sì! Scusami! Se stai leggendo questo biglietto significa che non sono ancora tornato!  Mi dispiace! In cucina c’è una specie di armadio argento, aprilo troverai all’interno tutto ciò di cui avrai bisogno per fare colazione. Per quanto riguarda i vestiti, indossali! La gente potrebbe prenderti per pazza se vaiin giro con i tuoi abiti tradizionali :) (cosa significavano due punti seguiti da una parentesi??? Mah sicuramente era un vocabolo dell’epoca, a me totalmente sconosciuto!).
Se ti va di leggere i libri sono sullo scaffale davanti a te (alzai lo sguardo e lo vidi).
A presto! :)
Eric
 
Indossare quegli strani capi non fu un’impresa facile!
I pantaloni non gli avevo mai messi, e poi quelli erano così rigidi e così freddi! Poi sopra c’era una specie di maglietta, ma fatta di qualcosa simile alla lana, ma che non pizzicava sulla pelle.
Tornai nella sua stanza e mi trovai dinnanzi ad uno specchio che prima non avevo notato. Non era lercio come il mio. Mi avvicinai.
Le immagini riflesse al suo interno erano visibili chiaramente, era argentato, sembrava etere.
Lo toccai speranzosa di poter tornare a casa, ma rimasi lì dov’ero.
Delusa mi diressi verso quella che doveva essere la cucina.
Totalmente diversa da quella del mio palazzo, ma ormai c’avevo fatto l’abitudine.
Trovai l’armadio argento e lo aprii. Una folata di gelo mi invase e mi affrettai a richiuderlo. Che stregoneria era mai quella? Mi voleva far morire dal freddo? Bel modo di trattare un’ospite.
Indecisa su come sentirmi decisi di rinunciare alla colazione e di immergermi nella lettura.
Presi un libro grosso. Le scienze naturali.
Lo sfogliai e notai con piacere che era colmo di figure. Poi un particolare attirò la mia attenzione. Un nome scritto in nero marcato. Il testo recitava così: “Approfondimento : Keplero.”.
Sorrisi a causa del’assonanza che aveva quel cognome con quello del mio promesso sposo e mi misi a leggere con nostalgia. Mi mancava casa.
Una serie di dati anagrafici volarono sotto i miei occhi senza che prestassi particolare attenzione alle parole. Il testo parlava di tre leggi. Sfogliai il libro e le trovai alla pagina successiva. Orbite ellittiche, velocità dei pianeti che si modificavano, e poi una formula strana.
Sorrisi, quello era un pazzo. Continuai poi a leggere curiosa della sua vita.
 
Keplero, grazie alle sue leggi passò alla storia (wow era addirittura passato alla storia! Quindi qualcosa di giusto doveva averlo detto!), e fu grazie ai numerosi dati raccolti da Tycho Brahe che riuscì a superare il suo modello.
 
Spalancai gli occhi incredula.
Perplessità.
Incomprensione.
Sbalordimento.
 Rilessi il nome.
TYCHO BRAHE. Girai le pagine indietro alla ricerca del nome, magari il libro parlava anche di lui. E fu così.
Si trattava di un uomo ricco che possedeva numerosi osservatori.
Aveva creato un modello di movimento dei pianeti proprio, che si discostava da quelli preesistenti,  e aveva osservato per due anni una stella comparsa dal nulla. Sbiancai.
Quell’uomo aveva assunto come assistente un noto astrologo dell’epoca Johannes Kepler, Keplero. 1600. Ma dopo un anno era morto.
Morto? 1601. Ormai non avevo più dubbi. Quel Tycho Brahe era mio zio. La stella comparsa dal nulla, il modello di movimento dei pianeti, la ricchezza. Tutto coincideva! Persino le date.
 E quel che è peggio era che mio zio era morto! Quello zio che mi aveva accolta in casa sua, che mi aveva cresciuta, che mi aveva amata come una figlia.
Le lacrime iniziarono ad inondarmi il viso.
Com’era possibile?
Piangevo per una cosa che non era ancora successa, ma che trovandomi avanti nel tempo era già successa.
Piangevo perché adoravo, mio zio, gli volevo un bene dell’anima.
Piangevo perché Kepler, il suo preferito, il suo assistente, il mio promesso sposo era stato meschino. Aveva usato i lunghi studi di mio zio per rendere le sue ipotesi superate e aveva così creato la sua teoria, che era giusta ed era passata alla storia.
Provai un profondo odio per quell’uomo che si voleva infiltrare con numerosi tentacoli nella nostra famiglia, prima con mio zio poi con me. Come si era permesso?
Volevo vendetta.
Sarei tornata indietro, non so come, e avrei avvertito mio zio della persona che aveva accanto. Forse avrei potuto impedire la sua morte. Mi portai le ginocchia al viso e continuai a piangere.
Non so quanto tempo passò quando due forti braccia mi strinsero.
Dolcemente. Comprensive. Valevano più di mille parole.
“Shh shh … non piangere Cassidy. Va tutto bene. Nessuno ti farà del male!”. Disse Eric cullandomi dolcemente. Poi con una mano raccolse il libro che io avevo abbandonato sul pavimento.
“Capisco perché piangi” lo sentii sorridere “Se leggi i miei libri scolastici delle superiori a voglia se c’è da piangere!” ridacchiò della sua battuta, ma io, non avendola capita, piansi ancora più amaramente.
Mi strinse più forte a se e mi fece alzare il viso dalle ginocchia, in modo tale da guardarlo. Era troppo bello. Una visione. Mi aveva salvato la vita, mi aveva dato un posto dove dormire e mi stava abbracciando nel momento più triste della mia vita. Gli dovevo una spiegazione.
“Ho letto di Johannes!” lui sembrò stupito da quel nome così ritentai “Keplero!”.
Gli si illuminò lo sguardo.
“Oh! Non ci avevo pensato! Lo conoscevi?”. Annuii.
“Immagino che anche all’epoca fosse un vero genio!”.
Lo fulminai con lo sguardo. Genio? Poteva anche darsi, ma era anche un vile approfittatore. Sospirai. Mi asciugai le lacrime col dorso della mano e incrociai i suoi occhi verdi.
“Sono Cassidy Brahe, nipote di Tycho Brahe, promessa sposa a Johannes Kepler!” incredula delle mie stesse parole, vidi lo stupore dipingersi sul suo bel viso. Non un accenno di ironia, mi credeva incondizionatamente.
“E Keplero, ha utilizzato le conoscenze di mio zio per affermare che tutti i suoi calcoli erano errati, l’ha reso ridicolo agli occhi della storia!” singhiozzai. Era una questione d’onore! Per noi l’onore era tutto.
“Ommioddio, tu sei Cassidy!” esclamò indicandomi. Non ricordavo di aver letto sul libro di me. Vedendo il mio sguardo interrogativo rispose alla mia tacita domanda.
“Sono Eric Stevenson, studente di astronomia, primo anno. E ho fatto una ricerca su tuo zio. Ho scoperto che aveva chiamato Cassidy la stella apparsa dal nulla nel cielo, e che ne era rimasto affascinato …”.
“Era la sua ossessione!” confermai con nostalgia. Sorrise.
“Curioso, ti hanno dato quel nome, e tu ieri sera sei apparsa a me dal nulla, e io ne sono rimasto totalmente affascinato …”.
Il mio cuore accellerò i battiti. Sentii le guance che prendevano fuoco e la sua presa aumentare mentre il suo sguardo si faceva dolcissimo.
Mi sarei potuta sciogliere come neve al sole. Era la cosa più carina che un uomo mi avesse mai detto.
Le sue labbra si avvicinarono alle mie, pericolosamente.
Non sapevo se fosse giusto o meno.
Non sapevo cosa ne sarebbe stato di me, non avevo alcuna certezza se non che infondo avevo ottenuto quello che volevo.
Ero ad anni di distanza da casa, avevo a portata di mano tutte le conoscenze sull’universo che l’umanità aveva fatto dopo il 1600. Avrei avuto molte risposte. E soprattutto ero tra le braccia dell’essere più angelico e gentile che avessi mai incontrato.
Fu così che decisi. Coprii il poco spazio che separava le nostre labbra.
Le farfalle svolazzavano allegramente nel mio stomaco. La sua bocca era morbida e giocava dolcemente con la mia.
Senza irruenza. Senza impeto.
L’avrei definito casto se il mio corpo non si fosse sentito in quel modo.
Mi sentivo bollire. Ok il bacio poteva essere casto, ma aveva portato il mio corpo a reagire in un modo a me sconosciuto.
Mi avvicinavo a lui senza un motivo razionale, ma solo perché mi sentivo spinta a farlo.
Posai una mano sul suo petto.
Se fosse stato un sogno non avrei MAI voluto svegliarmi.
 
_____________________________________________________________________________________
 
Alloooooooora … prima di tutto secondo me Keplero è stato un gradissimo astronomo! Quindi l’odio di Cassidy non è assolutamente il mio!
Di Tycho Brahe non ne avevo mai sentito parlare finchè non me lo sono trovato da studiare in scienze. Insomma si trattava di un uomo molto ricco, appassionato di stelle che possedeva moltissimi osservatori. Creò un modello di rotazione dei pianeti che era una via di mezzo tra quello copernicano e quello tolemaico.
Osservò per due anni una stella misteriosa comparsa nel cielo, che dopo tale periodo svanì, ma che naturalmente non chiamò Cassidy.
Nell’ultimo anno della sua vita, attratto dalla fama di Keplero come noto astrologo, lo volle come assistente.
Alla sua morte, Keplero, grazie alle numerose osservazioni di Brahe, postulò le sue tre leggi, le prime in grado di spiegare fisicamente il comportamento dei pianeti.
Proprio questo particolare ha risvegliato il mio interesse. Ed ecco che nasce “Between Stars”!!
Spero di non avervi annoiate con le mie note teoriche, ma mi sembravano necessarie!
Fatemi sapere cosa ne pensate!! E’ molto importante per me!
Ringrazio di cuore Swadowdust e Alydragnee!! come farei senza di voi?? 

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Capitolo 6
*** The present -- 4 ***


Esistono giornate che rimangono isolate dal tempo e dallo spazio …
… esistono momenti unici che non vorremmo mai smettere di vivere …
… esistono e vorremmo che fossero infiniti …
… finiscono ma ci lasciano un dolce sapore sulle labbra …
… sapore di fresco, di cielo e di stelle …

 

 
 
Il ricordo di quel casto bacio mi accompagnò per tutta la mattinata, facendomi arrossire ad ogni suo sguardo. Non avevo provato quelle sensazioni con (faticavo anche solo a pensarlo) Johannes. Mai. E mi sembrava meraviglioso. Esse erano meravigliose.
Dopo quel momento idilliaco mi disse che avremmo fatto colazione. Sorrisi riconoscente, ero davvero affamata. Mi guidò fuori dal palazzo tenendomi per mano, e io sorrisi a quel gesto. Da quando non mi sentivo così a posto col mondo? Beh, forse non mi ero mai sentita in quel modo.
Entrammo in una specie di locanda chiamata Roxy Bar che però non aveva nulla a che fare con le locande della mia epoca.
In primo luogo questa era pulita. Poi non c’erano rozzi omoni pronti a prendersi a botte e ubriachi fradici fin dalle prime ore del mattino. Tutti erano seduti comodamente a dei piccoli tavolini e non si abbuffavano a dismisura, si limitavano a bere da piccole tazzine e a mangiare del pane dalle forme strane.
Ci sedemmo anche noi e ben presto arrivò una donna a chiederci cosa volevamo.
“Ti piace il caffè?” chiese Eric rivolto a me. Lo guardai perplessa. Avevo già sentito parlare di caffè, veniva dalle Americhe ma ancora non lo avevo assaggiato.
“Voglio il caffè!” esclamai convinta. Lui sorrise.
“Allora due. E due brioches al cioccolato!”. La donna annuì e si allontanò.
Io mi avvicinai a lui e gli sussurrai “Cos’è una Brioches?”.
“ahahah” rise adorabilmente “Vedi quelle?”  chiese indicando quel pane dalle forme strane che avevo precedentemente notato. Annuì.
“Quella è una Brioches, e quello nelle tazzine e il caffè!” spiegò.
“Mmm e questo posto è …”
“Un bar!” completò “La gente ci viene per mangiare, socializzare, bere … e chi più ne ha ne metta”.
“Bar.” Ripetei assorta. Mi piaceva il nome, suonava bene.
La donna di prima ci portò ciò che avevamo ordinato e con un sorriso disse “Sono 5 euro!”.
“Euro?” chiesi. Intanto Eric aveva tirato fuori dalla tasca un pezzetto di carta di color grigio e lo stava porgendo alla donna. Le ringraziò e se ne andò.
“Servono per pagare!” spiegò lui.
“Oh, noi usiamo monete d’oro e d’argento, non carta, la carta non vale niente!”. Esclamai.
“Anche noi usiamo monete!” e così dicendo estrasse qualche moneta. Le esaminai.
“Buffe!” commentai. Avevano dei disegni molto dettagliati ed alcune di esse arano formate da doppi metalli.
“Ma se avete le monete che valgono qualcosa allora perché usate anche la carta?”.
Mi sorrise dolcemente “Bè perché la carta ha una valore più elevato!” sembrava che si stesse divertendo a darmi delle risposte che per lui, evidentemente erano delle cose ovvie. Il suo buon umore  mi contagiò.
“Ci rinuncio! Qui siete troppo complicati!”.
“Ma sentila, la donnina d’altri tempi che fa la ramanzina al nobiluomo contemporaneo!”.
Sorrisi. Mi divertiva quel ragazzo. E pensare che l’unico uomo che mi aveva mai fatta divertire era stato mio zio.
“Tu al massimo saresti un garzone, mai un nobiluomo!”.
“E tu saresti una grande studiosa di stelle! Avresti fama!” sorrisi.
“Non ho fame! Sto mangiando!” dissi indicando la mia brioches che però era ancora intatta. Lui scoppiò a ridere rumorosamente.
“Ah ah non fame, FAMA!! Saresti conosciuta, famosa!”. Compresi il mio errore e arrossii.
“Dai assaggiala a proposito!”. Disse dando un morso alla sua brioches.
Lo imitai. Quella pietanza era davvero qualcosa di sorprendentemente buono. Il cioccolato mi si scioglieva in bocca. Era ottima!
Sorrisi felice di quella scoperta e sorseggiai il caffè. Ci mancò poco che non lo sputassi. Era così amaro. Lui rise nuovamente di gusto.
“Devi metterci questo!” affermò prendendo una bustina dal piattino sotto la tazza e aprendola rovesciandone il contenuto bianco nel caffè.
“Giralo!” mi intimò. Presi il cucchiaino e girai il liquido.
“Ora assaggialo!”. Feci una smorfia al solo pensiero di riassaggiare quella specie di veleno, ma lo feci ugualmente. Questa volta era meno amaro e decisamente più bevibile, anche se ancora non mi faceva impazzire. Gli sorrisi radiosa e riconoscente. Lui ricambiò. Poi mi si avvicinò pericolosamente.
“Sei sporca qui!” disse pulendomi il bordo delle labbra col suo pollice. Eravamo così vicini.
Quel piccole e semplice contatto mi stordiva. Non sapevo perché.
Quando ci sallontanammo ero rossa come un peperone.
“Ti va di conoscere il mio mondo?” chiese. Annuii con foga.
“Allora vieni con me!” esclamò felice prendendomi per mano e facendomi alzare.
Mi sentivo un ragazzina che vedeva il mondo per la prima volta. Ero entusiasta di poter scoprire tutte quelle novità.
“Dove andiamo?” domandai curiosa.
Lui mi fece scendere delle scale ed arrivammo in un posto strapieno di gente.
“Aspetta!” mi disse precipitandosi verso una scatola attaccata alla parete.
Non ero felice all’idea che mi avesse abbandonata lì, però era anche vero che lo potevo vedere. Notai che mise uno di quei fogli che lui chiamava banconote all’interno di quella scatola e poi ne estrasse sue pezzetti di carta. Tornò da me con un sorriso radioso dipinto sulle labbra
“ti piace stare in mezzo alla gente??” mi domandò premuroso.
Non ero mai stata in mezzo a troppa gente. Al massimo ogni tanto veniva da noi qualche signora per il tè, o andavo in città, ma in quel caso rimanevo sempre al sicuro dai briganti, sulla mia carrozza.
Non potevo sapere se piaceva stare in mezzo alla gente.
Avevo voglia di provare però.
Sorrisi, facendogli capire che per me andava benone.
Il suo volto si illuminò. Da tenere a mente: dirgli più spesso di sì, vederlo felice era qualcosa di magico!
Mi prese per mano e ci dirigemmo verso una specie di caverna. Insomma, mi aspettavo di trovare gente, ma ce n’era davvero tanta! Non ci si poteva quasi muovere.
Timorosa, mi avvicinai a lui ancora di più. Poi sentii un gran rumore, che mi fece accapponare la pelle.
Tremai leggermente.
“Tutto bene?” mi domandò rivolgendomi uno sguardo apprensivo.
Dio, com’erano belli i suoi occhi verdi. Mi ci sarei potuta perdere.
Ma che pensieri stavo facendo? Non si addicevano ad una signorina come me! Cercai di riprendermi.
“S-sì!”
“Hai paura?”
Dio com’era bel …
No! Dovevo assolutamente riprendermi.
Annuii. Non ero sicura che la mia voce sarebbe potuta uscire in modo decente dalle mie labbra.
Ci cinse con un braccio le spalle.
“Non devi! È solo un treno che viaggia sottoterra!” spiegò spingendomi all’interno di quello strano serpente di metallo che si era appena fermato d’avanti a noi.
All’inizio opposi una leggera resistenza. Davvero pensava che io sarei salita su quel coso?
Ma poi lui mi guardò con quello sguardo sicuro, si avvicinò a me.
Quel contatto mi fece sentire al sicuro, a casa.
Raggiunsi la consapevolezza che con lui mi sentivo a casa dovunque fossi. Anche ad anni di distanza dalla mia vera vita.
Come potevo non fidarmi?
Mi feci trascinare su quello che lui chiamava treno ed entrambi ci aggrappammo ad un palo.
La gente ci circondava da tutte le parti. Non pensavo che potessero esistere tutte quelle persone.
“Si chiama ‘metro’, o meglio ‘metropolitana’”.
“Cosa?” chiesi destandomi dai miei pensieri.
“Il treno che viaggia sottoterra. Noi di Milano lo chiamiamo ‘metro’”.
“Metro?” io conoscevo un solo metro. Ed era decisamente più corto. Un metro, appunto.
Lui annuì inconsapevole delle mie perplessità.
“E a cosa serve?”.
Ridacchiò. Se non fosse stato così tremendamente bello quando rideva, mi sarei anche potuta offendere. Sembrava che trovasse divertente qualsiasi parola che uscisse dalla mia bocca!
“Bè a viaggiare. C fa muovere più in fretta! È un mezzo di trasporto! Ne esistono anche dalle tue parti no?”
Domandò ancora lievemente divertito.
Era il mio momento!
“Certo! Carrozze e cavalli!”.
Mi sorrise amabilmente.
“Qui è difficile trovarli. A sai cosa? Una volta sono stato a Roma, e lì si che c’erano di carrozze! Solo che salirci costava un occhio della testa!”.
Lo guardai schifata.
“Costava un occhio?”. Bleah!
Scoppiò a ridere quasi come un ossesso. Si piegò lievemente tenendosi la pancia.
Questo era davvero troppo!
Era lui che mi parlava con i suoi strani modi di dire, era ovvio che io non potessi capire! La colpa non era affatto mia.
Indignata girai il viso dall’altra parte per non guardarlo mentre si prendeva gioco di me.
“Cassidy …” iniziò appena si fu ripreso “ … scusami, non volevo ridere di te! È solo che vuol dire semplicemente che costa molto!”.
Prese il mio viso tra le mani e dolcemente mi costrinse a guardarlo negli occhi.
Un mare verde. Meraviglioso.
In quel momento mi dimenticai di tutte le persone che ci circondavano (un’impresa davvero notevole considerando il loro numero).
Esistevano solo quei meravigliosi e magici occhi, e quel vis che era così degno di loro.
Lui era una visione paradisiaca.
Poi la mia attenzione fu catturata dalle sue labbra. Ricordavo come fossero morbide e carnose.
Provai l’impulso di sfiorarle lievemente con le mie ….
Ma cosa diavolo stavo pensando?
Divenni bordeaux e abbassai timidamente lo sguardo.
“Siamo arrivati!”.
Esclamò trascinandomi fuori dalla metro. Salimmo delle scale che, (Magia!) si muovevano da sole e uscimmo all’aria aperta.
Ciò che vidi non lo avrei mai nemmeno immaginato nei miei sogni più fantasiosi.
Una delle più grandi chiese che avessi mai visto si ergeva dinnanzi a me.
Era gigantesca. Ricca di fini e dettagliate decorazioni.
“Oooo” non riuscii ad articolare altro.
Davanti alla chiesa c’era un’enorme piazza gremita di persone. C’era chi passeggiava, e chi chiacchierava.
Gente da tutti gli angoli della terra.
“Sono perdonato?” mi chiese in un sussurro avvicinando le labbra al mio orecchio.
Ebbi un lungo e piacevolissimo brivido che mi percosse tutta la spina dorsale.
Era decisamente perdonato.
Non aveva bisogno di una risposta verbale per capirlo.
Mi prese per mano più radioso che mai.
“Andiamo!” esclamò.
Io rapita lo seguii.
“Questa è piazza duomo, il centro di Milano!”.
“Wow! La tua città è bellissima!”
“E’ vero!” ammise lui “Ma è anche troppo caotica!”.
Annuì. Era decisamente caotica!
“Hai mai fatto shopping?” mi domandò sorridendo più che mai?
Shopping? Boh probabilmente era latino anche quello!
“No?” non era una vera risposta la mia.
“Bè hai bisogno di un guardaroba! Come puoi notare io non sono una donna …” disse indicandosi.
L’avevo notato eccome!
“Quindi nel mio armadio non troverai molti vestiti adatti a te!” continuò divertito.
Ridacchiai anche io. Non aveva tutti i torti.
“Quindi?” aveva fatto tutto il suo discorso, ma ancora non avevo capito il significato di quello strano termine.
“Andiamo a fare compere!” era entusiasta.
“Mah i vestiti io non li compravo per strada. Veniva la sarta e me li confezionava lei, su misura!” esclamai.
“I tempi sono cambiati!”
“Già!” non sapevo se era un bene o un male. Ma ero curiosa di scoprirlo.
“E poi per il pomeriggio ho una sorpresa ancora più grande per te!” svelò con gli occhi luccicanti.
“E sarebbe?” chiesi curiosa.
“Ah ah non te lo dicoooooooo!”.
Adoravo la sua voce. Adoravo il suo essere divertente. Adoravo quando rideva e il suo sorriso si estendeva anche a quei meravigliosi smeraldi.
Adoravo quel ragazzo.
Ero finita in una voragine senza via d’uscita e la cosa non mi dispiaceva per niente.
 
 
 
Heeeeeeeeeeeeeiiii scusatemi il ritardo.
La versione originale delle storia non prevedeva questo capitolo così ho dovuto aggiungerlo all’ultimo!
Per questo ci ho messo così tanto!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto : )
Fatemi sapere cosa ne pensateeeeeeeeee!!!
Ah! Ringrazio come sempre chi recensisce!!! Chi ha messo la mia storia tra le preferite, le seguite o le ricordate!!
Grazieeeeeeeeeeeeeee!
Daisy

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Capitolo 7
*** The Present -- 5 ***


THE PRESENT -- 5
 
 
Sensazioni …
… piccole dolci sensazioni …
… esperienze …
… nuove e insolite esperienze …
Adoravo quel posto.
Adoravo quei modi di fare.
Adoravo essere in suo compagnia.
Adoravo lui.
 

 

 
La sua mano non si staccava mai dalla mia. Era bello. Una bella sensazioni. Nessun uomo mi aveva mai presa per mano.
Lui mi guidava per le strade trafficate di quella città, ed io beatamente lo seguivo. Non prestavo attenzione al paesaggio nonostante esso fosse piuttosto curioso.
Avevo solo occhi per lui.
Com’era possibile tutto ciò?
Cosa mi stava accadendo?
Persa nei miei pensieri mi fece entrare in un bellissimo palazzo. Lì per lì pensai che fosse la dimora di qualche ricco signore, ma ben presto dovetti ricredermi.
Quel luogo era stracolmo di vestiti.
Vi erano abiti da tutte le parti. Certo erano degli abiti piuttosto insoliti, ma acquisivano un certo fascino presentati in una tale moltitudine.
“O mio dio …” mi lasciai sfuggire abbagliata.
“Wow! Non pensavo che entrare per la prima volta in un negozio potesse fare quest’effetto!”.
Mi guardava felice.
Solo allora mi resi conto di avere un’espressione da ebete dipinta sul volto.
Infatti  i miei occhi incrociarono uno specchio. Quasi mi misi a ridere di fronte a quella ragazza che mi fissava con gli occhi sbarrati e la bocca spalancata.
Cercai di riprendermi, se non altro per apparire normale!
“E’ …” non riuscivo a trovare le parole “ … impressionante!” conclusi.
“Immagino di sì. Per me è tutto normale, ma per te deve essere un gran bello shock!”.
Decisi di non chiedere il significato di quell’ultima parola e così mi limitai ad annuire.
“Andiamo?” domandò con impazienza.
Il suo entusiasmo era di gran lunga superiore al mio.
Mi stampai un enorme sorriso sulle labbra. Il suo buonumore era terribilmente contagioso.
“Che ne pensi di questo?”
Mi mostrò una specie di straccetto nero.
“ E’ un vestito?” domandai incerta. Mi sembrava inverosimile che quel pezzo di stoffa potesse coprire molto.
Lui sorrise e ridacchiò “Forse è meglio iniziare da qualcosa di più semplice!”.
“Questa mi piace!” dissi indicando una maglietta larga color cammello.
“Mmm” iniziò pensieroso “… direi che hai un gusto migliore del mio. A te la scelta!”.
Come non poter essere felici?
Raccattai qua e là qualche abito. Mi rifiutai categoricamente di prendere dei pantaloni, insomma quello era un indumento da uomo, e una signorina non avrebbe dovuto indossarlo!
“E adesso?”
“Adesso viene il bello!” ghignò “Li devi provare!!!”
Mi illuminai. Qualcosa che conoscevo. “Come dalla sarta!”.
Rise.
“Esatto! Solo che questi sono già pronti. La sarta te li faceva su misura!”
“Venivano meglio!” ribattei.
“Costavano di più!”.
Riflettei un attimo. Non sapevo quanto mio zio pagasse i miei abiti, ma sicuramente non era molto.
“Non credo!” dissi alzando il mento per ostentare sicurezza.
“D’accordo!” si rassegnò alzando le mani.
Mi condusse verso un camerino e mi fece provare tutti quei vestiti.
Mi stupii di quanti fossero, infatti finì di indossare l’ultimo stremata.
Ne avevo scartati pochi, quelli che meno mi ispiravano.
Andammo ad una specie di bancone dove una signorina ci salutò gentilmente.
Eric le diede tutti i miei vestiti e lei con una strana luce rossa li esaminò tutti.
“Sono 165€!” disse infine.
Mi sarei aspettata che Eric tirasse fuori le banconote, dato che mi aveva detto che valevano di più delle monete, e invece estrasse un piccolo rettangolo di un materiale più rigido della carta.
“Cos’è?” domandai curiosa.
La signorina mi lanciò un’occhiata allibita. Eric non ci fece caso e come suo solito scoppiò a ridere.
“E’ un altro modo di pagare!”
“Ma quanti modi avete di pagare?”
Sorrise amabilmente. Il suo viso era talmente bello che il mio cuore perse un paio di battiti.
Davvero. Cosa mi stava succedendo?
“Tanti!” rispose prendendo le varie buste e facendomi strada fuori dal negozio. Mi dispiaceva che non mi prendesse più la mano, ma dopotutto aveva le braccia occupate
“Adesso bisogna pensare all’intimo!” esclamò sereno. Alzai le spalle. Non sapevo cosa fosse l’intimo. Mi fidavo solo di lui punto.
Entrammo in un secondo negozio. Questo era decisamente differente dal primo soprattutto per i vestiti che vendeva.
Insomma. A delle persone finte venivano fatti indossare una versione ridotta delle mutandone che eravamo soliti portare noi nel 1600.
Una versione decisamente ridotta.
Sul petto dei sottili strati di stoffa ne ricoprivano il seno.
Ma che posto era mai quello?
Eric si rivolse ad uno donna che probabilmente lavorava lì.
“Potrebbe aiutare lei la mia amica a scegliere qualcosa? Sa non sono pratico!” un velo d’imbarazzo nella sua voce.
“Non c’è problema!” sorrise lei avvicinandosi a me.
Mi scrutò.
“Direi che è una seconda e per le mutandine ti farei provare una s …”
Ommio Dio. Non avevo capito una parola di quello che aveva detto e la lingua con la quale si era espressa non era latino. Era qualcosa di peggio. Forse arabo.
“Il reggiseno lo preferisci con l’imbottitura o senza?” sgranai gli occhi inconsapevole di cosa rispondere.
Incontrai lo sguardo divertito di Eric che mi mimò con le labbra di dire “Senza imbottitura”.
“Senza imbottitura?” ripetei poco convinta.
“Sicura? L’imbottitura farebbe risaltare il tuo seno.” I miei occhi si sbarrarono ancora di più.
Perché avrei dovuto far risaltare il mio seno?
Poi si avvicinò a me come se dovesse farmi un’importante confidenza.
“Il suo ragazzo apprezzerebbe!” continuò indicando Eric.
Non ero sicura di aver capito tutto, ma mi sentii arrossire lo stesso.
“Ma non si deve vergognare!” esclamò la donna.
Poi prese da dei cassetti uno svariato numero di quelli che lei chiamava reggiseni con appaiate le mini – mutandone.
“Puoi provarli!” disse rifilandomi in mano una dozzina di quegli strani indumenti. Imbarazzata mi diressi verso Eric.
Sembrava trattenesse a stento le risate.
“E- e adesso?” mi sforzai di dire.
Lui cercò di riprendersi.
“Provali!” esclamò indicandomi una stanzetta.
Io entrai e mi tolsi la maglietta. Era ovvio che avrei dovuto metterli come ce li avevano addosso quelle finte persone nel negozio.
Infilai le braccia nelle spalline e a quel punto mi guardai allo specchio.
Mah a me non diceva proprio niente. Strano che quello persone andassero in giro vestite in tal mondo. Insomma. Non avevano freddo?
Uscì dalla piccola cabina per farmi vedere da Eric.
Dopotutto avevo fatto in quel modo anche nel primo negozio, cosa ci sarebbe stato di diverso quella volta?
Non appena Eric mi vide assunse un’espressione stupita.
Immaginai  che, per qualche ragione a me sconosciuta, avrebbe iniziato a ridere, come al solito, invece si fece serissimo.
Posò dolcemente il suo sguardo su di me. Esso sembrò accarezzarmi e piacevoli brividi mi attraversarono la schiena.
Mi piaceva il suo sguardo. Sembrava assorto. Deglutii. Sembrava agitato.
“Sei …” iniziò quasi sussurrando “ … bellissima!”.
Bellissima.
Nessuno mi aveva definita in tal modo. Mai. Arrossii tremendamente lusingata da quel complimento. Espresso da lui appariva straordinario.
“Grazie!” risposi timidamente rientrando nello stanzino.
“Aspetta!” esclamò.
Quando mi voltai non mi aspettai di trovarlo così vicino a me. I suoi occhi erano nei miei e i miei nei suoi.
Quello era un momento magico. Avrei voluto che durasse per sempre.
I nostri respiri si confondevano e le nostre labbra erano pericolosamente vicine.  Avrei voluto la loro unione. Come quella mattina. Invece lui parlò.
“Non l’hai allacciato il reggiseno!”.
Si pose alle mie spalle e con le dita mi sfiorò lievemente la schiena.
Nuovi brividi mi percossero. Erano profondi brividi di piacere. Avrei potuto vivere per quel semplice tocco.
Così semplice da essere speciale, proprio perché risvegliava in me emozioni che non credevo si potessero provare.
Le dita continuarono a sfiorarmi per lunghi istanti, quando lui mi svegliò dal mio stato di trans.
“Fatto!”.
Mi girai verso lo specchio e costatai che in quel  modo stava decisamente meglio. Quello strano capo mi stava addirittura bene. Mi valorizzava le forme. Certo non sapevo se ciò rappresentasse un bene o un male, ma mi piaceva come mi stava!
Lui tossicchiò “Ehm … comunque quello che stai indossando è l’intimo. Cioè va messo sotto i vestiti! Non si deve vedere!”.
Cosaaaaaaaaaa?? E cosa aspettava a dirmelo?
Improvvisamente sentii il viso prendere fuoco. Mi vergognavo. Terribilmente. Ero troppo ingenua!
Mi maledii per essere stata così stupida e mi precipitai nella piccola cabina dove mi ero cambiata in precedenza.
“Comunque ti sta benissimo!” aggiunse lui in un sussurro quasi come se parlasse con sé stesso.
Immediatamente dimenticai la mia figuraccia. La vergogna lasciò il posto alla felicità. L’imbarazzo alla soddisfazione. Come potevano le sue parole influenzare fino a tal punto il mio umore e le mie emozioni?
Non me lo riuscivo a spiegare. Affatto.
“Grazie!”.
Non potevo passare però tutto il mio tempo ad arrossire come un pomodoro. Avevo ancora un sacco di quei cosi da provare.
Allora tentai di slacciare il reggiseno. Non ci riuscii quindi sbuffai.
Feci capolino con la testa da dietro la tenda che chiudeva il piccolo stanzino.
“Ehm … Eric?”. Lui si avvicinò premuroso.
“Ecco …” fissai il pavimento evitando i suoi occhi “ … non riesco a slacciarlo!”.
Una strana luce gli attraversò gli occhi.
Malizia?
Ero proprio un disastro.
 
“Hai fame?” mi domandò dopo altri innumerevoli visite ai negozi.
“Si!” risposi. Ero esausta. Non credevo di aver mai camminato così tanto in uno  spazio così ridotto. E non credevo nemmeno di aver mai provato così tanti vestiti in tutta la mia vita. Probabilmente mi ero spogliata meno volte.
“Ti piacciono i panini?” . Panini. Era un nome che mi ricordava quello del pane. Quindi si doveva trattare di un pane piccolo. Sì mi piaceva. Annuii.
Carico di borse si mosse agilmente tra la folla voltandosi di tanto in tanto per costatare se io lo stessi seguendo. Arrivammo di fronte ad un locale pieno zeppo di gente. Ormai ci avevo fatto l’abitudine. Probabilmente in quella strana città non esisteva un posto vuoto.
“Allora tu resta qui! Devi stare immobile ok? E soprattutto non farti superare da nessuno eh? NESSUNO!” ribadì con serietà.
“Ok! Tu dove vai?” domandai con voce leggermente più acuta del solito. Ero terrorizzata all’idea che mi potesse lasciare da sola in mezzo a quel caos.
“Vado a trovare un posto! Starò via poco!” mi sorrise rassicurante.
Cercai di calmarmi. Se diceva che presto sarebbe tornato, che ragione avrebbe avuto per non farlo?
Aspettai così da sola.
Un gruppo di ragazzi entrò e uno di loro si mise davanti a me.
“Eh no!” iniziai “Non si supera!”. Il mio tono era severo.
“Ahahaha! Ma c’ero io prima di te!” mi rispose ridacchiando quel ragazzo. Ma che razza di maleducato era? Dalle mie parti le donne potevano non contare nulla, ma almeno gli uomini si rivolgevano a loro con estremo rispetto. Chi era dunque quest’estraneo che rispondeva in quel modo?
Stavo per attaccare con la ramanzina quando una mano si posò sulla mia spalla.
Mi voltai mentre Eric incontrava con sguardo fiero gli occhi del ragazzo impertinente.
“Sbagliato! Ci siamo prima noi, smamma!” era così coraggioso. Così risoluto.
Prima provavo solo gratitudine nei suoi confronti, in quel momento provai anche rispetto. Se fosse vissuto nella mia epoca sarebbe stato il migliore dei nobiluomini.
“Fanculo!” ribattè il ragazzo sprezzante passando dietro di noi.
Sospirai di sollievo.
“Grazie!”
“E di che? Quel che è giusto è giusto!”. Sorrisi. Adoravo quel ragazzo. E da quanto tempo lo conoscevo? Meno di 24 ore?
“A proposito. Che vuol dire ‘fanculo’?”.
Scoppiò a ridere di gusto e io fui contagiata. Entrambi ridevamo felici.
“Lasciamo perdere!” rispose.
 
Dopo un’interminabile lasso di tempo finalmente riuscì ad ordinare delle strane pietanze da nomi insoliti e ci sedemmo ad un tavolo.
Prese una delle scatolette e la aprì tirandone fuori un mini – pane (un panino appunto) stracolmo di cose.
“Cosa c’è dentro?” chiesi leggermente schifata mentre lui dava un morso.
“In questo siamo uguali! Nemmeno io lo so! E, fidati,  meglio non saperlo!” rispose sorridendo beato.
“Assaggia su!” mi intimò vedendo che non toccavo cibo.
Presi in mano il panino e gli diedi un morso arricciando il naso.
Rimasi sorpresa.
Era buonissimo! Diverso da qualsiasi altra cosa che avessi mai assaggiato in vita mia! Diverso ma buono.
Sorrisi di fronte a quella scoperta esilarante.
“Appena finisci avrai la tua sorpresa!” esclamò con un luccichio negli occhi.
Non vedevo l’ora.
Adoravo quel posto. Adoravo quei modi di fare. Adoravo essere in suo compagnia. Adoravo lui!
 
 
Per primo ringrazio chi recensisce e chi ha messo la storia tra le seguite/preferite!!!!!
GRAZIE INFINITE!!!!!!!!!!!!!!  VI ADORO!!!!
Poi vi lascio un breve commento:
Per adesso Eric e Cassidy si stanno conoscendo poco a poco!
Come vi sembra come coppia? Ben assortita o no?
Fatemi sapere cosa ne pensate!!!!!
Daisy
 

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Capitolo 8
*** The Present -- 6 ***


THE PRESENT -- 6
 


Piccole stelle senza cielo …
… affascinanti, bellissime …
… esse si trovano quaggiù …
… ma qui esse sono solo bellissime …
… mentre lassù, nel vero cielo, sono addirittura Magiche …

 

 

Finimmo di mangiare piuttosto velocemente. Dopotutto quel camminare mi aveva davvero stancata e dovevo pur in qualche modo riprendere le energie.
Quando finalmente inghiottì l’ultimo morso del panino Eric mi sorrise soddisfatto. Lui aveva finito molto prima di me e aveva passato il resto del tempo a guardarmi mangiare. Non che la cosa mi desse fastidio.
Adoravo quando i suoi occhi si posavano dolcemente su di me, ma non posso negare che la cosa mi imbarazzasse parecchio.
Cosa ci trovava poi di interessante in ogni mio semplice gesto?
Non ne avevo idea.
“Che c’è?” domandai sottovoce, quasi più rivolta a me stessa che a lui.
“Hai mangiato tutto!” sorrise.
“Avevo fame!”
“Sono contento, temevo che avresti vomitato il panino!”
“Vomitato?” e assunsi un’espressione stupita “E perché avrei dovuto?”
“Non a tutti piacciono!”
“A me sono piaciuti!” esclamai convinta.
“Ne sono felice!” rispose lui con uno sguardo dolce.
Non doveva guardarmi così dannazione! Mi destabilizzava! Mi sentivo le gambe molli e mi sembrava che esse non fossero più in grado di muoversi in modo autonomo.
Ma che cosa mi succedeva? Non avevo mai provato delle emozioni del genere in tutta la mia vita, nemmeno con Johannes.
Johannes.
Il ricordo mi balenò nella mente. Quel … quel …
Non avrei nemmeno saputo come definirlo.
Essere umano? No, era stato troppo meschino.
La rabbia e il risentimento mi invasero come avrebbe fatto un fiume in piena.
Eric, che intanto m aveva condotta fuori da quel posto, si accorse del mio cambiamento.
“Hei! Che c’è che non va?”. Scossi la testa.
“Niente!” non mi andava di parlarne.
Lui accettò la mia decisione, ma con la coda dell’occhio notai che mi fissava preoccupato. Santo cielo. Non potevo vederlo così. Mi sembrava che qualcosa dentro di me si sarebbe potuto rompere se quello sguardo apprensivo mi avesse accompagnato ancora per molto tempo.
I suoi splendidi occhi così non brillavano. Non erano più stellari.
“Pensavo a Johannes!” ammisi.
“Keplero?”
Annuì. Era strano sentirlo nominare in quel modo.
“Ti fa rabbia vero?” chiese conducendomi nuovamente in metropolitana.
“Sì” mi limitai a rispondere.
“Che tipo era tuo zio?” domandò curioso. “Cioè cosa l’ha spinto a volere Kepler come assistente?”.
Bella domanda. Non ci avevo mai pensato. Rimasi qualche secondo a pensarci.
“Credo che lo abbia fatto soprattutto per la sete di conoscenza”.
Per lui la conoscenza era tutto. A volte, se non riusciva a risolvere i suoi dubbi, era capace di stare anche notti intere sveglio ad osservare il cielo.
Lui sapeva che tutte le risposte stavano lassù.
“Kepler era famoso. Un famoso astrologo. Penso sia stata la sua fama a spingere mio zio a volere lui come assistente”.
“Astrologia? Voi dirmi che all’epoca Keplero era celebre per una pseudoscienza?”.
“Psudoche?” mai sentita quella parola.
Ma ormai non era una novità.
“E’ una scienza non certa, non dimostrabile, diciamo!”.
Di male in peggio. Non sarei mai stata in grado di capire.
“Dimostrabile?”.
Lui mi guardò esterrefatto poi aggiunse “Tu vieni prima di Galileo Galilei vero?”.
E?
“Emh … boh?”. E rise. Una risata così pura, limpida, sincera.
Non potei non sorridere. Adoravo vederlo così. La sua felicità diventava anche la mia. Era magica la cosa!
“Allora si spiega tutto! Galileo Galilei è stato un altro grande astronomo, e lui ideò il metodo sperimentale, secondo il quale ogni cosa deve essere spiegata razionalmente, logicamente!”.
Adesso la cosa era più chiara. Annuì.
“Grazie!”
“E di cosa Cassidy?”.
Cassisy. Quelle poche lettere da lui pronunciate sembravano essere musica per le mie orecchie. Una musica soave che mi accarezzava e mi cullava dolcemente.
Mi ci volle una gran dose di forza di volontà per non supplicarlo di ridire il mio nome.
“Di essere così paziente con me! Insomma! Sei molto gentile a spiegarmi tutto!”.
“E’ un piacere!” rispose sorridendomi a trentadue denti.
Sorrisi a mia volta.
“No davvero. Insomma, io vorrei poter fare qualcosa per sdebitarmi, ecco tutto!” ribadì convinta.
“Bè mi stai facendo divertire! Direi che basta!”.
Ero felice. Che fortuna avevo avuto a trovare uno come lui! Chissà perché ma avevo la sensazione che in quel mondo non esistevano tanti ragazzi così … perfetti.
Intanto scendemmo dalla metro e fummo circondati ben presto da nuovi e maestosi palazzi.
Era maestosa quella città. Maestosa era proprio la parola adatta.
“Benvenuta! Questo è porta Venezia!” esclamò entusiasta Eric.
“Da quella parte puoi ammirare il fantastico corso Buenos Aires!” continuò indicando una grande via alla mia destra “una delle vie dello shopping di Milano più frequentate, ma direi che noi siamo a posto!” concluse alzando le braccia cariche di buste.
Ridacchiai.
“Decisamente! Ma quindi dove siamo diretti?” ormai la mia curiosità era giunta alle stelle.
“Là!” indicò la mia sinistra.
Un grande parco si estendeva. In esso sorgeva uno splendido palazzo ed era circondato da un’ampia cancellata. Naturalmente non poteva mancare la folla di gente in coda per chissà quale ragione.
Oltrepassammo uno dei cancelli principali e ci mettemmo in fila anche noi.
Avevo stampato in faccia uno sguardo interrogativo. Ancora non mi aveva risposto.
“Quello che vedi …” e mi indicò il palazzo che avevo notato poco rima “… è il museo di scienze naturali! E’ una figata! Pieno di animali imbalsamati!”.
Arricciai il naso al solo pensiero. Poveri animali. Ripensai alla parola che aveva detto. ‘Figata’. Chissà cosa significava.
“E questo cos’è?” chiesi riferendomi all’edificio vicino a noi. Infatti dedussi che in quello saremmo dovuti entrare.
Era molto più basso rispetto al museo e aveva il tetto a forma di cupola come quello di alcune chiese.
Magari era una chiesa.
Alla mia domanda un lampo di soddisfazione attraversò i suoi occhi. Era chiaramente entusiasta. Naturalmente non en capivo il motivo.
“Lo vedrai!” e sorrise rassicurandomi “Ti piacerà fidati!”.
Dopo non so quanto tempo riuscimmo ad arrivare all’entrata dello strano edificio e lui dovette sborsare altri soldi in cambio di due foglietti di carta.
Uno me lo diede. Oddio. Tutta quella coda e questa era la sorpresa? Rimasi delusa, ma poi riflettei.
Probabilmente per loro quel foglietto aveva un grande valore, come le banconote, quindi almeno dovevo dimostrare un minimo di apprezzamento.
Feci il sorriso migliore che potessi.
“Grazie è splendido!”.
Lui sbarrò gli occhi e iniziò a ridere. Per l’ennesima volta. lasciandomi lì a chiedermi dove avessi sbagliato.
Ero proprio un disastro.
Sentii gli occhi farsi lucidi. Cercai di trattenere le lacrime, ma due di loro vinsero la battaglia con la mia volontà e scivolarono lentamente lungo le mie guance.
Non appena lui le vide divenne serio. Si avvicinò e … mi abbracciò.
Le sue braccia circondavano le mie spalle e il suo mento era poggiato sulla mia testa. Mi sentivo così piccola. Mi sentivo così al sicuro. I sentivo così in pace col mondo.
Mi sentivo esattamente come quando a casa andavo sulla mia collina e mi perdevo nel blu dell’universo.
Come se fossi con loro. Tra le stelle.
Si staccò di poco e con l’indice mi accarezzò la guancia in corrispondenza di una delle due lacrime, allontanandola da me.
“Scusa!” sembrava seriamente dispiaciuto.
“Io non volevo offenderti” disse con le labbra vicino ai miei capelli.
“So quanto tutto ciò sia nuovo per te, ma cerca di capirmi! Sei così ingenua”.
Quest’ultima frase la disse guardandomi negli occhi con una tale intensità da farmi temere di cadere rovinosamente a terra. Le gambe si erano fatte molli, terribilmente molli.
Era impossibile che uno sguardo potesse avere tale intensità e talli conseguenze.
“Non ti preoccupare!” sorrisi debolmente “Posso provare a capire!”.
Sembrò sollevato e mi accarezzò col pollice la guancia.
“Quel foglietto è il biglietto. Serve per attestare che hai pagato per entrare qua!” poi riprese ad avere quell’entusiasmo che lo aveva caratterizzato per tutto il tempo “Pronta?”.
Non stava più nella pelle. E nemmeno io di conseguenza.
Annuì con decisione e mi trascinò oltre un’altra porta dopo che facemmo strappare il nostro biglietto.
Rimasi delusa ancora una volta.
La sala nella quale entrammo era grande, circolare. Era popolata da numerose sedie di legno anch’esse rotonde che potevano girare sul posto. Molti ragazzi si divertivano a farlo. Forse era quella la sorpresa.
Al di sopra delle nostre teste si stagliava la cupola che avevo già notato  in precedenza.
Ma cosa che mi colpì maggiormente fu il macchinario che troneggiava al centro della sala.
Si trattava di una specie di formica gigante, posta verticalmente.
“Che ne pensi?” chiese quasi emozionato Eric.
Deglutii. Non sapevo cosa dire. Come potevo non offenderlo? Per fortuna lui mi evitò la brutta figura che sicuramente avrei fatto aprendo la bocca.
“Non è questa ancora la sorpresa. La sorpresa inizierà tra circa 10 minuti, intanto mettiti comoda!” e detto ciò si sedette su una di quelle strane sedie. Presi posto di fianco a lui.
Iniziai a trovare particolarmente divertente il ruotare su me stessa, feci un giro, due … tutto con lo sguardo puntato al soffitto.
Era immenso. Sembrava infinito. Sembrava , ma non lo era! Era chiaro che fosse finito.
Od ogni giro che facevo la mia curiosità cresceva sempre di più. Cosa ci facevamo in  quel posto?
Ero davvero curiosa, ma Eric non apriva bocca. Se ne stava lì a fissarmi felice del mio divertimento, impaziente di darmi la sua sorpresa.
“Allora? Nemmeno un indizio?” domandai allo stremo.
Improvvisamente le luci iniziarono ad abbassarsi ed una voce stranamente amplificata, che sembrava provenire da ogni angolo di quella stanza, ci intimò di prendere posto. Lo spettacolo stava per iniziare.
Smisi di ruotare e feci come facevano tutti gli altri. Puntavano gli occhi al soffitto.
La luce si affievolì sempre di più e dei puntini luminosi iniziarono ad apparire sul soffitto.
Sorrisi. Sembravano stelle.
Dopo pochi minuti d’attesa la sala fu immersa nel buio più totale.
Spalancai la bocca trattenendo un urlo di stupore. Nel cielo era apparso il grande carro.
Era proprio lui! Come potevo dimenticarmelo?
 
“Quella costellazione cosa ti sembra?”.
“Mah io ci vedo una girandola gigante”. Lo zio rise della mia risposta.
“Come fai a vederci una girandola?”
“Io la vedo! A te cosa sembra?”
“Un carro. Vedi quella costellazione è detta carro maggiore. È la più antica costellazione che l’umanità conosca! Fa parte di una costellazione ancora più grande, quella dell’orsa maggiore! La vedi?” disse indicandomi il cielo.
“Mmm no! Come facevano a vederci un’orsa?” domandai con la mia vocina sottile, da bambina.
“E tu come fai a vederci una girandola? Gli antichi avevano molta fantasia, proprio come te!”
“Ed è una cosa buona?”. Sorrise dolcemente.
“Sì è una cosa buona Cassidy! Molto buona! La vuoi sapere la leggenda greca dell’orsa?”.
Annuì con entusiasmo. Amavo quando lo zio iniziava a raccontare le storie su quell’universo così tanto mio amico. Mi fece accomodare sulle sue ginocchia e iniziò il racconto.
“Zeus, il re degli dèi, aveva sedotto la ninfa Callisto e dall’unione dei due nacque Arcade. La moglie di Zeus, Era, per vendicarsi dell’infedeltà del marito trasformò Callisto in un’orsa. Un giorno Arcade, ormai cresciuto, si trovava nel bosco a caccia quando vide l’orsa. Zeus, per evitare il matricidio, portò entrambi in cielo. Callisto così divenne l’orsa maggiore. Ma l’ira di Era crebbe e chiese al dio del mare di impedire all’orsa di toccare le acque per dissetarsi. È per questo che la costellazione non va mai oltre l’orizzonte!” sorrise terminando.
“E’ una gran bella storia!” esclamai. “Raccontamene altre zio Tycho”.
 
Il ricordo mi invase completamente. Abbandonai per pochi istanti il ventunesimo secolo. Tornata al presente sentii quella voce amplificata parlare.
“Benvenuti all’osservatorio di Milano. Questa struttura è in funzione dagli anni 30 del 1900, e il macchinario che vedete al centro è un proiettore. Esso permette di visualizzare sulla cupola le stelle così come le possiamo vedere in una qualsiasi notte.
Le sagome dei palazzi che vedete disegnate in nero all’orizzonte, rappresentano i contorni di Milano come sono visti da qui”.
Non potevo far a meno di ascoltare. Era tutto assurdo. Quegli uomini erano riusciti a ricreare il cielo terrestre in quella cupola. Era come se le stelle fossero state brutalmente strappate dal cielo.
Ma come non rimanere abbagliata dalla loro bellezza? Erano lassù, sopra di me.
Splendenti come sempre.
Ma c’era una differenza. Di solito esse pulsavano, erano vive! E con il loro scintillio sembravano comunicare, dirmi qualcosa. Quelle stelle proiettate invece erano silenziose, mute.
Bellissime. Ma lassù erano addirittura magiche.




Allora! prima di tutto vi prego di perdonarmi se ci sono degli errori ortografici o parti poco chiare perchè non l'ho riletta XD!
avevo voglia di bubblicare subito!
poi volevo passare ai ringraziamenti.
GRAZIE di cuore sopratutto a chi ha recensito gli scorsi capitoli, ma anche a chi ha messo la mia storia tra le seguite o le preferite, e anche a chi legge semplicemente queste mie parole.
lasciate un commento, fà sempre piacere!
Daisy









 
 

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Capitolo 9
*** The Present -- 7 ***


THE PRESENT – 7
 

Ti brucerai
Piccola stella senza cielo.
Ti mostrerai
Ci incanteremo mentre scoppi in volo
Ti scioglierai
Dietro a una scia un soffio, un velo
Ti staccherai
Perchè ti tiene su soltanto un filo, sai.
(L. Ligabue)
 

 

Le luci aumentarono leggermente all’orizzonte fittizio della stanza. Anche quella poca luminosità oscurava le regine incontrastate del cielo.
“In una qualsiasi notte, se provate ad alzare gli occhi al cielo vedrete il cielo così. Poche stelle, e una luce all’orizzonte. Questo è dovuto allo smog e all’inquinamento luminoso …” ricordai quello che Eric mi aveva detto la sera prima.
Poi la voce continuò nel dare cenni teorici che però ascoltavo a sprazzi. Ero affascinata.
Quelle non erano belle come le originali, ma mi attiravano. Avrei voluto toccarle. Avrei voluto essere tra di loro.
Compresi che mi mancavano terribilmente, e sapere che a Milano avrei visto soltanto poche di loro, a causa dell’inquinamento luminoso, mi faceva sentire ancora peggio.
Ma in quell’istante incontrai gli sfavillanti occhi di Eric. Mi fissavano intensamente, invece di perdersi nell’immensità del finto cielo che ci sovrastava.
Erano occhi felici. Felici di vedermi gioire, di vedermi persa in quella riproduzione dell’immensità.
Poi compresi. Se avevo nostalgia delle mie care stelle avrei sempre potuto cercare i suoi occhi verde smeraldo, perché la luce in essi era più forte di quella che possedeva una qualsiasi stella.
Gli sorrisi radiosa e lui ricambiò, facendo brillare le iridi di luce propria.
 
“Piaciuto?” mi domandò camminando al mio fianco.
“Sì!” risposi entusiasta. Il suo era stato davvero un pensiero stupendo. Mi aveva dimostrato che riusciva a capirmi.
“Quelle vere però non le batte nessuno!”
Lui annuì con solennità.
“Vero, ma qui a Milano ci dobbiamo accontentare! Penso di non aver mai visto il cielo incontaminato. Puro e semplice.”
Sgranai gli occhi incredula. Coooooooosa?
“E com’è possibile?” sussurrai, quasi più rivolta a me stessa che a lui.
“Ho sempre vissuto qui! Semplice!” nella sua voce una traccia di amarezza.
Mi si spezzava il cuore a sentire ciò. Non poteva vivere felice senza aver provato una delle esperienze più belle che l’uomo abbia mai fatto.
“Un giorno le vedrai! Te lo prometto!” esclamai risoluta.
“Sai a volte vorrei vivere nella natura incontaminata dall’uomo, un po’ come vivevi tu. Tu non sai cosa sia un cellulare, una aereo o un accelleratore di particelle. Tu conosci il giorno e la notte. Soprattutto la notte.
E io non la conoscerò mai!” sembrava affranto.
“Se ti prometto che ti farò vedere il cielo sorridi?” chiesi dolcemente, quasi in una sussurro.
Le felicità rese il suo volto divino.
“Sono felice se tu, stellina, rimani al mio fianco ancora per un po’ almeno!”.
L’euforia si impadronì di me. Tutto il tempo che vuoi Eric, tutto il tempo che vuoi.
Le mie guance presero fuoco.
 
Sulla metro Eric mi fece sedere su quelle strane e piccole sedie rosse. Lui prese posto accanto a me.
“Ti piace la musica?” mi domandò curioso.
Alzai le spalle. Lo zio mi aveva fatto prendere delle lezioni di pianoforte, ma io non ero mai stata particolarmente brava. Però mi piaceva ascoltare il mio maestro quando faceva volteggiare velocemente le sue dita su quello strumento per me così insidioso. Le sue mani producevano un suono meraviglioso.
“Sì, se non sono io a suonare!”. Ridacchiò. Dovevo essere molto simpatica.
“Allora è perfetto!”.
Tirò fuori dalla tasca una piccola scatolina con attaccati dei lunghi fili. Non avevo idea di cosa fosse quell’aggeggio. Mi diede un’estremità del filo e io iniziai a rigirarmelo sulle dita.
“Mettilo nell’orecchio!”. Nell’orecchio?? Il mio stupore sfiorava vette mai raggiunte.
“E’ un mp3, o lettore musicale, serve per ascoltare la musica! ” mi spiegò.
Caspita, un pianoforte condensato in una minuscola scatolina. Ma quante cose sapeva fare questa civiltà del futuro?
“Quello è l’auricolare e devi inserirlo così!” continuò facendomi vedere come fare.
Lo imitai.
“Un paio di giorni fa ho ritrovato questa canzone, è piuttosto vecchia, ma è adatta a una persona come te. Direi che te la dedico!”.
Wow. Nessuno mi aveva mai dedicato una canzone! Era emozionante la cosa! Solo i più grandi musicisti lo facevano! Quindi Eric doveva essere un gran compositore.
La musica partì e come al solito rimasi basita.
Quei suoni erano totalmente differenti da quelli a cui ero abituata io. Sentivo il pianoforte fare delle note in sottofondo, ma c’erano altri suoni, ad esempio quelli dei tamburi che sembravano voler tenere il ritmo.
Poi, e questa era la cosa più strava, la musica era accompagnata da parole.
 

“Ti brucerai
Piccola stella senza cielo.
Ti mostrerai
Ci incanteremo mentre scoppi in volo
Ti scioglierai
Dietro a una scia un soffio, un velo
Ti staccherai
Perchè ti tiene su soltanto un filo, sai.”

 
Parole bellissime. Quella canzone mi aveva fatto venire i brividi lungo la schiena. Senza accorgermene finì contro Eric che mi circondò con le sue braccia.
“S- sei bravissimo!” esclamai. Lui rise. Ma ormai la sua risata non mi rendeva più insicura, mi rendeva solo felice, perché essa aveva un suono migliore di quella splendida canzone.
“Non è mia! È di un cantante! Gente che lo fa per lavoro!”.
“Ah capisco!” gli sorrisi. Quante cose avevo ancora da imparare sui loro strani modi di fare.
“E’ ugualmente bellissima!”.
“Hai ragione!” constatò lui.
Mi lasciai andare sulla sua spalla e chiusi gli occhi, non tanto cullata da quella dolce melodia, quanto dal ritmo regolare del suo respiro.
Un respiro che non era più vitale solo per lui, ma anche per me.
 
Mi sentii scuotere con leggerezza. Poi percepì una voce. La SUA voce. Mi diceva di svegliarmi.
Aprì un occhio con fatica e rimasi spaventata dalla vicinanza dei nostri visi. Spaventata positivamente.
Il mio cuore iniziò a battere furiosamente, tanto è vero che temetti che sarebbe potuto uscire dal mio petto.
“Siamo arrivati!” mi disse con dolcezza.
“Ti avrei portata in braccio, ma come vedi sono piuttosto carico!” costatò indicando col capo le borse.
“Vuoi una mano?” azzardai. Perché non mi era venuta prima l’idea di aiutarlo?
“Non no! Tu sei ospite, faccio io!” rispose risoluto.
Lo seguì fuori dalle metro e in poco tempo fummo a casa sua.
Posò le borse a terra e si buttò sul divano.
“Sono a pezzi!” sospirò.
“Anche io!” concordai. Mi andai a sedere accanto a lui.
“Grazie di avermi fatto conoscere il tuo mondo!” dissi tenendo gli occhi bassi.
“Ancora ne hai di roba da vedere Cassidy!” ommio Dio! Aveva di nuovo pronunciato il mio nome.
“Vorrei ringraziarti!” continuai tormentandomi le mani “Come si deve!”.
“Ma non devi Cassidy per me è stato …” si bloccò improvvisamente.
I nostri visi erano nuovamente vicini. Non mi ero accorta di essermi avvicinata così tanto.
Il suo respiro mi giungeva giusto sulle labbra. Che buon profumo aveva.
In quel momento capii. Capii cosa potevo fare per ringraziarlo degnamente. O almeno provarci!
Fissavo le sue labbra, poi passavo ai suoi stupendi occhi e poi tornavo alle sue labbra.
Mi attiravano, quasi quanto le stelle. Erano così belle.
Cosa mi stava succedendo?
La mia domanda venne cancellata dall’eccessiva vicinanza di Eric.
Eric. Un ragazzo che ero piombato per caso nelle mia vita e che in un giorno era diventato la mia vita.
Non sapevo se quello fosse amore.
So per certo che era attrazione, riconoscenza, gratitudine.
Attrazione.
Fui io a colmare la distanza che separava le nostre labbra. Lui sembrava imbambolato.
Sfiorai la sua bocca piano, dolcemente. Poi i staccai. Nessuna reazione da parte sua.
Se ne stava lì a guardarmi con gli occhi sbarrati. Senza muovere un muscolo. Mi sentii andare a fuoco.
Avevo sbagliato tutto. Lui non voleva quel bacio!
Raggiunta quella consapevolezza sentii una strana stretta comprimermi lo stomaco. Era come in una morsa, una morsa dalla presa ferrea.
“S- scusa!” balbettai incerta.
“E di che?” chiese con uno sguardo più normale rispetto a quello assunto poco prima.
“D-del b-bacio!” mi dava fastidio non riuscire a smettere di balbettare. Io non ero mai stata in quel modo. MAI!
“Non devi scusarti!” mi sorrise.
Poi fece una cosa del tutto inaspettata. Mi prese il viso fra le mani e lo avvicinò al suo. Poi le mie labbra e le sue si unirono.
E il mio cervello perse tutte le sue facoltà.
La sua bocca era impetuosa. Si muoveva con foga sulla mia.
Con una mano mi teneva la nuca con l’altra il fianco. Ma io sentivo solo le sue labbra.
Morbide e carnose bramavano un contatto più intimo. La sua lingua chiedeva silenziosamente accesso all’interno della mia bocca.
Come potevo ignorare una simile preghiera?
Aprii leggermente la bocca permettendo alla sua lingua di entrare e iniziare ad intrecciarsi con la mia.
Il suo respiro si faceva sempre più corto, la presa sempre più ferrea.
Mi stupii nel costatare che anche il mio respiro era corto e che mi sentivo … eccitata.
Una stranissima sensazione.
Poi, così come quel bellissimo bacio era iniziato, finì.
Poggiò la fronte alla mia e mi accarezzò coi pollici entrambe le guancie.
Il suo sguardo nel mio.
“È da questa mattina che volevo farlo!” sussurò “Solo che non volevo spaventarti! Insomma tu sei ad anni di distanza da casa tua! Sei sola! Non potevo sapere che reazione potessi avere!”.
“Desideravo farlo anche io!” dissi sottovoce “Dannatamente!”.
Sorrise radioso a quel mio commento. Poi trasse un sospiro profondo.
“Fame?”.
“Molta!”.
“Fantastico! Vieni che ti insegno a cucinare!” e prendendomi per mano mi guidò in cucina.
Aprì l’armadio argentato che conteneva il freddo.
Ripesai quando lo avevo aperto io quella mattina e rabbrividì.
“A cosa serve?”.
“A tenere al fresco il cibo! Così dura più a lungo!” sorrise. Semplice dopotutto.
“Mmm vediamo un po’ cosa c’è qui …” disse ispezionando quello che lui chiamava frigo.
“Ti piacciono i pomodori?”. Annuì contenta che ci fosse qualcosa di simile anche dalle mie parti.
“La mozzarella?”.
Lo guardai con un grosso punto interrogativo stampato in faccia.
“Naturalmente no!” rispose lui per me “Fantastico! Ti farò una cena semplice ma buonissima!”.
Da un altro armadio estrasse una pentola, essa aveva dimensioni minori rispetto alle pentole alle quali ero abituata. La riempì d’acqua e… accese del fuoco!
O almeno, il fuoco sembrava essersi acceso da solo! Lui aveva premuto un pulsante, si era sentito un ticchettio sommesso, e la fiamma era comparsa.
Che stregoneria era mai quella?
“Come hai fatto?” domandai esterrefatta.
“E’ semplice, vieni!”. Mi avvicinai a lui obbediente e lui si pose alle mie spalle. Fece aderire il suo corpo al mio. Eravamo così vicini che il suo respiro lo sentivo sui miei capelli. Con una mano mi pese l’avambraccio e lo condusse verso il bottone che aveva usato poco prima. Lo presi tra il pollice e l’indice.
“Ruotalo!” mi ordinò. Lo ruotai e la fiamma scomparve.
“Wow!” . Lo sentii ridere dagli sbuffi d’aria che giungevano sui miei capelli.
“E il bello deve ancora venire! Adesso devi ruotarlo nell’altro senso e contemporaneamente tenerlo premuto!”.
Feci come mi aveva detto. Risentimmo il ticchettio e la fiamma ricomparve.
Ero così felice che avrei fatto i salti di gioia.
“Ce l’ho fatta!!!!” gli gettai le braccia al collo entusiasta. Poi mi ripresi non appena incontrai i suoi occhi. Così  vicini. Piacevoli brividi mi solleticarono la schiena.
Sorrise malizioso.
“Non devi venirmi così vicina! Potrei non rispondere più delle mie azioni!”. Insomma, parole da gentiluomo.
Sciolsi l’abbraccio e fissai il pavimento imbarazzata. Pose due dita sotto il mio mento e mi costrinse, dolcemente, ad alzarlo. Di nuovo incontrai quelle pozze verdi.
“Sei bellissima, lo sai?”. Mi sentii andare in fiamme con così tanto impeto che mi ci volle una buona dose di autocontrollo per non urlargli di buttarmi addosso dell’acqua per spegnere il fuoco.
“G-grazie!” di nuovo gli occhi a terra.
“Allora cuciniamo?”.
Annuì lieta che mi desse una distrazione per togliermi l’imbarazzo. Quel ragazzo mi capiva in un modo straordinario. Nemmeno io riuscivo a capirmi con una tale perfezione.
Lo colsi a guardarmi mentre lavorava in cucina.
“Perchè mi guardi?”. Sorrise come se non potesse sfuggire a quella domanda.
“Oggi, mentre guardavi le stelle a planetario, sembravi a casa. Ti vedo a casa quando fissi l’universo, è strano. È per questo che ti ho paragonata ad una stella senza cielo. La MIA stella senza cielo”.
Si sbagliava. Un cielo dove abitare per l’eternità ce lo avevo. Era un cielo magnifico, color verde smeraldo, il cielo che mi donava lui ogni volta che mi guardava. Io lì ero a casa.






Eccomi di ritorno con un nuovo capitolo, che ne pensate???

Voglio ringraziare di cuore  
 AlyDragneel   shadowdust    xxStellina92xx       grazie per aver recensito i miei capitoli, ve ne sono infinitamente grata!!!!
come farei senza di voi?? :)
naturalmente ringrazio anche chi ha messo la mia storia tra le seguite, le ricordate e le preferite!!!
grazie ad ogniuno di voi! vi dedico ogni singola parola di questa storia!!! ;)
ci sentiamo al prossimo capitolo!!!
Daisy



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Capitolo 10
*** The Present -- 8 ***


THE PRESENT – 8
 

Dagli eventi più inaspettati può nascere qualcosa di fantastico …
… qualcosa di magico …
… qualcosa di cui solo le stelle saranno testimoni.
Nasce
l’amore …

 

 
 
Le mie prime ventiquattrore con Eric segnarono l’inizio del periodo più bello della mia vita. I giorni seguenti trascorsero tra dolci baci rubati, che lasciavano sapore di cielo sulle mie labbra, e sorrisi.
Sorridevamo sempre.
Come due idioti, ubriachi dell’essere fianco a fianco, inebriati dall’esserci incontrati per pura fortuna in quella sera in cui io ero giunta in questo lontano mondo.
 Pian piano avevo imparato a conoscere il suo universo, quello in cui lui era nato e cresciuto. Memorizzavo termini, cose, conoscevo persone, compravamo oggetti, vestiti, andavamo a feste.
All’inizio non era stato facile. Uno dei momenti più imbarazzanti fu quando mi presentò ai suoi amici.
Facevano tutti i finti perfettini e non appena avevano individuato la mia mano intrecciata in quella di Eric, mi avevano squadrata da capo a piedi.
Una di loro era stata particolarmente fastidiosa.
Si era avvicinata a me facendo ondeggiare i fianchi e mi aveva rivolto un sorriso falsissimo.
Poi aveva allungato la mano verso di me.
“Io sono Jasmine!” aveva cinguettato.
“Cassidy!” risposi senza stringerle la mano. Ancora non ero a conoscenza di quella strana usanza.
Lei lasciò cadere il braccio leggermente infastidita dalla poca confidenza che le avevo dato.
Poi aveva dato una rapida ma scrupolosa occhiata al pub dove eravamo, come se si volesse assicurare di essere sola con me. A quel punto mi si avvicinò come se volesse farmi una confidenza.
Dovevo ammettere di essere parecchio curiosa.
“Cosa c’è precisamente tra te ed Eric?”.
Domanda a bruciapelo. Arrossì violentemente, ma abbassai il viso per non farle cogliere il mio imbarazzo.
Troppo tardi.
“Ah-ah! Lui ti piace!” il suo tono era quasi derisorio. Cercai di non farmi sottomettere da quella ragazzina qualunque, dopotutto lei non era nessuno, io, invece, ero la nipote di Tycho Brahe.
“Devi sapere …” continuò gongolando delle sue stesse parole “… che io e Eric stiano insieme!”.
Ancora inesperta, non capii a fondo il significato di quella frase, così la guardai perplessa e lei scoppiò in una fragorosa risata.
Una risata falsa. Poi il suo tono di voce divenne tagliente.
“Siamo f-i-d-a-n-z-a-t-i! ti è chiaro adesso il concetto? Quindi giù le manacce da lui!”.
Le rivolsi uno sguardo stupito e ferito.
Sul mio cuore si formarono numerose crepe, crepe destinate a crollare pochi minuti dopo.
Crepe che rendevano tremendamente fragile quel mio piccolo, ma vitale, organo.
“Menti!” dissi alzando lo sguardo e rivolgendomi a lei con tono di sfida. Non mi sarei fatta mettere i piedi intesta da quella nullità.
“Scommettiamo?” domandò.
A quel punto a gran voce chiamò Eric, che distava a pochi passi da noi e che stava chiacchierando con altri suoi amici.
Lui si avvicinò con quei sui splendidi occhi verdi e quel meraviglioso sorriso.
Ricordo di aver pensato che non poteva essere fidanzato, dopotutto erano giorni che baciava solo me.
Poi ebbi una consapevolezza improvvisa.
Anche io ero fidanzata, con Johannes, ma baciavo lui!
Come potevo allora frenare le lacrime di fronte a ciò?
Lei si avvicinò e sfiorò le morbide e sensuali labbra di Eric con le proprie.
Tale scena mi provocò una dolorosa fitta alla bocca dello stomaco. Non sapevo come si chiamasse quel sentimento, ma mi stava divorando e non era piacevole. Avrei voluto prendere a pugni quella ragazza, seriamente. I pensieri che attraversavano la mia mente erano così violenti e dolorosi che iniziai a credere di essere posseduta da chissà quale forza oscura e maligna.
Due si staccarono. Jasmine con un sorriso compiaciuto e Eric sconvolto.
“Jas, io e te NON STIAMO PIU’ INSIEME!! Ti è chiaro?” domandò ormai in collera il bel ragazzo dagli occhi verdi.
A tali parole anche Jasmine si incollerì.
“E stai con questa qui?” disse indicandomi con disprezzo.
“Vale mille volte te!”.
Rimasi colpita nel profondo da quelle dolci parole. Le aveva pronunciate con un tono dolce, quasi adorante. Come potevo rimanerne indifferente? Semplice, non potevo.
Poi mi circondò la vita con un braccio e mi baciò la fronte, come per sottolineare la veridicità della sua affermazione.
Poi mi condusse via con se, ci lasciammo così alle spalle una Jasmine fin troppo arrabbiata.
Il mio cuore traboccava di gioia, non ne conoscevo ancora la ragione, sapevo solo che la parola felicità andava a braccetto col nome Eric e ciò mi faceva sorridere.
“A te va bene se ci mettiamo insieme?” mi chiese dopo qualche minuto di silenzio, fissandomi con quegli occhi luminosi.
“Intendi dire che vuoi fidanzarti con me?”.
Lui ridacchiò.
“Direi di sì, mia dolce stellina!”.
Sorrisi come un’ebete di fronte a quelle semplici parole. Come potevano i suoni che uscivano da quella bocca crearmi così tante emozioni?
Mi alzai in punta dei piedi e lo baciai sul naso, poi mi allontanai soddisfatta.
“Hai sbagliato mira!” mi disse sogghignando e, prendendomi il viso tra le mani, fece aderire la sua bocca alla mia.
 
A parte quell’episodio legato a Jasmine, fui accolta con entusiasmo tra gli amici di Eric, tanto è vero che iniziavo ad adorare la mia nuova vita.
Quelle poche volte in cui avevo nostalgia di casa o che provavo risentimento per la cattiva condotta di Johannes,Eric mi abbracciava e mi cullava sussurrandomi paroline dolci, finchè non mi tranquillizzavo.
Vivevo in una favola stupenda. Una favola senza fine.
“Voglio farti conoscere il mio di mondo!” esclamai un giorno, circa due mesi dopo il mio arrivo. Lui sorrise all’idea! Dopotutto lui sapeva ben poco di me, ed era ansioso di conoscermi meglio.
“Caspita, se ti avessi incontrata prima che finissi le superiori avrei studiato la storia molto più volentieri!”.
“No, il mio mondo non è confinato nella storia!” esclamai.
Nei miei mesi di permanenza in quella grande città avevo scoperto una piccola collinetta. Si trovava in un campus universitario, quello dove studiava Eric. Volevo condurlo lì.
Quando arrivammo ormai era notte inoltrata e lo vedevo visibilmente preoccupato.
“E’ tardi Cassidy! Torniamo a casa!” mi intimò.
“E vuoi perderti il mio mondo?” ribattei innocente.
“MAI!” disse sorridendo e scuotendo la testa. Per lui era impossibile non darmela vinta.
“Non ci vorrà molto!” gli assicurai.
Il suo volto fu illuminato da un sorriso furbo, mi prese in braccio e si mise a correre sulle pendici della collinetta.
“Non ho dubbi!” ansimò per lo sforzo.
Arrivammo ben presto in cima. Io ridevo perché lui si rifiutava di farmi scendere dalle sue dolci braccia.
“E adesso?” fu la sua domanda.
“Bè dovresti sdraiarti!” . mi chiesi come avrebbe fatto a mettersi supino se non voleva far toccare terra ai miei piedi, ma lo avrei scoperto presto.
Lui assunse un’espressione dolcissima e, chinandosi, mi posò a terra. Nel farlo le nostre labbra si sfiorarono e le farfalle cominciarono, per l’ennesima volta, a vorticarmi nello stomaco. Era una continua magia stargli accanto. Era una delle esperienze più belle della mia vita. Mi correggo: ERA L’ESPERIENZA PIU’ BELLA DELLA MIA VITA!
Lui prese posto accanto a me e mi guardò.
“Allora? Il tuo mondo dov’è?” era impaziente.
Sorridendo alzai una mano al cielo e la mossi da sinistra a destra.
 “Eccolo il mio mondo!”.
Il cielo ci sovrastava silenzioso e da quella postazione si potevano vedere molte più stelle di quelle che si sarebbero viste normalmente a Milano. La loro luminosità era interrotta e disturbata dalla luna, ma come potergliene fare una colpa? Era anch’essa così bella.
Rimanemmo in silenzio ad ammirare la volta celeste per diversi minuti. C’era qualcosa di magico lassù e quella magia mi aveva completamente stregata. Le stelle silenziose avevano ascoltato le mie numerose preghiere di raggiungerle e di stare con loro. Ma lo avevano fatto in modo originale. Avevano mandato la loro magia da me. Mi avevano mandato una stella. Quella che illuminava le mie giornate dalla mattina alla sera, quella stella dagli occhi verdi brillanti.
Le ringraziai tacitamente.
“E’ bellissimo il tuo mondo!” disse assorto Eric.
“Loro sono bellissime!” continuò riferendosi agli astri luminosi “Ma MAI BELLE QUANTO TE!” disse guardandomi.
Riaffiorò nella mia mente Johannes che mi diceva che io ero bella quasi quanto loro. Era lì che avevo capito che non mi avrebbe mai amata.
La felicità si impadronì di me come un fiume in piena e riempì ogni mia singola cellula.
Preferiva me. Lui preferiva me!
Gli gettai le braccia al collo euforica mentre ridevo.
“Hei!” il suo tono era dolce “Piano, o mi strozzerai!” scherzò.
Mi staccai.
“Il mio mondo non si trova solo lassù!” gli sussurrai.
“E’ anche qui accanto a me! Stasera sono nel mio mondo perfetto!”. Il suo sguardo si illuminò e il suo viso fu reso perfetto dalla gioia che lo invase. I suoi occhi sembravano risplendere di luce propria. Mi cinse la vita con un braccio e mi baciò lievemente.
“Ti amo più di qualunque altra cosa esistente sulla terra o nello spazio!”.
Il mio cuore prese a battere all’impazzata, traboccava di felicità immensa.
“Ti amo più di qualunque altra cosa esistente sulla terra o nello spazio e nel tempo!” risposi.
Il suo sorriso si aprì ancora di più.
“Il nostro amore va oltre il tempo e lo spazio … è incredibile!”.
“Incredibile e bellissimo!”.
Le nostre labbra si incontrarono desiderose.
Nel baciarci lui si pose sopra di me, regalandomi un mucchio di sensazioni splendide.
Sentire il suo peso mi faceva sentire viva. Le sue mani iniziarono a esplorare il mio corpo e il mio respiro si fece sempre più corto.
I nostri cuori battevano sincronizzati all’impazzata e i nostri vestiti sparirono ben presto.
Tutto quello era nuovo per me, ma non potevo far altro che fidarmi di quegli stupendi occhi verdi che eric possedeva.
“Ti amo!” sussurrai nel suo orecchio.
Lui sorrise come se gli avessi detto la cosa più bella del mondo e si tuffò sul mio collo.
 Solo le stelle furono consapevoli di quel che successe dopo.
 
 


Ok. Non mi uccidete!
Non potevo mettere la scena di sesso! Insomma avete presente Cassidy? Così dolce e timida non sarebbe stato coerente se avesse descritto nei minimi dettagli tutto il loro rapporto no??
Vi annuncio con piacere, ma anche con un pizzico di amarezza, che questo che avete letto è il terz’ultimo capitolo!!
La storia è quasi finita!
Fatemi sapere cosa ne pensate anche tramite messaggio privato se siete timidi/timide e non volete lasciare una recensione!!!
Devo ringraziare 

shadowdust
xxStellina92xx
AlyDragneel
come farei senza le vostre recensioni??? mi date sempre la forza e la spinta necessaria per scrivere!!
E ringrazio di cuore anche quelli che seguono questa mia storia o l’hanno messa tra le preferite o le ricordate! siete pochi, ma buoni!!! :)
Se vi va vi lascio il link dell’altra mia storia, diciamo quella a cui tengo di più.
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=933169&i=1
Se volete farci un salto siete le benvenute!
Stop ho finito!
Al prossimo capitolo!
Daisy.

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Capitolo 11
*** The Present -- 9 ***


THE PRESENT -- 9
 

Due anni …
… possono sembrare tanti …
… possono sembrare pochi …
… ma è il tempo sufficiente affinchè la vita possa sconvolgersi totalmente …
… e affinchè tutto possa ritornare com’era …

 

 
 
Due profumate e ben conosciute mani mi vennero poste sugli occhi.
“Chi sono?” chiese il proprietario di quei dolci arti, con finta voce acuta.
“Questa dovrebbe essere una voce femmile?” chiesi divertita “Non è molto credibile!”.
“Ti ho fatto una domanda!” rispose lui con quella vocetta assurda. Ridacchiai.
“Sei Eric!” risposi rassegnata.
“Risposta sbagliata!” disse lui. Sorrisi e mi voltai di scatto. Incontrai i suoi occhi.
“Ciao Eric!”.
“Uff …!” disse fingendosi imbronciato. “Potevi fingere che non sapessi chi ero!”.
“Hai ragione!” gli sussurrai all’orecchio “Potevo …”.
Lo abbracciai felice.
“Sai che giorno è oggi?” chiese dandomi un leggero bacio sulle labbra.
“Lunedì?” chiesi cercando di ricordare se in quel giorno cadeva qualche ricorrenza. Lui scosse la testa.
“Mmm S.Valentino?”.
“Nono!” rispose sempre più divertito.
“Aiutino?” chiesi facendo gli occhi dolci e accoccolandomi a lui. Sorrise. Conosceva la tecnica.
“Due anni fa una dolce stellina è caduta giù dal cielo, e pensa un po’ dov’è caduta? Addosso al sottoscritto!”.
“A dir la verità è il suddetto sottoscritto ad essere caduto addosso alla stellina!” precisai. Lui sorrise.
“Dettagli! Comunque stellina, ho una sorpresa per te!”.
“Davvero? Dimmi dimmi!” esclamai euforica come una bambina.
“No no, se no che razza di sorpresa sarebbe?” chiese. Prese una benda e mi coprii gli occhi. Andammo in giro per la città così, io bendata e lui che, divertito, mi guidava tenendomi per mano. Mi sentivo una perfetta idiota, ma allo stesso tempo ero la donna più felice del mondo. Giunti a destinazione i miei occhi furono di nuovo liberi di vedere.
“Dove ci troviamo?”. Eravamo davanti ad un cancelletto, oltre il quale non si vedeva niente.
“Ricordi tutte le domande che avevi sull’universo?” annuii senza capire dove volesse arrivare “Bè io non ho più potuto risponderti e quindi ho pensato che avrebbe potuto farlo qualcun altro al posto mio!”.
Infatti dopo il mio arrivo Eric, rimasto affascinato dal modo in cui avevo viaggiato nel tempo, aveva abbandonato la facoltà di astronomia e si era iscritto a fisica quantistica, mosso dal desiderio di capire come fosse stato possibile ciò. Quindi buona parte delle mie domande erano rimaste irrisolte.
“Hai un appuntamento col professor Lerkep, di Ginevra. Lui ti farà fare un giro per l’osservatorio e potrai fargli tutte le domande che desideri!”. Non potevo credere alle mie orecchie! Iniziai a saltare per la felicità, ad abbracciarlo e a baciarlo sul viso. Lui, dal canto suo, aveva un sorriso entusiasta e anche un po’ compiaciuto: sapeva che il regalo mi sarebbe piaciuto!
“Adesso calmati!” mi intimò, poi mi prese per mano.
“Pronta?” citofonò e ci furono aperte le porte del paradiso …
 
 
Un uomo sulla cinquantina mi porse la mano. “Giovanni Lerkep! Piacere.”
Il professore mi  scrutò un attimo con aria interessata poi disse “Lei somiglia in un modo impressionante ad una donna che conobbi molto anni fa. Entrambe bellissime!”. Sorrisi al complimento, che adulatore!
“Prego seguitemi!” disse facendoci entrare in una stanza circolare. Al centro di essa si trovava un’enorme macchinario, sul quale troneggiava una grossa cupola. Quello era il telescopio.
“Mancano ancora un paio d’ore perché possiate ammirare il cielo in tutta la sua maestosità. Quindi nel frattempo accomodatevi …” disse indicandoci delle poltroncine “… e ponetemi tutte le domande che volete”.
Emozionata, trassi un profondo respiro e iniziai da ciò che i stava più a cuore.
“Lei conosce vero un certo Tycho Brahe, vero?” egli annuii, visibilmente sorpreso dalla domanda. Non se l’aspettava. Guardai Eric alla ricerca di sostegno. Lui mi sorrise.
“Ecco, di recente sono venuta a conoscenza di un suo interessante studio, riguardante stelle che appaiono e scompaiono nel giro di pochi anni” continuai. L’uomo annuii.
“Sì ricordo bene! Le Cassidy …” spiegò “In realtà si tratta di stelle molto lontane da noi, stelle che non sono visibili ad occhi nudo, ma che improvvisamente esplodono. Così diventano più grandi e ci appaiono, si chiamo supenove. Ma quando la loro fase esplosiva  termina diventano infinitamente piccole e di conseguenza a noi sembra che scompaiano.
Signorina, Tycho Brahe rimase incantato da tale stella. Divenne la sua ossessione, pensi che persino sua nipote prese tale nome. A proposito lei le somiglia in un modo impressionante!”.
Lo fissai sbarrando gli occhi. Non sapevo che ci fossero in giro delle mie immagini, e la conoscenza del mio aspetto mi intimorì. Cercai di correre ai ripari.
“A dir la verità, ho scoperto di essere una sua lontana discendente, magari è dovuta a questo fatto la somiglianza” azzarda.
“Oh interessante!” disse.
Cercai di cambiare argomento ponendo un’ulteriore domanda.
“Copernico aveva ragione riguardo al moto dei pianeti, o aveva ragione mio z… volevo dire il mio antenato?”. Il professore mi guardò con sospetto. Era lampante che le mie parole non lo convincessero affatto.
“In realtà nessuno dei due!” affermò “Copernico si era avvicinato alla soluzione, ma credeva che le orbite dei pianeti fossero circolari e che la velocità di rivoluzione dei pianeti fosse costante! KEPLERO aveva ragione!”. Strinsi i pugni al solo sentirlo nominare. L’uomo lo notò.
“Non le va a genio il personaggio?” chiese quasi ostile.
“Assolutamente no!” mi guardò incredulo della mia risposta  “Credo sia stato un uomo meschino, ha usato il signor Brahe, si è servito dei suoi studi per dimostrare che aveva torto! Lo ha reso ridicolo!”. Mi scaldai.
Il professore si levò in piedi sotto lo sguardo sbalordito mio e di Eric “Johannes Kepler era un GENIO! Tycho un IDIOTA!”. La collera non lasciava spazio ai pensieri.
Sembrava che a al professore stesse molto a cuore quella questione.
“Ah si? Come si permette?”.Gli sbraitai contro.
“Johannes amava le stelle, le amava più di qualsiasi altra cosa … di qualsiasi altro essere umano!” ribattè con fierezza mentre gli occhi gli brillavano.
Fu in quel momento che dei lontani ricordi riaffiorarono nella mia mente.
Ricordai lo sguardo che aveva assunto Johannes quando, rapito, mi aveva detto che ero bella, ma mai quanto le stelle.
Fu quello il momento in cui avevo capito che non mi avrebbe MAI amata davvero.
Rividi quello sguardo in quell’uomo che rosso di rabbia stava difendendo Johannes.
“Amava l’etere …”osai.  L’uomo ammutolii alle mie parole sbarrando gli occhi. Sembrava terrorizzato.
Così continuai con maggiore sicurezza“La quinta essenza … quella che riempie il vuoto …”. Avevo fatto ricerche sull’argomento.
“L’etere non esiste!” tentò lui sempre più stravolto.
“Ha ragione professore, perché l’etere che amava il nostro Johannes non era l’etere mitologico che riempiva il vuoto, bensì altro vero? E mi dica … l’etere permette i viaggi temporali?”. Ormai il terrore nei suoi occhi era stato sostituito dalla rabbia. Grazie alle sue evidenti reazioni alle mie domande ebbi la conferma di ciò che poco prima avevo intuito. E lui, dal canto suo, aveva capito chi ero.
“Ma cosa sta succedendo?” chiese il mio dolce Eric preoccupato.
Sorrisi.
“Eric, ti presento il mio ex promesso sposo, Giovanni Keplero!”. Gli occhi del ragazzo si spalancarono increduli. L’uomo rise. Una risata amara.
“Cassidy … sono secoli che mi chiedo dove tu sia finita!” disse malefico, con un ghigno sulle labbra.
“Sono secoli che aspetto vendetta!” sibilai con tutto l’odio che avevo in corpo.
“Bene!” e detto questo tirò fuori dalla tasca una provetta piena di una sostanza viscosa e argentea. Una sostanza che conoscevo bene. Etere.
Ghignò.
“Arrivederci mia dolce Cassidy …” disse lanciandomi addosso il contenuto.
Capii immediatamente cosa stava per succedere. Non appena l’Etere mi avrebbe sfiorata sarei stata catapultata in un altro tempo.
E non volevo.
 Io volevo Eric. Sopra ogni cosa.
Fu lui l’ultima cosa che vidi, spaventato e con tante domande sul volto. I suoi occhi verdi mi imploravano silenziosamente di non andare via, di stare con lui.
Non fu il buio che mi avvolgeva a farmi male, ma fu il suo urlo agonizzante a distruggermi il cuore in tanti piccoli frammenti, l’urlo di un uomo innamorato che perde il suo amore.
Ci saremmo più ritrovati?
In quel momento ricordai il desiderio che avevo espresso mentre toccavo l’Etere per la prima volta, ovvero quello di essere lontana nel tempo e nello spazio da quella che consideravo casa mia.
 Ricordai che quel desiderio si era realizzato nel migliore dei modi.
Così, non potendo fare altro, desiderai.
Desiderai di finire dove avrei potuto vendicarmi, e non solo del passato, ma anche del presente. Quell’uomo, dopo  tutto aver agito solo secondo i suoi principi e non quelli della morale umana, e in più era riuscito a separarmi da parte integrante del mio mondo, Eric. Ma il mio amore sarebbe sopravvissuto.
Fa che arrivi dove possa cambiare il destino.
Questa fu la mia tacita preghiera mentre mi sentivo risucchiare, come due anni prima, verso l’alto,solo che sta volta non sarei finita tra le stelle, perché senza di Lui le stelle erano nulla.



 ______________________________________________________________________________

Eric aveva capito solo alla fine cosa stava accadendo. Vide Cassidy sparire non appena venne toccata da quella strana sostanza argentata.
 Aveva compreso. Era l’Etere che le aveva permesso di viaggiare nel tempo, anche se lei non gliel’aveva mai raccontato apertamente.
Vedendola sparire il cuore gli si frantumò e un dolore forte sembrò squarciargli il petto.
Dolore misto a furia.
“Noooo!” urlò ormai impotente. Gli occhi gli si fecero umidi, le nocche bianche a causa della stretta troppo forte dei suoi pugni. Si voltò verso il professore che lo guardava ghignando.
Come poteva sorridere di fronte ad una tragedia del genere?
Eric non riusciva a spiegarselo.
Sapeva solo che era colpa di quel viscido uomo se la sua Cassidy non era al suo fianco, se lei non lo abbagliava con la sua bellissima luce. Era diventata, in quegli anni, il suo sole. E si sa, senza sole la vita non esiste. La vita di Eric si stava sgretolando pian piano.
“Tu!” lo minacciò indicandolo. Il sorriso di Keplero, inspiegabilmente, si tramutò in una smorfia di paura.
Paura mista a dolore.
Poi, in una frazione di secondo scomparve nel nulla.
Eric assistette sbalordito alla scena dopo di che urlò finchè ebbe fiato.
Era furioso con quell’uomo che gli aveva portato via l’unica persona che davvero contasse nella sua vita, contro il quale non poteva neppure assaporare il dolce gusto della vendetta.
 Accecato dalla rabbia tirò un pugno contro al muro immaginando che fosse quel dannato uomo.
Inavvertitamente, con tale gesto, azionò il pulsante di apertura della cupola. Le stelle, ormai sorte, gli si mostrarono pian piano nel loro massimo splendore.
Respirò a fondo guardandole. Dovunque lei fosse, quello era il cielo che la sovrastava e Eric era consapevole che lo avrebbe guadato pensando a lui, come lui avrebbe pensato a lei.
Come la stella osservata da Brahe, lei era comparsa dal nulla nella sua vita, vi era rimasta per due anni, per poi sparire di nuovo nel nulla, ma l’avrebbe ritrovata. Non poteva perderla. Era una parte di lui. La parte migliore.
“Ti ritroverò Cassidy!” urlò al cielo. Poi, ormai distrutto, crollò a terra e si lasciò sommergere dalle lacrime.

 

 

Il dolore trova sfogo nelle lacrime …
… il dolore trova sfogo nella rabbia …
… e infine, il dolore trova sfogo nella vendetta.
Ah! Dolce vendetta!

 

 
 
E anche il penultimo capitolo è andato!!
Si avvicina la fine!!!
Non vedo l’ora di sapere cosa pensate di questo capitolo!! Sono curiosissima!
Solo… non mi uccidete, abbiate pietà… la loro separazione era necessariamente necessaria!
Spero apprezzerete ugualmente le mia scelta.
Finalmente una piccola parte dal punto di vista di Eric! E Lerkep è l'acronimo di Kepler!!
Un ringraziamento speciale a chi ha recensito.
Io vi adoro!!!  : )
Vi ringrazierò meglio nel prossimo capitolo insieme a chi ha seguito la mia storia o l’ha messa tra le preferite o ricordate!!
Commentate!
Daisy

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Capitolo 12
*** The Future -- 1 ***


Assicuratevi di aver letto il capitolo precente altrimenti questo potrebbe risultare incomprensibile.
che altro dire? ah sì! questo è l'ultimo capitolo!
buona lettura!
Daisy.


THE FUTURE – 1
EPILOGUE

 

Questo è un amore tra due persone diverse …
… vissute a lungo lontane per poi trovarsi …
… questo è un amore sincero ed eterno …
… questo è un amore che sfida tutte le leggi del mondo …
… Un Amore  che va oltre il tempo e oltre lo spazio …
… un amore di cui solo le stelle sono testimoni silenziosi …
… un amore così non esiste sulla terra …
… ma solo TRA LE STELLE.

 

 
 
Tra tutti i posti dove mi aspettavo di tornare, casa mia era l’ultimo dei miei pensieri. Mi trovavo dove tutto era cominciato, nello studio di Johannes. Avevo in mano la bacinella contenente Etere. Mi affrettai a posarla. Sentivo le urla dello zio che sbraitava contro Kepler e mi tranquillizzai. Avevo un po’ di tempo. Sapevo che dovevo cercare qualcosa, qualcosa per capire così presi in mano tutti i numerosi fogli che teneva sulla sua scrivania, li raccolsi e li portai in camera mia. Dopo di che presi anche la bacinella e la portai con me.
Iniziai così la mia ricerca e ben presto scorsi delle pagine strappate da un libro.
 
I figli delle stelle possiedono polvere di stelle.
 
Vicino a tale appunto c’era scritto il mio nome. Perplessa continuai a leggere.
 
Dopo aver individuato i figli non è difficile prender loro la polvere di stelle. Essa impregna tutto il loro essere, bisogna solo poter stare loro vicini e far sì che si fidino di voi. Più un figlio di stelle vi amerà più la sua polvere sarà potente.

 
Vicino in corsivo, troneggiava la parola matrimonio. Deglutii.
 
Da tali polveri magiche si possono sintetizzare molte sostanze quali:
-Etere. Esso, se versato addosso all’interessato, permette di viaggiare nel tempo e nello spazio.
-Elisir di lunga vita: composto sempre da etere, ma deve essere bevuto.

 
Lo stupore si impadronì di me, stupore misto a comprensione.
Ecco la spiegazione di come Kepler era giunto fino ai giorni di Eric: o aveva usato l’Elisir o aveva viaggiato nel tempo, ma ero più propensa a credere alla prima ipotesi.
Sentii il bisogno di parlare con la mia governante. Non appena la chiamai lei arrivò immediatamente.
“Giada …” iniziai “Sono realmente figlia di mia madre?” chiesi. Poteva apparire una domanda strana, ma volevo capire perché  Keplero aveva scritto il mio nome a fianco al termine ‘figli di stelle’.
A tale mia richiesta gli occhi le si riempirono di lacrime.
“Certo!” rispose singhiozzando. Chissà perchè, ma la sua reazione mi fece intendere che mentiva spudoratamente.
“So che non è così!” dissi sicura, asciugandole una lacrima che le era sfuggita dagli occhi.
“Che avete signorina?” mi chiese tra i singhiozzi trattenuti malamente.
“Sembrate così … donna, siete cresciuta, siete determinata e … “
Continuai io al suo posto “Disposta a tutto per riabbracciare l’uomo che amo!”.
Quanto erano vere quelle parole.
Al solo pensiero di Eric un enorme macigno mi si posò sul cuore che senza di lui sembrava essere così infinitamente fragile.
“Oh il signor Kepler!” sospirò Giada, che aveva frainteso le mie parole, coprendosi il viso con le mani.
“No, non lui!” dissi abbracciandola “Uno che vale dieci volte lui, se non di più!”.  Sta volta il ricordo di Eric mi fece sorridere, ma poi ricordai che era lontano e che dovevo agire, non potevo distrarmi. La donna intanto era felice che io non fossi innamorata di Johannes, considerando che non aveva mai voluto quel matrimonio.
“Giada … devo sapere!” la incitai.
“Allora si sieda, bambina”. Feci come diceva.
“Tua madre ti trovò una mattina davanti alla porta di casa e decise di accoglierti con se. Era una donna di buon cuore, perciò fu spinta a tale gesto. Non sapeva da dove tu venissi, ma ti ha amata dal primo istante che ti ha vista. Tuo padre non era convinto che tu fossi una trovatella, infatti credeva che tua madre lo avesse tradito, così la trattava sempre come una sgualdrina, riducendole a brandelli cuore. Lei amava quell’uomo, ma di fronte alla sua violenza fu costretta a fuggire. Fu così che ti lasciò al fratello. Tuo zio una volta mi ha detto una frase molto insolita, disse che tu eri figlia delle stelle e che ti avrebbe amata come amava loro”.
Figlia delle stelle.
Allora era vero. Stentavo a crederci, ma d’altra parte mi sembrava quasi ovvia come conclusione, dopotutto io mi ero sempre sentita un tutt’uno con quegli astri.
E mio zio l’aveva sempre saputo, ma non mi aveva mai usata. Kepler invece non si era fatto nessun problema a tal riguardo. Giada non aveva compreso quale grossa conferme la sua breve storia mi aveva dato, lei pensava che quell’appellativo datomi da mio zio fosse solo un vezzeggiativo. Ma non lo era.
“Grazie Giada! Puoi andare!” la abbracciai e la donna uscii. Continuai la mia lettura.
 
Una volta utilizzato l’Etere svanisce, diventa nulla.  Per questo usatelo con moderazione, soprattutto se non avrete un figlio di stelle a disposizione per sempre, ricordo che bastano poche gocce.
 
Sorrisi. Sapevo cosa dovevo fare.
Improvvisamente la porta della mia camera si spalancò ed entrò tutto trafelato Johannes. Non il Johannes cinquantenne, ma quello trentenne che mi era stato promesso in sposo.
Vidi il suo sguardo colmarsi di incredulità mentre comprendeva che i fogli sparsi sul mio letto erano i suoi appunti. I suoi occhi mi fulminarono quando videro la bacinella di Etere accanto a me. La presi in mano.
“Cosa fai?” mi chiese con voce esageratamente acuta. Aveva paura.
“Ciao Johannes!” lo salutai ghignando, ormai consapevole di avere il coltello dalla parte del manico. Lo vidi rabbrividire al suono freddo della mia voce.
“Non ti preoccupare caro. Questa è la tua unica risorsa di Etere?” sibilai. Lui annuii pallido. Il mio sorriso si allargò.
“Kepler Johannes, tu umilierai mio zio, diventerai famoso screditandolo, vivrai per 400 anni prima di rincontrarmi, e quando ciò accadrà tu mi separerai dal mio unico grande amore. Per tutto ciò io-ti-odio”.
Lo stupore gli si dipinse sul volto che assunse un colore bianco mortale. Non credo che avesse compreso appieno le mie parole, ma poco importava, in quel momento ero solo accecata dall’odio e dal desiderio di vendetta.
“Ed è per questo che ti condanno …” sorrisi soddisfatta “… a vivere una vita normale. Ti darò modo di fare le tue scoperte, forse diventerai famoso e screditerai mio zio, ma non giungerai mai nel ventunesimo secolo per separarmi da chi più amo! Perché vivrai senza Etere”. E così dicendo mi versai tutto il contenuto della bacinella addosso. Perduto per sempre.
Sorrisi mentre riprendevo a viaggiare nel tempo. L’ultima cosa che vidi fu lo sguardo distrutto di Keplero mentre una lacrima gli rigava il volto.
Addio Johannes, addio caro zio, addio Giada.
Giustizia era stata fatta.

 


 
*

 

 

Euforico Eric corse fuori dal convegno degli scienziati e prenotò il primo aereo per Ginevra.
Dopo aver vinto il premio nobel per essere riuscito a individuare dei corpuscoli che superassero la velocità della luce, il mondo non aveva più bisogno di lui. Aveva distrutto le teorie di Einstein dopo lunghi anni di duro lavoro. Poteva ritenersi soddisfatto.
In realtà i suoi studi pubblici servivano per coprire le ricerche su qualcosa sul quale l’umanità non avrebbe mai dovuto mettere le mani. La sintesi dell’etere. Scoprii ben presto dagli appunti trovati nell’osservatorio del professor Lerkep che serviva un figlio di stelle, e Cassidy era una di quelle, sempre secondo gli scritti, ma Cassidy era sparita.
Così aveva impiegato tutte le sue energie e le sue facoltà mentali per costruire un macchina del tempo, e una volta scoperti dei corpuscoli, come i bosoni, i grado di superare la velocità della luce il gioco era fatto. Certo, non sapeva precisamente in che epoca dovesse tornare perciò aveva deciso che il 1600 sarebbe andato più che bene. Forse lei sarebbe stata molto più giovane di lui e probabilmente ancora non l’aveva incontrata, ma era convinto che almeno l’avrebbe trovata.
Ricongiungersi. Questo contava. Sapeva che il loro amore era forte. Aveva fiducia in esso.
Se lei non lo avesse voluto più lui l’avrebbe corteggiata, per mesi, per anni, se fosse stato necessario, e l’avrebbe fatto con estremo piacere.
Emozionato entrò nel suo laboratorio.
Non gli sembrava vero, dopo 10 lunghi anni stava per riabbracciarla.
Col sorriso sulle labbra liberò la grande macchina del tempo dal lenzuolo sotto cui era posta. Era immensa. Andò al computer e inserì le coordinate spaziali e temporali ed entrò nella cabina.
Il macchinario iniziò a funzionare con un rumore assordante e alquanto minaccioso. Ma Eric, non aveva paura, l’immagine di Lei bastava per incutergli una forza straordinaria, che non credeva di avere.
… 3 …
Iniziò la voce metallica del marchingegno.
… 2 …
Focalizzò nella sua mente LEI. Il suo sorriso. La sua ingenuità. La sua passione per le stelle. Gli era sempre piaciuto come le si illuminavano gli occhi quando parlava di esse.
Era proprio una di loro.
… 1 …
Ripensò ai loro baci. I primi erano stati casti, così casti da farlo impazzire. Ma non voleva spaventarla. Sapeva di doverci andare cauto. Poi si erano fatti sempre più profondi e passionali, e pian piano avevano portato all’esigenza di unirsi, unirsi in modo assoluto e definitivo.
Ripensò a quando lui le aveva detto di amarla e di come lei fosse arrossita e gli fosse saltata al collo ridendo come una pazza.
Sorrise di fronte a quei dolci ricordi.
 ... 0 …
Chiuse gli occhi con l’immagine di Cassidy ben fissa nella mente e si sentii risucchiare verso l’alto.
Finalmente. Pensò.

 
*

 

Mentre venivo risucchiata per arrivare chissà dove, il mio moto verso l’alto venne arrestato. Mi ritrovai così sospesa nel buio più totale e completo. Una forte presa mi stingeva le braccia. Intimorita pensai immediatamente a Kepler.
“Cassidy?”. L’ultima voce che mi sarei mai aspettata di sentire emerse dalle tenebre.
“Eric!” esclamai in preda a una gioia incontrollabile. Tutte le cellule del mio corpo stavano esultando. Volevo urlare la mia felicità. Volevo saltare. Non mi sembrava vero!
Ci abbracciammo. Risi “Non ci credo, stavi venendo a prendermi!” gli dissi emozionata.
“Non ti avrei mai lasciata stellina!” confermò. “E tu stavi venendo a prendere me …”.
Sorrisi. “E ci siamo incontrati a metà strada!” conclusi ridendo tra le lacrime che ormai mi rigavano il volto.
Lacrime di pura e incontrollata gioia.
Lo abbracciai nuovamente e cercai le sue labbra. Non appena esse si incontrarono, tante piccole stelle si accesero intorno a noi illuminandoci. Sembrava che mi dessero il bentornata a casa. Tutto il mio mondo era lì, tra le stelle. Eric era senza parole tanta era la meraviglia che ci stava intorno. Mi circondò i fianchi con le braccia e mi chiese “Dobbiamo per forza andarcene?”.
Mi persi in quegli occhi così dannatamente verdi, ammirai i suoi dolci capelli corvini e mossi ricadergli intorno al viso e infine posai il mio sguardo sulla sua pelle illuminata dalle stelle.
Tutto ciò di cu avevo bisogno era lì con me.
Il mio sorriso si allargò ancora di più. “No, non dobbiamo per forza andarcene!” e a quelle parole fummo catapultati nel cielo.
Divenimmo un tutt’uno con esso. Come noi due eravamo un unico essere.

 
Questo è un amore tra due persone diverse …
… vissute a lungo lontane per poi trovarsi …
… questo è un amore sincero ed eterno …
… questo è un amore che sfida tutte le leggi del mondo …
… Un Amore  che va oltre il tempo e oltre lo spazio …
… un amore di cui solo le stelle sono testimoni silenziosi …
… un amore così non esiste sulla terra …
… ma solo TRA LE STELLE.
 
*

Là nel cielo, ogni due anni, compaiono due stelle. Esse viaggiano sempre in coppia e attraversano tutta la volta celeste. Esse non sono comete. Sono solo due innamorati che stanno giocando a rincorrersi lassù. E se chiudete gli occhi potete sentirne le dolci risate. Risate felici e innamorate.



THE END

 
Non riesco ancora a crederci di averlo scritto realmente. Ho scritto FINE!!
È la primissima storia che finisco e anche se non mi piace più tanto non posso far a meno di sorridere!!
Ce l’ho fatta! so che il fnale può essere un po' banale, ma diciamo che è il ritrno di Cassidy a casa, la sua vera casa, era inevitabile :) .
Adesso mi sembra doveroso ringraziare tutti voi che avete avuto la pazienza di leggere questa umilissima storia!!
 
Chi ha recensito:


shadowdust 
AlyDragneel
xxStellina92xx
lysdefrance


Grazie, le vostre parole mi hanno riempito il cuore di gioia, senza di voi non saprei come avrei fatto!
Mi avete spronata ad andare avanti, mi avete fatta ridere. Siete state fondamentali.
 
Ma grazie anche a chi ha messo la mia storia tra le preferite:


Alaire94
   
AlyDragneel 
shadowdust 
xxStellina92xx

le seguite:

C h i a r a 
Clitemnestra_Natalja 
egypta
milly97
Nihal91296

e le ricordate:

brex91 
 
Adesso ci tengo davvero tanto ad un commento su questa breve storia anche da parte di chi ancora non si è fatto sentire! : )
 
Vi lascio il link dell’altra storia che sto scrivendo, se volete farci un salto siete le benvenute:


Passando al capitolo il riferimento a Ginevra non è casuale, lì c’è il Cern e dato che ieri sono andata a vederlo con la scuola come potevo non metterlo?
Nello scorso capitolo, quando Kepler è scomparso è successo perché Cassidy ha eliminato la sua scorta di etere nel passato, quindi è come se lui nel futuro non ci fosse mai arrivato.
Per qualunque domanda io sono qui!
Grazie ancora
Daisy.

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