Un compagno per Flanny Hamilton (storia di un aviatore che atterrò nell’universo candyano)

di Andy Grim
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L’incontro ***
Capitolo 2: *** Lo scontro ***
Capitolo 3: *** Il distacco ***
Capitolo 4: *** La perdita ***
Capitolo 5: *** Il ritorno ***
Capitolo 6: *** L’attacco ***
Capitolo 7: *** Gli sposi di guerra ***
Capitolo 8: *** Il giorno più lungo dei Greason ***
Capitolo 9: *** Chi trova un amico, trova un tesoro ***
Capitolo 10: *** Chi non muore si rivede ***
Capitolo 11: *** Cosa fatta capo avrà ***
Capitolo 12: *** Sorprese di guerra ***
Capitolo 13: *** Anche gli amici tirano gli schiaffi ***
Capitolo 14: *** Buona fortuna, capitano! ***
Capitolo 15: *** Il Preludio ***
Capitolo 16: *** La missione ***
Capitolo 17: *** La notizia ***
Capitolo 18: *** L'incidente ***
Capitolo 19: *** L'amichevole nemico ***
Capitolo 20: *** Gli ordini non si discutono ***
Capitolo 21: *** Una serata piena di sorprese ***
Capitolo 22: *** Un tuffo nel passato ***
Capitolo 23: *** Redde Rationem ***
Capitolo 24: *** Missing in Action ***
Capitolo 25: *** Sull'orlo del precipizio ***
Capitolo 26: *** Il sofferto ritorno all’ovile ***



Capitolo 1
*** L’incontro ***


Capitolo 1: L’incontro

Capitolo 1: L’incontro

 

UCPFH 01

 

A

l termine del suo stato d’incoscienza, il tenente Greason tornò ad aprire lentamente gli occhi, temendo di vedersi nuovamente “troneggiare” davanti la grinta austera del colonnello Hardgison…!

Non era il colonnello… anche se la figura apparsa stavolta davanti ai suoi occhi, benché notevolmente più piacevole, non avesse molto da invidiare in quanto ad austerità!

Alta, slanciata, flessuosa e mora… con l’acconciatura a coda di cavallo, ornata da un semplice fiocco rosso… un viso grazioso, anche se “inseverito” da quegli occhiali con le lenti a spicchio che osservavano con attenzione la sua cartella clinica.

Andy abbozzò un sorriso: “Ehi… salve…!!”

La ragazza lo degnò allora della sua attenzione, negandogli però quel sorriso di ritorno che l’incauto ufficiale sperava di ottenere.

“Come si sente?” gli domandò invece con voce piatta e piuttosto fredda.

Il giovane sentì i muscoli facciali tornare in posizione di riposo: “Mai stato meglio in vita mia…!” rispose comunque, con nonchalance.

L’infermiera corrugò invece le sopracciglia: “Su questo ho seri dubbi…!” ribatté, sempre con tono glaciale.

“Co… come sarebbe…?” balbettò Greason, un po’ sgonfiato.

L’altra tornò a leggere la cartella: “Incrinatura multipla del torace… frattura composta dell’omero sinistro… leggero trauma cranico con sospette complicazioni…” gli rivolse nuovamente uno sguardo severo “…se per lei ciò vuol dire non essere mai stato meglio…!”

L’aviatore deglutì un paio di volte. Per quanto si sforzasse, non riusciva a ricordare alcuna precedente situazione in cui si fosse sentito meno a suo agio!

“Beh, ecco… intendevo solo dire che… mi sentivo meglio a vedere…” la donna lo ascoltava impassibile, con le braccia conserte “…a vedere lei…!” terminò con un sorriso per tentare di essere più convincente.

Sentita la conclusione del suo discorso, l’infermiera riappese con calma la cartella clinica alla pediera del letto. Dopodiché, ostentando una flemma olimpica, si avvicinò lentamente all’altro capo dello stesso. Prima ancora che il malcapitato tenente potesse formulare una qualsiasi congettura, la ragazza appoggiò i palmi delle mani alle due estremità del materasso, incombendo minacciosamente su di lui, col viso atteggiato a nobile rigore…

Istintivamente, Andrew Steve Greason si portò le lenzuola fino al mento.

“Sarà bene mettere in chiaro le cose, tenente” il suo viso non distava che una ventina di centimetri dal suo “se crede che sia stata mandata qui per farle da intrattenitrice, si sbaglia di grosso: io sono qui per occuparmi di lei in senso esclusivamente medico! Sarà bene che assimili questo concetto seduta stante, se non desidera che qui dentro accadano spiacevoli incidenti! Sono stata chiara…?”

L’uomo tornò a deglutire. Pur tenendo conto delle debite differenze, il tono di quella voce risuonava non meno autoritario e perentorio di quello del suo comandante di reparto.

“Sono stata chiara…?” tornò a domandare lei, senza alzare la voce.

Benché si trattasse di una semplice acqua di Colonia, il profumo di quella ragazza stava dando nella testa all’aviatore…

“Sissignora…!” riuscì a stento a balbettare.

“Bene: e adesso si giri sulla pancia.” rispose lei, mimando l’istruzione con le dita.

“Pe… perché…?”

“Perché è l’ora della sua iniezione.”

Meccanicamente, senza più obiettare, Andy fece quanto gli era stato detto, cercando di raccogliere meglio le idee: *Accipicchia, che caratterino! Meno male che è carina, se no… un momento: cos’è che ha detto? Iniezione…??!*

Rivoltatosi di nuovo, rivide l’infermiera nell’atto di preparare una siringa… una siringa con un ago decisamente troppo acuminato per i suoi gusti!

“Ehi, ma… scusi un attimo: ha detto iniezione…?”

“Esatto.” rispose lei terminando di aspirare il liquido dalla fiala.

“Ma… vuol dire che… me la farà lei…?!”

“Qualche problema?” ribatté la ragazza in tono sarcastico, premendo lo stantuffo per eliminare le bolle d’aria. Il tenente Greason si ritrovò a deglutire ancora una volta… ma, facendo appello a tutto il suo proverbiale sangue freddo, rispose risoluto: “Beh, direi! Cioè, insomma… io sono un ufficiale!”

“In questo momento è solo un paziente” rispose, ferma, la ragazza “e, come tale, è tenuto a sottostare senza storie alle prescrizioni del personale sanitario, se tiene alla sua salute… e alla sua idoneità di pilota!”

Colpito dalle sue ultime parole, Andy non si dette tuttavia per vinto: “D’accordo, ma… lei è… è una donna!!”

Senza la minima traccia d’imbarazzo sul volto, la sua interlocutrice ribatté: “No, io sono una crocerossina. E lei - ripeto - è un ferito ricoverato che ha il dovere di farsi rimettere in forma al più presto per essere nuovamente in grado di servire la Patria, come ha giurato di fare per sua stessa libera scelta. Conosco anch’io il regolamento militare, tenente.”

Anche se più tardi - ragionando a mente fredda - il giovane ufficiale avrebbe tranquillamente riconosciuto la giustezza di quel discorso, lì per lì, quel tono autorevole, più o meno inconsciamente caricato d’ironia, non gli piacque affatto. Strinse allora i lembi del lenzuolo: “Crocerossina o no, lei è pur sempre una donna” sbottò “mentre io, paziente o meno, sono pur sempre un uomo, almeno fino a prova contraria! Per cui…”

L’infermiera lo guardò fisso, inclinando il capo e il suo sguardo obliquo provocò al tenente uno strano formicolio dentro lo stomaco.

“Posso chiederle da dove viene, tenente…” tornò a sbirciare la sua cartella “…Greason…?”

Il pilota la osservò con attenzione. In quel momento il viso di lei sembrava aver perso quel velo di acidità finora mostrato e le sue labbra - tutto sommato abbastanza invitanti - abbozzavano una traccia di sorriso.

“Da Providence, nello Stato del Rhode Island.” balbettò.

“Providence, Rhode Island… adesso ho capito: un altro puritano del New England, eh?”

Andy sobbalzò: “Come sarebbe puritano?! Guardi che io…”

“Beh… se la turba così tanto mostrare il suo culetto a una donna, provi a immaginare che io sia l’ostetrica che assistette sua madre nel partorire.”

“Ma che cosa le salta in mente??! Ora sta proprio esagerando, lo sa?!”

Lei scosse la testa: “No, tenente, è lei che esagera. O meglio, lei abusa della mia pazienza e del mio tempo! Quindi ora le do due possibilità: o rivolta le sue chiappe verso il soffitto e si lascia fare questa dannata iniezione o dovrò fare rapporto all’ufficiale medico riguardo al suo stupido ostruzionismo. E credo proprio che la sua indisciplina, aggiunta alla grave imprudenza che ha mostrato durante la missione,[1] sarà sufficiente a costringere i suoi superiori a ritirarle il brevetto e a spedirla in un qualche pulcioso reparto di fanteria” fece una pausa e, in tono quasi suadente, terminò “ha afferrato il concetto, tenente…?”

Ci vollero alcuni secondi prima che Andy si rendesse conto di stare ancora trattenendo il respiro. Finalmente si riscosse, respirò a fondo e rispose, con voce flebile: “Sì, credo… di avere compreso!”

“Molto bene. Si rivolti.”

Greason obbedì e fece del suo meglio per rimanere impassibile quando sentì che la donna gli toglieva le coperte e gli abbassava i pantaloni del pigiama…

“Ah, gli uomini” esclamò l’infermiera, tornando a impugnare la siringa “come faranno a vergognarsi di farsi vedere da una donna? Li facciamo noi, li laviamo noi… io proprio non lo so!”

“Ha finito…?!” chiese lui, con tono piuttosto seccato.

“Sì, ho finito.”

Andy, che intendeva chiederle se avesse finito di polemizzare, allorché si sentì massaggiare la natica e rialzare i calzoni, ribatté sorpreso: “Ma come? Già fatto…?!”

“Certo, non lo vede?” rispose lei, mostrandogli la siringa vuota.

“Ma io non ho sentito nulla!”

“Forse perché so fare il mio mestiere meglio di quanto lei non sappia fare il suo!”

Il pilota arricciò il naso: “Allora deve saperlo fare davvero bene, sorella…!”

“Si rimetta giù: non giova alle sue costole stare in quella posizione.” così dicendo lo afferrò abilmente ai fianchi e lo riadagiò supino, sistemandogli per bene il guanciale. Quindi gli rincalzò le coperte, mostrando una cura che andava forse un po’ oltre il professionale.

“E adesso cerchi di dormire, d’accordo?”

“Ci proverò. Ah, senta…”

“Cosa c’è, ancora?”

“Beh, insomma… a quanto pare, lei sa già parecchio di me, mentre io non so nemmeno il suo nome. Non mi sembra giusto!”

“Viviamo in un mondo tutt’altro che giusto, tenente!” sospirò lei.

“E questo le impedisce di dirmi come si chiama?” insistette lui, sorridendo.

“Hamilton.” rispose la ragazza, facendo per andarsene.

“Ehi, aspetti” esclamò l’altro, riuscendo ad afferrarle una mano “Hamilton… e poi…?”

L’infermiera emise un leggero soffio e si rivoltò verso il giovane: “Flanny… Flanny Hamilton.”

Tenendole stretta la nano, lui rimpallò: “Flanny… è un nome molto dolce, com’è logico che sia!”[2]

“Non mi canzoni… e mi lasci quella mano, se non le dispiace!”

“Parlo sul serio” replicò lui, accontentandola “beh, il mio nome completo lo ha già letto sulla scheda… ma lei può chiamarmi Andy.”

La giovane tornò a fissarlo con uno sguardo che non riusciva ad essere severo quanto avrebbe voluto. Infine sibilò: “D’accordo…!” e fece nuovamente per avviarsi.

Andy Greason, che si era aspettato un’altra battuta pungente, rimase piacevolmente sconcertato. E questo, complice anche il suo temperamento da incosciente, lo spinse un po’ troppo al di là di quanto avrebbe dovuto: “Un momento… avrei bisogno di una cosa…!”

L’infermiera non vedeva l’ora di lasciare quella stanza, tuttavia si girò ancora una volta e lo guardò, interrogativa. Lui le fece il segno con l’indice: “Può venire qui? Solo un attimo…!”

Flanny rimase interdetta un istante. Poi, rassicurata dallo sguardo impassibile del giovane, obbedì e si appressò nuovamente a capo del letto.

“Ecco, vede… acc… che male al collo…!”

Spinta dai suoi scrupoli professionali, la ragazza si avvicinò quel tanto che bastava… ed Andy, fulmineo, le mise le mani sulle spalle: “Volevo dirle che è proprio il mio tipo, Flanny… davvero!”

E, prima che lei potesse reagire, la baciò.

Non fu un bacio particolarmente sfacciato (il giovane tenne la lingua a posto)… però… beh, per Flanny Hamilton era anche troppo! Come poteva lei, la “signorina iceberg”, lasciar passare una cosa del genere?

“COME SI PERMETTE, DISGRAZIATO…??!!!”

Un sonoro e potente ceffone fece seguito a quelle parole. È superfluo dire che adesso, ad Andy, il collo doleva davvero!

“NON… NON CI PROVI MAI PIÙ… HA CAPITO…??!” ribadì la ragazza, rossa in faccia come la brace. L’indignazione la scuoteva fin dentro le viscere… nemmeno durante il suo tirocinio, un certo William McGregor aveva mai osato tanto!

Il tenente stava per ribattere con una battuta probabilmente infelice. Ma, quando vide due lacrime spuntare dagli occhi della graziosa infermiera, fu colto da un vago senso di disagio e provò anche un certo rimorso: “Mi… mi dispiace! Io… beh, è stato più forte di me…”

“Già… certo!! Voi militari non cercate mai nient’altro in una donna, vero?!”

Il cuore di Andy mancò di un battito. Si sentì come quando, a bordo del suo P-40,[3] aveva intuito di avere soltanto una possibilità di conservare la buccia: azzeccare la manovra giusta per riprendere il controllo. Per cui la guardò con fare serio e rispose: “Flanny, ascolti… io… non posso parlare per gli altri. Ma, in quanto a me… l’ho fatto perché lei mi piace sul serio. E non solo in quel senso… mi capisce?”

“Ah, davvero…? E naturalmente pensa che io ci creda, eh?!” rimbeccò, con voce metallica.

“Oh, no… non lo penso affatto” abbassò lo sguardo “non sono poi così stupido! Però…”

“Però cosa…??”

Andy rialzò lo sguardo e tornò a fissarla, sorridendo ancora: “…però… ci spero…!”

La donna rimase a guardarlo per parecchi secondi e infine rispose, ironica: “Bene… sarà interessante vedere se riuscirà a convincermi!”

Punto sul vivo e col più bel sorriso dipinto sul volto, Andy Greason domandò: “Non vorrà mica che ci provi…?”

Flanny rimase a bocca aperta. Il suo buon senso le suggeriva di starsene zitta e mollarlo lì, ma il suo orgoglio ebbe il sopravvento.

“Ci provi…! Ci provi pure, se proprio ci tiene” gli puntò contro il dito “ma si auguri di uscire al più presto da questo ospedale… perché le farò sputare sangue, caro il mio…” i suoi occhi ebbero un guizzo momentaneo “…caro il mio Andy…!!”[4]

Poi, voltatogli definitivamente le spalle, marciò impettita verso l’uscita, che varcò prima di sbattere la porta.

Il giovane pilota si rilassò sul cuscino, massaggiandosi la guancia offesa. Per qualche istante il suo volto sembrò manifestare una lieve perplessità; poi tornò a sorridere, compiaciuto: “Però… è tosta, è…!!”



[1] Non aveva resistito alla tentazione di attaccare un Nakajima Hayabusa dal basso, cosicché il giapponese, forte della sua manovrabilità ben superiore, lo aveva bastonato di brutto. Da qui la “lavata di capo” che aveva subito, prima del ricovero, dal colonnello Hardgison.

[2] Flan significa appunto torta di frutta.

[3] Il Curtiss P-40 Warhawk/Kittyhawk, assieme al Bell P39 Airacobra, è stato il caccia americano di prima linea fino all’avvento dei tre più celebri purosangue: Lockeed P-38 Lightning, Republic P-47 Thunderbolt e North American P-51 Mustang. Pur essendo poco maneggevole in quota era molto robusto e discretamente armato. La tattica delle Tigri Volanti era appunto quella di attaccare i caccia giapponesi dall’alto e sfruttare poi la maggior velocità di picchiata per evitare di essere raggiunti dai superstiti.

[4] Chi indovina il motivo di quel guizzo…?

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Capitolo 2
*** Lo scontro ***


Capitolo 2: Lo scontro

Capitolo 2: Lo scontro

 

UCPFH 02

 

 

I

l rombo degli Allison[1] proveniente dai caccia che partivano per le missioni lo faceva impazzire. Era come se gli entrasse in risonanza con la cassa toracica, martoriando quelle povere costole, le cui incrinature - grazie alla robusta fibra e alle cure impeccabili - si stavano rapidamente sanando.

Tuttavia rimanere in quel letto rappresentava per lui una vera tortura. Starsene in ozio mentre i suoi compagni andavano su a rischiare la pelle lo faceva sentire veramente inutile, pur riuscendo efficacemente a combattere la depressione con la rabbia.

Purtroppo la prognosi del dottor Riley - il maggiore medico del reparto - gli aveva imposto ancora cinque giorni di degenza.

Se almeno gli avessero consentito di fare una visita all’aerodromo per assistere e ai decolli e agli atterraggi… ma con quella specie di “kapò” dal viso d’angelo che presidiava la camerata, c’era poco da sperare: ormai non si azzardava nemmeno più ad alzarsi, dopo il “cicchettone” che si era buscato proprio quella mattina…!

 

***

Dopo essere stato svegliato dal consueto rumore dei decolli, si era dimenato per un po’ nella branda, tanto quanto glielo permettevano le strette fasciature. Poi, non potendone più, si era alzato andando ad affacciarsi alla finestra.

La sola vista dei caccia che si alzavano sorvolando, già abbastanza alti, la baracca dell’ospedale era stata per lui un sollievo impagabile.

Volare era la sua ragione di vita… da quando suo padre, tornato dall’Europa nel 1918 dopo aver militato nella Escadrille Lafayette lo aveva portato in volo sul suo Bebè, che aveva acquistato dalla Neuport dopo essersi congedato.[2] Era stata un’esperienza così fantastica, da segnare irrimediabilmente il suo destino.

Andy adorava la sensazione trasmessagli dal velivolo ogniqualvolta accendeva il motore: lo sentiva pulsare come se fosse il suo stesso cuore e le vibrazioni della macchina, mentre spingeva la manetta in avanti per lanciarlo nella corsa di decollo, gli penetravano sotto la pelle come le carezze di una persona amata… in pratica, lui ci faceva all’amore, col suo aeroplano!

“Ehi, signore” lo distolse un suo compagno di degenza, il sottotenente Victor Sanders “attento a quello che fa: se la vede miss pezzo di ghiaccio, passerà un brutto quarto d’ora… sta rischiando grosso!”

Il tenente Greason non si voltò nemmeno a guardarlo, rimanendo con le mani appoggiate al vetro: “Non farmi ridere… fra qualche giorno potrei crepare bruciato a ventimila piedi di quota! Se credi che quella moretta mi faccia pau…”

“TENENTE…!!!” rimbombò all’improvviso una voce metallica.

“Comandi…!!” urlò di rimando il malcapitato, scattando sull’attenti e voltandosi poi con estrema cautela.

“Si può sapere che sta facendo fuori dal letto…??!”

“Beh, ecco… pensavo di…”

“Lei non deve pensare” ribatté Flanny Hamilton mettendosi una mano su un fianco e reggendo con l’altra un contenitore di schede “lei deve solo obbedire alle disposizioni. Si ricorichi immediatamente!”

Più per salvare la faccia che per tentare di convincerla - ben conscio che non ci sarebbe comunque riuscito - Andy accennò una timida ribellione: “Suvvia, sia buona” disse, con un sorriso alla Rodolfo Valentino “solo altri cinque minuti…!”

Per tutta risposta la fiera infermiera[3] sbatté violentemente sul tavolo vicino il porta-schede che aveva con sé. Quindi si avvicinò al suo indisciplinato paziente… il quale notò - o credette di notare - una scintilla che brillava sopra una lente dei suoi occhiali.[4]

Barcollando, indietreggiò d’istinto verso il letto, finché le gambe non ne urtarono la sponda facendogli mancare chiaramente l’equilibrio. Per quanto morbida, la caduta gli strappò suo malgrado un’imprecazione di dolore, cosa che fece stringere i denti a miss pezzo di ghiaccio. Senza dire una parola, costei gli afferrò le gambe e gliele stese sul materasso, poi impugnò le coperte e, con velocità supersonica ante-litteram,[5] lo rincalzò così stretto da non permettergli più il benché minimo movimento! Infine si chinò su di lui e gli puntò contro il dito… e ad Andy parve davvero che glielo ficcasse in un occhio.

“La sa una cosa? In Patria avevo una collega che si chiamava quasi come lei… ed era spesso maledettamente propensa a derogare alle regole. Sicuramente ci si sarebbe trovato molto bene…!”

“Di… dice…?” balbettò l’aviatore, deglutendo.

“Ne sono sicura. Peccato mi sia offerta volontaria prima io! Così adesso devo occuparmi, al suo posto, di un dannato rampollo viziato di buona famiglia, venuto fin qui in cerca d’avventure…!”

“Beh, ma veram…”

“Stia zitto!! E badi bene che, se non mi considera in grado di metterla in riga una volta per tutte, le farò cambiare idea molto alla svelta!”

“Ma io…”

“Stia molto attento, tenente” insistette lei alzando l’indice davanti al naso di Andy “la esorto a non mettermi alla prova: io non sopporto gli individui che trascurano la propria salute. Troppe persone, a questo mondo, soffrono e muoiono senza la fortuna di avere qualcuno che si occupi di loro…” detto questo si rialzò e la sua espressione si raddolcì quasi di colpo “…non mi costringa a considerare tempo sprecato il prendermi cura di lei, tenente Greason…!”

Oramai Andy aveva inghiottito tutta la saliva che teneva in bocca. Poche volte, nella sua giovane vita, si era sentito spiazzato in quella maniera. A dispetto delle sue parole dure - che comunque riconosceva giuste - la voce della donna conteneva un fondo di dolcezza. E i suoi occhi… beh, magari era solo un’impressione, però… sembrava proprio che stessero luccicando!

Il tenente avvertì una leggera fitta al cuore… ed era quasi sicuro che non fossero le costole.

“Va bene, d’accordo” annuì, conciliante, sorridendo bonariamente “le prometto che farò il bravo…!”

“Così mi piace. E ora si metta tranquillo… perché, se fra cinque minuti non dorme, le somministrerò una dose massiccia di tranquillante. Ha inteso?”

“Forte e chiaro” sussurrò lui “però non si preoccupi così, per me: adesso mi sento meglio.”

“Dice davvero?” chiese Flanny riprendendo la cartella “Non sente più male?”

“No, no… per niente!”

“Sicuro sicuro…?” tornò a chiedergli, riavvicinandosi.

“Ma certo, come glielo devo di… AHIAAA…!!!”

“Ha visto che sente ancora male? Ahh… la pazienza che ci vuole coi maschietti…!”

Massaggiandosi energicamente la guancia “offesa” dal robusto ganascino di Flanny, il tenente rimase leggermente imbambolato a contemplare l’ondeggiamento della sua lunga e bruna coda di cavallo.

Nel passare accanto al letto di Victor Sanders, l’infermiera sbirciò quest’ultimo con la coda dell’occhio e il compagno di squadra di Andy si tirò su istintivamente la coperta. Come vide che Flanny si disinteressava completamente a lui, Sanders emise un respiro di sollievo. Poi, quando la ragazza si richiuse la porta alle spalle, si voltò verso Greason, ancora intento a massaggiarsi la parte lesa: “E adesso sono cavoli suoi, tenente…!”

“Piantala, se non vuoi che, alla prossima uscita, scambi accidentalmente il tuo aereo per uno Zero…!”[6]

L’altro non fece una piega, limitandosi ad appoggiare la testa sul guanciale per schiacciarci sopra un pisolino. Il compagno, dal canto suo, memore della “minaccia” di poco prima, decise di affrettarsi ad imitarlo.

Anche se, pur facendo del suo meglio, di dormire proprio non gli riuscì...!

 

 

 

 

 

 



[1] I motori in linea Allison V1710 di cui erano equipaggiati i caccia Curtiss P-40 delle Flying Tigers (Tigri Volanti).

[2] La squadriglia di volontari statunitensi comandata dal famoso Billy Mitchell (che diede il nome al North American B-25, utilizzato nel primo raid su Tokyo del 18 Aprile 1942 al comando del colonnello James Doolittle) inquadrata nei ranghi dell’Aviazione Francese. Nella realtà, il suo asso più famoso è stato Eddie Rickenbacker con 28 vittorie; mentre, nella dimensione candyana, è stato sicuramente Alistair Cornwell, del quale però ignoriamo lo “score”. Il Neuport Bebè è stato infine un famoso caccia della I G.M.

[3] Era una rima troppo simpatica per ometterla!

[4] Qualche anno più tardi, quando il famoso giornalista Drew Pearson intervistò l’ormai affermato “asso degli assi” e comandante della Decima Forza Aerea, chiedendogli se mai avesse avuto paura, “l’aquila americana”, dopo averci riflettuto un attimo, rispose sicuro: “Una volta sì… e tanta. Ma mi trovavo a terra…!”

[5] Soltanto nel dopoguerra gli aerei, grazie ai nuovi propulsori a getto, avrebbero superato il muro del suono (almeno in volo orizzontale).

[6] Il Mitsubishi A6M Reisen, detto Zero, è stato il miglior caccia giapponese dal 1940 al 1943, quando entrò in servizio il Nakajima Ki84 Hayate (in codice Frank).

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Capitolo 3
*** Il distacco ***


Capitolo 3: Il distacco

Capitolo 3: Il distacco

 

UCPFH 03

 

 

O

rmai il tenente Andrew S. Greason si era già abituato a riaprire gli occhi e a scorgere, come prima cosa, il volto piacevolmente risoluto della sua “tutrice” dagli occhialini con le lenti a spicchio… vista che, mano a mano che il tempo passava, gli appariva sempre meno traumatica. Fenomeno, questo, dovuto in gran parte al leggero ma costante schiarimento della grinta da parte della bella ma inflessibile infermiera (era quasi arrivato a non considerare più così sgradevoli nemmeno le iniezioni).

Sarà quindi facile capire come la desueta presenza al suo capezzale del roccioso colonnello Hardgison gli tornasse a rendere nuovamente brusco quell’inizio di giornata!

“Buongiorno, tenente!” gli disse il comandante del reparto, in tono secco.

“Ah… oh…!! B… buongiorno a lei, signore…!!” farfugliò il ricoverato, balzando immediatamente in su col tronco e salutando.

“Bene, bene… ormai può alzarsi da solo, a quanto vedo.”

“Certo, signore. Ho ancora le fasce, ma ormai sono solo un fastidio, più che un impedimento.”

“Perfetto. E, nel complesso, come si sente?”

“Beh… abbastanza bene, direi!”

“Abbastanza da pilotare un aereo…?”

La bocca di Andy si allargò pavlovianamente[1] in un sorriso, che però si smorzò subito. Solo qualche giorno prima il giovane pilota non avrebbe esitato un attimo nel rispondere affermativamente. Ma ora che uscire dall’ospedale, oltre a riprendere i voli, avrebbe anche comportato allontanarsi dal suo adorabile cerbero, l’idea gli appariva un po’ meno allettante…!

Rispose comunque con decisione, seppur con qualche secondo di ritardo: “Certamente sì, colonnello!”

“Molto be…”

“MA NEMMENO PER IDEA…!!!”

Nell’udire quella perentoria affermazione, l’ufficiale superiore si voltò di scatto, constatando la presenza della caposala. Per la verità, era già entrata da qualche minuto e si stava attardando a sistemare alcuni medicinali per dar tempo al colonnello di togliere il disturbo. Nella camerata non c’era più nessuno, a parte Andy, dal momento che il suo collega Sanders era stato dimesso dal giorno precedente.

L’infermiera dalla mora coda cavallina si avvicinò risolutamente al superiore del suo assistito e si piantò a due passi da lui, tenendo le mani incrociate davanti al grembiule dell’uniforme: “Signor colonnello… il tenente sarà dimesso dopodomani. Nell’incidente ha riportato lesioni non gravi ma importanti, che necessitano una completa rimarginazione. Farlo rientrare in servizio oggi comporterebbe un rischio del tutto sproporzionato alle circostanze!”

L’interessato fece per aprire la bocca, ma un perentorio sguardo ferreo della ragazza gli bloccò all’istante i muscoli mascellari. Dal canto suo, il colonnello Hardgison si permise un sorrisetto ironico: “Di quali circostanze parla, signorina? Forse le sfugge il particolare che non siamo precisamente in tempo di pace: stamattina abbiamo perso quattro piloti, fra cui il capo-squadriglia del tenente. Siamo rimasti decisamente sotto organico, mentre quei demoni gialli[2] continuano a ricevere rinforzi. Capisco che questo ragazzo le stia a cuore… ma purtroppo, oltre ad essere un emerito testone, è anche un eccellente pilota e abbiamo bisogno di lui, lassù. Per cui…”

“Io sto benone, signore…!” intervenne Andy Greason, in tutta fretta. L’intenzione non era tanto quella di contraddire la sua “custode”, ma piuttosto di sviarne l’attenzione dalla compromettente battuta del colonnello: Capisco che questo ragazzo le stia a cuore…!

Fosse l’irritazione per essere stata contraddetta o per avere invece assimilato quella frase sibillina, il viso di Flanny si fece subito rosso fuoco: “Colonnello” sibilò “le ripeto che al tenente necessitano ancora due giorni di degenza. Io non posso consentire che un paziente affidato alla mia sorveglianza venga dimesso in base al suo proprio giudizio. Specialmente se, come ha ricordato lei stesso, si tratta di un elemento particolarmente caparbio!”

“Ehi, un momento…  signorina…!” tentò ancora il malcapitato “paziente”.

Quest’ultima gli lanciò allora uno sguardo veramente fulminante. Anche perché, fortuita o meno che fosse la cosa, era la prima volta che il ragazzo la chiamava così.[3]

“Lei taccia, tenente” l’infermiera alzò decisamente la voce “sempre che l’ufficiale medico non decida altrimenti, ho detto che la dimetteremo dopodomani. E così sarà!”

“Si calmi, miss Hamilton: ho già parlato io col colonnello.”

Gli altri tre si voltarono. Il maggiore medico Michael Riley[4] era entrato nella stanza, ostentando un’espressione decisa, pur se leggermente contrariata.

“Data la grave emergenza in corso, se il tenente ritiene di sentirsi in grado di volare, possiamo consentire al suo momentaneo rientro in servizio… momentaneo: ha inteso, colonnello?”

Hardgison annuì con severità, ma l’infermiera non se ne dette ancora per intesa: “Ma… ma dottore: le incrinature del tenente Greason non si sono ancora del tutto rimarginate… e qui non si tratta solo di volare, ma di combattere! Le sollecitazioni che un pilota riceve da un aereo da caccia…” il tono della sua voce, nonostante gli sforzi per mantenerlo misurato e professionale, era tutt’altro che fermo.

“Flanny” il dottor Riley guardò pacatamente la sua subordinata “ho già visitato il tenente stamattina, come ricorderà e le sue condizioni risultavano straordinariamente migliorate… grazie a lei, indubbiamente. Anche se condivido le sue riserve in merito, ritengo che il rischio sia abbastanza calcolato. Va da sé che il tenente dovrà risottoporsi a osservazione, una volta a terra.” concluse, indirizzando un’eloquente occhiata al comandante.

“D’accordo, maggiore” rispose Hardgison “e grazie per il suo beneplacito. Greason, si sbrighi a prepararsi: il briefing è fra dieci minuti.”

“Signorsì!”

Il colonnello lasciò la stanza e il dottore, dopo aver sussurrato qualche disposizione all’orecchio di Flanny, le batté due volte la mano sulla spalla e si ritirò anche lui.

Rimasti soli, la caposala guardò dritto negli occhi il tenente, quindi esclamò: “Bene, a quanto pare ce l’ha fatta a sgusciarmi dalle grinfie prima del tempo! Mm…?”

Di nuovo quel luccicore in quegli occhi, vero o presunto che fosse.

“Mi dispiace… sono certo che il dottore non avrebbe mai dato il suo consenso, se non fossimo in guerra.”

“Di questo può star sicuro. Ma in guerra è tutto lecito, no…?!”

Andy osservò l’espressione di quel bel viso farsi improvvisamente molto dura e sentì come una forte sensazione di disagio. Come se, all’improvviso, si rendesse conto del dolore che provavano tutte le persone come lei - che avevano scelto di dedicare la vita a lenire le altrui sofferenze - davanti al continuo spettacolo di giovani forti e sani, ridotti in fin di vita dalla violenza della guerra. Dolore mischiato al disgusto che, senza alcun dubbio, suscitava in loro tutto quello spreco assurdo, che, tenendo forzatamente impegnati innumerevoli sanitari nell’assistere i combattenti, impediva loro di occuparsi di tutti i malati e i feriti che pure popolavano le cosiddette retrovie.

Ecco, in quel momento Andrew Steve Greason, rampollo di un’agiata famiglia della Costa Atlantica, sentì di poter dare un significato assai più nobile a quello che i suoi colleghi davano di solito nell’appellare quelle eroine come “angeli combattenti”!

“Purtroppo è così… e non mi piace! Ma non l’ho fatta scoppiare io, la guerra, signora Flanny.” l’appellativo gli venne spontaneo. Mai come in quel momento, nubile o meno, la stava vedendo come una donna… e con la D maiuscola.

Lei lo guardò intensamente, percependo come un tono di scusa nelle sue parole… che indubbiamente apprezzò, anche se questo non le impedì di formulare questa logica osservazione: *Però la sei venuta a combattere…!*

Tuttavia si limitò a pensarlo, mentre gli faceva un cenno: “Venga, su: diamo una controllata a quelle fasce.”

Andy si avvicinò docilmente, slacciandosi la casacca del pigiama da ospedale. Lei eseguì l’operazione con rara maestria, poi gli chiese: “Vuole che l’aiuti a vestirsi?”

Il tenente restò interdetto per un istante. Un diavoletto rosso sopra una spalla gli suggeriva di rispondere di sì… ma l’angioletto azzurro su quell’altra gli suggeriva esattamente il contrario. Del resto, l’avrebbe fatta preoccupare.

Ma come rifiutare il suo aiuto senza sembrare scontroso? Il suo cervello, allenato a rispondere istantaneamente per adeguarsi alle cangianti situazioni del combattimento aereo, trovò la soluzione: “Non si preoccupi, ce la faccio” rispose, con un caldo sorriso “altrimenti non sarei certamente in grado di pilotare!”

L’infermiera annuì: “Allora esco un attimo. Ci vediamo dopo.”

Dopo che fu uscita dalla camerata, il pilota si avvicinò a un armadietto e ne trasse fuori i suoi indumenti, indossando poi rapidamente i calzoni in avirex[5] color sabbia e la camicia color cachi con l’aquilotto dorato sopra la tasca sinistra. Dopo essersi allacciato la cravatta del medesimo colore, ne infilò l’estremità fra due bottoni della camicia. Quindi s’infilò il giubbotto di pelle col bavero di lana d’agnello e le spalline riportanti le sbarrette d’argento del suo grado.[6] Dietro la schiena era dipinta la bandiera della Cina Nazionalista, con lo stesso sole bianco inscritto in un cerchio azzurro che spiccava sugli stessi aerei delle Flying Tigers.[7] Per ultimo afferrò il berretto con l’aquila dorata sopra la visiera (era più scomodo delle bustine, ma quelle non le aveva mai sopportate).

Quando si mosse vide Flanny nell’atto di aspettarlo sulla soglia con qualcosa in mano.

“Se dovesse accusare dolore” gli disse presentandogli un flacone di compresse “non esiti: prenda subito un paio di queste.”

*Sempre che sia in grado di farlo…!* commentò mentalmente lui. Ma prese la boccetta e le sorrise: “Grazie… e non stia troppo in ansia per me: mi sento in forma, glielo assicuro.”

“Bene…!” replicò lei, a bassa voce.

“E… a proposito: grazie di tutto…!”

L’infermiera abbozzò appena un’ombra di sorriso: “Dovere, tenente.”

“Beh, devo andare… ci vediamo al mio ritorno.”

Lei annuì. Sembrava incapace di dire altro.

Rigirandosi il berretto fra le mani, l’uomo si decise a schiodarsi da lì, prima che il suo istinto avesse il sopravvento e gliela facesse stringere tra le braccia. Per la prima volta il solito sfarfallio, da sempre avvertito nello stomaco prima di decollare, non era dovuto alla tipica ansia da pre-combattimento! Ma si trattenne; non tanto per il rischio di beccarsi un altro schiaffo, quanto per quello d’irritarla involontariamente.

Mise il berretto in testa e le voltò le spalle. Ma, al primo passo che fece, la voce di lei lo ribloccò: “Buona fortuna, ten… Andy…!!”

Stavolta ne fu più che certo: sentiva un tremito in quella voce. Rivoltatosi, le tornò di fronte… sempre quel diavoletto rosso gli suggerì di ripetere il gesto del primo giorno,[8] ma l’angioletto azzurro ebbe di nuovo la meglio: si limitò a sorriderle di nuovo e ad accarezzarle, esitante, una guancia.

“Tranquilla: io ci ritorno sempre, a terra. Specialmente da adesso in poi…!”

A questo punto fu l’angioletto di Flanny ad avere la peggio, poiché la ragazza non resse all’istinto e lo abbracciò stretto, con una foga non proprio salutare per le sue incrinature!

“Stai attento… mi raccomando!” sussurrò, col mento appoggiato alla sua spalla.

“Promesso…!” rispose lui, ricambiando l’abbraccio.

Rimasero così per diversi secondi. Nessuno dei due capiva bene cosa fosse successo… non era stato - nemmeno per Andy - uno stimolo da desiderio fisico, tanto che a seguire non vi fu - almeno quella volta - nemmeno il bacio. Era solo il bisogno di sentirsi vicini e, specialmente per lei, il bisogno di sentirsi importante per qualcuno.[9]

In quanto a lui… beh, diciamo che nessuna lo aveva mai messo così in riga, fino ad ora!

“Andy…! Stavo venendo a cercarti. Sbri…”

I due si staccarono immediatamente e Greason poté vedere la faccia stralunata di James Stone, il suo migliore amico dal tempo di West Point.[10]

Il tenente non si scompose più di tanto: “Sì, arrivo… eccomi…!” fece un ultimo cenno di saluto a Flanny e si mosse verso il collega.

“Beh, ti muovi…?!” gli gridò nel passargli accanto.

Mentre trotterellavano verso l’aerodromo, il buon James, un gran pezzo di ragazzone virginiano, fu incapace di starsene zitto: “Cribbio, Andy… ma allora Vic aveva ragione! Questa me la devi proprio raccontare!”

“I fatti vostri mai, voialtri, eh…?!” rispose lui, senza guardarlo nemmeno.

Dietro i due aviatori, assai lieta che non potessero vederle le guance arrossate (che sentiva comunque in fiamme), Flanny Hamilton li guardava allontanarsi immobile, con la bruna coda di cavallo che svolazzava dolcemente alla brezza del primo pomeriggio.



[1] In riferimento all’istinto del famoso cane di Pavlov, al quale veniva l’acquolina in bocca al suono di un campanello che sapeva precedere l’arrivo del pasto.

[2] I Giapponesi.

[3] In effetti, benché fosse sua coetanea e nubile, l’aveva sempre chiamata signora.

[4] Per chi non lo avesse già capito, è lo stesso personaggio che Candy incontra al suo arrivo a Chicago, durante il ricevimento alla villa degli Andrew.

[5] Nome del materiale di confezionamento, tratto dall’omonima fabbrica.

[6] Una sbarretta per i tenenti, due per i capitani, la foglia di quercia per i maggiori, l’aquilotto per i colonnelli e le stellette per i generali.

[7] Cioè della Cina governata dal Kuomintang di Chiang-Kai-Shek che, dopo il ritiro di quest’ultimo sull’isola di Formosa (1949), diventò la bandiera dell’attuale Repubblica di Taiwan.

[8] Vedi capitolo 1.

[9] Per nella sua “dimensione temporale alternativa”, il mio racconto vuole essere, per ciò che riguarda i trascorsi dei personaggi, assolutamente fedele alla storia originale. Non dimentichiamoci quindi che Flanny Hamilton, a causa dei suoi problemi familiari, si è sempre sentita molto sola.

[10] A West Point, nello stato di  New York, c’è l’Accademia Militare. Quella Navale è ad Annapolis, nel Maryland.

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Capitolo 4
*** La perdita ***


Capitolo 4: La perdita

Capitolo 4: La perdita

 

UCPFH 04

 

 

“I

nsomma, Andy” insistette James Stone mentre si dirigevano verso la baracca dei briefing[1] “così avresti fatto colpo su miss pezzo di ghiaccio… questa sì che è una notizia!”

“Parliamo di cose serie” tagliò corto l’interessato “il vecchio[2] ha detto che stamattina abbiamo perso quattro dei nostri…!”

Il volto del tenente Stone si fece immediatamente cupo: “È vero, purtroppo!”

“A chi è toccata…?”

“A Milford e Bielaski, della squadriglia del vecchio… a Giannelli, della squadriglia di Maxwell e… a Talbott!”

L’ultimo nome fece sussultare Andy: “Donny Talbott…?!”

Il compagno annuì, tristemente: “Gli sono piombati addosso in due… non ce l’ha fatta. È riuscito a riportare indietro l’aereo, ma… quando l’hanno tirato fuori… è spirato quasi subito.”

Greason strinse i denti. Donald G. Talbott, il biondo ragazzone del Kansas: un buon pilota e un buon compagno, sotto tutti gli aspetti. Sarebbe mancato a tutti, specialmente a…

“Cornwell l’avrà presa male, immagino…!”

“Lo puoi ben dire: è a pezzi!”

Andy si passò una mano sulla faccia: “Accidenti…” sospirò “…questa non ci voleva proprio! Beh, immagino che il vecchio lo dispenserà dal volo del pomeriggio.”

“Non credo… siamo messi male, Andy: ci sarà bisogno di tutti. Di te, in particolar modo, perché… beh, te lo dirà il colonnello stesso.”

L’amico sbuffò: “Ehi, Jim: non tenermi sulle spine. Sputa, di che si tratta…?”

Stone scosse la testa: “Facciamo tardi, amico: il briefing sta per cominciare.”

Andy lo fissò intensamente per un attimo, poi entrò deciso nella baracca.

***

“La missione di oggi” spiegò il colonnello Hardgison” consiste nell’intercettare un reparto di bombardieri diretti a Chung-King. I nostri agenti ci hanno segnalato il loro decollo dalla zona occupata e la nostra base è la più idonea per sbarrargli la strada. Non occorre vi dica quanto sia importante fare in modo che non riescano ad arrivarci: la città ha già subito duri colpi e la popolazione è allo stremo. Inoltre, se riuscissero a colpire il palazzo del governo, sarebbe una tragedia per il morale dell’esercito cinese: la perdita del generalissimo li getterebbe nel più nero sconforto. Per cui dobbiamo assolutamente fermarli.”

Il comandante del reparto scorse velocemente i volti di tutti i piloti che aveva davanti, molti dei quali accusavano visibilmente la stanchezza e la tensione provocate da tanti giorni di combattimenti ininterrotti. Per quanto appartenesse alla Nazione più potente del Pianeta, in quel momento quel pugno di uomini stava grattando il fondo del barile per opporre un minimo di resistenza aerea alla preponderante aviazione nipponica, intenta ad appoggiare la lenta conquista del martoriato territorio cinese. Ma il governo di Washington (ancora ufficialmente neutrale con Tokyo) non poteva fare di più per appoggiare quel lontano Paese amico.

Il comandante attese che l’ufficiale di servizio riferisse le necessarie istruzioni per la rotta e l’altitudine, quindi intervenne nuovamente per dare le ultime disposizioni: “Se dovessero apparire gli Zero di scorta, sapete cosa dovete fare: volate sempre in coppia, per mutua protezione… se uno di loro vi attacca, tuffatevi in picchiata per distanziarlo, lasciando che se ne occupi il vostro compagno; poi risalite di quota e cercate di beccare lui. Se ce n’è più d’uno, tagliate entrambi la corda! Intesi?”

Si levò un mormorio ad accompagnare l’assenso di tutti i piloti… quasi tutti.

“Ha inteso anche lei, tenente Greason…?”

“Sissignore!” esclamò quest’ultimo.

“Lo spero” ribadì il colonnello “perché sarà lei, oggi, a condurre la Seconda Squadriglia.” L’altro sobbalzò: “Io, signore? Ma perché…?”

“Perché è il più qualificato per sostituire Talbott. A tal proposito, rimanga un attimo: gli altri si preparino al decollo.”

Mentre la saletta si svuotava rumorosamente, il tenente Greason si avvicinò al colonnello.

“Andy” gli disse quest’ultimo, a bassa voce “ho già notificato al tenente Stone che oggi volerà da leader col sergente Hames, che rimpiazza numericamente Talbott: ormai è già idoneo per non volare più da secondo. Quanto a lei, volerà in coppia col sottotenente Cornwell.”

Greason ebbe un attimo di smarrimento: “Con Cornwell…?! Non lo lascia a terra, per oggi? Con rispetto, credo che…”

“Se potessi permettermi di tenere qualcuno a terra, non avrei convinto il dottor Riley a dimetterla in anticipo, non trova? So perfettamente che ha subito un brutto colpo ed è per questo che conto su di lei, per tenerlo d’occhio!”

Il neo-comandante di squadriglia sospirò, osservando un collega che, giusto in quel momento, stava inforcando gli occhiali da sole prima di uscire all’aperto. Il suo viso, solitamente sereno e gioviale, era quel giorno decisamente funereo.

“Capisco, signore… farò del mio meglio!”

“Bene… mi raccomando!” concluse il superiore, congedandosi con una pacca sulla spalla.

Andy si affrettò a raggiungere i compagni all’aerodromo, dove il tenente Stone stava parlando col suo nuovo compagno di pattuglia, il giovane Vincent Hames, che avrebbe reintegrato numericamente la loro unità. Poco distanti c’erano le solite due inseparabili coppie: I Compari di Chicago (Roy Master e Victor Sanders) e I Fratelli del Sud: John Maxim di Abilene (Texas) e Roger Williams di Birmingham (Alabama). I primi erano chiamati così perché amici inseparabili e i secondi perché si comportavano in pratica come tali… o meglio, il più anziano (Maxim) trattava il più giovane (Williams) come un vero e proprio fratello minore.

Poco più in là, accanto al suo caccia con fare profondamente assorto, stava infine il giovane Alistear Cornwell di Lakewood (Michigan) soprannominato - amichevolmente - Sua Signoria. Il motivo risiedeva nel fatto che i suoi genitori erano imparentati con una delle più vecchie famiglie d’America, dove ancora vigevano ferree regole tradizionali e un senso maniacale del blasone e dell’etichetta. Questo era in aperto contrasto con la filosofia yankee, che si basa sul concetto Guarda dove sono e non da chi son nato! e, se non fosse stato per il carattere aperto e modesto, il giovane Stear non se la sarebbe passata molto bene! Era invece abbastanza benvoluto nel reparto, dove si era fatto alcuni buoni amici, fra i quali appunto il tenente Donald Talbott (detto Donny) di Lawrence (Kansas), perito tragicamente quella stessa mattina.

Il tenente Greason non sapeva esattamente come comportarsi, al riguardo: era quella la più grossa responsabilità che gli fosse capitata dall’inizio della sua carriera militare!

Il sottotenente Cornwell, accortosi della presenza di Andy, si riscosse e si sforzò di abbozzare un triste sorriso: “Salve, capo…!” gli disse.

“Salve, Stear…” Andy sorrise a sua volta, sollevato “…purtroppo ci rivediamo in circostanze abbastanza schifose… comunque, animo” gli afferrò la mano e gliela strinse con energia “la cosa migliore che possiamo fare per il povero Donny, è impartire una sonora lezione a quei bastardi che ce l’hanno portato via!”

Stear dovette stringere i denti e la mascella per non emettere nessun singhiozzo, anche se non riuscì ad evitare che gli occhi gli si inumidissero.

“Forza, amico” insistette Andy, stringendogli anche la spalla “scuotiti: montiamo questi ferri, andiamo su e vendichiamolo. È dura, lo so” lo guardò dritto negli occhi “ma so anche che ce la puoi fare!”

Cornwell osservò quello sguardo sincero e l’aria cupa del suo volto sembrò rischiararsi: “Farò del mio meglio, capo-squadriglia!”

“Ehi, ehi… bando ai formalismi: non sono ancora un tuo superiore. Questo è un ripiego d’emergenza. Mi chiamo Andy, ok?”

Il compagno allargò marcatamente il sorriso: “Ok…! Hai ragione… dopotutto, con… Andy al mio fianco, ce la posso fare…!”

Greason gli rivolse un sorriso molto più caldo: “Grazie per la fiducia… ne sono lusingato!”

“Non c’è di che” rispose Cornwell, ricambiandolo “andiamo?”

“Andiamo!!” rispose Greason, dandogli una pacca sulla schiena. Poi gli voltò le spalle per dirigersi al suo P-40.

 

***

La prima cosa che notò avvicinandosi fu la presenza di una scritta gialla, prima inesistente, che spiccava proprio al di sopra dello “Sharkmouth” (bocca di squalo) che ornava i lati inferiori del muso del caccia. Leggendola, il pilota si bloccò all’istante.

“JIMMY…!!!” gridò, senza neppure voltare la testa.

Il suo vecchio compagno d’Accademia, già in procinto d’indossare il paracadute, si affrettò a raggiungerlo: “Qualcosa non va…?” domandò, ostentando un tono artificialmente neutro.

L’altro si voltò e indicò la scritta col pollice: “È opera tua…?!”

Stone fissò le lettere gialle, passandosi una mano sulla nuca: “Nnn… no, no… credimi!”

“E allora chi…?!” si informò il compagno, col tono già leggermente irritato.

“Oh, suvvia, amico” disse l’altro allargando le braccia con fare disarmante “non vorrai mica che faccia la spia…?!”

“Siete un branco di luridi bastardi! Al ritorno dovrò ripresentarmi in ospedale… e se quella lo viene a sapere, mi farà un mazzo così!! Lo sapete, questo?”

“Beh… falla cancellare.”

“Già, come se ci fosse il tempo…! Beh, dì a quell’idiota di Sanders - tanto lo so che è stato lui - che questa me la lego al dito, chiaro?”

“Riferirò.” rispose James, facendo del suo meglio per restare serio.

“Bravo… e ora sparisci, mezzano da strapazzo!”

Il tenente eseguì un impeccabile saluto militare: “Buona missione, signore!”

“FILA…!!!”

Mentre Stone si affrettava ad obbedire, Greason si avvicinò all’aviere che doveva assisterlo nei preliminari di decollo.

“E tu che hai, da ridere…?!” gli chiese, osservando la sua espressione ambigua.

“Non ridevo, signore” si difese costui, presentandogli il paracadute “è stato un colpo di vento…!”

“Vedi di far sparire quel ghigno dalla tua faccia, se non vuoi che ti faccia pulire le canne delle mitraglie con la lingua…!”

“Sissignore!”

Andy si allacciò velocemente l’imbragatura e indossò il casco di volo che l’aviere aveva appoggiato poco prima presso il bordo d’uscita dell’ala sinistra del caccia. Quindi montò sulla medesima, fece la solita carezza alla tigre col cilindro a stelle e strisce che sfondava il cerchio azzurro (l’emblema delle Tigri Volanti) ed entrò nell’abitacolo. Una volta seduto, due avieri (uno a destra e uno a sinistra) lo assicurarono al sedile, mentre lui collegava lo spinotto della cuffia sul casco alla presa della radio e dava una veloce controllata all’erogatore dell’ossigeno.

“OK, tenente…?” chiese uno dei due specialisti.

“OK, chiudere!”

L’aviere di sinistra impugnò la maniglia esterna del tettuccio e lo fece scorrere fino alla completa chiusura. Andy attese quindi che lui e il suo collega fossero ridiscesi a terra, prima di effettuare la prova-comandi. Spinse quindi la cloche tutta avanti e tutta indietro, abbassando e alzando completamente gli equilibratori, poi la piegò a destra e a sinistra, osservando il movimento alternato degli alettoni. Infine mosse la pedaliera, per verificare il corretto funzionamento del timone di direzione. Alzando il pollice, l’aviere più anziano lo rassicurò sul perfetto funzionamento delle superfici di governo.[3]

Greason accese allora la ricetrasmittente SCR-522 e regolò la frequenza su quella del Controllo: “Red Leader a Torre: Seconda Squadriglia pronta al rullaggio.”

“Torre a Red Leader: decollo confermato, procedere.”

“Roger… contatto!”[4]

Dopo aver regolato, con la mano sinistra, il pomello del passo dell’elica su minimo e quello della miscela su ricco, il tenente mise mano all’interruttore di accensione, posto nella parte inferiore sinistra del cruscotto e lo girò nella posizione che permetteva alla batteria di alimentare il motorino d’avviamento. Immediatamente dopo, le pale dell’elica Curtiss Electric si misero in movimento, accompagnate da un sommesso mugolio…[5] contemporaneamente, Andy cominciò a dare ripetute tiratine con la destra al pomello dello starter, situato davanti alla barra di comando.

Il motore Allison V1710-39 fece quindi udire la sua allegra voce scoppiettante, in sincronia con gli sbuffi del gas di scarico che uscivano dai dodici becchi dello scappamento.[6]

Mantenendo i freni tirati, Andy azionò infine la manetta, tenendo d’occhio la lancetta del contagiri, onde mettere il motore a regime. Poi agitò la mano, sempre in direzione degli avieri, affinché rimuovessero i tacchi d’arresto davanti alle ruote del carrello principale.

Uno ad uno, gli otto velivoli della squadriglia uscirono dalle loro piazzole di stazionamento, incanalandosi in fila indiana lungo un raccordo di terra battuta dell’aerodromo di Kunming, desolata cittadina cinese situata nella regione dello Yunnan, ancora controllata dalle forze del Kuomintang.[7]

In testa ci stava naturalmente il P-40 n° 13 pilotato dal tenente Andrew Steve Greason, comandante ad interim dell’unità. Subito dietro di lui seguiva il n° 10, condotto dal sottotenente Alistear Cornwell, per quel giorno il suo n° 2. Dietro di loro venivano I Compari di Chicago, sottotenenti Victor Georg Sanders e Roy Harold Master, sui nn° 11 e 12. Ancora più indietro vi erano I Fratelli del Sud, sottotenente John Maxim e sergente Roger Williams sui nn° 15 e 16; chiudevano infine la fila il tenente James Patrick Stone e il sergente di complemento Vincent Hames sui nn° 14 e 25.[8] Tutti i caccia erano decorati con la stessa bocca di squalo sul muso e la stessa tigre alata sotto l’abitacolo presente sull’aereo di Andy, mentre sulle ali spiccavano i dischi blu contenenti i soli bianchi della bandiera nazionalista cinese. Una fascia posteriore al numero d’identificazione, rossa come l’ogiva dell’elica, li marcava come appartenenti alla Seconda Squadriglia, comandata, fino a quel tragico mattino, dal capitano Donny Talbott, che aveva pilotato il n° 9, ora in riparazione.

Quando gli otto Warhawk finirono di percorrere il raccordo e si trovarono all’imbocco della pista principale, Andy agì ancora sui pedali per allineare il ruotino di coda con l’asse della stessa e mandò un altro messaggio alla torre: “Seconda Squadriglia pronta al decollo!”

Nella zona di parcheggio, gli ultimi otto P-40 della Terza Squadriglia, guidata dal capitano Robert Maxwell, stavano già scaldando i motori, pronti anche loro a iniziare il rullaggio.

Improvvisamente, dalla piattaforma della “torre di controllo” (in realtà una grezza costruzione di solidi tronchi coperta da un tetto di paglia, ad eccezione di una struttura metallica che reggeva le antenne della radio) partì un razzo di segnalazione verdastro: il segnale di decollo.

Il capo-squadriglia ad interim si passò una mano sulla faccia e fece lampeggiare le luci di posizione per avvertire quelli dietro di lui. Premette infine i dischetti del laringofono e annunciò: “Decollo, ragazzi… riunione a 3000 piedi sopra il circuito.” [9]

Poi rilasciò i freni, abbassò i flaps[10] e aprì la manetta a fondo corsa… tirato dalla robusta elica, il Curtiss-Wrigt Modello 87-B numero di serie 2106448, cominciò a scorrere sulla pista e, dopo poche decine di metri, Andy dette un leggero tocco in avanti alla barra per far alzare la coda, poi gettò l’occhio sull’anenometro e vide che aveva quasi raggiunto le 70 miglia orarie: stava per superare lo stallo…[11]

All’improvviso il nostro pilota, prematuramente dimesso dall’ospedale, si ricordò del nome col quale i suoi affezionati compari gli avevano battezzato fraudolentemente l’aereo…

“OK, Flanny…” sorrise, compiaciuto “…ti piaccia o no, oggi comando io: su, bella…!!”

Attirò quindi la barra verso di sé e le ruote del carrello principale si staccarono dal suolo, cessando il loro rumore tambureggiante, completamente sostituito dal canto rombante dell’Allison. Le lancette dell’altimetro e del variometro iniziarono immediatamente a registrare il guadagno di quota del caccia, che saliva alla velocità di 1650 piedi al minuto.[12]

Come sempre le sensazioni che avvertiva attraverso la cloche, i pedali e il seggiolino stesso non mancavano di trasmettergli un senso di tranquillità, indubbiamente fuori luogo in quello spietato teatro di guerra. La tensione, il timore angoscioso di non tornare più, il disgusto di dover sparare ai propri simili… tutto questo veniva momentaneamente offuscato mentre il suo apparecchio lo librava su nel cielo azzurro, lasciandogli solo una tenera sensazione di calore. Come se…

“Coraggio, Flanny… tieni duro: anche questa volta la tua omonima volante mi riporterà alla base. Contaci…!”

Evidentemente quel “rampollo viziato di buona famiglia”, come lo aveva bollato una certa infermiera, stava cominciando a preferire un abbraccio meno freddo e assai meno metallico di quello che poteva offrirgli il suo fedele apparecchio da caccia…!

***

“Capo-squadriglia a tutti” comunicò Andy, via radio, una volta che l’intera squadriglia ebbe raggiunto il punto di riunione “facciamo rotta per zero-sei-zero, direzione Guiyang. Altitudine stabilita 26000 piedi. Formare le coppie di volo.”[13]

“Roger…!” risposero, uno ad uno, gli altri sette piloti.

I caccia presero a cabrare dolcemente in un cielo limpidissimo. Era veramente una bella estate, quella del 1941… peccato che il mondo fosse in fiamme per le velleità di pochi fanatici tiranni: Hitler, che voleva conquistare la Russia dopo avere ingoiato mezza Europa, Mussolini che intendeva mangiarsi il Nord Africa e Hiroito (o meglio i vertici militari effettivamente al potere in Giappone) che avevano deciso di annettersi l’intera Asia sud-orientale.

Quando la lancetta dell’altimetro Kollsmann indicò che erano stati raggiunti gli 11000 piedi,[14] il tenente Greason trasmise un secondo messaggio: “Indossare le maschere per l’ossigeno… non mancate di controllare periodicamente gli erogatori.”

“Roger!”

“Stear, tutto bene…?” chiese, dopo un po’.

“Bene, cap… Andy…!”

“OK…!”

Aveva esitato a fargli quella domanda, temendo di metterlo in imbarazzo davanti a tutti, ma del resto il colonnello Hardgison gli aveva ordinato di tenerlo d’occhio.

“Red 11 a capo-squadriglia” si fece udire la voce di Sanders “ehi, tenente: come si comporta il suo aereo, quest’oggi…?”

Andy fece una smorfia: “E perché lo vuoi sapere, testa di rapa?!”

“Mi preoccupavo solo che l’assetto non fosse alterato da quella vernice che vedo risplendere sul suo muso, comandante…”

“Taci, pezzo di deficiente!! Giuro che, se rientro vivo dalla missione, te ne faccio ingoiare una latta intera, malnato imbratta-carlinghe…!”

Tutti gli altri piloti, con l’unica eccezione di Cornwell, scoppiarono a ridere in contemporanea.

“Finitela, scimuniti: togliete le sicure e provate le armi, piuttosto!”

Obbedendo all’ordine, gli aviatori si affrettarono ad eseguire e, per diversi secondi, il rombo dei motori fu coperto dallo scroscio delle raffiche partite dalle 48 mitragliere da mezzo pollice. Naturalmente, data la loro disposizione in scalata, non vi era nessun pericolo che i caccia potessero colpirsi tra di loro.[15]

Dopo un’altra oretta scarsa di volo, eseguita alla velocità di crociera di 270 miglia orarie,[16] la Seconda Squadriglia giunse nella zona dove, secondo i calcoli effettuati dall’Intelligence, sarebbero dovuti transitare i bombardieri nemici, decollati poche ore prima da Formosa e diretti verso Chung-King, la città che ospitava il Quartier Generale di Chiang-Kai-Shek.

Fu a quel punto che Andy Greason ricevette in cuffia un messaggio proveniente dalla Prima Squadriglia: “Blue Leader chiama Red Leader… mi sentite…?”

Greason deglutì: era la voce di Hardgison.

“Forte e chiaro, colonnello. Abbiamo raggiunto adesso il punto stabilito.”

“Roger, vi stiamo vedendo. Mantenetevi più alti che potete. I bombardieri li attaccheremo noi, voi badate a proteggerci dai caccia di scorta. Quando giungerà la Terza Squadriglia, darà man forte a quelli più impegnati. Over!”

“Wilco! Saliamo alla tangenza massima. Buona caccia, signore!” [17]

“Altrettanto a voi. Chiudo!”

“OK, kids” annunciò Andy ai suoi piloti “diamo manetta e portiamoci a 29000 piedi.[18] Vi raccomando di azionare il sistema anti-ghiaccio per le armi.”

“Roger, capo!” risposero tutti.

Mentre stavano salendo, udirono ancora nelle cuffie la voce del colonnello, che annunciava: “Eccoli… sono dodici Nell… stanno bassi per risparmiare carburante, buon per noi! Blue 5 e 7, attaccate la pattuglia di testa. Blu 3, noi attacchiamo quella di coda. Red Leader, voi state all’erta.”[19]

“Roger, Blue Leader… nessuno vi molesterà, da questa parte. Fateli neri anche per noi!” rispose Andy.

“Contateci!” ribatté Hardgison.

Le quattro coppie della Prima Squadriglia, distinti dalla loro fascia e dall’ogiva azzurra, si avventarono subito come falchi sulla formazione dei G3M che procedeva tranquillamente verso la povera Chung-King. Subito gli armieri nipponici iniziarono a far cantare le loro mitragliere Ho97 da 8 millimetri, che però non potevano fare troppi danni alla robusta struttura dei Warhawk. Le valorose Tigri Volanti dovevano solo fare attenzione a non farsi inquadrare dalle torrette superiori dei bombardieri, armate con un cannoncino Ho99 da 20 millimetri che, fortunatamente, non era però molto preciso.

Già due Nell stavano precipitando in fiamme, mentre un povero P-40 stava emettendo una scia di fumo biancastro, colpito al motore da uno dei suddetti cannoncini.

Improvvisamente, però, da dietro una nuvola sovrastante il “campo di battaglia”, sbucarono fuori una dozzina di caccia Mitsubishi A6M… i terribili Zero!

“Ah… volevo ben dire” esclamò il comandante ad interim della Seconda Squadriglia “temevo proprio che ci saremmo annoiati…!”

“Il tuo sarcasmo è sempre magistrale, Andy” ribatté il tenente Stone “io non me ne sarei lamentato affatto…!”

“Chiudi quella bocca, Red 14: non eravamo qui per ammirare il panorama” lo redarguì il compagno, sistemandosi gli occhialoni protettivi “Red  Leader a Blue Leader: un gruppo di Zero sta per piombarvi addosso. Li attacchiamo immediatamente! Red 11 e 15: attaccare il nemico a sinistra. Red 14, noi attacchiamo a destra. I secondi ci guardino le code. Go…!!!”

Uno dietro l’altro, gli otto P-40 con la fascia e l’ogiva rossa si lanciarono dietro gli argentei caccia giapponesi dalla NACA nera.[20] Ma i piloti del Sol Levante non erano degli sprovveduti e i “numeri 2” delle loro sei pattuglie tenevano d’occhio gli specchietti retrovisori montati sui tettucci. Subito, infatti, sei Zero si staccarono dalla formazione difensiva nemica per affrontare le Tigri Volanti della Seconda Squadriglia. 

Mentre i sei capi-pattuglia nipponici picchiavano per attaccare da tergo la Prima Squadriglia di Hardgison, i quattro corrispettivi “numeri 1” americani cercavano di attaccarli ai loro fianchi. Andy manovrò il suo caccia per ridurre il più possibile la deflessione[21] sul bersaglio e, non appena l’A6M venne a trovarsi quasi al centro del collimatore, Andy premette il pulsante di sparo sulla barra di comando. Le sei raffiche da mezzo pollice raggiunsero inesorabili il velivolo nemico, che prese fuoco come uno zolfanello. Fortunatamente per lui, il pilota fece però in tempo a buttarsi fuori, dopo essersi capovolto.[22]

“Spiacente, amico” esclamò il tenente Greason, osservando l’ombrello bianco del paracadute “ma le punture di questa Flanny qui, fanno molto più male delle altre…!”

Nel frattempo il suo improvvisato numero 2 aveva appena assistito allo spettacolo di un compagno della Prima Squadriglia mentre veniva abbattuto. Era chiaro che il suo Warhawk era ormai spacciato, crivellato com’era da una gragnuola di colpi da 20, tanto che il suo pilota l’aveva già fatto capovolgere per gettarsi… ma il giapponese, ben intenzionato a farlo a pezzi, continuò a tempestarlo di proiettili, fino a quando il serbatoio principale non esplose!

Un brillante globo di fuoco comparve nella porzione di cielo dove un attimo prima c’era stato il P-40 e una miriade di piccoli rottami fiammeggianti furono proiettati in tutte le direzioni…

“Misericordia…!!” gridò Stear Cornwell, con orrore. Una sensazione di gelo gli attraversò tutto il corpo e percepì chiaramente il sudore sulle mani, pur coperte dai guantoni. Anche se non conosceva perfettamente quel pilota, il ricordo della morte del suo amico lo pervase con tutta la sua devastante drammaticità.

*Cosa stiamo facendo, qui…?!* si ritrovò a pensare *Che senso ha, tutto questo…?*

Ma poi si accorse di un altro Zero che, dopo essere sfuggito alle attenzioni dei Compari di Chicago, stava filando dritto verso il velivolo del suo capo-pattuglia….!

Il sottotenente Cornwell si gettò subito al suo inseguimento e riuscì ad allineare il proprio caccia alla coda del giapponese… diede anche qualche grado di flap per non rischiare di sopravanzarlo e, con un ultimo colpetto di pedale, lo inquadrò perfettamente nel mirino… distanza 300 yarde, deflessione zero: un vero tiro da manuale![23]

Se non che, il malcapitato Figlio del Sole, che lo aveva visto nello specchietto, si voltò terrorizzato verso di lui (il tettuccio dello Zero, contrariamente a quello del Warhawk, permetteva anche una discreta visibilità posteriore)… e il povero Stear, anziché una stereotipata scimmiesca faccia gialla, vide quella di un giovane biondo che conosceva fin troppo bene…

“Oh, mio Dio…!!! DONNY…!!!”

Il suo inconscio, tuttora scioccato dagli avvenimenti mattutini, gli aveva giocato un pessimo scherzo e la sua mano si paralizzò sulla cloche, col pollice a pochi millimetri dal pulsante di sparo…

*Mio Dio… ma perché bisogna uccidere…??!*

Poi, tutto d’un tratto, ritornò in sé… appena in tempo per vedere il suo “graziato” avversario che apriva il fuoco sul P-40 contrassegnato dal numero 13…

“Attento, Red Leader” gridò, con colpevole angoscia “hai un jap dietro di te…!!!”

Quasi subito il povero Andy si vide sfrecciare due linee di traccianti ad entrambi i lati dell’abitacolo… per buona sorte il suo caccia si trovava ancora fuori tiro per la portata delle mitragliatrici sopra il muso dello Zero, altrimenti gli sarebbero arrivate direttamente nella schiena! Istintivamente la sua mano sinistra diede tutta manetta in avanti, mentre la sua mano destra spingeva nell’angolo la cloche e il piede destro affondava il pedale del timone. Grazie a quel repentino tunneau,[24] per nulla apprezzato dalle sue convalescenti costole, l’impegnativo paziente di Flanny Hamilton si tirò rapidamente fuori dalla linea di tiro del caccia nemico. Una volta ripreso l’assetto orizzontale, vide il suo attaccante che lo superava, a sua volta inseguito da un P-40 che riportava l’identificativo del suo secondo.

“Grazie, Red 10” gli trasmise Andy “è tutto tuo, adesso. Tranquillo, ti copro io!”

Il giapponese, però, accortosi del nuovo pericolo, compì un’impennata verso l’alto, forte della sua manovrabilità maggiore. Cornwell, dal canto suo, mortificato dal fatto di non avere protetto a dovere il suo leader, dimenticò completamente la tattica di combattimento alla quale attenersi e portò il proprio Warhawk in cabrata dietro di lui.

“Lascialo stare, Stear” gli gridò Andy “non lo puoi battere, in salita…!”

Ma il giovane di Lakewood non lo udì, concentrato com’era nel tentare di raggiungerlo… impresa del tutto aleatoria, giacché l’A6M2, con i suoi 2400 Kg, disponeva di una velocità ascensionale di ben 800 metri al minuto, mentre il P-40 E, che pesava quasi il doppio, si arrampicava poco oltre i 500. In quelle condizioni, insomma, inseguire un avversario più alto significava andare in cerca di grossi guai…!

Non ci volle molto tempo, infatti, prima che Cornwell si ritrovasse tallonato da un compare della sua preda, che cominciò a tempestarlo con tutto l’armamento a sua disposizione…

Sconvolto, il povero Stear tentò di sfuggire alle raffiche con delle semplici virate, senza nemmeno pensare di eseguire la manovra più semplice ed efficace.

“Giù in picchiata, Red 10” gli gridò sempre Andy, per radio “subito!! Subito…!!!”

Riscosso da quei richiami allarmati nella cuffia, il suo secondo obbedì meccanicamente, gettando il suo Warhawk in una picchiata a candela[25]… per parte sua lo Zero, anziché lasciarlo perdere e cercarsi un bottino più facile, s’intestardì a volerlo abbattere ad ogni costo e gli andò dietro. O anche il suo pilota non era un esperto o confidava nella maggior gittata dei suoi cannoncini.

“Red Leader a Red 14” chiamò il capo-squadriglia “prendi tu il comando, Jimmy: io vado a dargli man forte…!!”

“Roger… in bocca al lupo, Andy!”

“Crepi…!!” rispose l’amico, anche se, ora come ora, gli sembrava assai di malaugurio!

Spinse barra e manetta tutte in avanti e si buttò all’inseguimento dell’A6M che, pur perdendo progressivamente terreno rispetto al P-40, continuava a vomitargli proiettili su proiettili. Via via che l’ago del variometro registrava una velocità di picchiata sempre più alta, Andy Greason iniziò ad avvertire un dolore sempre più accentuato alla cassa toracica, fino al punto di dover stringere i denti (per ovvie ragioni, non poteva strizzare anche gli occhi). Osservando frustrato la boccetta degli analgesici che gli aveva fornito la sua infermiera prima del decollo, riposta nella tasca esterna del calzone destro, si maledisse per essersene ricordato solo ora, quando non poteva più servirsene senza compromettere il controllo dell’apparecchio.

*Fortuna che non mi può vedere, in questo momento…!* si disse, pensando al cicchetto che avrebbe ricevuto a tempo debito… sempre che fosse potuto tornare a sorbirselo!

Sotto di loro si apriva una stretta valle completamente coperta da una fitta boscaglia. In fondo luccicava un torrentaccio serpeggiante, che assomigliava assai poco ad una pista di atterraggio. Questo significava purtroppo che, fra non molto, il suo compagno avrebbe dovuto cabrare, perdendo quindi il vantaggio che aveva mantenuto finora sul nemico.

“Tieni duro, Stear” continuava a trasmettere Andy “richiamalo più tardi che puoi… sto arrivando…!!”

Lo Zero era ancora abbastanza distante dal P-40 di Cornwell, che sicuramente si trovava fuori portata per le sue mitragliatrici leggere sincronizzate. Tuttavia, l’acuta vista del tenente Greason riusciva malauguratamente a scorgere i traccianti dei cannoncini alari che riuscivano a raggiungere l’aereo del collega.[26]

Premendosi il torace con la mano sinistra per rendere il dolore meno insopportabile, Andy continuava a osservare intensamente il reticolo del collimatore, attendendo che la figura del caccia nemico diventasse sufficientemente grande per indicare che poteva essere raggiunto dal punto di intersecazione delle traiettorie dei suoi proiettili.[27]

“Red Leader… non posso più scendere… devo cabrare…!” gridò disperatamente Stear, nella cuffia.

“Coraggio, amico… gli sono addosso… sto per inquadrarlo!!”

Finalmente la sagoma dello Zero riempì del tutto il cerchio del mirino. Istintivamente, Andy riportò allora la mano sinistra sulla cloche per afferrarla meglio, mentre stava per premere con la destra il pulsante di sparo… quando una fitta, improvvisa quanto acuta, gli strappò un vero urlo di dolore: “AAARRRGHHH…LE MIE COSTOLEEE…!!!”

Disgraziatamente, oltre alle corde vocali, i nervi gli sollecitarono anche i muscoli delle braccia, cosicché la barra di comando, ritirata dalle stesse, richiamò l’aereo portandolo fuori dalla linea di tiro. Oltretutto, per alcuni spiacevolissimi secondi, il tenente fu anche vittima della cosiddetta “visione nera”…![28]

Quando fu in grado di riprendere il controllo, accingendosi a rimettere l’aereo nell’assetto primitivo, si accorse che il P-40 del compagno stava già risalendo, imitato dal suo implacabile inseguitore, che non si era probabilmente nemmeno accorto di essere inseguito egli stesso da lui!

Malauguratamente i tre caccia si erano già incuneati nella valle prima accennata, la cui relativa strettezza non consentiva certo di effettuare delle efficaci manovre evasive, almeno finché non ne avessero superato l’altezza dei crinali.

Ma forse era ormai troppo tardi per lo sfortunato Red 10, la cui fusoliera presentava già larghi squarci provocati dai colpi da 20 sparatigli dal giapponese… prima ancora che Andy potesse nuovamente portarsi alla distanza opportuna, i suoi timpani vennero feriti (più psicologicamente che fisicamente) da un grido acutissimo proveniente dal suo disgraziato pilota…

“Dio, no…!!!” sussurrò il tenente Greason, con angoscia. La quale, immediatamente dopo, lasciò però spazio a una furia senza pari, mentre l’aguzzino del povero Cornwell si ripresentava nella posizione ottimale di tiro…

“MUORI, BASTARDO…!!!”

Le canne delle sei Colt-Browning M2HB sputarono fuori le loro terribili raffiche da 13 colpi al secondo e una nutrita quantità di proiettili perforanti, efficacemente intervallati da quelli incendiari, trapassarono il sottile rivestimento del caccia avversario, raggiungendo le sue parti più vitali ed infiammabili… un istante dopo, l’A6M esplose.[29]

Il Curtiss Warhawk attraversò la nuvola formata dai gas combusti e dai frammenti di varia natura che pochi istanti prima avevano costituito un aereo e il suo pilota… Greason rabbrividì quando si accorse che il suo parabrezza, in gran parte scheggiato e annerito, era anche lordo di sangue… ma subito, con un guizzo, tornò con la mente al compagno colpito.

Prese subito quota per ampliare il suo campo visivo, controllò la frequenza del ricetrasmettitore e premette i dischetti del laringofono: “Red 10, Red 10… mi senti…?? Qui Red Leader chiama Red 10…! Stear, per l’amor del Cielo… rispondi…!!!”

Dapprincipio non ricevette che alcune scariche… poi gli arrivò anche la debole voce del tenente Alistear Cornwell, di Lakewood (Michigan): “È la fine… mi ha beccato…!! È finita, per me…!!”

Andy aguzzò la vista per reperire il caccia del suo numero 2 e finalmente lo individuò. Le sue condizioni erano abbastanza precarie: la metà superiore del timone non c’era più e gli equilibratori oscillavano paurosamente. La fusoliera era un vero colabrodo e il tettuccio era del tutto fracassato. Dai tubi di scarico sul muso fuoriusciva una preoccupante scia di fumo grigiastro e una gamba del carrello si era abbassata, segno che l’impianto idraulico era in avaria.

Il capo-pattuglia si affrettò ad affiancarsi a lui, dopo avere aperto il tettuccio tramite la manovella interna: “Stear… Stear, puoi sentirmi…??”

Con notevole sforzo, il tenente Cornwell si portò le mani alla gola per azionare il laringofono: “Ti… ti sento… capo…!!”

“Stear… ce la fai a tenerlo su…?”

“No… non credo… sta per piantarmi in asso…!”

Andy stava per fargli animo dicendogli che ce l’avrebbe fatta a riportarlo, se non alla base, almeno fino a una zona sicura, dove avrebbe potuto tentare l’atterraggio… ma poi scorse alcune fiamme che uscivano dai flabelli del radiatore e si convinse che non c’era più niente da fare: anche il glicolo aveva preso fuoco.[30]

“Ce la fai a lanciarti…?” chiese allora, con voce malferma.

“No… riesco appena… a muovermi… è proprio finita…!”

“Non mollare, amico!! Cerca di…”

“Sono… un vero idiota! Ce l’avevo… nel mirino… ma non… sono riuscito… a sparare…!”

“Non pensarci, Stear… concentrati su ciò che devi fare ora” tentò di spronarlo il tenente Greason “sgancia le cinghie del sedile. E poi…”

“Mi sembrava…” continuò il moribondo, senza nemmeno ascoltarlo “…fosse Donny… non potevo! E magari… era quello… che aveva… sparato a lui…!”

“Stear, per l’amor di Cristo” gridò il compagno con angoscia, notando l’intensificarsi delle fiamme sotto al muso dell’aeroplano “scuotiti!! Sgancia quelle cinghie e afferra la maniglia del paracadute… avanti…!!!”

“Lo sapevo… che finiva… così. La guerra… è disumana. In guerra… non si può… che morire…!”

Andy Greason si sentì sopraffare dall’isteria. Stava assistendo, del tutto impotente, all’agonia di un compagno che avrebbe dovuto proteggere in quella disgraziata missione e che adesso stava invece per perdere senza poterlo impedire in nessun modo!

“SOTTOTENENTE CORNWELL… SALTA GIÙ DA QUELL’AEREO: È UN ORDINE…!!!” gridò, tentando ancora di scuoterlo.

“Perdonatemi…  mamma… papà… Archie… fratello mio…”

Il povero Warhawk cominciò a sbandare d’ala, mentre il fuoco e il fumo si intensificavano.

“STEAR, SALTA GIÙ, T’HO DETTO…!!!”

“Ad… dio, C… Candy…! Ad… dio P… Patty…!!!”

“STE…”

Ormai il P-40 stava già picchiando, avvitandosi… ancora pochi secondi e si disintegrò nell’ennesima palla di fuoco…!

Il tenente Andrew Steve Greason, di Providence (Rhode Island) non ebbe più nemmeno la forza per gridare… rimase lì, impietrito nel suo cockpit,[31] con il tettuccio aperto, mentre il vento gli portava via le lacrime che sgorgavano copiose dai suoi occhi.

Non era certo quella la prima volta che vedeva morire un collega… ma era la prima volta  - e pregò fosse anche l’ultima - che lo vedeva succedere in quel modo!

Patty…! Era questo l’ultimo nome che il compagno caduto aveva pronunciato.

Patty… era il nome della sua ragazza, lo sapeva: Patty O’Brian, di Filadelfia (New Jersey).[32]

Ma il nome che aveva pronunciato prima… era stato il suo! Il nome del suo nuovo capo-squadriglia, che nemmeno conosceva troppo bene. Si stimavano, certo, ma non erano mai stati in confidenza.

L’unico vero amico che Alistear Cornwell Andrew si fosse fatto nelle Tigri Volanti era Donald Gregory Talbott di Lawrence (Kansas), che non aveva nemmeno nominato. Aveva invece salutato Andy, ancor prima di salutare la sua stessa ragazza…!

Il tenente Greason era profondamente commosso… anche se, in realtà, stava prendendo un grossissimo granchio per colpa di un disturbo intervenuto nella trasmissione. Il povero Stear aveva detto “Addio, Candy!”… ma l’iniziale di quel nome era stato coperto da una scarica birbante, che aveva consentito al compagno di udirne solo il suffisso, che coincideva, guarda caso, proprio col suo stesso nome!

Ma questo lo avrebbe saputo solo molto tempo dopo…

Adesso come adesso aveva ben altro a cui pensare… per esempio a percorrere le 300 miglia abbondanti che lo separavano dalla base di Kunming, nel cui annesso ospedale una certa signorina Hamilton stava diventando sempre più simile - in quanto a sbadataggine - a una sua bionda collega di lavoro, a forza di struggersi dal pensiero per quel suo paziente indisciplinato…!

Purtroppo la lancetta del carburante lo avvertiva fin da adesso che sarebbe stata molto dura. Per non parlare del sole, che già si trovava pericolosamente basso sull’orizzonte. Il tenente Greason, tuttavia, non mancò di rivolgere un ultimo pensiero al compagno che aveva appena perduto: “Addio, amico mio… perdonami se non sono riuscito a salvarti! Giuro però che darò me stesso per far cessare tutto questo dannato schifo…!!”

Sospirò, concentrandosi infine sul suo apparecchio…

“Okay, bella… sono nelle tue mani. Non fare scherzi e riportami a casa. Riportami da lei… Flanny...!”

Dopotutto, pensava che non avrebbe più costretto quell’imbratta-carlinghe di Victor Sanders ad ingoiarsi quella latta di vernice…!



[1] Col termine briefing s’intende la riunione del personale di volo prima di ogni missione, durante la quale venivano impartite le istruzioni necessarie. Al rientro si svolgeva poi il de-briefing, cioè  il rapporto dei partecipanti alla missione stessa.

[2] Allude al comandante del loro Gruppo Aereo, il colonnello Clint Hardgison.

[3] Le superfici di governo principali di un velivolo sono cinque: gli alettoni lungo i bordi di uscita alari (cioè i lati posteriori delle stesse) che servono per inclinare lateralmente l’apparecchio abbassandone uno e alzando contemporaneamente l’altro: l’alettone che si abbassa fa alzare la sua ala, mentre quello che si alza la fa abbassare. Ci sono poi gli equilibratori (o timoni di profondità) incernierati al piano fisso orizzontale della coda (detto stabilizzatore) che vengono alzati per abbassare la coda stessa (e quindi alzare il muso) o abbassati per alzarla (e quindi abbassare il muso stesso). Vi è infine il timone di direzione, incernierato al piano fisso verticale della coda (la deriva) che funziona esattamente come il timone su una barca. C’è tuttavia un inghippo: se l’aereo s’inclina oltre i 45° per mezzo degli alettoni, le funzioni del timone e degli equilibratori s’invertono!

[4] Il termine Roger sta per Ricevuto.

[5] Contrariamente agli aerei in servizio durante la Prima Guerra Mondiale, i cui motori venivano messi in moto ruotando l’elica con le mani, negli anni 40 esistevano già i motorini elettrici d’avviamento. Per passo dell’elica s’intende l’angolo d’inclinazione delle pale rispetto al piano verticale, che determina la minore o maggiore quantità d’aria spinta all’indietro (in pratica equivale al cambio di velocità su un veicolo terrestre).

[6] La lettera V indica la disposizione in due file inclinate dei dodici cilindri del motore in linea, mentre il numero ne indica la cilindrata in pollici cubi (1710 in3 equivalgono a 28044 cm3). I motori a stella (o radiali) venivano invece siglati con la lettera R.

[7] Il Kuomintang era la fazione capeggiata da Chiang-Kai-Shek, che dominava le regioni cinesi non controllate dai comunisti di Mao-Tze-Tung o dagli invasori giapponesi.

[8] L’aereo di Hames, essendo una riserva, ha un numero superiore al 24, che sarebbe l’ultimo della dotazione organica di tutto il Gruppo Aereo, composto da 3 squadriglie.

[9] Le luci di posizione sono 3: rossa all’estremità dell’ala sinistra, verde all’estremità di quella destra, bianca sulla deriva della coda. Il laringofono era uno strumento costituito da due piastrine che convertivano le vibrazioni delle corde vocali in impulsi elettrici, sostituendo il più ingombrante microfono a polvere di carbone (non utilizzabile insieme alla maschera per l’ossigeno). Anche oggi l’altitudine viene indicata in piedi: un piede equivale a 30 cm circa, quindi 3000 piedi sono poco più di 900 metri di altezza.

[10] I flaps sono due alettoni supplementari, più interni rispetto agli altri, che vengono abbassati per aumentare la portanza delle ali durante il decollo (e quindi ridurne la corsa), funzionando anche come freni aerodinamici durante il volo.

[11] L’anemometro sarebbe il misuratore della velocità, azionato da un’elichina situata all’interno di un tubo che sporgeva di solito dal bordo di entrata dell’ala sinistra (detto Tubo di Pitot) e mossa dallo stesso flusso dell’aria. 70 miglia orarie equivalgono a 112 Km/h, che era appunto la velocità di sostentamento del P-40 E.

[12] L’altimetro è lo strumento che misura la pressione barometrica dell’atmosfera circostante, stabilendo l’attuale quota di volo, mentre il variometro misura la velocità di salita o di discesa. 1650 piedi al minuto corrispondono a 503 metri circa.

[13] L’indicazione Zero-Sei-Zero significa che gli aerei dovevano procedere per una rotta divergente di 60 gradi rispetto al Nord (la cui direzione sarebbe stata indicata come Zero-Zero-Zero o anche Tre-Sei-Zero).

[14] Poco più di 3350 m.

[15] Mezzo pollice (equivalente a 12,7 mm) era il calibro delle mitragliatrici. Nella formazione in scalata ogni aereo si teneva leggermente più basso rispetto all’altro, col muso allineato alla coda di quello che lo precedeva.

[16] Poco oltre 430 Km/h.

[17] Over equivale al nostro Passo, mentre Wilco significa Capito. La tengenza è la massima quota raggiungibile da un determinato aereo.

[18] Più di 8800 metri di quota.

[19] Nell è il nomignolo identificativo dato al bombardiere giapponese Mitsubishi G3M, famoso per aver affondato le due corazzate britanniche Prince of Wales e Repulse, pochi giorni dopo l’entrata in guerra del Giappone contro le Potenze Occidentali. Notare che il colonnello Hardgison si rivolge solamente ai 3 capi-pattuglia della sua squadriglia, essendo stabilito a priori che i loro “secondi” (identificati coi nn. 4, 6 e 8) devono limitarsi a seguire e a coprire i loro leaders. Come vedremo, anche Andy impartirà fra poco un ordine analogo ai piloti della sua unità.

[20] La NACA sarebbe la capottatura del motore, il cui acronimo deriva da National Advisory Committee for Aeronautics, l’ente americano (precursore della NASA) che definiva gli standard delle progettazioni aeree, mano a mano che avanzavano le tecnologie di produzione.

[21] Sarebbe l’angolo intercorrente fra la linea di tiro del caccia attaccante e la rotta del bersaglio, che rende tanto più difficile centrare il medesimo quanto più detto angolo risulta elevato.

[22] Lanciarsi senza questa precauzione comportava il gravissimo rischio di essere colpiti dai piani di coda, come capitò al famoso asso tedesco Hans Joachim Marseille.

[23] Una yarda equivale a 3 piedi e 300 yarde sono circa 274 metri.

[24] Manovra mediante la quale il velivolo esegue una spirale orizzontale, come se volasse all’interno di un cilindro. È ovviamente consentita solo agli apparecchi sufficientemente maneggevoli.

[25] Cioè in verticale.

[26] Le mitragliatrici sincronizzate dello Zero erano quelle sul muso, la cui cadenza di tiro era necessariamente regolata con la velocità di rotazione dell’elica. I traccianti erano proiettili che lasciavano una scia luminosa che permetteva di verificare la precisione del tiro effettuato.

[27] Sui caccia le diverse canne dell’armamento fisso erano orientate in modo da dirigere i proiettili non lungo delle parallele, ma lungo delle convergenti, in modo da ridurre la dispersione dei colpi e avere quindi una maggiore efficacia offensiva sul bersaglio.

[28] Sarebbe una temporanea cecità dovuta alla carenza di ossigeno nel cervello, a causa dell’eccessivo richiamo di sangue verso le estremità inferiori del corpo per la pressione provocata dalla brusca interruzione della picchiata. A quel tempo non esistevano ancora le cosiddette tute anti-G, atte a minimizzare questo fenomeno, ben più insidioso per i piloti dei jets.

[29] All’opposto degli aerei americani, quelli giapponesi presentavano un’estrema maneggevolezza offerta dal ridotto rapporto peso/potenza, pagato però da una resistenza molto scarsa al fuoco nemico.

[30] I flabelli sono le alette di sfiato ad apertura variabile, mentre il glicolo è il fluido refrigerante del radiatore. Può essere che questo episodio abbia influenzato la predilezione del futuro asso nei riguardi del Republic P-47, dotato di un motore stellare raffreddato ad aria e di una struttura praticamente indistruttibile.

[31] L’abitacolo, in gergo.

[32] Forse non era di Filadelfia… però suona bene, non trovate? Sarà che in un romanzo di Salgari del Ciclo dei Pirati della Malesia, compare un certo Paddy O’Brian, di Filadelfia… che fosse il suo bisnonno?

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Capitolo 5
*** Il ritorno ***


Capitolo 5: Il ritorno

Capitolo 5: Il ritorno

 

UCPFH 05

 

 

“S

utura!” disse il dottor Riley, dopo aver terminato di estrarre il proiettile da 8 millimetri dal fianco del sottotenente McTavish, gregario della Prima Squadriglia, rimasto ferito nel combattimento.

Dopo un paio di secondi, il medico alzò lo sguardo verso la sua assistente: “Sutura, ho detto…!” ripeté, a voce più alta.

“Sì, dottore…!” esclamò l’infermiera, arrossendo colpevole e affrettandosi ad eseguire con la consueta perizia.

Il maggiore scosse la testa. Ogni tanto la stanchezza e la tensione a cui era sottoposto il suo personale si facevano sentire, ma era la prima volta che una cosa del genere capitava alla signorina Hamilton!

Terminata l’operazione il dottore fece cenno alle altre due infermiere, affinché portassero il paziente in corsia, poi presentò la schiena a Flanny.

“Vada pure a riposarsi, miss Hamilton” le disse, mentre lei gli slacciava i nodi del camice sterilizzato “credo che per oggi abbiamo finito.”

“Sì, dottore… speriamolo…!”

Michael Riley avvertì, nell’ultima parola pronunciata, un tono che non derivava affatto dal pur palese bisogno della ragazza di tirare il fiato…

Mentre le porgeva il camice appena sfilatosi, cercò la frase che meglio avrebbe potuto rincuorarla: “Cerchi di stare su: conosco di fama quel pilota. Si dice che ci sia nato, su un aeroplano!”[1]

“Sì, certo…!” rispose lei, sommessamente, afferrando il camice per riporlo nell’armadietto. Se non fosse stata una persona di poche parole, avrebbe però ribattuto al suo superiore che purtroppo i piloti nati non mancavano nemmeno a quelli dell’altra parte… ed era questo che la preoccupava!

Lasciata la sala operatoria entrò nell’ambulatorio che divideva quest’ultima dalla corsia e s’imbatté nella sua amica e collega Natalie Venc, intenta a fasciare il tenente Stone.

“Non potrebbe fare più in fretta, signorina? Dovrei tornare al campo.”

“Può andare anche subito, se non le secca grondare sangue come una fontana…!” rimpallò, acida, l’infermiera.

Il buon James accusò il colpo: “OK, mi scusi… sono un po’ nervoso: due dei nostri non sono ancora rientrati e allora…”

“Ecco, ho finito.”

“Grazie… mi  scusi ancora!”

Stone fece per abbandonare la stanza, quando Flanny lo fermò: “Aspetti un momento, tenente…!”

“Dica…”

“Avete… perso degli altri compagni…?”

Il pilota annuì, tristemente: “Due della Prima Squadriglia sono stati abbattuti… uno dei nostri… Cornwell… si è gettato in picchiata per sfuggire a un jap che l’aveva inquadrato… e il nostro CO[2] li ha seguiti per aiutarlo!”

“Sta parlando… del tenente Greason…?” chiese la donna, cercando invano di mantenere la voce ferma.

“Sì…” sospirò Stone, rimettendosi il berretto in testa “…mi perdoni, devo andare a rapporto.”

L’infermiera strinse i pugni, osservando la figura del pilota allontanarsi. La sua collega attese che l’uscio si richiudesse, poi si avvicinò silenziosamente alla sua amica e le mise una mano sulla spalla: “Tranquilla… vedrai che tornerà.”

Flanny si girò di scatto verso di lei, frustando l’aria con la bruna coda di cavallo: “Che cosa ne sai tu? Eh…?” insistette poi, vedendo che Natalie non rispondeva, limitandosi a sorriderle.

“È che… per me, sei sempre stata un libro stampato, Flanny.”

Era vero. Le due avevano frequentato insieme la scuola per infermiere, prima presso l’ospedale Saint Joseph, poi a Chicago, presso l’ospedale Santa Johanna. Per Natalie Venc, la collega Flanny Hamilton era sempre stata un modello di dedizione e serietà e l’ammirazione provata per lei si era gradualmente trasformata in una profonda amicizia. Questa amicizia poteva apparire a senso unico, vista la proverbiale freddezza della compagna “occhialuta”, ma Natalie si era presto accorta che quell’atteggiamento non derivava da un animo arido, bensì dalla propensione della bruna nell’esprimere le proprie virtù coi fatti, più che le parole… e Flanny le era stata molto grata per questo, ricambiandola di cuore. Lo stesso sarebbe accaduto con la loro buonissima collega di nome Candy, che pure era giunta alle stesse conclusioni. Ma mentre Natalie aveva accettato l’atteggiamento di Flanny limitandosi ad esserle amica in silenzio, l’esuberante carattere della loro bionda compagna era stato più volte male interpretato e questo aveva impedito che Flanny e Candy (addirittura compagne di stanza, presso la scuola del St.Joseph) diventassero ottime amiche, pur avendolo, nell’intimo, sinceramente desiderato.

“Lascia stare… vado a stendermi un po’.”

“Flanny, aspetta…” l’amica attese che l’altra le porgesse di nuovo attenzione, poi proseguì “…a parte ciò che posso saperne io… se pensi che quel giovane possa essere il tipo giusto… prenditelo. Non farti del male ancora per chissà quanto…!”

La mora sgranò gli occhi, stupendosi del fatto che la sua discreta compagna avesse pronunciato una discorso del genere. Quella guerra assurda, combattuta fin negli angoli più remoti del mondo, stava facendo proprio perdere la testa a tutti!

“Potevi almeno aspettare che tornasse, prima di dirmi una cosa simile… non credi?!”

Lo sforzo impiegato per rendere la voce più acida che poteva, le provocò un singulto alla gola, che spinse la sua amica a prodursi in un nuovo exploit: un secondo dopo, la stava già abbracciando teneramente.

“Non è il momento… né il luogo per scegliersi la persona giusta, Natalie...” sussurrò Flanny, cercando di trattenere i singhiozzi “…senza contare che potrei anche… averlo già perduto…!”

Natalie sospirò: “Il destino se ne frega del luogo e del momento, cara!” le disse, sfregandole la schiena.

“Lo so…!” gemette la mora, sommessamente. Poi, tanto per calmarsi, spostò la sua attenzione sulla chioma castana della sua amica, a pochi centimetri dai suoi occhi.

“Che c’è…?” chiese Natalie, sentendosi afferrare una ciocca.

“Lo sai che… ti si stanno imbiondendo i capelli…?”

 

***

“Questo è tutto…?”

“Sì, signore…!” rispose il tenente Stone, passandosi una mano sulla fronte.

Il colonnello Clint Hardgison emise un lieve borbottio, grattandosi la barba ormai cresciuta dalla mattina, con fare meditabondo. Faceva fatica a guardare verso il sottoposto, sapendo bene quanto lui e Greason fossero amici. Se la sua posizione glielo avesse consentito, avrebbe certamente provato una punta di rimorso per aver mandato in volo lui e Cornwell nelle loro “particolari” condizioni, ma le circostanze lo avevano obbligato a farlo senza nemmeno esitare. Un comandante non può esitare: è tenuto ad agire.

Guardò l’orologio: “Hanno ancora abbastanza carburante, per tornare…?” chiese poi al suo aiutante, maggiore Holstrome.

“Fra dieci minuti non ce l’avranno più, colonnello.” rispose questi.

L’ufficiale superiore si passò una mano sulla faccia: “Maledizione… otto perdite in un giorno! Stamattina Milford, Bielaski, Giannelli e Talbott… oggi Lezinski e Johnson… e ora anche Cornwell… e Greason…!”

“No… lui no” intervenne Stone, con un tremito nella voce “non posso credere che l’abbiano abbattuto…!”

“Vorrei averne anch’io la certezza, tenente” sospirò il comandante del reparto “ma se qualche diavolo giallo è riuscito a beccarlo in combattimento manovrato… con la scarsa performance del Warhawk e i postumi dell’incidente della settimana scorsa…”

“Lui non è tipo da farsi beccare, signore, glielo assicuro” ribadì James, battendo il pugno sul tavolo “Non Andy…!!”[3]

Hardgison fissò il volto dell’aviatore e non se la sentì di inficiare maggiormente la fiducia di quell’uomo per il suo compagno d’Accademia.

“Beh, speriamolo… ad ogni modo, Holstrome, appena il tempo sarà scaduto, trasmetta un dispaccio radio a Chung-King: chiederemo agli amici cinesi di mandare una pattuglia terrestre in zona, per rintracciarli.”

“D’accordo, signore.” rispose l’aiutante, guardando l’orologio a sua volta.

***

Nonostante le insistenze di Natalie, la buona Flanny non era potuta restare sulla branda nemmeno un quarto d’ora; aveva quindi ripreso a occuparsi della camerata, anche se i suoi movimenti erano sempre più incerti e bruschi. Natalie faceva del suo meglio per resistere a dirle qualcosa, sperando se ne accorgesse da sola prima di combinare qualche pasticcio… e meno male che miss Mary Jane, la direttrice della loro vecchia scuola all’ospedale St. Joseph, non era lì a vedere come si era ridotta la sua migliore allieva!

A un certo punto l’attenzione delle infermiere e dei pazienti venne distolta dallo scoppiettante rombo di un motore… un motore che sembrava proprio stare aspirando disperatamente gli ultimi vapori di benzina…

“EHI…!!!” fece il sergente Logan, della Terza Squadriglia, sentendosi rovesciare in faccia il contenuto del bicchiere d’acqua che l’infermiera bruna stava per porgergli.

“Oh… mi scusi…!!” sussultò Flanny, arrossendo violentemente in viso “Aspetti…!” mormorò, tamponandogli tempestivamente il viso con una salvietta pulita.

“Grr… grazie…!!” esclamò il pilota, leggermente risentito.

Dalla direzione dell’aeroporto giungevano sempre gli scoppiettii prodotti dal motore dell’aereo, assieme a un miscuglio di voci concitate. Una terza collega di Flanny aprì la porta che dava nell’ambulatorio e subito si sentì la voce del dottor Riley: “Sì… capisco. Mandiamo subito la squadra d’emergenza!”

Immancabilmente Flanny si lasciò sfuggire il bicchiere vuoto che ancora teneva in mano… e il rumore del vetro che s’infrangeva sul pavimento fece saltare i nervi a Natalie: “Flanny, vai con loro, su…!”

“Co… cosa…?” chiese lei, con discreto imbarazzo.

“Dai, muoviti… tanto qui non combineresti niente di buono!”

La collega sembrò esitare… poi annuì rassegnata e, cercando di non badare alle significative occhiate dei ricoverati, lasciò in fretta la corsia.

Sorridendo, Natalie scosse la testa, andando subito con la mente a una loro collega, in quel momento piuttosto lontana: “Ah, Candy… se sapessi cosa ti sei persa…!!”[4]

 

***

Presso l’aerodromo gli specialisti si tenevano pronti a intervenire cogli estintori, nel caso si fosse verificato un probabile atterraggio d’emergenza. Poco discosti, attorno a una jeep attrezzata con una barella, stavano inoltre gli assistenti sanitari, fra i quali la signorina Hamilton, altrimenti detta miss pezzo di ghiaccio.

Lungo i bordi di quella striscia di terra, a intervalli regolari, erano state piantate delle torce, i cui stracci imbevuti di benzina spandevano una luce tanto lugubre quanto provvidenziale per quel pilota “ritardatario” che, se avesse mancato la pista nella già calata oscurità, sarebbe andato incontro a conseguenze molto gravi!

Tutti i piloti e gli avieri presenti strizzavano disperatamente gli occhi, nella speranza di scorgere la luce proveniente dal faretto d’atterraggio di cui erano dotati anche i P-40 e che scendeva con la gamba sinistra del carrello principale… ma la presenza del caccia in arrivo continuava ad essere denunciata dal solo scoppiettio del motore, i cui intervalli si dilatavano in maniera preoccupante. O il pilota non poteva abbassare il carrello per problemi al circuito idraulico o aveva disinserito quello elettrico per risparmiare anche solo qualche preziosa goccia di carburante in più!

“Dici che ce la fa…?” chiese Victor Sanders a James Stone, che gli era accanto.

Il compagno strinse la mascella: “Se è lui, ce la fa di sicuro!”

La sagoma scura del velivolo si avvicinava progressivamente. Dall’imbocco della pista lo separavano soltanto un centinaio di metri in orizzontale e meno di cinquanta in altezza… se non che, all’improvviso, l’Allison del P-40 protagonista di quel ritorno solitario, emise un ultimo singulto e tacque una volta per tutte.

Naturalmente lo sfortunato caccia cominciò subito a picchiare, segno che chi lo pilotava si era affrettato ad assumere l’assetto migliore per non scendere sotto le 70 miglia orarie della velocità di stallo. Né flaps, né carrello erano infatti stati abbassati e il caccia stava sfrecciando paurosamente verso terra[5]

“Atterra senza ruote…!” esclamò Sanders.

“Allora sa quello che fa.” commentò Stone, di rimando, ormai sicuro su chi fosse ai comandi di quel caccia.[6]

Il Curtiss Warhawk annullò in una manciata di secondi lo spazio che ancora lo separava dal terreno e cominciò a strisciare di pancia sulla terra battuta. Una miriade di scintille si sprigionò allora dal metallo, generando fra gli astanti un’apprensione molto minore di quella che avrebbero provato se non fossero stati consapevoli che quell’aereo aveva il serbatoio ormai vuoto.

“Oh, Gesù…!!” esclamò comunque il sottotenente Sanders.

Il caccia continuava ad avanzare, sollevando una notevole nube di polvere, mentre tutto il personale del reparto lo stava rincorrendo con sollecitudine. Finalmente, dopo qualche violenta derapata, quella massa metallica di oltre quattro tonnellate si decise ad arrestarsi, quasi al limite opposto della pista principale.

Alcuni specialisti, muniti di estintori a CO2, raggiunsero per primi l’aereo, seguiti subito dai barellieri del reparto sanitario. Fra di loro giunse anche Flanny Hamilton, che però, nel vedere il parabrezza del caccia completamente imbrattato di sangue, si bloccò barcollando,  lasciandosi sfuggire un grido soffocato.

Fortunatamente, non appena gli avieri si affrettarono a spalancare il tettuccio, la scrupolosa infermiera poté scorgere una mano guantata che sporgeva dallo stesso e, subito dopo, l’ancora giovane tenente Andrew Steve Greason di Providence (Rhode Island) venne issato fuori dall’abitacolo…

Un secondo respiro di sollievo fu concesso alla ragazza quando vide che il suo paziente preferito riusciva a tenersi in  piedi da solo e non sembrava ferito gravemente. Non appena messo piede a terra (non aveva bisogno di saltare, dal momento che l’ala poggiava direttamente sul suolo), Andy si sfilò il casco di cuoio, si scrollò di dosso i due avieri che ancora lo sorreggevano premurosamente e avanzò verso la piccola folla circostante ostentando uno sguardo terreo e un’andatura da automa.

Flanny avrebbe voluto precipitarsi su di lui, ma un deciso quanto inspiegabile formicolio nelle gambe glielo impediva. Al contrario, Stone e Sanders si mossero con solerzia e lo raggiunsero.

“Andy…” esclamò il primo “…come stai…?”

“Mai stato meglio…” rispose lui, senza alzare gli occhi “…o peggio… non lo so…!”

Continuando a camminare con quello strano passo, né lento né veloce, Greason si trovò allora a passare accanto a Sanders, che gli chiese: “E… Cornwell…?”

Il tenente si arrestò, mentre le sue mani si stringevano a pugno e, sempre tenendo lo sguardo a terra, scosse lentamente la testa.

Spinto dal suo carattere inguaribilmente ottimista, il compagno non si accontentò di quella muta risposta, per quanto fosse abbastanza inequivocabile: “Vuol… vuol forse dire che…”

“…CHE SE N’È ANDATO AL CREATORE!! QUESTO VOGLIO DIRE, IDIOTA…!!” urlò Andy, incollerito.

L’altro ammutolì, impaurito dal suo atteggiamento. Ora che gli stava vicino di pochi passi, il più anziano dei Compari di Chicago notava come ad Andy tremassero le mani e come il suo volto, cupamente illuminato dal bagliore delle torce d’emergenza, fosse sconvolto.

James Stone si appressò a sua volta: “Non deprimerti, Andy… io… sono sicuro che hai fatto del tuo meglio per…”

“NO, MALEDIZIONE…!!!” sbottò lui, esasperato “MI AVEVANO AFFIDATO UN NOVELLINO E NON L’HO RIPORTATO INDIETRO…!! HA PERSO LA TESTA E S’È FATTO PIZZICARE DA UN GIAPPONESE… E IO NON SONO RIUSCITO A COPRIRLO, PERCHÉ LA CARCASSA HA COMINCIATO A FARMI MALE… DOPO CHE AVEVO RASSICURATO IL VECCHIO CHE POTEVO VOLARE DI NUOVO!! RISPARMIAMI LE TUE FREGNACCE DA FRATELLO MAGGIORE, JIM: NON HO FATTO DEL MIO MEGLIO… HO FATTO DEL MIO PEGGIO…!!!”

Senza aggiungere altro, lanciò rabbiosamente a terra il casco e si diresse a passo svelto verso le baracche del campo.

“Andy, aspetta…!” tentò di richiamarlo Stone.

“E lasciami in pace, cazzo…!!” esclamò invece lui, senza fermarsi.

A questo punto, un lampo di fiera risolutezza brillò minacciosamente negli occhi della capo infermiera del reparto sanitario. Con rapide falcate raggiunse e sopravanzò il “suo” aviatore e gli si parò davanti. Andy notò la gonna bianca dell’uniforme, rialzò il viso e si arrestò, fissandola piuttosto incerto.

“Dove vuole andare, tenente?” gli chiese la donna, con voce ferma.

Lui drizzò le spalle e cercò di sorridere, senza riuscirci.

“A farmi un goccetto, dottoressa… ho avuto una giornata pesante!” rispose, asciutto.

Il ben noto e sinistro luccichio comparve su una lente degli occhiali di Flanny: “Lei non andrà da nessuna parte, tranne che in clinica” ribatté, scuotendo lentamente la testa “avanti…!” concluse, additandogli la direzione dell’ospedale.

“Senta, miss Hamilton: forse le sfugge il fatto che ho già passato da un pezzo la pubertà… quindi so perfettamente di cosa ho bisogno, in questo momento!”

Flanny incrociò le braccia: “Davvero?” sospirò “E di che cosa…?”

“Di ubriacarmi. Per cui mi lasci passare… signorina iceberg!”

Quell’appellativo, che per anni l’aveva lasciata indifferente nei confronti dei tanti pazienti “irrispettosi”, le provocò stavolta un effetto ben diverso, pronunciato da quel ragazzaccio testardo! Due lacrime traditrici stavano per uscirle, ma le ricacciò indietro, socchiudendo gli occhi…

“Falla finita, Andy” sussurrò, facendosi comunque ben sentire dall’interessato “o i tuoi compagni scriveranno a casa di avere visto il loro capo venir schiaffeggiato davanti a tutti…!!”

Il tenente Andrew S. Greason, Providence 1907, West Point 1932, spalancò gli occhi. Poi, con un ultimo guizzò di amor proprio, ribatté: “Flanny… non costringermi a mancarti di rispetto…!”

“PROVACI…!!!” esclamò lei, con voce forte e secca.

Il ragazzo rimase ammutolito. Si avvicinò lentamente e alzò la mano destra, puntando minaccioso l’indice verso di lei… stava per dire qualcosa, quando trasalì nel vedere i suoi occhi che, pur nell’intatta fierezza dello sguardo, stavano versando copiose e silenziose lacrime. Tornò quindi a bloccarsi, sempre tentando invano di articolare qualche parola, ma le labbra gli tremavano più delle mani. Alla fine non resistette più e l’abbracciò di slancio: “Scusami… sono un idiota…! Ti scongiuro… scusami…!!”

Lei ricambiò quell’abbraccio, prima teneramente, poi stringendolo con tutte le sue forze.

“Ti prego…” gli disse “…promettimi di non farti mai del male…  promettimi di aver sempre cura di te… promettimelo…!!”

Lui annuì con la testa, prima di rendersi conto che la ragazza non poteva vederlo in viso: “Te lo prometto…” rispose, allora “…anzi… te lo giuro…!”

“Promettimi anche” chiese ancora, sempre stringendolo “che non permetterai a nessuno… di allontanarti da me…!!”

“Certo…” rispose lui, accentuando la stretta “…sta’ tranquilla…!”

“Mi raccomando” ribadì Flanny, con voce adesso tremula “perché io… a questo mondo… non ho che te…!”

Andy strinse le palpebre, già decisamente umide: “Farò di tutto per bastarti… contaci!”

Non si dissero altro. Si guardarono semplicemente negli occhi e si sorrisero timidamente. Poi si presero per mano e si diressero lentamente verso la clinica del campo.

Per quanto strano potesse apparire, in quel momento non sentirono il bisogno di baciarsi, né di dichiararsi, né tanto meno di fidanzarsi… e sarebbe trascorso ancora un certo tempo, prima che questi avvenimenti si concretizzassero.

Forse erano troppo pessimisti e desideravano abbandonare prima quel desolato terreno di guerra… o forse erano troppo ottimisti e sentivano di avere, per quello, tutto il tempo del mondo.

Non si saprà mai. Forse nemmeno loro lo sapevano con sicurezza.

Sapevano una cosa, tuttavia... ed era la più importante: si erano incontrati!

 

 

 

 

 

 

 

  

 

 



[1] Non è proprio così, ma si dice che Larry Greason portasse spesso in volo la moglie Maggie McGeen sul suo Neuport Bebè, anche durante il primo periodo della sua gravidanza…!

[2] Capo-squadriglia (da Squadron Commander).

[3] Mai dire mai… un giorno lontano Andy Greason si sarebbe fatto beccare (non mortalmente) da un certo Schultz von Heindrich, suo pariclasse nella Luftwaffe tedesca, che pure era suo amico per la pelle… ma questa è un’altra storia!

[4] In seguito Flanny minacciò di chiedergli il divorzio, se mai Andy avesse raccontato il fatto alla loro amica! Ovviamente stava scherzando, ma il marito pensò fosse meglio prendere la cosa sul serio e tenne la bocca chiusa. Candy non ne seppe mai nulla.

[5] Circa 112 Km/h. Se l’aereo avesse rallentato ancora per la perdita di potenza, sarebbe piombato al suolo come un macigno!

[6] Non potendo più essere assistito dal motore, il pilota aveva evidentemente ritenuto che un atterraggio sul carrello - ulteriore elemento frenante per la resistenza dell’aria - lo avrebbe esposto alla pericolosa eventualità di capottare.

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Capitolo 6
*** L’attacco ***


Capitolo 5: Il ritorno

Capitolo 6: L’attacco

 

UCPFH 06

 

 

A

lle ore 7.35 di una tranquilla e soleggiata mattina domenicale, la lancia che trasportava il tenente di vascello Harvey G. Lockhart, ufficiale di picchetto del Quattordicesimo Distretto Navale e il suo seguito, si avvicinò scoppiettando alla vetusta corazzata USS Utah, ancorata lungo la riva orientale dell’Isola Ford, al centro della grande baia nella parte meridionale dell’isola di Oahu, che portava il nome hawaiano di Wainumi.[1]

Come la lancia giunse davanti al barcarizzo[2] che pendeva lungo la fiancata sinistra della vecchia unità (solitamente impiegata come bersaglio nelle esercitazioni) il tenente saltò sulla piattaforma e iniziò a salirne i gradini, prontamente seguito dal suo aiutante, guardiamarina William Karlovitz.

Un gruppetto di marinai, già schierati sul ponte, accolse prontamente i due.

“Ufficiale in coperta!” annunciò salutando uno di loro, che portava sulle maniche i gradi di capo di seconda classe,[3] mentre un altro emetteva un prolungato suono di fischietto.

Il tenente Lockhart rispose al saluto e si diresse verso la poppa della nave, dove altri due marinai si tenevano pronti presso il pennone. Poco distante era in attesa una piccola banda di ottoni.

“Eseguire!” ordinò l’ufficiale di picchetto, agitando il medesimo all’indirizzo dei due marinai, uno dei quali si affrettò ad assicurare alla fune la bandiera che teneva sottobraccio.

Sollecitata dalla brezza mattutina, la Star & Stripes si spiegò maestosamente, accompagnata dalla marcetta rituale. Non appena la bandiera fu in posizione, i cinque elementi della banda attaccarono con le note dell’inno nazionale.[4]

Durante quella breve e ordinaria cerimonia, un rombo di motori via via sempre meno sommesso, giungeva agli orecchi dei partecipanti, che però non se ne davano pensiero. Era normale che le squadriglie dell’aviazione navale effettuassero delle esercitazioni di volo sopra la baia, anche se, per quella mattina, era un fatto piuttosto insolito.

“Strano che volino di domenica…!” osservò il guardiamarina Karlovitz.

“Il solito corvettaro[5] in carriera, che crede di far colpo sul Comando della Flotta.” commentò, ironico, il tenente di vascello Lockhart.

A un certo punto, però, si vide un aereo che stava per sorvolare la Utah a una quota insolitamente bassa, anche per un’esercitazione… subito dopo, lo stesso aereo - un caccia completamente bianco, con il muso nero - passò talmente rasente al ponte da scoperchiare le teste di tutti i marinai che presenziavano all’alzabandiera…!

“Prendi il numero di quel tizio, Bill” ordinò il tenente “imparerà a fare lo spiritoso…!”

Karlovitz impugnò il binocolo e si sforzò di aguzzare la vista, ma non riuscì a leggere nessuna matricola sul caccia, che ormai stava già sorvolando l’Isola Ford, verso la base aerea della Marina.

“Hai preso il numero…?” domandò Lockhart.

“No, signor tenente” rispose, a disagio, il guardiamarina “ma mi è parso che avesse la fascia rossa dei comandanti di sezione!”

“Inaudito” replicò l’ufficiale di picchetto, indignato “come può un comandante di sezione violare le più elementari norme di sicurezz…”

Una repentina esplosione si fece sentire verso l’interno dell’Isola Ford e subito un’intensa colonna di fumo si alzò dalla bassa vegetazione che nascondeva da quel lato le installazioni dell’aeroporto. Contemporaneamente, parecchi altri aerei sorvolarono la corazzata, senza degnarla tuttavia della minima attenzione, almeno per il momento…

Nel frattempo, da diversi punti della baia si cominciarono a sentire i rumori di altre esplosioni e anche quelli delle prime raffiche di contraerea. Altre colonne di fumo nerastro comparvero sopra la riva opposta dell’isola, dov’erano ancorate le navi da battaglia della Flotta del Pacifico![6]

“Ma che sta succedendo…??” esclamò, sconcertato, il tenente di vascello “Sono tutti impazziti?!”

“Signore, sono giapponesi… guardi…!!”

Sollecitato dal suo aiutante, l’ufficiale di picchetto dovette allora notare che, sulle superfici inferiori delle ali, i misteriosi velivoli portavano tutti degli appariscenti dischi rossi.

“Dannazione…!! Presto, la sala radio: dobbiamo dare subito l’allarme!!”

“Impossibile, signore” rispose il capo di prima classe Herbert Schmidt “la sala radio è chiusa…!”

“E chi tiene la chiave?” domandò allora l’ufficiale.

“Il tenente di vascello DeQuincy, signore… ma in questo momento si trova in franchigia!”[7]

“Al diavolo…!!” imprecò Lockhart “Presto, Karlovitz, torniamo a terra!”

“Signorsì…!”

I due malcapitati ufficiali si precipitarono nuovamente sulla loro lancia, tuttora in attesa ai piedi del barcarizzo. Appena furono a bordo, il marinaio al timone mise subito la prua verso la riva sud-orientale della baia, dove si trovava fortunosamente una delle stazioni di sorveglianza del porto.

“ATTENTI…!!!” gridò improvvisamente un marinaio.

Un aereo, leggermente più grosso di quelli di prima, sorvolò rapidissimo l’imbarcazione, diretto verso la nave da battaglia che avevano appena abbandonato… pochi secondi dopo, gli occupanti della lancia notarono che il Nakajina B5N[8] aveva appena sganciato un lungo e affusolato siluro. Dopo essersi inabissato per pochi metri, il micidiale Type 91 Longe Lance[9] si diresse inesorabile contro la nave bersaglio… un sordo boato, accompagnato da un’alta colonna d’acqua, denunciò che il bersaglio suddetto era stato raggiunto senza alcuna possibilità d’appello!

Subito dopo, l’esplosione dell’ordigno fu seguita da diverse altre esplosioni interne, che non tardarono a sconquassare la povera vetusta corazzata, ponendo così termine alla sua lunga e onorevole carriera.[10]

“Maledetti bastardi…!!” imprecò Karlovitz.

“La pagheranno, quant’è vero Iddio…!” replicò il superiore “Forza, Jones: portaci a riva. Veloce…!”

“Ci siamo quasi, signore.” rispose il timoniere.

Come la lancia arrivò ad accostarsi al molo della stazione navale, Lockhart e Karlovitz si precipitarono dentro l’edificio, facendo sussultare un assonnato capo di terza classe, che fungeva da operatore.

“Ehi, tu, sveglia…!!!” gli gridò il tenente di vascello “È in ordine, la radio?”

“Sss… signorsì, signor tenente…!” rispose, balbettando, il sottufficiale di marina.

“Svelto, allora: messaggio urgente al comando dell’ammiraglio Kimmell[11]… muoviti…!!!”

“Su… subito…!” replicò il poveretto, indossando la cuffia e azionando le manopole della grossa trasmittente. Vicino ad essa spiccava sul muro un grosso calendario che riportava la data del giorno da poco iniziato: December 7th, 1941 - Sunday.

“Presto, trasmetti: Attacco aereo… Pearl Harbour… questa non è un’esercitazione…!!”

 

***

Nel medesimo istante in cui il tenente di vascello Lockhart e il guardiamarina Karlovitz salivano a bordo della USS Utah, nella stanza n° 18 del Kola-Kola Hotel di Honolulu, una giovane donna bruna stava lentamente abbandonando l’inerzia del sonno, cercando di prendere contemporaneamente coscienza della nuova dimensione in cui sarebbe trascorsa, dal quel nuovo giorno in poi, il resto della sua vita.

Spostato lo sguardo sul comodino, mise a fuoco un oggetto che vi aveva appoggiato frettolosamente la sera precedente… estrasse quindi il suo candido braccio da sotto le coltri, lo afferrò e tornò ad infilarselo all’anulare sinistro. Col pollice e l’indice dell’altra mano lo strinse allora più volte, come a volersi rassicurare della sua tangibilità…

No, non c’era alcun dubbio: era reale… era il suo anello di fidanzamento!

Per quanto potesse sembrare assurdo, la graziosa ma fredda infermiera inflessibile - meglio conosciuta con lo pseudonimo di miss pezzo di giaccio o quello di signorina iceberg - si era appena fidanzata…!

Sorridendo, si rivoltò allora sull’altro fianco e si appoggiò delicatamente sul dorso del suo uomo, stringendogli affettuosamente il braccio… ma la dolce sensazione del suo seno sulla schiena non fu sufficiente a strappare il capitano Andrew Steve Greason dal suo profondo sonno. Flanny Hamilton ridacchiò mentalmente… non poteva biasimarlo, dopotutto: evidentemente, in quella loro prima notte, avevano un tantino esagerato…!

 

***

Tutto si era svolto come in un turbine…

La sera di sabato 6 Dicembre Andy Greason era venuto a prenderla all’uscita dell’ospedale della Marina, dove lei prestava servizio dal giorno del loro trasferimento dalla Cina. L’ufficiale pilota l’aveva portata fuori a cena, dove avevano parlato del più e del meno… del lavoro di lei, del lavoro di lui… di lei, che avrebbe voluto diventare medico dopo la guerra (sempre che fosse riuscita a pagarsi gli studi universitari), di lui che avrebbe voluto diventare pilota civile… della situazione mondiale che, come per vanificare i loro progetti, si faceva sempre più incerta (i giornali riportavano, proprio quella sera, che le divisioni della Wehrmacht[12] avevano ormai raggiunto i sobborghi di Mosca). Insomma, una delle tante conversazioni “neutre” intercorse fra i due dalla fatidica sera in cui l’allora tenente e ora capitano Greason era rientrato da quella disgraziata missione, dove uno dei suoi compagni - il povero sottotenente Alistair Cornwell Andrew - aveva perduto la vita.

Da allora, il rapporto fra i due si era indubbiamente sempre più intensificato, anche in maniera abbastanza singolare: tanti scambi di parole, diversi sguardi profondi, alcuni abbracci fortissimi… qualche bacio, fugace quanto ardente… ma nulla di più!

È vero che i due non potevano certo disporre di molte occasioni per godere di una qualche intimità (il secondo ricovero di Andy era stato brevissimo, la camerata non era mai stata deserta e comunque era contro il regolamento), ma sembrava che ci fosse anche dell’altro…!

 

***

All’atto del suo definitivo rientro in servizio, Andy Greason era stato confermato al comando della Seconda Squadriglia delle Tigri Volanti ed era stato promosso di grado. La cosa, però, per quanto apparisse illogica, non sembrava averlo reso felice…

“Perché io…?” aveva chiesto al colonnello Clint Hardgison.

“Perché è l’unico che sia disponibile.”

“Ma… c’è anche Stone. È anche più anziano di me, e…”

“Non è alla sua altezza” il comandante del Gruppo sbuffò e proseguì “mi stia a sentire, Andy… lo so che la carriera militare non è perfettamente compatibile con il suo carattere! Ma nella vita ci sono dei casi che possono costringerci a compiere scelte che normalmente non avremmo compiuto. E questa, per lei, è proprio una di quelle volte!”

“Non capisco cosa vuole dire, signore…!” aveva protestato Andy.

“È risaputo che il suo eccellente stato di servizio deriva dalla sua abnorme passione per il volo, più che dalla voglia di combattere. O mi sbaglio?”

Il giovane pilota aveva abbassato gli occhi, per poi annuire con riluttanza: “Non si sbaglia, signore” aveva sospirato “effettivamente, se proprio devo dirlo… ho sempre detestato buttare giù dei colleghi… sia pure nemici.”

“Tuttavia, il suo score ha già raggiunto i 38 apparecchi… non è così?”[13]

Greason era tornato a sospirare, confermando: “Così pare, signore…!”

Il suo comandante di reparto gli aveva allora sorriso paternalisticamente: “Ciò dimostra che, pur non piacendole quanto le dispone il dovere, ha sempre fatto del suo meglio per portarlo a termine. E questo mi basta per concederle la mia fiducia. Non ritiene che abbia ragione?”

“Ma, signore… io…”

Prima di concludere il colonnello gli aveva messo una mano sulla spalla: “Lo so che il suo sogno nella vita era quello di volare… e basta. Ma finché dura tutto questo pasticcio, temo che dovrà pazientare. E inoltre… lo tenga sempre in testa, Andy: noi, la nostra gente, i nostri amici… abbiamo bisogno di lei!”

Greason aveva fissato a lungo il suo superiore, per poi abbozzare un sorriso malinconico: “A quanto sembra… non credo di avere molta scelta, non è vero…?”

Il superiore aveva annuito con espressione seria, poi gli aveva dato due forti pacche sulla stessa spalla: “È proprio così, Andy! Esattamente così… ma non si crucci più del dovuto: la guerra, dopotutto, non durerà in eterno.”

“Già… ha ragione, signore. Beh, la ringrazio…!” aveva concluso, salutando.

“Non c’è di che” Hardgison aveva risposto al saluto “e ancora complimenti… capitano!”

Con le mani in saccoccia, il confermato capo-squadriglia aveva preso congedo tornando verso la pista di volo. Qui si era arrestato presso il suo caccia, già rimesso in condizioni di efficienza, anche se diverse scrostature sotto il ventre denunciavano i postumi di quell’atterraggio d’emergenza notturno.

Il suo sguardo, dopo aver vagato sulle varie parti dell’apparecchio, si era fermato definitivamente su quel nome scritto in giallo sopra il muso. Aveva sorriso, ricordando la sfuriata “fittizia” di Flanny, quando se n’era accorta…

“Potevi anche chiedermi il permesso, brutto insolente sfacciato…!!” aveva gridato, alzando una mano, come per dargli un altro ceffone… che era poi diventato un buffetto. Lui aveva allora coperto, con la propria, quella mano che indugiava sulla sua guancia e lei aveva ribattuto: “E adesso che fai…? Non hai intenzione di lasciarmela?!”

Stavolta aveva prevalso il diavoletto rosso e quel ragazzaccio impertinente aveva risposto così: “Solo se mi dai un bacio…!”

L’inflessibile capo-infermiera dell’ospedale di Kunming aveva finto d’indignarsi, cercando di sorridere il meno possibile: “Sei proprio incorreggibile, lo sai?!”

“Lo so…!”

Ed era stato quello, in un certo senso, il loro vero “primo bacio”…!

Accarezzando delicatamente la scritta, ormai leggermente imbrattata dagli schizzi dell’olio che uscivano di frequente dagli scappamenti, Andy aveva continuato a pensare alle parole del colonnello: “La guerra non durerà in eterno!

Quella frase, però, lungi dall’infondergli un senso di sicurezza, gli aveva provocato invece uno struggimento sinistro: *Non durerà in eterno…! Già… ma io…? Io durerò quanto la guerra…?*

Per parte sua era stata questa la ragione principale dietro la titubanza nel chiedere a Flanny di mettersi insieme. Il giovane aveva saputo dello stato d’animo di lei durante il suo ritorno di quella sera (glielo aveva raccontato “l’innaffiato” sergente Johnny Logan, della Terza Squadriglia)[14] e aveva altresì immaginato il dolore di Patty O’Brian, la fidanzata di Cornwell, nell’apprendere la perdita del suo amato.

Che anche quella ragazza straordinaria, venuta fino in Cina per assistere quel pungo di piloti quasi folli (viste le condizioni disperate in cui si battevano) potesse un giorno ritrovarsi nella stessa situazione, era un pensiero che non poteva sopportare!

*È giusto spingere una donna ad amare un uomo che forse, un giorno, non ritornerà…?*

Proprio questo lo aveva trattenuto; come aveva trattenuto la stessa Flanny dal decidersi a incoraggiarlo. Era come se fossero entrambi consapevoli che portare a compimento la loro relazione gli avrebbe procurato, insieme a momenti di grande felicità, anche più lunghi periodi d’intenso dolore… a meno che non avessero rinunciato a fare le cose che amavano di più e che ritenevano più giuste in quel momento.

*Pensiamoci bene, Flanny* aveva meditato Andy, sempre accanto al suo fedele caccia *forse siamo ancora in tempo per tornare indietro…!*

Ma sapeva di mentire a sé stesso. Era troppo tardi, ormai, per rinunciare: la sua vita senza di lei, per intensa e avventurosa che fosse, gli sarebbe sempre apparsa come vuota di significato. Il vecchio Platone, insomma, non perdonava![15]

***

E così, quel sabato sera, dopo avere come al solito parlato di tutto e di niente durante la cena in quel ristorantino hawaiano di Kalia Road, la coppia si era recata sul lungomare di Waikiki. Dopo aver parcheggiato la macchina presso il belvedere di Diamond Head, i due erano rimasti appoggiati al parapetto per contemplare la scia argentata della Luna che si specchiava nelle acque del Pacifico. Era una serata stupenda… una fresca e piacevole brezza, satura di essenza marina, carezzava i loro volti e scompigliava i capelli corvini di Flanny. Il dolce mormorio della risacca si confondeva col fruscio della vegetazione e il cielo dicembrino era un tripudio di stelle. Tutto perfetto, insomma… non fosse stato per il fatto che le portaerei dell’ammiraglio Nagumo erano ormai a qualche centinaio di miglia a nord dell’isola…![16]

A un certo punto la ragazza si voltò ad osservare il suo compagno, trovandolo insolitamente assorto a fissare l’orizzonte. In genere non rimaneva mai in silenzio tanto a lungo.

“C’è qualcosa che non va, Andy…?”

Lui si riscosse: “Niente… perché?”

“Non so… non hai detto ancora nulla!”

Il ragazzo si voltò, fissandola intensamente. Quella sera non aveva gli occhiali (la sua miopia non era così forte da non poterne fare a meno, anche se, per ovvie ragioni, sul lavoro li portava sempre) e la dolcezza dei suoi lineamenti si rivelava quindi senza nessun elemento che la inseverisse e ad Andy mancò quasi il fiato. Tutti i suoi buoni propositi di saggezza, ragionevolezza e prudenza, andarono a farsi benedire…!

“Beh, sai…” farfugliò “…stavo solo pensando…!”

Lei si accostò fino a toccarlo e gli appoggio una mano sull’altra spalla: “A che cosa…?” chiese ancora, con un sorriso dolcissimo.

Preso un po’ in contropiede (in genere gli approcci li iniziava lui) Andy dovette deglutire: “Ecco… c’era una cosa che volevo chiederti…”

“Dimmi…!” incalzò Flanny, accentuando leggermente la pressione della mano.

“Tu… sei felice…?” le chiese, osservandola attentamente.

Trascorse qualche minuto di silenzio, poi la donna ribattè: “E tu…?”

*Eh, no!! Così non vale, porca la miseria…!* imprecò mentalmente lui. Ma, dopo un po’, rispose: “Beh… sì, abbastanza! Anche se…” parve esitare un attimo.

“Anche se…?”

“Potrei esserlo di più…!” concluse lui, tornando a guardare l’orizzonte.

“Capisco” rispose lei. Andy sentì il suo sospiro “e… cosa potrei fare?” aggiunse.

“Per cosa?”

“Per renderti più felice…!”

“Eh…?? Ehmm…” l’ufficiale dovette deglutire di nuovo “…beh, potresti… continuare a… stare con me…!” terminò la frase quasi in un sussurro.

Fu la volta di Flanny per deglutire e dovette abbandonare la spalla del compagno per non tradirsi con il tremito… ma forse non fece in tempo.

“Hai freddo…?”

“Può darsi… siamo in Dicembre, dopotutto.”

“Aspetta…” il ragazzo si levò la giacca dell’uniforme e la pose sulle spalle di lei, coperte solo da una camicetta abbastanza leggera (aveva lasciato il soprabito in auto). Poi l’abbracciò, a sua volta.

“Va un po’ meglio?”

“Molto…!” rispose lei, a mezza voce.

Dopo un altro po’ di silenzio, il pilota lo ruppe di nuovo: “Flanny…”

“Sì…?”

“Non hai risposto alla mia domanda.”

Le sue spalle ebbero ancora una leggera scossa: “Ah, sì… hai ragione, scusami! Vorresti che… restassi con te…”

“Veramente questa era la mia risposta” ribatté lui “io ti avevo chiesto se eri felice…”

Senza voltarsi ancora verso di lui, Flanny chiuse gli occhi e fece un respiro profondo.

“Anch’io… potrei esserlo!”

“Esserlo…?!” chiese Andy, perplesso.

“Più felice… voglio dire.”

“Ah…!” fece lui, deglutendo. Poi, ancora “E… come…?”

Lei tornò a guardarlo. Il suo viso mostrava un sorriso così soave da fargli vibrare persino i lacci delle scarpe.

“Stando anch’io… con te…!” rispose.

A questo punto, Andy avvicinò il viso per unire le labbra alle sue, ben sicuro che stavolta non ci sarebbero state conseguenze… dolorose! E infatti la ragazza lo assecondò totalmente, abbracciandolo con tenerezza.

Durante quel meraviglioso contatto, il nostro pilota si ricordò del pacchetto contenuto in una delle sue tasche, acquistato la mattina stessa presso un negozio di Honolulu…

Stava percorrendo la città coi suoi colleghi James Stone, Roy Master e Victor Sanders (i compari di Chicago), mentre John Maxim e Roger Williams (i Fratelli del Sud) se n’erano andati a gozzovigliare per conto loro. I compagni di squadriglia stavano tempestando il comandante coi soliti frizzi sulla sua “relazione” con la glaciale infermiera conosciuta in Cina… quando, a un certo punto, il gruppetto di aviatori si era trovato a passare davanti a una gioielleria. Fosse stato l’istinto o qualche ispirazione celeste, le gambe del futuro asso si erano come bloccate davanti alla vetrina, dove spiccava, fra gli altri preziosi, un bellissimo anello con un brillante, né troppo minuscolo, né troppo sfarzoso. Insomma, un gioiello perfetto, per…

I compagni avevano iniziato a ridacchiare sommessamente; quindi, prima ancora che il loro capitano potesse protestare, lo avevano spintonato verso l’ingresso, trascinandolo poi di forza fino al banco del commesso… il resto lo avrete già indovinato.

Quando Flanny si rese conto che, di lì a poco, avrebbe perso il controllo di sé stessa, si decise a malincuore ad abbandonare le labbra del suo ragazzo… se non che, riaperti gli occhi, la prima cosa che vide, dopo averli pudicamente abbassati, fu una scatolina di velluto che le dita di Andy si affrettarono a scoperchiare, rivelando il contenuto del suo acquisto mattutino…!

Sbarrati, gli occhi dell’infermiera tornarono a salire verso il viso del pilota, accompagnati dalla sua bocca, completamente spalancata. Andy dovette compiere uno sforzo eroico per non scoppiare a ridere di fronte a quello spettacolo!

Ma subito si rifece abbastanza serio: “È una pazzia, lo so…! Siamo entrambi due testardi e poi… dovremmo dividerci con le nostre professioni. E poi c’è la guerra e… insomma, non sarebbe molto divertente! Lo so che sto per fare una stupidaggine… che ci vorrebbero i tempi giusti… ti sembrerò uno stupido ragazzino impaziente, ma… ecco, se non te lo chiedo ora, non te lo chiedo più…!! Vuoi sposarmi, Flanny…?”

Durante tutto quello sproloquio, la ragazza era riuscita faticosamente a richiudere la bocca. Avrebbe voluto distogliere lo sguardo e fare qualche passo lontano da lui, tanto per raccogliersi un momento a riflettere... ma non le riusciva.

Riflettere su cosa, poi? Non era facile nemmeno rispondergli! Pur nella sua foga quasi infantile, Andy aveva detto tutto quel che c’era da dire, al riguardo. Tutte le considerazioni che quel ragazzaccio aveva rimuginato dall’estate precedente, le aveva pur fatte anche lei.

Aveva ragione, era una pazzia! Sposarsi alla vigilia di una guerra spaventosa. Sposare un pilota da caccia, poi, in quella che si era dimostrata fin da subito una guerra prettamente aerea…! Una guerra che poteva durare per anni… che vita avrebbero fatto? Quanto tempo avrebbero effettivamente trascorso insieme?

E allora? Aspettare che la guerra terminasse? E se fosse terminata prima la loro storia…?

Alla fine lo guardò, quasi imbronciata… anzi, imbronciata lo era davvero!

“Tu… tu lo sai quanto tengo al mio lavoro! Non posso e non voglio diventare un angelo del focolare… non prima che finisca tutto questo carnaio, almeno…! La nostra gente ha bisogno di persone come me.”

“Lo so bene!” concordò lui, sospirando.

“E ha bisogno di persone come te… anche se trovo orribile la professione delle armi, ho imparato che purtroppo il diritto si difende con la forza. Viste le circostanze, qualcuno dei nostri lo deve pur fare questo sporco mestiere… e purtroppo si dà il caso che lo abbia scelto anche tu…!”

“Finché c’è la guerra, Flanny. Ma poi…”

La donna sorrise malinconica, scuotendo la testa: “Ah, Andy… ma a chi credi di darla a bere?! Vuoi che ormai non conosca a fondo l’unico uomo di cui, probabilmente, mi potevo innamorare?”

Il capitano Greason sussultò… anche se non gli suonava del tutto gradito quel probabilmente.

“Tu ce l’hai cucita addosso, questa uniforme” continuò lei, sfiorando l’aquilotto sopra la tasca sinistra, sovrastato dal nastrino della DSM[17] “proprio come io ce l’ho cucito addosso il camice da ospedale. Un pilota civile…! Ma tu ti ci vedi davvero nella cabina di un DC3 o di un L14…?”[18]

“Beh, però…”

“Tesoro…” continuò lei, accarezzandolo “…tu ti senti te stesso solo quando sfrecci a 300 miglia orarie, a 20000 piedi dal suolo. E io mi sento me stessa solo quando strappo le persone alla morte e al dolore. Siamo fatti così… e continueremo con quello che sappiamo fare meglio, anche dopo che la guerra sarà finita!”

Il pilota annuì di nuovo, tristemente: “Hai ragione… sono stato un pazzo a pensare il contrario. Perdonami se ti ho messa a disagio... ma io ti amo…! E non ce la facevo a non chiederti di sposarmi... anche se sapevo perfettamente che mi avresti risposto di no.”

A quelle parole, Flanny Hamilton raddrizzò la schiena, poi gli afferrò le braccia, guardandolo dritto negli occhi: “Sei uno sciocco…!!”

“Lo so, ma…”

“Io non ti detto di no…!”

“Si, però… EEHH…??!”

“Io non ti avevo ancora risposto!”

Andy dovette deglutire nuovamente, anche se la sua povera gola gli sembrava ormai carta vetrata: “E… e allora… cosa mi…”

“Di sì…!” fece lei, piantandogli in faccia uno sguardo più acuminato di un ago ipodermico. Il giovane sentì un forte formicolio nelle gambe: “Da… davvero…?!” altra deglutizione “Tu vuoi… ”

“Sì… io voglio sposarti, Andrew Steve Greason…!”

“Oh… oddio…!!” il giovane barcollò vistosamente.

“Andy… cos’hai…??!” chiese lei, afferrandolo, ovviamente allarmata dal suo istinto professionale.

“Niente… non è niente… un piccolo capogiro…”

“Oh, cielo…! Respira, tesoro… respira!”

L’ufficiale non se lo fece ripetere due volte, introitando aria come la presa di un turbocompressore…

“Va meglio…?” gli chiese lei, dolcemente, dopo un po’.

“A… altroché…!” rispose lui, cercando di usare un tono allegro. Poi si ricordò di un particolare e tornò a porgerle la citata scatolina “Beh, allora… ecco!”

A quella vista, i bellissimi occhi di Flanny luccicarono come stelle e qualche lacrimina scese lungo le sue guance, discretamente arrossate. Quindi afferrò l’anello e se lo mise, lottando col tremore delle dita…

“Fatto…!” disse, con tono gioioso da ragazzina, mostrando il dorso della mano aperta.

“Perfetto…!” commentò lui, tornando poi ad abbracciarla. Si guardarono ancora negli occhi e si baciarono di nuovo. Quando si separarono, il viso di Flanny era di nuovo serio.

“Guarda che non fai un affare… lo conosci il mio caratterino!”

“Meglio così: non avrò sorprese!”

“E la mia intransigenza…!”

“Sono un soldato: sono addestrato alla disciplina.”

“Come no… ma c’è un’altra cosa che devi sapere…”

“E sarebbe…?” domandò lui, sempre tenendola stretta.

“…che sono gelosa come una pantera!”

Lui rimase interdetto un istante, poi ridacchiò: “Beh, mi preoccuperei del contrario: dicono sia la prova d’amore più genuina!”

“Già… perciò bada a te, giovanotto! Vi conosco, voi soldati: una ragazza in ogni campo!”[19]

“Ricevuto e compreso, comandante! C’è qualcos’altro?”

“Solo una domanda, capitano…”

“Sono tutt’orecchi, signora!”

“Ti piacciono le bionde?”

“Che…??”

“Hai capito benissimo! Rispondi, forza: ti pacciono o no…?”

“Ma che razza di domanda è…?! A tutti gli uomini piacciono le bionde…”[20]

“Oh, davvero…?!” ribatté lei, piuttosto corrucciata.

“…tranne me, naturalmente” rispose, pronto “a me…”

“Sì…?”

“…piaci tu…!!”

Rassicurata - forse - da quelle parole, la mora tornò allora ad abbracciarlo, dandogli un bacio al quale, questa volta, entrambi si abbandonarono completamente…[21]

 

***

Un rombo lontano… continuo… sempre più forte…

Flanny non aveva dubbi: era il motore del suo caccia, che lo stava riportando da lei… Andy stava ritornando da una di quelle maledette missioni dalla zona cinese occupata dal nemico. Il rombo diventava sempre più potente… erano tanti apparecchi… che bello, stavolta tornavano tutti…

…ed era tornato anche lui…!

La donna aprì lentamente gli occhi… e vide la nuca del suo fidanzato, tuttora sprofondata nel cuscino, perfettamente immobile, come tutto il resto del suo corpo…

Immediatamente mise a fuoco anche la parete di fronte, con la veneziana della finestra che vibrava incessantemente, sempre con quel rombo infernale proveniente dall’esterno.

Poi realizzò di trovarsi nel soffice letto di una stanza d’albergo, a smaltire i postumi di una notte di passione, mentre sopra l’edificio stava evidentemente transitando l’intera aviazione dell’Esercito, probabilmente accompagnata da quella navale…[22]

Senza dubbio si trattava di esercitazioni. Però, di domenica mattina… era normale tutto ciò?

Certo lei, come infermiera, non era in grado di affermarlo con sicurezza, ma quel focoso ragazzaccio al suo fianco poteva magari saperne qualcosa di più… cosicché si decise a svegliarlo.

“Andy… Andy…!” lo chiamò, scuotendolo per un braccio.

“Mmm… sgrunf…!”

“Dai, amore… svegliati…!!”

“Mmm… che c’è…?” bofonchiò lui, aprendo mezzo occhio “Che succede…?”

“Non senti il frastuono…? Dai, alzati: c’è qualcosa che non va…!!”

“Ma che…”

Ormai abbastanza desto, il capitano annaspò con la mano alla ricerca dei suoi boxer rimasti sul tappeto e, dopo esserseli infilati, si alzò per raggiungere la finestra.

“Devono essere quelli della Marina… quei disgraziati, con la scusa delle esercitazioni, non perdono occasione per rompere le scatole a noi dell’Esercito e ai tranquilli cittadini di Honolulu…!”

“Ma oggi non è domenica?” osservò Flanny, seduta sul letto, tenendosi il lenzuolo aderente al seno.

“Bah… si vede che si stavano annoiando” rispose Andy, infilandosi la camicia “che gli frega, a loro? Tanto la benzina gliela pagano i contribuenti!”

“Già…!” commentò lei, con tono marcatamente polemico.[23]

Dopo aver sollevato la veneziana, Andy aprì i vetri della finestra e si sporse per vedere meglio. Dopo qualche attimo, la donna lo sentì gridare: “PORCA PUTTANA… MA SONO I GIALLI…!!!”

“ANDY…!! T’ho già detto di smetterla, con queste frasi da scaricatore…!”

“Ma Flanny, ti dico che quelli lassù sono giapponesi…!! Vieni a vedere anche tu!”

La ragazza si alzò allora dal letto e lo raggiunse, sempre avvolgendosi nel lenzuolo.

Il cielo era letteralmente pieno di apparecchi che recavano i contrassegni dell’aviazione della Marina Imperiale nipponica! C’erano gli onnipresenti caccia Mitsubishi A6M dall’inconfondibile NACA nera, dotati di un’autonomia tragicamente sottovalutata dai comandi statunitensi… c’erano i siluranti Nakajima B5N con i terribili siluri Lancia Lunga appesi sotto la pancia e appositamente modificati per non piantarsi nei bassi fondali di Pearl Harbour… c’erano infine i bombardieri a tuffo Aichi D3A, caricati con particolari bombe speciali che avrebbero squarciato inesorabilmente anche i ponti più protetti delle navi da battaglia.[24]

“Oh, mio Dio…!!” esclamò Flanny, angosciata “Giapponesi… ma allora è un attacco!”

“Proprio così, maledizione” ruggì Andy, stringendo i pugni “quei maledetti sono arrivati anche qui…!!”

“Ma come hanno potuto raggiungere le Hawaii…?!”

“Non era poi così difficile” rispose lui, infilandosi i calzoni “con le portaerei, no? Anche loro ce le hanno, ma evidentemente quei tromboni di Washington si erano dimenticati di questo piccolo particolare…!”

Un improvviso e frenetico bussare alla porta fece sussultare i due: “Capitano… capitano, ci sei…??”

“Questo è James” disse Andy, finendo di allacciarsi le scarpe “non ha perso tempo, a quanto pare…!”

Mentre il suo fidanzato balzava verso la porta, la povera Flanny si era nuovamente seduta sul bordo del letto, portandosi una mano alla fronte. Accasciata era forse il termine più adatto. E ne aveva di che…

Si erano infine ufficialmente dichiarati… si erano fidanzati… avevano persino consumato quel vincolo d’amore che - ora lo sapevano - li avrebbe legati per l’eternità… ma il dannato mostro della guerra tornava inesorabile a piombargli addosso!

Flanny avrebbe voluto urlare dalla disperazione, ma il suo orgoglio di persona provata, seria e forte  non glielo consentiva… anche se doveva tapparsi fortemente la bocca con la mano, mentre stringeva le palpebre per non farvi sgorgare troppe lacrime.

“Salve, Jim” disse Greason, dopo aver spalancato la porta “sapevo che eri tu…!”

“Dobbiamo correre a Wheeler, Andy… quei figli di puttana stanno già tartassando la base di Hickam…!”[25]

“Tartasseranno anche Wheeler, se è per questo! Hai una macchina?”

“Sì, dabbasso: Roy e Vic ci aspettano su una jeep.”

“E gli altri?”

“I fratellini[26] sono già partiti per il campo, con Vinny e Sammy.”

“Okay, vagli incontro: io scendo subito.”

Il tenente Stone gettò uno sguardo significativo alla figura di Flanny: “D’accordo” annuì “a fra poco.”

Il capitano richiuse la porta. Al rumore, la sua donna si alzò lentamente in piedi e lo fissò con aria a dir poco smarrita. Lui sentì allora uno spasimo in pieno petto… come gli appariva fragile, in quel momento! Tutta la sua fiera sicurezza se n’era andata per lasciare il posto all’angoscia più tremenda. I bruni capelli sciolti le scendevano graziosamente sulle nude spalle e le lacrime le scorrevano ormai copiose sulle guance pallidissime.

Lentamente, Andy si avvicinò e la strinse con tutta la tenerezza di cui era capace, ma quel gesto fece giustizia delle ultime risorse psicologiche di Flanny, che gli si abbandonò tra le braccia, senza più riuscire a frenare i singhiozzi.

“Ehi, ehi…” le sussurrò lui, dopo avere stretto i denti “…non fare così! Dov’è finita la mia infermiera tutta d’un pezzo, eh…? Coraggio…!!”

Non ottenne che altri singhiozzi, come risposta…

“Su, su… non ricordi la promessa che ti ho fatto, a Kunming?[27] Non permetterò a nessuno di allontanarmi da te… tanto meno a qualche piccolo bastardo dal muso giallo!”

“Ancora…” annuì lei, sempre singhiozzando “…promettimelo ancora… ti supplico…!”

“Fidati di me… signora Greason!”

Lei rialzò la testa e lo guardò, cercando di sorridere… ma non ce la fece: “Non sono ancora la signora Greason…!” sussurrò, sconsolata.

“Domani…!”

“Cosa…?”

“Ci sposiamo domani. Ok…?” sussurrò lui, ammiccando.

“Sul serio…?” chiese lei, con voce tremante.

“Ma certo” le afferrò la mano sinistra e se la portò alle labbra “domani porterai una fede, al posto di questo brillante… te lo giuro!” e gliela baciò.

Stavolta un sorriso tornò a illuminare quel bel volto, bagnato dalle lacrime.

“Sai che sei molto carina, anche quando piangi?”

“Davvero…?”

Lui annuì… e la stava per baciare, quando qualcuno batté ancora alla porta…

“Flanny… Flanny, sei sveglia…?!”

“È Natalie…!” esclamò quest’ultima.

Greason aprì nuovamente l’uscio. Natalie Venc, la collega di Flanny Hamilton, anch’essa trasferita alle Hawaii dalla Cina, comparve sulla soglia.

“Oh…!!! Scu… scusatemi…!! Io non volevo…! Ma…”

“È tutto a posto” la rassicurò Andy con un cenno della mano “io devo scappare” guardò la ragazza castana e le posò la mano sulla spalla “conto su di te…!” sussurrò.

Lei annuì, sorridendo: “Sta’ tranquillo: avrò cura di lei.”

“Grazie… a presto!” concluse il pilota, allontanandosi a passo di corsa lungo il corridoio.

La nuova arrivata si avvicinò all’amica, che ancora si tergeva le lacrime col bordo del lenzuolo.

“Mi dispiace tanto, Flanny… se solo avessi immaginato…”[28]

“Non fa niente… non preoccuparti.”

“Dobbiamo andare anche noi: stanno richiamando tutti i sanitari all’ospedale.”

“Certo, certo… faccio in un attimo.”

La donna fece per dirigersi verso il bagno, ma ad un tratto barcollò e la collega la raggiunse con un balzo per sorreggerla: “Santo Cielo, Flanny…! Ti senti male…?!”

“No, no… va tutto bene…! Tutto…” ma non poté andare oltre. Strinse d’impulso la sua più cara amica e scoppiò finalmente in un pianto dirotto…

“Sii forte Flanny…” le diceva Natalie, anche lei cogli occhi umidi “…sii forte, come sei sempre stata!”

La povera ragazza s’imponeva di contenersi, ma era più forte di lei: “Non ce la faccio, Natalie… non ce la faccio…!!”

“Coraggio, cara… coraggio: non è la prima volta che lo vedi andare in azione.”

“Lo so… ma questa non è come le altre…!” e, asciugandosi gli occhi, le mostrò cosa indossava al dito.

“Santo cielo…!!” Natalie spalancò gli occhi “Vi siete…”

“Già…!!”

“Ma è meraviglioso! Congratulazioni, tesoro…!!”

“Oh, insomma, Natalie…!!” Flanny sbottò.

“Cosa c’è…?!” chiese l’amica, perplessa.

“È la seconda volta che te lo dico! Non puoi aspettare che ritorni, prima di farmi le congratulazioni?”

La collega si portò la mano alla bocca e abbassò gli occhi, mortificata: “Hai ragione, perdonami…! Ma adesso preparati, che dobbiamo andare.”

“Va bene…!”

Mentre Flanny si richiudeva alle spalle la porta del bagno, Natalie, spossata dall’emozione, si lasciava cadere di peso su una poltrona.

“Ahhh…!!” sospirò “Prima Candy… poi Andy… e ora la guerra! Di bene in meglio…!!”

Detto ciò, appoggiò la testa sullo schienale e chiuse gli occhi, cercando di non sentire i rombi, le raffiche e gli scoppi che continuavano a susseguirsi dalla direzione della baia…

 

 

 

 

 

 

 



[1] Ovvero Baia delle Perle…!

[2] Scaletta che permette di salire a bordo delle navi, anche se non sono accostate ai moli.

[3] Corrispondente, nelle Marina, al grado di Sergente nell’Esercito.

[4] The Star Spangled Banner (La Stella brillava sulla Bandiera).

[5] Capitano di Corvetta, grado solitamente attribuito anche ai comandanti di squadriglia dell’Aviazione Navale ed equivalente a quello di capitano nell’Esercito.

[6] Tant’è che il molo antistante l’ancoraggio aveva preso il nome di Battleship Row (Viale delle Corazzate).

[7] In libera uscita.

[8] Aereo silurante, monomotore, denominato Kate nel codice identificativo alleato.

[9] Lancia Lunga. All’epoca dell’attacco all’America, i giapponesi disponevano dei migliori siluri del mondo.

[10] La USS Utah fu una delle tre sole unità che andarono definitivamente perdute nel bilancio dell’attacco, assieme alle corazzate USS Oklahoma e USS Arizona (che oggi si trova sotto l’attuale mausoleo bianco e che contiene ancora i corpi dei 1400 marinai deceduti).

[11] Husband E. Kimmell, comandante in capo della Flotta del Pacifico nel momento dell’attacco giapponese. Venne sostituito, poco tempo dopo, dal ben più competente ammiraglio Chester W. Nimitz, che avrebbe diretto la Flotta dalla rivincita di Midway fino alla vittoria finale del 1945.

[12] L’esercito tedesco. Proprio nei giorni immediatamente precedenti l’attacco giapponese di Pearl Harbour, il Gruppo di Armate Centro del generale Fedor von Bock era riuscito a penetrare a meno di 25 chilometri dal centro della capitale sovietica. Fortunatamente le proibitive condizioni atmosferiche avevano causato l’arresto delle forze germaniche, mentre Stalin, ormai consapevole che i Giapponesi non lo avrebbero attaccato da oriente, aveva fatto trasferire sul fronte di Mosca preziosi rinforzi, prelevati dalle truppe che presidiavano il confine fra la Siberia e la Manciuria.

[13] All’epoca della mia prima “stesura” della storia di Andy Greason, gli avevo attribuito un record di 1094 vittorie (circa la metà giapponesi e il resto tedeschi)… ma ora, in nome del realismo, sarà meglio ridimensionare la cosa!

[14] Vedi capitolo 5.

[15] Lo conoscete il simposio di Platone, quello degli esseri perfetti, divisi a metà, alla perenne ricerca delle loro anime gemelle?

[16] Chuichi Nagumo, comandante della Forza d’Attacco alle isole Hawaii, composta da 6 portaerei, 2 corazzate, 2 incrociatori pesanti, 1 incrociatore leggero, 9 cacciatorpediniere e 8 navi cisterna. 

[17] Distinguished Service Medal.

[18] Il DC3 era il famoso bimotore Douglas Dakota, mentre l’L14 era il meno famoso ma altrettanto valido Lockeed Super Electra, entrambi aerei passeggeri del tempo, impiegati anche nelle aviazioni militari.

[19] Ovvia trasposizione del detto riguardante i marinai (una ragazza in ogni porto)!

[20] Specialmente ai floricultori, agli attori, ai naturalisti, agli aviatori e ai bon viveur…!

[21] Lo so a cosa state pensando, birbantelle: la spiaggia, il chiaro di Luna, il bagno di mezzanotte senza costume… SCORDATEVELO! A parte che Andy Greason è un ufficiale e un gentiluomo, gli Americani degli anni Quaranta erano ancora rigidamente puritani! 

[22] Come avrete già capito, all’epoca del racconto le aviazioni americane erano due: quella dell’Esercito (United States Army Air Force) e quella della Marina (United States Navy Air Force); quest’ultima era principalmente imbarcata sulle navi portaerei, ma disponeva anche di molti reparti basati a terra, oltre ad unità di idrovolanti e anche di dirigibili.

[23] Mi veniva da farle dire: “Basta tagliare i fondi alla sanità, vero…?!” ma forse non era il momento.

[24] Il comando della Flotta del Pacifico (CINCPAF) aveva giudicato “trascurabile” un attacco con aerosiluranti contro Pearl Harbour, proprio perché i fondali della baia avevano una profondità massima di 9-12 metri, mentre i siluri dell’epoca dovevano sprofondare per almeno 20-25 metri, prima di stabilizzarsi a una quota sufficiente per non farli passare sotto la chiglia delle navi attaccate. Nessuna rete parasiluri era stata così calata a proteggere il porto, esponendo le unità della Flotta ad essere colpite da quegli stessi siluri, equipaggiati però con speciali timoni orizzontali posticci che impedivano appunto loro di scendere oltre la massima profondità consentita. Quanto ai bombardieri a tuffo (in grado cioè di picchiare e sganciare con un angolo di 90°) erano stati caricarti con proiettili navali da 460 mm, trasformati in bombe mediate il montaggio degli appositi alettoni; in questo modo potevano sviluppare la massima efficacia sulla protezione dei bersagli.

[25] I principali aeroporti dell’Esercito su Oahu erano 3: Hikam e Bellows Field, ubicati nelle immediate vicinanze della base navale (e perciò immediatamente attaccati) e quello di Wheeler Field, situato verso il centro dell’isola.

[26] Sta parlando ovviamente di John Maxim e Roger Williams (i Fratelli del Sud).

[27] Vedi capitolo 4.

[28] A questa non ci crede nessuno!

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Capitolo 7
*** Gli sposi di guerra ***


Capitolo 5: Il ritorno

Capitolo 7: Gli sposi di guerra

 

UCPFH 07

 

 

L

a piccola jeep con a bordo metà organico della 3a Squadriglia del 18th Pursuit[1] Group, in forza all’Aviazione dell’Esercito di stanza nelle Hawaii, filava a tutta birra lungo la strada che univa Honolulu a Pearl City, la cittadella formata dagli alloggiamenti per gli ufficiali e le caserme della truppa per le Forze Armate a presidio dell’isola di Oahu. Qui giunti, il capitano Greason, che aveva preso la guida del veicolo, svoltò bruscamente a destra per imboccare la strada che conduceva verso l’interno dell’isola, dov’era situato l’aeroporto militare di Wheeler Field.

“Ehi, vacci piano, Andy” protestò James, aggrappandosi all’orlo del parabrezza per reggersi in equilibrio, dopo che la vettura si era sollevata sulle ruote di sinistra “per poco non capottavamo…!”

“Scusami, Jim” rispose il comandante, riprendendo il controllo “sono un po’ nervoso, questa mattina!”

“Era meglio se lasciava guidare me, signore” osservò il sottotenente Sanders “non è indicato mettersi al volante, dopo certe nottate…!”

“Piantala, Victor….!!” lo riprese quel galantuomo del tenente Stone.

“Articolo 14 comma 3: mancanza di rispetto verso i superiori. Sei consegnato per una settimana dal termine dell’emergenza!” sentenziò il capitano, dopo aver superato con destrezza una scampanellante autocisterna dei pompieri.

“Oh, no, signore… la prego” protestò il reprobo, gesticolando “ritiro tutto! E le prometto che non si ripeterà…!”

“Troppo tardi, dannato piantagrane” rispose, inesorabile, il superiore “grazie al tuo scherzetto di ieri, oltre a 950 dollari, ci ho rimesso pure la libertà! Perciò tieni chiusa quella tua maledetta boccaccia, prima che mi procuri altri guai…!”[2]

“Sissignore!” rispose, secco, il sottotenente. Ma poi si rivolse verso il suo compare, seduto accanto a lui sul sediletto posteriore: “Che ingrato, però: invece di ringraziarmi…!” gli sussurrò all’orecchio. Roy Master si limitò a sorridere, scuotendo sconcertato la testa davanti alla proverbiale arroganza dei superiori.

Nel frattempo la jeep cogli aviatori aveva bruciato le miglia restanti che ancora mancavano alla base aerea. Nell’ultima parte del tragitto un paio di ambulanze militari li avevano incrociati ed Andy le aveva osservate cupamente, pensando alla difficile giornata che anche la sua promessa si sarebbe trovata davanti. Poi aveva stretto i denti ed era tornato a fissare la strada. Non era quello il momento di pensarci…!

Il caporale di guardia al cancello fece loro velocemente cenno di passare, non curandosi nemmeno di controllare il tesserino che Greason gli tendeva: una violazione da Corte Marziale, ad eccezione di quella particolare mattina. Varcata la recinzione, lo spettacolo che si presentò loro aveva un che di apocalittico: decine di caccia distrutti al suolo, dei quali la maggior parte ardevano come torce. Tutto intorno una miriade di piloti e di meccanici tentavano d’individuare gli apparecchi recuperabili per metterli al riparo, cercando anche di spostare le carcasse di quelli perduti, in modo da garantire ai pochi rimasti incolumi uno straccio di pista per decollare via da quell’inferno. L’aria era ovviamente ammorbata dall’acre fumo degli incendi, mentre l’etere risultava saturo del frastuono che producevano il crepitare delle fiamme, il fruscio delle manichette per l’acqua e le raffiche della contraerea in azione contro i caccia giapponesi, che ronzavano tuttora sopra quel povero campo.

Orientandosi a fatica in tutto quel trambusto, i quattro piloti raggiunsero il dispersal[3] della loro unità, dove trovarono ad attenderli gli altri compagni.

“Che ci fate, ancora qui…?!” gridò loro il comandante, scandalizzato “Agli aerei, presto: muovete quelle chiappe…!!”

“Calma, capo” gli rispose il sottotenente John Maxim, alzando una mano “ci eravamo arrivati da soli… purtroppo i musi gialli ci hanno già fregato!”

“Che diavolo vuoi dire…?”

“Questa parte del campo è stata la più arata da quei bastardi” spiegò Roger Williams, il suo “fratellino” minore “e tutti i nostri apparecchi sono fottuti..!”

“Maledizione” sbottò il capitano, facendo un gesto di dispetto col pugno chiuso “proprio tutti…?”

“Beh, ci sarebbe rimasta un mezza dozzina di P-35, là in fondo… e anche un paio di P-36!” rispose Vincent Hames.[4]

Andy rifletté solo un attimo, prima d’imprecare di nuovo: “Alla malora…!! Affrontare gli Zero con quei bidoni sarebbe puro suicidio… non ho intenzione di crepare proprio l’ultimo giorno che passo da scapolo…! Aspettate qua!” detto ciò, si precipitò all’interno della baracca.

“Cos’è che ha detto?” chiese il sottotenente Harris, sbalordito dalle ultime parole del capo-squadriglia “L’ultimo giorno da che…??”

“E fatti i cavoli tuoi…!” lo zittì subito il tenente Stone.

***

Dopo essere precipitosamente scese in strada, Flanny Hamilton e Natalie Venc avevano cercato disperatamente un mezzo di trasporto che le portasse nel quartiere situato nella riva sud della baia, dove c’era l’ospedale della Marina. Ma tutto il traffico cittadino si dirigeva invariabilmente verso i docks[5] di Honolulu. A un certo punto le due donne notarono un vetusto tassì fermo al lato opposto della strada, di fronte a una villetta residenziale. Senza porre altro tempo in mezzo, si precipitarono verso la vettura.

“Presto, lei…” gridò Flanny all’indirizzo del conducente, che stava leggendo il giornale appoggiato a un lampione “…ci porti a Pearl Harbour, svelto!”

Il tizio abbassò la copia dell’Honolulu Star Bulletin e la guardò con fare scettico, portandosi due dita alla visiera del cappello di paglia: “Dolente, miss… ma devo accompagnare dei civili al porto. Non li vede i bagagli sul tetto?”

“La prego” intervenne allora Natalie “siamo due infermiere: dobbiamo raggiungere subito l’ospedale della Marina!”

“Molto spiacente” ribadì l’uomo, scuotendo la testa “ma il mio servizio ha la precedenza. E poi a Pearl s’è scatenato l’inferno e io non ci torno per nulla al mondo…!”

“E invece ci tornerà” gli rimpallò Flanny, acida, dopo aver respirato profondo “è un suo preciso dovere. E adesso si sbrighi…!”

L’hawaiano gettò a terra il giornale e si avvicinò: “Senta, li vede quei buchi…?” indicò veemente il lunotto della macchina “Prima venivo proprio da là, quando un aereo mi ha mitragliato. Sono vivo per miracolo, se vuol saperlo…!!”

Il solito minaccioso brillio comparve sugli occhiali della fidanzata di Andy Greason: “Preferisce che la denunci alle autorità militari per omissione di soccorso?”

L’uomo alzò le spalle: “Faccia come crede! Ci tengo alla mia pellaccia e ho una famiglia sul groppone. E ora filate, che arrivano i miei clienti…!”

Senza aggiungere altro lo sgradevole individuo raggiunse il didietro della vettura per spalancare il portabagagli, avendo notato che la famiglia che lasciava quella casa per tornarsene sul continente stava portando con sé diversi altri colli. Con un guizzo risoluto, Flanny si appressò alla collega, sconsolatamente ferma sul marciapiede, accanto al lato sinistro del tassì, che aveva la portiera anteriore aperta…

“Natalie” sussurrò “tu sai guidare, vero...?”

L’amica ebbe un sussulto e spalancò gli occhi: “Sì, ma…”

“Allora andiamo!” ciò detto si fiondò nella vettura scivolando sul divanetto verso il posto del passeggero, mentre trascinava col braccio sinistro l’amica a quello di guida. Subito dopo si allungò quel tanto che bastava per afferrare e richiudere lo sportello.

Schermato dal portabagagli aperto, il tassista non si era accorto di nulla, finchè non udì il tonfo della chiusura: “Ehi, voi due: che diavolo fate…??!” gridò.

“Solo il nostro lavoro” gli rispose semplicemente Flanny “avanti, parti…!!” ordinò poi a Natalie. Costei, privata d’ogni remora residua dalla voce e dallo sguardo della sua sempiterna “mentrice”, non ebbe più alcuna esitazione. Mise in moto, ingranò la marcia e schizzò via, lasciandosi dietro quegli sfortunati civili nel vedere la metà delle loro masserizie andarsene con la macchina, mentre il poco collaborativo tassista rimaneva nel bel mezzo della strada, reggendo due valige per mano e sciorinando una tale sfilza di bestemmie da far fischiare sicuramente le orecchie alle lontanissime Miss Pony e Suor Maria…!

 

***

Raggiunto il piccolo ufficio situato all’interno del dispersal, Andy si attaccò subito al telefono: “Pronto… pronto… controllo…?!”

“Sì, pronto… qui controllo di Hickam: sergente Rodriguez all’apparecchio.”

“Parla il capitano Greason, della 3a Squadriglia.”

“Dica, signore…!”

“Deve mettermi subito in contatto col comandante del 18° Gruppo… è urgente!”

“Ah…! Sì, capitano… il maggiore Carson è riuscito a decollare con due piloti della sua unità. Ha lasciato un messaggio per lei.”

“L’ascolto…”

“Ha detto di raggiungere l’aeroporto sussidiario di Haleiwa, nel caso non trovaste più caccia operativi a Wheeler. Quel campo non ha subito attacchi, finora e potrete decollare da laggiù, per intercettare gli incursori.”

“Ricevuto. Partiamo immediatamente: lo riferisca al maggiore Carson, se ci riesce.”

“Sarà fatto, signore. Buona fortuna…!”

Andy Greason si precipitò di nuovo all’esterno.

“Ebbene…?” gli chiese Stone.

“Corriamo ad Haleiwa. Decolleremo da là.”

“Ma la jeep non può portarci tutti e otto…!” obiettò Sanders.

“Questo lo dici tu. Forza, partiamo!”

Pochi secondi più tardi lo sbalordito personale di Wheeler Field assistette alla sgassante partenza di una Willys montata da ben otto persone: Andy e James ai posti anteriori, Vic e Roy sul divanetto posteriore, Johnny e Jerry sui copriruota laterali e infine Vinny Hames e Sammy Harris sul cofano del motore, disperatamente aggrappati al parabrezza, opportunamente abbassato.

“Io e Sam contiamo su di lei, comandante” si raccomandò il sottotenente Hames “ci avverta, se sta per inchiodare…!”

“È abbastanza improbabile che lo faccia, Vinc” lo rassicurò il capitano “attenti a non cadere all’indietro, piuttosto: tenetevi coi piedi al paraurti.”

Detto questo, il capo-squadriglia accelerò decisamente la marcia, puntando in direzione del piccolo campo ausiliario, situato a circa 10 miglia verso nord-ovest.

 

***

Quando le due giovani infermiere arrivarono finalmente all’ospedale della Marina, situato nei pressi della zona dei cantieri, vi regnava già un’atmosfera da tregenda! L’attacco alla base navale era in corso da meno di mezz’ora e già le corsie erano gremite di feriti… i più gravi erano naturalmente gli ustionati, ma c’erano anche parecchi marinai crivellati di schegge. Diversi avevano perduto un arto e le loro urla  mettevano a dura prova i nervi del personale medico, specialmente le giovani infermiere che mai si sarebbero aspettate che in quell’isola di paradiso si sarebbe potuto scatenare un simile inferno!

Con rapidità fulminea Natalie e Flanny raggiunsero il loro reparto, si cambiarono e si presentarono subito in corsia, dove la prima rimase per gestire la medesima, mentre l’altra, più esperta delle due, fu naturalmente destinata alla sala operatoria. Nell’attimo in cui le due amiche si separarono, Natalie strinse forte la mano della collega, guardandola profondamente: “Coraggio, cara… e non temere: se la caverà…!”

Un umido velo di commozione passò davanti agli occhi di Flanny. Fino a quel giorno era sempre stata lei a sostenere la compagna più giovane con la sua affettuosa severità. Ora Natalie la ricambiava con tutto il cuore, nel momento certamente più difficile della sua vita.

“Grazie…! A più tardi… e in bocca al lupo anche a te!”

Si voltò di scatto tergendosi svelta una lacrima per raggiungere il suo “posto di combattimento”… non appena si trovò davanti al tavolo operatorio, la vista di tutti quei bisturi, le forbici e le pinze - da sempre così consueta per lei - le provocò stavolta un discreto fremito, pensando che anche il suo uomo avrebbe potuto ritrovarsi al posto di quei poveretti che avrebbero fra breve dovuto operare.

“Diagnosi…?” chiese subito il chirurgo, appena arrivato, porgendo le mani all’altra assistente.

“Ferite multiple da pallottola con sospetta perforazione al polmone destro.” rispose lei, infilandogli i guanti sterilizzati.

A quei richiami, Flanny Hamilton ebbe un guizzo… fece però un respiro profondo e s’impose di non pensare più a nulla che non fosse il suo compito principale. La cosa non era per niente facile, nelle circostanze che sappiamo, ma la valorosa giovane trovò quasi subito il sistema migliore per riuscirci…  

“Avete applicato una totale?” chiese ancora l’ufficiale medico.

“Purtroppo, solo una locale: ci è stato ordinato di risparmiare le scorte.”

“Naturale…!” commentò l’altro, contrariato. Poi si voltò verso Flanny “Bene, procediamo: è pronta?”

“Pronta dottore!” gli rispose la promessa di Andy con uno sguardo che mostrava di nuovo la più fredda solerzia.

“Bisturi…!” ribatté allora l’uomo, stendendo il braccio verso di lei…

***

Premendo sempre l’acceleratore a tavoletta Andy Greason faticava a tenere in strada la vettura. Ad ogni curva i poveri Sammy Harris e Vinny Hames rischiavano di spiccare superbamente il volo, prima ancora di poter montare sopra un aereo e anche I Fratelli del Sud, John Maxim e Roger Williams, non se la passavano granché meglio!

“C’è ancora molto, capo?” domandò il texano “Ancora un po’ di questa giostra e credo che darò di stomaco senza ritegno…!”

“Purché tu lo faccia verso l’esterno” rispose il capo-squadriglia “non c’è nessun problema, Johnny…!”

“Il problema, signore” intervenne Harris “è che, se prende la prossima curva come quella di prima, i japs non dovranno consumare munizioni, per toglierci di mezzo…!”

“Per non parlare delle mie povere ossa” si lamentò anche Williams “nemmeno i nostri posti sono molto confortevoli…!”

“Basta coi piagnistei” li riprese il comandante “so di non essere un granché come pilota di automobili… ma ogni secondo è prezioso. E poi, vista l’aria che tira, le cose potrebbero andare anche peggio…!”

“Ad esempio…?” domandò James Stone, ironico.

“Ad esempio così…!!” rispose all’istante il capitano, puntando l’indice verso l’alto. I suoi compagni, seguendo la direzione del suo dito, trasalirono nella scorgere la sagoma di un aereo, il cui rombo del motore era stato finora coperto da quello della jeep e dalle loro voci in quegli scambi di battute. La speranza che fosse amico ebbe poi vita breve, dal momento che il nuovo arrivato iniziò subito a scendere in picchiata verso di loro, emettendo un agghiacciante stridio. Disgraziatamente, proprio in quel tratto, la strada era perfettamente rettilinea e l’incursore avrebbe potuto colpire il suo bersaglio con una difficoltà non superiore a quella necessaria per compiere uno strike al bowling…!

“Misericordia…!!!” esclamò Andy  “Sarà meglio uscire di strada. Tenetevi saldi…!!”

Senza ulteriori esitazioni, il capitano sterzò bruscamente a sinistra e la jeep, abbandonata la carreggiata, iniziò a scendere sobbalzando lungo il pendio, per l’immensa gioia delle natiche appartenenti ai passeggeri sprovvisti di sedili…!

La mossa del capo si rivelò per fortuna abbastanza repentina da non consentire al pilota nipponico di correggere la rotta per tirare esattamente sul bersaglio! Probabilmente il simpatico Figlio del Sole li sentiva già così in pugno da volersi avvicinare quel tanto da innaffiarli anche con le pallottole delle due mitragliatrici leggere, oltre a quelle dei quattro cannoncini.[6]

Purtroppo, l’abbrivio dovuto alla pendenza della collina, unito forse all’agitazione di quel particolare momento (non era divertente venire attaccati senza poter rispondere…!) fece perdere parzialmente a Greason il controllo della macchina, facendola finire dritta filata contro una specie di conca…

Grazie alla sua congenita prontezza di riflessi, Andy fece in tempo a gridare: “Ci capovolgeremo… buttatevi giù…!!!”

Senza farselo ripetere, gli altri obbedirono con la massima solerzia: John e Roger si lasciarono semplicemente cadere all’indietro, seguiti da Victor e Roy che scavalcarono i bordi della jeep. Vincent e Sammy si diedero una spinta con le braccia per saltare giù dal cofano e James si limitò infine a rannicchiarsi, non volendo abbandonare il suo fedele amico sul veicolo.

Fortunatamente la previsione di Andy non si rivelò del tutto azzeccata: dopo avere affondato le ruote in quello che era forse un antico sfiato vulcanico, la piccola vettura sollevò il didietro quasi a 45 gradi, ma poi si limitò a piantare il paraurti anteriore nel terreno, rimanendo in quella posizione abbastanza precaria.

“Però… credevo che queste jeeps tenessero un po’ meglio la strada…!”

“Mi spiace dirtelo, comandante, ma la è colpa è tua: hai scordato d’innestare la trazione integrale!”

“Che ne sapevo io? Ho l’abilitazione ai caccia, non ai fuoristrada! E comunque, se me lo dicevi prima…”

“Hai ragione… fessi tutti e due!”

“Riparatevi: sta tornando…!!!”

In pochi attimi i compagni, leggermente sparpagliati per il pendio, corsero a raggiungere quella buca provvidenziale, mentre lo Zero stava eseguendo una strettissima virata consentitagli dal suo favorevolissimo carico alare.[7] Più presto di quanto fosse auspicabile, gli aviatori sentirono di nuovo l’inquietante sgranare delle raffiche e tutti si rannicchiarono alla bell’e meglio nel fondo di quel piccolo cratere, sperando che la sua profondità fosse sufficiente a ripararli.

Per buona sorte, lo fu: i proiettili rimbalzarono totalmente fuori dai bordi, ma sussisteva anche il pericolo che colpissero la jeep, facendo esplodere il serbatoio! Gli aviatori speravano che il nemico si “accontentasse” di questo secondo passaggio, ma poi lo videro virare di nuovo alla fine della sua cabrata…

“Lurido figlio d’una baldracca gialla” imprecò Victor Sanders “ce l’ha proprio con noi…!!”

“Pare di sì” gli fece eco Roy Master “come se non dovesse risparmiare carburante per tornarsene sulla sua fottuta portaerei…!”

“Purtroppo quegli Zeke[8] sono talmente leggeri da poter caricare benzina fino all’inverosimile. Se solo avessimo un’arma per difenderci…!”

Roger Williams, che si era messo per conto suo a frugare nella vettura, alzò trionfalmente una cosa che aveva trovato sotto il divanetto posteriore: “Come questa…?!” gridò.

Alla vista del mitragliatore M3 Grease Gun che il loro compagno teneva fra le mani, John Maxim urlò dalla gioia: “Bravo il mio fratellino dell’Alabama…!!! Presto, dammi qua…!”

Gli strappò letteralmente l’arma dalle mani e lo spinse bruscamente a ripararsi dietro la macchina. Poi, dicendo agli altri di fare altrettanto, si stese lungo il fianco della buca, stringendo con freddezza il grilletto e l’impugnatura dell’arma.

“Non fare pazzie, John” tentò Andy di farlo recedere “il gioco non vale la candela…!”

“So quel che faccio, capo” rispose l’altro, deciso “si metta al riparo, piuttosto!”

Greason obbedì a malincuore e il suo subalterno si sistemò con la testa appena dietro il bordo del piccolo ex-cratere. Il giapponese stava facendo la sua seconda picchiata sul bersaglio, sempre certamente la jeep, che poteva vedere molto meglio dei singoli uomini. Il coraggioso Maxim attese freddamente che il caccia si avvicinasse quel tanto da dover tirar su il muso… la pioggia di colpi continuava ad infrangersi appena dietro il bordo della conca e diversi proiettili piombarono roventi sulla giacca di pelle del sottotenente, che, come sentì cambiare il rumore nella richiamata, si sporse risoluto e fece partire la scarica contro lo Zero, muovendo anche il corpo per accompagnare il movimento del bersaglio e continuare a tirargli sulla coda…!

Si parla spesso del “talento dei matti”… i colleghi di John Maxim, dopo essersi rialzati, si sbalordirono a vedere una scura scia di fumo che contrastava spiccatamente con la livrea candida del caccia. Il motore cominciò a perdere colpi, poi l’aereo iniziò inesorabilmente ad impennarsi e infine si vide sparire dietro la cresta della vicina montagna, sempre fischiando nell’ineluttabile picchiata. Non fu udito nessun tonfo, ma a tutti piacque credere che quel furfante dal muso giallo fosse stato uno di quei 29 incursori che non sarebbero riusciti a far ritorno alla Squadra d’Attacco dell’ammiraglio Nagumo!

“Sei stato formidabile, John” commentò il caposquadriglia dandogli una calorosa pacca sulla schiena “ma come diavolo hai fatto…??”

“Non dimentichi da dove vengo, signore!”

“Sarebbe a dire…?” chiese Andy, perplesso.

“Beh… si dice che ad Abilene, chi spara giusto vive bene…!”[9]

Il capitano non poté trattenere una risata, imitato anche dagli altri. Poi, tornato serio: “Ok, gente: ci siamo divertiti abbastanza…! Visto che l’amico Tojo[10] ci ha fregato la jeep, dovremo sgambettare fino ad Haleiwa. Ormai non saranno che due miglia.”

“Andiamo, allora” ribatté Sanders, con decisione “e speriamo che laggiù ci siano abbastanza aerei per tutti!”

“Puoi dirlo forte, compare” approvò, a sua volta, Master “non abbiamo ancora finito con quelli lassù…!”

 

***

Finalmente, sudati e impolverati, gli otto piloti raggiunsero la piccola base ausiliaria dell’Esercito dov’erano stati prudentemente trasferiti alcuni caccia dagli aeroporti principali di Hickam e Bellows Field, i quali, essendo i più prossimi alla base navale, si prevedeva che in caso di attacco sarebbero stati certamente i più colpiti. Anche su altri piccoli aeroporti di Oahu era stata fatta la stessa cosa e questo stava appunto permettendo all’USAAF di abbozzare una minima reazione contro gli incursori giapponesi.

“Santo cielo, signore” chiese un sergente dello sparuto personale di terra al capitano Greason, quando vide arrivare quel gruppetto appiedato “da dove venite…?!”

“Da Wheeler” rispose lui, senza preamboli “avete qualche aereo per noi, possibilmente intatto?”

“Solo due paia, là in fondo, capitano. Gli altri hanno già decollato… capisce, qui di piloti ne arrivano alla spicciolata, un po’ da tutti i reparti e…”

“Sì, ho capito. Speravo in qualcosa di più, ma bisognerà accontentarsi…! Ok, li faccia mettere in moto: arriviamo subito.”

“Signorsì…!” rispose il sottufficiale, correndo verso i caccia e facendo cenno ai pochi meccanici presenti. Scuotendo la testa, il capo-squadriglia si rivolse quindi ai suoi compagni: “Avete sentito? Ce ne sono solo quattro… la metà di noi resterà a terra, purtroppo!”

“Non ci voleva, maledizione…!” ribatté Stone, sconcertato.

“E allora, chi resta giù?” chiese Master.

“Tireremo a sorte” replicò a sua volta Maxim “prendo un ciuffo d’erba.”

Fece per chinarsi, ma Andy lo trattenne: “Sta’ fermo, niente lotterie: andremo su io, Jimmy, Vic e Roy… voi attenderete l’eventuale ritorno di qualcuno, per dargli il cambio.”

“Ma come sarebbe…??” saltò su il focoso texano “Non mi sembra una decisione molto democratica…!”

Greason fece un respiro profondo. Mai come in quel momento, quelle maledette traversine di binario argentate gli pesavano sulle spalle[11] e per fortuna riuscì a trovare le parole giuste: “Guarda che la democrazia la dobbiamo salvare, non applicarla in questo preciso frangente…! Quelli lassù non sono i piloti di seconda scelta che Hiroito mandava in Cina per farsi le ossa: sono i migliori assi della Marina Imperiale! Voialtri avete meno esperienza, per cui farete da riserve. Sono stato chiaro…?!”

John Maxim aveva incrociato le braccia grugnendo rumorosamente… e forse si sarebbe anche lasciato sfuggire qualche commento poco rispettoso se il suo “fratellino minore” non fosse stato lesto a posargli una mano sulla spalla, per rabbonirlo.

“Chiarissimo, signore” rispose poi Williams al capo “andate e buona caccia…!”

“Grazie, Jerry” annuì Andy, fissandolo con riconoscenza “ci si vede, allora. Muovete il sedere, voialtri…!”

I quattro “fortunati” spiccarono una corsa verso le piazzole dov’erano in attesa i P-40 disponibili, già col motore acceso. Ognuno si diresse verso quello che gli stava più simpatico e vi salì sopra, dove un aviere lo aiutò a sistemarsi. Quando Andy, salito per primo, vide che i suoi colleghi erano tutti a bordo, alzò il braccio destro e tagliò poi l’aria davanti a sé. Poi il suo aviere gli chiuse la capotta e il capitano spinse avanti la manetta.

In meno di trenta secondi le due coppie di caccia si alzarono in volo dalla piccola pista, mentre gli “sfortunati” compagni rimasti a terra li guardarono rimpicciolire nell’azzurro cielo hawaiano.

“Questa qui non mi è piaciuta proprio per niente…!!” inveì ancora Maxim.

“Dai, non te la prendere” tentò di placarlo Vinny Hames “ce ne saranno, di occasioni, d’ora in poi…!”   

“Sì, d’accordo… capisco anche che proprio il capo non potesse restar qui… ma perché non tirare a sorte per gli altri, porco mondo?!”

“Cerca di star calmo” disse Williams “il capo sa quello che fa… e, se ha deciso così, ci sarà sicuramente un motivo.”

Il suo fratellone di Abilene si limitò a grugnire, chiedendosi scocciato di quale motivo potesse mai trattarsi… il che dimostrava in modo lampante come il suo superiore avesse fatto bene a lasciarlo a terra!

Il motivo, infatti, era abbastanza comprensibile: non solo Andy Greason, James Stone e i due Compari di Chicago[12] avevano alle spalle più ore di volo rispetto agli altri, ma il capitano sapeva bene quanto fosse meglio che il focoso texano si “raffreddasse” un po’, prima di confrontarsi con dei piloti esperti! Quanto al suo “protetto” Williams, si sarebbe certamente trovato un po’ perso senza di lui ed era quindi altrettanto opportuno che rimanesse a fargli compagnia. Certo, la decisione di stabilire chi dovesse accompagnarlo e chi no poteva comportare il rischio di renderlo leggermente “impopolare” fra i componenti della sua squadriglia… ma le considerazioni di cui sopra avevano preso necessariamente il sopravvento su di lui, sebbene a malincuore. Ciò dimostrava comunque che le previsioni espresse in terra cinese del colonnello Clint Hardgison erano state senz’altro azzeccate: Andrew Steve Greason si stava rivelando veramente un ottimo comandante!

 

***

“OK, kids…! Abbiamo raggiunto quota 20000[13]… togliete le sicure e provate le armi.”

Quando i compagni ebbero eseguito l’ordine, Andy Greason continuò: “Prendiamo la direzione uno-cinque-sei per tornare verso la baia… manetta in crociera da combattimento… i siluranti e i bombardieri dei japs dovrebbero mantenersi bassi per il peso del carico e del carburante: è a loro che dobbiamo puntare. In quanto agli Zero di scorta, è probabile che saranno più impegnati a tartassare gli aeroporti. Tuttavia, se ci vengono incontro, eseguiremo la solita tattica: tutta manetta e muso in giù per seminarli, poi risaliamo e cerchiamo di beccarli in coda. Capito bene…?”

“Affermativo!” rispose il tenente Stone.

“Mi raccomando: anche se so perfettamente come vi sentite, cercate di tenere a bada l’incazzatura per mantenere freddezza e nervi saldi. Quel furfante di Yamamoto avrà di certo selezionato i suoi piloti migliori e, se non diamo il meglio di noi stessi, non torneremo indietro. Chiaro…?”

“Cristallino, signore…!” confermò il sottotenente Master, con voce abbastanza tranquilla.

“Ti senti in forma, Roy?”

“Abbastanza, capo…!”

“Tu, Jimmy?”

“Non c’è male… a parte qualche farfalla che svolazza nello stomaco…!”

“Vic…?”

“Anch’io sono OK, comandante! Lei, piuttosto?”

“Pure io, perché? Che vorresti dire…?” chiese Andy, punto sul vivo.

“Proprio niente, signore… temevo solo le facesse male la schiena!”

James Stone e Roy Master fecero del loro meglio per restare seri, ma non riuscirono a frenare del tutto le risate… quando poi Andy comprese in pieno l’insinuazione di Sanders, non poté fare a meno d’incavolarsi: “Un’altra battuta come questa e ti garantisco che sputerai la successiva appeso al paracadute! E non per mano del nemico…!!”

Roy Master tentò di rabbonirlo: “Non se la prenda, capitano: sono certo che Vic lo ha detto solo per tenere a bada l’incazzatura…!”

“Ma davvero…?!” grugnì l’interessato.

“Glielo giuro, signore” confermò il colpevole “come da sua precedente disposizione!”

Stone credette bene d’intervenire: “Dacci un taglio, chiacchierone. È tutta invidia, la tua…!”

“Adesso basta, disgraziati” perse la pazienza il capo “tenete gli occhi aperti per i gialli, piuttosto, se vi preme il deretano…! Chiudo!”

Gli altri si azzittirono, compreso Sanders, leggermente pentito di aver stuzzicato troppo il suo comandante. Ormai lo conoscevano da diverso tempo e sapevano che con lui ci si poteva prendere parecchia confidenza, specialmente fuori servizio, dove i gradi non esistevano. Si poteva anche scherzare su molte cose… ma meno su certe altre e specialmente non su quelle serie! E quanto stava capitando negli ultimi tempi al loro compagno più anziano era appunto una faccenda molto importante, almeno per lui.

Come poteva rivelarsi una cosa seria quel certo dolorino alla schiena che effettivamente il capitano stava provando… anche se forse era soltanto dovuto alla non eccelsa ergonomicità del sedile montato dalla Curtiss sul suo modello 87-B…!

*Speriamo bene…!* si disse comunque il capitano, grattandosela.

Improvvisamente, sempre il sottotenente Sanders, leader della seconda improvvisata pattuglia, trasmise il seguente annuncio: “Banditi a ore 10, in basso!”[14]

Il capitano aguzzò la vista: “Sono Zero… devono appartenere alla seconda ondata d’attacco per dare una ripassata definitiva a Wheeler Field. Ignoriamoli e passiamo oltre.”

“Ma capo… che diavolo significa…?!” saltò su il sottotenente Master.

Andy sbuffò: “Non hai sentito cosa ho detto, prima? I nostri obiettivi sono bombardieri e siluranti! Ormai alla base aerea c’è rimasto ben poco da colpire, mentre al porto possiamo ancora salvare qualche nave… forse! Calmate i bollenti spiriti e tenete la rotta.”

Roy grugnì ma dovette convenire che il capo aveva ragione. Se non che, pochi attimi dopo, fu il tenente Stone a lanciare un nuovo allarme: “Andy: sembra che alcuni di quei simpaticoni desiderino uno scambio di opinioni con noi…!”

Greason gettò lo sguardo nella direzione prima indicata da Sanders e imprecò nel constatare che sei Zero avevano effettivamente iniziato ad arrampicarsi verso di loro: “Ho visto…! Saranno stufi di tirare al bersaglio e preferiscono impedirci di guastare la festa ai loro amici sulla baia. E va bene…! Vic, Roy: voi tirate dritto, picchiando. Noi pensiamo a buttarne giù almeno un paio, poi torniamo indietro per dare addosso a quelli che vi inseguiranno! Ok…?”

“Wilco, signore…!” rispose Sanders, con un po’ di riluttanza.

“Roger… in bocca al lupo, compari!” fece eco Master.

Terminato lo scambio di comunicazioni, Andy e James iniziarono a picchiare leggermente, tenendo aperto qualche grado di flap… arrivati a distanza utile, aprirono entrambi il fuoco contro gli aerei più vicini della formazione avversaria, mancandoli ma costringendoli a rompere la linea di volo. I loro restanti camerati si gettarono invece addosso ai P-40 della seconda coppia yankee, sganciando i serbatoi supplementari da 500 litri per avere migliori possibilità di raggiungerli. A questo punto, comandante e vice-comandante della dimezzata 3a Squadriglia puntarono direttamente addosso ai quattro Zero succitati e fecero fuoco senza pietà con le loro dodici Browning da mezzo pollice. Immediatamente dopo si videro due torce fiammeggianti precipitare in avvitamento, per poi schiantarsi sulle verdi colline dell’isola.

“Bel colpo, capo…!!” si sentì la voce euforica di Sanders, nella cuffia.

“Sei grande, Jimmy…!” aggiunse a sua volta Master.

“Bando ai complimenti e state pronti a virare” li mise in guardia il capo-squadriglia “ci sono altri due samurai che stanno per saltarvi addosso… ora!!”

Come videro i due Zero superstiti avvicinarsi negli specchietti retrovisori, Roy Master e Victor Sanders eseguirono due rapide autorotazioni per togliersi dalla linea di tiro dei nemici e, a parte qualche proiettile vagante che bucherellò l’estremità alare sinistra dell’aereo di Roy, se la cavarono a buon mercato. Tirando completamente indietro la manetta e aprendo del tutto i flaps, I Compari di Chicago riuscirono poi a rallentare quel tanto che bastava per farsi sorpassare dai due giapponesi e subito il leader della seconda pattuglia si trovò scodellato il suo Zeke nel mirino…

“Bravissimo, Tojo: fermo così” esclamò Sanders “Hasta la vista, baby…!!”

Il successivo crepitare delle raffiche fu seguito dalla comparsa di una spessa scia di fumo scaturita dietro la NACA del caccia avversario, che subito si avvitò per piombare su una sottostante piantagione di ananassi.

L’avversario di Roy era invece un osso assai più duro. Come si vide in coda il Warhawk, eseguì un fulmineo e perfetto tonneau, che lo rimise in posizione di vantaggio. Il concittadino di Sanders, prima ancora di capirci qualcosa, si trovò circondato dai traccianti e l’ala destra gli venne crivellata da diversi colpi da venti… subito il suo istinto di pilota gli fece ritrarre i flaps e spingere tutte in avanti sia cloche che manetta. Il profilo delle montagne si alzò sul parabrezza, come l’orizzonte artificiale sullo strumento stesso. I colpi avversari erano cessati e il sottotenente Master stava scaricando l’adrenalina… quando, un rapido sguardo gettato allo specchietto, gli tornò a levare il fiato: “Oh, no…!! Ce l’ho attaccato al culo…!! Victor, dove sei…?? Fa’ qualcosa, Cristo…!!!”

“Tieni duro, compare” gli rispose un gradito gracchiare alla radio “arrivo il più in fretta che posso…!”

Ma il sottotenente Sanders si trovava ancora abbastanza indietro, mentre Greason e Stone erano impegnati a contrastare gli ultimi due Zeke della formazione nemica. A un certo punto, Master avvertì un colpo secco, poi vide uscire delle preoccupanti lingue di fuoco dagli scappamenti sul muso e due dense strisce di fumo nero si persero nella sua scia…

“Sono fottuto…!! Sono fottuto…!!!” gridò, disperatamente.

“Lanciati subito, Roy” udì la voce di Sanders, nella cuffia “può esploderti il serbatoio da un momento all’altro…!!”

“Roger… eseguo…!” con una mano, il pilota sganciò le cinghie che lo trattenevano al sedile, mentre manovrava con l’altra la manovella di apertura del tettuccio. Violentemente contrastato dalla corrente d’aria, scavalcò il bordo della carlinga e si lasciò scivolare nel vuoto. Tirò allora la maniglia di apertura del paracadute e avvertì con sollievo lo strappo dell’ombrello che si apriva. La velocità di caduta decrebbe di colpo e Master iniziò a scendere verso terra, dondolando dolcemente… stava cominciando a respirare di sollievo quando, guardandosi intorno, si accorse che il suo abbattitore si stava dirigendo verso di lui, con intenzioni fin troppo eloquenti…!

*Quello stronzo viene a mitragliarmi* pensò, col volto già imperlato di sudore *stavolta è proprio finita…!!*

In quel preciso istante Andy Greason stava per inquadrare nel mirino uno dei due ultimi A6M, quando gli giunse negli auricolari il grido disperato di Sanders, che aveva visto tutta la scena. La manovra d’inseguimento aveva però fatto avvicinare provvidenzialmente il comandante alla zona dell’abbattimento di Master e comprese fulmineo che solo lui poteva fare qualcosa. Senza esitare impartì quindi le istruzioni ai colleghi: “Jimmy, prendi tu il mio nip! Victor, bada a quell’altro! A Roy ci penso io…!”

“Roger…!” risposero gli altri due.

Prendendo quella decisione, Andy si assumeva un’enorme responsabilità. Ma sapeva anche di essere il miglior tiratore e per cavare Roy Master fuori dai guai serviva appunto uno che non potesse assolutamente sbagliare. Dando perciò tutto gas al motore, si gettò direttamente sul caccia giapponese, sempre intento a puntare vigliaccamente contro il suo indifeso avversario![15] Conscio di avere tutto il tempo che voleva per finirlo, lo spietato giapponese aspettò di arrivargli praticamente addosso, quando avrebbe già potuto prenderlo di mira… ma questa ferocia gli si rivelò controproducente, poiché dette al nostro asso il tempo che gli serviva per giungergli a tiro. Mentre si avvicinava, però, Andy iniziò ad avvertire una discreta quanto inopportuna fitta alla schiena e comprese che le previsioni del suo indiscreto subalterno si erano malauguratamente avverate in pieno!

“Ahia…!! Porc… al diavolo la tua boccaccia da menagramo, Victor…!!”

Ricordando però quanto era successo in Cina, stavolta strinse i denti senza scuotersi di un millimetro: non si sarebbe permesso di perdere un altro compagno, a costo di rimetterci la spina dorsale…!

Nel frattempo, il sadico vincitore del sottotenente Master aveva addirittura estratto i flaps per rallentare quanto bastava a rendere efficace il suo tiro, reso problematico dal dondolio del paracadute. Per fortuna la sua cieca esaltazione gli impediva di riflettere che sarebbe bastato stracciare l’ombrello con poche raffiche ripetute per far precipitare mortalmente il povero pilota appeso al di sotto! Tuttavia, mentre inquadrava finalmente l’inerme figura nel reticolo, ghignando e socchiudendo i suoi occhietti a mandorla, sentì come se il mondo esplodesse intorno a lui…!

“Crepa, malnato figlio di puttana…!!!” gridò Andy Greason, accecato dalla collera.

Nel vedere poi il nemico distrutto e il compagno ormai al sicuro che si sbracciava a salutarlo con la più espansiva gratitudine, gli vennero quasi le lacrime agli occhi per la gioia di avere evitato una seconda tragedia. Allo stesso tempo avvertiva però come un senso di vuoto, sempre accompagnato da quel dannatissimo dolore alla schiena…

Era sempre così che andava a finire: prima di colpire un avversario si sentiva sempre più carico… poi, una volta strappatolo dal cielo, veniva quasi preso dallo sgomento. L’unico modo per evitarglielo era limitarsi a colpire l’aereo cercando di salvaguardare il pilota, ma questo purtroppo non era sempre possibile, specialmente in un caso del genere…![16]

“Buon atterraggio, Roy… ci vediamo stasera a Honolulu!” disse Andy, gustando il sollievo provato nel constatare che il suo amico scendeva sano e salvo “Red 2 e Red 3… mi sentite? Dove siete…? Over…!”

“Sopra di te, capo…!” rispose la voce del tenente Stone.

Andy volse lo sguardo intorno e vide i caccia dei suoi compagni. Il P-40 del suo secondo aveva il muso annerito d’olio, mentre quello di Sanders mostrava la coda discretamente bucherellata…

“Felice di rivedervi” disse, stancamente, il loro comandante “come stanno i vostri partner di ballo?”

“Il mio sta facendo compagnia ai suoi camerati, nel paradiso dello Shinto!” rispose il collega virginiano.

“Il mio, invece, ha deciso che ne aveva abbastanza e mi ha seminato con una Immelmann magistrale…!”[17] rispose quello dell’Illinois.

“Bene… meglio così! Il Signore mi perdoni… ma se qualcuno di quei gentiluomini arrivava incolume a terra, se la sarebbe presa coi nostri… magari anche coi civili!”

“Probabile, dato il loro fanatismo feroce” commentò il sottotenente Sanders “comunque, signore…”

“Che c’è, Victor?”

“Grazie di cuore… per Roy!”

“Ehi, non gli sarò affezionato quanto te, ma è pur sempre uno dei miei ragazzi. Non c’è nulla di peggio di quando te ne fregano uno” sospirò, rabbuiandosi “e io ne so qualcosa…!”

“Già…” ribatté Stone, con un guizzo di memoria “…stai pensando a Cornwell, non è vero…?”

“Infatti…!”

“È stato un vero peccato” commentò anche Sanders “era proprio un tipo a posto, Sua Signoria. E so che aveva pure una bella ragazza…!”

“Basta così, chaps”[18] tagliò corto Andy “piuttosto, quanto carburante vi rimane?”

“Ancora un’ora… più o meno.” rispose Stone.

“Idem.” fece Sanders.

“I colpi…?”

“Dovrei averne ancora per una decina di raffiche.”

“E tu, Vic…?”

“Una quindicina, direi.”

“Bene… ci possiamo permettere una sortita sul porto, prima che quei mascalzoni tolgano definitivamente il disturbo. Poi vedremo di atterrare a Hickam o a Bellows. Ci state?”

“E ce lo chiede pure?” domandò con veemenza il compare di Master “Faccia strada,  capitano!”

“Sottoscrivo!” si associò James Stone.

“Allora andiamo! Ah, poi mi dovreste fare un piacere…”

“Siamo tutt’orecchi, signore.” disse il sottotenente.

“Avete impegni per domani? Mi servirebbero due testimoni!”

James e Victor si guardarono, trattenendo a stento le risate. Poi si fecero l’occhiolino e cominciarono a dire, con tono di forte rammarico…

“No, Andy… non fare pazzie…!!!”

“È troppo giovane per farsi incatenare, capo!”

“La moglie è diversa dalla fidanzata… credimi, amico!”

“È ancora in tempo per pensarci, signore…!”

Lungi dal farlo divertire, quei commenti gli diedero sui nervi: “Brutti deficienti, ipocriti…!!!” sbottò, abbastanza inviperito “Ma se avete fatto di tutto, per…”

“È proprio per questo che ci sentiamo responsabili…!”

“E poi, noi scherzavamo, signore” spiegò Victor, bonariamente “non avremmo mai pensato che lei, con la sua saggezza ed esperienza, si facesse incastrare così…!”

“E da quella sergentessa di ferro, poi…! Ah, che delusione: West Point non è più quella fucina di uomini come ai tempi di Lee e di Jackson…!”[19]

“Hai proprio ragione, Jim… povero il nostro comandante…!”

“ORA PIANTATELA, FIGLI DI BUONA MADRE O GIURO CHE VI SBATTO DAVVERO DI SOTTO…!!! MI FATE DA TESTIMONI, SÌ O NO…?!”

“È una richiesta o un ordine?” si informò James Stone, ridacchiando nuovamente.

Il fidanzato di Flanny Hamilton soffiò e rispose, acido: “Puoi anche considerarlo tale, se ti fa sentire meglio…!”

“Eccome, se mi ci sento…! Bah… che ne dici, Vic? Dopotutto il capitano è maggiorenne e vaccinato: la responsabilità è tutta sua!”

“E gli ordini non si discutono, ma si eseguono” precisò Sanders “siamo a sua disposizione, signore… ma poi non dica che non gliel’avevamo detto!”

“Mi hai tolto le parole di bocca…!” concluse Stone.

“Andate al diavolo, idioti…!”

Soddisfatti di averlo sfottuto a dovere, i gregari del capitano Andrew S. Greason si rimisero tranquilli e lo seguirono verso il cielo della Baia delle Perle, con la speranza di abbattere ancora qualche attaccante della seconda ondata, dato che ormai la prima stava già compiendo il volo di ritorno verso le portaerei della prima Koku-Kantai…![20]

 

***

Flanny teneva febbrilmente serrate le dita della mano destra a tappare lo squarcio sull’arteria del marinaio ferito, nel mentre che il chirurgo si affrettava a rimediare definitivamente al danno con una pinza emostatica. La mano della donna non mostrava però il benché minimo tremolio e il suo volto, anche se madido di sudore, continuava ad esprimere tutta la sua fredda professionalità. Eppure erano ore che stavano operando casi sempre più difficili, strappando alla morte feriti non meno che gravi (agli altri provvedevano i reparti generali, mentre i leggeri non venivano nemmeno più accettati in ospedale, ormai completamente saturo), immersi nell’atmosfera più cupa che fosse possibile, fra le grida di dolore dei pazienti (specialmente gli ustionati) e le notizie che circolavano sulla situazione presente all’arsenale: si parlava di centinaia di marinai rimasti intrappolati nelle corazzate affondate (l’Arizona era stata praticamente spezzata in due, mentre l’Oklahoma si era capovolta) e decine di avieri colpiti a morte dalle raffiche dei caccia nemici che avevano spazzato gli aeroporti della Marina e dell’Esercito. Si erano avute perdite anche fra i civili, dovuti pareva a proiettili della contraerea sparati frettolosamente da improvvisati artiglieri che si erano dimenticati di spolettarli… cosicché, una volta esaurita l’energia cinetica impressa dai cannoni, erano ripiombati sulla città![21]

Anche nelle corsie dove prestava servizio Natalie Venc, l’assistenza ai feriti meno seri non era certo una passeggiata. Le attività più frequenti erano le cure alle ustioni e le trasfusioni di sangue, per le quali si erano esaurite in fretta le scorte di plasma. Fortunatamente, all’esterno dell’ospedale, una nutrita fila di volontari civili era in attesa per donare il proprio sangue, che veniva raccolto persino nelle bottigliette della Coca Cola, non bastando più gli appositi contenitori.

La non meno valente Natalie, dopo essersi tersa la fronte sudata, stava continuando a fasciare il petto di un pilota della Marina colpito a Ford Island, quando si sentì appellare dalla ben nota voce della sua collega: “Ti serve una mano?”

L’infermiera castana si voltò e vide la bruna compagna fermarsi davanti alla branda del suo assistito, recando un carrello di medicinali. La guardò in viso e, sebbene lei facesse del suo meglio per darsi un contegno, notò quanto fosse distrutta dalla fatica.

“Flanny…! Non preoccuparti… ho finito, qui” si rivolse al suo paziente e gli sistemò il cuscino “cerchi di muoversi il meno possibile… e mi chiami, se sente altri spasimi.”

“Grazie, sorella!” mormorò il ferito, sorridendo.

L’infermiera gli ricambiò il sorriso e prestò quindi attenzione alla sua amica: “Sei qui, allora…! Come stai…?”

“Mi hanno dato il cambio adesso… sto bene!”

Bene…?! Me se non ti reggi in piedi… avanti, siediti!” con ferma premura la costrinse a sedersi su un vicino sgabello. Flanny la ringraziò cogli occhi e si passò una mano sul viso stremato: “Tu come te la sei passata?” le chiese, a sua volta.

“Mah… non c’è male. Tu, piuttosto…?”

“A meraviglia…!” mormorò Flanny, sospirando.

“Già… ho sentito che hai fatto sette operazioni di fila! Ma non potevano rilevarti un po’ prima, scusa…?!”

“Ho chiesto io, di rimanere” spiegò la bruna “le altre erano tutte un po’ impacciate… sentivo che la mia presenza le rendeva più sicure.”

“Capisco…!” la buona Natalie prese a massaggiarle la spalle. Flanny…! La sua compagna era sempre la stessa: sempre devotamente stoica, sempre un esempio per tutti.

“Mi sembra, allora” si permise di osservare “che tu sia poi riuscita a non… pensare troppo a lui…!”

La mora si girò a guardarla e le sorrise lievemente, scuotendo però la testa: “Ti sbagli di grosso, sai? Se proprio lo vuoi sapere… ho pensato a lui per tutto il tempo…!”

L’amica spalancò gli occhi e tenne la bocca mezza aperta, prima di ribattere: “E nonostante questo… come sei riuscita a…”

“A mantenermi calma? Semplicissimo, cara… ho solo fatto finta che, sotto i ferri, ci fosse sempre lui…!”

 

***

Oggi, Sette Dicembre Millenovecentoquarantuno, giornata che rimarrà segnata dall’infamia, gli Stati Uniti d’America sono stati deliberatamente e violentemente attaccati da forze aeronavali dell’Impero del Giappone…! Ho quindi richiesto al Congresso di riunirsi in seduta plenaria allo scopo di deliberare se abbandonare o meno lo stato di neutralità che questa Amministrazione aveva tenacemente perseguito fino ad ora, onde preservare il nostro Popolo dagli orrori di questo tragico conflitto...!

Le parole del presidente Franklin Delano Roosevelt furono ascoltate in tutta la Nazione nel primo pomeriggio di quello stesso giorno (secondo il fuso orario di Washington). Il seguente mattino di lunedì 8, senatori e deputati votarono nelle rispettive Camere la fatidica decisione e, con un solo voto contrario, si espressero a favore dell’entrata in guerra contro il Paese del Sol Levante.[22] Di lì a pochi giorni, anche la Germania di Hitler e l’Italia di Mussolini avrebbero dichiarato guerra agli Stati Uniti e il conflitto, scoppiato nell’ormai lontano settembre del 1939, sarebbe diventato mondiale.

***

Sempre in quel medesimo secondo giorno di guerra, in una piccola chiesetta presbiteriana di Pearl City, un coraggioso quanto promettente capitano dell’Aviazione dell’Esercito e una zelante quanto abile crocerossina venivano uniti in matrimonio. Ai loro fianchi stavano i tenenti James Patrick Stone col sottotenente Victor Georg Sanders come testimoni dello sposo e Natalie Venc con Judith Nethan (una grassoccia e simpatica compagna della scuola infermiere di Chicago che avevano ritrovato in servizio alle Hawaii) come testimoni della sposa.

“Flanny Hamilton” disse l’officiante “vuoi tu prendere il qui presente Andrew Steve Greason come tuo legittimo sposo per amarlo, onorarlo e rispettarlo, in ricchezza e in povertà, nella salute e nella malattia, finché morte non vi separi?”

La fidanzata, vestita semplicemente col suo abito migliore (fortunatamente di colore bianco), accompagnato da un semplice velo e dal bouquet che stringeva fra le mani, guardò teneramente il suo pilota (nonché ex-paziente ribelle) e rispose, quasi in un soffio: “Sì… lo voglio…!”

“E tu, Andrew Steve Greason, vuoi prendere la qui presente Flanny Hamilton come tua legittima sposa per amarla, onorarla e rispettarla, in ricchezza e in povertà, nella salute e nella malattia, finché morte non vi separi?”

Indossando la sua semplice uniforme di gala, con le decorazioni, i gradi e le ali dorate che spiccavano sul tessuto marrone, il fidanzato prestò una minima attenzione allo sguardo burlescamente costernato dei suoi testimoni (James teneva i polsi accostati, mentre Victor si mimava una puntura nel didietro…!), ma poi si lasciò annegare dagli stupendi occhi scuri della giovane, che luccicavano come piccoli diamanti.

“Sì… lo voglio…!” rispose, con voce ferma.

“Se qualcuno dei presenti ritiene vi sia anche un solo motivo per il quale questi nostri fratelli non debbano venire uniti in Matrimonio, parli ora o taccia per sempre.”

I restanti sei componenti della Squadriglia comandata dal capitano Greason si affrettarono a tapparsi la bocca, volgendo gli occhi al cielo…

“Che simpatici, i tuoi colleghi…!” sussurrò Flanny, con uno sguardo un po’ contrariato.

“Già… fin troppo!” commentò acidamente quest’ultimo, legandosela al dito.

“Stando così le cose” riprese il pastore “scambiatevi pure gli anelli.”

Mentre la sua sposa glielo infilava all’anulare, il nostro pilota non poté fare a meno di chiedersi se lo avrebbe poi impacciato coi guantoni da volo…!

“Ed ora… al cospetto di Nostro Signore, vi dichiaro marito e moglie. Può baciare la sposa…!” disse infine, rivolto ad Andy.

Scostandole delicatamente il velo, quest’ultimo le terse con dolcezza le lacrime che le scorrevano sulle guance (Flanny aveva stretto i denti fino a straziarsi le gengive, ma non c’era stato nulla da fare) e quindi pose le sue labbra su quelle di lei…

“Tanti auguri, tesoro…!” le sussurrò poi, appena ritrattosi.

“Tanti auguri, amore…!” ricambiò lei.

A questo punto i compagni di Andy non seppero trattenersi e lanciarono i cappelli in aria, fischiando sonoramente.

“FIGLIOLI…!!!” li redarguì severamente il sacerdote “Siamo nella Casa del Signore…!!!”

Ma poi alzò gli occhi verso il crocefisso e giunse le mani, chiedendo all’Altissimo di perdonare quegli strambi giovanotti, un po’ troppo irrequieti…!

 

***

All’uscita, mentre gli invitati stavano lanciando i tradizionali getti di riso, Victor Sanders fu colpito dalla scarsa foga di James Stone: “Beh, cos’è quell’aria fiacca?! Non riesci a metterci un po’ più d’entusiasmo?”

Il tenente scosse le spalle: “Hai ragione, ma che vuoi? Questo riso bisognava tirarglielo quella sera… adesso mi fa molto meno effetto!”

“Ma di che parli…?”

“Dai, coda di paglia! Non ti ricordi? Quando Andy è tornato dalla missione in cui era caduto il povero Stear. Quando voleva andare a sbronzarsi per la rabbia… e la sua infermiera l’ha rimesso in riga.”

“Ah, già….! Perdiana, quella che è stata una scena formidabile: per poco, il capo non si beccava un ceffone. Roba da Pulitzer!”[23]

“Ma lascia stare…! Io dico dopo… quando si sono abbracciati e le cose che si sono detti... poi sono andati via, tenendosi per mano… avrei voluto averlo allora, questo riso.”

“Sei il solito esagerato!” ridacchiò Sanders, scettico.

“E tu il solito tonto…! Come fai a non capire? È in quel momento che si sono sposati. Questa è soltanto una formalità.”

“Bah… se lo dici tu…!” ribatté il collega, convinto più del fatto che, se quella sera avessero veramente osato fare una cosa simile, alla missione successiva il loro comandante li avrebbe veramente abbattuti al posto dei giapponesi.

Quando fu il momento del lancio del bouquet, la sposa titubò un istante a guardare tutte le colleghe che erano venute a festeggiarla, mentre si accalcavano allegre, ognuna speranzosa di afferrarlo fra un momento. Ma la signora Greason non le vedeva… o meglio cercava di vedere fra di loro anche una collega che purtroppo non poteva esserci, in quanto si trovava ancora in Patria. Una ragazza bionda e solare, alla quale Flanny non era riuscita a voler bene come avrebbe meritato (o almeno così pensava… mentre, in realtà, non era semplicemente riuscita ad esprimerglielo in tempo).

*Vorrei tanto che questo mazzo di fiori arrivasse fino a te… che potesse renderti felice con l’uomo che forse hai già scelto! Tu mi hai insegnato ad aprirmi… a non aver paura dei miei sentimenti. Se non ti avessi conosciuto, un giorno come questo non sarebbe mai arrivato, per me…! Ti voglio bene, Candy! E ti ringrazio… amica mia…!* 

E il variopinto bouquet volò in aria, proprio in direzione dell’immenso oceano, come se davvero volesse raggiungere le remote coste del Nuovo Mondo…!



[1] Pursuit, in inglese, significa inseguimento ed era la designazione dell’epoca per gli aerei da caccia dell’Aviazione dell’Esercito, mentre l’Aviazione Navale adoperava già l’odierno appellativo di Fighter (combattimento). Ecco perché gli aerei da caccia dell’Esercito erano allora siglati con la lettera P, mentre quelli della Marina erano già siglati con la lettera F.

[2] Allude a quando lo avevano trascinato dentro a quella certa gioielleria…

[3] Baracca assegnata al personale di volo e di terra di una determinata squadriglia.

[4] Il Seversky P-35 è stato uno dei primi caccia monoplani a prendere servizio nell’USAAF (ed è stato anche l’aereo che ha ispirato la progettazione del nostro Reggiane Re 2000) mentre il Curtiss P-36 Lancer è stato il predecessore del P-40 Warhawk. Erano comunque aerei dalle prestazioni assai modeste, confrontati con quelle dei contemporanei caccia giapponesi, inglesi e tedeschi (e anche italiani, almeno per ciò che riguarda il Macchi MC 202 e il Reggiane Re 2001).

[5] Il porto mercantile.

[6] Anche perché, in questo modo, la maggior quantità di traccianti gli avrebbe consentito una mira più precisa.

[7] Sarebbe il rapporto fra il peso dell’aereo e la superficie delle sue ali; tale rapporto esprime la quantità di peso che ogni m2 di ala deve sollevare con la sua portanza. Nello Zero tale valore era di 125 Kg/m2 con l’aereo a pieno carico, mentre nel P-40 E era di 174 (nel P-47 D, l’altro aereo che avrebbe utilizzato Andy, arrivava addirittura a 316).

[8] Nomignolo dato al Mitsubishi A6M nel codice identificativo alleato, che ne assegnava uno per ogni tipo di aereo giapponese, essendo la nomenclatura originale abbastanza complessa.

[9] E stavolta furono le orecchie di Candy a fischiare…!

[10] È il nomignolo con cui s’indicavano i giapponesi. Gli americani venivano invece chiamati Joe, gli inglesi Tommy, i tedeschi Frtiz, i russi Ivan e gli italiani Tony…!

[11] Allude ai gradi sulle mostrine.

[12] Il particolare che Roy Master e Victor Sanders venissero da Chicago è stato un altro “elemento di congiunzione” che ho voluto inserire fra la storia di Andy e quella della sua “quasi omonima”.

[13] 20000 piedi, ovvero 6060 m circa (il termine kids sta per ragazzi).

[14] Intende a circa 1/3 fra la sinistra (ore 9) e il davanti (ore 12): era il cosiddetto “codice dell’orologio” che consentiva una chiara quanto rapida indicazione sulla direzione degli attaccanti o dei bersagli.

[15] Purtroppo episodi del genere non furono infrequenti nel corso della guerra aerea, specialmente nell’ambito di conflitti razziali e/o ideologici come appunto quello fra giapponesi e statunitensi o quello fra tedeschi e sovietici.

[16] La possibilità di mirare a una specifica parte del velivolo nemico (per esempio il motore o la coda) era del tutto teorica, specialmente sui bersagli di piccole dimensioni.

[17] Virata a 180° con cabrata verso l’alto. Era la manovra più idonea per seminare un avversario, se questi pilotava un caccia più pesante del proprio.

[18] Tipico appellativo britannico equivalente al nostro vecchi miei. Non avendo letto i primi capitoli della storia completa, i lettori ancora non sanno che Andy Greason è di origine scozzese.

[19] Robert Lee e Stonewall Jackson, famosi generali sudisti della Guerra di Secessione (ricordiamoci che James Stone è di Richmond, Virginia).

[20] Koku-Kantai sta per Forza d’Attacco.

[21] Il bilancio complessivo delle perdite umane dovute all’attacco di Pearl Harbour fu di 2403 morti e 1778 feriti. Perdite materiali: 4 corazzate affondate (di cui 2 perdute e 2 recuperate) e quattro danneggiate più o meno gravemente; un incrociatore affondato e cinque gravemente danneggiati; un cacciatorpediniere affondato e due distrutti in bacino; 188 aerei distrutti e 159 danneggiati (fra Marina ed Esercito).

[22] Si trattava di fatto della risposta alla dichiarazione di guerra del Giappone stesso, la quale, per un fatale ritardo nelle comunicazioni fra Tokyo e l’ambasciata giapponese a Washington, era giunta sul tavolo del Segretario di Stato, Cordell Hull, quando l’attacco su Pearl Harbour era già in corso da mezz’ora! Gli americani ebbero quindi la convinzione di essere stati attaccati a tradimento e questo, secondo lo stesso giudizio dell’ammiraglio Yamamoto, era il modo più sicuro per unire tutta la popolazione contro l’aggressore orientale. Si pensi che, fino al giorno prima, l’82 per cento dell’opinione pubblica americana era decisamente contraria all’idea d’intervenire militarmente contro l’Asse. Disse poi lo stesso comandante della Flotta Imperiale: “È come aver destato un gigante assopito, infondendogli la volontà di combattere e vendicarsi!”

[23] Il famoso premio giornalistico. Ve la immaginate la copertina di Time o di Life con una scena del genere…?

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Capitolo 8
*** Il giorno più lungo dei Greason ***


Capitolo 5: Il ritorno

 

Capitolo 8: Il giorno più lungo dei Greason

 

UCPFH 08

 

 

“E

agle one a Mitchell Tower… qui Prima Squadriglia Sperimentale in rientro dall’area di New York per missione di intercettamento a sommergibile nemico… chiedo il permesso di atterrare… over!”

Mitchell Tower a Prima Squadriglia: permesso accordato. La pista 2 è libera: vento di 5 nodi al traverso. Scendere in ordine di volo, come da procedura.”

“Roger… chiudo!”

Il capitano Andrew Steve Greason mosse la manetta verso la direzione di chiusura e subito il possente rombo del radiale Pratt & Whitney Double Wasp[1] si fece più sommesso. Azionò poi la leva dei flaps, abbassò opportunamente il muso e, con alcuni calibrati colpetti di pedale si allineò perfettamente all’asse della pista. Quando l’altimetro registrò i centossessanta piedi[2] (l’aerodromo era praticamente a livello del mare), il pilota azionò il comando del carrello, si accertò che le spie confermassero la discesa e il successivo bloccaggio e richiamò dolcemente la cloche per riottenere l’assetto orizzontale. Come avvertì il colpo del terreno, efficacemente ammortizzato dai due carrelli principali, abbassò ancora la coda fino a far toccare anche il ruotino posteriore.

Premendo sui pedali per azionare i freni, Andy osservò la lancetta dell’anemometro calare progressivamente dalle 86 miglia della velocità di stallo alle 25 della regolamentare velocità di rullaggio.[3] Dopodiché, azionando la pedaliera (che comandava lo sterzaggio del ruotino, oltre al timone) lo Squadron CO procedette serpeggiando[4] fino alla sua piazzola di stazionamento. Tirò allora il freno di parcheggio, chiuse completamente la manetta e tolse il contatto. L’enorme elica quadripala Hamilton Standard Hidromatic[5] si arrestò dopo i consueti quattro-cinque giri di folle. Mentre gli specialisti di terra aprivano il tettuccio, Andy staccò i cavi, i tubi e le cinghie che lo collegavano al massiccio Republic P47 D-22 come un bambino a sua madre e si alzò per scavalcare il capace abitacolo. Rimase quindi in piedi sull’ala sinistra per osservare l’atterraggio dei suoi camerati, fino a quando non vide avvicinarsi la figura del tenente-colonnello Ira Eaker.

“Bentornato, Greason! Com’è andata la caccia…?” gli chiese quest’ultimo.

L’interpellato si sfilò il casco di cuoio e lo gettò rapidamente nel cockpit, poi saltò giù per andare incontro al superiore: “Poteva andare meglio, signore…!”

“Non siete riusciti a colpirlo?” domandò il futuro comandante dell’Ottava Forza Aerea americana in Europa.

“Beh… per colpirlo, lo abbiamo anche colpito” rispose il capitano, liberandosi dalla mae-west[6] “ma non posso garantirle che sia andato distrutto…!”

“Allora non farà molta strada… se l’avete colpito non riuscirà mai a riguadagnare il mare aperto riforzando l’imbocco della baia!”

“Già… sempre che quel demonio non preferisca passare per il Sound, dopo aver risalito l’East River: sarebbe effettivamente un pazzo se cercasse di uscire ancora da Coney Island…!”

“In un modo o nell’altro la Navy lo beccherà” ribadì il tenente-colonnello “sarebbe inconcepibile permettere a un maledetto nazi di giocarci un tiro del genere!”

“Yamamoto docet, colonnello… sono tiri che, almeno una volta, possono sempre riuscire. E quel dannato kapitan dev’essere senz’altro un ottimo allievo di Gunther Prien…!”[7]

“Lasciamo stare” tagliò corto l’ufficiale superiore “piuttosto, appena i suoi uomini la raggiungono, venite da me per il de-briefing: voglio tutti i particolari dell’attacco.”

“Signorsì…!”

I due si scambiarono il saluto, poi Eaker voltò le spalle al sottoposto per tornarsene nel suo ufficio. Andy rimase invece presso il suo nuovo apparecchio, attendendo di essere raggiunto dai suoi compagni di squadra.

Il reparto attualmente diretto dal tenente-colonnello Eaker, ovvero il 3rd Experimental Figther Group, era inquadrato nei ranghi della Fourth Air Force, a presidio del territorio nazionale ed era stato appositamente costituito per testare i nuovi modelli di caccia che l’industria aeronautica stava mettendo a disposizione dell’arma aerea. La Prima Squadriglia, comandata da Andy Greason, aveva pertanto il compito di portare in volo i nuovi possenti P-47. Lui e i suoi fedeli compagni - che era riuscito a portarsi dietro dalle Hawaii - avevano ricevuto questo incarico subito dopo il rimpatrio, nel quale lo aveva naturalmente seguito anche la sua dolce ed energica “metà”, che adesso prestava servizio all’ospedale cittadino di Saint Jacob.

Era da circa una settimana che le otto ex Tigri Volanti si occupavano di portare in volo quei magnifici “bestioni”, come li chiamavano scherzosamente. Massicci ma meravigliosamente veloci e sorprendentemente agili alle alte quote, grazie alla surpotenza garantita dall’efficace turbocompressore accoppiato al possente radiale a diciotto cilindri.[8] In picchiata facevano un po’ impressione, data la loro velocità terminale che poteva superare le 500 miglia orarie,[9] ma in compenso l’eccezionale robustezza della macchina, unita alle confortevoli dimensioni dell’abitacolo, dava ai piloti un piacevole senso di sicurezza. Come davano, durante le prove di tiro, un’esaltante impressione di potenza distruttiva le otto mitragliatrici da mezzo pollice sistemate nelle ali.

Mancava solamente una missione operativa a confermare le superlative qualità del nuovo mezzo… e così, quel venerdì 20 Febbraio 1942, i componenti del 1st Squadron del 3rd EFG, in forza alla 4th AF, erano stati finalmente accontentati!

Proprio quella mattina, infatti, Andy Greason e il fido James Stone si erano recati in città per consegnare una relazione tecnica negli uffici della Republic, situati nella Quarantaseiesima Strada. Una volta sbrigata la commissione, prima di rientrare al Mitchell Field, Andy aveva pensato di passare al St.Jacob per fare una visitina alla moglie, che non vedeva dal lunedì precedente (Flanny era entrata in servizio a tempo pieno e avrebbe avuto libera soltanto la domenica successiva) e chiederle se potevano magari pranzare insieme, dal  momento che nel pomeriggio non erano previsti voli di prova. Ma siccome era ancora troppo presto per il suo turno di riposo (erano le otto del mattino) lui e James avevano pensato di ammazzare il tempo facendo una passeggiata nella zona del porto.

Stavano dunque camminando lungo la calata 32, quando, dalla acque della Baia Superiore, era spuntato nientepopodimeno che un sottomarino tedesco…!

 

***

Quanto accaduto in seguito è facile da intuire… i due aviatori avevano raggiunto il primo telefono per avvertire l’aeroporto, erano saltati sulla jeep assegnata alla loro unità ed erano rientrati precipitosamente alla base. Dopodiché l’intera Prima Squadriglia Sperimentale, con i suoi otto P-47 nuovi fiammanti, aveva decollato alla volta della Grande Mela!

Quando erano arrivati sul cielo della metropoli l’impudente quanto audace Unterseeboot 855 del korvettenkapitan Herbert Thyssen, dopo aver seminato lo scompiglio nella Upper Bay dell’Hudson, si era già incanalato lungo l’East River (il canale che separa Brooklyn da Manhattan) in modo da riguadagnare l’Oceano Atlantico attraverso il Long Island Sound.[10]

Altri piloti avrebbero probabilmente desistito dal tentare un impresa del genere… ma non le vecchie Tigri Volanti del Gruppo comandato dal colonnello Hardgison a Kunming, né la 3a Squadriglia del 18mo Gruppo del maggiore Carson a Wheeler Field, né tantomeno le colonne portanti del 99mo Gruppo Caccia, fulcro della futura 10a Forza Aerea in Europa!

Cosicché, con un’audacia che rasentava la pazzia, gli otto Thunderbolt avevano picchiato, uno dietro all’altro, su quel temerario intruso… e i sempre affaccendati cittadini newyorchesi avevano assistito, dai ponti e dalle calate, a quell’imprevisto quanto avvincente spettacolo, dal quale gli spettatori più appagati erano sicuramente stati quelli sul Brooklyn Bridge, avendo visto i caccia passarci sotto per giungere radenti sul bersaglio…!

Come accennato anzitempo, l’esito finale dell’operazione non era stato esattamente quello sperato[11] ma, se non altro, i membri del 3rd EFG potevano dirsi soddisfatti per avere finalmente testato i loro nuovi caccia in una missione operativa reale.

***

“Perdiana…! E così l’avete proprio attaccato a volo radente?!” esclamò il tenente-colonnello Eaker, tra l’incredulo e l’ammirato.

“Sì, signore” confermò il capitano Greason “alla prima picchiata mi sono fatto precedere dal tenente Stone, dal sottotenente Maxim e dal sergente Williams, che hanno spazzato il ponte del sommergibile con le Browning per impegnare i serventi dell’antiaerea, così da permettermi di sganciare i due confetti da 250[12] che avevo caricato sul mio Jug.”[13]

“Magnifico…!” commentò il superiore “E lo ha colpito…?”

“Non gravemente, purtroppo” rispose Andy, scuotendo la testa “come mi hanno confermato i sottotenenti Hames e Harris, che hanno dato una seconda ripassata al bersaglio, dietro di me. Quando siamo risaliti oltre la quota di sicurezza imposta dai grattacieli e abbiamo invertito la direzione, ci siamo infatti accorti che navigava ancora!”

“E quindi…?”

“Abbiamo deciso di fare un secondo passaggio” il capo-squadriglia mandò giù il caffè contenuto nel bicchierino di carta “questa volta ho fatto io da apristrada insieme a Stone, scendendo a circa 15 piedi dall’acqua del fiume”[14] Eaker spalancò gli occhi, sbalordito “subito dopo è sceso invece il tenente Sanders, con altre due pillole tipo M31… lui è stato più preciso di me, ma nemmeno stavolta quel maledetto nazi ha voluto saperne di andare a picco!”

“Non capisco come ha fatto a scamparla” intervenne Victor, con tono stizzito “Roy mi guardava la coda, più in alto e diceva che l’avevo preso in pieno…!”

“E lo confermo” intervenne l’interessato “non ho visto colonne d’acqua, quindi entrambe le bombe lo hanno beccato di sicuro!”

“Probabilmente una delle due non è esplosa” osservò il tenente-colonnello “sono percussori di tipo nuovo, non ancora perfettamente a punto.”

“Chicchi di riso” esclamò Sanders, ancora irritato “se avessimo avuto delle M43 o delle 44, allora…”[15]

“Non potevamo usare quelle in piena città” obiettò il capitano “troppo pericoloso per i civili.”

“E certamente il comandante di quell’U-Boat contava su questo, quando gli è venuta la bella pensata di fare una visitina alla Grande Mela” concluse il comandante del Terzo Gruppo, battendosi le punte delle dita “beh, speriamo che la Marina riesca a intercettarlo prima che possa uscire dal Sound! Quanto a me, non mi resta che visionare i films delle vostre cinemitraglie[16]… ad ogni modo mi congratulo con voi per il magnifico lavoro: anche se la scampassero, quei crauti, come i loro camerati, avranno meno velleità per ritentare l’impresa” l’ufficiale superiore si alzò in piedi “congratulazioni, signori: avrete senz’altro una citazione ufficiale!”

“Grazie a nome di tutti, colonnello” rispose Andy Greason, mentre i suoi compagni si scambiavano sorrisi e pacche sulle spalle “ma forse gradiremmo maggiormente un po’ di riposo: collaudare quei bestioni per tutta la settimana non è stato particolarmente rilassante…!”

“Più che giusto… riprenderete servizio lunedì mattina. Vorrebbe congedare i suoi uomini, capitano? Dovrei parlarle in privato.”

“Bene… potete andare, ragazzi: ci vediamo dopo.”

I membri della squadriglia salutarono i superiori e uscirono dall’ufficio di Eaker. Questi fece cenno al capitano di sedersi e sturò una bottiglia di Bourbon, prelevata da uno stipetto. Aprì poi un piccolo frigorifero Philco ed estrasse la vaschetta del ghiaccio: “Due cubetti bastano?”

“Uno è più che sufficiente, signore.”

Messo il ghiaccio nei bicchieri, il comandante del reparto porse il suo al capitano e cominciò a versarci il whisky… ma, prima che arrivasse a metà altezza, Andy lo fermò alzando il palmo dell’altra mano: “Basta così, grazie!”

“Davvero…? Mi ricordo che a Spanner beveva di più.”[17]

“A Spanner ero ancora scapolo, colonnello…!” rispose Andy scuotendo il bicchiere per far sciogliere il ghiaccio.

“Ah, già… tendo sempre a dimenticarmelo” Eaker ridacchiò, sedendosi sul piano della scrivania “sarà che lei, dopotutto, non mi sembra cambiato molto!”

“Come pilota direi di no…!” ribatté Greason, mostrando un mezzo sorriso.

“Già… bene” Eaker si batté le mani sulle coscie “parlando seriamente, dai rapporti che ha redatto sul nuovo P-47, il suo giudizio sulla macchina mi è apparso molto favorevole.”

“È un apparecchio eccezionale, signore… Sasha Kartveli è un vero genio!”

“In effetti… questi russi danno il meglio di sé quando si occupano di arte, scienza e tecnica, piuttosto che di politica… come i tedeschi, del resto!”[18]

“Quando l’ho visto per la prima volta, mi chiedevo come potesse seriamente volare un affare simile…! In effetti è un po’ rigido alle basse quote, ma quando lo porti su e azioni la surpotenza, diventa un razzo. E nella manovra, almeno rispetto al P-40, sembra quasi una libellula… è incredibile!”

Il tenente-colonnello inclinò la testa: “Le confesso che, da un cacciatore nato come lei, mi sarei aspettato piuttosto una preferenza per il gioiello dell’NAA.”[19]

“Parla del Mustang?” il capitano sorseggiò dal suo bicchiere “Sì, ho provato anche quello, ma in quota non regge il confronto[20]… e poi mi sembra piuttosto fragilino, in confronto al Thunderbolt!”

“E uno come lei, che ha già sperimentato due atterraggi di fortuna, non può che apprezzare l’elevata robustezza di questa cellula, non è vero?” ammiccò Eaker.

“Può dirlo forte. Per non parlare della comodità di quel cockpit… c’è solo un posto, finora, dove mi sono sentito meglio…!”

“E sarebbe…?”

“Fra le braccia di mia moglie… ma questo è un caso limite!”

Il colonnello rise di cuore a quella battuta, ma tornò subito serio: “Sto per darle un’informazione strettamente confidenziale, Greason: il Dipartimento sta pensando di costituire una forza aerea da basare in Gran Bretagna, con lo scopo di effettuare incursioni in profondità sul continente europeo, occupato dai nazisti. Come sa, gli inglesi si sono spezzati le ossa nei pochi bombardamenti diurni che hanno tentato e hanno preferito ripiegare sulle incursioni notturne. Il generale Arnold e il generale Marshall[21] sono invece convinti che solo le incursioni diurne potrebbero garantire una precisione bastante a colpire efficacemente i centri dell’industria tedesca, evitando un inutile spreco di bombe e di carburante.”

“E, soprattutto, limitando le perdite fra i civili” puntualizzò il capo-squadriglia “sono assolutamente d’accordo, signore!”

“Questo renderà ovviamente necessario scortare le nostre formazioni di bombardieri… e quindi occorrerà capire quali siano i nostri caccia che meglio possono misurarsi con gli intercettori della Luftwaffe...”

“Logico…!”

“…quindi l’idea sarebbe quella di creare un apposito gruppo di scorta, composto da diverse squadriglie che equipaggeremmo coi nostri modelli più recenti: i P-38, i P-47 e i P-51.

“Mi sembra ottimo. Ma io che c’entro?”

“Con l’esperienza operativa che ha capitalizzato fin da prima di Pearl Harbour, lei sarebbe proprio l’elemento più adatto. Se la sente di assumere il comando del reparto?”

“Io…?! Comandante di Gruppo?!!”

“Sì… naturalmente l’incarico comporterebbe la sua promozione a maggiore. Cosa ne dice…?”

Andrew Steve Greason rimase diversi secondi a fissare il cubetto di ghiaccio che finiva di sciogliersi nel Bourbon… in un primo momento ebbe voglia di rispondere Non me la sento… faccio il pilota da caccia perché c’è la guerra, ma non ho ambizioni di carriera e bla bla bla… mentre avvertiva la forte tensione su tutto il corpo, trasmessagli dalla consapevolezza che fra poco si sarebbe cominciato a fare sul serio!

Lo avrebbero mandato in Europa, a combattere i nazisti… e i flug offizieren della Luftwaffe sarebbero stati ben più efficienti che non gli aviatori del Sol Levante!

Per un momento considerò l’accettare la proposta di Eaker come un qualcosa di spaventosamente ingiusto verso la sua anima gemella… ma poi ricordò le parole che un certo colonnello Hardgison gli aveva rivolto alcuni mesi prima, a Kunming: Lo tenga sempre in testa, Andy: noi, la nostra gente, i nostri amici… abbiamo bisogno di lei!

Pensò allora che la sua Flanny doveva essersele dette addirittura da sola, queste parole, quando, ancora tirocinante all’ospedale Santa Johanna di Chicago, le avevano chiesto se voleva offrirsi volontaria per il servizio di prima linea. E lei non aveva esitato un istante a rispondere “sì!”…

*Devo essere degno di lei, dopotutto…!* pensò il nostro amico. Perciò rispose: “D’accordo… accetto! A condizione che mi vengano concessi i miei attuali compagni di squadra.”

“Ma si capisce, caro Greason” rispose Eaker con un largo sorriso compiaciuto “questo era assolutamente implicito. Le affideremo un Gruppo di tre squadriglie: lei ci metta al comando quelli fra i suoi che ritiene più navigati e noi le assegneremo i necessari complementi. Farete un altro turno di prova per familiarizzare con le altre macchine, poi riceverete istruzioni per il trasferimento. Tutto chiaro?”

“Chiarissimo” Andy si rialzò e posò il bicchiere vuoto sul tavolo “c’è altro?”

“Nient’altro, vada pure… ah, no: aspetti un momento…!”

“Signore…?” il pilota si fermò, già col berretto in mano.

“Dovrei avere qui… solo un attimo, eh…?” il comandante di reparto frugò velocemente nei cassetti della scrivania “Maledizione, dove diavolo… ah, meno male: eccoli…!”

Estrasse una piccola scatola che porse al suo subordinato. Questi ne aprì il coperchio e osservò sbalordito due coppie di spille a forma di foglia di quercia e un’altra singola di stazza più piccola, ormai non più eccessivamente brillanti a causa dell’ottone un po’ ossidato.[22]

Mentre Greason lo guardava ammutolito, Eaker ridacchiò: “Non mi guardi come se fossi sbronzo, Andy! La pratica sarà piuttosto spiccia… e, dopo l’exploit di stamattina, ritengo li possa indossare anche subito!”

“Se… se lo dice lei, signore…!”

“Se preferisce che glielo ordini, non si faccia problemi a chiedermelo.”

“No, no… non c’è n’è alcun bisogno… grazie!”

“Bene. Allora, congratulazioni… maggiore Greason!”

Dopo aver messo i suoi nuovi gradi in tasca, Andy eseguì un saluto impeccabile: “Grazie, tenente-colonnello Eaker: le assicuro che darò sempre il massimo di me stesso… e così i miei uomini!”

“Non ne ho il minimo dubbio!” affermò senza riserve il superiore, restituendo il saluto.

Congedatosi, Andy lasciò l’ufficio e percorse meccanicamente il corridoio, diretto all’uscita. Passando davanti all’ingresso della toilette, si fermò un istante e vi entrò d’impulso. Lieto di non trovarvi nessuno, si avvicinò allo specchio più vicino, si tolse il giubbotto di volo ed estrasse di tasca la scatoletta, appoggiandola sul piano del lavandino. Si tolse quindi rapidamente il grado di capitano dal colletto della camicia color cachi e lo sostituì con quello nuovo, utilizzando la spilla più piccola… poi ripeté l’operazione col giubbotto di volo, utilizzando le due spille più grandi (le ultime due, delle stesse dimensioni, le avrebbe usate per la giacca dell’uniforme di gala). Per ultimo indossò il berretto e rimase ad osservare la sua figura, fissando le foglie di quercia spiccare al posto delle precedenti “traversine di binario”…

“Maggiore…” si disse, sussurrando “…Flanny, tuo marito è un maggiore… cavolo!!”

Accidenti, doveva dirglielo! Si fiondò fuori dal bagno e corse fino al bugigattolo che gli era stato assegnato come ufficio. Afferrò il ricevitore e compose il numero dell’ospedale Saint Jacob, ma dopo un breve conciliabolo e dopo essersi informata al riguardo, la centralinista gli disse la signora Hamilton (sic) non poteva assolutamente venire all’apparecchio in quel momento!

Seccato ma non rassegnato, l’impaziente ufficiale si precipitò fuori dalla palazzina del comando, dove ritrovò i suoi compagni che lo aspettavano, chiacchierando.

“Ragazzi… mi dispiace, ma dovrete far bisboccia da soli, per il momento: io devo correre all’ospedale!”

“È successo qualcosa…?!” gli domandò James Stone, con tono preoccupato.

“Niente, niente… devo solo parlare a mia moglie. Ci vediamo qui lunedì mattina!”

Senza aggiungere altro saltò sulla Chevrolet che aveva noleggiato temporaneamente di persona e, dopo aver gettato il cappello sul posto del passeggero, mise in moto e partì facendo stridere le ruote.

Mentre osservava l’auto allontanarsi, Victor Sanders rimuginava, grattandosi la testa…

“Non sarà diventato padre, per caso…?” chiese infine, rivolto a James.

L’altro lo guardò di traverso: “Ma tu quando la finirai di dire scemenze…?!” sbuffò.

***

Flanny Greason, dopo essersi levata i guanti, aprì il rubinetto dell’acqua fredda. Si lavò le mani accuratamente, poi si slacciò la mascherina e si frizionò il viso a lungo. Afferrò l’asciugamano e, mentre lo stava usando, si rivolse a una collega dal viso grassoccio: “C’è rimasto del caffè, Judith?”

“Sì, un po’… te lo scaldo.”

“Lascia: lo prendo così com’è.”

“Ma dai, faccio in un attimo” obiettò la collega. Poi, mentre accendeva il fornelletto e ci metteva il bricco sopra, si permise di osservare “abbi un po’ più cura di te stessa…!”  

“Grazie del consiglio!” rispose l’altra, in tono neutro.

“Prego!” ribatté Judith, senza tanti complimenti.

Non appena il caffè fu abbastanza caldo, prese una tazzina e la riempì: “E comunque, se non vuoi farlo per te, fallo almeno per noi… o per il tuo maritino!” concluse, sorridendo e porgendole il caffè.

Seduta, Flanny la guardò da sotto in su: “Sto notando che, da quando ci siamo ritrovate tutte qui, siete diventate decisamente più… disinvolte, mh…?” commentò, sorseggiando il liquido.

Effettivamente, ai tempi della scuola per infermiere, nessuna delle sue compagne più giovani (quasi tutte, almeno…) si sarebbe azzardata a prendersi con lei tutta quella confidenza. L’infermiera dai capelli rossi si guardò le mani: “Forse è perché ti abbiamo visto più… rilassata…?”

“O forse è l’influenza della nostra cara Candy…!”

Judith accusò il colpo, basita per di più dall’aver sentito la severa Flanny appellare la loro frizzante collega in quel modo! Del resto non ci aveva ancora fatto l’abitudine al nuovo atteggiamento che quelle due tenevano l’una verso l’altra, da quando si erano riviste in quell’ospedale, dove la bionda e lentigginosa compagna di studi prestava già servizio da qualche tempo, come caposala del reparto chirurgia.

Judith Nethan e Natalie Venc non avrebbero mai dimenticato cos’era accaduto al loro arrivo al St.Jacob, quando la direttrice del personale paramedico le aveva ricevute e accompagnate, assieme a Flanny, nella saletta delle infermiere…

***

Una settimana prima…

“Miss Candy…? Le affido tre colleghe trasferite dalle Hawaii, che lavoreranno con lei. Le aiuti ad ambientarsi, cosi potrete cominciare subito.”

“Certo, dottoressa Campbell! Benvenu…” l’interpellata, che stava dando le spalle alla porta quando il gruppetto era entrato, si voltò e rimase stranita nel trovarsi di fronte le sue ex-compagne di tirocinio, specialmente la sua occhialuta e coriacea compagna di stanza, che aveva visto partire volontaria ben otto mesi addietro, alla volta della lontana Cina.

“Ragazze” aggiunse la responsabile “questa è la signorina Candice White, caposala del reparto chirurgia. E queste, Candy, sono le signorine Judith Nethan e Natalie Venc e la signora… che ha? Non si sente bene…?!” domandò, accorgendosi finalmente della sua faccia stralunata.

La bionda si riscosse all’istante: “Nn… no, no…! Tutto a posto, dottoressa… ho capito, ci penso io. Stia tranquilla…!”

“Bene… allora buon lavoro!”

“Arrivederci, direttrice!” rispose Natalie, per tutte.

Quando la dottoressa Campbell si richiuse la porta alle spalle, un solare sorriso illuminò il dolce viso di Candy: “Ragazze, siete voi…!! Che bellissima sorpresa… Judith…! Natalie…! Flanny…!!!”

“Ciao, Candy…!” rispose quest’ultima con un sorriso che, per quanto tenue, rappresentava una discreta novità per la sua destinataria, anche se, in quel momento, la ragazza dai codini d’oro era troppo commossa per prestare attenzione a questo particolare.

“Sei a casa!! È meraviglioso… come stai, Flanny…?”

“Mai stata meglio. E mi sembra che anche tu sia in piena forma!”

“Sì, io sto benissimo… grazie!”

“Ne sono felice…!”

“Anch…” stavolta il cervello di Candy riuscì a registrare che c’era qualcosa di diverso… la Flanny della partenza (che le aveva infine manifestato la sua stima, rimanendo però strettamente formale) avrebbe magari detto che le faceva piacere, ma ben difficilmente si sarebbe dichiarata felice!

Dato il bene che comunque le voleva (e in questo aveva contribuito anche la visita che aveva fatto a casa Hamilton dopo la loro separazione, accompagnata dall’amico Stear) l’impulso di Candy sarebbe stato quello di abbracciarla… tuttavia, memore della sua riservatezza, si limitò a porgerle la mano, sempre sorridendole con gli occhi lucidi: “Sono così contenta che tu sia tornata sana e salva…!”

Dapprincipio Flanny le strinse dolcemente la mano, accentuando anche lei il suo sorriso… ma, subito dopo, l’attirò a se e le buttò le braccia al collo! Non disse nulla, ma la strinse forte, con affetto…

L’espressione di stupore che la dottoressa Campbell aveva visto prima sul viso di Candy non era niente al confronto di quella che vedevano adesso le altre compagne, mentre le due si abbracciavano! Alla muta domanda dell’infermiera bionda, espressa scuotendo la mano destra con le dita raccolte a mazzetto, Natalie rispose roteando il dito indice, mentre Judith fu ancora più esplicita, battendosi l’indice della destra sull’anulare della sinistra…

Ma la dolce Candy, che per certe (rare) cose era sempre stata un poco tarda, continuava a non capire…!

 

***

Terminato il suo caffè Flanny ripose la tazzina sul tavolo e si rialzò da sedere, guardando severamente la collega dai capelli rossi: “Beh… influenza o meno, ti avverto che oggi non è aria per le battute di spirito: la nostra collega è piuttosto… nervosa!”

“Insolito” commentò Judith “e perché?”

La mora sospirò: “Prima stavamo operando il povero marinaio di una petroliera che è stata colpita nel porto… aveva delle ustioni terribili. Ce l’abbiamo messa tutta, ma… non c’è stato niente da fare…!”

“Oh, mio Dio…!! In effetti avevo sentito delle voci… pare che un sommergibile nemico fosse penetrato nella rada!”

“Infatti” confermò Flanny “e quella petroliera è stata appunto una delle vittime. Candy non ha mai sopportato la vista degli effetti della guerra… per quanto ne so, è l’unica cosa che possa farla veramente infuriare.”

“Hai ragione… è sempre stata una pacifista convinta.”

“Appunto. Per cui, bada soprattutto che non venga fuori il discorso su mio marito…!”

“A proposito, non glielo hai ancora presentato?”

“E chi ne ha avuto modo? Non lo vedo da quando abbiamo preso servizio, lunedì scorso. E sta’ sicura che non glielo presenterò certo oggi…!”

 

***

Andy inchiodò i freni davanti all’ingresso dell’ospedale e il brusco arresto fece piombare il suo berretto d’ordinanza sul tappetino davanti al sedile. Preso dalla sua foga l’ufficiale neopromosso non ci fece nessun caso e uscì dalla vettura lasciandolo dov’era.[23]

Con la massima decisione entrò nell’atrio e si avvicinò alla reception, dove un’impiegata dall’aria severa, sentendo il rumore dei suoi passi sull’impiantito, lo guardò.

“Ehm, buongiorno…!”

“Desidera…?”

“Sono il maggiore Greason, dell’Air Force. Avrei urgenza di parlare con mia moglie!”

“Spiacente, ma non siamo in orario di visite.”

“Ma… veramente mia moglie non è una paziente: è un’infermiera, lavora qui.”

“In tal caso dovrà attendere il suo turno di riposo. Lo conosce?”

“Io…? Ehm… veramente no!”

“Male. Conosce almeno il nome di sua moglie?”

L’ufficiale sentì qualcosa mettersi a girare nelle proprie parti basse[24]… quella tizia era la quintessenza della rigidità burocratica!

“Si capisce che conosco il nome di mia moglie…!! Si chiama Flanny… Flanny Greason!” rispose, piccato, senza pensarci troppo.

“Vediamo subito…” rispose l’impiegata mettendo mano a un registro dalle dimensioni scoraggianti. Dopo averlo scorso con la rapidità derivante dalla più consumata competenza, sentenziò: “…no: qui non risulta nessuna Flanny Greason… spiacente!” e richiuse di scatto il librone.

Andy avvertì marcatamente i polpastrelli della donna che iniziavano ad arpeggiargli i nervi, che l’azione mattutina contro quello spudorato U-Boat non aveva certamente contribuito a rilassare. Fece un respiro profondo e si produsse in uno dei suoi tipici sorrisi carismatici, che anche con le femmine un po’ ostiche funzionavano (quasi) sempre...[25]

“Mi perdoni… dimenticavo di precisarle che il suo nome da nubile fa Hamilton… Flanny Hamilton! Sarebbe così cortese da dare un’altra sbirciatina?”

“D’accordo” rispose la burocrate, con bonaria condiscendenza “poteva dirlo subito, però…!” polemizzò comunque.

L’altro ebbe la pungente tentazione di risponderle brutalmente che quando si è reduci da un’azione di combattimento eterodossa come quella di attaccare un sommergibile che s’infiltra nel porto della città più importante del Paese, con l’angoscia di colpire per sbaglio i tuoi stessi connazionali, il tutto a bordo di un apparecchio nient’affatto semplice, che nemmeno conosci ancora bene, può anche capitare di non essere precisi di fronte alla pignoleria di un’acida gallina che si frappone fra te e la tua donna, alla quale non vedi l’ora di riferire che stai bene, caso mai fosse già al corrente di quel che era successo! Ma sapendo quanto fosse controproducente perdere la calma di fronte a interlocutori di quel genere, si limitò a respirare di nuovo, infilando le mani nelle tasche dell’impermeabile.

“Allora… ah, eccola qui: Flanny Hamilton, divisione chirurgia. Il suo turno di riposo è terminato da cinque minuti. Staccherà alle sei e mezzo.”

“Cosa….? Ma adesso sono appena le due… non vorrà farmi aspettare qui per più di quattro ore?!”

“Ha qualcosa di meglio da fare?”

Sentendo montare la stizza per non poterle nemmeno rispondere affermativamente, giacché il colonnello Eaker lo aveva licenziato fino a lunedì, il nostro amico stette quasi per perdere la testa! Per un paio di secondi accarezzò persino l’idea dell’autolesionismo, così da farsi ricoverare d’urgenza, purché lo facessero entrare… ma comprese subito che mettendo in atto una mossa del genere si sarebbe giocato i gradi appena conquistati e inoltre la sua gentile consorte non lo avrebbe sicuramente applaudito… anzi!

“No, nulla d’importante… le dispiace se mi accomodo su quel divano laggiù? Sa, ho avuto una mattina piuttosto pesantuccia…!”

“Nessuno glielo impedisce.”

“Grazie… lei è davvero molto gentile…!”

“Non c’è di che!”

Il povero Andy strinse la mascella per non farsi scappare qualche frase compromettente, voltò le spalle alla “simpatica” funzionaria, raggiunse il suddetto divano e vi si stravaccò letteralmente sopra, emettendo un lungo sospiro di rassegnazione. Trenta secondi dopo, era già sprofondato nel sonno!

 

***

“Uff… anche per oggi è finita, grazie al cielo…!” esclamò Judith.

“Già… e domani ci hanno anche concesso la giornata libera” aggiunse Natalie “una vera pacchia! Flanny, tu dormi fuori, stasera?”

Mentre posava il camice nell’armadietto, l’interpellata le prestò attenzione, guardando però di sfuggita la loro compagna bionda, rimasta seduta al tavolino con la faccia appoggiata sulle mani. Non spiccicava parola da ore.

“Credo di sì” rispose poi “ero d’accordo con Andy che gli avrei telefonato appena staccavo. Dovrebbe averci trovato una sistemazione, qui in città… voleva che andassimo a Providence per farmi vedere la casa dove staremo dopo la guerra, ma solo per domenica non era il caso di allontanarsi così tanto. Ora non saprei…”

“Comunque starete insieme, no?” le disse Judith, passandole accanto “Fortunata te…!” concluse, sussurrando e facendole l’occhiolino.

Flanny la ricambiò con uno sguardo corrucciato, mentre Natalie si rivolse alla terza collega: “E tu, Candy…? Vai poi dai tuoi amici?”

La bionda si riscosse e le rivolse uno sguardo semiapatico: “Può darsi… Annie mi aveva invitato a stare da loro, per il week-end. Ma nemmeno io prevedevo che domani ci avrebbero lasciate libere… e poi non sono più tanto in vena!”

“Su, cerca di reagire” le disse la rossa “lo so che oggi è stata una giornata dura, ma devi svagarti, un po’!”

Svagarmi…? Judy, oggi sono morte cinque persone in questo ospedale, uno dei quali fra le più atroci sofferenze. Hai saputo cos’è successo, stamattina? Questa guerra mostruosa c’è arrivata persino in casa!! Come posso pensare di svagarmi?!”

La compagna, di fronte a quella veemenza, ammutolì, mentre Natalie intervenne con fare conciliante: “Beh, forse Judy ha usato il termine sbagliato… ma ogni tanto anche noi dovremo pur staccare la spina. Altrimenti, se crolliamo davvero, non saremo più di nessuna utilità!”

“Hai ragione anche tu” sospirò Candy “scusatemi, ma oggi ho la Luna per traverso!”

“Devi smetterla di concentrarti su tante cose allo stesso tempo” disse Flanny “non è la prima volta che te lo dico…!”

La bionda girò la testa verso di lei: “Lo so… è sempre stato un mio difetto, ma cosa posso farci? Veder soffrire la vittima di una disgrazia o di una malattia è un conto…  ma veder soffrire - e morire - la gente che si sta uccidendo a vicenda, è una cosa che non posso assolutamente digerire. È inutile, Flanny: io non sono come te! Tu sei più forte, sei più…”

“Cinica…?” suggerì l’interessata, scribacchiando qualcosa su un modulo, per poi riporlo in uno schedario.

“Buon Dio, no” sussultò la compagna, con un guizzo “ti giuro che questo non l’ho mai nemmeno pensato!”

L’amica (tali erano, oramai) le appoggiò una mano sulla spalla: “E fai bene… perché il mio non è cinismo: è soltanto una scorza che ho dovuto necessariamente cucirmi addosso. Come dovrai fare anche tu, se non vuoi rischiare d’impazzire!”

La collega la guardò negli occhi, sorridendo mestamente: “Hai ragione…! E sto appunto cercando di farlo, credimi… ma per ora ci riesco soltanto attraverso la rabbia che mi provoca tutto questo schifo!”

Anche Flanny mostrò un’ombra di sorriso: “Beh, in fondo è un modo come un altro… dopotutto, meglio la rabbia che la depressione!”

“Su questo non c’è dubbio” approvò Natalie “comunque, cerca di non farti troppo cattivo sangue, Candy: la guerra finirà, prima o poi.”

Lei si voltò di scatto: “Finirà, dici? Sicuro. Il guaio è che, dopo qualche tempo, se ne farà un’altra… poi ancora un’altra e poi un’altra ancora… sempre, fino a quando durerà questo mondo disgraziato!”

“E cosa ci vuoi fare?” intervenne Judith, cercando di calmarla “Purtroppo l’umanità è sempre stata bellicosa.”

La collega si alzò dal tavolo e mise le mani sui fianchi: “Certo…! E lo sai perché? Perché le guerre le decidono sempre quelli che non le combatteranno di persona. Mica sono loro, a rischiare la pelle…! E, come se non bastasse, tutti quei politici delinquenti possono sempre contare su quegli stupidi che vanno addirittura a combattere di propria iniziativa, per la gloria o lo spirito d’avventura! Volontari…!! Quelli non li ho mai potuti vedere: non sono meno responsabili di quegli altri!”[26]

“Qualcuno in buona fede ce ne sarà” azzardò Natalie, sbirciando Flanny con una certa preoccupazione “che chi sceglie di diventare soldato per difendere semplicemente il suo Paese…!”

“Qualcuno sì” ammise Candy “ma la maggior parte si va ad impegolare in conflitti che di certo non lo riguardano da vicino… come Stear, il cognato della mia amica Annie: te lo ricordi?”

“Di chi parli…?” chiese Natalie, perplessa.

“Beh… in effetti l’hai visto una volta sola… proprio quando arrivammo a Chicago per entrare alla scuola del St. Johanna. Il primo giorno uscimmo tutte insieme per fare un giro in città e incontrammo lui e suo fratello che passavano in automobile. Ti ricordi che ci diedero un passaggio?”

“Ah, ma certo” ricordò Judith, giungendo le mani “erano proprio due ragazzi simpatici e carini! Stear era quello cogli occhiali, se non sbaglio…”

“Sì, esatto. Nove mesi fa, Stear ha preso su armi e bagagli e se n’è andato di casa. Qualche settimana dopo la mia amica Annie, torchiando come si deve suo fratello Archie (che allora era suo fidanzato), riuscì a sapere che Stear s’era arruolato volontario nelle Tigri Volanti, in Cina! E alla sua fidanzata, l’altra mia amica Patty, non aveva confidato niente: le aveva spedito una semplice lettera, mettendola di fronte al fatto compiuto… e chiedendole di perdonarlo, perché aveva capito che doveva dare un senso alla propria vita…!!” a questo punto le venne un singulto e dovette fermarsi “Beh… spero proprio che lo abbia trovato prima di perderla, la vita… perché non è più tornato…!!” detto questo estrasse rapidamente il fazzoletto e si terse le lacrime che le erano spuntate subito.

Silenziosamente, Flanny prese la caraffa d’acqua e riempì un bicchiere quasi fino all’orlo. Poi si avvicinò a Candy, che già singhiozzava: “Tieni…!” sussurrò.

“Grazie…!” mormorò lei.

“È triste, sì…” sospirò Natalie, cogli occhi bassi “…dev’essere stato terribile per la tua amica!”

“Terribile è dir poco… lo sai che ha tentato il suicidio?”

“Ossignore” esclamò Judith, trasalendo “davvero…?!”

“Sì, Judy… e ce ne vorrà, prima che si riprenda del tutto!”

“La capisco” ammise Natalie, a sua volta “perdere un ragazzo così bello e gentile! Come faceva pure, di cognome? Collins…?”

“Cornwell” precisò Candy “si chiamava Alistear Cornwell!”

Un rumore secco e repentino fece voltare tutte verso la loro compagna più anziana, alla quale non rimase che imprecare sottovoce mentre contemplava i cocci della caraffa, sparsi sul pavimento. Il nome del compagno di volo che suo marito aveva perduto in Cina l’aveva fatta sussultare e non era riuscita a evitare l’incidente.

“Flanny, che ti succede…?” si riscosse Candy, ritrovando la piena lucidità.

“Niente, una sbadataggine! Ora rimedio…”

“Ma… ti senti bene? Sei diventata pallida…!”

“Non preoccuparti, non è niente.”

“E invece mi preoccupo: come sempre, anche oggi hai lavorato il doppio di noi. Riposati, che ci penso io.”

“Non importa, lascia perdere!”

“Insisto: siediti e stai tranquilla… anzi, perché non vai nell’ufficio della dottoressa Campbell a telefonare a tuo marito per dirgli che anche domani sei libera e ti fai venire subito a prendere?”

“Ma io…”

“Vai, su” ribadì l’amica, facendole l’occhiolino “così sarà la volta buona che me lo farai conoscere, finalmente!”

*Già, sarebbe proprio la giornata adatta…!* pensò Natalie, con un brivido. Poi guardò ansiosamente l’interessata, stupendosi di sentirla rispondere: “Ma sì, hai ragione… adesso vado!”

“Brava. Ci vediamo dopo.”

Flanny rispose con un lievissimo sorriso e si girò per uscire senza più nessuna esitazione, dal momento che aveva deciso come comportarsi: sarebbe andata sì a telefonare a suo marito, ma per raccomandagli di non presentarsi assolutamente in ospedale!

Candy terminava intanto di raccogliere i vetri da terra e si alzò per vuotare la paletta nella spazzatura. Così facendo incrociò lo sguardo di Natalie.

“Che cosa c’è…?” le chiese.

“Niente… è solo un piacere vedervi andare tanto d’accordo. Se me lo avessero predetto al tempo della scuola Mary Jane, non ci avrei creduto molto…!”

“Neanch’io, a dire il vero” ribatté Candy, con un risolino “evidentemente la guerra cambia le persone!”

*E anche il matrimonio…!* aggiunse mentalmente la castana.

***

“Beh, noi andiamo, Candy… ci si vede lunedì!”

“Buona serata, Judy. Anche a te, Natalie!”

“Passa un buon fine settimana, Candy… e rasserenati, mi raccomando!”

“Farò del mio meglio, grazie!” sorrise lei.

“È un peccato che il tuo Terry sia in tournée” ammiccò Judith “sarebbe stata una bella occasione, per voi due…!”

“Già” ammise la bionda, arrossendo “pazienza… sarà per la prossima volta.”

Le due se ne andarono, mentre Candy rimase ad aspettare davanti agli ascensori, finché non vide uscire la sua collega, con un’aria tutt’altro che tranquilla. E ne aveva ben donde, dal momento che dal Mitchell Field le avevano riferito che il capitano Greason aveva lasciato la base fin dal primo pomeriggio!

“Hai parlato con lui, allora…?” le chiese la compagna.

“No, non l’ho trovato” rispose Flanny con un sorrisino tirato, facendo ticchettare velocemente il cervello “si vede cha ha subito un contrattempo e farà più tardi del solito.”

“Che peccato! E adesso…?”

“Oh, non starti a preoccupare: prima o poi arriverà… magari torno su e ne approfitto per sbrigare un po’ di lavoro d’ufficio, intanto che lo aspetto.”

“Beh, allora vengo anch’io e ti do una mano.”

“Ma no, cosa dici? Tu hai appuntamento con Archie ed Annie, no? Non vorrai mica farli aspettare, dopo che ti hanno invitato per il week-end…!”

“Sì, però…”

“Forza, vieni” insistette l’amica, prendendola per un braccio “ti accompagno a prendere un taxi.”

Le due si diressero velocemente verso l’uscita, mentre Candy si domandava cosa diavolo frullasse in testa alla sua compagna: “Però mi dispiace” disse ancora, mentre stavano già attraversando l’atrio “ci tenevo così tanto a conoscere il tuo maritino…!”

“Prima o poi succederà…!” ribatté la signora Greason, conciliante *Magari a guerra finita, quando sarà passato alla Pan-Am…!* motteggiò, col pensiero.[27]

Stavano quasi per varcare l’ingresso, quando una ben nota voce fece gelare la schiena dell’infermiera bruna, bloccandole contemporaneamente le gambe: “Flanny…!! Sei qui, finalmente!”

Quell’arresto subitaneo procurò a Candy uno strattone che, per poco, non le fece perdere l’equilibrio… una volta giratasi si trovò a poca distanza un giovanotto decisamente attraente, avvolto in un impermeabile chiaro, come i calzoni che gli spuntavano di sotto, in contrasto con le calzature quasi nere. Portava al collo una sciarpa di seta bianca, che la sua mogliettina gli aveva confezionato di persona (ed era poi la stessa che si portava in volo). I suoi lineamenti erano abbastanza fini, ma dal suo sguardo limpido trasparivano un’intelligenza e una volontà di ferro. Il suo sorriso, infine, era sincero e affascinante.

A dispetto delle sue preoccupazioni, Flanny non seppe resistere dal gettargli le braccia al collo e appioppargli un bacio mozzafiato da astinenza prolungata…

“Sei…. qui da molto…?” gli chiese poi.

“Dalle due, per la precisione!”

“Che…?!”

“Eh, già…! Ti avevo telefonato verso l’una e mezzo, ma non hanno voluto chiamarti. Allora sono saltato in macchina e sono venuto direttamente… ma la vostra gentilissima portinaia mi ha detto che eri off limits fino alle sei e mezzo. Così ne ho approfittato per farmi un sonnellino su quel divano… sapessi che razza di mattinata…!”

“Immagino” replicò Flanny a mezza voce “me la racconterai con comodo, eh…?” gli disse, infine, ammiccando.

“D’accordo… intanto, perché non mi presenti questa splendida signorina?”

La splendida signorina in questione non poteva fare a meno di sorridere, a sentire le frasi scambiate dalla coppia. A parte l’ottimo gusto estetico di Flanny, si rallegrava soprattutto per la fortuna dell’ex-condiscepola nel trovare un compagno disposto ad aspettarla per quasi cinque ore, senza nemmeno andare a farsi uno spuntino!

Flanny sospirò, pensando che una cosa, quando deve capitare, capita…! Se non altro aveva ancora qualche barlume di speranza per guadagnare tempo, prima che l’antimilitarista Candy scoprisse il mestiere del suo maritino: per fortuna l’impermeabile gli copriva la giacca dell’uniforme, mentre il foulard gli celava anche il colletto della camicia, dove sarebbero spiccati i gradi e il simbolo della sua arma.[28] Ma soprattutto - per un vero colpo di fortuna - non aveva il berretto in testa!

“Ah… ma certo… questa è la mia collega e compagna di corso, della quale ti avevo parlato” girò lo sguardo su di lei “e questo… beh, questo è mio marito” non si sa se la frase seguente fosse un suo voluto gioco di parole “Candy… Andy! Andy… Candy…!”

I due si guardarono, soppesandosi velocemente… anche il nostro eroe fu piuttosto colpito dalla bellezza di quella ragazza, come anche da quell’acconciatura sbarazzina. Volendo quei codini erano un po’ demodé, ma attorno a quel viso ci stavano volentieri. E quelle lentiggini… il maggiore non ne capiva bene il motivo, ma stuzzicavano piacevolmente i sensi…![29]

Come fu e come non fu, i due all’improvviso si misero a ridere…

“Che vi prende?!” chiese mrs Greason, corrugando le sopracciglia.

“Scusaci, Flanny” disse l’amica “non so neanch’io il perché… forse sono solo i nostri nomi…!” 

“O forse siamo solo contenti di esserci conosciuti” aggiunse il marito “in effetti, quando Flanny mi ha raccontato di te, ho capito tra le righe che dovevi essere un tipo speciale… e ora ne sono convinto!”

Candy arrossì leggermente: “Anche Flanny mi ha parlato di te… e anch’io ho capito la stessa cosa!”

“Ottimo. Allora presentiamoci come si deve…” le porse la mano, che lei strinse dolcemente “…Andrew Steve Greason, di Providence, Rhode Island!”

La bionda inclinò il capo, stando al gioco: “Candice White, di Lakewood, Michigan…!”

Prima di mollarle la mano, Andy la sfiorò delicatamente con le labbra: “Enchanté, mademoiselle…!”

“Oh…” esclamò lei, arrossendo di nuovo “…sei anche galante” si girò verso la compagna “sei davvero fortunata, Flanny: sono contenta per te…!”

Il suo sguardo profondamente sincero non lasciava dubbi che quelle parole le venissero dal cuore e la sua collega, che aveva appena finito di ringraziare il Cielo sul fatto che il suo uomo non si fosse presentato col grado e tutto, abbozzò un sorriso stiracchiato: “Lo avevo già scoperto… grazie, comunque!”

“Beh, penso che dovrete andare, adesso. Andy, sono felicissima di averti conosciuto… spero che ci vedremo spesso! Vado alla ricerca di quel taxi…”

“Ehi, aspetta… dov’è che devi andare?” chiese lui.

“Ho un appuntamento con degli amici: sono a cena da loro.”

“Stanno lontano?”

“Al Greenwich Village.”

“Allora ti accompagniamo noi: ho giusto la macchina qui fuori. No, Flanny…?”

All’interpellata si mozzò il respiro di sollievo che stava gustandosi con voluttà e tornò a rispuntarle il sorrisetto di prima: “Quale macchina?” s’informò, pronta ed emettere un repentino colpo di tosse…

“La Chevrolet che ho noleggiato quando credevo che avremmo potuto vederci tutti i giorni. Perché…?”

“Ah, niente” Flanny respirò di nuovo, sollevata dal fatto che non si trattasse della jeep militare “va bene… andiamo pure, allora!”

“Ma io non vorrei disturbare...!” protestò la biondina.

“Ma che disturbo! Ti scodelliamo dai tuoi amici e poi andiamo alla ricerca di un albergo. Venite!”

In breve raggiunsero il parcheggio, dove Andy aprì la portiera anteriore dell’auto: “Accomodati, Candy!”

“Oh, lascia” si schernì quest’ultima “Flanny è più stanca di me… io monto di dietro.”

“Come vuoi.”

Nel mettersi a sedere, Flanny sentì qualcosa sotto i piedi e si prese un altro coccolone nell’accorgersi che si trattava del berretto d’ordinanza del marito! Presa dal panico, non trovò di meglio che cacciarlo fuori, prima di chiudere lo sportello.

Non essendosi accorto di nulla, Andy salì invece al posto di guida, mise in moto e diresse la macchina verso il Village. Siccome lo vedeva piuttosto affaticato, Flanny sperò che il marito avesse anche poca voglia di chiacchierare… ma purtroppo la sua curiosità fu più forte della stanchezza.

“Da dove hai detto che vieni, Candy?” le chiese, mentre infilava la Madison Avenue.

“Da Lakewood, nel Michigan.”

“Lakewood… Michigan. Curioso… avevo un collega che…”

“Tesoro, guarda la strada” lo interruppe Flanny “e vedi di andare più piano!”

“Sì, scusami…!” rispose lui, rallentando.

“O meglio” continuò la bionda “vengo effettivamente da laggiù, ma… non so se ci sono anche nata!”

Andy alzò un sopracciglio, sbirciando la moglie, intenta ad accarezzarsi nervosamente la faccia. Non ricevendo delucidazioni, sorrise alla ragazza attraverso lo specchietto retrovisore: “Temo di non aver capito bene…!”

“Beh, forse Flanny si è dimenticata di dirtelo… ma io sono orfana.”

“Ah…!” rispose semplicemente lui.

“E non so nemmeno chi fossero i miei… a Lakewood c’è l’istituto che mi ha raccolta e dove sono cresciuta.”

“Capisco… mi dispiace veramente!”

“Non devi: anche se non ho mai conosciuto i miei genitori, ho incontrato tante persone che mi hanno amato e aiutato… e così ce l’ho fatta lo stesso.”

“E si vede! Sei veramente in gamba, Candy… sono contento che tu e Flanny abbiate studiato insieme e siate amiche!”

“Anch’io lo sono: Flanny è una persona stupenda!”

“Non esagerare” minimizzò quest’ultima “lo sai che queste cose m’imbarazzano…!”

“Ma è quello che penso. Vedi, Andy… non è che mi rallegri di non aver mai avuto una vera famiglia… ma il Signore mi ha compensato largamente: due tate meravigliose, tanti amichetti deliziosi, un caro uomo che mi ha fatto da padre e da fratello, un ragazzo fantastico che amo, ricambiata e tanti veri amici… compresi voi due, naturalmente!”

“Caspita” esclamò Andy, tirando su col naso “questa sì che è una bella responsabilità!”

“Eh, già…!” aggiunse la consorte, pensando *Speriamo bene…!!*

“Ma ora basta parlare di me” saltò su Candy, allegramente “parliamo di te, piuttosto… non mi hai ancora detto cosa fai di bello, nella vita!”

La povera Flanny avvertì una fitta dolorosa al basso ventre…

“Toh, hai ragione! Devi sapere che…”

“Lavora per il Dipartimento della Difesa…!” lo prevenne la moglie, disperata, bloccandogli la mano con la quale stava per mettersi a mimare il volo di un aereo.

“Ah…” esclamò Candy, basita “…davvero…?!”

“Beh…” con la coda dell’occhio, l’ufficiale d’aviazione sbirciò la sua dolce metà, che lo fissava con uno sguardo supplicante e perentorio insieme “...veramente…”

“Ma certo, tesoro” confermò lei, con tono suadente “cos’ho di detto di sbagliato, scusa? Non fai forse parte del Dipartimento della Difesa?!”

Due corpi e un’anima sola non è solamente un modo di dire… osservando gli occhi della sua compagna, ad Andy bastò un solo istante per comprendere cosa doveva e - soprattutto - cosa non doveva dire…!

“Ecco, in effetti… è proprio così!” cercando di non guardare lo specchietto, si augurò che la sua espressione fosse abbastanza convincente: dopotutto Flanny non aveva proprio detto una bugia: tutte le Forze Armate facevano effettivamente capo al Dipartimento della Difesa![30]

Il viso di Candy si rabbuiò, ma non più di tanto: “Capisco” mormorò “quindi sei un funzionario del Ministero…!”

“Ehmm…” altra sbirciata verso la moglie con ricezione di un secondo sguardo più perentorio del precedente “…più o meno…!”

Seguì un minuto di teso silenzio, che Flanny occupò massaggiandosi il ventre… la fitta era quasi sparita, quando la dolce Candy gliene procurò una seconda: “E il tuo ufficio di cosa si occupa? Se me lo puoi dire, naturalmente.”

*In gamba, sì... speciale, sì… ma impicciona come sempre!* non poté trattenersi dal pensare la signora Greason.

Andy cercò di almanaccare il più velocemente che poteva. Ma, alla fine, l’unica risposta che gli venne in mente di dare fu: “Pro… protezione aerea!”

Flanny alzò gli occhi al cielo, rammaricandosi di non poter dare al marito un pestone al piede, in quanto avrebbe schiacciato a tavoletta l’acceleratore. Quello stupido zuccone! Non poteva inventarsi qualcosa di più neutro? Che so, amministrazione o approvvigionamenti? Più tardi avrebbero fatto i conti…!

“Protezione aerea…” rimuginò la ragazza “…immagino abbia a che fare con l’aviazione, allora!”

“Beh, abbast… ahi…! Relativamente…!” l’interiezione era dovuta a un pizzicotto ricevuto sulla gamba destra.

Dopo un altro po’ di silenzio, Candy mormorò ancora: “Avevo un caro amico, in aviazione…!”

Avevi…? Vuoi dire che…”

“Sì… è rimasto ucciso” Andy avvertì un profondo sospiro “otto mesi fa…!”

“Un incidente?”

“No, in azione.”

“In azione?! Ma otto mesi fa mica eravamo in guerra…!”

“Lo so… ma lui combatteva in Cina.”

“In Cina…?!”

“Sì… s’era arruolato con le Tigri Volanti.”

“Oh, santo cielo…!!” esclamò Andy “Come si chiamava…?”

“Stear Cornwell!”

Non riuscì a evitarlo: a quel nome, le membra di Andy s’irrigidirono e inchiodò i freni. La velocità non eccessiva impedì fortunatamente a Flanny di venire sbalzata dal sedile, ma si prese comunque un grosso spavento: l’ennesimo della giornata!

“ANDY, ACCIDENTI…!!!” gridò.

“Scusami… idiota che sono! Ti sei fatta male…?”

“No… ma c’è mancato poco…!”

“Perdonami, amore” disse ancora, abbracciandola “che scemo…! Anche tu, Candy… scusami!!”

“Ma no, non è niente…! Cosa t’è successo, piuttosto…?!”

“Io… non lo so...” balbettò lui, al colmo dell’imbarazzo “…è che…”

 “Ah, è colpa mia” esclamò all’improvviso l’altra, con un certo rammarico nella voce “non avrei dovuto parlarti di quello! Già si vede che non sei molto in forma… e sei anche una persona sensibile, a quanto pare. Perdonami…!” concluse, schioccandogli un bacetto sulla guancia.

Andy si sentì un verme. Dovette fare un grosso sforzo per non tradirsi e guardò la moglie per avere altre istruzioni visive in merito.

“Forse è meglio se fai guidare me…!” gli disse invece lei, guardandolo cupamente.

“Ma no, sto bene… e poi dovremmo esserci, ormai. Vero, Candy…?”

“In effetti, siamo arrivati: la casa di Archie ed Annie è quella laggiù…”

“Ah, meno male!” disse il maggiore Greason, rimettendo in moto la vettura e arrestandola poco dopo, davanti al cancello.

“Bene, vi ringrazio tanto” disse Candy “voi, adesso, dove andate…?”

“Beh, come dicevo prima, penso che andremo alla ricerca di un albergo” rispose il suo quasi omonimo “e speriamo di trovarlo in fretta!” aggiunse, guardando l’orologio.

“Già, è un po’ tardi… era meglio se mi lasciavate prendere il taxi!”

“Non pensarci, Candy” le disse la collega “tanto domani non siamo in servizio.”

“Cosa? Non me l’avevi mica detto!” intervenne il marito.

“Per forza: parlavate solo voi…!” scappò detto a Flanny, con una lieve punta polemica.

“Ma… allora andiamocene a casa, no?”

“Fino a Providence…?! Ma sono 150 miglia e io sto schiantando dalla fame!!” protestò la donna.

“Beh, magari ci fermiamo a Bridgeport o giù di lì, per mangiare un boccone… anzi, sai che facciamo? Ci andiamo in aereo!”

“In aereo…??” si stupì la dolce Candy.

“Ma sì: alla base, un Piper o un Vigilant[31] me lo prestano di sicu… AUGH…!!!”

Visto che l’auto era ferma e lui teneva i piedi sul pavimento, il pestone, questa volta, non glielo levò nessuno! A Candy, che intanto rimuginava una soluzione per aiutare i due amici in difficoltà, l’incidente offrì lo spunto per dire: “Sentite, mi è venuta un’idea… e credo che i miei amici saranno d’accordo. Venite con me!”

I due volevano obiettare, ma Candy lo aveva detto con quel suo fare maternalistico che faceva sempre zittire qualunque obiezione e i coniugi Greason scesero dalla macchina. Mentre si avvicinavano al portone di casa Cornwell, Andy rispose con uno sguardo mortificato all’occhiataccia della moglie, la quale stava considerando che ci fosse qualcosa di vero sul fatto che l’amore rende le persone cretine.

Quando l’ingresso della palazzina si aprì, comparve un austero maggiordomo: “Buonasera… e benarrivata, miss Candy!”

“Buonasera, Jeeves… mi sono permessa di portare questi due amici: una mia collega di lavoro e suo marito.”

“Gli amici della signorina Andrew sono sempre i benvenuti. Si accomodino!”

Mentre seguivano il domestico, Flanny si guardava nervosamente intorno. Andy, sapendo che gli ambienti altolocati la indisponevano in modo particolare, la distrasse chiedendo alla sua amica: “Scusa, Candy: come ti ha chiamata il maggiordomo…?”

“È una storia lunga…!” gli rispose lei, minimizzando con un gesto della mano.

“Capisco” sorrise “confesso di trovarti sempre più interessante…!”

“Pure io…!” le rispose la ragazza, con un sorriso un po’ più ambiguo.

Il “dipendente del Dipartimento della Difesa” deglutì, mentre i quattro giungevano in un elegante salotto.

“Signora, signore... è arrivata la signorina Andrew, con i suoi amici” il maggiordomo si voltò verso di lei, leggermente imbarazzato “immagino che vorrà presentarli lei stessa…!”

“Ma certo, Jeeves, non si preoccupi… ciao Annie, ciao Archie…!”

“Ciao, Candy… sei qui, finalmente!” esclamò l’aggraziata giovane dai capelli corvini, avvicinandosi all’amica del cuore e baciandola sulle guance.

“Carissima Candy, ti aspettavamo con viva impazienza…!” aggiunse un bel giovane dai lineamenti spiccatamente aristocratici, anche se - per i gusti di Andy - un po’ troppo “ingentiliti” dal lungo taglio di capelli. L’ufficiale notò anche che gli occhi del giovane brillavano in un modo particolare mentre guardava la collega di sua moglie. Al contrario, quelli della padrona di casa si erano fatti decisamente più opachi mentre Candy scambiava un bacetto sulla guancia anche con suo marito...!

“E i signori…?” chiese Annie, subito dopo, come a volersi distrarre.

“Ah, sì… ragazzi, vi presento Flanny Hamilton, la mia carissima compagna di studi e di lavoro, fin dai tempi dell’ospedale St.Joseph… e il suo simpaticissimo marito: Andrew Steve Greason!”

A quel nome, il marito di Annie interruppe con un guizzo il suo cordiale sorriso di benvenuto; ma Candy, che gli stava voltando le spalle, non se ne accorse: “E questi, carissimi Andy e Flanny, sono due fra gli amici più cari di cui vi accennavo prima: Annie Brighton, la mia compagna d’infanzia e suo marito, Archibald Cornwell!”

“Molto pia…” la mano di Andy si bloccò per un attimo a mezz’aria. Ma subito, cercando di riprendersi e sperando in un caso di omonimia, afferrò l’altra mano e la strinse “…molto lieto di conoscerti, Archie…!”

“È un gran piacere anche per me, Andy” rispose lui, accentuando la stretta “mio fratello parlava molto bene di te, nelle sue rare lettere…!”

“Da… davvero…?!” farfugliò il poveraccio, sbirciando ansiosamente le due infermiere. Flanny stava contemplando il ricco lampadario di Murano, mentre Candy scrutava attentamente il suo nuovo amico.

“Sicuro. Diceva che eri un ottimo compagno e il migliore della sua squadra… un vero asso!”

“Grazie…” rispose Andy a bassa voce, ormai rassegnato all’inevitabile “…anche lui era un bravo ragazzo… e anche un buon elemento!”

“Vuole darmi il suo soprabito, signore?” chiese all’improvviso il maggiordomo, mentre una cameriera, discretamente comparsa, liberava Flanny dal suo cappottino.

A questo punto, Andy rivolse una muta ed eloquente occhiata alla consorte, la quale non poté far altro che annuire con la testa. Il marito si rivolse allora al buon Jeeves: “Volentieri, amico… solo un istante!”

Ciò detto, si slacciò la cintura e aprì lentamente i bottoni dell’impermeabile. Sempre con la massima flemma, se lo fece poi sfilare dalle spalle, quindi afferrò la sciarpa e l’appoggiò sull’indumento, già sistemato attorno al braccio del solerte domestico “Molte grazie…!”

“Dovere, signore!”

Alla vista dell’uniforme della United States Army Air Force con le sue insegne, i gradi e i bottoni la cui doratura spiccava nettamente sulla scura stoffa marrone,[32] Annie Brighton Cornwell sbarrò gli occhi, portandosi le mani alla bocca, mentre suo marito manteneva un’espressione impenetrabile. La povera Flanny guardava sempre altrove, tenendo le braccia conserte e Candy non staccava lo sguardo dal marito di lei, con le mani dietro la schiena e le labbra che formavano una lievissima traccia di sorriso.

L’involontario “ospite d’onore” si grattò la nuca per qualche secondo, per poi raddrizzare il busto: “Okay… ora lasciate che mi ripresenti: Andrew Steve Greason, maggiore dell’aviazione dell’Esercito… ho conosciuto la mia adorabile Flanny mentre prestavo servizio nelle Tigri Volanti, in Cina” fissò il volto di Archie “facevo parte del Gruppo comandato dal colonnello Clint Hardgison e volavo nella Seconda Squadriglia di Donny Talbott… con tuo fratello. Ti prego di accettare le mie più sincere condoglianze!”

Archibald Cornwall annuì e, d’impulso, tornò a stringergli la mano: “Grazie… so che mio fratello era contento di volare con te!”

“E io con lui” il maggiore si rivolse verso la ragazza bionda “mi dispiace, Candy… non volevamo prenderti in giro. Scusaci, se puoi…!”

Lei scosse la testa, sorridendo più marcatamente: “No… la colpa è tutta mia, credimi!” gli tese la mano e gliela strinse, per poi avvicinarsi alla collega “Anche oggi ho parlato troppo, Flanny… come al solito!”

Anche lei scosse la testa: “Sono cose che capitano.”

Candy le diede un leggero abbracciò e tornò a rivolgersi ai suoi amici: “Benone… ora passiamo alle cose pratiche: si dà il caso che siamo tutti stanchi e affamati… e i nostri amici hanno ancora 150 miglia da fare. Perciò mi sembra più saggio che ripartano domattina. Non avreste da offrirci tre posti a tavola e tre letti per stanotte?”

I Cornwell si sorrisero, poi la buona Annie annuì: “La cena sarà servita fra poco. Vado a dire ad Amely di preparare le camere per gli ospiti!”

Anche i Greason si guardarono, anche se il loro sorriso fu meno solare di quello dei Cornwell… il calore affettuoso dei loro nuovi amici non bastava a dissipare l’apprensione che provava lo “smascherato” aviatore per le domande che gli sarebbero sicuramente state poste sulla fine del povero Stear. Tuttavia, la stretta della mano di Flanny infuse al suo compagno tutto il coraggio che poteva servirgli al riguardo. Quei due, come sempre, si sostenevano a vicenda.



[1] Doppia stella: era infatti un radiale a due stelle di 9 cilindri da 2800 pollici cubi (equivalenti a 45925 cm3).

[2] Una cinquantina di metri.

[3] Dai 144 ai 40 Km/h.

[4] I velivoli a “carrello triciclo posteriore” (cioè con le gambe sottoalari e il ruotino di coda) presentavano lo svantaggio di non consentire al pilota la visuale frontale della pista, una volta posati a terra. Questo problema spinse perciò le case produttrici verso i carrelli “tricicli anteriori”, come sul Bell P-39 Airacobra e sul Lockeed P-38 Lightning  (rimanendo ovviamente ai caccia).

[5] Il nome indica che era un’elica a cambiamento di passo variabile azionato idraulicamente (nessun rapporto di parentela fra il Costruttore e la consorte del pilota).

[6] Il giubbotto di salvataggio autogonfiabile, rigorosamente di colore giallo.

[7] Il comandante del famoso U-47 che il 14 Ottobre 1939 forzò la base britannica di Scapa Flow, silurando la corazzata Royal Oak.

[8] Il funzionamento del turbocompressore è il seguente: i gas di scarico del motore vengono incanalati a muovere le pale di una turbina azionante un compressore, il quale riceve l’aria esterna e la rimanda più densa al carburatore, che introduce perciò nei cilindri una miscela più ricca di quella ottenibile dall’aria esterna. Questo garantisce, specialmente nel volo ad alta quota, una maggiore potenza erogata dal propulsore, mentre l’aria rarefatta permette di imprimere al velivolo una maggior velocità, grazie alla minore resistenza offerta. Il “turbo” conserva inoltre quella parte di energia che perde invece il compressore meccanico nell’attrito degli ingranaggi di trasmissione, essendo per contro afflitto da un sensibile ritardo inerziale.

[9] Oltre 800 Km/h; la velocità terminale è quella che la resistenza dell’aria non consente di superare e rappresenta inoltre una limite da non raggiungere con leggerezza, per non rischiare spiacevolissimi inconvenienti (come non riuscire più a richiamare l’aereo per la fortissima pressione gravante sugli elevatori). 

[10] Lo stretto che separa l’isola omonima dalla costa orientale.

[11] Come raccontato su Le due Aquile, il sommergibile del capitano di corvetta Herbert Thyssen riuscì effettivamente a fuggire eseguendo proprio la mossa ipotizzata da Andy Greason.

[12] 250 libbre, pari a 136 chilogrammi. Ordigni più potenti avrebbero comportato un rischio maggiore per la città se fossero finite troppo fuori bersaglio.

[13] Jug significa brocca ed era il secondo appellativo del P-47 dopo quello di Thunderbolt, che invece significa lampo.

[14] Non più di 4 metri e mezzo!

[15] Sempre bombe del tipo GP (General Purpose, uso generico) rispettivamente da 500 e 1000 libbre  (227 e 454 Kg).

[16] Erano in pratica delle fotocamere che scattavano in sincronia con le mitragliatrici, in modo da documentare il risultato di un attacco. In questo modo non c’erano problemi di sorta a farsi accreditare una vittoria in combattimento.

[17] Allude alla scuola di volo di Spanner Field, Long Island, dove il nostro amico aveva preso il brevetto dopo essere uscito dall’Accademia. L’allora capitano Ira Eaker era stato uno dei suoi istruttori.

[18] Alexander “Sasha” Kartveli aveva fatto parte, assieme ad altri progettisti russi come Alexander Seversky e Igor Sikorsky (il padre dell’elicottero moderno) di una commissione mandata in America dal governo Kerensky subito dopo la caduta dello Zar per aggiornarsi sulle tecniche di produzione aeronautica. Dopo che Lenin era salito al potere, i tre non erano più rientrati in Patria e i primi due avevano più tardi fondato la casa costruttrice Seversky, poi rinominata Republic e infine Fairchild. Il terzo aveva invece fondato la Vought-Sikorsky, in seguito costruttrice del superlativo caccia imbarcato F4U Corsair.

[19] North American Aviation.

[20] All’epoca il P-51 non era ancora stato equipaggiato col superlativo Rolls Royce Merlin (il motore dello Spitfire).

[21] Rispettivamente comandante in capo dell’aviazione e Capo di Stato Maggiore dell’esercito.

[22] Per un ufficiale appena promosso era considerato un onore poter indossare i precedenti gradi di un superiore veterano.

[23] L’incidente, all’apparenza insignificante, si sarebbe più tardi rivelato provvidenziale!

[24] Le gentili lettrici mi perdonino questa piccola volgarità… ma non ho resistito alla tentazione!

[25] Ogni riferimento ad avvenimenti precedentemente narrati è da considerarsi puramente casuale.

[26] Soprattutto gli aspiranti tali: si beccano certi ceffoni, come un certo Jimmy… (non Stone, quell’altro)!

[27] In realtà non credo che Flanny ce lo avrebbe mandato, con tutte quelle hostess bionde…!

[28] Sulla punta destra del colletto si appuntava il simbolo del grado (ora la foglia di quercia dei maggiori, nel caso di Andy) e sulla punta sinistra l’elichina con le ali degli aviatori (la fanteria aveva invece i fucili incrociati, l’artiglieria i cannoni e la cavalleria - cioè i corazzati - le due sciabole).

[29] A qualcuno devono essere fischiate le orecchie, in quel momento!

[30] Il termine Pentagono non era ancora in voga, dal momento che il suddetto edificio sarebbe stato completato solamente negli anni Cinquanta.

[31] Aerei leggeri da collegamento.

[32] Solo nel 1947, quando sarebbe nata l’aviazione indipendente (USAF) quella divisa sarebbe diventata azzurra, come la si vede addosso a Marlon Brando nel film Sayonara, ambientato durante la guerra di Corea (1950-1953).

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Capitolo 9
*** Chi trova un amico, trova un tesoro ***


Capitolo 9: Chi non muore si rivede

Capitolo 9: Chi trova un amico, trova un tesoro

 

UCPFH 09

 

 

“E

t voilà… dal Mitchell a Eglin in quattro ore e diciassette minuti: un vero record!” sentenziò il maggiore Greason chiudendo l’alimentazione ai motori.

“E meno male” commentò il capitano Stone dal posto del co-pilota “più di duemila miglia solo per portare quaggiù una mucchietto di scartoffie…!”

“Lo so, ma il colonnello Eaker mi ha chiesto personalmente questo favore” ribatté il compagno slacciandosi le cinghie e raccogliendo le carte nautiche “non potevo certo rifiutare, dopo che aveva approvato il mio avanzamento!”

I due amici attraversarono la botola nel ventre dell’apparecchio che li aveva trasportati da New York e il più anziano, non appena toccato terra, iniziò a massaggiarsi le reni: “Certo che la North American potrebbe montare dei sedili più confortevoli su quest’affare… fortuna che noi voliamo sui caccia!”

“E smettila di lagnarti” lo rimbrottò Andy mollandogli un leggero cazzotto sulla schiena “siamo in Florida, no? Mare, sole e bellezze al bagno…” all’imbronciarsi del compagno, proseguì “…ah, già: dimenticavo il tuo stato civile. Che peccato…!”

“Ha parlato lo scapolo!” lo rimbeccò Jim, sarcastico.

“Già… ma devi sapere che il sottoscritto gode, talvolta, di brevi licenze extraconiugali. Non lo sapevi?”

“Non lo sapevo e non ci credo!” affermò Stone, recisamente.

“Fai bene…!”

“Parlando più seriamente” cambiò discorso il capitano mentre si allontanavano dal B-25[1] verso il comando della base “potrei sapere cosa contiene di tanto prezioso quella cartella per giustificare tutti questo spreco di carburante?”

“Le nuove tattiche di ricerca aerea e di attacco antisom, elaborate dal comando della Flotta Atlantica. Eaker mi ha chiesto di portare la versione per l’Esercito al comandante dell’aviazione caraibica, che ha sede in questa base.”

“Capperi” esclamò l’altro, sbalordito “non mi dirai che quello studio prende spunto da quella nostra azione d’intercettamento, di tre settimane fa!”[2]

“Hai fatto centro. La sortita di quel sommergibile ha fatto un sacco di rumore, a Washington. Quindi hanno deciso di adottare alcune precauzioni, soprattutto all’imbocco con il Golfo del Messico.”

“Comprensibile” ammise James “temono che gli U-Boats si mettano a fare la posta alle petroliere davanti ai porti texani.”

“Proprio così.” concluse il maggiore, rispondendo al saluto della sentinella.

Poco più tardi i due piloti del 3° Gruppo da Caccia Sperimentale furono ricevuti dal brigadiere-generale Nathan Twinings, comandante della 2a Forza Aerea, che presidiava, con il Primo Stormo, lo spazio aereo caraibico settentrionale (Florida, Cuba e Bahamas) mentre quello meridionale (Piccole Antille, Hispaniola e Giamaica) era controllato dal Secondo Stormo, stanziato a Panama.

“Ecco qua il nostro arpionatore di crucchi” lo apostrofò giovialmente Twinings quando lo vide entrare nel suo ufficio “caro maggiore Greason, devo proprio farle i miei complimenti per la sua impresa di New York!”

“Troppo gentile, generale” rispose l’asso, salutando “è stato solo un colpo fortunato… e neanche del tutto decisivo.”

“Accomodatevi” accennò il superiore, continuando mentre i due si sedevano “beh, se non altro ha impedito a quei crucchi bastardi di tornarsene a casa tutti pieni di boria… inoltre quell’episodio farà parlare di voi la Luftwaffe, ancora prima di averci a che fare!”

“Sempre che questo sia un vantaggio, signore…!” si lasciò scappare James Stone, con una smorfia poco allegra, mentre guardava di striscio il suo compagno frugare nella cartella.

“Vedrà che i fatti lo confermeranno, capitano. A proposito, Greason: felicitazioni per la promozione ed il suo nuovo incarico: sono sicuro che il 444° Gruppo della nuova Ottava farà vedere i sorci verdi ai ragazzi di Hermann!”[3]

“Lo spero, generale” sorrise bonariamente l’interessato “nel frattempo, eccole il dossier.” concluse consegnando l’elaborato sulle nuove tattiche antisom da impartire alle squadriglie locali.

“Ah, benissimo… vi ringrazio di averlo portato fin qua!” disse Twinings premendo un pulsante sul proprio citofono. Dopo pochi istanti comparve un ufficiale, a cui venne affidato il prezioso fascicolo. Frattanto il nostro Andy, guardandosi intorno per ammazzare il tempo, buttò l’occhio sopra un’ordinanza appesa alla parete (erano le disposizioni dei comandi nei confronti dei civili sospetti, soprattutto se di origine nippo-tedesca) e la sua vista acutissima si fermò sulla firma alla fine del testo.

“Caspita” mormorò all’attenzione dell’amico “Simon Stacey comanda il distretto militare di Tallahassee… guarda il caso!”

“Lo conosci?” sussurrò James, mentre il generale dava ancora disposizioni al suo aiutante.

“Direi… facemmo la Primaria[4] insieme. È una vita che non lo vedo!”

Congedato il sottoposto, il generale invitò Greason e Stone a desinare con lui alla mensa ufficiali, dove i tre aviatori si raccontarono le proprie esperienze di guerra. A fine pasto il comandante della 2a FA domandò ai suoi ospiti se avevano qualche programma prima di ripartire.

“Beh, il Mitchell col quale siano arrivati era in trasferimento qui. Dobbiamo rientrare con un C-47 che decollerà soltanto stasera.  Pensavo di fare un salto a Tallahasse per salutare un vecchio compagno di scuola.”

“D’accordo. Usate pure una jeep della base: vi firmo l’autorizzazione per l’autoparco!” disse Twining estraendo un’agendina e la stilografica dal taschino.

“Molte grazie, signore” rispose Andy prendendo il foglietto “vieni, Jim!”

“Ma non volevi andare a vedere le bellezze al bagno?” lo provocò il capitano, maliziosamente.

“Muoviti, spiritosone…!!” lo spinse via il compagno, rudemente.

***

Circa un’oretta dopo, la jeep messa a disposizione dei due ufficiali della 4a Air Force frenava davanti al comando del presidio militare della Contea.[5] Seguito dal suo fedele secondo, Andy Greason si presentò davanti alla ricezione.

“Posso aiutarla, maggiore?” domandò l’incaricato, salutando.

“Buongiorno, sergente. Vorrei vedere il colonnello Stacey, se è libero.”

Il graduato lanciò uno sguardo verso la porta a vetri che dava nell’ufficio del comandante: “Sono spiacente, signore. Ma, in questo momento…”

Le sue parole vennero interrotte da una voce il cui volume si era improvvisamente alzato dietro la sottile porta summenzionata: “È inutile che insisti, Tom: ti ho già spiegato che non è possibile!”

“Ti scongiuro, Simon: si tratta della mia famiglia…!!”

“Questo non cambia le cose: tuo figlio è cittadino americano, maggiorenne e incensurato. Ha firmato per l’arruolamento volontario, è stato mandato alla visita ed è stato dichiarato abile. Per cui non c’è niente da fare: fra pochi giorni sarà trasferito al centro di addestramento di Forte Benning!”

“Sono sicuro però che si troverebbe una soluzione, se solo tu volessi…!”

“Ti ripeto di no. E comunque, detto fra noi, un po’ di disciplina militare al tuo ragazzo non può fare che bene…!”

“E se me lo mandano oltremare a rimetterci la pelle?! Mia moglie mi ucciderà…!”

“Dovevi pensarci prima!”

All’improvviso la porta si spalancò, facendo apparire un colonnello ancora abbastanza giovane, ma col viso segnato dalla stanchezza, tallonato da un distinto signore sulla cinquantina, dai capelli grigi come i baffoni che portava.

“Kaminski, accompagna il signore alla sua macchina, per favore!”

“Agli ordini, colonnello!” rispose il sergente.

“Insomma, non vuoi proprio venirmi incontro?!” insistette ancora il civile.

L’ufficiale sospirò, rivolgendogli ancora la sua paziente attenzione: “Tom, fattelo entrare in testa una volta per tutte: non posso…!!”

“Salve, Simon. Qualche guaio?”

L’allegra voce fece sobbalzare l’interpellato che, giratosi, si trovò di fronte la sua vecchia conoscenza, seduto su un divanetto con la testa appoggiata sulle mani.

“ANDY…!!! Ma sei proprio tu…??” esclamò Stacey, sorpreso quant’era lieto di venir distratto dalla grana in corso.

“Come vedi” sorrise l’amico alzandosi in piedi e stendendogli la mano “lieto di ritrovarti, Sam. Anzi, signore…!” precisò, notato lo sguardo disapprovante del sergente.

“Lascia stare, ci mancherebbe” replicò bonariamente il superiore “una celebrità come te… e il tuo socio?”

“È il capitano James Stone, di Richmond: il mio secondo.”

“Signor colonnello…” fece questi, salutando.

“Salute, capitano” ribadì Stacey, stringendo la mano anche a lui “sono onorato di ricevere nel mio presidio sperduto nientemeno che due ex Tigri Volanti. Ma che cavolo ci fate, qui?”

“Servizio postale per conto del Dipartimento. A Eglin ho saputo che comandavi la piazza locale e ho pensato di venire a salutarti.”

“Non ti smentisci mai” commentò l’ex condiscepolo, con un caldo sorriso “li hai sempre trattati bene, gli amici!”

“Come te, se ben ricordo. Non ci presenti il tuo?” chiese Andy volgendo gli occhi all’azzimato gentiluomo che non si schiodava dal punto in cui era, ignorando le sollecitazioni di Kaminski, già propenso a chiamare gli MP.

“Ah, già…” rispose il colonnello, leggermente imbarazzato “…ecco, questi è il signor Thomas Marvin Legan, finanziere di Chicago. Eravamo insieme, al Liceo.”

“Piacere, maggiore” l’interpellato chinò lievemente la testa “capitano…!”

“Perdiana, ma allora è una vera rimpatriata scolastica” ridacchiò Greason educatamente “felicissimo, signor Legan… sono Andrew Steve Greason. Fa piacere incontrare uno dei nostri maggiori contribuenti!”[6]

L’uomo d’affari annuì, compiaciuto: “Anche incontrare uno dei nostri aviatori più arditi è oltremodo edificante!”

“Grazie. Non per essere indiscreto, ma sembrava che aveste qualche problema. Di che si tratta?”

“Lascia stare, Andy” intervenne Stacey “non è cosa di cui ti debba occupare!”

“Aspetta Sam, forse possiamo far qualcosa… naturalmente se il signore e d’accordo.”

“Beh… si tratterebbe di mio figlio” rispose il signor Legan, cogliendo la palla al balzo “è praticamente scappato di casa per arruolarsi e…”

“Penso sia meglio parlare nel mio studio” si rassegnò il colonnello Stacey, volgendo lo sguardo a Kaminski “ordine annullato, sergente!”

“Signorsì, colonnello!” rispose l’aiutante, tornando al suo posto.

***

“Mio figlio minore, Neal… è praticamente scappato di casa, a Miami, una settimana fa. Ci ha lasciato un biglietto dove scriveva che partiva volontario… mi sono precipitato al distretto della capitale,[7] ma era troppo tardi: aveva già passato la visita e l’avevano già spedito ad Atlanta, al Centro di Raccolta. Il colonnello Stacey mi diceva, prima, che fra pochi giorni lo manderanno a Forte Benning, alla scuola di fanteria…!”

“E mi par di capire che la sua volontà d’imbracciare un fucile non incontra esattamente la sua approvazione. Giusto?”

L’uomo sospirò stancamente: “Il fatto è che… mio figlio è un viziato cronico, con una forza di volontà praticamente nulla. Ha un carattere debole e, in quanto al coraggio… beh, mi duole dirlo, ma… non si trova esattamente fra le sue doti più spiccate!”

Andy Greason rivolse un significativo sguardo ai suoi colleghi, quindi osservò: “Non ne sta facendo un ritratto molto lusinghiero…!”

Il signor Legan alzò la testa: “Lo so. Vede, maggiore… lei ha di fronte un individuo che, contando sulle proprie forze, è riuscito ad arrivare abbastanza in alto. Ciò che si direbbe, insomma, un uomo di successo… e tale sarei rimasto, se l’ambizione non mi avesse rovinato!”

“Le andarono male gli affari?” gli chiese Andy.

“Niente affatto. Anche se, forse, sarebbe stato preferibile! Il guaio fu che un’aristocratica famiglia mise gli occhi su di me come abile amministratore del loro patrimonio. Mi creda, non avrei mai accettato una simile responsabilità se… non mi fossi innamorato di una delle figlie di Jacob Reginald Andrew!”

Andy spalancò gli occhi: “Lei… lei sarebbe dunque il genero di Jacob Andrew? Nonché il cognato del famoso William Albert…?!”

“Precisamente. E se le racconto questo non è certo per vantarmi del mio pedigree, ma per spiegarle che i miei due figli non sono mai stati fieri di essere dei Legan quanto invece di essere degli Andrew, sia pure da parte di madre.” concluse, con amarezza.

Il marito di Flanny Hamilton scacciò l’idea che il suo interlocutore stesse divagando dal tema principale e lo incalzò: “Continui…”

“Non ho intenzione di sminuire le mie responsabilità” continuò l’altolocato personaggio, ringraziando il maggiore con un cenno del capo “ma quando un individuo è considerato più come marito di una Andrew che per i suoi meriti personali, non gli risulta molto facile inculcare nei figli quegli stessi valori che aveva sempre perseguito: la costanza, la determinazione, il coraggio… e l’onestà. Il mio ragazzo non avrebbe mai avuto bisogno di queste doti per farsi strada nella vita: gli bastava essere figlio di mia moglie, cioè il nipote di William Andrew… persino il mio nome gli era relativamente inutile, allo scopo! So perfettamente di aver fallito, come padre e me ne ritengo colpevole senza appello… ma ditemelo voi come avrei potuto impormi davanti ai miei figli, quando essi stessi stentavano a non vergognarsi di me?!”

“Ma… e sua moglie?” chiese il maggiore, discretamente colpito.

Il genero del famoso patriarca americano emise un altro sospiro che assomigliava assai ad un lamento: “Purtroppo… spentasi la passione dei primi anni, non ha mai avuto per il sottoscritto una considerazione molto migliore!”

Andy Greason rimase per quasi un minuto ad osservare in silenzio gli occhi sinceri di quell’individuo che conosceva soltanto da mezz’ora e che, per la prima volta, aveva potuto sfogarsi in vita sua.

“La capisco” dichiarò, alla fine “e non solo per modo di dire!”

“Le sono grato. Per quanto mio figlio non sia che un rampollo viziato, un opportunista e un debole… è pur sempre carne della mia carne. E dubito che potrò mai renderlo un uomo come si deve, se me lo faranno a pezzi su una spiaggia nemica…!” concluse, soffiandosi dignitosamente il naso per asciugarsi gli occhi.

“Mi spiace davvero, Tom…! Ma, come ti ho detto, ormai non si può più…”

“Un momento, Simon” alzò una mano il maggiore “posso farle una domanda, signor Legan?”

“Mi dica pure!” rispose l’altro rinfilando elegantemente il fazzoletto nel taschino del gilet.

“Lei dice che suo figlio è una persona debole e priva di coraggio… tuttavia ha deciso di arruolarsi volontario. Deve scusarmi, ma la cosa non mi quadra…!”

“Non le do torto. In effetti, da un po’ di tempo, mio figlio era… un po’ cambiato!”

“In meglio?” domandò Stacey.

“Mah… diciamo in meglio, non lo so. Era… meno arrogante, anche se più nervoso. Aveva atteggiamenti insoliti… quasi sdolcinati!”

Greason alzò un sopracciglio: “Sdolcinati? Non ci sarà mica di mezzo una donna…?!”

“Lei è molto perspicace, maggiore. È vero: si era innamorato ed è stato respinto. Di conseguenza, ha perso la testa!”

“Adesso ho capito” sospirò Andy, a sua volta “è la solita storia: suo figlio puntava a una fanciulla di umili origini e, siccome la vostra famiglia non consentiva un matrimonio così democratico,[8] gli avete risposto picche. E lui, disperato, ha raggiunto la Legione Straniera!”

“Non esagerare, Andy!” saltò su James.

“Ma dai, è un classico! Non è così, signor Legan?”

“Beh… qualcosa del genere!” rispose il padre della nemesi di Candy, ben guardandosi dal raccontare l’intera faccenda.

“Appunto! E adesso lei vorrebbe che lo zio Sam glielo rispedisse a casa, mh?”

“Col carattere che si ritrova, non voglio pensare alle catture che gli faranno i commilitoni” rabbrividì il poveretto “l’addestramento lo massacrerà… e, se alla fine lo manderanno in azione, creperà in un baleno, come uno stupido…! Credo tuttavia che questa sia una punizione sproporzionata, per la colpa di avere avuto due pessimi genitori come noi… per non parlare di sua sorella!”

*Ci mancava pure la sorella…!* pensò Andy, sarcastico, per poi osservare “Certo che, da come ne parla, sembra che suo figlio sia partito più per allontanarsi da voi, che non per dimenticare quella ragazza…!”

“Ma certo che è fuggito da noi” confermò Thomas Legan, con dolorosa veemenza “e ce lo siamo ampiamente meritato. Mi creda: se non fosse per i pericoli che corre, lo lascerei volentieri dov’è” tornò ad estrarre il fazzoletto di seta e si asciugò la fronte “non lo so… se almeno avesse scelto un’arma meno dura… la Marina, per esempio. Oppure…”

“…l’aviazione. È questo che sta pensando, mister?” gli domandò il nostro asso, ricambiando lo sguardo cupo del gentiluomo, che subito si aggrappò a quel barlume di speranza: “Voi pensate che si potrebbe…”

“Non correre, Tom” lo raffreddò Stacey “un cambio di assegnazione da una specialità all’altra non è tanto semplice. E poi chi te l’ha detto che in aviazione non si corrono pericoli? Vuoi che il maggiore ti racconti qualche esperienza delle sue?”

“Non sarà mai come un campo di battaglia. E poi non deve mica volare per forza: ci sono tanti incarichi anche a terra…”

“Certamente” replicò Andy “a meno che non faccia lui stesso domanda per un corso di pilotaggio. Che facciamo se lo supera, signor Legan?”

Il padre di Neal sorrise, scettico: “Chi, mio figlio…?! Aveva paura di uscire in giardino, la sera o ad entrare nelle scuderie, da solo! Non c’è da temere. Potete farlo davvero?”

“Mah, non lo so” obiettò il colonnello Stacey, scuotendo la testa “innanzitutto, per il cambio di destinazione ci vuole una richiesta scritta e firmata da un ufficiale superiore dell’arma aerea.”

“Vuoi dire un generale o un colonnello?” domandò ansiosamente Legan. Non ricevendo risposta il povero padre guardò allora Andy, il quale, incapace di nasconderglielo ulteriormente, dovette ammettere: “Forse… basterebbe anche un maggiore.”

“Andy, non farai sul serio…!” esclamò Stacey, in tono scandalizzato.

“Dai, Sammy… tira fuori un modulo di assegnazione, dammi una penna e facciamola finita!”

Borbottando, il colonnello si avvicinò istintivamente a uno schedario ed estrasse il documento richiesto. Stava per porgerlo all’amico assieme alla penna, quand’ebbe un moto di esitazione: “Andy… bada che sei stato appena promosso e il tuo grado non è ancora operativo. Una cosa simile potrebbe anche rovinarti la carriera, lo sai…?”

Greason alzò le spalle: “Non sono un carrierista e non voglio avere il figlio di un tuo amico sulla coscienza. Dammi quella roba!”

Stacey lo accontentò sbuffando ed Andy appoggiò il documento sul tavolo per mettervi in calce la sua firma, poi prelevò un foglietto da un blocco per gli appunti, vi scarabocchiò alcune note e porse infine il tutto all’esponente della jet society: “Ecco qua… lo faccia recapitare a suo figlio, gli dica di firmarlo e rispedirlo all’indirizzo che ho scritto qui: Sezione Personale del Corpo Aereo, presso il Ministero della Difesa.”

Il finanziere dai capelli grigi afferrò quelle carte con le mani leggermente tremule, ma con lo sguardo colmo di gratitudine: “Non ho parole per ringraziarla, maggiore… lei ha tolto un peso enorme dal cuore di questo genitore incapace!”

“Non gioisca prima del tempo: sempre che accetti di cambiare specialità, il suo ragazzo dovrà superare un secondo esame psicofisico, perché la cosa si concretizzi.”

L’altro annuì e gli porse la mano, che il maggiore strinse con leggera riluttanza: “Comunque vada, le serberò eterna riconoscenza. Sappia, anzi, che la considero un amico” puntualizzò appoggiando l’altra mano su quella del pilota “se mai ci fosse qualcosa che potrò fare per lei…”

“Mi basta una promessa” rispose asciutto Andy “se, a dispetto delle sue previsioni, suo figlio decidesse di volare e riuscisse nel suo intento… non venga a piangere da me, se glielo bucherellano lassù! D’accordo?”

Al signor Legan s’incupì lo sguardo, ma rispose: “D’accordo… e grazie ancora!”

“Bene…” Andy sbirciò il suo cronografo “…direi che si è fatto tardi. Sarà meglio che rientriamo a Eglin, Jim: il nostro cargo per New York parte alle 18.”

“È stato bello rivederti, Andy” disse allora il colonnello “in bocca al lupo per le tue prossime missioni!” nemmeno lui nascondeva la gratitudine verso l’amico d’infanzia per avergli risolto la “grana”…

“Crepi…!” esclamò l’asso, stringendo la mano a Stacey, per poi rischiaffarsi il cappello in testa.  Per ultimo non si trattenne dal salutare l’altolocato civile, con una punta di malcelata ironia: “Arrivederci, signor Legan: porga i miei omaggi alla sua signora e a sua figlia…!”

“Presenterò!” rispose neutralmente l’interessato.

“Stammi bene, Simon: alla prossima. Sergente…”

“Maggiore Greason…” rispose quest’ultimo, rispondendo impeccabilmente al saluto militare, che il superiore aveva appena accennato.

“Signori…” disse in ultimo il capitano Stone, portandosi anche lui la mano al berretto.

 

***

Durante il tragitto di ritorno alla base aerea di Eglin Field Andy Greason rimase in silenzio, guidando meccanicamente la vettura. All’inizio James Stone provò ad ignorare la sua pessima cera, ma alla fine non ce la fece più: “Hai un aspetto orribile, Andy! Ti senti bene?”

Tenendo gli occhi fissi sulla strada, il maggiore scosse la testa: “Oggi, per la prima volta, ho fatto una cosa di cui non riesco ad andare fiero, Jim. No, non sto bene...!” concluse, amaramente.

“E allora perché lo hai fatto?” gli chiese il compagno, dopo un attimo di esitazione.

Andy strinse la mascella, rimuginando…

“Non lo so” disse poi “forse perché non riesco mai a non fare niente!”

“Vero…!” confermò James, senza voler polemizzare.

“Comunque non ci voglio più pensare… del resto, per ciò che mi riguarda, questa storia finisce qui!”

“Ma certo…!” concordò James, cercando di convincersene.

***

Poco tempo dopo, all’inizio di Aprile del 1942, i componenti del 3rd Experimental Fighter Group della 4th Air Force di base al Mitchell Field di New York vennero re-inquadrati nel nuovo 444th Fighter Group dell’8th Air Force destinato a Norwich, in Gran Bretagna.

A sua volta l’infermiera Flanny Hamilton Greason chiese ed ottenne di essere trasferita in un ospedale della zona, dov’era richiesto personale sanitario americano per l’assistenza agli aviatori dell’USAAF che rientravano feriti dalle missioni. La sua collega e ormai amica Candy White Andrew decise di andare con lei, dal momento che il suo “fidanzato” Terence Grenchester doveva contemporaneamente partecipare con la sua Compagnia Stratford ad una serie di spettacoli che si sarebbero svolti proprio nel suo Paese, a favore delle truppe combattenti.

Più o meno nello stesso periodo, un giovane aviere di nome Neal Legan, acquartierato presso il campo addestrativo dell’USAAF vicino a Muskogee, nell’Oklahoma, presentava formale richiesta per l’ammissione ad un corso di pilotaggio…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] North American B-25 Mitchell: bombardiere medio bimotore, famoso per avere effettuato la prima incursione aerea su Tokyo decollando dal ponte della portaerei USS Hornet (18 Aprile 1942).

[2] Vedi capitolo 8.

[3] Il Reichmarshall Hermann Goering, delfino di Hitler dopo la “defezione” di Rudolph Hess (1941) e comandante in capo dell’aviazione tedesca.

[4] Primary School, equivalente alla nostra Scuola Elementare.

[5] I 50 Stati Federali (all’epoca erano 48, poi si aggiunsero l’Alaska e le Hawaii) sono divisi in Contee, a loro volta ripartite in Distretti. Come tutti sanno, la capitale federale non fa parte di nessuno stato e costituisce un distretto a sé stante, da qui il nome di Washington D.C. (District of Columbia).

[6] Negli USA anche i finanzieri pagano le tasse…!

[7] Intende la capitale dello Stato della Florida: Tallahassee, appunto.

[8] “Nessun povero è mai stato detto democratico per aver sposato un ricco!” (dal film Sabrina con Audrey Hepburn).

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Capitolo 10
*** Chi non muore si rivede ***


Capitolo 10: Chi non muore si rivede

Capitolo 10: Chi non muore si rivede

 

UCPFH 10

 

 

I

l capitano James Patrick Stone, comandante ad interim della Prima Squadriglia del 444° Gruppo Caccia in forza all’Ottava Forza Aerea, stava versandosi nervosamente il quarto bicchiere di whisky della giornata.

Erano appunto quattro le volte che rientrava nel suo ufficio - che teneva in comune con quello del suo comandante di Gruppo - dopo essersi consumato le scarpe sulla pista di Rickenbacker Field, la base del loro reparto, ubicata nelle vicinanze di Norwich, importante centro dell’East Anglia.[1]

Non che ogni volta ci rimanesse molto in quell’ufficio: giusto il tempo di versarsi da bere per calmare l’agitazione che lo tormentava, per poi rifiondarsi fuori dal comando, così da impedire al suo sguardo di posarsi sulla scrivania del capo e, in special modo, sul portaritratti che vi era posato sopra.

Santo Cielo… cosa diavolo le avrebbe detto, stavolta, se lui non fosse tornato?

Si era anche recato due volte alla torre per chiedere notizie, ma i radaristi non avevano ancora localizzato il suo apparecchio, né i marconisti[2] avevano ricevuto messaggi dal comandante o dalle basi vicine.

Stava per scendere di nuovo, quando il repentino squillo del telefono lo fece sussultare, costringendolo a versare mezzo bicchiere sul pavimento.

“Pronto? Parla Stone…!!” rispose immediatamente, con voce alterata.

“Qui è il sergente Johnson, signore: la informo che il maggiore Greason sta rientrando.”

James riprese a respirare nornalmente. Si umettò le labbra, poi riuscì a rispondere: “Dici… dici davvero, Curly?!”

“Sì, capitano: sta atterrando in questo momento!”

L’ufficiale si lisciò la fronte, sospirando di sollievo: “Dio sia ringraziato… scendo subito!”

Sollevato, ripose il ricevitore. Passando accanto all’altra scrivania, non si trattenne dal lanciare una rapida strizzatina d’occhio alla piacente ragazza bruna presente nella foto.

“È andata anche stavolta, signora…!” le sussurrò.

***

Il capitano arrivò trafelato sulla pista, proprio mentre un massiccio P-47 color verde oliva, fatta eccezione per la NACA decorata a scacchi bianchi e neri, terminava di rullare sul piazzale antistante la torre di controllo.

Una volta arrestato il motore, un aviere spalancò la capiente carlinga, rivelando il pilota mentre scollegava il cordone della radio, quello per il riscaldamento della tuta[3] e il tubo per l’ossigeno. Afferrò poi la mano dello specialista montato sull’ala e scavalcò il bordo dell’abitacolo, già “costellato” di numerose “croci balcaniche” che rappresentavano altrettanti aerei tedeschi strappati dal cielo.[4]

“Andy…!! Tutto bene…?” s’informò prontamente il buon James.

L’interpellato balzò a terra e rivolse innanzitutto la parola a un sottufficiale prontamente accorso, un giovane di 25 anni dall’aria sveglia e decisa.

“Nat, dovresti controllarmi il trim degli alettoni: mi pare che si sia incrementata la coppia torcente!”[5]

Il sergente-maggiore Jonathan Carling, capo del personale di terra e meccanico di fiducia del comandante, guardò prima quest’ultimo e poi di sfuggita il capitano Stone, col quale scambiò un’occhiata significativa. Quel Thunderbolt era pieno di fori da 20 millimetri un po’ dappertutto, l’elevatore sinistro era quasi fracassato, ma l’unico problema che accusava il suo pilota era un aumento della coppia torcente!

“D’accordo, signore!” rispose comunque, asciutto.

Congedato lo specialista, il maggiore Andrew Steve Greason degnò finalmente d’attenzione il suo secondo: “Salve, Jim!” gli disse, a bassa voce, sfilandosi i guantoni.

“Bentornato, comandante…!” ribatté il capitano, non potendo trattenere una punta di polemico sarcasmo.

“Grazie…!” sussurrò il maggiore, accusando il colpo. Girò poi nuovamente la testa verso il suo caccia, sul cui muso, immediatamente dietro la capottatura del motore, spiccava un aquilotto marrone dalla testa bianca, affiancato da una scritta dorata e svolazzante: The Yankee Eagle.[6]

Un nome un po’ insolito per un aeroplano che, a rigor di logica, avrebbe dovuto chiamarsi Flanny Seconda… ma così non era stato perché, da quel che si sapeva, la signora Greason non aveva più apprezzato che una macchina da guerra venisse battezzata come lei.[7] Dal canto suo il marito aveva tranquillamente concordato, felicitandosi col tempo di una tale decisione, al pensiero di quanti colleghi nel campo avverso avrebbero altrimenti maledetto quel nome per lui così caro!

Aquila Americana andava più che bene... in fondo era lo stesso soprannome con cui il suo pilota era stato battezzato dalla stampa, dopo i primi successi sul cielo europeo.

Afferrata la busta con le carte di navigazione che l’aviere di prima gli aveva recuperato dal cockpit, Andy s’incamminò a passo spedito verso la palazzina del comando, affiancato dal fedele vice.

“Mi dispiace del ritardo…!” gli disse, con sincerità.

“L’importante è che tu stia bene” sospirò James “mi dici che t’è successo?”

“Quella maledetta picchiata sul bersaglio mi ha gettato come un fesso nelle fauci della Flak[8]… che naturalmente mi ha beccato in pieno!”

“Cristo…!! E poi…?”

“Ho dovuto compiere un atterraggio di fortuna.”

Il cuore del capitano Stone mancò di un battito: “Ma che dici…? In territorio nemico?!”

“Già…!”

“E come hai fatto a scamparla dai crucchi? E a tornare con l’aereo e tutto?”

“Beh…” il maggiore si stropicciò gli occhi “…è una storia un po’ lunga. Adesso però non mi sento in vena di raccontartela… scusami ancora!”

James fece una smorfia di disappunto, ma rispose: “Non fa niente… certo che hai corso un bel rischio…”

“Non lo nego!”

“…e tutto per togliere quel benedetto pivello dai guai!”

Il maggiore si fermò di botto, fissandolo duramente in viso: “E cosa dovevo fare, secondo te? Lasciarlo in pasto ai crauti, dopo avergli lasciato il fratello in pasto ai giapponesi?”

“Non dico questo… però, allontanandoti in quel modo dalla nostra Squadriglia, ti sei ritrovato addosso quattro crucchi tutti insieme. È un vero miracolo che tu ne sia uscito indenne, lo sai?!”

“È un dovere di noi veterani prenderci cura dei colleghi inesperti, che ci piaccia o no… e io non fallirò una seconda volta!”

Il capitano chiuse gli occhi sospirando, chiedendosi per quanto tempo ancora quel maledetto incidente in Cina avrebbe perseguitato il suo compagno.

“Comunque certe cose non accadrebbero, se facessero a meno di mandarci dei complementi con solo una misera manciata d’ore di volo…!”

“Temo che sia inevitabile, vecchio mio… almeno per ora: è lo svantaggio di chi entra in guerra per ultimo.”

“Già, specialmente quando si pretende che la finisca comunque in fretta!”

“Lascia perdere… dimmi piuttosto se quelli della Terza sono rientrati!”

James fu lieto di rispondere affermativamente: “Sì, Andy: sono atterrati dopo quelli di Sanders e subito prima di noi.”

“Tutti…?”

“Tutti!”

Stavolta fu Andy a sospirare: “Meno male…!”

Parlando i due ufficiali erano giunti nel loro ufficio, dove trovarono il tenente Dumfryes, dell’Intelligence, che stava posando tre fascicoli sulla scrivania del maggiore.

“Buona sera, signore” gli disse, salutando “le ho portato i rapporti della missione su Saint Dizier.”

“Grazie, Harry… li leggerò domattina per stilare la relazione a Eaker.”[9]

Il tenente si congedò e il maggiore si sedette sulla sua poltrona. Contemplò un istante la foto della moglie, poi afferrò la cornetta del telefono: “Centralino? Il St.Julian Hospital, per favore!”

Mentre aspettava la risposta, i suoi occhi non abbandonavano quelli della consorte, che gli “sorridevano” dalla cornice sul tavolo (per la verità, in quell’immagine non stava sorridendo affatto, ma per Andy la cosa non rivestiva soverchia importanza).

“Pronto…? Il St.Julian…? Buonasera, sono il maggiore Greason, della base USAAF di Rickenbacker Field… potrebbe passarmi la signora Flanny?” passarono circa dieci secondi “Ah, non può lasciare la corsia? Vabbé… allora, se non le dispiace, la informi che è tutto OK e che sarò a casa fra un’ora… molte grazie!”

Chiusa la comunicazione, si rilassò sullo schienale, osservando il capitano appoggiato col sedere alla propria scrivania.

“Ti vedo sollevato!” gli disse.

“Lo trovi strano? Tremavo al pensiero di doverla fare io, quella telefonata…!”

“Immagino… scusami davvero per il pomeriggio che ti ho fatto passare!”

“Non è con me che dovresti scusarti…!”

Andy tornò allora a guardare la foto: “Temo che sia troppo tardi, per quello” replicò, lasciandosi sfuggire un sospiro malinconico”””””222 “del resto lo sapevamo di commettere una fesseria… ma certe volte il cuore non lo ascolta, il cervello!”

“Però non avresti dovuto farla venire in Inghilterra… a parte il pericolo di qualche incursione sporadica che ogni tanto la Luftwaffe fa ancora, penso che la relativa vicinanza fisica aumenti di parecchio l’ansia nelle persone a cui stiamo a cuore!”

Tornando a sospirare, il maggiore prese in mano il portaritratti: “Forse hai ragione… ma come si fa a dire di no a una donna così? Quando a Febbraio mi hanno avanzato di grado, ho dovuto anche dirle che mi spedivano quaggiù… e lei mi ha risposto che veniva con me, con due occhi da tapparmi la bocca prima che potessi formulare qualunque obiezione…!”

“È stato quel giorno che hai conosciuto il fratello di Stear?”

Andy scosse la testa: “Il giorno dopo, per essere esatti. I Cornwell ci avevano ospitato per la notte. E capirai che… insomma, sai, per discrezione… quella sera ci eravamo trattenuti da… beh, hai capito, no?”

James annuì e sorrise, complice.

“E allora, l’indomani… sabato mattina… siamo passati dal Mitchell Field, dove pensavo di farmi prestare un trasporto leggero: avevamo deciso di andare a Providence in aereo, per risparmiare tempo.”

“È proprio da te. E allora…?”

“Beh, non c’era nulla di disponibile, così eravamo rassegnati ad affrontare il viaggio in automobile… però, prima di lasciare l’aeroporto, ho voluto mostrare a Flanny il mio apparecchio… e lei, sai come se n’è uscita?”

“Come…?”

“Mi ha chiesto Perché non voliamo via con lui…?” il secondo sbarrò gli occhi “Sì, hai capito bene! Sulle prime non credevo alle mie orecchie, poi ho riflettuto che una ragazza talmente incosciente da mettersi con uno come me, poteva esserlo abbastanza anche per voler fare il viaggio di nozze sopra un caccia! Così, approfittando che a quell’ora l’aeroporto era praticamente deserto, mentre lei se ne stava nell’ombra, ho ordinato a un meccanico di farmi il pieno con la scusa di una prova supplementare. Poi l’ho fatta salire sulle mie ginocchia e…”

“…via verso il blu infinito” esclamò James, con aria ancora leggermente incredula “una bella coppia di romanticoni!”

“Aspetta…” lo interruppe il maggiore, con aria sorniona “…dopo aver fatto un volo turistico su Manhattan e un giro attorno alla Statua della Libertà, ho puntato il muso sul Rhode Island e…” qui si arrestò. Al capitano sembrò che il superiore fosse arrossito leggermente, anche se forse era solo una vaga impressione.

“E…?” insistette.

“Ti sei mai dato da fare con una ragazza, in volo?” gli chiese Greason, tenendo le mani intrecciate sullo stomaco.

Stone rimase qualche secondo a bocca aperta…

“No…” rispose, piatto “…ci ho provato nuotando, una volta… a momenti affogavo!”

“Noi siamo saliti a 10000 piedi… poi lei ha cominciato a baciarmi con sempre maggior foga e allora…”

“Non mi dirai che avete davvero…”

Andy annuì: “Ho appena fatto in tempo a inserire il pilota automatico, prima di sconnettere il cervello… c’è mancato poco che non finissimo la benzina!”[10]

“Incredibile…!” commentò James, sghignazzando “Adesso capisco perché ti sei voluto tenere a tutti i costi proprio quel P-47 che ti avevano assegnato per i collaudi, a New York!”

Il maggiore allargò le braccia: “Tu non pensi che possa portarmi fortuna?”

“Sarò ben lieto di crederlo, amico mio!” rispose l’altro, con un largo sorriso.

Andy sembrò meditare un istante, poi continuò: “Sai, mia madre mi disse una volta che, se amiamo veramente ciò che facciamo e abbiamo cura delle cose che ci servono per farlo, anche loro avranno cura di noi… inoltre amava raccontarmi che i miei primi voli li avevo fatti quando stavo ancora dentro la sua pancia!”

“Addirittura…?!”

“Già… mio padre l’aveva portata su almeno due volte col suo Bebè, quando lei era già incinta!”

“Capisco” commentò James, sempre con fare sornione “e tu credi che questo capiterà anche a suo nipote…?”

Contrariamente a ciò che si aspettava, il superiore volse lo sguardo verso la finestra, guardando il cielo con aria leggermente malinconica: “Mah… chi può dirlo…?”

 

***

Il maggiore non aggiunse altro, ritenendo di essere stato anche troppo indiscreto. Non raccontò quindi al compagno che in quel famoso week-end, una volta atterrati al piccolo aeroporto di Providence ed essersi calmati la fame in un modesto drugstore, lui e Flanny erano finalmente arrivati a casa… ovvero la casa dove lui era cresciuto da bambino, situata proprio a due passi dal mare.

A lei quel posto era piaciuto immensamente, nella sua naturale tranquillità. Andy aveva aperto la porta ed era rimasto in attesa, fin quando la moglie non gli aveva fatto notare una “piccola” formale dimenticanza… al che, il marito era tornato indietro con un guizzo e l’aveva presa fra le braccia, varcando l’ingresso e richiudendo l’uscio con il piede. Poi aveva attraversato l’atrio, il salotto, salito le scale per finire in camera da letto, dove l’aveva adagiata sul medesimo… e lei non gli aveva nemmeno più permesso di rialzarsi, avvinghiandolo con voluttà…!

Quella sì che era stata una notte particolarmente focosa (non che le precedenti fossero state molto da meno…) anche se avevano dovuto recuperare una settimana di astensione abbondante. Ad ogni modo il nostro pilota se la sarebbe ricordata per un pezzo!

“Flanny… se continui così, mi mandi all’ospedale…!” aveva detto, ad un certo punto, per calmare la sposina. Ma era servito a poco…

“Dov’è il problema?” aveva cinguettato lei “All’ospedale ci sono io…!”[11]

***

“Davvero” ripeté il maggiore Greason riposando il portaritratti sul piano dello scrittoio “come si fa a dire di no a una donna così?”

Dopodiché, sbirciando i fascicoli dei debriefing, lasciati poco prima dal tenente Dumfryes, raccattò istintivamente quello riservato alla Terza Squadriglia, comandata dal capitano Vincent “Vinny” Hames.

“Guarda un po’ qua” disse, dopo aver scorso velocemente i fogli “sembra che il nostro amico abbia sfasciato le derive in atterraggio…”

“Te lo dicevo che era un pivello” commentò James, scuotendo la testa “ha fatto troppo poco addestramento, prima di andare in azione!”

“Lo so… inoltre ha meno stoffa del fratello. Ma imparerà!”

“Aggiungi che Sua Signoria volava con un aereo facile… ma il P-38 non è una macchina da dare in mano a un principiante!”

“Il fatto è che, quando ha conseguito l’idoneità e lo hanno spedito qui, c’era proprio la Squadriglia di Vinny da completare, quella che doveva testare operativamente i Lightning.

“Speriamo bene! Non oso pensare a cosa succederebbe se anche lui…”

“Piantala…!! Me lo ripeto anche troppo da solo! Del resto, se quello ha deciso di seguire le orme del fratello, io - proprio io - come glielo potevo impedire? Inoltre non ne ho saputo nulla fin quando non lo hanno assegnato al nostro Gruppo!”

“Lo so, ma potevi…”

“Cosa? Convincerlo a ritirarsi perché, se ci avesse rimesso la buccia, sua moglie sarebbe morta di crepacuore? Oppure dire a Washington che non volevo il sottotenente Archibald Cornwell Andrew nel mio reparto, perché la sua presenza mi metteva in una posizione pessima con la collega di mia moglie?”

James accusò il colpo e ammutolì, tenendo le mani in tasca e fissandosi la punta delle scarpe. Poi rivolse all’amico uno sguardo obliquo: “Certo che, quella famiglia che porta stranamente il tuo stesso nome di battesimo, ti sta dando parecchio da fare, eh?”

“Me ne sono accorto…!” bofonchiò il comandante versandosi un bicchiere dalla bottiglia di Scotch che James aveva lasciato sul tavolo “Ne vuoi anche tu?”

“No, grazie… ci ho già dato dentro abbastanza, per oggi!”

“Allora è il mio turno…!” ribatté il superiore, vuotando il whisky tutto d’un fiato.

Stone restò a guardarlo in silenzio, sapendo bene quello che stava provando. Loro due erano come fratelli e c’erano ben poche cose che il maggiore non gli confidasse. Pur avendo fatto più carriera, Andy teneva in grande considerazione la superiore maturità di James e non mancava di chiedergli spesso consigli, anche per questioni “non militari”. Perciò il capitano era perfettamente al corrente dei problemi che il suo comandante aveva avuto con quella bionda e “quasi omonima” infermiera, che adesso lavorava insieme a sua moglie nello stesso ospedale di Norwich.

Cercò di tirarlo un po’ su: “Non te la prendere, comandante! Dopotutto, gli Andrew richiamabili sono finiti, no…?”

Andy, che stava centellinando il suo bicchiere, all’ultima frase del collega alzò un sopracciglio, guardandolo di sbieco.

“Me lo auguro proprio!” rispose, infine, prima di bere un altro sorso.

***

Qualche settimana addietro (Giugno 1942)…

“Manca ancora molto?” chiese il capitano Vincent Hames.

“Non direi” rispose il suo collega Stone “la torre ha contattato il C-47 dieci minuti fa. Atterreranno da un momento all’altro.”

“Fremi d’impazienza, eh, Vinny?” gli disse il capitano Victor Sanders “Non vedi l’ora di dare una bella strigliata alle tue burbe, dì la verità…!”

“Ma figurati… quei poveri pulcini saranno stremati, dopo il volo da Terranova.”

“Beh, hanno sempre fatto una tappa a Belfast, no?”

“Capirai… giusto il tempo di pisciare. Quando siamo arrivati noi, quaggiù, avevo la schiena in frantumi!”

“Beh, l’importante è che il nostro Gruppo sarà finalmente al completo” aggiunse il tenente Roy Master “Cribbio, non vedo l’ora di suonarle per bene, a quei dannati crucchi!”

“Come mai tutta questa fretta? Non ti sono bastate le botte che hai preso dai musi gialli?” lo motteggiò il suo compare più anziano.

“Senti, nonno… ti rammento che in Cina ne ho sbattuti giù almeno sette, se non ti dispiace!”

“Alle Hawaii, però, hanno sbattuto giù te…!” lo punzecchiò ancora il comandante della completanda Terza Squadriglia.

“Pura sfortuna…!” grugnì seccato il tenente.

“Eccoli che arrivano…!” annunciò il capitano Stone, puntando il braccio nella direzione di provenienza di un crescente rombo in lontananza.

Di lì a poco la massiccia mole di un Douglas Skytrain sorvolò il circuito d’atterraggio della base di Rickenbacker Field.[12]

“Dove diavolo si è ficcato il maggiore?” chiese Hames a Stone, mentre il velivolo virava per l’atterraggio.

“Si è trattenuto in ufficio con Dumfryes… ah, eccoli: stanno arrivando ora!”

Il comandante del 444° Gruppo raggiunse i suoi capi-squadriglia, seguito dal responsabile dell’Intelligence.

“Salve a tutti!” disse, con aria non propriamente allegra.

“Buongiorno a lei, maggiore!” rispose Sanders.

“Che hai, Andy?” gli chiese James “Oggi dovrebbe essere un giorno felice!”

“Dici?” ribatté il comandante, piegando un labbro con aria sarcastica.

“Beh, diavolo… i nostri colleghi della Marina hanno sbaragliato i musi gialli a Midway,[13] ci hanno mandato i complementi per la Squadriglia di Hames e non sei contento?”

“Lo sarei più che volentieri, se non avessi saputo che nessuno di loro ha nemmeno uno straccio di missione operativa all’attivo! Tutti polli novelli, dal primo all’ultimo” posò una mano sulla spalla del capitano Hames “ti aspetta un lavoraccio, Vinc!”

“Farò del mio meglio, signore!” rispose il comandante di squadriglia, abbozzando anche lui un sorriso stiracchiato.

“È chiaro che tutti i piloti da caccia con un minimo d’esperienza sono rimasti in Estremo Oriente.” osservò Stone.

“Ci puoi giurare” confermò Andy Greason “quel brigante di Kenney se li è tenuti tutti per sé… non posso biasimarlo, dopotutto, ma devo dire che il soprannome di Bucaniere Volante gli calza a pennello!”[14]

“Coraggio, Andy” lo confortò il fedele Stone “dopotutto quelli di Vinc voleranno sui nuovi Lightning. Li abbiamo provati anche noi due e devo dire che sono dei veri gioielli!”[15]

“Mi auguro solo che ci abbiano fatto una certa pratica, prima di venire qui, altrimenti saranno dolori!”

“Via, capo” saltò su Master “cerchi di pensare in positivo: non siamo forse i Terrori della Luftwaffe?”

“Non ancora, Roy… e temo che dovremo farci un discreto sedere, per diventarlo!”

“Ma lo diventeremo” ribadì il tenente John Maxim, rimasto zitto fino ad allora “e allora quei maledetti nazi abbasseranno la cresta alla svelta!”

“Speriamo!” replicò James, tornando poi a guardare il maggiore. Questi manteneva la sua aria tirata, che andava ben al di là della semplice preoccupazione di dover “svezzare” qualche “pilotino d’aria dolce”!

“Oggi mi sembri più teso del solito, comandante… non è da te!”

“Non farci caso, Jim… ho solo come un brutto presentimento.”

“Di che genere…?”

“Del genere fatalistico, credo!”

Il capitano Stone gli lanciò uno sguardo profondamente incredulo: “Tu che ti metti a credere al destino?! Ma dai…!”

Andy non replicò, limitandosi a osservare il trasporto che si era già posato sulla pista e rullava lentamente verso di loro. Finalmente si arrestò e due avieri si affrettarono a posizionare la scaletta davanti all’apertura posteriore, dopo averla spalancata. Pochi istanti più tardi sei aviatori, di diversa età e fisionomia, uscirono dal C-47 e si fermarono sul piazzale, come incerti sul da farsi.

I “padroni di casa”, preceduti dal maggiore Greason con accanto il capitano Hames, si avvicinarono rapidamente ai nuovi venuti, i quali, alla vista dei superiori, si affrettarono a salutare e a mettersi sull’attenti.

“Riposo, signori” si affrettò a dir loro Andy “vi do il mio benvenuto a Norfolk! Siamo felici di avervi finalmente qui con noi e speriamo che il vostro viaggio sia stato piacevole. Io sono il maggiore Andrew Steve Greason, comandante del 444° Gruppo Caccia e questi sono il capitano Vincent Hames, che sarà il vostro comandante di squadriglia e il tenente Samuel Harris, che comanderà la Seconda Pattuglia… vi lascio dunque nelle loro ottime mani affinché vi scortino ai vostri alloggiamenti. Fra un paio d’ore, quando vi sarete rassettati e rifocillati, vi attenderò in sala riunioni per raccontarvi il programma del vostro soggiorno nella vecchia Inghilterra… ci vediamo più tardi!”

“Grazie, signor maggiore… a più tardi!” rispose per tutti il tenente Thomas Mc Guire, il più anziano dei nuovi arrivati.[16]

“Venite, ragazzi!” intervenne il capitano Hames, facendo loro cenno di seguirlo, unitamente al tenente Dumfryes.

Mentre il gruppetto rompeva le righe, Andy ebbe modo di vedere meglio un sottotenente dai capelli castano chiari, regolarmente tagliati corti alla militare. Durante il suo breve discorso, costui si era tenuto in seconda fila, ma adesso il maggiore ebbe la netta sensazione di averlo già veduto almeno una volta. Oltretutto, la sua fisionomia gli rammentava curiosamente qualcuno in particolare…

“Non può essere…!” sussurrò, sbiancando in volto.

“Che ti succede?” gli chiese James, vedendolo sussultare.

“Hai visto quel tenentino?” replicò l’altro, indicandolo con discrezione.

“Chi, quello che cammina vicino a Dumfryes?”

“Sì… non ti ricorda qualcuno?”

“Mah… non saprei. Non l’ho visto bene in faccia.”

“Io sì, invece… vieni con me!”

Senza por tempo in mezzo il comandante del reparto si affrettò verso il quartier generale con un passo talmente spedito che il capitano faticava a tenergli dietro. Entrati nella palazzina il maggiore fece i gradini delle scale a quattro a quattro e si precipitò nel loro ufficio, dove si affrettò ad aprire e a richiudere nervosamente i cassetti della sua scrivania.

“Dove diavolo è finita la lista dei complementi della Terza Squadriglia?!”

“Credo sia nello schedario. Si può sapere che diavolo ti prende…?”

Senza rispondergli Andy si voltò verso un armadietto metallico, del quale aprì il terzo cassetto partendo dal basso. Frugò velocemente in mezzo alle cartelle e ne estrasse un modulo ciclostilato. Dopo essersi seduto e aver respirato una capace boccata d’aria, vi gettò sopra gli occhi.

Dopo un paio di secondi il buon James vide l’amico mollare il foglio, coprirsi la faccia con una mano e battere fortemente il pugno sul tavolo con quell’altra.

“Insomma, Andy, me lo dici cos’hai, in corpo?! O hai deciso davvero di farmi marcar visita per esaurimento nervoso?” sbottò.

Il maggiore scostò le dita dagli occhi, fissando lentamente la faccia del suo vice: “Guarda i nomi…!” mormorò.

Il capitano raccolse il documento e scorse la lista: “…Daleeny, Dickerson, Mc Guire, Oaxley, Sturdy…” si accorse di aver saltato per la fretta il primo nominativo e tornò indietro “…oh, Cristo!!”

Rialzò la testa e tornò a guardare silenziosamente il suo capo, che l’osservava scuro in volto, tenendo le mani intrecciate a sostenere il mento: “Potrebbe trattarsi semplicemente di un omonimo!” disse, cautamente, senza troppa convinzione.

“Potrebbe… se non assomigliasse troppo a Sua Signoria…!”

“Ma… ne sei sicuro? È passato del tempo, potresti sbagliarti.”

“Temo di no. E il buffo è che io, pur avendolo incontrato di persona, con tutte le cose che ho per la testa non l’avrei mai riconosciuto, se avesse mantenuto quella ridicola capigliatura da dandy… invece, il taglio regolamentare, che portava naturalmente anche il fratello, lo ha tradito!”

“Capisco… un vero guaio!” commentò a bassa voce il capitano, fortemente impensierito dai problematici risvolti di quella faccenda.

“Ma come cazzo ho fatto a non accorgermene, quando Dumfryes mi ha messo l’altro giorno la lista in mano?!” esclamò il maggiore appoggiando di nuovo il capo sulla fronte.

“Lo hai detto prima: hai troppe cose per la testa!”

“Maledizione…!” imprecò Andy alzandosi e andando ad aprire uno stipetto, da dove trasse una bottiglia di Rye.[17] Versò due dita di liquore nel bicchiere e le mandò giù tutte d’un fiato.

“Lo sapevo che non ero adatto ad assumere questo incarico: facevo fatica a gestire una Squadriglia, figurati un Gruppo…!”

“Non raccontarti balle, Andy: avevi l’entusiasmo alle stelle, fino a mezz’ora fa!”

“Mezz’ora fa ignoravo ancora cosa mi sarebbe ripiombato addosso. Ti rendi conto di come mi troverò, se anche quel ragazzo tornerà a casa in una bara?”

“Ora finiscila di sentirti responsabile per ogni cosa: quel tizio è maggiorenne e vaccinato e non l’hai certo convinto tu ad arruolarsi! Inoltre volerà con Hames, non direttamente sotto di te. Ammesso e non concesso che debba per forza succedergli qualcosa, sarà solo una conseguenza della sua libera scelta.”

“Che bel discorso… spero che ci verrai tu a farlo, davanti alla collega di mia moglie… e alla sua amica d’infanzia, soprattutto!”

“Ma andiamo…! Candy White Andrew l’ho conosciuta anch’io e mi sembra una donna molto in gamba e ragionevole.”

“Non sono mai stato granché abile a ragionare con una donna…!”

“È per questo che ti si sposato?” gli domandò allora James, ridendo.

“Come sarebbe a dire…?!”

“Che il matrimonio annulla la necessità di farlo… come diceva William Shakespeare, la moglie del generale è il generale del generale!”[18]

Andy lo guardò abbastanza storto: “Va bene, me ne ricorderò quando farò carriera” grugnì “adesso, se non ti dispiace, vai ad aiutare Vinc a preparare la riunione con i nuovi acquisti.”

“Agli ordini, signore!” replicò Stone, battendo teutonicamente i tacchi.

Uscito che fu il capitano, Andy, prima di riporre la bottiglia nello stipetto, si versò ancora due dita di Rye… poi si riaccomodò in poltrona, osservando di sottecchi la foto della sua dolce metà.

Il generale del generale...!” esclamò, prima di vuotare il bicchiere “Bah… a dir la verità, non sono mai stato un grande appassionato di Shakespeare…!”

 

 



[1] La regione a Nord-Est di Londra che forma quel vistoso promontorio arrotondato, proprio di fronte alle coste olandesi.

[2] Gli addetti alla radio (in onore di Guglielmo Marconi).

[3] Le cosiddette “combinazioni di volo” erano riscaldate tramite il principio delle termocoperte. Si tenga presente che alle quote operative dei caccia intercettori la temperatura esterna poteva scendere fino a 50 gradi sotto lo zero! 

[4] Le Croce Balcanica (Balkankreuz) da non confondere con quella uncinata (originaria dell’Asia Minore e adottata come simbolo dal partito nazista) era la stilizzazione della croce imperiale germanica presente sui mezzi militari fin dalla Prima Guerra Mondiale e tornata nuovamente in vigore alla fine della Seconda su quelli della Bundswher (l’Esercito Federale Tedesco) e dell’attuale Luftwaffe.

[5] I trim erano i correttori delle superfici di governo, costituiti da un’aletta supplementare presente sugli alettoni, i timoni di direzione e quelli di profondità, che avevano il compito di migliorare la risposta sollecitata dai comandi principali (barra e pedaliera). La coppia torcente era la tendenza dell’aereo monomotore ad avvitarsi su sé stesso in senso opposto a quello di rotazione dell’elica, effetto che occorreva contrastare con opportuni contrappesi e, in caso di bisogno, anche con l’utilizzo dei trim.

[6] Come si sa, l’aquila dalla testa bianca è il simbolo nazionale degli Stati Uniti d’America.

[7] Pare che ciò fosse anche dipeso da influenze interne al suo ambiente lavorativo.

[8] La contraerea tedesca (da Flugränge Abwehr Kanone).

[9] Il comandante dell’Ottava Forza Aerea (vedi capitolo 8).

[10] Che tanto pagavano i contribuenti…

[11] Mica male, come topica!

[12] In onore del capitano Eddie Rickenbacker, primo asso americano durante la Prima Guerra Mondiale.

[13] Pochi giorni prima, dal 4 al 6 Giugno 1942, si era combattuta la seconda e più importante battaglia aeronavale della Storia, durante la quale le squadriglie delle portaerei Yorktown, Enterprise e Hornet avevano sconfitto duramente la squadra nipponica dell’Ammiraglio Nagumo, affondando le portaerei Akagi, Kaga, Soryu e Hiryu. L’avvenimento aveva segnato il giro di boa nella guerra del Pacifico.

[14] Il generale George Kenney, comandante della Quinta Air Force, basata prima in Australia e poi in Nuova Guinea, i cui aviatori si fregiavano appunto dell’appellativo di Flying Buccaners.

[15] Non per nulla i tedeschi li chiamavano Der Gabelschwanz Teufel (i diavoli dalla coda biforcuta)!

[16] Nella realtà Thomas Mc Guire è stato il secondo in graduatoria fra i “veri” assi americani durante la Seconda Guerra Mondiale, con 38 abbattimenti di aerei giapponesi (il primo è stato Richard Bong, con 40).

[17] Il Rye è il whisky del Tennessee, mentre il Bourbon è quello del Kentucky… che sbevazzoni, questi piloti! Andy, comunque, beve soltanto quando è un po’ nervoso… e, quando c’è Flanny, è tranquillissimo.

[18] Ed ecco spiegato perché, nella storia originale, il miglior interprete del grande drammaturgo decide di rimanere scapolo!

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Capitolo 11
*** Cosa fatta capo avrà ***


Capitolo 9: Chi non muore si rivede

Capitolo 11: Cosa fatta capo avrà

 

UCPFH 11

 

 

“A

llacci, la cintura, colonnello: stiamo atterrando!” si fece udire la voce del pilota dalla sovrastante cabina di pilotaggio. Il baldo trentaseienne ufficiale si stiracchiò le membra con voluttà, prima di riporre nella sacca da viaggio il volume Life and Death of Julius Caesar, di William Shakespeare. Non che amasse particolarmente quel genere di letteratura “impegnata”, ma sapeva che trascorrere ore e ore sopra un apparecchio senza neppure impugnare la cloche lo riempiva di tensione per tutto il corpo, a meno che non si tenesse occupato con qualcos’altro. Purtroppo il C-63 Hudson[1] che lo stava trasportando non era a doppio comando e la dignità degli ormai “troppo” alti gradi che ornavano le sue spalline lo frenava dal pretendere che il tenente Samuel Dillinger, comandante ufficiale del velivolo, gli cedesse eccentricamente il posto.

Così, dopo aver memorizzato tutti i documenti che s’era portato appresso, non aveva trovato di meglio che “svagarsi” con quel libro, simpaticamente regalatogli dal compagno della sua “migliore amica acquisita”[2] in occasione del suo ultimo compleanno. Quel gesto, a onor del vero, aveva anche voluto essere una sorta di “riappacificazione” per il trascorso “malinteso” durante il primo incontro fra il miglior cacciatore dell’USAAF ed il miglior attore di teatro del momento. Al ricordo, il nostro asso si massaggiò nervosamente la mascella…

*Quel tizio ha sbagliato carriera… il pugile doveva fare!* pensò.

E meno male che nemmeno il marito di Flanny Hamilton era del tutto all’oscuro dei segreti della “nobile arte”, perché altrimenti il suo stato di servizio avrebbe potuto subire un’interruzione decisamente prolungata. Se l’era cavata invece con una giornata in osservazione, per altro in buona compagnia dell’individuo con il quale aveva avuto quell’energico scambio di opinioni. Dopotutto, quel periodo trascorso sul ring durante il terzo anno di West Point era servito a qualcosa!

 

***

Soffocando uno sbadiglio il colonnello Greason discese la scaletta che un aviere della base aveva sistemato celermente in corrispondenza del portello d’uscita. Una jeep si avvicinò al trasporto appena atterrato e un giovane ufficiale che sedeva accanto all’autiere si affrettò a presentarsi salutando militarmente: “Sono il tenente Robinett, colonnello. Benvenuto a Liberal!”

“Grazie, tenente… riposo. Sono qui per vedere il generale Walker.”

“Si accomodi, signore: ce la porto subito.”     

“Grazie!” rispose Andy prendendo posto nel sedile posteriore della vettura.

Mentre stavano procedendo verso la palazzina del comando, un rombo di motori fece alzare la testa al passeggero, che si vide sorvolare da un addestratore Cessna AT-17 in fase finale d’atterraggio, col motore destro fuori uso. Per quanto il passaggio fosse stato rapido, l’asso notò che l’elica interessata non era in bandiera[3] e le sue pale contorte si trascinavano dietro le frasche di una pianta, imitate dal carrello sottostante…

“Sembra che quel tizio abbia qualche problema…!” commentò il nostro amico.

“Spiacente, signore” si scusò Robinett “ma la strada più corta passa proprio sotto al circuito della scuola!”

“Le pare, tenente? Con quanto è preziosa la benzina!” ribatté sorridendo Greason, per poi girarsi all’indietro per osservare la manovra finale di quell’allievo. Trainato dal solo motore sinistro, il velivolo si mantenne però abbastanza equilibrato, grazie all’azione degli alettoni e dei flaps. Facendo prima toccare la ruota di destra e poi quella di sinistra, danneggiata, il pilota rullò tranquillamente verso il parcheggio, mentre altre frasche che avvolgevano i piani di coda frusciavano allegramente.

“Non sapevo che qui s’impartissero anche lezioni di giardinaggio!” motteggiò il colonnello.

“Dev’essere quel cadetto di Chicago” disse ancora Robinett “avrà violato di nuovo la quota minima di volo… quello schizzato finirà per farsi cacciare!”

“Capisco!” commentò Andy finendo di osservare l’atterraggio *Possiede una mano discreta, però…!*

La jeep si arrestò finalmente davanti al comando della base e Robinett accompagnò il superiore nell’anticamera dell’ufficio del comandante.

“Solo un attimo, signore: vedo se il generale può riceverla.”

“Bene!”

Il tenente bussò alla porta dell’ufficio e, non ricevendo risposta, l’aprì discretamente. Quasi subito si poté sentire una voce potente che stava parlando al telefono…

“Certo che mi rendo conto, Henry… ma se potessi sbatterlo fuori, credi che non l’avrei già fatto?! Ti ricordi chi sono i suoi parenti? A parte che, senza la loro quota per il Prestito di Guerra, fabbricheremmo la metà degli aerei che ci servono, quelli sarebbero capaci di metterci contro mezzo Senato…”

Accortosi d’un tratto della presenza dell’aiutante, l’uomo tappò il microfono con la mano e chiese, piuttosto nervoso: “Cosa c’è, Robinett…?”

“Il colonnello Greason è qui, signore!”

L’altro fece cenno di far entrare l’ospite e, mentre quest’ultimo varcava l’ingresso, il brigadier-generale Elliot Walker, direttore della scuola di volo avanzato di Liberal, nello Stato del Kansas, concluse la sua conversazione: “E non venirmi a parlare di incidenti fortuiti…!! Sei pazzo o ti fa ombra la mia carriera?! Senti, credo che la cosa migliore sia di fargli superare il corso. Poi, semmai, ci penserà il nemico a levarcelo dalle balle… sì, ci sentiamo.”

Soffiando, il comandante sbatté violentemente la cornetta sul telefono, facendo volare qualche scheggia di bachelite. Poi alzò lo sguardo sul nuovo arrivato, che lo stava salutando impeccabilmente: “Si accomodi, colonnello!”

“Grazie, signore!” rispose Greason, sedendosi.

“Com’è andato il viaggio fin qui?”

“Piuttosto noioso, se me lo consente.”

“La capisco” il superiore si sforzò di sorridere “non è proprio da lei fare il passeggero su un aereo da trasporto, eh?”

“Cosa vuole, generale… in effetti sono molto più a mio agio quando siedo ai comandi. Non che non mi fidi dei miei colleghi, ci mancherebbe. Tuttavia…”

“Lei assomiglia molto a suo padre, sa?” lo interruppe Walker volgendo il capo verso una fotografia che lo ritraeva assieme ad un commilitone su un campo di volo del 1918 “eravamo insieme nella Lafayette[4]… e spesso lo vedevo cupo e pensieroso. Ma, una volta che s’infilava nell’abitacolo del suo Bebè,[5] diventava un altro. A proposito, come sta…?”

“Abbastanza bene, grazie!”

“Spero abbia fatto in tempo a passare da casa, mentre veniva qui.”

“Purtroppo no… ma conto di farlo nel tornare in Inghilterra.”

“Sua moglie è ancora là?”

“Sì, esercita sempre al St.Julian Hospital, presso Norwich.”

“E lei come ha fatto, in tutto questo periodo, a non farsi seguire anche nel Mediterraneo?” insistette il generale, mostrando un certo divertito interesse.

“Beh, ho cercato di convincerla che sarebbe stata più utile dov’era, dato che si tratta del centro più importante per l’assistenza medica al personale dell’Ottava” si compiacque di rispondere il marito di Flanny “non sarebbe servito a niente parlarle delle mosche, della sabbia e delle incursioni nemiche sulle retrovie… ma le assicuro che è stata dura!”

“Me lo immagino” annuì bonario il generale “ma per fortuna ce l’ha fatta…”

“Già… ma non da solo” l’asso si slacciò il bottone di una delle tasche pettorali della giacca ed estrasse una foto che porse fieramente al generale “per dirla tutta, mi ha dato una mano lui…!”

Elliot Walker poté osservare l’immagine di una Flanny felicemente spossata, seduta dentro un letto d’ospedale, mentre reggeva nelle braccia un fagottino contenente un marmocchio placidamente addormentato. Ai lati del suo capezzale, un’infermiera bionda coi codini e un’altra con la chioma castana[6] se lo divoravano cogli occhi…

“Beh… congratulazioni, Greason” esclamò allora il generale col migliore dei suoi sorrisi “e quand’è avvenuto l’atterraggio?”

“Ho ricevuto il telegramma a Comiso, il 10 Settembre… subito dopo il rientro da una nostra sortita in appoggio all’Operazione Avalanche.[7]

“Per cui, facendo una botta di conti” continuò Walker, sornione, grattandosi il mento “il fattaccio sarebbe avvenuto giusto giusto poco prima che venisse formato il suo Distaccamento[8] e lo spedissero in Algeria… ci ho azzeccato?”

Andy Greason arrossì sembrando accusare il colpo, ma poi ritrovò subito la sua ferrea dignità: “Con tutto il rispetto, signore, non vorrà accusarmi di avere messo incinta mia moglie con l’unico scopo d’inchiodarla sul suolo britannico, vero?!”

“Mai parlato di un unico scopo” ribatté maliziosamente l’altro, rendendogli la fotografia “come si chiama il nuovo campione?”

“Si chiama Paul” al neo-papà passò un velo di commozione sugli occhi “e ho potuto conoscerlo soltanto a fine Novembre, quando siamo ritornati a Norwich. Maledetto il mestiere…!”

“E maledetta la guerra… a proposito, com’era in Sicilia?”

“Caldo… in tutti i sensi!”

Il generale sospirò: “Temo che presto farà altrettanto caldo in Nord Europa… anche se non in senso meteorologico!”

Greason annuì prontamente: “Sì, signore. È appunto per questo che mi trovo qui.”

“Lo so… Washington mi ha informato sulla prossima costituzione della nuova Forza Aerea Tattica che opererà principalmente sulla Francia occupata. Devo congratularmi anche per questo, colonnello: spiccheranno presto le stellette, sulle sue spalline!”

A quelle parole, Andy non seppe trattenere un moto di nervosismo: “Pare proprio di sì… mi auguro che al Pentagono sappiano ciò che fanno!”

Walker sorrise ancora, compiaciuto: “Hap Arnold non è uno stupido, amico mio… e se Spaatz ha indicato lei per questo ruolo, significa che non c’è nessuno di più adatto. Del resto, dal giorno in cui le affidarono la prima squadriglia, ha sempre tirato fuori il meglio dai suoi uomini.”

Greason si lisciò i capelli, distogliendo con modestia lo sguardo: “Fortunatamente ho sempre potuto godere della loro fiducia.”

“Forse guadagnato sarebbe il termine più esatto… ad ogni modo, cosa posso fare per lei?”

Il colonnello raddrizzò le spalle: “Ecco… stiamo racimolando il personale di volo per il nuovo gruppo da bombardamento pesante. Dobbiamo completare l’ultimo equipaggio, ma ci manca ancora il pilota. Non ne avrebbe uno pronto da cedermi?”

Il brigadiere Walker scosse la testa, dopo aver velocemente smanacciato fra le sue scartoffie: “Temo di non poterla aiutare… tutti i migliori elementi usciti dall’ultimo corso sono già stati assegnati ai reparti dell’Ottava e della Quindicesima. Rimangono solo piloti di seconda scelta, che verranno destinati ad unità ausiliarie… quelli non scartati, naturalmente.”

“Capisco” rispose Andy, visibilmente deluso “potrei vedere ugualmente quella lista?”

“Ma certo” rispose il superiore, passandogliela “però sarà difficile che possa trovare qualcuno che faccia per lei.”

“Non si può mai dire…!” mormorò l’asso, scorrendo il foglio con attenzione.

In effetti non c’era molta trippa per gatti. Accanto ai nomi di tutti gli ufficiali piloti non respinti (che avrebbero svolto incarichi a terra, quando non fossero stati trasferiti alle unità dell’Esercito) c’erano già le rispettive destinazioni… a parte uno, sul quale il nostro eroe spalancò gli occhi, dopo aver frugato nella memoria.

“E questo…?” chiese, alzando il foglio davanti a Walker, con l’indice destro su un nome che, pur non risultando fra gli scartati, aveva ancora l’assegnazione in bianco.

Il generale fece un gesto di disprezzo: “La classica mela marcia da buttare nella spazzatura. Sto appunto cercando un sistema indolore per liberarmene…!”

“È quello di cui parlava al telefono quando sono entrato?”

Walker annuì con un ghignò, compiacendosi dell’acutezza del futuro parigrado: “Centrato, Andy: la sua mira è sempre all’altezza della fama!”

“Però non dev’essere proprio da buttare, visto che non l’avete scartato.”

“Per essere giusti, tecnicamente non lo sarebbe” dovette convenire il superiore, allargando le braccia “ma come disciplina è un vero disastro. Per non parlare dei requisiti morali: scarsissimo rispetto per i superiori, non un briciolo di patriottismo, non…”

“Vediamo se ci azzecco un’altra volta… si tratta per caso di quel fenomeno atterrato prima con un motore solo, dopo aver fatto provvista di verdura?”

“Sì, maledizione” ammise il generale, appoggiando il capo sul pugno chiuso “mi stavo giusto dimenticando della sua effimera considerazione per le norme di sicurezza!”

Dopo essere rimasto qualche istante a rileggere le generalità del soggetto in questione, Andy confessò pacatamente “Beh, se devo essere sincero… anch’io, da pivello, ho commesso qualche stupidaggine… ed è grazie a una di queste se ora sono felicemente sposato!”

“Erano altri tempi, Greason” obiettò severamente il superiore “ora stiamo combattendo una guerra mondiale e non possiamo più permetterci di tollerare certi atteggiamenti da scapestrati…!”

“Non lo discuto, signore” convenne il nostro amico, alzando le spalle “ma allora non capisco proprio che ci faccia ancora qui!”

“E invece dovrebbe comprenderlo, se ha sentito cosa dicevo all’apparecchio…!”

“Sì, in effetti ho sentito…” si batté le mani sulle cosce “…bene. Col suo permesso, ora dovrei proprio andare.”

Il comandante della Scuola di Volo avanzato di Liberal si alzò, imitato da Andy, che strinse calorosamente la mano portagli dal generale: “È stato un piacere conoscerla di persona, Andy… mi rallegro ancora per la sua futura promozione e auspico il miglior successo alla sua nuova Forza Aerea. Ah, dimenticavo: i miei più sentiti omaggi per la sua signora e i miei migliori auguri al nuovo venuto!”

“Troppo gentile, signore… posso approfittarne per chiederle un ultima cortesia?”

“Con piacere. Mi dica…”

“Vorrei che mi facesse assegnare quel pilota.”

Il generale strabuzzò gli occhi: “Quello scriteriato? Ma vuole scherzare…?!”

“No, signore. Vede, forse le sembrerò precipitoso, ma credo che possa fare al caso mio.”

“Ma non ha sentito che cosa le ho detto? Le sue note caratteriali sono pessime: come potrebbe affidargli altri uomini?”

“Beh, naturalmente bisognerà trovargli i compagni di volo più adatti… poi dovremo smussargli un po’ il carattere, ma credo di poterci riuscire. E poi, come le dicevo, sto cercando gli elementi giusti per completare i miei organici e mi manca appunto ancora un pilota.”

“E vuole Legan?! Lasci perdere, Greason: le creerà soltanto dei grattacapi!” obiettò ancora il generale, fissandolo con paternale preoccupazione.

“Saprò risolverli, signore e ne farò un buon comandante. Dopotutto la stoffa ce l’ha: saper atterrare senza conseguenze gravi con un aereo danneggiato è una requisito fondamentale per un pilota di bombardieri.”

Tentennando ancora il capo, il superiore radunò lentamente le sue carte e commentò: “Posso dirle una cosa? Per me, lei è matto…!”

“Può darsi, generale… tuttavia, quel tizio mi serve, se proprio non può darmi di meglio. Posso averlo oppure no?”

Al tono risoluto del suo interlocutore, Elliot Walker rialzò il viso squadrandolo ben bene mentre attendeva sull’attenti, con le mani dietro la schiena. Alla fine si rassegnò: “Ah… sì, sì… contento lei…!”

Riprese in mano il modulo e, accanto alla riga con la scritta Legan Neal, tenente aggiunse, nella colonna accanto: 22nd Bomb. Group, 1st Str. Wing, 10th AAF.[9] Poi firmò in calce il documento, vi appose il suo timbro e lo mostrò al suo ospite: “Soddisfatto?”

“Affermativo, generale. Le sono grato!”

“Non c’è di che…!” ribatté il superiore risedendo e appoggiandosi allo schienale della poltrona, con le mani intrecciate sulla pancia. Nonostante tutto, non poteva non assaporare la piacevole sensazione di pesare trenta libbre di meno.[10]

“Allora, arrivederci, signore!” concluse il colonnello Greason, salutando militarmente.

“Arrivederci… e buona fortuna!” replicò Walker, restituendo il saluto. Poi, come l’aquila americana raggiunse la porta, ebbe un ultimo scrupolino di coscienza: “Andy…”

“Sì, signore…?”

“É proprio sicuro di quello che fa?”

Dopo quello che parve un momento di sincera riflessione, l’asso degli assi dell’USAAF gli diede una risposta molto sincera: “No, signore. Arrivederci…!”

 

 



[1] Versione militare del Lockeed 14 Super Electra, aereo passeggeri bimotore da 15 posti.

[2] Ogniqualvolta l’apostrofava in quel modo alla presenza della moglie, quest’ultima - non si sa perché - storgeva impercettibilmente la bocca!

[3] Cioè con le pale rivolte lungo l’asse longitudinale dell’aereo, in modo da non opporre resistenza all’aria nel caso di un arresto del motore.

[4] Allude alla Squadriglia Lafayette, formata dai volontari americani dell’Air Service (l’aviazione statunitense dell’epoca) che appoggiavano le forze dell’AEF del generale John C. Pershing sul fronte francese della Grande Guerra.

[5] Nomignolo del caccia francese Neuport 17.

[6] Si tratta sempre di Natalie Venc, la sua perenne compagna di avventure.

[7] Lo sbarco di Salerno da parte della Quinta Armata del generale Mark. W. Clark, avvenuto il giorno precedente, subito dopo la rivelazione dell’armistizio con l’Italia, firmato 5 giorni prima a Cassibile.

[8] Il Greason Detachment era stato creato nel Gennaio 1943, subito dopo il disastro di Kasserine, aggregando al 444° Gruppo Caccia di stanza in Gran Bretagna (v. capitolo 10) un gruppo di aerei d’assalto e uno di bombardieri medi. In quell’occasione, Andy Greason era stato promosso tenente-colonnello.

[9] 22° Gruppo Bombardieri, 1° Stormo Strategico, 10a Forza Aerea dell’Esercito.

[10] Circa 13 chili e mezzo.

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Capitolo 12
*** Sorprese di guerra ***


Capitolo 9: Chi non muore si rivede

Capitolo 12: Sorprese di Guerra

 

UCPFH 12

 

 

“C

e ne hai messo, di tempo!” disse un’infermiera bruna a una collega bionda che stava scendendo le scale verso l’atrio dell’ospedale St.Mary, di Newhaven.[1]

“Hai ragione, scusami… avevo dimenticato i referti sul tavolo e sono tornata indietro per consegnarli al dottor Waxman.”

“La signorina sbadatella non si smentisce, eh...?”

“Dai, ti prego…!” la bionda arrossì vistosamente.

Tempo addietro la compagna le avrebbe rivolto uno sguardo severo; stavolta le mostrò invece un affettuoso sorriso e le mise una mano sulla spalla mentre l’accompagnava fuori. Le due ragazze avevano percorso pochi passi sul marciapiede, quando avvertirono un rauco suono di claxon; non fecero in tempo a voltarsi che una jeep dell’esercito si fermò bruscamente vicino a loro.

“Tutte sole, bamboline?” domandò un ufficiale americano d’aviazione che indossava due occhiali da sole sotto il berretto d’ordinanza.

La bionda lo squadrò con sufficienza: “Meglio sole che male accompagnate, ragazzo!” gli rispose poi in tono asciutto.

“Verissimo, pupa” la rimbeccò lo yankee sfoderando un sorriso abbagliante “ma scarrozzate è ancora meglio che appiedate. Dai, saltate su…”

“Sta’ a sentire, pappagallo” sbottò la mora sferzando l’aria con la coda di cavallo “vedi d’ingranare subito la marcia di quel trabiccolo, se non vuoi ritrovarti gli attributi nel palato! Rendo l’idea?”

“Ma Flanny” esclamò scandalizzata la sua amica, col grazioso faccino diventato rubicondo. Ancora non poteva abituarsi a quello slang da periferia (certamente acquisito in famiglia) che la collega sapeva sfoderare nelle occasioni strettamente indispensabili “ti sembrano cose da dire?!”

“A certi individui sì!” confermò la prima, con le mani sui fianchi, per poi tornare all’importuno che la fissava beffardo colle braccia appoggiate sul volante “Sei ancora qui, cocco? Ti avverto che porto sempre un bisturi, nella borsetta!”

L’altro non si scompose: “E da quando? Credevo lo tenessi nella giarrettiera.”

La donna impallidì, sgranando i bellissimi occhi verdi. La sua compagna, più inquieta per l’incauto zerbinotto che non per lei, la vide spalancare la bocca e poi chiuderla lentamente per sussurrare: “Pezzo di farabutto…!”

“Fisionomista, eh?” commentò l’intraprendente aviatore sfilandosi gli occhiali scuri. Come lo riconobbe, anche l’infermiera bionda alzò gli occhi turchini verso il cielo, coprendosi con la mano il volto lentigginoso.

“Questo scherzetto ti costerà caro, sai?” gli prospettò la mora, con la voce più acida che poteva, mentre si accomodava sul sedile davanti.

“Sono davvero esterrefatta, Andy” commentò la sua collega, con un più rassicurante tono semiserio, mentre saliva su quello di dietro “una cosa del genere me la potevo aspettare dal mio Terry…. ma da te…!”

“Non penserai che mi faccia batttere da un inglese” le rimpallò l’amico, facendo ripartire la vettura “e poi stavo scherzando, che diamine!”

“Certo, come no…!” commentò sarcastica Flanny, mentre si aggiustava i capelli mossi dal vento della corsa.

“E dai, amore” replicò il marito, con la voce già un po’ più agitata “guarda che vi avevo riconosciute da lontano. Non crederai davvero che uno come me si metta a rimorchiare?”

“È la prima cosa che hai fatto quando ti ho conosciuto, se non ricordo male!” rispose la consorte, tenendo le braccia conserte.

“E poi l’uomo è sempre cacciatore, no? Specialmente un pilota da caccia” aggiunse scherzosa la bionda “farai bene a tenerlo d’occhio, Flanny!”

“Lo penso anch’io” convenne quest’ultima, lanciando all’amica un’occhiata eloquente “e ogni infrazione sarà sanzionata… cominciando da stasera!”

“Bada che volo anche domani: se mi cala il rendimento, potrebbero accusarti di collaborazione col nemico!”

“L’hai presa a rovescio, furbone” lo corresse la moglie, con un sorrisetto maligno “il tuo rendimento può stare tranquillo, perché ti aspettano tre giorni d’astinenza!”

“COSA…??!” sobbalzò l’altro, mentre la jeep sbandava con violenza, provocando un singultone alla povera Candy “Non fai sul serio…!!”

“Hai ragione: facciamo una settimana!”

L’espressione sgomenta del pilota fu ben presto sostituita da un ghignò di ottimistica incredulità: “Ahh…! Di che mi preoccupo? Non potresti mai resist…”

“Scusa, Andy, ma dove ci stai portando…?” domandò all’improvviso la bionda, accorgendosi che stavano uscendo di città, anziché dirigere verso il quartiere dove avevano i loro alloggi (e anche per interrompere quell’imbarazzante conversazione fra i due coniugi).

“Facciamo un salto alla base del 22° Gruppo. Devo riferire a Richardson alcuni dettagli sulla prossima missione.”

“E non potevi mandare qualcuno?” gli chiese Flanny “Di solito te le sbriga Stone, queste faccende!”

“Hai ragione, ma c’è un altro motivo…”

“Sarebbe?”

“Proprio stamani arriva il nuovo equipaggio della 44a Squadriglia di Buck Lang.”

“E tu cosa centri, se il Gruppo lo comanda Richardson e Sanders comanda lo Stormo? Sono così importanti da essere accolti direttamente dal comandante della Forza Aerea?”

“Lo sai che ci tengo a conoscere di persona tutti i componenti della mia organizzazione.”

“Sì, lo so!” rispose lei guardando davanti a sé con un lieve sorriso di compiacimento. Dopotutto il suo uomo non era cambiato, dai tempi della Cina, a dispetto di quelle stellette da generale che ora gli spuntavano dalle spalline della giacca. Anche se le sue responsabilità erano cresciute vertiginosamente in quei tre anni di guerra, Andrew Steve Greason continuava a sentirsi vicino anche all’ultimo dei suoi sottufficiali. Superfluo aggiungere che Flanny era fiera di questo fatto e anche Candy lo stimava notevolmente, quantunque il rapporto col marito della collega continuasse a non essere del tutto sereno.

La continua vista dei feriti negli ospedali, la disperazione dei congiunti di coloro che morivano e di quanti cadevano prigionieri, le notizie sui terribili bombardamenti eseguiti sull’Europa occupata (ai quali la stessa Forza Aerea di Andy prendeva parte), la cronica repulsione insomma di tutto quanto sapeva di guerra impediva a quella ragazza coraggiosa e generosa di provare tutto l’affetto che pure avrebbe voluto sentire per il compagno della sua ritrovata amica. E di questo ci soffriva, perché le sembrava di fare un torto a Flanny, mentre questa le dimostrava ormai quotidianamente quell’amicizia che una volta era stata soltanto fredda stima.

Ma c’era anche dell’altro. Forse la figlia adottiva degli Andrew provava addirittura un sottilissimo rancore per ciò che quell’uomo, altrimenti straordinario, faceva passare alla sua dolce metà. Perché Candy lo vedeva quel leggero tremore alle mani che Flanny avvertiva spesso, quando non era in sala operatoria. Si accorgeva di quei brevi sussulti che agitavano le sue membra quando squillava all’improvviso il telefono. Le notava quelle lacrime furtive che l’amica si tergeva con rapidità quando apprendeva di un collega del marito con la vita stroncata a 20000 piedi[2] dalle spietate raffiche di un Messerschmitt o di un Focke Wulf. Oh, lei li conosceva bene, tutti quei sintomi… non erano solo gli occhiali a rendere Flanny Greason sinistramente simile a Patricia O’Brian, prima che il suo fidanzato cadesse in azione!

Una sera il nostro pilota era venuto a prendere la mogliettina all’ospedale, presentandosi con un vistoso cerotto sulla fronte e la garza ancora rossa di sangue. Flanny, dopo essere impallidita davanti a quella “specie di orrore” (la perizia dei sanitari delle basi lasciava spesso a desiderare, visto che molti di loro entravano in servizio dopo un frettoloso corso superficiale) l’aveva trascinato di peso in ambulatorio, dove gli aveva suturato la ferita come si deve. Poi, prima di rincasare, la signora Greason si era ritirata in bagno e, siccome tardava, Candy era tornata indietro a cercarla… trovandola appoggiata a una parete, con le spalle scosse dai tremiti e dai singhiozzi.

“Due pollici, Candy…” le aveva sussurrato, dopo che lei l’aveva stretta fra le braccia “…s’è salvato per soli due pollici…!!”[3]

Quella era stata l’ultima goccia e più tardi, in un momento in cui erano soli, la biondina aveva affrontato di petto l’amico: “Per quanto tempo la farai soffrire così?” gli gridò, scuotendolo fortemente “per quanto tempo, ancora?!”

“Candy, ti prego… lo sai che non è colpa mia!”

“Sì che lo è, invece: ormai sei un ufficiale superiore, non dovresti nemmeno volare più! E invece continui a rischiare la pelle… si può sapere perché lo fai?”

Lui chiuse gli occhi e sospirò, cercando la migliore risposta che potesse trovare. Quando credette di esserci riuscito, le disse: “Perché se no mi sentirei un verme, nei confronti dei miei compagni!”

“Capisco” rispose l’altra, fissandolo con due occhi di giaccio “e nei suoi confronti come ti senti, invece?”

Andy strinse la mascella. Quella benedetta ragazza era davvero un osso duro.

“Malissimo” le rispose, dopo alcuni attimi spiacevoli “ma è proprio la sua presenza, la forza del suo sentimento… che non mi abbandona nemmeno lassù… a permettermi di dare sempre il massimo, in modo da poter ritornare da lei!”

“Non c’è mai nulla di scontato, Andy” ribatté l’amica, cogli occhi lucidi “io l’ho dovuto imparare più volte, sulla mia stessa pelle! Se un giorno tu…”

“Credi che non l’abbia messo in conto?”

“Ma Signore Iddio!! E credi che questo cambierebbe le cose?!”

“No, non le cambierebbe” l’uomo tornò a sospirare, assumendo un’espressione cupa “e nemmeno noi possiamo cambiarle, Candy… è la guerra, purtroppo!”

A sentire ciò, la donna strinse i denti e suo malgrado gli lanciò uno sguardo di puro astio, non tanto suscitato da lui, quanto dall’uniforme che indossava.

“Se tanti… come te… non scegliessero il mestiere delle armi, forse la guerra non scoppierebbe mai!”

Andy accolse quel severo giudizio con un sorrisetto amaro: “Non basta essere pacifici, per vivere tranquilli, amica mia” le rispose bonariamente “leggiti un libro di storia: Si vic pacem para bellum, dicevano i Romani!”[4]

“Una bestemmia, nient’altro…!” ribatté Candy, con tono duro.

“Non pretendo di poterti smentire” rispose lui, pacatamente “ma credo che, se le democrazie europee si fossero armate più adeguatamente, soprattutto in campo aereo, non ci saremmo ritrovati coi nazisti fino ai Pirenei… e se lo stato maggiore sovietico non fosse stato composto da un branco d’incompetenti, purché di provata fede, i crauti non sarebbero arrivati fino al Volga… e se la Cina avesse avuto un esercito efficiente, i giapponesi non avrebbero potuto colonizzarla in buona parte, per poi sentirsi in grado di attaccare anche noi occidentali!”

La ragazza sospirò, riacquistando un po’ di calma. Il discorso del suo amico non faceva molte grinze, ma lei lo trovava un po’ troppo teorico: “E se anche i rapporti di forza fossero stati invertiti, chi te lo dice che la guerra non sarebbe scoppiata lo stesso?”

Ma se Candy sperava di pungerlo sul vivo venne delusa, perché Andrew Steve Greason alzò fieramente il petto: “Me lo dicono i principi di libertà e di giustizia su cui poggiano gli ordinamenti degli stati liberi… in primis, la nostra Costituzione!” il tono dell’aviatore era colmo di rispetto, considerando che il suo trisavolo, Jonathan Mc Geen, aveva partecipato alla Guerra d’Indipendenza, rimanendo ferito a Saratoga. Ma l’interlocutrice del suo discendente poteva mostrargli anche lei di non essere affatto digiuna, in materia di storia…

“Davvero?” gli rispose, incrociando le braccia “Si vede allora che questi principi erano stati messi in cantina, quando confiscammo la terra ai Pellirosse… o quando togliemmo il Sud-Ovest al Messico… o dichiarammo guerra alla Spagna…”[5]

Maledicendo la biblioteca della Saint Paul School Andy deglutì nervosamente: “Beh… nessun Paese perpetua indefinitamente nel tempo i politici migliori. Non puoi negare che, nell’epoca presente, i peggiori si trovano tutti dall’altra parte… perlomeno in senso relativo!”

Candy fu costretta ad annuire: “Questo te lo concedo… ma anche tu non puoi negare che, ancora una volta, si sia lasciata troppo facilmente la parola ai cannoni!”

“Io non sono di questa opinione: ci hanno provato, a trattare con quel pazzo. Ricordi la conferenza di Monaco? Non è servito a niente: la Cecoslovacchia è stata occupata lo stesso, anche se aveva ceduto i Sudeti. Poi i tedeschi hanno attaccato e occupato la Polonia, poi la Danimarca e la Norvegia, poi l’Olanda, il Belgio e la Francia… l’Inghilterra si è salvata soltanto perché è un’isola e grazie al valore dei miei colleghi della RAF! Poi hanno attaccato la Russia e infine istigato il Giappone ad aggredirci. Tu lo sapevi, cara Candy, che i nipponici ci hanno attaccato proprio durante i colloqui di pace?”

“Sì, lo so… ma è proprio ciò che ti stavo dicendo prima: se quei pazzi di Hitler, Mussolini e Hiroito non avessero potuto contare su tanti volontari disposti a…”

“Non è una questione di volontari” lo interruppe lui “in quelle dittature ti comandano di partire e tu vai. Non è consentito il dissenso, pena la vita!”

“Oh, senti… non verrai a dirmi che laggiù non esistono volontari…!”

“Certo che esistono, ma la maggior parte sono dei fanatici… persone indottrinate dal regime fino a convincersi che la prosperità del proprio Paese si ottenga con la sottomissione di quelli altrui, che ritengono abitati da popoli inferiori!”

Sospirando, Candy guardò l’amico con uno sguardo obliquo, intriso di materna benevolenza: “Andy, tesoro… perdonami, se te lo dico… ma sei proprio sicuro che non abbiano indottrinato un po’ anche te…?”

“No davvero” il suo quasi omonimo scosse la testa, mantenendo un’espressione molto seria “vedi, Candy, io ci sono stato, in Germania… e ho visto!”

“Che cosa hai visto?”

“Ho visto le adunate dei militi che marciavano al passo dell’oca. Ho visto gli occhi dei giovani e degli anziani… e ancor peggio delle donne” lei sussultò leggermente “fissare il loro fuhrer in piena adorazione! Ma soprattutto ho visto le ordinanze contro gli ebrei e quei disgraziati che circolavano con la stella gialla sul pastrano e gli occhi velati dalla paura. E poi, quella volta, in quel parco di Berlino…”

“Cos’è successo…?” lo incalzò Candy, con la massima attenzione.

“Ho visto due ragazzi della Hitlerjugend[6] pestare a sangue un povero vecchio, con sua moglie che urlava supplicando verso due poliziotti di ronda… mentre quelli assistevano alla scena, sghignazzando!”

L’amica rimase senza fiato. Poi sussurrò, timorosa della risposta: “E tu… che cos’hai fatto…?”

“Beh… naturalmente ho visto rosso e sono scattato, a dispetto dei richiami del mio superiore, che era con me… ho afferrato per la collottola uno di quei mascalzoni e l’ho steso con un uppercut ben piazzato! Naturalmente quei dannati sbirri stavano per avventarsi su di me, quando il nostro addetto aeronautico ha mostrato al più anziano le sue credenziali diplomatiche… così si sono limitati a dividerci e a riaccompagnarci in ambasciata.”

“E com’è finita?” chiese ancora Candy, ansiosamente.

Andy alzò le spalle: “È finita che ho dovuto sorbirmi una filippica interminabile dal nostro ambasciatore… e il giorno dopo stavo già volando verso la Svizzera, espulso dal Paese! Non ti nascondo che quell’incidente ha avuto un certo strascico sulla mia carriera… ma avevo imparato una cosa…”

“Quale?”

“…che purtroppo il diritto ha bisogno della forza, per essere applicato” sospirò lui, stancamente “e che certe ideologie perverse non si sconfiggono col dialogo e la diplomazia, ma solo neutralizzando la potenza militare che le sostiene. Vedi, Candy… io ero entrato in aviazione soltanto per acquisire in modo rapido le competenze che mi permettessero, una volta congedato, di guadagnarmi la vita come pilota civile…”

“Ma se sei entrato in Accademia…!” lo interruppe lei, con una nota di scetticismo.

Lui voltò le mani in su: “Soltanto perché i miei genitori pretendevano da me un’istruzione superiore. Ti assicuro che sono stati i quattro anni più lunghi della mia vita e se sono riuscito a superarli è stato solo per il desiderio di passare successivamente alla Scuola di Volo!”

“E ora…?”

“Che cosa?”

“Sei contento di essere un soldato?”

Andy la guardò per un lasso di tempo abbastanza lungo, poi rispose serenamente: “Diciamo che sono contento di poter dare il mio contributo per abbattere le tirannie del nostro tempo… e per far sì che mia moglie e mio figlio vivano domani in un mondo migliore di quello attuale!”

Dalla voce ferma e dalla limpidezza del suo sguardo, la dolce Candy non ebbe più nessun dubbio sulla sua buona fede. Avvicinatasi a lui, alzò la mano destra per accarezzarlo sulla guancia: “Promettimi solo una cosa…” mormorò.

“Quale…?”

“…fa’ in modo di esserci anche tu, insieme con loro!”

Andy ebbe un guizzo, ma poi annuì, con un pallido sorriso: “Farò del mio meglio…!”

La biondina gli scoccò un tenero bacetto sulla guancia e se ne andò. Camminando lungo il corridoio per tornare alla sua corsia si rese conto di capire meglio l’eroico stoicismo di Flanny nel sopportare tutta quella tensione. Qualche tempo prima, quando le aveva raccontato della sua povera amica Patty, rammaricandosi di come quest’ultima non avesse cercato di dissuadere il suo ragazzo dal partire per la Cina, la signora Greason aveva pronunciato una frase che adesso Candy ricordava chiaramente: “Quando un uomo mette in gioco la propria  vita per quello in cui crede, la sua donna tiene la bocca chiusa!

***

Dopo avere attraversato il posto di controllo della base di Lafayette Field, ubicata poche miglia a nord della cittadina portuale di Newhaven, Andy Greason arrestò la jeep davanti alla palazzina del comando, varcò l’ingresso e si recò immediatamente nell’ufficio del Servizio Informazioni, seguito dalle due donne. Al suo avvicinarsi un aitante capitano si alzò di scatto dalla scrivania: “Buon pomeriggio, signor generale!”

“Salve, Ferguson… dov’é il colonnello Richardson?”

“Su alla torre, assieme al maggiore Lang e al capitano Swanson. Stanno aspettando il contatto del nuovo equipaggio, in arrivo dall’Irlanda del Nord.”

“Allora vado là. Ragazze” le due interruppero la loro sporadica conversazione per voltarsi verso di lui “se volete, potete aspettarmi qui: il gabbiotto della torre non è un luogo particolarmente confortevole!”

“Staranno più comode nell’ufficio del colonnello, signore” intervenne l’ufficiale dell’Air Intelligence “le accompagno io!”

“Non importa: sono così stanca che mi basterà quella poltroncina!” rispose Flanny, stoica come sempre.

“Per me va bene anche questa sedia” aggiunse Candy, servendosene “tu va’ pure, Andy: noi restiamo qui. Sempre se non la disturbiamo!” concluse, diretta a Ferguson.

“Niente affatto” rispose questi con un largo sorriso “il piacere sarà tutto mio…!”

“Bene” approvò il generale, con un sommesso borbottio “allora ci vediamo più tardi.”

Greason si richiuse la porta alle spalle, mentre le due amiche si guardavano ammiccando, coprendosi la bocca per trattenere un risolino.

“Gradite un caffè, signore?” chiese il capitano avvicinandosi ad un bricco posto sopra un tavolinetto.

“Sarebbe proprio quel che ci vuole!” approvò Flanny.

Anche Candy assentì: “Sono d’accordo.”

Dopo avere versato il bricco nella tazza che aveva porto alla moglie del generale, Ferguson passò a servire la sua collega: “Ecco a lei, signora!”

Candy arrossì: “Signorina, prego!” lo corresse poi, con lieve moto di disappunto.

“Ah, mi perdoni…” si scusò il capitano, con leggero imbarazzo “…ma è la prima volta che la vedo capitare da queste parti. Anzi, se permette” riallargò il sorriso e si portò scherzosamente la mano alla fronte “capitano Lionel Ferguson!”

“Molto piacere” le rispose la giovane, mantenendo però un sorriso distaccato “Candice White!”

“Incantato, miss Candice… posso chiamarla Candy, vero?”

“Se proprio ci tiene…”

*Già… ad andare in cerca di guai!* commentò Flanny, fra sé e sé, assistendo divertita a quel vano corteggiamento. Aveva ancora ben impresso nella mente il primo incontro fra il marito e un affermato attore di Broadway, terminato - a causa di un malinteso - col ricovero precauzionale di entrambi gli interessati (l’incidente aveva quasi messo a repentaglio la saldezza dell’alleanza anglo-americana)!

“Ma lo sa che è davvero curioso?” disse ancora l’ufficiale “Avevo già sentito il suo nome, di recente!”

“Davvero?” Candy pensò bene di sgonfiarlo un po’ “Sarà stato durante una libera uscita…!” disse strizzando l’occhio all’ex condiscepola, che le sorrise compiaciuta, pensando: *Finalmente sei cresciuta, ragazza!*

“No, no… niente del genere” obiettò Ferguson, arrossendo a sua volta “l’avevo solo letto sopra uno dei miei moduli… dov’é che l’ho messo? Ah, eccolo qui…”

Le due infermiere stavano fissandosi nuovamente con aria interrogativa, prima di tornare a guardare il capitano: “Eh, volevo ben dire: è proprio il B-17 che stiamo aspettando… numero di matricola 229815, identificativo Delta-Fox-Fox[7]… nome di battesimo Candy Candy… ufficiale pilota…”

“Senti senti” saltò su Flanny, sorridendo maliziosa all’amica, ma avendo più che altro lo scopo di scoraggiare ancor di più l’intraprendente giovanotto “non è che a bordo ci sarà qualche altro tuo spasimante?”

“Tsk… temo proprio di sì…!” rispose Ferguson per lei, visibilmente contrariato.

Notando che il bel viso della compagna manteneva un’espressione più sgomenta che stupita, la buona Flanny pensò bene di dare un taglio all’umorismo: “Via, cara: stavo scherzando. Non avertene a male, ma in America sono milioni le ragazze che si chiamano come te…!”

L’interessata si riscosse e parve ripetersi ciò che aveva sentito, sebbene ci fosse un particolare che non la tranquillizzava nemmeno un po’…

“Col nome doppio…?” chiese poi, con voce un po’ tremula.

Colpita da questa osservazione, la mora si accigliò e si rivolse a Ferguson, che era rimasto immobile col modulo in mano e la faccia ormai priva d’ogni residua baldanza: “Capitano, sarebbe così gentile da leggerci la lista di quell’equipaggio?”

L’ufficiale fece una smorfia: “Sono dolente, signora Greason… ma il regolamento non mi permette di passare un’informazione riservata a delle civili!”

Dopo avere inspirato una copiosa boccata d’aria, la moglie del generale cominciò a numerare con le dita: “Primo, noi due non siamo civili qualunque, ma infermiere assegnate all’assistenza delle forze armate. Secondo, lei sta parlando con la moglie del comandante in capo dell’intera Forza Aerea. Terzo, stava per passarci lei stesso quest’informazione riservata solo pochi istanti fa, prima che io la interrompessi. Quarto…” qui schiarì la sua tipica grinta, facendo gli occhi dolci a quel ganimede gallonato “…suvvia, sia gentile e faccia uno strappo. La mia collega è persona fidatissima: garantisce mio marito, per lei. E poi non lo vede com’è turbata? Non potrebbe certo, nelle sue condizioni, assistere ancora con efficienza i nostri ragazzi!”

Lionel Ferguson spostò lo sguardo dalla coduta infermiera bruna alla collega dagli stuzzicanti codini biondi e alla vista di quegli imploranti occhi celesti si rassegnò a rischiare la carriera. Riabbassato il viso, sciorinò allora meccanicamente e con voce atona i dieci nominativi che avevano dattilografato su quel maledettissimo pezzo di carta.

 

***

“Torre di Lafayette a Fox Otto-Uno-Cinque[8]… siete autorizzati a scendere sulla pista 1: vento di 4 nodi a favore. La squadra antincendio è già in posizione. Benvenuti a Newhaven, ragazzi!” annunciò il sergente Johnson, marconista della torre di controllo.

Delta-Fox ricevuto… salute a voi. Teneteci pronto qualcosa di caldo!” rispose una giovane voce dal marcato accento campagnolo.

“Nessun problema, Delta-Fox” rispose il marconista “dopo il rapporto sul trasferimento, potrete scolarvi tutto il caffè che volete!”

“Ci occorrono anche dei letti decenti, se non è chiedere troppo!” aggiunse una voce più matura, dal tono decisamente più snob.

“Faremo il possibile, comandante” disse ancora il sergente Johnson “per ora vogliate procedere con l’atterraggio. Passo e chiudo!”

Il colonnello John Bart Richardson, comandante del 22° Gruppo da Bombardamento, si girò verso il generale Greason, suo vecchio compagno d’Accademia: “Esigenti, i nuovi acquisti, non è vero?”

“Già… soprattutto il capo-equipaggio. Speriamo bene!” rispose costui.

“Dopotutto, lo hai scelto tu…!”

“Sì, ma non è che avessi molte alternative. L’Ottava e la Quindicesima possono permettersi di pretendere il meglio, in quanto a equipaggi, ma noi…”

“Simpatici, Eaker e Doolittle,[9] a lasciarci gli scarti di magazzino…!”

“Che ci vuoi fare?” Andy allargò le braccia “Con la scusa che la nostra è una forza jolly per impegnare i crucchi nella Francia settentrionale, in vista del futuro sbarco e che noi, del suo Stato Maggiore, siamo speciali nell’estrarre il meglio da tutti i complementi, perché mai dovrebbero mandarci il personale uscente dalle migliori selezioni?”

“Un ragionamento davvero calzante” grugnì ancora Richardson “anche se potevano almeno evitare di scaricarci elementi con trascorsi disciplinari…!”

“In guerra non si può scartare nulla” sospirò ancora il generale “in fondo, tutto l’equipaggiamento che ritenevamo necessario per svolgere il nostro compito, ce l’hanno concesso: volevamo i razzi aria-terra per distruggere i convogli tedeschi nelle retrovie e ce li hanno mandati; volevamo le Fortezze Volanti per spianare gli scali ferroviari e i depositi logistici e le abbiamo avute. Non potevo fare il difficile con Arnold e Spaatz,[10] anche sugli equipaggi!”

“Non si preoccupi, signore” intervenne un ufficiale dalla corporatura robusta e i lineamenti marcatamente teutonici “se occorre dare loro una raddrizzata, provvederò io!”

Il comandante della Decima FA si voltò verso il comandante della 66a Squadriglia, che avrebbe preso in consegna il nuovo equipaggio, sorridendogli con fiducia: “Conto su di lei, Buck… so che ne farà dei veri uomini!”

“Ci può scommettere” confermò il maggiore dalla capigliatura biondiccia “quel signorino imparerà alla svelta che qui non siamo nell’alta società!”

“Hai poi deciso di metterlo in pattuglia con Swanson?” domandò il comandante di gruppo.

“Sì, colonnello. Mi sembra la soluzione migliore: Nat è un capo-pattuglia di polso e Askey, il suo gregario destro, è un ottimo elemento, soprattutto nel rispetto delle procedure. Compenserà le deficienze dell’altro, finché dureranno.”

“Beh, mi pare azzeccato” approvò Andy “d’altra parte, Buck, lei ha già il suo daffare nel controllare uno come Morrison!” concluse con un ghigno.

“Non me lo dica, signore” sbuffò Lang “per fortuna il problema riguarda soltanto la libera uscita, perché in volo è un gran bravo pilota!”

“Ehi… che diavolo succede, là fuori…?!” esclamò improvvisamente Richardson.

Anche gli altri notarono l’agitazione apparsa di colpo sul terrazzo della torre e si affrettarono ad uscire dal casotto. Andy si avvicinò ad un ufficiale munito di binocolo, affacciato alla ringhiera che dava sul piazzale.

“Che succede, capitano?”

“Non capisco, signore… guardi laggiù!”

Puntando l’occhio nella direzione indicata il generale si accorse di un gruppo di avieri che stava rincorrendo freneticamente una jeep, sopra la cui parte posteriore un vistoso pannello giallo riportava la scritta nera Follow Me.[11] Era la vettura segnalatrice che veniva mandata incontro agli aerei che atterravano sulla base per la prima volta, in modo da guidarli verso le piazzole di parcheggio. La sua presenza nell’attesa del nuovo B-17 era quindi del tutto normale, ad eccezione di quel misterioso inseguimento.

“Santo Cielo… sarà mica un sabotaggio?!” esclamò il capitano Nathan Swanson, temendo si trattasse di un agente nemico che si fosse impadronito del veicolo per impattarsi contro la Fortezza e farla saltare in aria! Ma il cervello di Andy Greason, allenatissimo a elaborare tutte le situazioni in maniera pressoché istantanea, realizzò che un sabotaggio simile non era molto pratico, perché i serbatoi del velivolo dovevano essere ormai quasi vuoti, dopo le ultime 355 miglia da Belfast (dove veniva eseguito un rifornimento appena sufficiente) e le probabilità di distruggere completamente il bombardiere sarebbero state troppo basse per pagarle con la “bruciatura” di una spia.

“Mi dia quel binocolo, Dumfryes…!” ordinò al responsabile del controllo aereo.

Andy puntò le lenti verso il segnalatore, sempre inseguito da tre componenti del personale di terra, mentre dalle baracche del presidio aeroportuale stavano sopraggiungendo altre quattro jeep gremite di soldati e munite di mitragliatrici Browning da mezzo pollice. Subito dopo fu costretto a deglutire per combattere lo sconcerto, mentre scuoteva incredulo la testa. Poi si affrettò a rientrare nel casotto, dov’era piazzato un microfono collegato all’impianto per le comunicazioni. Pochi secondi più tardi la sua chiara voce si diffondeva attraverso gli altoparlanti per tutta la base: “Messaggio per le squadre della sicurezza: ordine tassativo di non aprire il fuoco. Ripeto: non aprite assolutamente il fuoco…!!”

Quindi uscì di nuovo per dirigersi alla scala esterna che collegava il terrazzo col piano inferiore: “Andiamo giù, presto!” disse ai suoi subordinati, che lo guardavano cogli occhi fuori dalle orbite.

“Ma chi diavolo sta portando quel seguimi...?!” chiese Richardson, al colmo dello stupore.

“Soltanto la sanità… ma non è quella di questa base….!” rispose asciutto il generale mentre scendeva le scale precipitosamente.

 

***

Per quanto Flanny Greason potesse ormai asserire di conoscere piuttosto bene la sua collega di lavoro e passata compagna di studi alla Scuola Mary Jane, doveva pure ammettere che la sua capacità di stupire rimaneva sempre abbastanza efficace.

Nell’udire il primo nome contenuto nella lista di Ferguson, la nostra amica aveva sbarrato gli occhi; al secondo aveva sussultato e al terzo aveva stretto i pugni… all’ultimo s’era infine alzata con un’aura talmente nera da indurre il non più esuberante ufficiale a nascondere parzialmente la sua faccia dietro al modulo che teneva in mano. La stessa Flanny - ed era tutto dire - s’era leggermente spaventata  davanti a quello sguardo che avrebbe potuto incenerire anche un blocco di cemento armato!

Senza pronunciare nemmeno mezza sillaba, la fiera Candice White Andrew girò repentinamente su sé stessa e si fiondò fuori dal comando, dirigendosi verso le piste di volo. Ai bordi della numero 1, un nutrito gruppo di aviatori stava osservando la discesa finale di un Boeing B-17 F dipinto nella mimetica da guerra,[12] sulla quale spiccavano le vistose insegne gialle di reparto.

“Eccolo là” commentò un ufficiale pilota dall’aspetto un po’ imberbe, ma dal deciso sguardo d’acciaio “finalmente è arrivato il rampollo di buona famiglia…!”

“Già, ho sentito parlare di lui” rispose un suo collega coi gradi di tenente “cognome altolocato e curriculum censurato” poi ridacchiò, divertito dalla sua stessa battuta “perlomeno dal punto di vista disciplinare!”

“Il fatto curioso” aggiunse un terzo ufficiale dai capelli ricci “è che i suoi compagni non sono affatto altolocati: pare che alcuni di loro provengano addirittura da un orfanotrofio!”

“Beh, mi sembra logico” commentò un altro tenente, dai capelli a spazzola “tutte le mele marce in un paniere…!”

“C’è poco da ridere, Irwing” lo riprese il suo comandante, passandosi una mano sui capelli corvini “ci dovremo volare noi, in pattuglia con quelli!”

“Oh, non temere, Al” ribatté l’interpellato, con noncuranza “ci penserà la Luftwaffe a drizzargli la schiena, se non lo ha già fatto il riformatorio!”

“MA COME SI PERMETTE…??!!”

Il gruppetto di ufficiali, appartenente al bombardiere che sarebbe diventato il compagno d’ala di quello che stava arrivando, girarono la testa per trovarsi di fronte a “un gran bel pezzo di figliola” (questo fu il giudizio mentale del tenente Sergio Mantano, co-pilota del Saint Tail), la cui avvenenza rimaneva purtroppo parzialmente offuscata da una collera davvero notevole. Discretamente imbarazzato, il tenente Irwing Seaton l’apostrofò con un timido sorrisetto che illuminò timidamente la sua faccia da moccioso: “Mi scusi, signorina… ho forse detto qualcosa che non va?”

“Per sua regola, quello non è affatto un riformatorio, bensì un orfanotrofio! E quelli non sono dei poco di buono… non tutti, almeno” iniziò a tremarle la voce “sono solo… dei disgraziati…!”

 “Se è per quello, sorella “intervenne amaramente il capitano Alan Askey “quaggiù siamo tutti dei disgraziati!”

L’infermiera lo guardò duramente, per poi annuire: “Ha ragione… ma quelli lo sono di più!”

“E perché?” chiese l’ufficiale da capelli ricci, che rispondeva al nome di Rory McChuck “Hanno solo staccato un biglietto per venticinque missioni di guerra, esattamente come noi. Cos’hanno di speciale?”

La dolce Candy squadrò severamente anche quel ragazzo, mentre sentiva la collera trasformarsi fatalmente in malinconia.

“È inutile” gli rispose, con gli occhi leggermente umidi “tanto lei non potrebbe capire!”

“Via, non si disperi” intervenne il tenente Mantano, con un sorriso ammiccante (proveniva dalla scuola di Ferguson) “ho sentito che fra non molto i nostri caccia disporranno dei nuovi serbatoi di riserva per poterci scortare fin sopra Berlino… e se riusciremo a  ridurre le perdite delle incursioni al di sotto del 4%, avremo finalmente la speranza di tornare tutti a casa!”

L’infermiera impallidì: “Co… come dice?” balbettò “Sol… solamente col quattro per cento…?!”

“Eh, sì” le rispose il capitano Askey, gran patito della matematica “lei capisce: anche al rateo del 4%, con venticinque missioni da compiere, ciascuno di noi è già teoricamente morto…!”[13]

A quella crudissima osservazione la giovane donna s’impietrì, per portare poi le mani a comprimere le sue dorate chiome ricciolute, mormorando: “Non può essere…!! Anche loro, no…!! Mio Dio…!!”

“Candy…” la chiamò piano la sua collega, che l’aveva raggiunta silenziosamente.

“Ma perché…? PERCHÉ, SANTODDIO…??!! PERCHÈÈÈ…???!!!” urlò quell’altra, disperata, stringendo i pugni e chiudendo gli occhi. Quando li riaprì poté rivedere tutti i presenti che le stavano sempre intorno, guardandola con muta e sincera comprensione, congiunta ad una viva quanto grata simpatia. I suoi occhi si posarono poi su quel bombardiere che aveva già appoggiato le ruote principali sulla pista, a circa mezzo miglio da loro e adesso abbassava dolcemente la coda per posare anche il ruotino. Una coppia di avieri si stava nel frattempo avvicinando ad una jeep, sulla quale era montato un traliccio reggente un cartello con la scritta seguimi, sormontato da due fanalini di segnalazione.

“Dai, Jeff… andiamo a prendere i nuovi polli!” disse uno di loro.

A sentire quell’ultima “spiritosaggine” la povera Candy non poté più dominarsi. Scattò verso la vettura, scansò bruscamente l’aviere più vicino e si piazzò al volante. Prima che i due specialisti potessero riaversi dalla sorpresa, videro il seguimi dirigersi a tutta birra verso la Fortezza, facendo lampeggiare le sue luci arancioni.

Quando fu in grado di connettere, l’aviere scelto Jeff Bowman parlò lentamente al collega: “Sai… quand’è scoppiata la guerra mio cognato faceva il tassista a Honolulu. T’ho mai raccontato cosa gli è successo?”[14]

***

“Porca vacca” esclamò sbadigliando il giovane co-pilota che aveva dialogato con la torre, mentre si stiracchiava con voluttà “sono pieno di crampi dappertutto… scambierei volentieri il purosangue che mi ha donato l’anno scorso il mio vecchio per un morbido materasso di piume…!”

“Bel cow-boy degenerato, che sei” ribatté alle sue spalle il motorista, un ragazzo dall’aspetto decisamente più maturo “hai pronunciato una vera bestemmia!”

“Lo spirito è forte, Tom, ma la carnaccia è debole! Da quante ore siamo volo? Dodici o quindici…?”

“Tolte le soste, dal decollo al Mitchell sono esattamente tredici ore e ventitre minuti!” lo informò il navigatore, dal comparto di prua.

“Ouch…! Facevi meglio a non rispondermi, Cookie” gemette il co-pilota, grattandosi la schiena “come va il tuo mal d’aria, piuttosto?”

“Mi ha piantato in mezzo all’Atlantico, Jimmy… e spero che rimanga laggiù!”

“Ancora non capisco che ci fa in aviazione uno come te” intervenne il puntatore,[15] seduto vicino a lui “col tuo curriculum nel servizio mercantile, se ti fossi arruolato nella Navy, a quest’ora saresti già vice-ammiraglio!”

“Può darsi, Charlie. Ma quando la Seagull è stata colata a picco da quell’U-Boat e mio suocero è tornato a casa più morto che vivo, Sandra me l’ha proibito tassativamente!”

“E tu, da bravo marinaio, hai eseguito in silenzio.” commentò il marconista, con ironia.

“Esattamente, Gil!”

“Dolce tirannia, il tuo nome è femmina” decantò nuovamente il secondo pilota, voltando poi la testa verso il posto di sinistra “vero, capo?”

“Falso, Jimmy” rispose secco il comandante, muovendo le manette per togliere potenza “per quel che riguarda me, era piuttosto amara!”

“Scusami, Neal… dimenticavo!” mormorò allora il compagno, con un guizzo.

“Lascia perdere e abbassa quelle ruote!”

Il co-pilota azionò allora l’interruttore per la discesa del carrello, controllando che la successiva accensione della spia verde confermasse l’avvenuto bloccaggio. Tenendo quindi d’occhio l’indicatore di velocità, il tenente Curtright iniziò a scandirne i valori per dar modo al capitano Legan di regolarsi sulla manovra: “220 nodi… 200… 180…”[16]

“Giù i flaps!” ordinò il comandante.

“Fatto! 150 nodi… 120… 90…”

Due colpi ovattati, uniti a un leggero stridore, annunciarono che le ruote anteriori avevano toccato il cemento della pista. Neal richiamò dolcemente la cloche per consentire alla coda di abbassarsi e quando toccò terra anche il ruotino, Jimmy lo sbloccò per lasciarlo libero di sterzare. Il Candy Candy si era finalmente posato sul suolo britannico.

Premendo entrambi i propri pedali, i due piloti agirono sui freni, in modo che la velocità del bombardiere si riducesse a quella normale di rullaggio.

“Sta arrivando il seguimi!” annunciò il tenente Charlie Boyle, osservando l’esterno dall’estremità del muso di plexiglas.

“Vedo” confermò il navigatore Cookie Laffey “ma che diamine fanno? Dovrebbero girarsi col cartello verso di noi!”

Stranamente il veicolo segnalatore, invece di eseguire l’approccio regolamentare, mantenne il muso puntato verso la Fortezza, fino ad arrestarsi in mezzo alla pista, più o meno a una trentina di metri…

“Che mi venga… ferma, lassù…!!!” gridò Charlie, piuttosto allarmato.

Legan e Curtright spinsero i pedali a fondo e il primo pilota tolse completamente il gas: “Che cazzo succede??” domandò, abbastanza alterato.

“Non lo so, ma qualcosa non va” convenne il suo secondo, slacciando la cintura e togliendosi la cuffia della radio “tieni i motori accesi, Neal, scendo a vedere!”

“Bene…!” grugnì quest’ultimo.

Il piccolo Jimmy girò attorno al suo sedile e s’infilò nella botola che metteva in comunicazione la cabina di pilotaggio col comparto inferiore. Raggiunto quindi il portello di uscita, si affrettò a spalancarlo…

***

Qualche attimo prima la jeep con a bordo Andy Greason, John Bart Richardson, Buck Lang e Nathan Swanson raggiungeva il bordo della pista n°1, dove gli altri equipaggi della 66a Squadriglia stavano commentando animatamente l’accaduto. Mentre arrestava la vettura il generale sentì la moglie che diceva al comandante Askey: “Le sue spiegazioni sono state precisissime, capitano. La ringrazio di cuore, soprattutto da parte della mia collega…!”

“Mi spiace molto di averla impressionata, signora. Ma d’altra parte…”

“Flanny, presto: monta su…!” le gridò suo marito.

Mentre tutti scattavano sull’attenti salutando militarmente il comandante in capo, l’infermiera si affrettò a montare sulla vettura, dopo che il colonnello Richardson le aveva ceduto il posto. Con la sua abituale prontezza di riflessi, il generale aveva compreso immediatamente come prepararsi ad affrontare meglio quella bizzarra situazione.[17]

La jeep ripartì di scatto verso il punto della pista dove la loro amica aveva arrestato il seguimi, per avvicinarsi poi al rullante bombardiere e bloccarsi di fronte ad esso con le mani sui fianchi e i codini piegati in avanti dal risucchio delle eliche. Ciò che l’aveva fermata era stata la vista della figura che decorava il muso dell’aereo: una ragazza dalla bizzarra acconciatura bionda ornata da due fiocchetti rossi, “austeramente” ricoperta da una spartana salopette di jeans e da una camicetta a righe.[18] Alla sua destra compariva, in caratteri gialli semicubitali, un nome uguale a quello che aveva sentito dal capitano Lionel Ferguson.

“Ma… ma quell’aereo…!!” esclamò Andy Greason a bocca aperta, non appena la sua vista acuta gli permise di discernere a sua volta le fattezze di quella personalissima “pin-up”. Anche Flanny riconobbe la figura, senza che la cosa provocasse la minima incrinatura nella sua proverbiale compostezza.

“Ahimè, non era una coincidenza…!” mormorò soltanto fra i denti.

Risoluto a capirci qualcosa il suo consorte accelerò la marcia, ma prima che potessero giungere sul posto, avvenne un radicale mutamento di scena…

Si vide il portello di prua richiudersi con violenza dopo che un membro dell’equipaggio si era già affacciato. Si videro le quattro eliche riprendere a girare vorticosamente, mentre il timone di coda piegava tutto a destra in compagnia del sottostante ruotino, in modo da permettere al velivolo d’infilare repentinamente un provvidenziale taxi-way[19]… si vide insomma il Boeing B-17 Flying Fortess modello F numero di matricola 229815, sigla identificativa DF-F, battezzato col nome di Candy Candy uscire dalla pista numero 1, percorrere il raccordo suddetto, raggiungere il piazzale di parcheggio centrale, attraversarlo, infilare un secondo raccordo, prendere la pista numero 3 e ridare tutta potenza ai quattro motori Wright Cyclone per ridecollare in pochissimi istanti fra lo sbigottimento generale dell’intera base di Lafayette Field e a dispetto degli isterici messaggi lanciati dal marconista Curly Johnson: “Torre a Delta-Fox…!! Torre a Delta-Fox…!! Che diavolo di cacchio fate…?? Tornate giù immediatamente…!!!”

Ma il sergente Gilbert Evans, ex distributore di giornali nella solatia Florida, non rispose alle chiamate della torre. Aveva i suoi buoni motivi per questo, anche se meno “tangibili” rispetto ad altri suoi compagni di equipaggio!

***

Andy Greason, fermata bruscamente la sua jeep accanto a quella del seguimi, era disceso dirigendosi verso la collega di sua moglie, ben deciso a ottenere una spiegazione plausibile per il suo comportamento eterodosso (frammenti di conversazioni avute con Flanny e coi coniugi Cornwell facevano diabolicamente capolino nella sua mente). Quando prese però coscienza di ciò che stavano facendo i nuovi complementi li rincorse istintivamente per una manciata di metri, dopodiché allargò le braccia sconsolato per farsele ricadere sulle cosce. Si portò la mano alla fronte, scosse ancora la sua povera testa intronata e guardò in viso il maggiore Lang, che lo aveva rapidamente raggiunto.

“S’incomincia proprio bene…!” commentò il comandante di squadriglia.

“Ma che succede, qui…?!” sibilò il generale, rifiutandosi di credere a ciò che aveva visto.

“Non capisco neanch’io, signore” osservò pacatamente il capitano Swanson “a quanto pare sono ripartiti…!”

“MA COSA SONO, SCEMI…??!! Avranno si è no carburante per dieci minuti! E per andare dove…? Cosa diavolo gli ha preso?!”

“Lo sa soltanto il diavolo” replicò il maggiore Lang, grattandosi il mento irsuto “sembra che qualcosa li abbia spaventati!” 

“E SI PUÒ SAPERE COSA CACCHIO POTREBBE AVERLI…” mentre urlava, ormai fuori di sé, Andy incrociò lo sguardo della sua “quasi omonima”, la cui cupezza, tutt’altro che comprensiva, bastò a dissipare le sue restanti perplessità. Prese allora un respiro profondo, raddrizzò le spalle quasi a rischio di cascare all’indietro e si piantò a mezzo metro da lei, fissandola con decisione nei suoi bellissimi occhi azzurri.

“Candy… credo tu mi debba delle spiegazioni!” esclamò, con le mani sui fianchi.

Lei scosse leggermente la testolina dorata: “Ti sbagli, caro: sei tu che le devi a me!!” rispose con tono glaciale tenendo le braccia conserte.

“Okay, vedo che dobbiamo parlare. Maggiore…”

“Comandi!” sospirò il leader della 66a Squadriglia.

“Tornate alla torre e fate rientrare quei disgraziati. Dite loro che, qualunque cosa abbiano visto, non la ritroveranno qui nuovamente. Chiaro?”

“Affermativo. Andiamo, Swanson!”

“Signorsì…!” rispose il capitano.

I due ufficiali montarono sul seguimi e ripartirono alla volta della torre di controllo, mentre il comandante della Decima Forza Aerea risaliva sull’altra jeep assieme alla donna che aveva ispirato il nome all’aeroplano dei fuggiaschi. La vettura si mise quindi in marcia verso l’uscita della base e la signora Greason, che era sempre rimasta a bordo senza spiccicare una parola, guardò preoccupata il marito sedere al volante, scuro e taciturno. Osservando poi di sfuggita anche il viso della collega, se possibile ancora più nero, le venne una stretta al cuore: *Mi dispiace, tesoro… temo proprio che tu sia nei guai!*

E mentre lo pensava gli stringeva affettuosamente la spalla destra.



[1] Piccolo centro portuale sulla costa della Manica, più o meno a metà strada fra la città di Brighton e la punta di Beachy Head. Flanny ed il suo staff vi si erano fatte trasferire dopo la costituzione della Decima Forza Aerea, stanziata nelle due nuove basi vicine.

[2] Più di 6000 m di quota.

[3] Poco più di 5 cm.

[4] Se vuoi la pace prepara la guerra.

[5] A seguito della strage di Forte Alamo (1845) il governo del Presidente James F. Polk dichiarò guerra a quello messicano del generale Fernando Lopez de Santa Anna, che si concluse con l’annessione del Texas, del Nuovo Messico, dell’Arizona e della California. Nel 1898, invece, le forze spagnole che cercavano di domare la rivolta dei ribelli cubani, colpirono per errore la cannoniera americana Maine, provocando l’intervento del governo Mc Kinley. In seguito alla sconfitta, la Spagna perse il possesso di Cuba e delle isole Filippine.

[6] L’organizzazione paramilitare del partito nazista, nella quale venivano iscritti i giovani tedeschi.

[7] La sigla identificativa di un aeromobile viene espressa ancora oggi mediante il cosiddetto alfabeto fonetico: A come Alpha, B come Bravo, C come Charlie, eccetera. È analogo al sistema che usiamo quasi tutti in Italia per non confondere le lettere, utilizzando i nomi delle città: A come Ancona, B come Bologna, C come Catania…

[8] Per semplicità si usava contattare i velivoli facendo riferimento alla lettera finale della sigla (che identificava direttamente l’aeroplano, mentre le prime due si riferivano all’unità di appartenenza) seguita dalle ultime tre cifre del numero di serie.

[9] Ira Eaker e James Doolittle, rispettivamente comandanti dell’Ottava e della Quindicesima Forza Aerea (schierata quest’ultima nell’Italia del sud).

[10] Carl Spaatz, comandante delle Forze Aeree Statunitensi in Europa.

[11] Seguimi.

[12] Verde oliva nelle parti superiori e grigio chiaro in quelle inferiori. Ben presto quella opaca livrea sarebbe stata abbandonata lasciando risplendere gli aerei nel loro alluminio naturale.

[13] Le maggiori perdite subite dall’aviazione americana nelle sue incursioni diurne sull’Europa occupata dai nazisti si ebbero nell’attacco alle fabbriche di cuscinetti a sfera vicino a Schweinfurt , eseguite il 17 Agosto e il 14 Ottobre 1943 (rispettivamente col 19 e il 26% di perdite fra i velivoli impiegati).  

[14] Vedi capitolo 6.

[15] Addetto allo sgancio delle bombe sul bersaglio.

[16] Un nodo (o miglio marino orario) equivale a 1,82 Km/h; il B-17 aveva una velocità di stallo di 113 Km/h, corrispondenti a 62 nodi.

[17] Della serie: “Mi porto dietro la mamma, ‘ché non si sa mai…!”

[18] In genere, quelle “figurine” erano decisamente più discinte…!

[19] Raccordo di congiunzione fra le piste dell’aeroporto.

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Capitolo 13
*** Anche gli amici tirano gli schiaffi ***


Capitolo 9: Chi non muore si rivede

Capitolo 13: Anche gli amici tirano gli schiaffi

 

UCPFH 13

D

opo aver varcato il posto di controllo dell’aeroporto di Grant Field, situato a meno di dieci miglia dalla base di Lafayette,[1] il capo della Decima Forza Aerea USA arrestò bruscamente la jeep davanti all’ingresso della palazzina di comando del 99° Gruppo Caccia. Anche stavolta la povera Flanny dovette aggrapparsi precipitosamente al cruscotto per non sbattere il viso sul parabrezza della vettura…!

“Proprio non te lo levi, il vizio, eh?!” polemizzò col marito.

“Scusami…!” ribatté lui, a voce bassa.

I Greason, seguiti a ruota da Candy, si avvicinarono al portone, dove un caporale della MP fece il presentat arm al generale, che rispose con un semplice tocco delle dita sulla fronte. Mentre salivano le scale incrociarono il maggiore Master: “Oh… buonasera, generale! Come mai…”

“Jimmy è in ufficio, Roy?” gli domandò il superiore, anziché rispondere.

“Sì… s’è trattenuto per sbrigare le ultime scartoffie.”

“Bene, lo raggiungo.”

“Ma… è tutto ok, signore?” s’interessò il comandante del 99°, notando l’aria imbronciata del superiore.

“Sì… a parte lo show del nuovo equipaggio!” rispose ironicamente lui.

“Quale show…?”

“Se vuoi conoscere i dettagli, fatteli dare da Lang. Io ho qualcosa di più urgente. Ci vediamo!”

Il più giovane dei Compari di Chicago rivolse un’occhiata alla giovane che accompagnava i due coniugi, accorgendosi della sua grinta, molto più scura rispetto a quella del comandante. Guardò allora la signora Flanny, che si limitò a scuotere la testa, agitando la mano con noncuranza. Rinunciando a capirci qualcosa Roy Master si diresse invece nel suo ufficio per telefonare al comandante della 66a Squadriglia da Bombardamento.

Quando il trio entrò nell’ufficio che Greason divideva tuttora col suo luogotenente (come pilota da caccia, Andy aveva mantenuto il suo quartier generale nella base del 99°), quest’ultimo si alzò dalla scrivania celando a stento la sua sorpresa.

“Come mai di ritorno? È successo qualcosa…?”

“Niente di grave… spero! Ti spiace lasciarci soli?”

“Affatto… stavo giusto per andarmene. Tutto a posto per domani?”

“Naturalmente. Ho passato a Ricky le istruzioni per il rendez-vous fra le nostre formazioni. Questo il programma: sveglia alle 0530, briefing alle 0615, decollo alle 0650.”[2]

“Roger!”

Il vice-comandante della Decima FA si mise l’impermeabile sul braccio e si mosse verso l’uscio col cappello in mano (da perfetto gentiluomo virginiano non lo avrebbe mai indossato davanti a due gentili signore)… accorgendosi però dell’aria tesa che aleggiava sul gruppetto, si soffermò un istante per chiedere al compagno d’armi: “Senti… ti serve qualcosa?”

“Sì…” rispose il generale, già accomodato alla sua scrivania, mentre sbirciava gli sguardi della moglie e dell’amica acquisita “…se passi dal bar, fatti un bicchiere alla mia salute…!”

Il colonnello James Patrick Stone, dopo avere osservato anche lui i volti delle due donne con una certa preoccupazione, si decise a lasciare la stanza. Mentre usciva dal comando per dirigersi verso il Circolo Ufficiali non poté fare a meno di pensare che, qualunque argomento avrebbero affrontato quei tre, il suo superiore diretto avrebbe di gran lunga preferito vedersela da solo contro un intero Staffel[3] di caccia tedeschi…!

 

***

Appena l’uscio fu richiuso il comandante della Decima Air Force si lisciò la fronte emettendo alcuni soffi stanchi, poi guardò la moglie che lo scrutava con apparente impassibilità, mentre i suoi occhi gli stavano trasmettendo invece questo rassicurante messaggio: *Non temere, sono qui!*

Il povero Andy si guardò malinconicamente i gradi sulle spalline, pensando che se il generale Arnold fosse venuto a conoscenza di un fatto simile, l’asso degli assi dell’intera USAAF si sarebbe ritrovato a presiedere la più scalcinata scuola di volo per aerei da trasporto in qualche sperduto angolo della Georgia o dell’Arizona!

Tale pensiero ebbe perciò anche l’effetto di una scarica elettrica che gli fece raddrizzare le spalle per poi rivolgersi senz’alcun imbarazzo alla sua interlocutrice; la quale, dopo essersi accomodata su una seggiola, lo stava fissando con tutta la prosopopea di un pubblico ministero che fosse assolutamente certo della colpevolezza dell’imputato.

Quei due individui, per certi aspetti così diversi, ma per altri non molto dissimili (non a caso, forse, portavano quasi lo stesso nome), rimasero a studiarsi per altri lunghi momenti, finché la pazienza della bionda non rimase del tutto esaurita: “Beh…?” sbuffò “Chi comincia?”

“Prima le signore!” rispose pacato Greason, tenendo le mani intrecciate sul ventre.

Dopo aver mandato l’ennesimo epiteto mentale all’intero genere maschile, l’infermiera procedette: “Ok… si può sapere che ci facevano quegli sciagurati, su quell’aereo?”

“Prendevano servizio nel gruppo da bombardamento pesante della mia unità.” rispose il generale con voce piatta.

La giovane strinse la mascella: “Davvero? Magnifico” ribatté, sarcastica “e a cosa si deve questa novità?”

“Novità in che senso?”

Candy riuscì faticosamente a trattenere un urlo e si prese una robusta boccata d’aria, prima di rimpallare: “Non farmi perdere del tutto la tramontana Andy!! Come hanno fatto a diventare aviatori…?!”

L’asso si chiede se la collega di sua moglie ci fosse o ci facesse; poi tornò a parlarle con la maggiore calma del mondo: “Avranno risposto a un qualche bando di arruolamento… dopodiché, presentando le idoneità fisiche, psichiche e attitudinali, hanno frequentato e superato i corsi delle specialità da loro preferite o maggiormente indicate. Infine, dopo il necessario periodo di addestramento avanzato, sono stati trasferiti in prima linea.”

“Capisco” annuì l’altra, amaramente “e tutti quanti su quello stesso aeroplano, mm…?!”

“Non può essere un caso, Andy!” si lasciò scappare questa osservazione la sua dolce metà.

Lui la fissò con lieve moto di disappunto: “Beh…” sospirò “…in effetti non lo è. Vedete, noi…”

“ECCO…!!” esclamò Candy sferrando un pugno sul tavolo “Volevo ben dire che non fosse opera tua…!”

“Io so soltanto che si conoscevano fra di loro” deglutì l’altro “capirete che, in questi casi, tendiamo a inserirli nello stesso equipaggio. Come fa del resto l’Esercito, mettendo gli amici nello stesso reparto o la Marina sulla stessa unità. Lo spirito di corpo è importante. Soprattutto per la sopravvivenza!” concluse, guardando Candy con la tenue speranza di ricevere un barlume di comprensione. Ma non era la giornata…

“Oh, ma è troppo giusto” ribatté infatti la ragazza, con malcelata acredine “e io che pensavo che questo aumentasse la probabilità di vederli crepare tutti nello stesso momento, per mano della reazione nemica! Che sciocchina, che sono…!”

“Le regole non le faccio io” si difese ancora il generale, allentandosi il nodo della cravatta “e comunque… è dimostrato che l’affiatamento fra i compagni aumenta di parecchio il rendimento in battaglia… e, di conseguenza, le probabilità di ritornare a casa. Solo i parenti vengono esclusi: è la prassi.”[4]

Affiatamento….?” esclamò Candy, del tutto sbigottita “Ma scherzi??! Hai messo insieme Neal con Jimmy… Charlie con Cookie… Bobby con John… e mi vieni a parlare di affiatamento?!”

Hanno messo insieme, Candy” puntualizzò l’amico puntando un dito sul piano dello scrittoio “gli equipaggi di volo vengono composti presso i centri d’addestramento avanzato, cercando di abbinare gli elementi caratterialmente più compatibili: abbiamo fior di psicologi in divisa, che se ne occupano. Può anche darsi che siano stati proprio i tuoi amichetti a chiedere di stare insieme…!”

A sentire la parola amichetti gli occhi di Candy mandarono minacciosi lampi azzurri all’indirizzo dell’interlocutore, che ricevette anche uno sguardo di muta disapprovazione dalla moglie.

“Non sono i miei amichetti” esclamò la bionda, in un tono non proprio affettuoso “ma persone con cui ho avuto a che fare in diversi momenti della mia vita. Chi più, chi meno… in un modo o nell’altro… sono importanti per me!”

“Comprendo” sospirò il generale “e mi rendo anche conto del tuo stato d’animo. Presumo inoltre che la cosa sia reciproca, vista la reazione che hanno avuto al solo vederti… ciò che mi sfugge è il perché di una reazione di quel tipo…!”

“Forse questo dovresti chiederlo a loro!” intervenne Flanny per equilibrare in qualche modo quell’acceso dibattito.

“Questo è fuori discussione” gli rispose il marito, prestandole momentaneamente attenzione “ma siccome ho l’abitudine di esaminare entrambi i lati di ogni problema, sarò molto grato se la nostra amica qui presente ci fornirà la sua versione dei fatti… con comodo, naturalmente!”

L’interessata, che aveva incrociato le braccia sul petto, come assorta nei suoi poco allegri pensieri, rialzò fieramente il capo coduto, tornando a fissare il compagno della sua affezionata mentrice.

“Chissà… forse Jimmy, quello che stava uscendo per primo, ha avuto paura di prendersi un altro schiaffo…” Andy non batté ciglio, ma gli si storse un angolo della bocca “…in quanto agli altri… non ha molta importanza, a questo punto! Spero solo che, fra le altre cose, si siano anche vergognati di aver battezzato il loro apparecchio a quel modo!”

“E perché? Non è un gesto carino?” obiettò l’asso, nella sua ottimistica ingenuità, mentre sua moglie alzava gli occhi al cielo.

La collega scattò infatti in piedi, eufemisticamente furibonda: “Carino…? Dare il mio nome a una macchina di morte?! Andy, non so che mi trattenga dal…”

Il campione della caccia americana ebbe un guizzo, ma poi ribatté, risoluto: “…dal fare cosa? Vorresti dare uno schiaffo anche a me…?”

“Puoi ringraziare quelle stelle e quei nastrini,[5] se non lo faccio…!”

Questa risposta, probabilmente, non era che uno sfogo… nondimeno il nostro pilota la prese sul serio. Con un lieve sorriso sulle labbra si alzò a sua volta, si sbottonò lentamente la giacca dell’uniforme e se la sfilò, lasciandola cadere sulla poltrona. Girò quindi intorno alla scrivania e si piantò davanti all’amica tenendo le braccia conserte: “Adesso le stelle e i nastrini non ci sono più… se ritieni che il torto sia mio, procedi pure!”[6]

Prima ancora che la vice-direttrice aggiunta della Casa di Pony si riprendesse da quel contropiede (più insidioso per chi lo aveva sferrato, che non per lei) Flanny Hamilton in Greason, abbastanza palliduccia in volto, si avvicinò repentinamente a quei due, posando le mani sulle loro spalle: “Ehi, ehi, ehi… ora basta!! Sarà il caso che ci diamo una calmata, qui dentro, va bene?”

Al richiamo “autoritario” dell’ex allieva-modello della Scuola Mary Jane i due contendenti si acquietarono, guardandosi negli occhi… poi Candy provvide a ritirare la mano già alzata, non senza prima passarla fugacemente sulla guancia dell’uomo, in quello che poteva essere un buffetto, come anche una carezza:[7] “Stavo perdendo la testa…” sussurrò “…mi dispiace!”

“Non importa… forse qualche sciocchezza di troppo l’ho detta anche io!”

“Tanto per cambiare…!” commentò a mezza voce la sua signora.

“D’altra parte” continuò il marito dopo averle lanciato una smorfia, mentre si rimetteva a sedere “per quanto riguarda il nome dell’aereo, quella è di solito una prerogativa del comandante. Quindi devi prendertela con lui.”

“Per quel che servirebbe” l’amica alzò sarcasticamente le spalle “carognata più, carognata meno… oramai ho perso il conto!”

“Interessante… a quanto pare ho arruolato un rivale del grande Terry” sorrise forzatamente l’altro, cercando di sollevare lo spirito con qualche “innocente” battuta “e il nostro istrione è al corrente di questa minaccia alla sua felicità?”

“Ma cosa ti salta in mente…??!!” gridò l’interessata, arrossendo copiosamente, mentre la moglie lo rimproverò di saltare troppo alle conclusioni.

“Davvero?” Andy rispose direttamente a lei “Beh, di solito un uomo non dedica qualcosa a una donna solo per farle una carognata. Ne deduco che…”

“Anche tu non hai battezzato Flanny il tuo caccia, sapendo che tua moglie non avrebbe gradito” intervenne Candy, squadrando l’asso con sguardo duro “quindi non mi meraviglio che quel disgraziato abbia fatto esattamente il contrario…!”

“Quando si perde la testa per una persona che non ricambia si fanno le cose più assurde” commentò l’aviatore, fingendo di riordinare le carte sulla scrivania “anche i fratelli Cornwell ci sono passati!”

Flanny si mise una mano sugli occhi, mentre l’amica li spalancò, sibilando: “Che cosa hai detto…??!!”

Imprecando mentalmente contro la propria lingua, l’altro si appoggiò con la schiena alla poltrona, sospirando rumorosamente: “No, scusa… lascia stare…!” tentò, scuotendo la testa.

“No che non lascio stare. Continua…!”

Dopo aver compreso che non sarebbe uscito indenne da quell’ufficio se non avesse vuotato il sacco, il generale si rialzò per versarsi un bicchier d’acqua dal distributore.[8] Dopo  averlo vuotato tutto d’un fiato, proseguì, facendo del suo meglio per sostenere lo sguardo d’acciaio della sua quasi omonima.

“Vedi, Candy… con un mestiere come il mio s’impara presto ad essere degli acuti osservatori… e, se si assumono responsabilità di comando, si diventa anche dei discreti conoscitori di uomini.”

“E allora?” insistette lei.

“Quando, a New York, ci invitasti a casa dei tuoi amici, mi accorsi alla svelta di come Archie ti guardava… e di come lo guardava sua moglie. E anche il povero Stear… quando una volta mi mostrò la foto della sua ragazza, gli diedi mentalmente dell’imbecille per essere venuto a giocarsi la pelle in quel buco di posto. Ma tu…” Candy trasalì quando l’amico le puntò l’indice contro “…tu mi potresti assicurare che non l’avesse fatto anche per un qualche altro motivo?”

“Piantala, Andy” lo riprese severamente la consorte “queste sono pure illazioni!”

“Va bene, non sono fatti miei” si scusò lui, alzando le braccia “volevo solo dire che, forse, anche il capitano Legan…”

“Ma andiamo” lo interruppe nervosamente Flanny “parli come se tutti gli uomini che conoscono Candy si debbano per forza innamorare di lei…!”

“Beh” titubò l’asso, anche lui sensibilmente agitato, spostando lo sguardo dall’una all’altra “non ho mica detto questo… però…”

“Tuo marito ha ragione, Flanny…!”

La voce di Candy interruppe lo scambio di battute fra i due coniugi, che fu seguito da un pesante silenzio. Qualche interminabile momento dopo la ragazza guardò gli amici da sotto in su, esitò ancora un istante, poi disse ciò che aveva da dire: “Per quel che riguarda Stear e Archie… è vero: era da molto tempo che si erano invaghiti di me… io però non li ho mai incoraggiati perché volevo troppo bene alle mie amiche Patty ed Annie… e poi lo sapete cosa c’é fra me e Terence. Ma, nel caso di Neal…” guardò direttamente il compagno di Flanny “…mi dispiace dirtelo, ma sei proprio fuori strada!”

“Nel senso che non sarebbe innamorato di te?”

Candy fece spallucce: “Ouff, una cotta l’aveva presa, sì… e anche piuttosto forte. Ma dubito molto che uno come lui possa provare del vero amore…!”

“Accidenti” Andy tornò al distributore, dove si versò un secondo bicchier d’acqua “deve avertela proprio combinata grossa!” disse, prima di rivuotarlo d’un fiato.

L’amica gli mostrò un sorriso ironico: “Quante ore hai? Ti posso raccontare ogni cosa, se davvero ti interessa…!”

Il comandante della Decima corrugò le sopracciglia: “Perché no?” rispose poi, con decisione “È meglio conoscere a fondo i propri subordinati. Spara…!”

“Potrei avere anch’io un bicchiere d’acqua?”

“Come no!” rispose il generale, tornando ancora al distributore.

Dopo essersi dissetata, la giovane iniziò a raccontare in modo succinto ma non evasivo i fatti salienti che la legavano all’equipaggio di quel bombardiere, specialmente gli episodi che riguardavano il primo pilota.

Non omise nulla: né l’innaffiato incontro coi “simpatici” rampolli della sua prima famiglia adottiva, né le successive “goliardiche” attenzioni da parte di quelli che avrebbero dovuto essere i suoi “nuovi fratelli”, né i loro complotti per farla apparire una poco di buono ed essere “deportata” in Messico, né le vicissitudini della Royal St. Paul School… né, tantomeno, l’inaspettato innamoramento del fratello di Iriza a seguito del suo salvataggio da parte di Candy, dei suoi meschini tentativi per conquistarla, fino al subdolo complotto ordito da sua madre in combutta con la “patriarca” degli Andrew, al fine di costringerla ad unirsi in matrimonio con il suo “pretendente”.

Durante tutto il racconto il nostro asso si era slacciato completamente la cravatta ed era tornato altre due volte al dispensatore d’acqua, crucciandosi di non potere (per ovvie ragioni) riempirsi il bicchiere con la bottiglia di Scotch che teneva nell’armadietto.

“Avresti dovuto vederlo, il signorino, quando mio zio intervenne al ricevimento per rimettere le cose a posto… quando ha capito che non c’era più nulla da fare, lui, l’arrogante erede dei Legan, se n’è scappato via piagnucolando come un moccioso viziato!”

“Patetico…!” commentò Flanny che, a dispetto della sua riservatezza, non si era persa una sola parola.

“Puoi ben dirlo, cara” sottoscrisse l’amica “da allora non l’ho più rivisto… Archie mi aveva confermato che tutta la famiglia si era trasferita in Florida… e adesso rieccolo qua” concluse puntando gli occhioni celesti verso il suo amico, che si era appoggiato alla scrivania con le braccia conserte “chi devo ringraziare, stavolta…?”

“È una domanda o un’accusa?” chiese lui, dopo essersi schiarito un po’ la voce.

“Una domanda. Rispondimi, per favore…!” lo incalzò lei, con accento forse involontariamente troppo aspro.

A questo punto, non potendo più ignorare i mayday facciali del marito, Flanny batté una mano sulla spalla della collega: “Ora calmati, Candy… e rifletti un minuto: non puoi sostenere che Andy sia andato a ripescare Neal Legan appositamente per te!”

“Non ho detto che lo ha fatto per me…! Ma di solito le nomine dei capi-equipaggio vengono approvate direttamente dai comandanti delle forze aeree.”

“E tu come lo sai…?!” sussultò il generale, con voce palesemente alterata.

“Me lo ha detto la mia amica Annie.”

“Che cos…?” il generale sgranò gli occhi verso Flanny, la quale sospirò e gli rispose con bonarietà: “Mogli e mariti parlano tra di loro, amore mio!”

Riproponendosi di strigliare a dovere il tenente Archibald Cornwell per ricordargli che i militari dovrebbero invece tenere la bocca più chiusa, Andy Greason si rallegrò vivamente (e non per la prima volta) di essere stato accalappiato da quella straordinaria donna dai capelli corvini prima ancora d’incontrare quell’altra notevole femmina dalle chiome dorate. Ora, almeno, il comportamento di quei dieci strampalati sul B-17 che portava la sua effige sul muso cominciava ad apparirgli più comprensibile.

“La cosa che più mi stupisce” disse ancora Candy, come parlando a sé stessa “è come abbiano potuto riconoscergli una sufficiente fibra morale: basta guardarlo negli occhi per capire il codardo che è…!”

“Non credi di essere troppo severa?” scappò detto al generale.

“Senti, bello” ora decisamente piccata, la biondina saltò su “ma tu ci hai mai avuto a che fare con quel tizio, almeno per cinque minuti…?!”

Dopo aver sostenuto il suo sguardo per un istante, Andy fissò il bicchierino di carta che teneva in mano: “Anche di più. E, se proprio lo vuoi sapere, in quegli occhi ci ho visto soltanto una grande tristezza!”

Le due infermiere si scambiarono uno sguardo acuto, poi Candy si rialzò in piedi: “Ma allora lo conosci di persona…!!” esclamò.

Con rapide mosse, Andy si riannodò velocemente la cravatta, poi raccolse la giacca dallo schienale della poltrona.

“Sì” rispose asciuttamente, indossandola e riaccomodandosi al suo posto “e con ciò?”

Dopo essersi messa le mani sui fianchi, Candy White Andrew si piantò davanti alla scrivania dove sedeva il comandante della migliore e più temuta forza aerea tattica alleata.

“E con ciò, adesso tocca te sciogliere la lingua… signor generale!”

Contemplando quel grazioso visino spruzzato di lentiggini, Andy vi notò lo stesso energico sguardo che aveva mostrato sua moglie quando lo aveva costretto a comportarsi da uomo, dopo quel tragico ritorno seguito alla perdita del suo compagno Stear.[9] Cercando di dominare le sensazioni contrastanti di quella scoperta, il nostro aviatore si mise a tamburellare le dita sul tavolo…

“Che ne direste se ne parlassimo a cena...?” propose infine, rivolto alle due donne.



[1] Dove si erano svolti i fatti narrati nel 12° capitolo.

[2] Leggasi zero cinque e trenta, zero sei e quindici e zero sei e cinquanta.

[3] Squadriglia.

[4] O meglio lo diventò dopo la tragica fine dei cinque fratelli Sullivan, imbarcati sulla stessa nave. Significativa fu anche la vicenda dei quattro fratelli Ryan, arruolati nell’esercito, dalla quale è stato tratto il celebre film con Tom Hanks.

[5] Sono le decorazioni al merito, cucite sopra la tasca sinistra, sotto il distintivo di pilota.

[6] Se Terence Grenchester avesse potuto assistere a questa scena, avrebbe capito perché Corwallis aveva perso contro George Washington!

[7] Come disse in seguito il tenente Jimmy Curtright: “Il nostro comandante in capo non ci chiedeva mai di affrontare nessun tipo di rischio che non avrebbe affrontato anche lui!”

[8] Avete presente quelle “bocce” di vetro col rubinetto sotto che si vedono nei vecchi film in bianco e nero?

[9] Vedi capitolo 5.

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Capitolo 14
*** Buona fortuna, capitano! ***


Capitolo 9: Chi non muore si rivede

Capitolo 14: Buona fortuna, capitano!

 

UCPFH 14

 

 

I

l colonnello John Bart Richardson stava rapidamente scorrendo il rapporto appena steso dal comandante del personale di terra alla base di Lafayette, sede del 22° Gruppo da Bombardamento Strategico. Le notizie erano buone: tutti gli aerei erano stati rimessi in condizione di volare ed il reparto, sebbene ancora leggermente incompleto, avrebbe potuto intraprendere senza intoppi la missione del mattino dopo.

“A posto, sergente-maggiore” gli disse, restituendogli il modulo “un ottimo lavoro, come sempre.”

“Grazie, signor colonnello” rispose il giovane Daniel Horrop “è sempre un piacere lavorare per lei!”

I due si sorrisero. Fra il comandante del 22° BG e il capo-meccanico della base esisteva da sempre una totale e reciproca fiducia. Richardson era molto affezionato a quel giovane, che gli era stato passato in consegna lo stesso giorno in cui i 24 bombardieri del reparto avevano lasciato gli Stati Uniti alla volta dell’Inghilterra, nel Febbraio del ‘42. Il suo predecessore, l’anziano Gregor Macinski, mandato - a suo dire - “prematuramente” in pensione, lo aveva rassicurato, prima del decollo, che il giovane Horrop avrebbe saputo occuparsi egregiamente del suo apparecchio, poiché lui stesso lo aveva istruito a dovere!

E così era stato, effettivamente… anche se il colonnello Richardson aveva dovuto attendere un bel po’ prima di constatare la perizia del suo nuovo capo-meccanico. Durante il volo di trasferimento via Nuova Scozia, Groenlandia e Islanda, infatti, il B-24 Liberator del capo-gruppo, a causa di un guasto alla bussola magnetica, aveva subito una malaugurata deviazione verso il Polo Nord, conclusasi con un atterraggio di fortuna sul pack, una volta esaurito il carburante. Se lui ed i suoi nove compagni di viaggio non erano morti assiderati, lo si era dovuto ad uno di quegli strambi casi che confermano, alle volte, come l’immaginazione venga superata dalla realtà… un U-Boat tedesco aveva captato i disperati mayday del sergente Steve Davis (il marconista dell’aereo, poi perito nel violento impatto con la banchisa) e li aveva raccolti a bordo, vivi, anche se prigionieri!

L’equipaggio del Joltin’ Josie (nel cui ruolo di navigatore era presente anche il tenente Nancy Wilson, ex WAAF[1] e attuale consorte del colonnello) non avrebbe mai dimenticato i mesi trascorsi a bordo di quel claustrofobico battello, il cui comandante, korvettenkapitan Herbert Thyssen, era un individuo tanto cavalleresco quanto determinato… al punto da intraprendere un’incursione nel porto di New York quella stessa mattina di venerdì 20 Febbraio 1942, nella quale il compagno d’Accademia di Richardson (l’allora maggiore Greason) aveva avuto la felice opportunità di conoscere la notevole ragazza, ora immortalata sul muso del nuovo B-17 del 22° Gruppo.[2]  

Il volto del colonnello si rabbuiò all’improvviso… già, il Candy Candy: la nuova Fortezza arrivata proprio quel pomeriggio. Ma che accidente gli era preso a quei dannati pazzi? Non s’era mai vista una cosa del genere! Per fortuna il generale Eaker, comandante dell’Ottava Forza Aerea e il generale Spaatz, comandante dell’USAAF a Londra, provavano molta stima (il secondo anche amicizia) verso il comandante della Decima e probabilmente sarebbero riusciti ad insabbiare la cosa. Perché c’era da scommettere che, se la notizia fosse arrivata a Washington, il generale Hap Arnold non l’avrebbe fatta passare liscia né a lui, né allo stesso Andy Greason: quell’uomo, quand’era il caso, sapeva sostituire la sua gioviale comprensione con la severità più dura!

Naturalmente, quando il Candy Candy era tornato indietro ed era nuovamente atterrato (non prima che il sergente Johnson, l’operatore della torre, riuscisse faticosamente a persuadere il marconista, sergente Evans, che nel campo non c’erano più infermiere bionde in giro…) il bombardiere era stato circondato dagli MP e l’equipaggio messo immediatamente agli arresti di rigore: gli ufficiali in una cella, i sottufficiali in un’altra. Il puntatore, tenente Boyle, era abbastanza divertito dall’episodio, memore del suo passato da teppista negli slums di New York… anzi, quando il capitano Legan aveva ridato motore per filarsela, aveva fatto in tempo a riconoscere la loro inconsapevole “madrina” e a salutarla sorridendo con la mano agitata, del tutto incurante dello sguardo incenerente di costei! Dopo aver poi capito perché i loro piloti si fossero comportati in quel modo, avrebbe voluto farsi una bella risata, ma fece del suo meglio per contenersi, frenato dall’aria cupa del comandante e dal forte sgomento del co-pilota Curtright.

Di tutti i loro compagni, l’unico che non avesse capito era il mitragliere di coda, sergente Malone, che, stando dietro, non aveva visto nulla ed ora continuava a tampinare il collega Smith, mitragliere di fusoliera, del tutto riluttante a spiegarglielo. A parte quei due, tutti gli altri se ne stavano taciturni, immerso ciascuno nei propri pensieri, fino al momento in cui tre MP aprirono la porta della cella, informandoli che il primo e il secondo pilota erano attesi dal comandante del reparto.

I due si riscossero e seguirono docilmente le guardie, seguiti dallo sguardo preoccupato del navigatore Laffey e dal viatico canzonatorio di Boyle: “Buona fortuna, fratelli!”

“Va’ a farti fottere…!” ribatté Legan.

“Magari…!” rispose l’altro, a mezza voce.

***

Il sergente-maggiore Horrop se n’era appena andato, quando i piloti del fox-otto-uno-cinque[3] furono introdotti nell’ufficio del colonnello Richardson, seduto alla sua scrivania mentre consultava con attenzione alcuni sinistri fascicoli, contenenti (com’era facile intuire) i curriculum di servizio dei nuovi arrivati. Accanto al tavolo, eretto ed impettito con le braccia conserte, il maggiore Buck Lang, loro nuovo comandante di squadriglia, li fissava trucemente con tutta la sua severità teutonica.

Uditi i loro passi, il colonnello alzò gli occhi dalle scartoffie e li piantò sulle due figure che gli stavano di fronte, rigide nel saluto militare.

“Capitano Neal Legan a rapporto, signore!” disse il più anziano dei due, un ragazzo dai rossi capelli arruffati e dalla carnagione leggermente scura.

“Tenente James Curtright a rapporto, signore!” gli fece eco il suo compagno più giovane, quasi un ragazzino, come denunciava la sua faccia imberbe, sormontata da un ciuffo di capelli castani.

John B. Richardson li squadrò con faccia inespressiva, poi sbatté violentemente sul tavolo il fascicolo che teneva in mano, si alzò dalla poltrona e appoggiò i palmi sullo scrittoio, protendendosi in avanti con fare minaccioso…

“Bene arrivati, signori… o meglio, ben tornati!” esclamò, con ira mal repressa. Rimase in silenzio per un’altra manciata di secondi, poi gridò “E ALLORA…?!! VOLETE AVERE LA COMPIACENZA DI DIRMI COSA DIAVOLO V’ERA SALTATO IN MENTE?! O DEVO ASPETTARE FINO A DOMATTINA?”

Con la fronte madida di sudore, il superiore di grado fece per aprir bocca, ma fu preceduto dal subalterno: “È stata tutta colpa mia, colonnello. Non ho scuse e… sono costernato!”

“E anche indisciplinato” sentenziò il comandante di Gruppo aggrottando le sopracciglia “visto che ruba la parola al suo superiore diretto: è lui che deve rispondere, non lo conosce il regolamento?”

“Mi… mi scusi…” farfugliò il ragazzino, sudando più di Neal.

Mi scusi…?”

“…signore!” rimediò il poveretto, con un guizzo.

“Così va meglio” Richardson girò lo sguardo verso l’altro “allora, Legan…?”

Restando rigido con le braccia lungo i fianchi e lo sguardo verso il soffitto (come il regolamento prescriveva ci si comportasse durante il rimprovero di un superiore) il fratello della nemesi di Candy deglutì e - cercando di scacciare il ricordo di quando suo cugino Anthony lo aveva messo alle strette per fargli confessare l’intrigo della sorella, teso ad accusare di furto la nostra eroina - rispose con voce quasi ferma: “Mi assumo interamente la responsabilità di quanto è successo, signore… ma, con tutto il rispetto, si tratta di una responsabilità oggettiva: il nostro puntatore s’era allarmato per l’avvicinamento irregolare di quel seguimi, che stava venendo a tagliarci la strada… il qui presente tenente Curtright s’è affacciato al portello di prua per controllare… ha lanciato un grido… ed io, temendo per l’incolumità dell’equipaggio e dello stesso apparecchio, ho ritenuto opportuno allontanarmi.”

“Capisco” rispose il colonnello con voce strascicata, tornando a rivolgere l’attenzione al suo compagno “e perché ha gridato, signor Curtright?”

“Ecco, colonnello… io…” balbettò l’ex giovane mandriano “…come ha detto poc’anzi il mio comandante… quella jeep segnalatrice ci stava correndo addosso e…”

“Non racconti balle, tenente” intervenne inaspettatamente Buck Lang “lo abbiamo visto tutti che, quando lei ha spalancato la botola d’uscita, la jeep era già ferma sulla pista!”

Il giovanotto fu scosso da un brivido: “Sì, è vero, signor maggiore: la jeep era ferma… però, quella donna…”

“…poteva rappresentare una minaccia, signore!” il suo comandante concluse per lui.

Lang e Richardson si scambiarono un’occhiata curiosa, poi tornarono a fissare i due novellini: “Che genere di minaccia?” s’informò il comandante del 22° Gruppo, squadrando Legan col sopracciglio destro visibilmente alzato.

Raccogliendo tutta la faccia tosta che s’era fabbricato fin dalla più tenera età per far fronte alle sue due affettuose congiunte (almeno fino all’arrivo di Candy), Neal rispose asciutto: “In tutta franchezza, non saprei dirglielo, signore… tuttavia mi concederà che la presenza di una civile, a bordo di un mezzo militare che invade il circuito d’atterraggio di una base aerea, rappresenta una circostanza piuttosto ambigua… e del tutto meritevole di adottare le opportune precauzioni.”

“Come quella di ridecollare a serbatoi praticamente vuoti, col rischio di precipitare poco dopo per l’esaurimento del carburante?” ribatté il colonnello, con veemenza “Quel giocattolo costa trecentomila  dollari, lo sapevate?! Cosa direbbero i nostri contribuenti se sapessero come sprechiamo i loro sudati quattrini?”

“In quel caso, signore, ritengo che la mia famiglia avrebbe volentieri fatto fronte a…”

“La sua famiglia avrebbe fatto molto meglio a non permetterle di arruolarsi, Legan!! Ma dal momento che oramai, purtroppo, è qua, veda di mettersi in testa alla svelta che adesso lei appartiene all’aviazione dell’esercito. Saremo noi a rispondere del suo operato, d’ora in avanti e le garantisco che alla sua prossima stronzata, anche molto più piccola, non ci limiteremo a sospenderle la paghetta!! Sono stato chiaro…?!”

“Sì, signore…!”

“È chiaro anche per lei, tenente?”

“Chiarissimo, signor colonnello” rispose Jimmy, nervosamente “le possiamo garantire che una cosa del genere non si ripeterà mai più…!”

“Lo spero per voi” ribadì il comandante del reparto “ad ogni modo, prima di prendere servizio, starete agli arresti per altre 24 ore, tanto per schiarirvi le idee. Toglietemeli dai piedi!” ordinò infine al tenente degli MP.

“Sissignore. Scorta e prigionieri: per fianco destr… destr!! Avantiii… marsch!!”

Come il gruppetto fu uscito, Richardson sbuffò sonoramente, scuotendo la testa, prima di rivolgersi al maggiore Lang: “Te li affido, Buck. Mi raccomando: falli filare!”

“Può contarci, colonnello!” rispose costui, indossando il berretto prima di congedarsi.

***

“Bah… speriamo che gli alloggi per ufficiali offrano brande più confortevoli di queste…!” brontolò Charlie Boyle, dopo essersi svegliato, mentre si stiracchiava le membra indolenzite.

“Credevo che ci fossi abituato!” osservò malignamente Cookie Laffey, alludendo ai trascorsi di teppista del suo compagno di volo.

“Tappati il boccaporto, marinaio” grugnì il puntatore del Candy Candy, punto sul vivo “per tua norma, la pula di New York è riuscita a impacchettarmi soltanto una volta!”

“E quella degli altri Stati?” insistette, divertito, l’ufficiale di rotta.

“Ah, ma allora dillo, che ti prudono le mani…!” saltò su l’ex scapestrato, avvicinandosi minacciosamente all’antico mozzo della Seagull.

“Dateci un taglio, ragazzi” intervenne Jimmy Curtright, tra lo scocciato e il preoccupato “vi sembra il momento per litigare?”

“Tu non t’impicciare, cow-boy” replicò Charlie “potresti farti male!”

“Anche tu, se è per questo…!” rispose l’ex capo dei trovatelli della Casa di Pony gettando però uno sguardo verso il loro comandante, sperando intervenisse lui stesso per sedare il litigio con la propria autorità… ma Neal Legan se ne rimase supino sulla  branda, col volto coperto dal berretto d’ordinanza, come se nemmeno si fosse accorto dell’alterco scoppiato. Fortunatamente, prima che la situazione potesse degenerare, gli MP del giorno prima vennero a riaprire la porta: “Fuori, siete liberi!”

Neal sollevò col pollice la visiera del berretto, strizzando gli occhi alla luce del tramonto. Quindi si levò anche lui, borbottando, raccattò il suo giubbotto di volo e infilò la porta della cella senza degnare d’uno sguardo i suoi colleghi, che gli avevano fatto largo. Appena fuori dal Corpo di Guardia, i quattro ufficiali del Candy Candy trovarono ad attenderli i loro sei compagni, in piedi accanto a tre ufficiali della base.

“Spero che abbiate riposato bene, signori” li apostrofò ironicamente il più alto in grado “sono il maggiore O’Connor, coadiutore del colonnello Richardson. Il qui presente tenente Miller scorterà i sergenti al blocco sottufficiali e truppa, mentre il capitano Ferguson scorterà gli altri al blocco per gli ufficiali. Quanto a lei, capitano, abbia la compiacenza di seguirmi.”

“Per quale motivo?” non si trattenne dal domandare Neal, con la sua ancora non sopita impertinenza.

Ordini, comandante” gli rispose duramente il superiore, lanciandogli uno sguardo d’acciaio “è tempo che assimili a fondo il significato di questa parola!”

Il fratello di Iriza strinse la mascella, ma si sforzò di bofonchiare: “Signorsì…!” fece un rapido cenno di saluto al suo equipaggio, che cominciava a perdersi in congetture e si diresse verso la jeep indicatagli, già occupata da un autiere e da un altro MP.

*Dannati bastardi* imprecò mentalmente, mentre saliva sul divanetto posteriore *che ne sanno, loro? Credono davvero che da civile fossi un uomo libero?! Imbecilli…!*

Mentre la vettura si dirigeva verso l’uscita della base, un cupo rombo crescente cominciò a farsi sentire. Perso nei propri pensieri, il comandante del Candy Candy non vi prestò attenzione, finché un improvviso e vicinissimo scoppiettare di motori non gli fece alzare la testa: una Fortezza Volante col sottoala sinistro imbrattato d’olio e quello destro squarciato in più punti, incrociò dall’alto il suo veicolo, mentre completava la discesa verso la pista d’emergenza. Un paio di razzi giallastri partirono da una delle aperture per l’armamento difensivo e, subito dopo, il lamento delle sirene proveniente dalle ambulanze, iniziò ad accompagnare il rumore degli aerei che rientravano dall’odierna missione sul territorio nemico.[4]

Il nuovo acquisto della Decima Air Force rabbrividì, pensando a quanti suoi coetanei, feriti o magari già morti, stavano scendendo assieme ai quei bombardieri, manifestamente tartassati dalla Luftwaffe

*Questa che è stata una mossa furba, Neal Legan* disse a sé stesso, mentre si accendeva una sigaretta *quando la finirai di combinare cazzate, in questa tua vita di merda?!*

 

***

Quando la jeep varcò l’ingresso della base di Grant Field, sede del 99° Gruppo Caccia, il nipote meno preferito di William Andrew aveva già capito da chi lo stavano portando, nonostante il suo acume non avesse mai particolarmente brillato… e la cosa non gli andava particolarmente a genio, per lo meno in quel preciso momento.

In tutti i suoi ventuno anni era stato avvezzo ad essere continuamente disistimato: dalla madre che l’avrebbe voluto più distinto, dal padre che lo avrebbe voluto più intelligente, dalla sorella maggiore che lo considerava una nullità (e quella era stata la ferita peggiore[5]), dai cugini che ne detestavano il carattere (rovinato per il motivo precedente) e dagli amici che ne invidiavano la ricchezza. Per non parlare di quella persona, la cui effige faceva bella mostra di sé, proprio sul muso del suo apparecchio. Già… ma lei, almeno, aveva delle valide ragioni per non apprezzarlo, dopo tutto quel che le aveva combinato, al solo scopo di compiacere quell’arpia della sorella! E infatti quella persona era l’unica che lui non avesse mai detestato (almeno in cuor suo), tanto che avrebbe fatto volentieri un patto col Diavolo, pur di poter tornare indietro nel tempo e rovesciare addosso alla sua amata sorellina quel maledetto secchio d’acqua, che invece aveva dovuto rovesciare sulla povera Candy!

Era stato un folle - lo riconosceva tranquillamente - a credere di poterla conquistare con un mazzo di fiori e due complimenti, come sempre riusciva a fare con qualunque sciacquetta dell’alta società ed i suoi tentativi ulteriori erano stati, malauguratamente, sempre più meschini… molto meno i moventi, il più rispettabile dei quali era stato il genuino desiderio di trasformarsi in un gentiluomo, grazie soprattutto all’energia positiva che emanava da lei.

Dopotutto, più d’uno fra i suoi stessi compagni di volo era diventato una persona migliore, frequentandola anche solo per poco tempo: vedi Gil, il suo marconista o Bob, il suo mitragliere di coda. Per non parlare del suo stesso co-pilota Jimmy o persino di quel pezzo da galera di Charlie, il suo puntatore.

Dannazione, perché lui no? Perché non dare anche a lui una possibilità, una sola?!

Cos’aveva poi fatto di così irreparabile? Non le aveva mica gettato via una borsa di documenti dal treno, rischiando di farla licenziare, come Gil… o fattole venire un mezzo infarto costruendole la croce della sua benefattrice, come Bob. D’accordo, c’era stata quella cattura alla Saint Paul School… ma era stata una ragazzata, in fondo! Poi… vabbé, le aveva stracciato il biglietto della Prima di quell’attorucolo da strapazzo, a Broadway… ma, in fondo, di quello, si era poi pentito e lo spettacolo era riuscita a vederlo ugualmente, no?

Scosse la testa, gettando via disgustato il mozzicone mentre scendeva dalla jeep, che s’era arrestata presso il bordo della pista principale dell’aerodromo.

“Lei aspetti qui, signore!” gli disse l’MP.

Ma chi voleva prendere in giro? C’era stato ben di peggio, purtroppo… passi pure (si fa per dire) lo sporco tiro di farsi passare per Terence e farla venire di sera tardi in quella villa, sul lago… ma obbligare Candy a chiedere scusa in ginocchio per una colpa non commessa, affinché Dorothy (la loro cameriera) non venisse licenziata… o il complotto per farla apparire una ladra e mandare in Messico per punizione, erano atti assolutamente imperdonabili! E che di tali scelleratezze non ne fosse stato l’ideatore, ma unicamente il mero esecutore, non costituiva purtroppo un’attenuante... anzi, agli stessi occhi della donna che tuttora bramava, rappresentava piuttosto un’aggravante, come ulteriore patente di vigliaccheria!

Una sera, dopo essersi scolati un paio di bottiglie di gin, lo stesso Charlie gli aveva consigliato: “Dammi retta, capo: dimenticala e trovatene un’altra come lei. Ormai hai sopportato abbastanza!”

Già, faceva presto, lui… tanto, quelle come lei le vendevano in liquidazione! Maledizione, possibile che non capissero che se non fosse riuscito, non dico a farsi amare, ma almeno a farsi perdonare da lei, non avrebbe potuto più amare nessuna? In qualunque altra donna che lo avesse considerato per qualsiasi cosa che non fossero i suoi soldi, avrebbe inesorabilmente rivisto lei, anche se non fosse stata bionda, coi codini, le lentiggini e quei dannatissimi occhi azzurri!

Solo risalendo in qualche dannato modo la china della sua considerazione avrebbe potuto guardarsi allo specchio senza provare più quel maledetto disgusto per sé stesso, che non lo aveva più mollato dal giorno in cui era fuggito in lacrime da quel maledetto ricevimento![6] 

E vestire la divisa gli era sembrato un modo per riuscirci. Magari il più balordo, ma era l’unico che aveva saputo o potuto trovare. Che il motivo si celasse nella volontà di allacciare un filo col defunto cugino maggiore (anche lui invaghitosi di Candy, lo sapeva bene) o di espiare le sue colpe attraverso la crudezza della vita militare (codici rossi[7] compresi e da burba ne aveva subiti non pochi) o anche - nel peggiore dei casi - nel trovare la morte in battaglia come riscatto di una vita sbagliata, non avrebbe potuto saperlo nemmeno lui. Ciò che invece sapeva con certezza era che, presto o tardi, avrebbe dovuto affrontare di nuovo quella donna e risolvere quella maledetta faccenda una volta per tutte! Fino ad allora rimaneva sicuro di non potersi aspettare nessuna considerazione da chicchessia, per il semplice motivo che non ne meritava e non ne aveva mai meritata!

O almeno questo era quanto aveva da sempre constatato… fino a quando quell’imbelle di suo padre non gli aveva fatto recapitare quel modulo con la richiesta di trasferimento dalla Fanteria al Corpo Aereo dell’Esercito, firmata - per di più - da quel maggiore Andrew S. Greason della Quarta FA, già famoso per avere abbattuto una cinquantina di apparecchi giapponesi mentre volava con le Tigri Volanti sui cieli cinesi (guarda caso, lo stesso identico corpo dove s’era arruolato volontario suo cugino).

L’ex-pretendente della bionda orfanella era rimasto per un’ora nella camerata deserta, seduto sulla branda, a rileggere quel modulo, quella firma e la lettera con le istruzioni del padre su dove spedirlo, una volta compilato. Assieme alla preghiera di farlo al più presto.

Da quando sei venuto al mondo, non ho mai saputo far nulla di buono, per te. Ora ne ho, forse, l’ultima l’occasione. Ti supplico perciò di non sprecarla e di attenuare così il mio rimorso per essere stato un genitore inadeguato. Dio ti protegga, figlio mio!

Solo questo. Nessuna supplica di ritornare a casa, nessuna raccomandazione di farsi onore per difendere il “buon nome” della famiglia. Soltanto il desiderio di essergli utile in qualche modo. Per la prima volta…

Qualcosa era scattato nel cervello del secondogenito dei Legan, nonché quinto nipote del facoltoso William Albert Andrew (figlio del magnate Jacob Reginald): una scintilla d’orgoglio - finalmente positivo - che l’aveva spinto ad afferrare quell’esigua opportunità di rendere decente la sua arida esistenza. La possibilità di diventare una persona rispettabile… e tutto questo gli aveva anche fornito la volontà sufficiente per superare i duri allenamenti e i relativi test, guadagnando così quelle ali dorate che aveva poi contemplato per ore, appuntate sulla giacca della sua nuova uniforme da cadetto.

Ah, se Candy l’avesse potuto vedere, in quel momento… chissà!

Quando poi, diciotto mesi dopo, s’era visto assegnare al 22° Gruppo Bombardieri della neo-costituita Decima FA, diretta da quello stesso Andrew S. Greason che aveva avallato la sua richiesta di trasferimento, aveva ricevuto un’ulteriore smentita al fatto che nessuno al mondo avrebbe mai potuto apprezzarlo se prima non lo avesse fatto la piccola Candy.

Com’era possibile che l’asso degli assi dell’aviazione, l’aquila americana in persona, volesse proprio lui, l’insignificante Neal Legan, nella sua nuova organizzazione? Che suo cugino, in Cina, gli avesse parlato bene di lui? Piuttosto improbabile! Eppure…

Eppure il primo colloquio che aveva avuto con quell’uomo aveva rappresentato la migliore esperienza della sua vita. Neal se la ricordava bene ed ecco perché non avrebbe voluto rincontrarlo proprio adesso, dopo quella sciagurata performance sull’aeroporto di Lafayette: sarebbe stato disastroso perdere la stima della prima persona al mondo che aveva dimostrato uno scampolo di fiducia in lui!

*Invece, a quanto pare, non c’è verso di scamparla…!* si disse amaro, assistendo all’atterraggio dei caccia del 99° Gruppo, reduci dalla scorta ai bombardieri del 22° durante l’incursione sulle acciaierie francesi di Clermont-Ferrand…

Mentre, sulla più lontana pista n° 2 stavano scendendo i P-51 Mustang della 30a Squadriglia, sulla pista dov’era stato scodellato Legan cominciarono ad atterrare i P-47 della 10a, la medesima in cui volava il comandante dell’intera Forza Aerea. Ben presto, a dispetto della sua cospicua mole, un Thunderbolt con la NACA ricoperta da una vistosa scacchiera ed un’aquila ad ali spiegate, riprodotta dietro i flabelli del motore, si posò con la grazia di una leggiadra colomba a meno di cinquanta metri dal comandante del Delta-Fox, che si vide nel contempo superare da una jeep, occupata da un piccolo team di specialisti. Il loro capo arrestò la vettura praticamente davanti al carrello sinistro del caccia, per poi sbrigarsi ad arrampicarsi sull’ala per aprire il tettuccio dell’abitacolo.

“Bentornato, generale! Tutto OK…?”

Il pilota mostrò per conferma la mano col pollice alzato.

“Quanti, oggi?” domandò ancora il tenente Jonathan Carling, con la voce alta per coprire il rombo del motore.

Per tutta risposta, Andrew Steve Greason alzò anche indice, medio e anulare. Poi abbassò la mano per togliere il contatto.

“Super… altri quattro” esclamò entusiasta il fedele meccanico “dirò a Bruce di aggiornare il punteggio su Juggy,[8] finché c’è ancora spazio disponibile! Le ha dato qualche noia?”

L’asso scosse la testa mentre scavalcava il bordo dell’abitacolo: “Un vero zuccherino. Niente da stupirsi, finché ci metti le mani tu!” specificò, dando a Carling un’affettuosa pacca sulla schiena.

“Piacere mio, generale!”

Andy saltò giù dall’ala e si diresse lentamente verso quell’ufficiale che stava avvicinandosi a sua volta, con passo misurato. Come si trovarono a mezzo metro l’uno dall’altro, Neal s’irrigidì sull’attenti, eseguendo un saluto da manuale: “Buon pomeriggio, generale. Sono il capitano Legan. A rapporto, signore…!”

Il comandante della Decima restituì il saluto: “Ah… sì, sì…” disse poi, mentre si sfilava i guantoni da volo, tirandoli lentamente, dito per dito “…alla buon’ora. Bene, capitano, venga con me: faremo una piccola chiacchierata!”

“Sissignore…!” rispose lui, con voce semispenta. I due montarono sulla jeep dei meccanici, che si diresse subito, condotta dallo stesso Andy, verso il Quartier Generale. Anche se il tragitto non superava il mezzo chilometro, a Neal sembrò interminabile, soprattutto per la consapevolezza che stavolta la loro conversazione non sarebbe stata così amichevole com’era stata quella del loro primo incontro…

***

Due mesi prima (Febbraio 1944)…

“Grande, capo… un atterraggio perfetto, come sempre!” sentenziò il giovane co-pilota, mentre toglieva potenza ai motori.

“Ti meravigli, marmocchio?” lo schernì il suo futuro comandante, guardandolo di traverso, mentre iniziava a schiacciare i freni “Ormai potrei guidare questa carretta ad occhi chiusi. È un aereo molto docile.”    

“Sì, va abbastanza bene” commentò una voce alle loro spalle “ma penso che saranno necessari almeno due o tre voli supplementari, prima di dichiararvi idonei per il fronte operativo.”

Il primo pilota del B-17 si voltò all’indietro, mostrando un’espressione alquanto strafottente: “Vuole scherzare, colonnello? Siamo assolutamente pronti per iniziare a mollar bombe in testa ai crucchi e lei lo sa!”

L’ufficiale supervisore all’operatività dei nuovi equipaggi per il teatro europeo raffreddò significativamente lo sguardo: “Legan, quando imparerà a dare ascolto a chi ne sa più di lei?! Nel volo in formazione presentate ancora qualche leggera carenza e i crauti non saranno così premurosi da indicarvi cosa c’è che non va, se non a suon di pallottole e di granate esplosive! Non mi faccia perdere la pazienza, se non vuole che i voli diventino il doppio, intesi?” detto ciò si levò la cuffia e abbandonò la torretta difensiva superiore, che utilizzava come posto di osservazione, infilandosi nell’apertura che comunicava con il vano bombe.

“Agli ordini, signor… coglione…!!” concluse l’altro, a voce bassissima, ormai sicuro che il superiore non lo sentisse più. Al che, il “piccolo” Jimmy si cacciò la mano in bocca per trattenere le risate, per poi dire al suo collega: “Sai, Neal? Conosco una ragazza che ti avrebbe preso a schiaffoni per una cosa simile!”

“Allora presentamela.” ribatté l’altro, asciutto, con lo sguardo rivolto al pilota di terra, che agitava le sue palette per indicargli la piazzola di parcheggio.

“Eh, non credo che ti piacerebbe…!” lo avvisò il tenente Curtright, mentre iniziava a staccare i contatti sul quadro superiore.

“Non si può mai sapere!” commentò Neal mentre si calava nella botola fra i sedili di guida che dava accesso allo scomparto sottostante. Nel frattempo un aviere, dopo aver sistemato i tacchi d’arresto davanti alle ruote anteriori, aveva spalancato il portello sotto il muso dell’aeroplano: “Capitano Legan?” chiese.

“Sì!” rispose lui, seccato.

“La vogliono nell’ufficio del comandante, signore.”

Dopo avere infilato le gambe nel pertugio, sostenendosi con le braccia ai lati dello stesso, il pilota si lasciò cadere a terra.

“Che altro avrei combinato, questa volta?!” chiese poi allo specialista, mentre sgomitava all’indietro per riscaldare i muscoli, intorpiditi dal volo.

“Niente che io sappia, signore. Mi hanno semplicemente ordinato di riferirglielo.”

“Ok, ma prima andrò a prendermi un caffè caldo: questo è poco, ma sicuro!”

“Con rispetto, signore, ma il comandante sembrava piuttosto impaziente.”

“Non me ne frega un…”

“Neal…!!”

“Che vuoi, piccoletto?”

“Prendi e non fare cazzate: ti sei già inguaiato abbastanza!”

Il pilota afferrò al volo il termos che il suo secondo, sportosi dalla botola, gli aveva lanciato.

“Avevo detto caldo, vaquero del mio cuore!”

“Accontentati e fila: non voglio giocarmi la partenza per colpa tua…!”

Neal Legan lo squadrò con un ghigno divertito. Suo malgrado, s’era ormai affezionato a quel piccolo impertinente.

“Ma guarda quanta fretta d’andare a crepare che ha certa gente” disse, versandosi il caffè, ormai piuttosto tiepido “se lo sapesse la tua direttrice…”

“Bevi e sparisci, idiota…!” ribatté il compagno, disparendo all’interno.

Sghignazzando, il capitano si diresse verso la palazzina dell’aeroporto, quindi salì nell’ufficio del maggiore-generale Emmet O’Donnel, comandante della base di Quonset Field, nel Massachusetts, dove venivano messi a punto i nuovi equipaggi destinati alle Forze Aeree statunitensi basate in Gran Bretagna e nel Mediterraneo. Mentre la piacente ausiliaria gli teneva aperto l’uscio, lui fece appena in tempo a sussurrarle: “Nessun ripensamento per stasera…?”

Guardandolo brutto, il tenente in gonnella richiuse l’anta, al che Neal si voltò per avvicinarsi alla scrivania del comandante: “Mi voleva vedere, signore?” chiese sbattendo i tacchi e salutando correttamente.

“Non faccia dello spirito, capitano” lo freddò il generale, senza troppi complimenti “lo sa meglio di me che meno la vedo e più sono contento! C’è un’altra persona che desidera conoscerla…”

L’altro si volse verso la figura che aveva intravisto vicino alla finestra, non appena entrato, che a quelle parole si voltò, uscendo dalla penombra. Il rampollo dei Legan ebbe un lieve sussulto, riconoscendo l’aviatore più famoso dell’emisfero occidentale, il cui viso era scolpito nella memoria di tutto il Paese, grazie alle frequenza con cui appariva sulle testate di Time, Life e Newsweek[9]

Andrew Steve Greason, indossando una divisa da brigadiere-generale nuova fiammante, i cui nastrini saturavano lo spazio utile fra la tasca pettorale sinistra e la spilla con le ali d’ottone, si avvicinò reggendo il berretto d’ordinanza col braccio sinistro, mentre col destro tendeva la mano verso il nuovo venuto: “Il capitano Legan, suppongo…”

“Io... sì, signore…!” rispose costui, dopo un attimo di titubanza, intimorito dalla fama dell’individuo che aveva di fronte. Anni ed anni d’indottrinamento familiare sul rispetto dovuto alle persone più importanti si facevano sentire, ben più dell’addestramento ricevuto - e spesso rafforzato dalle opportune sanzioni - sull’osservanza del regolamento.

“Molto piacere: Andrew Steve Greason!”

Il tono franco, la stretta virile, lo sguardo limpido del superiore e il suo sorriso aperto misero quel giovane spostato curiosamente a suo agio come mai s’era trovato davanti ad un suo simile, fin da quand’era nato.

O’Donnell si mosse verso l’uscio: “Vi lascio soli.” annunciò.

“Grazie, generale!” rispose Andy. Andò quindi a sedersi sulla poltrona del comandante della base e fece cenno al capitano di servirsi della sedia, posta davanti alla scrivania.

“Si accomodi, capitano!”

“D’accordo” rispose questi. Subito dopo si corresse “volevo dire… grazie, signore!”

Un altro sorriso, percettibilmente più largo, tornò ad illuminare il volto del suo interlocutore: “Mi piacciono gli uomini decisi a rimediare ai propri errori!”

“Mi scusi…?” chiese Neal, lievemente spiazzato.

Greason sollevò un modulo dallo scrittoio: “Ho letto che lei, da quand’è sotto le armi, ha collezionato parecchie note negative. Nondimeno ha imparato, poco a poco, che il rispetto per i superiori e fra i commilitoni - al di là della loro estrazione sociale - possono portare anche dei ritorni positivi. Non ultima, una considerazione disinteressata. Mi sbaglio…?”

Rialzandosi dal foglio, gli occhi di quel giovane generale ad una stella si erano puntati contro i suoi. Legan dovette schiarirsi la voce, prima di rispondere: “Beh, ecco… sinceramente, credo di… credo di averlo constatato, signore.”

Andy riposò il foglio sul tavolo e giunse le mani, appoggiandovi il mento: “E come ci si è trovato?”

Sconcertato da quel secondo contropiede, Neal corrugò le sopracciglia, percependo la netta sensazione che quell’uomo, appena conosciuto, ne sapesse su di lui più di quanto volesse far intendere. Ma questa sensazione, che normalmente gli sarebbe apparsa piuttosto sgradevole, gli stava dando invece un insolito senso di sicurezza.

“Beh… non male, devo ammetterlo! Certo, all’inizio, non è stato facile… se avrà letto il mio curriculum, saprà che appartengo a una famiglia altolocata. Essendo abituato a non sentirmi dare del tu, se non dai parenti più stretti, fin da quando sapevo camminare… ho dovuto fare a pugni col mio orgoglio, per abituarmi.”

“Sarà stata dura, eh?”

Neal raddrizzò il busto: “Abbastanza, signore! Ma, con tutto il rispetto, perché me lo chiede?”

Greason posò le mani sugli avambracci: “Non le hanno ancora detto nulla circa la sua prossima destinazione?”

“Non ancora. Soltanto che il mio equipaggio verrà assegnato all’ETO.”[10]

“Bene… sappia allora che entrerete a far parte del Gruppo da Bombardamento Strategico della mia nuova Decima Forza Aerea.”

Legan rimase a bocca aperta, poi farfugliò: “Sta… sta scherzando, signore?!”

Andy scosse la testa: “Niente affatto! Non ho l’abitudine di burlarmi dei miei futuri collaboratori. Che invece, come ben comprenderà, desidero conoscere personalmente.”

Quel terzo contropiede fu davvero micidiale. Ma come? Andrew Steve Greason, l’aquila americana, l’eroe dell’aria nazionale aveva scelto lui, Neal Legan, il nipote degenere di William Albert Andrew, definito un buonannulla dall’intero parentado, come capo-equipaggio del reparto cardine per lo smantellamento delle retrovie tedesche nella Francia occupata? Ma lo sapeva con quale soggetto aveva a che fare? Era al corrente di tutto ciò che aveva combinato? Va bene, nella vita privata sicuramente no… ma sarebbero comunque bastate le sue pessime note militari (se non quelle tecniche, almeno quelle morali) per farlo rispedire a calcioni dalla sua deliziosa famigliola!

Suo malgrado, gli venne da ridere… cercò di frenarsi, ma senza successo; tutto quel che poté fare fu tapparsi la bocca, ma gli inevitabili singulti durarono fin tanto che ebbe fiato in gola. Dopodiché, cercando di ricomporsi, s’affrettò a dichiarare: “Chiedo scusa, signore: è stato più forte di me! Tuttavia… sempre col dovuto rispetto…  insomma, è sicuro di sentirsi bene?!”

“Ci tengo particolarmente alla mia salute” gli rispose il generale, con una smorfia divertita “non per nulla ho sposato un’infermiera.”

“Come…??!” alzò la voce Neal, spalancando gli orecchi.

“Un’infermiera. Mia moglie è infermiera.”

Un’infermiera…?!” ripeté l’altro a mezza voce, visibilmente sconvolto.

“Sì.”

“E… come si chiama…??”

Stavolta fu l’asso a restare spiazzato da quella domanda. Nondimeno si compiacque di rispondere: “Flanny. Hamilton, da nubile. Perché?”

“Ah… capisco. Bene, bene!” borbottò Neal, aspirando una buona boccata d’aria.

“Qualcosa non va?” s’informò il superiore, premurosamente.

“No, no… tutto a posto! Per un attimo ho creduto che… ma cosa vado a pensare?! Eh, eh, eh…!”

Greason tornò a scuotere la testa: “In effetti mi avevano avvertito che lei era un tipo singolare!”

“Già… me lo dicono tutti… ah, ah, ah…!” convenne Neal mettendosi - forse per la prima volta in vita sua - la mano dietro la nuca.

“Bene. A questo punto vorrei farle una domanda abbastanza personale…”

“Come desidera, signore!” annuì il suo nuovo subordinato, tornato di colpo completamente formale.

Volendo invece riaccorciare le distanze, il nostro asso tornò a sorridergli, facendo un gesto pacato con la mano: “Ascolti, Neal… vorrei che ci parlassimo francamente, da uomo a uomo. Dimentichiamoci dei gradi, per il momento: se vuole, in via del tutto eccezionale, può chiamarmi Andy. Che ne dice?”

“Se la chiamo Andrew, fa lo stesso…?”

Il nostro asso rimase spiazzato di nuovo. Quella conversazione stava diventando una specie di partita a ping-pong, gioco nel quale il terrore della Luftwaffe era sempre stato un’emerita frana.

“Naturalmente” rispose, perplesso “non le garbano i diminutivi?”

“No, le pare? Solo certi suffissi…!”

Il superiore lo squadrò attentamente, grattandosi il mento: “Le piacciono gli indovinelli, eh?”

“Oh, no, signore. Decisamente no!”

“A me, invece, sì… scommettiamo dieci dollari che indovino l’iniziale del nome che non le piace sentir richiamare foneticamente?”

Sentendosi piccato da quell’atteggiamento (ma non aveva detto che non era suo costume burlarsi dei collaboratori?) il mai del tutto placato orgoglio di Neal lo spinse ad esclamare: “Ci sto, signore: ecco i miei” e sbatté un deca sopra il tavolo “e i suoi…?” chiese poi, vedendo che il superiore non faceva altrettanto.

“Non serve: è la C!” rispose l’asso, afferrando il verdone.

Legan sbarrò tanto d’occhi: “Come ha fatto a…?”

“Semplice esclusione, amico” rispose serafico l’altro, intascando la banconota “ci sono soltanto quattro nomi abbreviati che finiscono come il mio, compreso il mio… e sono tutti maschili, tranne uno!”[11]

“Lei è diabolico…!” sibilò il capitano.

“No, sono solo fortunato… e il fatto che ci abbia azzeccato mi porta alla domanda che volevo farle…”

“Che sarebbe?”

“Perché ha deciso di arruolarsi?”

Il giovane lo fissò a lungo, per poi ribattere: “Devo proprio rispondere?”

L’asso scosse la testa ancora una volta: “Faccia come crede, Neal: non voglio obbligarla.”

Legan abbassò la testa, continuando a riflettere. Infine parlò: “Ero stanco di essere scontento di me stesso… stanco del disprezzo suscitato in chi avrebbe dovuto considerarmi… o che avrei voluto mi considerasse! Così com’ero stanco dell’adulazione ipocrita delle persone di cui, invece, non m’importava nulla. Non so, forse volevo anche punirmi... però…” rialzò lo sguardo verso il suo nuovo comandante “…volevo anche rifarmi una vita, signore!”

Andrew Steve Greason lo fissò con espressione seria. Quindi si alzò per girare intorno alla scrivania e avvicinarsi al suo interlocutore, che a sua volta si alzò in piedi, di scatto.

“Okay, Legan” cominciò, posandogli una mano sulla spalla, guardandolo bonariamente “forse non sono bravo a indovinare tutte le cose… e certo non posso assolverla io per quanto di sbagliato abbia fatto finora. Per quello dovrà vedersela con la sua coscienza, anche se ritengo che, da quanto ha passato come recluta, sia già stato abbastanza punito” lui fece un mesto sorriso “comunque…” il viso di Andy si rifece serio “…per ciò che farà da questo momento, dovrà risponderne a me… e se saprà mettere a frutto le lezioni del passato, sono certo che troverà quell’equilibrio e quella rispettabilità che ormai le spettano di diritto” gli lasciò la spalla e gli tese la mano “vuole rifarsi una vita? Bene: la Decima Forza Aerea le darà quest’occasione!”

Avvertendo un discreto pizzicore agli occhi, il cugino “acquisito” di Candy strinse fortemente la mano di quell’individuo che, primo fra tutti, gli aveva rivolto parole di autentico rispetto: “M’impegnerò al massimo per non deluderla, generale. Glielo giuro!”

L’asso annuì, sorridendo: “Buona fortuna, capitano: ci rivedremo in Inghilterra.”

“Arrivederci, signore!”

Detto ciò, il nuovo ufficiale del 22° Gruppo da Bombardamento, del 1° Stormo Strategico della Decima Forza Aerea USA, salutò impeccabilmente, fece un perfetto dietro-front ed uscì dalla stanza.

Quando raggiunse nuovamente il suo co-pilota, questi lo abbordò scherzoso: “Tutto bene, eccellenza?” era il titolo che ogni tanto gli affibbiava per sfotterlo sul suo “nobile” casato “Mi ha detto un uccellino che hai visto il futuro grande capo… non mi dirai che ti ha già mollato il suo primo cicchetto?!”

Il compagno estrasse lo zippo e il pacchetto delle Camel, per poi accendersene una con le mani tremolanti.

“Mi ha soffiato dieci dollari!” disse poi, osservando salire il fumo appena espirato.

“Cosa…?!”

Neal gli raccontò l’episodio della scommessa, ma il piccolo Jimmy non rimase troppo convinto: “Senti, fratello: ti vedo troppo sconvolto per avere perso soltanto un deca, soprattutto un creso come te. C’è dell’altro, quindi sputa!”

“Mi ha parlato come un padre” disse allora Neal, con lo sguardo fisso nel cielo “che sensazione strana!”

“Che cosa vuoi dire?” insistette ancora l’ex piccolo cow-boy.

“Che non c’ero abituato, Jim: non l’aveva mai fatto nessuno…!”

***

Ma stavolta il generale Andrew Steve Greason, comandante della Decima Forza Aerea in Gran Bretagna, non sarebbe stato così comprensivo e il capitano Legan, comandante del Candy Candy lo sapeva perfettamente.

*Sono davvero un idiota incallito* si disse tristemente, intanto che lo seguiva nel suo ufficio *come al solito, ho rovinato tutto!*

“Ti spiace andarti a prendere un caffè, James?” disse l’asso al suo luogotenente “avrei una faccenduola da sbrigare.”

“Nient’affatto” rispose il colonnello Stone “ci vediamo più tardi.”

Scambiò il saluto d’obbligo col capitano e uscì dalla stanza. Greason, invece, aperto il mobiletto dietro la scrivania, estrasse la sua preziosa bottiglia di Scotch, insieme a due bicchieri. Li posò sul tavolo, li riempì per metà e mentre si portava il proprio alla bocca, ordinò al suo perplesso subalterno: “Beva, capitano.”

Meccanicamente, Neal afferrò il bicchiere e se lo vuotò tutto d’un fiato…

“Niente male” commentò l’asso “una volta ci riuscivo anch’io… ma da quando mi sono sposato ho dovuto, via via, perderne l’abitudine” sorseggiò il suo whisky e incrociò le braccia, rimanendo seduto sullo scrittoio “forza maggiore, caro Legan…!” concluse, lanciandogli uno sguardo significativo.

“Sta forse cercando di consolarmi, signore?” chiese Neal, ostentando un’amara ironia.

Il suo superiore posò il bicchiere sul tavolo: “Non l’ho chiamata qui per parlare dei suoi problemi sentimentali, capitano… ma solo per farle presente che il governo degli Stati Uniti ha investito qualcosa come ventimila dollari nella sua persona, per metterla in grado di compiere un determinato lavoro. La sua felicità può anche starmi a cuore come uomo, ma come comandante in capo della sua Forza Aerea, il mio preciso compito è quello di vigilare sulla sua efficienza in combattimento. E, ancora di più, sulla sua attitudine ad avere cura delle persone che le sono state affidate. Mi ha capito bene?”

Il tono di Andy, pur non essendo incollerito, era però abbastanza tagliente da penetrare a fondo nell’animo dell’interlocutore, che infatti arrossì, abbassando colpevolmente lo sguardo: “Sono… davvero dispiaciuto per quell’increscioso incidente. Le assicuro che non si ripeterà… e la prego di accettare le mie più sincere scuse!”

Il generale emise un leggero grugnito: “Neal, non mi servono le sue scuse… perché, se non le avessi già accettate fin da ieri, a quest’ora lei si troverebbe già imbarcato sopra un cargo: dritto sparato in Patria, verso le amorevoli grinfie di sua madre e della sua deliziosa sorellina…!”

Un brivido forte e secco scosse violentemente le membra dell’ufficiale pilota…

“Già… sono sicuro che una sanzione del genere sarebbe molto più pesante di qualunque campo militare detentivo, non è vero?” gli chiese, guardandolo di sottecchi. Lui non rispose, ma la sua espressione era comunque abbastanza eloquente.

“D’altra parte” continuò il generale, passeggiando per la stanza con le mani dietro la schiena “sono altresì convinto che sarebbe un vero peccato mandare in malora tutto il lavoro che abbiamo svolto fino ad oggi. Che gliene pare?” chiese, infine, rivolgendogli uno sguardo acuto.

L’interessato deglutì un paio di volte: “Credo che abbia ragione, signore…!”

Crede…?”

“Cioè… ne sono convinto!” si affrettò a precisare, sentendo le gocce di sudore che gli scorrevano sulla fronte.

“Bene…” il superiore si piantò davanti a lui, fissandolo intensamente “…e allora s’impegni a mettere in pratica questa sua convinzione, in qualunque modo possibile. E non solo in servizio… mi sono spiegato?”

“Perfettamente, signore!”

Andy tornò presso il tavolo e riempì nuovamente i bicchieri. Poi porse il suo al capitano, dicendogli, con tono nuovamente bonario: “E adesso, se non le dispiace, mi spieghi il motivo di quella fuga precipitosa, dopo il vostro arrivo a Lafayette Field!”

Al vecchio Neal, già lietamente convinto d’essersela cavata così a buon mercato, andò naturalmente di traverso il whisky e ci vollero diverse pacche sulla schiena da parte del suo benefattore per consentirgli di riprendere un respiro regolare…

“Io… io credevo che… sapesse già tutto, generale…!” ribatté, non appena gli fu possibile.

“Non si preoccupi di quello che so… è la sua versione che m’interessa!”

“Beh, ecco… vede, generale… io… anzi, tutti noi… avevamo avuto… qualche problemino con quella donna, signore …!”

Andy Greason aprì la bocca, mostrando un’espressione da finto mammalucco: “Ah, ora capisco! Ma certo, adesso è tutto chiaro… poteva ben dirlo subito, no?”

L’altro abbozzò un sorriso forzato: “La ringrazio per la sua comprensione, signore…!”

“Ma si figuri, Neal” ribadì il superiore, sorridendo “dovere…”

Ma il sorriso dell’ex damerino di casa Legan si spense all’unisono con la grinta del generale, riabbuiatasi all’istante: “MA COSA DIAVOLO CREDEVATE CHE FOSSE, QUESTA? LA LEGIONE STRANIERA? O UNA SPECIE DI SANATORIO PER GLI SPASIMANTI RESPINTI?!” gridò, adesso veramente furioso.

“Mm… ma  signore, io…” balbettò il poveretto.

“Forse voi non avete ancora ben chiaro di cosa vi troverete di fronte, quando andrete in azione! Se vi basta una gonnella un po’ incazzata per produrvi un effetto del genere, come credete di poter sopravvivere alle raffiche da 30 dei caccia tedeschi o alle granate da 88 della Flak?!”

Dopo essere rimasto ammutolito per vari secondi, Neal Legan riuscì a trovare, caso unico nella sua storia, la migliore risposta che poteva dare in quella circostanza, anche se forse non era la più sensata: “Un proiettile può soltanto uccidere, generale…!”

Ma questi, pur intuendone l’intenzione ironica, decise di prenderla sul serio: “È dunque la morte che è venuto a cercare qui, capitano?” gli chiese, aggrottando la fronte.

L’altro rimase sconcertato per un attimo: “Tempo addietro, forse sì…” rispose poi “…ma ora non più!”

“E allora si ricordi di tutto ciò che le ho detto: qui ci servono piloti vivi, non sprovveduti morti…!” subito dopo, però, come pentendosi immediatamente di quelle parole, Andy distolse lo sguardo e tornò alla scrivania, cominciando a rimestare le carte posate lì sopra.[12]

Neal, dal canto suo, non parve farci caso, limitandosi a promettere: “Me ne ricorderò, signore…!”

“Può andare.” lo congedò l’asso, sempre voltandogli la schiena.

“Signorsì!”

Dopo essersi chiuso la porta alle spalle, Legan dovette appoggiarvisi colla schiena, scivolando poi di qualche decimetro verso il basso…

“Porco Giuda, Candy…” mormorò “…sta’ a vedere che ho trovato finalmente uno dei tuoi parenti…!”

Poco dopo, nel dirigersi verso l’uscita dell’edificio, si concesse una seconda battuta di spirito: “E adesso so anche perché ti avevano mollato alla Casa di Pony: eravate decisamente in troppi, tutti e due…!”

 

 

 

 

 



[1] Women's Auxiliary Air Force: il corpo ausiliario femminile dell’arma aerea.

[2] Come i lettori ricorderanno, l’incursione di quell’U-Boat fa da sfondo agli avvenimenti narrati nel capitolo 8 (Il giorno più lungo dei Greason). Se un giorno avrete l’opportunità di leggere il racconto Le Due Aquile, scritto a quattro mani con il mio migliore amico, scoprirete che Richardson ed i suoi compagni avevano approfittato di quell’occasione per scappare in città, anche se poi gli era andata a buca!

[3] Il codice di chiamata radio del Candy Candy, formato dalla lettera F (identificativa del velivolo) e dalle ultime tre cifre della matricola di fabbricazione.

[4] Con quei razzi gli equipaggi in arrivo segnalavano al personale della base la presenza di feriti a bordo.

[5] Almeno secondo la mia personale interpretazione (anche se potrei sbagliarmi).

[6] Nel corso del quale, secondo i piani della signora Legan e della zia Elroy, sarebbe stato annunciato il suo fidanzamento con Candy.

[7] Se volete sapere cos’è un Codice Rosso guardatevi il film Codice d’Onore, con Tom Cruise, Jack Nicholson e Demy Moore.

[8] Pronuncia giagghi: sarebbe una contrazione di Juggernaut (il carro di…), soprannome dato al P-47 per via della sua stazza massiccia (anche se spesso, come già accennato, il termine era abbreviato in Jug, che vuol dire brocca).

[9] Una volta, per fare uno scherzo a Flanny, alcune sue colleghe avevano riempito di baci una di quelle pubblicazioni, dopo essersi date il rossetto. Per fortuna Candy aveva intercettato la rivista in tempo e l’aveva gettata nell’inceneritore.

[10] European Theatre Operations (Teatro Europeo d’Operazioni).

[11] I nomi in questione sono: Andy (diminutivo di Andrew), Randy (diminutivo di Raymond), Sandy (diminutivo di Alexander) e Candy (diminutivo di Candice) unico nome femminile!

[12] Un pentimento certamente dovuto all’ancor doloroso ricordo del povero Stear Cornwell.

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Capitolo 15
*** Il Preludio ***


Capitolo 9: Chi non muore si rivede

Capitolo 15: Il Preludio

 

UCPFH 15

 

 

“C

he fai, Andy?! Attento: c’è la precedenza a sinistra!”

“Cacchio, hai ragione” il collega lanciò un bonario gesto di scusa all’automobilista londinese, che aveva dovuto frenare bruscamente “ogni tanto me lo scordo…!”

“Era meglio se guidavo io: ti vedo abbastanza stressato, da un po’ di tempo!” osservò James Stone, col suo consueto tono paternalista.

“Hai buoni occhi, allora. Comunque vorrei sapere chi glielo fa fare a questi Limey[1] di circolare in senso contrario a tutto il resto del mondo!”

“Non lo sapevi che un tempo la circolazione a sinistra era diffusa in  tutta l’Europa?”

“Ma và! Sul serio?”

“Sicuro. Furono gli antichi romani a istituirla. Poi Napoleone la modificò durante il suo dominio su gran parte del continente. Soltanto le isole britanniche mantennero il retaggio della passata colonizzazione.”

“Cribbio, sei una vera enciclopedia” dopo questo banale commento, sul viso dell’asso passò come un’ombra “mi ricordi vagamente una persona…”

“E chi sarebbe?”

“Già… chi…!” borbottò Andy, a denti stretti. Poi sospirò “Beh, si tratta di…”

“Cos’è quel casermone, laggiù? Un convento?” lo interruppe James, colpito dall’imponenza di un edificio che si ergeva oltre una vistosa cancellata, delimitante un bellissimo parco. 

Il compagno si volse nella direzione indicatagli e il suo aspetto parve incupirsi maggiormente: “È un collegio.” spiegò.

“Alla faccia: non si trattano mica male!”

“Vorrei vedere” commentò l’asso, con ironia “è la Royal St. Paul, una delle scuole più prestigiose del Regno Unito!”

“Ah, però…” esclamò Stone “…ma non è quella dove ha studiato l’amica di Flanny?” chiese poi, dopo aver fatto mente locale.

“Affermativo” rispose Andy, condizionato da anni di gergo militare “insieme al suo beneamato istrione!”

Il fedele secondo voleva star zitto, ma la tentazione prevalse: “Quindi, in poche parole… quel College ha più o meno assunto il ruolo che l’ospedale da campo di Kunming ha rappresentato per voialtri due!”

“Diciamo di sì… a parte il fatto che io e Flanny ci siamo sposati.”

“Già… qualcuno direbbe che gli yankies si sono inteneriti, dai tempi di Yorktown.”[2]

“Che risate!”

“Scherzavo. Chissà perché, invece, quei due non…”

“Ti spiace se cambiamo argomento?! Sei poco professionale, stamani.”

“In che senso?”

“Non mi hai nemmeno chiesto perché stiamo andando da Spaatz.”

“Hai ragione, non è da me” ammise James, ridacchiando “ma prima posso farti un’ultima domanda frivola?”

“Se ci tieni…” sospirò il generale.

“Chi è la persona che ti ho fatto ricordare con la mia onniscienza?”

L’amico strinse la mascella, concentrandosi sulla guida. Rassegnato a rimanere senza risposta, James si accontentò di contemplare le limacciose acque del Tamigi, scorrenti sotto il Tower Bridge che stavano attraversando in quel momento. Poi, all’improvviso, il suo compagno soddisfece la sua curiosità: “Patty O’Brian…!”[3]

Bastò quel nome per schiarire le idee al fedele coadiutore, che si lisciò nervosamente la fronte: “Capisco… scusami, Andy!” borbottò.

“Figurati… che c’entri, tu? Poi, più che altro, è stato a vedere quella maledetta scuola!”

“Vuoi forse dire che ha studiato lì anche lei?”

“Sì… e anche Archie Cornwell, con la moglie.”

James scosse la testa, colpito da tutte quelle coincidenze. Poco dopo domandò, con un guizzo improvviso: “E anche…”

“Anche!”

Il vice-comandante della Decima emise un soffio prolungato e, dopo qualche istante, non poté fare a meno di commentare: “Il mondo è veramente piccolo!”

“Già” confermò l’amico, con tono amaro “troppo…!”

***

In effetti, fra tutte le esperienze negative che il nostro amico, al pari di ogni altro, aveva dovuto affrontare nel corso della sua esistenza, quella era stata indubbiamente la peggiore. Era successo giusto un paio d’anni prima, alla vigilia della loro partenza per l’Europa, il primo giorno di Aprile del 1942…

“Un’uscita tutte insieme, stasera…?” chiese Flanny.

“Sì, che te ne pare?” annuì gaiamente Judith “Sarebbe un modo simpatico per salutare New York, prima dell’imbarco di dopodomani!”

“Può darsi” ammise l’altra “ma sono piuttosto stanca e temo che vi rovinerei la festa. Poi lo sai che non vado pazza per le cose mondane!”

“Mondane?” obiettò l’altra “Ma se saremo solamente noi cinque! Sempre che tu” aggiunse, argutamente “non preferisca passare la sera con il maritino…”

“Scherzi? In fondo stiamo sempre appiccicati… ormai deve averne fin sopra i capelli, di me!”

Per quanto la sua battuta fosse stata del tutto priva di sottintesi, la buona Judy si rese conto di averla detta grossa. In realtà, i due coniugi non si vedevano da quasi due settimane: l’imminente partenza dall’ospedale St.Jacob aveva imposto un surmenage spaventoso alle ex allieve della Scuola Mary Jane, dovendo loro istruire anche le colleghe che le avrebbero rimpiazzate. Per tutto quel periodo avevano infatti dormito sempre in ospedale; ma,  quella sera, erano finalmente libere.

“Perdonami, Flanny… parlo sempre troppo in fretta” si scusò la rossa, mortificata “vorrà dire che andremo da sole.”

“Ma va, scherzavo” le sorrise la compagna, allungandole un buffetto “ci sarò, ci sarò.”

“Davvero?” gli occhi di Judy tornarono a illuminarsi “Fantastico! Naturalmente puoi portare anche lui” si affrettò ad aggiungere, con un guizzo “anzi, mi stavo proprio dimenticando di dirtelo!”

“Dirmi cosa?” chiese Flanny mentre finiva di riporre delle attrezzature.

“Che lo avremmo invitato comunque!” specificò Judy.

La signora Greason le rivolse uno sguardo decisamente obliquo: “Siete sempre molto gentili!” dichiarò, dopo averla vista arrossire come un peperone.

Ormai conosceva fin troppo il “debole” provato dalle colleghe per il suo prestante consorte, con la probabile eccezione di Candy. Si ricordava come fosse ieri, quand’erano andati fuori a cena, insieme con Judy e Natalie, a Honolulu, pochi giorni prima dell’attacco giapponese… la loro rubizza collega se l’era mangiato letteralmente cogli occhi e Flanny aveva udito la castana sussurrarle: “Judy, insomma: lasciagli almeno uno scampolo d’uniforme addosso…!”

Comunque, dopo avere accusato il colpo, la rossa riferì alla mora che li avrebbero aspettati per le otto al 21[4] e si congedò velocemente. Scuotendo divertita la testa, Flanny si diresse verso lo spogliatoio per riporre l’uniforme.

“Buonasera, Flanny. Vai già via?” le chiese Candy, incrociandola, in corridoio.

“Come vedi. E tu?”

“Ne ho ancora per mezzora.”

“Allora ci vediamo più tardi.”

“E dove…?” chiese la bionda, perplessa.

“Beh, non vieni al 21 anche tu?”

“Ah, già” sconcertata, la compagna si batté la fronte “è vero: la cena! Eleonor me ne aveva accennato… ma purtroppo ho un impegno!”

“Oh, davvero?” l’espressione dell’amica mostrava un sincero disappunto “Non puoi proprio rimandare?”

“E come faccio, se partiamo dopodomani?” la bionda allargò le braccia, sconsolata “Il fatto è che una mia amica carissima si trova in città solo stasera e mi ha chiesto se potevamo stare insieme. Non la vedevo da un pezzo e, se non colgo l’occasione, chissà quando ne avrò un’altra…”

“Capisco. Beh, porta anche lei, no?”

“In effetti…” Candy rifletté un momentino “…se a voi non dispiace…”

“Nessun problema” confermò la mora “alle otto al 21, ricordati.”

“D’accordo… grazie Flanny!” replicò l’amica, con uno dei suoi sorrisi più solari.

***

“Siamo arrivati!” annunciò Andy fermando la Chevrolet davanti all’ingresso del ristorante. L’usciere s’affrettò ad aprire la portiera del passeggero e a far scendere Flanny, che ringraziò con un sorriso imbarazzato. Poi si portò la mano al berretto per salutare l’ufficiale dell’USAAF, che gli allungò un biglietto da 5 dollari: “Pensa lei alla vettura?”

“Certamente, signore. Benvenuti al 21!”

Andy mise un braccio sulla spalla della moglie, mentre superavano l’entrata. Flanny sospirò, cercando di nascondere quel leggero disappunto che le provocavano posti del genere. L’unica cosa che non le piaceva del suo matrimonio era il salto di classe sociale che la posizione del marito le aveva procurato, accusandosi talvolta d’ingenuità per non aver previsto questo aspetto!

“Tutto bene, cara?”

“Eh…? Ma certo!”

“Senti, ma di chi è stata l’idea di venire proprio qui?”

Flanny storse la bocca: “È stata Eleanor… lei ha un debole per questi posti. E grazie tante: la sua famiglia è ricca sfondata!”

Il maggiore avvertì una fitta intercostale: “Beh…” farfugliò “…non è bello che anche persone provenienti dalle classi altolocate scelgano un lavoro nobile come il vostro?”

“Può darsi” rispose la moglie, con bonaria sufficienza, mentre il maître li guidava premurosamente attraverso le sale. In fondo si era un po’ pentita delle dure parole che aveva rivolto a Candy quando aveva appurato la sua parentela con gli Andrew “se è per questo, trovo positivo anche il fatto che a rischiare la pelle per difendere la libertà non ci vadano soltanto i poveri!” aggiunse poi, sorridendo affettuosamente al compagno.

“Eh, già… sicuro!” convenne lui, tergendosi furtivamente la fronte, dopo che lei aveva voltato la testa. Ricordava bene cos’era successo quando Flanny aveva scoperto che anche la sua famiglia non se la passava troppo male.[5]

*Sembra sia andata…!* sospirò allora, ignaro della tegola che, di lì a poco, gli sarebbe piombata in testa.

“Flanny, Andy: siamo qui…!!” gridò Judith, agitando il braccio dal loro tavolo, dopo essersi alzata in piedi.

La coppia raggiunse la compagnia, formata da tutte le ex tirocinanti della Scuola Mary Jane: Judith Nethan, Eleonor Mancy, Natalie Venc e…

“Candy non viene?” s’informò la loro mentrice.

“Sì, sì: me lo ha poi confermato” rispose Eleanor “passava a prendere la sua amica al The Pierre.[6] Dovrebbero arrivare a momenti!”

“Beh, allora sediamoci.” annuì Flanny.

“Gli sposini da questa parte” intervenne Judy, indicando due sedie vuote “così tutti vi possiamo vedere!”

Flanny aggrottò le sopracciglia, al suono illogico di quelle parole (il tavolo era rotondo). Sapeva bene, quale dei commensali la collega tenesse a vedere in particolare! Sospirò pazientemente, mentre il marito le sistemava la sedia e Natalie, dal canto suo, le rivolse uno sguardo partecipe: Tranquilla, è tutta invidia! Poi sussurrò alla compagna paffuta: “Risiediti, signorina sfacciatella!”[7]

“Andy, perché sei ancora in piedi?” chiese intanto Flanny, vedendo che lui non si sedeva.

“Scusa, tesoro, ma devo fare una telefonata al Mitchell. Torno fra un minuto!”

“Non farci il bidone, eh…?” lo ammonì gaiamente Eleonor, con una strizzatina d’occhio.

“Tranquilla: ho detto allo zio Sam che stasera non ci sono per nessuno!” rispose l’aviatore, ricambiando il gesto.

La signora Greason non riuscì a trattenere un soffio prolungato, mandando al coniuge un lampo malevolo: “Un giorno o l’altro suggerirò al tenente Sanders di scriverci Little Yankie Cock, su quel suo nuovo caccia!”[8] minacciò poi, non del tutto ironica.

“Dai, su” le disse la solita Natalie, appoggiandole la mano sulla sua “lo sai che gli piace scherzare!”

“Anche troppo” ammise Flanny, scuotendo la testa “se m’avessero predetto che mi andavo a innamorare di un uomo così allegro, col carattere che ho…”

“Non sapevi che gli opposti si attraggono?”

“No… ero troppo impegnata a studiare medicina!”

“Scusate il ritardo” la voce squillante di Candy attirò improvvisamente l’attenzione della tavolata “faticavamo a trovare un taxi e c’era un traffico tremendo… ma eccoci qua!”

Le ragazze s’affrettarono a salutare la loro collega, puntando curiose lo sguardo sulla sua accompagnatrice. Era una giovane dall’aspetto fine ed elegante, che ostentava però un atteggiamento un po’ remissivo. La sua amica s’affrettò a presentarla e tutte le manifestarono la loro simpatia… ad eccezione di Flanny, impallidita all’istante nell’udire il suo nome.

“Beh, ci siamo tutte?” chiese Candy, mentre si accomodava al suo posto. Il suo sguardo panoramico catturò allora la sedia vuota di fronte alla sua e, prima che potesse domandare a chi fosse destinato, due mani le coprirono gli occhi…

“Indovina chi è…!” le chiese una voce gaia.

Normalmente il vezzoso volto della nostra amica si sarebbe illuminato con un tenero sorriso, reagendo a tale scherzetto affettuoso. Ma stavolta, purtroppo, era del tutto diverso. La sua boccuccia si spalancò, come in cerca di tutto l’ossigeno che avrebbe potuto introitare e le sue membra furono scosse da un fremito di terrore: “A… A… Andy…??”

“Bingo, sorellina” rispose lui, dandole due amichevoli colpetti su quelle deliziose spalle, che non smettevano di tremare “ma cos’hai…? Freddo?”

“I… io…?! N… no, no… perché?”

“Tremi come una foglia! Che t’è successo?”

Premendosi una mano sul decoltè per cercare di attenuare il battito cardiaco, la biondina rispose: “So… sono solo sorpresa. Non sapevo che venissi anche tu…!”

“Ah, no? Beh, spero proprio che non ti dispiaccia!” ribatté lui, corrugando semiserio le sopracciglia.

“Ma che sciocchezze dici?! È… solo che…”

“…è solo che, quando ti vede, anche lei fa fatica a tenere il controllo!” dichiarò sempre quella birichina di Judy.

“Piantala!” la riprese Natalie, dopo avere intuito, dagli sguardi di Flanny, di Candy e della loro nuova conoscenza, che stava per succedere un guaio.

“Natty ha ragione, Judy” le ribadì il maggiore, strizzando l’occhio “è meglio non dirle, certe cose: potremmo sentire un ruggito rabbioso arrivare da Broadway!”

Candy arrossì vistosamente, mentre Flanny afferrava il braccio del consorte: “Ti spiacerebbe metterti a sedere?!” gli chiese, con voce alterata.

“Un momento, cara: vorrei prima presentarmi all’amica di Candy” le si avvicinò, mentre questa accennava ad alzarsi “no, no: stia comoda” la fermò con un amabile sorriso, mentre le porgeva la mano “sono Andy, il marito di Flanny, la compagna di studi di Candy. Con chi ho il piacere di…?”

Nonostante i suoi ripetuti cenni di protesta, l’interpellata si alzò in piedi. Era una graziosissima ragazza dai capelli castani, acconciati a caschetto, con una cert’aria da intellettuale che le davano gli occhiali dalle lenti tonde. Il suo bel volto dalla pelle diafana era però velato da un’appariscente malinconia.

“Lei… è proprio il maggiore Andy Greason…?” gli chiese, dopo avere osservato i gradi sull’uniforme.

“In persona, miss!”

La ragazza mandò un sospiro: “L’asso delle… Tigri Volanti… in Cina?” chiese ancora.

“Esattamente!” rispose ancora l’ufficiale, con lieve esitazione, mentre scrutava il volto della giovane, sembrando cercare nella memoria.

Piccole lacrime sgorgarono da quei profondi occhi scuri e nell’animo del pilota germogliò subito un moto di panico: “Mi… mi scusi” balbettò “ho detto forse qualcosa che…”

“Grazie…!” sussurrò lei, soffocando un singhiozzo.

“Come…?”

“Grazie di avere avuto cura di lui, maggiore…!”

Il panico aumentò notevolmente e Greason si sentì inumidire la fronte: “Ma… di chi sta parlando, signorina…?”

Lei si tolse gli occhiali per strizzarsi gli occhi con le dita. Poi se li rimise e lo fissò: “Del mio fidanzato… Alistear Cornwell.”

Andy ebbe un tuffo al cuore, sbarrando gli occhi sulla giovane. Eleonor, Natalie e Judy osservavano mute la sena, mentre le loro condiscepole facevano altrettanto, aggravate dal dolore della consapevolezza.

Anche molti commensali, seduti ai tavoli vicini, avevano polarizzato l’attenzione su di loro, dopo aver riconosciuto il celebre pilota dell’aviazione militare.

“Lei… sarebbe dunque…” disse costui, con un filo di voce.

Con un mesto sorriso, la giovane col caschetto annuì: “Sono Patricia O’Brian, Andy… e dammi del tu, per favore!”

Detto ciò, come spinta da un subitaneo impulso, gli buttò le braccia al collo, singhiozzando convulsamente. Il povero Andy non poté che ricambiare quell’abbraccio, mentre anche i suoi occhi si bagnavano ineluttabilmente. Era la seconda volta, dopo quel tragico ritorno a Kunming…

“Perdonami, Patty” sussurrò, stringendola affettuosamente “perdonami, ti prego…!”

“Non è stata colpa tua, Andy…” negò lei, scuotendo la testa “…io lo so!”

“Sì, che è stata colpa mia, invece…!” obiettò lui, sentendo le proprie lacrime scorrergli sulle guance.

“No, Andy… no” insistette la ragazza “io ti conosco… ti ho conosciuto grazie alle sue lettere: ti descriveva così bene! E lo so: in quella precisa circostanza… solo tu avresti potuto salvarlo. E se non ci sei riuscito…”

“Patty, io…”

“…se non ci sei riuscito” si staccò per guardarlo negli occhi “allora vuol dire che non c’era niente da fare! Ma io so che è morto felice…. perché era felice di volare con te!”[9]

Commosso da tanta bontà, ma soprattutto straziato dal ricordo, Andy non riusciva a smettere di piangere in silenzio, abbracciato alla ragazza del suo compagno caduto. Finché una voce non li distrasse: “I signori vogliono ordinare?”

Flanny Greason, che aveva finito per farsi suo malgrado contagiare dall’umorismo del marito, rispose all’ossequioso maître: “Giunge a proposito: c’è venuto un appetito…!”

No… il nostro asso non avrebbe dimenticato quell’episodio tanto facilmente. Era stato un esempio tangibile di come un individuo dovesse, prima o poi, rendere il dovuto contro per ogni azione da lui intrapresa.[10]

***

Erano già passate le nove di sera, quando il generale Andrew S. Greason, comandante della Decima Forza Aerea in Europa, varcò la soglia dell’alloggio che divideva con la moglie e il figlio nel sobborgo occidentale di Newhaven. Richiuso delicatamente l’uscio, lanciò con maestria il berretto ad appendersi sull’attaccapanni e si sfilò lentamente l’impermeabile, che gettò invece con noncuranza sopra una poltrona. Si lasciò infine andare su quella opposta, le cui vetuste molle gemettero sotto il suo peso.

Mentre osservava immobile i cupi bagliori che spandeva il fuoco del camino, sentì una mano liscia e calda sfiorargli il collo, per poi accarezzargli una guancia. Volse allora il capo all’insù per contemplare il tenero sorriso della moglie, che si sedette quindi sul bracciolo, stringendoselo dolcemente al seno.

Andy assaporò con voluttà il calore e il profumo della sua donna, saziandosi con quella percezione di tranquillità che emanava dal suo petto. Sensazione vitale, per lui, come per tutti coloro costretti a convivere con la tensione della responsabilità e del pericolo.

“Hai fame?” sussurrò Flanny.

Lui scosse la testa: “Ho mangiato un boccone, strada facendo. Paul sta bene…?”

“Sì, s’è addormentato da poco.”

“Ha pianto?”

“Beh, un po’” rispose la moglie, giocherellando con una ciocca dei suoi capelli “voleva aspettare che tu tornassi.”

Andy sospirò: “Mi spiace… speravo di rientrare prima, ma Spaatz ci ha trattenuto più del previsto.”

“Qualcosa in ballo?” chiese lei, dopo una breve esitazione.

Lui annuì, per poi confermare: “Altrochè…!”

Dopo un altro breve silenzio, scandito dal respiro pesante del marito, Flanny si spinse a domandare: “Vuoi dirmi qualcosa di più?”

Il generale guardò sua moglie, riuscendo ancora a stupirsi di come lo leggesse nel pensiero: un’altra donna gli avrebbe magari chiesto se poteva dirle qualcosa, mentre la sua compagna aveva già avvertito il suo bisogno di confidarsi.

“Alla faccia del regolamento!” avrebbe sicuramente commentato il tenente Archibald Cornwell, memore del severo cicchetto che il comandante gli aveva impartito per essersi “sbottonato” un po’ troppo con la sua Annie.[11]

“Io… sì! Senti, posso… insomma, vorrei bere qualcosa.”

La faccia dell’aviatore si rasserenò in modo notevole, vedendo il viso della moglie che manteneva il sorriso, invece di mutarsi nel suo severo cipiglio da “pollice verso”!

Dopo avergli schioccato un bacetto sulla tempia, Flanny si alzò, diretta in cucina. Ne tornò poco dopo con due bicchieri tintinnanti.

“C’era rimasto ancora del ghiaccio.” disse, riscuotendo il marito, che stava piegato in avanti con le mani intrecciate, intento a riflettere.

“Mi fai compagnia?” chiese lui, non poco sorpreso.

“Beh? Non sono mica in servizio!” rispose lei, porgendogli il bicchiere.

“Vero. Cin cin…!”

“Cin cin, tesoro!”

Mentre Andy constatava l’effimera percentuale di whisky presente nel drink, Flanny si accoccolò sul suo grembo, circondandogli il collo col braccio sinistro, mentre si levava con destrezza le scarpe.

Lui la guardò da sopra il bicchiere: “Che penserebbe la tua discepola Candy, se ti vedesse così?” chiese, maliziosamente.

Lei aggrottò le fini sopracciglia: “Perché me lo domandi?”

“Pura curiosità.” ribatté lui, finendo di bere.

“Non ne ho la più pallida idea” mentì “e comunque non mi può vedere!”

“Quando il gatto non c’è… eh?”

“Senti un po’…” ribatté la consorte, posando il bicchiere sul tavolino e afferrandogli il mento “…hai proprio deciso di farmi arrabbiare o è semplicemente un metodo per sviare il discorso?”

“Lo sai che non ho segreti, per te” replicò lui, accarezzandole il viso “non potrei mai averne! E poi, se volessi sviare il discorso, userei un metodo assai più efficace…”

“Per esempio?” chiese lei, con uno sguardo profondamente sensuale.[12]

“Questo…!” rispose lui, avvicinando il viso per unire la loro bocche.

“Mmmm…!” sospirò lei, abbandonandosi a quel bacio profondo. Poco prima di perdere il controllo, si staccò però da lui: “E allora, generale? Riprendiamo la conversazione o passiamo direttamente in camera da letto…?” domandò, languidamente

Andy sospirò: “È stata una giornataccia, Flan: dubito che le mie prestazioni sarebbero al top, questa sera!”

“E allora sciogli la lingua, su!” lo spronò la moglie, scioccandogli un bacetto a fior di labbra.

“Naturalmente, se tu preferisci…”

“Parla, ti dico” insistette lei, ricomponendosi “altrimenti ti rivolterai come un’elica per tutta la notte!”

“Hai ragione…!” ridacchio lui, osservando le gocce rimaste nel bicchiere. Poi si levò per avvicinarsi al caminetto.

“Oggi Spaatz ci ha convocato al Quartier Generale…” cominciò, mentre riattizzava il fuoco.

“Tu e James?”

“Sì… e anche Johnny.”[13]

“E allora?” chiese Flanny, dopo un po’ di silenzio “Che voleva il grande capo?”

“Affidarci una missione. Abbastanza importante.”

“In Francia?”

“No, in Germania.”

La moglie avvertì un lieve crampo allo stomaco: “Strano” commentò, corrugando la fronte “le missioni sulla Germania non riguardano l’Ottava di Eaker?”

“Già, ma questo è un obiettivo speciale! Insomma… pare che l’OSS[14] abbia scoperto l’esistenza di un laboratorio dove i crucchi preparano delle sostanze per…” Andy si voltò per guardarla in viso “…la guerra batteriologica.”[15]

Gli occhi di Flanny si spalancarono per l’orrore: “Gue… guerra batteriologica?! Vuoi dire che intendono causare epidemie o cose del genere…??”

“Più o meno è così. Sembra anzi che abbiano già pronto qualcosa per entrare in azione!”

“Oddio…! Ma allora dovete assolutamente distruggere quella fabbrica, subito!!”

“È appunto quel che cercheremo di fare” confermò lui “ma purtroppo c’è un piccolo problema: almeno per quanto mi riguarda…”

“Cioè…?” domandò Flanny, scrutando ansiosamente il volto del marito.

“Sai dove si trova l’obiettivo?”

Lei rimaneva muta, in attesa della risposta. Lui sospirò pesantemente e rispose: “A meno di due miglia dalla verticale di Eiserfeld!”

“Eiserfeld…?” ripeté la moglie, certa di aver già sentito quel nome.

“Sì” tergendosi la fronte, il generale tornò a sedersi nella poltrona di fronte a lei “è una piccola cittadina della Westfalia,[16] a meno di 50 miglia da Colonia… i parenti di Schultz abitano proprio lì!”

“E… tu credi vi sia il rischio che rimanga colpita?”

“Dire rischio è un puro eufemismo: anche se si stima che la contraerea venga mantenuta limitata per non dare troppo nell’occhio, la conformazione montuosa del circondario imporrà di mantenere una quota di sgancio non inferiore ai diciannovemila piedi… il che comporta un errore circolare medio di un miglio abbondante.[17] Senza tener conto del vento, di eventuali errori di calcolo e di altre amenità…!”

“Ma è possibile che non esistano altre soluzioni?!” obiettò la signora Greason, con ira mal repressa.

Il marito scosse la testa: “Il SOE[18] ha pensato pure a un’azione di Commandos, ma… se fallisse, i tedeschi trasporterebbero il laboratorio altrove, magari in una zona del tutto inaccessibile. Purtroppo non possiamo permetterci il lusso di correre questo rischio!” sospirò ancora Andy con triste rassegnazione, reclinando il capo sullo schienale della poltrona.

“Quante probabilità ci sono che…” s’informò la moglie.

“Troppe” rispose cupo lui, passandosi una mano sul volto esausto “il brutto è che il bersaglio si trova esattamente fra una collina, che lo protegge da sud-est e la città, che le Fortezze sorvoleranno alla fine della corsa di bombardamento: se sganciano troppo corto, la fabbrica non verrà neanche scalfita (e i tedeschi mangeranno la foglia). Se invece sganciano troppo lungo… Eiserfeld verrà polverizzata!”

“È spaventoso…!” esclamò Flanny, con angoscia, ben consapevole delle implicazioni che una tale eventualità avrebbe comportato per l’animo del suo uomo. Il rapporto d’amicizia col suo collega della Luftwaffe aveva sempre rappresentato (assieme all’amore della sua donna) un efficace baluardo contro le crisi di coscienza che tutte le guerre producono, almeno negli individui sani di mente.

“Sì, lo è” approvò lui “anzi, è abominevole: quei figli di puttana dei nazi potevano installare quella maledetta fabbrica in una foresta disabitata o nelle viscere di una montagna… ma no!!”

“E, secondo te, perché lo hanno fatto?”

“Chi lo sa?” rispose il marito, alzando le spalle “Forse pensavano che non la scoprissimo. Oppure che, scoprendola, non l’avremmo ugualmente bombardata, rischiando di distruggere il paese. O magari…”

“Cosa…?”

“Magari contavano proprio su questo” saltò su, inviperito, col tono acceso dal whisky prima bevuto “male che vada, avranno pensato, gli impianti andranno in frantumi, ma ci sarà una strage di civili e potremo denunciare al mondo la barbarie degli Alleati. Capisci…?! È come se quel farabutto di Hitler tenesse in ostaggio la sua stessa popolazione: se volete togliere di mezzo me, dovrete massacrare anche loro! Così, un domani, i posteri diranno che i bastardi eravate voi!!”

“Andy, adesso calmati…!” gli disse Flanny, preoccupata.

“Sentirai se non diranno così, fra venti o trent’anni” insistette lui, con ostinata convinzione “vedrai!!”

“Ma perché ci dovete andare proprio voi, mi domando?” aggiunse allora la compagna, cercando di sviare il discorso “La tua Forza Aerea non doveva occuparsi soltanto dei bersagli tattici nella Francia occupata?”

“Infatti” sbuffò lui, con amaro sarcasmo “ma siccome siamo diventati troppo bravi a colpire stazioni, ponti e caserme senza coinvolgere cittadini francesi (e ci mancherebbe, sono nostri alleati) quei rompicoglioni di Arnold e Spaatz hanno ritenuto che fossimo i più indicati per distruggere quel bersaglio senza fare troppi danni collaterali.”[19]

“Beh, forse non hanno tutti i torti” osservò la moglie, dopo avere riflettuto un momento “magari la vostra esperienza potrà salvare quei tedeschi innocenti!”

“Forse… ma la vedo molto dura! Cristo, se i familiari di Schultz ci rimettono la pelle, come potrò più guardare in faccia il mio migliore amico? Ti rendi conto che, se non fosse stato per lui, mi troverei dietro il filo spinato da due anni e nostro figlio non sarebbe neanche nato?!”[20]

Con una stretta al cuore, Flanny sospirò: “Rilassati, amore: nostro figlio è di là, che dorme… almeno finché non ti sentirà sbraitare come una furia. Dai, vieni qui!”

Andy rialzò il capo. Davanti a lui, in piedi, c’era la sua donna; bella, forte e fiera, che gli tendeva amorevolmente le braccia. Il rude guerriero dell’aria faticò parecchio a contenere la sua commozione. Si levò a sua volta e la raggiunse, impaziente di sciogliersi in quel tenero amplesso…

“Tieni duro, tesoro” gli sussurrò Flanny, all’orecchio “vedrai che andrà tutto bene!”

“Se lo dici tu…” rispose lui, a bassa voce, mentre si cullavano dolcemente a vicenda.

“Ne sono più che sicura!” ribadì lei.

“Allora ci credo.”

Al suo tono convinto, Flanny sentì le gote inumidirsi. Se le terse rapidamente e abbandonò la spalla del marito per guardarlo in volto, lieta della sua ritrovata serenità. Si scambiarono un tenero sorriso e si avviarono in camera, tenendosi per mano. Qui giunti, contemplarono a lungo il loro pargoletto, di appena sette mesi, sprofondato beatamente nel sonno.

“Se almeno lui potesse vivere al sicuro” mormorò suo padre, con malinconia “in un mondo senza più guerre…”

“Tu ti stai battendo proprio perché questo si avveri.” replicò la madre, sospirando.

Ma Andy scosse la testa: “Noi militari possiamo soltanto sconfiggere gli eserciti dei regimi corrotti. Ma poi, una volta caduti, tocca ai politici operare affinché quei regimi non risorgano più!”

“È vero” disse la moglie, rimboccando la coperta al bambino, che si era girato nel sonno “soprattutto applicando i principi che possono mantenere la pace.”

“Pari diritti, libertà di pensiero e libertà dal bisogno” specificò Andy “se solo chi comanda lo arrivasse a capire…!”

“Forse un giorno succederà.” si augurò Flanny, tornando ad abbracciare il suo uomo.

“Speriamolo, amore mio” sospirò quest’ultimo, mentre tornava a guardare il figlio “speriamolo…!”

 

 

 

 

  

 

 

  

 

 

 

 

  

 

 

 

 

 



[1] Nomignolo affibbiato agli Inglesi dai loro “cugini” d’oltre Atlantico.

[2] La battaglia che sancì la vittoria definitiva dei coloni americani sull’esercito britannico (1781). Vi partecipò anche Jonathan McGeen, antenato materno di Andy (a sua volta discendente dallo stesso Ephraim McGeen, sbarcato dal Mayflower nel 1620).

[3] “Questa ragazza è un’enciclopedia!” aveva commentato Candy quando l’aveva conosciuta, dopo che lei le aveva gentilmente fornito un’esauriente definizione genealogica del suo grazioso animaletto.

[4] Famoso ristorante di New York, situato nella 52a Strada.

[5] Gli avi paterni di Andy, discendenti da un antico clan delle Highlands, erano emigrati dalla Scozia nel 1840 e il bisnonno, Daniel Gerald, aveva fatto fortuna nella famosa Corsa all’Oro californiana del 1849. Senza essere miliardari, Larry e Maggie Greason erano perciò abbastanza benestanti e la cosa aveva creato qualche momento di “tensione” quando Flanny l’aveva saputo. “Perché non me l’hai detto??!” “Detto cosa…?” “Che sei ricco!!” “Beh… non me l’avevi mai chiesto!!” aveva risposto Andy, con le ginocchia che gli tremavano “Ti è andata bene!!” “In che senso…?” “Nel senso che ormai non posso e non intendo più fare a meno di te, furbacchione!!” poi gli aveva mollato un ceffone e se n’era andata, sbattendo la porta. L’indomani il nostro eroe si trovava ricoverato, con la febbre a 40. Ma, per fortuna, il suo fidanzamento era salvo!

[6] Albergo molto esclusivo, fra la Quinta e la Sessantunesima strada.

[7] Superfluo domandarsi da quale appellativo prendesse origine - e riferito a chi - quello recentemente affibbiato alla “intraprendente” Judith!

[8] Ovvero Galletto Americano (il P-47 di Andy era stato battezzato Aquila Americana, come lo pseudonimo che la stampa aveva affibbiato all’ormai famoso asso). Sanders aveva invece battezzato di straforo il P-40 del suo caposquadriglia, in Cina, con il nome della sua futura moglie (v. capitolo 4).

[9] Confesso di essermi ispirato, per questo dialogo, a quella scena di Top Gun, dove Maverick parla con la moglie di Goose, dopo l’incidente in cui perisce quest’ultimo.

[10] Naturalmente, all’interno del 21 pullulavano i reporter delle testate più famose: non ci volle meno dell’intervento di William Andrew (fortunatamente amico del direttore del NYT) affinché l’episodio non uscisse in prima pagina! Purtroppo il settimanale Newsweek pubblicò in copertina la foto del maggiore che abbracciava Patty O’Brian, entrambi in lacrime, con il titolo: Touching hug last night at 21: an old  flame of Flying Tigers main ace?

[11] In riferimento a quanto narrato nel capitolo 13.

[12] Dopo essere diventata mamma, Flanny aveva impiegato le lenti a contatto per offrire un aspetto più dolce al suo bambino (e, giacché c’era, anche al suo papà) continuando a portare gli occhiali solo durante i turni di lavoro.

[13] John Burt Richardson, comandante del 22° Gruppo da Bombardamento della Decima FA.

[14] Office of Strategic Service (Ufficio Servizi Strategici), cioè la CIA dell’epoca.

[15] Le armi batteriologiche, così come i gas tossici, erano state proibite dalla convenzione dell’Aja nel 1921. Purtroppo la moratoria si limitava all’impiego, ma non alla fabbricazione; cosicché tutti i principali belligeranti le detenevano nei loro arsenali, pronti a utilizzarle solo in caso di rappresaglia (cioè se il nemico le avesse usate per primo). Per fortuna un evento del genere non si verificò mai, fino al termine del conflitto.

[16] Regione della Germania occidentale, appartenente al Land della Renania Settentrionale.

[17] Significa che ogni bomba avrebbe potuto cadere fino a circa 1800 metri dal bersaglio.

[18] Special Operation Executive: l’ufficio britannico che coordinava le operazioni condotte dai reparti speciali nelle retrovie nemiche, spesso in cooperazione coi diversi movimenti della resistenza antitedesca.

[19] Andy Greason aveva più volte dichiarato che avrebbe dato immediatamente le dimissioni, se lo avessero costretto ad attaccare obiettivi civili, anche in Germania.

[20] Sta parlando dell’episodio accennato all’inizio del capitolo 10, quando Andy rientra dalla missione che aveva visto il “battesimo del fuoco” di Archie Cornwell.

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Capitolo 16
*** La missione ***


Capitolo 9: Chi non muore si rivede

Capitolo 16: La missione

 

UCPFH 16

 

 

“A

vanti… coraggio, Candy: prova a dirmelo, adesso che siamo soli!”

“Ti odio, Neal! Con tutte le mie forze!! Ecco quello che sento per te. E sarà sempre così! Hai capito bene? Come hai potuto pensare che fossi innamorata di te…?!”

“Non è possibile… non posso credere che tu mi odi sul serio!!”

“Invece è la pura verità. Sei un essere spregevole: insieme ad Iriza non hai fatto altro che procurarmi guai. Come puoi pretendere che io ti ami??!”

“Me la pagherai Candy… nessuno mi ha mai trattato così!!”

“Neal, sei impazzito?? Lasciami andare…!!”

“Peggio per te…!”

“Oh, no… Neal…!! Neal… apri la porta, ti prego! Apri la porta, te lo ordino!!”

“No, Candy: non ti farò uscire da questa stanza finché non mi dirai che mi ami!”

“No…!! Questo non lo dirò mai, puoi starne certo!!”

“E allora resterai chiusa lì dentro: ti farà bene! Anzi, perché non ti butti dalla finestra? Così farai anche un bel bagno! Ah, ah, ah, ah, ah… oh, mio Dio! Candy, ma che fai…?! Candy…!! Non illuderti… non credere che rinuncerò a te!!”

“Si può sapere cosa vuoi da me?? Ti ho già detto mille volte di lasciarmi in pace!!”

“Se sono qui è per una ragione ben precisa.”

“Ah, sì? Allora parla e poi vattene: voglio star sola.”

“Ho intenzione di sposarti.”

“Che cos’hai detto??!!”

“Accetti, vero?”

Accettare?! Non capisco perché dovrei farlo! Piuttosto, dimmi perché hai preso questa decisione!”

“Perché ti amo…!”

“Posso capirti, Neal… ma io non ricambio i tuoi sentimenti.”

“Questo non mi preoccupa: un giorno o l’altro cambierai idea!”

“Neal… se tu fossi stato più gentile con me, forse avrei anche potuto volerti bene.”

“Che cosa vuoi fare, rovesciarmi l’acqua addosso??”

“Non serve rammaricarsi, quando è troppo tardi. Cerca di rassegnarti, Neal… e lasciami in pace. Voglio star sola, va’ via!!”

“Nessuno… nessuno mi ha mai trattato così!! Ma io ti farò cambiare idea, Candy!”

“È inutile, non succederà mai… dimenticami: è meglio per tutti e due. Sparisci dalla mia vita, Neal Legan!!”

“Adesso mi chiami anche per cognome?”

“Il nome lo uso solo con gli amici. E tu non lo sei. Vattene, Legan… vattene!!”

“Non posso!”

“Signor Legan…”

“Ascoltami…”

“Capitano Legan…”

“…ti giuro...”

“Comandante…”

“…ti prego…”

“Signore… signore… che le prende?!”

Un bagliore improvviso. Una luce accecante. E intorno il buio…

Brividi lungo la schiena. Freddo sudore sul collo. La fronte in fiamme. La gola arida. Il respiro affannoso. Le mani contratte sulle lenzuola…

“Signor capitano… si sente bene…??”

“Che succede…?” sibilò l’interpellato “Chi sei, tu?”

“Sergente Zagorski, del Corpo di Guardia.”

La mente del capitano Legan, primo pilota del Candy Candy, annaspava nel tentare di raccogliere le idee: “E che ci fai, qui?”

Il sottufficiale parve leggermente stupito da quella domanda: “Venivo a svegliarvi, signore: siete in missione, stamattina.”

Passandosi ripetutamente la mano sulla faccia mentre mandava irriferibili improperi mentali a un lancinante mal di testa, Neal si rammentò della sera precedente, quando quel malnato “crucco” del maggiore Lang li aveva raggiunti al circolo: “Niente alcolici, stasera, capitano: avete vinto un biglietto per la gita di domani!”

“Ho capito” rispose allora Neal al perplesso Zagorski “spegni quella fottuta torcia!”

“Signorsì. La colazione è alle 0530, il briefing alle sei.” annunciò.

“Al diavolo…!” grugnì il fratello di Iriza.

Quando il sottufficiale fu uscito della baracca, il comandante Legan, già seduto sulla branda, squadrò di traverso i suoi compagni: “Grazie, eh? Potevate anche darmi una scrollatina: bella figura mi avete lasciato fare, manica di deficienti!”

“Scusaci… ma sai, avevi iniziato ad agitarti solo qualche istante prima che entrasse il sergente!” si giustificò Cookie.

“Vabbé, vabbé…” replicò l’altro, trascinandosi verso la ritirata “…per quel che me ne frega, poi!” la porta della camerata si richiuse con un tonfo.

“Povero Neal” commentò Charlie, infilandosi la camicia “quando riuscirà a liberarsi da quell’incubo in gonnella?”

“Sarà dura” ribatté Jimmy, sospirando mentre indossava i calzoni “è una di quelle gonnelle che non ti mollano. Anche quando non ci sono!”

“E anche se ti allontani, vengono a ripescarti.” ridacchiò Cookie, buttandosi un asciugamano sulle spalle.

“Io lo dico sempre” aggiunse Charlie, calzando gli stivali “con le donne bisogna essere dei duri, se no ti schiacciano.”

“Ecco perché sei così pieno di ammaccature!” replicò il navigatore, col suo salace sarcasmo.

“Prima o poi la dovremo pure fare, una sana scazzottata, io e te!” lo rimbeccò aspramente il puntatore.

“Quando vuoi, gangster” ghignò il tenente Laffey riaprendo la porta, per nulla intimorito: ne aveva fatta, di pratica, in anni di servizio sulla Seagull “dopo la missione, però.”

“E allora sparisci, ex pelapatate!” replicò acido il tenente Boyle, tirandogli contro la saponetta, che l’altro aveva dimenticato.

“Grazie, compare” disse Cookie, afferrandola al volo “ci vediamo in mensa.”

Appena fu uscito, il co-pilota del Fox 815 disse al puntatore: “Non ho ancora capito perché vi state tanto sulle scatole, voialtri due!”

“Ma che dici, mandriano volante?” replicò Charlie, annodandosi la cravatta “Se siamo così!” affermò, battendo il pollice con l’indice.

“Certo, come no! Non è che, niente niente, eravate rivali?”

“Ma sei scemo? Con Sandra siamo solo amici.”

“Anche prima che lei lo mettesse in riga?”

“Io, innamorarmi di una donna?” esclamò Charlie, in tono scandalizzato, mentre indossava il giubbotto, strattonandone i bordi con dignità “Ma scherzi? Non voglio mica ridurmi come il capo, io…!” ciò detto varcò l’uscio anche lui, scuotendo la testa.

“Beata ignoranza!” esclamò l’ex capo dei trovatelli della Casa di Pony, mostrando un sorriso malinconico.[1]

 

***

“Ehi, passami il sale.” disse il mitragliere di coda del Delta-Fox rivolto al compagno sedutogli di fronte. Che invece continuò tranquillamente a mangiare.

“Non hai sentito, soldo di cacio?!” ripeté il sergente Malone, piuttosto sgarbatamente. Con calcolata lentezza, il collega raccolse la saliera e gliela mise di fronte.

“Con calma, eh? Vorrei mai che ti venisse l’affanno!”

“In genere sono più rapido. Specie quando mi dicono per favore e grazie!” puntualizzò il sergente Smith, poco più che un ragazzino dai capelli bruni.

L’altro fece un gesto annoiato: “Sentitelo, il signorino! Guarda che non siamo più all’orfanotrofio.”

“E con questo?” ribatté il compagno “Non mi sembra che ci abbiano insegnato a comportarci da cafoni, fuori di là!”

Bob emise un ghigno: “A me non sembra neppure che ci abbiano insegnato a bagnare il letto all’infinito, se è per questo.”

Se c’era qualcosa che faceva infuriare il piccolo John, era una qualsiasi allusione alla sua fastidiosa enuresi notturna. Nemmeno le compresse prescrittegli dal medico della base avevano risolto quel suo imbarazzante problema e ovviamente l’esperienza che stava vivendo ora non era la più indicata per aiutarlo. Si alzò in piedi e afferrò Bob per il bavero: “Senti, adesso mi hai proprio…”

“Ohe, dateci un taglio, voi due” li fermò il sergente Steeve, con tono perentorio da fratello maggiore “siamo già abbastanza nervosi, per non peggiorare la situazione!”

“Tom dice bene” ribadì il sergente Evans, fra un boccone e l’altro “la tensione fa calare l’appetito. Quando invece, il miglior modo per scacciare l’ansia, è quello di zavorrarsi.”

“Allora è meglio che Bob continui a essere nervoso” osservò scherzosamente il sergente Carson “è già bello rotondetto e, se continua a ingozzarsi così, faticheremo ad alzarci in volo, se non lasciamo a terra le bombe!”

“Bada a come parli, inglesino” lo guardò brutto l’ex falegname della Casa di Pony, puntandogli contro la forchetta “ce n’è anche per te!”

“Dai, Bob… Sam sta scherzando” intervenne il sergente Chacklies, il finto paziente clandestino dell’ospedale Santa Johanna di Chicago “cerchiamo di sfogarci sui tedeschi, invece che fra di noi!”

“Parole sante!” confermò Gilbert, l’ex compagno di viaggio di Candy, da Chicago alla Florida.

“Buongiorno, marmocchi. Dormito bene?” li scosse all’improvviso la voce del primo pilota, accompagnato dagli altri ufficiali del loro equipaggio.

“Abbastanza, capitano!” rispose, Tony, il pokerista.[2]

“Così così…!” sentenziò invece il mitragliere di sinistra.

“E lo stomaco?” chiese ancora Neal.

“Si sta riempiendo, signore.” rispose naturalmente Bob.

“Non sarebbe neanche male, se non fosse per le farfalle che ci svolazzano!” aggiunse Sammy.

“Molte?” s’informò Jimmy, con premura.

“Più di quante ce n’erano attorno alla Casa di Pony, capo!” rispose John.

“Allora ho una buona notizia, per te” disse il capitano Legan, dopo avere arricciato il naso “le farfalle non volano ad alta quota!”

Smith lanciò uno sguardo astioso al comandante,[3] ma subito il tenente Laffey prevenne accortamente una sua eventuale reazione: “È vero, John: l’ho già sentito da qualche vecchia pellaccia, sai? Per quanto forte sia la smania prima d’una missione, appena in volo passa subito tutto.”

“Fino alla prima raffica di un caccia nemico, per lo meno…!” precisò il tenente Boyle.

“Sempre spiritoso, vero Charlie?” lo riprese Cookie.

“Beh, ragazzi, ormai siamo in ballo” sospirò Neal “e non ci rimane che prendere il toro per le corna. O i crauti, se preferite. In quanto alla paura…” si arrestò, guardando un po’ tutti “…se riesco a tenerla a bada io, non vedo come non possiate riuscirci voi! Conoscete i miei trascorsi, no?”

I sei sottufficiali fissarono il comandante, per poi guardarsi in faccia. E più di un sorriso spuntò sui loro volti.

“Ci vediamo al parcheggio.” concluse il capitano, avviandosi. Passando dietro al piccolo John, gli scompigliò amichevolmente i capelli. Lui si voltò, non troppo irritato: “A più tardi, comandante!” gli disse, d’impulso.

Questi girò il capo, quanto bastava per strizzargli l’occhio, mentre gli altri si rimettevano tranquillamente a ultimare la colazione. Jimmy Curtright, superando anche lui l’ex compagno della Casa di Pony, gli strinse affettuosamente la spalla.

Il co-pilota del Candy Candy era molto soddisfatto. Passo dopo passo, il loro comandante si stava facendo strada nel cuore dei suoi compagni.

 

***

Nella vasta baracca Nissen riservata ai briefing, una cinquantina di ufficiali fra primi, secondi piloti, navigatori e puntatori, oltre a una dozzina di marconisti, erano già sistemati sugli scomodi seggiolini affacciati verso la parete di fondo, coperta da una carta di navigazione dell’Europa centro-settentrionale. Su di essa, una sinistra linea scura indicava la rotta che il Gruppo di Fortezze Volanti avrebbe dovuto seguire dalla base di Lafayette, nei dintorni di Newhaven, fino all’obiettivo della missione, situato a poca distanza dalla cittadina di Eiserfeld, nella Westfalia. Più indietro, verso la platea, c’erano alcuni pannelli coperti da fotografie riproducenti la zona del bersaglio, una carta meteorologica e uno schema della formazione stabilita dal piano di volo.

La tensione era del tutto palpabile tra i presenti, anche se la maggior parte di loro aveva ormai alle spalle parecchie operazioni sulle retrovie nemiche, contro bersagli notevolmente difesi, data la loro importanza tattica o strategica.[4] Questa volta, però, si trattava di colpire un obiettivo all’interno della Germania e tutti erano consapevoli che la Luftwaffe avrebbe opposto un’opposizione ben più ferocemente determinata nel difendere il cielo della Patria. Senza contare il ben diverso atteggiamento che avrebbero mostrato i tedeschi nei confronti degli aviatori abbattuti: mentre in Olanda, in Belgio e soprattutto in Francia quasi tutta la popolazione si prodigava, per quanto possibile, nell’assistere i piloti alleati per sottrarli alla cattura della Werhmacht (cogli stessi movimenti di resistenza che gestivano vere e proprie vie di fuga verso la Svizzera e la Spagna) in Germania gli equipaggi dell’USAAF e della RAF dovevano solo augurarsi di venire catturati dai militari, prima di essere spesso linciati dai civili![5]

Per di più, gli aviatori della Decima non disponevano nemmeno di un armamento difensivo individuale, perché, come aveva detto Andy Greason, litigando quasi col generale Spaatz “Non è con un pugnale o una Colt 45 che si può discutere cogli Schmeisser della Feldgendarmerie e il fatto d’essere disarmati indurrà maggior clemenza negli eventuali catturatori!”[6]

Naturalmente il comandante in capo aveva espresso tale ragionamento pensando alle missioni sulla Francia, non prevedendo certo di dover mandare i suoi ragazzi anche sul Terzo Reich!

Fra i pivellini presenti alla riunione c’erano naturalmente quelli del Candy Candy, per i quali, pur essendosi già cimentati in alcune missioni di “assaggio” sulla Bretagna e sul Cotentin contro le basi delle siluranti tedesche (nel quadro operativo che anticipava l’oramai prossimo sbarco in Normandia), si trattava della prima missione veramente importante.

“Aaattenti!!!” scandì all’improvviso la voce di un tenente della MP. Mentre tutti si alzavano col fracasso prodotto dallo strisciare delle seggiole, un gruppo di ufficiali superiori attraversava il corridoio centrale lasciato libero dalle stesse, per dirigersi verso la zona dei pannelli con le carte e le fotografie.

“Riposo, signori, riposo!” disse il colonnello John Bart Richardson, provocando una seconda chiassosa strisciata di sedie. Subito dopo, il comandante del 22° Gruppo Bombardieri (soprannominato scherzosamente l’esquimese o anche il sommergibilista a causa delle sue passate avventure)[7] si accomodò sopra una delle poltrone sistemate presso le citate attrezzature, assieme al suo secondo, maggiore Peter O’Cannor e ai due comandanti di Squadriglia Edward Connelly e Buck Lang, lasciando in piedi gli altri ufficiali che li avevano accompagnati: il primo era il capitano Lionel Ferguson, responsabile dell’Intelligence, il secondo il maggiore Patrick Dumfryes dell’Ufficio Operazioni e il terzo il capitano Felix Dermott, del servizio meteorologico.

Prima di sedersi, il colonnello aveva detto: “Signori, come forse vi sarà giunta voce, la missione di stamani è della massima importanza. A chi si chiederà perché la Decima venga mandata a colpire un obiettivo in Germania, risponderò semplicemente che questo bersaglio dovrà essere completamente distrutto ed è per questo motivo che il Quartier Generale ha richiesto espressamente il nostro intervento. A lei, capitano!”

Lionel Ferguson (lo stesso baldanzoso playboy “ridimensionato” da Candy il giorno in cui era giunta la sua omonima Fortezza) s’avvicinò a una gigantografia fissata ad uno dei pannelli predisposti: “Questo gruppo di capannoni che vedete rappresenta il vostro obiettivo” lo indicò con la bacchetta “si tratta di laboratori segreti, dove si teme che i nazisti mettano a punto delle armi chimiche o batteriologiche proibite dalla Convenzione dell’Aja, che potrebbero venire usate contro di noi o contro le popolazioni occupate, qualora i tedeschi venissero messi alle strette, dopo che le nostre armate saranno sbarcate sul continente. È inutile aggiungere che il bersaglio dev’essere centrato con la massima precisione, in modo da neutralizzare completamente l’efficienza degli impianti. In caso contrario, il nemico trasferirebbe i laboratori altrove, sicuramente al di fuori della nostra portata. Le istruzioni per la rotta, appositamente stampate su carta di riso, verranno consegnate ai navigatori, che avranno l’ordine d’ingerirle in caso di lancio o di atterraggio forzato su territorio ostile. L’Ottava Forza Aerea e la Quindicesima, dall’Italia, effettueranno incursioni diversive per impegnare la maggior parte della caccia tedesca durante la vostra missione e naturalmente sarete accompagnati dai colleghi del 99° Gruppo. Ognuno dei vostri apparecchi trasporterà otto M44 da 1000 libbre[8] con esplosivo ad alto potenziale, spolettate con un ritardo di 10 secondi, in modo che possano penetrare fino ai depositi sotterranei. Raggiunto il punto iniziale d’attacco, scioglierete la formazione da combattimento per assumere quella di sgancio, che verrà effettuato lungo la direttrice stabilita, alla quota di 18000 piedi.[9] Subito dopo vi rialzerete alla quota di crociera, tornando a disporvi nell’assetto difensivo per tutto il percorso di rientro. I caccia di scorta saranno pronti a proteggervi nelle fasi critiche del bombardamento. Ci sono domande?”

Nella sala partì un robusto mormorio, formato in prevalenza da imprecazioni, intervallate da frasi come queste:  Ci vogliono morti! È una follia! Sono peggio dei nazisti!

“Mi scusi, colonnello” disse il capitano Jason Galbraith, primo pilota del Lady Eve II, appartenente alla squadriglia di Connelly “ma, con tutto il rispetto… è sicuro che quelle armi batteriologiche esistano davvero?”

Richardson si alzò da sedere, facendo qualche passo in avanti: “I nostri servizi segreti ne sono più che certi e non siamo pagati per dubitarne. A parte che sarebbe decisamente poco furbo venirlo a constatare a posteriori! A buon intenditor, poche parole. C’è altro?”

“Perché lanciare così bassi?” domandò il comandante Arthur Morrison, della squadriglia di Lang.

“Il perché l’avete sentito: dobbiamo assicurarci che quella maledetta fabbrica venga totalmente disintegrata. Non avremo la possibilità di ripetere l’incursione una seconda volta.”

“Non sarà invece qualche quacchero dell’alto comando, che ha un debole per i tedeschi? C’è proprio una città, giusto a un miglio e mezzo dal bersaglio!” osservò Tex Sloane, un incallito texano, fra l’altro co-pilota del maggiore Lang sul Baby on the Grass.

Il colonnello scambiò una rapida occhiata col comandante della 66a Squadriglia, per poi rispondere a quell’imbarazzante interrogativo: “Non c’è bisogno d’essere dei quaccheri[10] per non coinvolgere inutilmente la popolazione civile nelle nostre incursioni. Il nostro scopo è soltanto quello di neutralizzare la macchina bellica nazista per riportare la democrazia nell’intera Europa. E ora, se non ci sono altre questioni, il capitano Dermott vi darà qualche ragguaglio sul tempo, poi il capitano Dumfryes v’indicherà i posti nella formazione.” concluse, in tono secco, da non ammettere ulteriori repliche. Al comandante di gruppo rimbombavano ancora nelle orecchie le “calorose” raccomandazioni del suo comandante in capo sulla necessità di non colpire in alcun modo la città natale del suo migliore amico.

Tuttavia diversi presenti avevano letto tra le righe e più d’un sommesso grugnito si fece sentire nella baracca. Mentre l’ufficiale della meteo esponeva la posizione e l’altitudine dei fronti atmosferici, seguito con la massima attenzione dal tenente Laffey e da tutti i suoi omologhi, il tenente Curtright si girò verso il suo comandante, sussurrandogli con la bocca coperta da una mano: “Alla nostra madrina avrebbe fatto piacere sentire le parole del colonnello.”

“Senza dubbio” rispose il capitano Legan, con una smorfia “se poi qualche crucco ci sbattesse di sotto, sarebbe più contenta ancora!”

Il piccolo Jimmy rimase abbastanza contrariato da quest’uscita: “Stavolta hai detto proprio una carognata!”

“Non agitarti, amico” replicò l’altro, con voce piatta “parlavo soltanto per me!”

*L’hai detta lo stesso, Neal!* ribatté mentalmente il compagno, scuotendo la testa. Poi prese nota sul suo taccuino che il Candy Candy avrebbe volato come gregario sinistro della pattuglia di coda all’intera formazione. Non era una posizione particolarmente tranquilla, vista la tattica dei cacciatori tedeschi nel tentare di abbattere gli aerei periferici, allo scopo d’indebolire la compattezza delle formazioni. Per fortuna la quota loro assegnata li poneva pressoché a metà altezza fra la parte superiore e quella inferiore di tutta la forza d’attacco.

Il capitano Dumfryes, dopo aver fatto sincronizzare gli orologi, invitò i navigatori a recarsi nella stanza attigua per ricevere le istruzioni sul piano di volo e i marconisti in un’altra per la consegna dei codici radio. Poi toccò di nuovo al colonnello dire due parole a chiusura del briefing: “Signori… non occorre vi ribadisca l’estrema importanza dell’operazione. Sono certo che porterete a termine il vostro compito in modo eccellente, così come sono convinto che i veterani assisteranno egregiamente i meno esperti e anche questi ultimi si faranno onore. Abbiate inoltre la massima fiducia nella vostra scorta, che sarà comandata dal generale in persona: lui e i suoi assi del 99°, anche con l’appoggio dei vostri mitraglieri, non mancheranno di tenere a bada gli unni per riportarci tutti a casa. Ci vediamo su, signori: buona fortuna!”

Dopo un ultimo fragoroso spostare di sedie, la baracca delle riunioni si vuotò rapidamente.

 

***

Dopo esservi stati scodellati da un autocarro GMC, soprannominato come il loro secondo pilota,[11] i sottufficiali del B-17 F s/n 42-29815, si accovacciarono sull’erba, attorno alla piazzola di parcheggio del loro velivolo, osservando pigramente il lavoro degli specialisti di terra che lo stavano preparando al decollo. Due avieri, il primo montato su uno sgabello, il secondo appollaiato sopra il muso, stavano pulendo il plexiglas della gondola di puntamento, i parabrezza della cabina di pilotaggio e la cupola dell’astrodomo,[12] mentre un terzo si stava occupando dei finestrini laterali, dai quali spuntavano le mitragliatrici manuali anteriori; altri due armieri stavano invece sistemano le cartucciere da 300 colpi (fra traccianti, incendiari e perforanti) nelle due mitragliatrici ai lati della sezione centrale. Contemporaneamente, un addetto al rifornimento stava riversando nei serbatoi dell’ala destra una parte dei 2800 galloni[13] di benzina avio a 130 ottani.

“Arrivano le pillole!” disse il sergente Evans, indicando un trattorino che rimorchiava otto carrelli caricati con altrettante bombe dipinte in verde oliva, ad eccezione delle gialle estremità. L’aviere infilò quel “trenino” sotto la pancia del Candy Candy, facendo arrestare il primo rimorchio fra i due portelloni aperti. Poco dopo si avvertirono dei rumori dall’interno e la bomba trasportata dal carrello venne sollevata da due robuste cinghie manovrate dall’argano sistemato sul soffitto della stiva. Non appena l’ordigno, zeppo del micidiale esplosivo RDX, fu assicurato alla rastrelliera di destra, l’aviere al volante del rimorchio lo fece avanzare quanto bastava per posizionare il carrello successivo nella stessa posizione del precedente, affinché la seconda bomba potesse venire agganciata esattamente sotto la prima. Dopo aver sistemato il quarto ordigno, il trenino fece un giro completo di fianco all’apparecchio per ripetere l’intera operazione fissando le ultime quattro pillole da 1000 libbre sulla rastrelliera di sinistra. Ciò fatto s’allontanò dalla piazzola di stazionamento, tornando verso il deposito delle munizioni. Tom Steeve lo guardava, scuotendo la testa: “Che assurdità” commentò, con disgusto “realizzare ordigni per distruggere quello che altri hanno costruito… che spreco senza scopo!”

“La guerra è la totale negazione dell’intelligenza umana” aggiunse Sammy Carson “questo si sa, purtroppo.”

“Già” fece Tony Chacklies, sarcasticamente “lo sanno tutti. Però si continua a farne una dopo l’altra, da secoli e secoli.”

“Proprio così” rispose Tom “il problema è che siamo dei veri imbecilli!”

“Parla per te, amico” saltò su Bob Malone, intento a intagliare un bastoncino col suo coltellino a scatto per ricavarne un flauto “non hanno chiesto il mio parere, per iniziare questo bordello. Né, tantomeno, il mio consenso!”

“Però sei qui anche tu, che la combatti. E ci sei pure venuto volontario!”

“Per forza” ammise l’altro “se avessi aspettato che mi richiamassero, mi schiaffavano magari a rompermi il culo in qualche pulcioso reparto di fanteria: marciare sotto il sole o la pioggia e strisciare in mezzo al fango o nella neve non era esattamente il mio massimo desiderio!”

“Peccato” ribatté John “avrebbe giovato parecchio alla tua forma!”

“Chetati, mocciosetto” lo riprese Bob, non gradendo nemmeno lui sentire velate allusioni alla sua taglia “se no ti metto in forma io!”

“La verità è una soltanto” riprese Tom, osservando altri specialisti che caricavano le bombe sul Saint Tail, compagno d’ala del loro apparecchio “finché gli uomini non cominceranno a rifiutarsi di combattere, le guerre continueranno a scoppiare!”

“La fai facile, tu” obiettò Sammy “come si fa a rifiutarsi senza finire al muro?”

“Beh, non individualmente, è ovvio” precisò l’ex allevatore “ma se la gente si coalizzasse per dire di no, non credo che le autorità potrebbero fucilare un’intera popolazione!”

“Potrebbe essere un’idea” ammise Gilbert “però bisognerebbe che lo facessero anche tutti quelli della parte opposta. Perché, se diserta solo una parte e l’altra no, per la prima sarebbe un bel guaio…!”

“Infatti” annuì Bob, con un ghigno “e mica tutti sono disposti a calar le braghe… specie se attaccati.”

“Sapete una cosa?” disse Tony “A volte mi chiedo se il mondo non sarebbe più pacifico, se governassero le donne!”

“Ma cos’hai, bevuto?!” sbottò Gil.

“No, dico sul serio” replicò l’ex pokerista del Santa Johanna “secondo me le donne sono più pacifiche per natura, proprio perché madri o potenziali tali.”

“Sì, come no” ribatté scetticamente il marconista, che era il più istruito del gruppo “vogliamo parlare della regina Vittoria o di Caterina di Russia? A parte che si legge siano state spesso delle donne a ispirare i tiranni più feroci!”

“Anche la sorella del comandante non la definirei un perfetto esempio di pacifica natura femminile!” aggiunse ironicamente John.

“Sarà come dite voi” convenne Tony “ma resto dell’idea che la maggior parte di loro rispecchia i migliori sentimenti umani. A cominciare dalla nostra ispiratrice” concluse, indicando il muso del loro apparecchio “personalmente mi sentirei rassicurato nel farmi comandare da una come lei!”

A Tom scappò un risolino: “Temo che i nostri piloti avrebbero qualcosa da ridire, di fronte a una prospettiva del genere! Non è vero, Johnny?”

“Puoi giurarci, fratello!” rispose lui.

Tutti fissarono allora in silenzio la bionda fanciulla sorridente, vestita con una salopette di jeans, combinata a una camicetta a righe rosse. Quella pudica mis aveva fatto sghignazzare parecchio i meccanici della base, avvezzi alla vista di pin-ups coperte da minuscoli bikini o semplici tanga, larghi come fili interdentali. Quando s’era trattato di battezzare la loro Fortezza, erano scaturite proposte come Lakewood Express, Sister Mary Kids e naturalmente Flying Pony’s Home… ma dato che nell’intero equipaggio c’erano soltanto quattro membri correlati con quei nomi, l’unico elemento che avevano tutti in comune aveva portato alla scelta definitiva. Che naturalmente spettava al comandante, fortunatamente e masochisticamente concorde nello scegliere quel nome![14]

I sei graduati[15] furono distratti dalle varie riflessioni e rimembranze quando la jeep che trasportava gli ufficiali si fermò vicino a loro con un acuto stridore di freni. Neal lasciò il volante della vettura e balzò a terra, imitato da Jimmy, Charlie e Cookie, che teneva stretta la sua borsa con le carte nautiche.

“Muoversi, con quei sederi” gridò il comandante “si decolla fra dieci minuti!”

“Dove andiamo di bello, capitano?” s’informò il sergente Carson.

“A far provvista di prosciutti[16] nel cuore della Grosse Deutschland!” rispose il navigatore per lui.

“Dio santo…!” mormorò Tony, massaggiandosi lo stomaco.

“Che fregatura!” gli fece eco Bob, sputando poi per terra mentre trascinava il suo paracadute verso la coda dell’aereo.

“Ti capisco, figliolo” gli gridò dietro Charlie “io mi vedevo già nel fienile di qualche bella francesina, nel caso ci abbattessero!”

“Guarda che ci sono anche in Germania, i fienili.” lo erudì gentilmente Cookie, mentre alzava il braccio per azionare la maniglia del portello di prua.

“Bella scoperta” ribatté il puntatore, lanciando il suo fagotto attraverso l’apertura “peccato che laggiù le contadinelle ti aspettino coi forconi e non fra lenzuola profumate!”

“Sempre con questo chiodo, eh?”

“Perché, tu no?”

“Dai, monta, depravato!”

“Ahh… proprio in un branco di chierichetti dovevo capitare!” imprecò il tenente Boyle aggrappandosi con le mani e issandosi agilmente a bordo, subito seguito dal compagno. Fu poi la volta Jimmy, che andò a sedersi sul seggiolino di destra della cabina, per iniziare la cockpit check-list.[17]

Nel frattempo il comandante stava ispezionando le parti esterne dell’aeroplano, assistito dal capo-meccanico che lo aveva in cura. Dopo aver controllato il ruotino di coda, i timoni di profondità, gli alettoni, i flaps, i carrelli principali e le turbine dei compressori, congedò il caporale e raggiunse anche lui la botola anteriore. Prima di salire, lanciò però una rapida occhiata intorno e diede un’affettuosa pacchetta alla figura dipinta sul muso: “Abbi cura di noi anche oggi, bellezza…!”

Imitando l’atletica manovra dei suoi colleghi, s’issò quindi a bordo e richiuse lo sportello. Accomodatosi finalmente sul sedile di sinistra, si voltò verso il suo co-pilota: “Tutto OK?”

“Affermativo!” ripose Jimmy unendo pollice e indice della mano destra.

Neal afferrò allora la cuffia appoggiata sulla cloche, sistemandosela in testa, dopodichè infilò la spina di collegamento nella presa apposita: “Pilota a equipaggio: controllo intercom.” annunciò, premendo i dischetti del laringofono.

“Puntatore, controllo.” rispose Charlie mentre armeggiava attorno al suo prezioso traguardo Norden.[18]

“Navigatore controllo.” ripeté Cookie, intento a verificare l’efficienza del radio-compass.[19]

“Mitragliere dorsale, controllo.” disse poi Tom, già sistemato nella sua torretta motorizzata, alle spalle della cabina di pilotaggio.

“Radiofonista, controllo.” aggiunse Gil, smanettando il potente apparato SCR.

“Mitragliere ventrale, controllo” replicò Tony mentre controllava lo stato delle attrezzature (razzi di segnalazione, viveri d’emergenza, bombole portatili per l’ossigeno) sistemate presso la sua torretta sferica.

“Mitragliere di destra, controllo.” continuò Sammy, occupato a sincerarsi sul perfetto allineamento del mirino ad anello della sua Browning.

“Mitragliere di sinistra, controllo.” gli fece eco John nel controllare che il nastro delle munizioni potesse scorrere liberamente dalla cassetta di alimentazione.[20]

“Mitragliere di coda, controllo.” terminò infine Bob, sistemandosi meglio che poteva sullo scomodo “inginocchiatoio” posto davanti alle armi di coda e chiedendosi perché cavolo quei deficienti della Boeing non avessero previsto un decente seggiolino con tanto di schienale.

“Vai col controllo pre-volo” disse Neal a Jimmy “pressione idraulica?”

“Normale.”

“Flabelli gondole motori?”

“Estratti.”

“Valvole carburante?”

“Aperte.”

“Pompa alimentazione?”

“Inserita.”

“Estintore?”

“Predisposto sul numero uno.”

“Radiatori olio?”

“Commutati su minimo.”

“Prese carburatori?”

“Libere.”

“Cabina a posto radio: chiedi conferma per il decollo, Gil.”

“Roger. Delta-Fox otto-uno-cinque a torre…”

“Torre a otto-uno-cinque, over!”

Otto-uno-cinque pronto al decollo. Chiedo conferma inizio sequenza.”

“Conferma positiva, otto-uno-cinque” rispose la voce del sergente Johnson “siete a punto?”

“Affermativo, torre: controllo pre-volo effettuato.”

“Sicuri che non vi manca nulla? Che so, un’infermiera a bordo?”

Gilbert Evans accusò il colpo. Ormai lui e il marconista della base erano diventati amiconi, ma ogni volta che il buon Curly lo incontrava, in mensa o al bar, non mancava di riempirlo di frizzi, al ricordo del loro primo atterraggio!

“Negativo, torre… vedremo di cavarcela con la cassetta del pronto soccorso!” rispose, forzando l’accento sarcastico.

“Peccato” ribatté Johnson “perché ce n’è una proprio sul terrazzo!”

“Ma va’ a quel paese…!” rispose Evans, pensando all’ennesimo sfottio. Curly si affacciò allora all’ingresso del gabbiotto della torre: “Miss White: quello zuccone di Gil non mi crede. Venga lei a dargli un salutino!”

Una giovane bionda dai vistosi codini, appoggiata alla ringhiera del terrazzo, cogli azzurri occhi puntati sul B-17 che portava il suo nome, ebbe un tremito nelle spalle e voltò leggermente la testa all’indietro: “No, sergente… è meglio di no…!”

Dapprincipio il marconista rimase stupito da quel rifiuto, ma poi rifletté sulla saggezza pratica di quella decisione e non insistette: “OK, otto-uno-cinque: procedere con la messa in moto. Buon volo e fateli neri!

“Roger!”

Sentito questo, il comandante diede il via al secondo pilota: “Vai col numero 1.”

Curtright commutò l’iniettore sul radiale esterno sinistro, poi chiuse il circuito elettrico e premette il pulsante dell’avviatore. L’elica tripala iniziò a roteare, mentre sbuffi di fumo azzurro uscivano dagli scappamenti.

“Numero 2.” disse allora Neal.

Jimmy ripeté l’operazione coll’iniettore commutato sul radiale interno, raddoppiando poco dopo il rombo proveniente dal babordo del velivolo.

“Numero 3.” aggiunse il comandante, mentre l’aviere di terra si spostava sotto il radiale interno destro, sempre pronto con l’estintore a mano.

“Numero 4.” disse ancora Legan, dopo che anche il terzo motore girava regolarmente. Dopodichè si sporse dal finestrino e mosse le mani coi soli pollici stesi esternamente per indicare a un altro aviere di togliere i cunei d’arresto da sotto le ruote anteriori.

Pochi momenti dopo il Candy Candy abbandonava la sua piazzola di stazionamento per imboccare il raccordo numero due, subito dietro alla Memphis Belle, la Fortezza di Nathan Swanson, loro capo-pattuglia. Dopo che i due bombardieri ebbero superato l’imbocco della sua piazzola, anche il Saint Tail di Alan Askey s’aggregava ai suoi vicini di formazione.

Così allineati, i tre B-17 della 4a Pattuglia andarono a raggiungere sulla pista numero 2 i tre gemelli della 3a Pattuglia del maggiore Lang, che completava la sua 66a Squadriglia. Nel settore attiguo dell’aeroporto, i sei apparecchi della 44a del maggiore Connelly (nella quale volava il comandante dell’intero Gruppo) erano già pronti a decollare dalla pista numero 1, il cui orientamento rimaneva compatibile con la direzione del vento.[21]

Il colonnello Richardson, che avrebbe aperto il decollo di tutta la formazione, fece lampeggiare le luci di segnalazione non appena raggiunto il suo punto di partenza e, quando il maggiore Dumfryes (fratello del medico della base) fece partire un razzo verde con la sua pistola Verey, la sua argentea South Sea Sinner[22] iniziò la sua corsa verso il fondo della pista, alzandosi a poche decine di metri da quest’ultimo. A ruota la seguirono la Lady Eve II di Jason Galbraith e la Duchess Daughter di Peter Harter.

In meno di quindici minuti la 44a Squadriglia mise insieme la sua formazione, composta da due pattuglie triangolari, dove la 2a di Connelly seguiva la 1a di Richardson ad una quota leggermente più bassa.

Un secondo razzo blu partì dalla Verey di Patrick Dumfryes e anche la Baby on the Grass di Lang iniziò a muoversi verso la testata della pista numero 2, precedendo la Little Audrey di Charlie Boman e la Glammy Lum di Arthur Morrison.

A questo punto la voce del marconista di Swanson si fece sentire nelle cuffie di Evans, Curtright e Legan: “Memphis Belle a Candy Candy e Saint Tail: partiamo. Pronti a venirci dietro con venticinque secondi d’intervallo.”

Candy a Belle: wilco. Appuntamento al piano di sopra!” rispose direttamente il primo pilota, dopo aver schiacciato il pulsante sul volantino, che connetteva il suo interfono con la radio di bordo.[23]

Il capo-pattuglia diede tutto motore e le quattro eliche della Belle produssero altrettanti vortici di condensazione che sembravano getti di liquido vaporizzati da enormi spruzzatori.

“Dieci secondi!” annunciò il piccolo Jimmy osservando il suo cronografo da polso e Neal si rivolse al puntatore: “Tutto libero, Charlie?”

“Come l’aria, capo.” rispose lui, dopo aver dato una buona occhiata attraverso le aperture di plexiglas.

“Ruotino bloccato, Neal.” segnalò il co-pilota.

“Bene… andiamo…!” rispose lui sbloccando i freni e spingendo le manette.

Gradualmente il Candy Candy cominciò ad acquistare velocità, mentre Tom, seduto nella sua torretta superiore che gli consentiva un’eccellente visuale verso l’alto, notava un figura vagamente familiare che spiccava sul terrazzo della torre di controllo: “Ma… quella è…”

Il cervello del sergente Steeve pensò dapprima ad un abbaglio suggestivo, ma la sua vista da falco non poteva lasciarsi ingannare da quell’acconciatura inconfondibile. Per cui, meno avveduto del sergente Johnson, al mitragliere dorsale scappò questo gridò: “È CANDY… LASSÙ, SULLA TORRE…!!”

Chi poteva guardare da quella parte fece del suo meglio per riconoscere la loro forzata madrina, ma soltanto il primo pilota riuscì a scorgerla, un po’ peggio di Tom…

“Ok… mandatele un bacio, fratelli” disse ai compagni, lottando con le acute fitte che gli mordevano il petto e lo stomaco “e speriamo che non sia l’ultima volta…!!”

Poi diede tutto gas ai quattro Wright R1820 e, quando la lancetta dell’anemometro superò i 240 nodi, ad appena 80 piedi dal termine della pista, tirò il volantino verso di sé: “Vai su, piccola mia…!”

Però, una volta superato il circuito, invece di salire verso il Memphis Belle, manovrò per eseguire una virata a semicerchio…

“Che diavolo combini…?” gli chiese Jimmy.

“Diamo una sbarbata alla torre.”

“Sei pazzo? Ci faranno la pelle…!!”

“Se non ce la fa prima la Luftwaffe.” rispose Neal, con noncuranza.

“Ma che cavolo di risposta è?!”

“La mia. Ora sta’ zitto e tienti pronto a richiamare: siamo pieni come un uovo!”

“Oh, Gesù…!!” gemette Curtright, rassegnato.

Fra il disagio del personale (non del tutto sorpreso) e il totale sconcerto della loro omonima visitatrice, il Candy Candy passò quasi rasente al gabbiotto d’osservazione, abbastanza da permetterle di vedere i volti sorridenti di Sammy e John, affacciati alla postazione difensiva sinistra. Pur scuotendo gravemente la testa, la loro amica non mancò di agitare il braccio per mandargli un affettuoso saluto.

“Se anche la scampiamo, dovremo dire addio al nostro sedere” commentò il piccolo John “poco, ma sicuro!”

“Possiamo sempre atterrare in Svizzera…!” suggerì semiserio Carson.

Mentre la Fortezza riprendeva quota per raggiungere la sua pattuglia (col povero Gil che doveva tenere la cuffia lontano dalla testa per non farsi saltare i timpani dagli improperi del maggiore Lang)[24] la nostra amica si terse le lacrime dal suo dolcissimo viso, per poi giungere le mani chiudendo gli occhi: “Ti supplico, Signore: proteggili tu… fa’ che tornino tutti interi…!”

A preghiera conclusa, tornò a rivolgersi verso il cielo, scrutando le sagome delle dodici Fortezze del 22° BG, con la formazione ormai completa.

“E tu… se veramente sei cambiato… fai del tuo meglio. Hai capito, Neal?” gridò “Riportameli tutti indietro, o guai a te…!!”

Si mosse quindi verso il pianerottolo della scala per scendere, salvo voltarsi indietro per un’ultima volta: “E bada di tornare anche tu… disgraziato incosciente che sei!”

Si asciugò un’ultima lacrima e se ne andò, diretta all’ospedale di Newhaven.



[1] Strano o meno che appaia, il figlio adottivo del signor Curtright era il compagno col quale il rampollo dei Legan fosse entrato maggiormente in sintonia e, di conseguenza, quello col quale si era confidato di più.

[2] Inutile specificare che anche diversi colleghi erano stati pelati a carte dall’ex “fantasma” del Santa Johanna. Inoltre, quando il comandante aveva saputo come il suo mitragliere inferiore avesse “spennato” la sua bionda fiamma, lo aveva preso particolarmente in simpatia!

[3] John Smith, per ovvi motivi, non vedeva certo il comandante di buon occhio, pensando soprattutto a quella volta in cui era partito di soppiatto dalla Casa di Pony per andare dai Legan a trovare Candy, scoprendo tutta l’amara verità sulle intenzioni dei suoi “tutori”.

[4] La sostanziale differenza fra un obiettivo tattico (generalmente di contenute dimensioni) e uno strategico (avente un’area molto più estesa) consiste nel vantaggio che l’attacco si propone di ottenere. La distruzione di un bersaglio tattico (come un ponte, una stazione ferroviaria, un avamposto bellico) prevede un vantaggio immediato o a breve termine per influenzare un combattimento in corso o immediatamente successivo. Al contrario, la neutralizzazione di un bersaglio strategico (un complesso industriale, una raffineria di carburante o un porto) prevede un vantaggio a medio o a lungo termine per influenzare l’andamento generale del conflitto. Nel primo caso, per esempio, si può cercare d’interrompere le comunicazioni nemiche attraverso l’interruzione di una strada o di una ferrovia, mentre, nel secondo caso, si tenterà di limitare pesantemente una determinata produzione bellica o la stessa alimentazione dell’apparato industriale avversario.

[5] Autentico.

[6] Il revolver automatico Colt da 0.45 pollici, modello 1911, era l’arma leggera d’ordinanza dell’Esercito statunitense, mentre l’MP (Machinepistol) 40 Schmeisser era il mitra standard in dotazione a quello tedesco. La Feldgendarmerie era invece la polizia militare.

[7] Vedi capitolo 14.

[8] 454 chilogrammi.

[9] Poco meno di 4900 metri.

[10] I quaccheri erano i seguaci di una confessione religiosa fondata in Inghilterra nel 1647. Si diffuse poi largamente in America, contribuendo ad alimentare il movimento per l’abolizione della schiavitù. Qui il termine quacchero viene utilizzato come sinonimo di “troppo buono”.

[11] Il celebre autocarro 6x6 (a tre assi motori, quindi con 6 ruote motrici, di cui 4 doppie) costruito in centinaia di migliaia di esemplari, era siglato GMC (una sussidiaria della General Motors) che si pronuncia gi-em-si… da qui il nomignolo di Jimmy!

[12] Punto d’osservazione utilizzato dall’ufficiale di rotta (o navigatore) per determinare la posizione durante il volo. Oggi sembrerà bizzarro, ma a quel tempo, nel caso la navigazione non potesse venire assistita radioelettricamente, il simpatico Cookie avrebbe dovuto fare il “punto” con il sestante, esattamente come se si trovasse a bordo della sua Seagull.

[13] Circa 10600 litri.

[14] E, sempre a proposito del look della nose-art, sarebbe stato interessante sapere quale sarebbe stata la scelta di Neal, se avesse volato su un caccia, senza condividere quindi l’aereo con nove colleghi!

[15] All’inizio della guerra i mitraglieri di volo erano soltanto degli avieri (cioè soldati semplici). Più avanti vennero tutti promossi sergenti affinché godessero di un trattamento migliore come prigionieri di guerra in caso di lancio sul territorio nemico.

[16] La Westfalia è famosa per i suoi prosciutti. Beh, niente a che vedere con quelli di Parma o di San Daniele, naturalmente!

[17] Il controllo strumentale che precede l’accensione dei motori.

[18] Il mirino tachimetrico per lo sgancio, prodotto dalla fabbrica omonima. Era, per l’epoca, un autentico gioiello di optomeccatronica, che teneva conto di altezza, velocità, forza e direzione del vento, peso delle bombe. Si diceva fosse in grado d’infilarle in un barile dalla quota di diecimila metri… in teoria.

[19] La bussola radioelettronica, in base al segnale ricevuto dall’antenna del radiofaro, stabiliva se l’aereo stava seguendo l’esatta direzione. La funzionalità di questo sistema, oggi sostituito dalla triangolazione satellitare, dipendeva chiaramente dalla qualità di copertura, che poteva essere totalmente efficace soltanto in territorio amico. In alternativa si doveva adoperare la bussola magnetica, come pure l’antico ma collaudato sistema “marittimo” basato sul cronometro e il sestante.

[20] Anche se gli specialisti di terra erano addestrati per svolgere i loro compiti con la massima cura, ogni membro del personale di volo era tenuto a controllare di persona l’efficienza del suo equipaggiamento, poiché da ciò dipendeva non soltanto la sua vita, ma quella di tutto l’equipaggio.

[21] I campi di volo dell’aviazione alleata nell’Inghilterra meridionale erano costituiti da 3 piste principali sviluppate con uno sfasamento di 60° una rispetto all’altra (così da formare un perfetto triangolo equilatero). In questo modo era relativamente facile che almeno una presentasse le migliori condizioni per il decollo, costituite da un vento contrario, con la minima divergenza al traverso.

[22] Sirena dei Mari del Sud. L’equipaggio di Richardson aveva creduto d’essere destinato a raggiungere la Quinta Air Force di Kenney nel Pacifico Meridionale, ma il suo compagno d’Accademia era poi riuscito ad averlo con lui. Ritenendo però che portasse sfortuna, l’equipaggio non aveva più voluto cambiare il nome dell’aeroplano. Gli aerei della 44a Squadriglia, al contrario di quelli della 66a, erano stati lasciati senza verniciatura mimetica. Che i miei gentili lettori non si stupiscano, ma tutto questo è stato realmente riprodotto nella mia forza aerea in miniatura!

[23] Tale prerogativa ce l’avevano soltanto i due piloti. Per tutti gli altri doveva essere il marconista a commutare i loro intercom sul canale esterno.

[24] Se anche questa volta se la cavarono a buon mercato, fu solo grazie all’intercessione della buona Candy, per interposto Andy Greason.

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Capitolo 17
*** La notizia ***


Capitolo 9: Chi non muore si rivede

Capitolo 17: La notizia   

 

UCPFH 17

 

 

I

l rumore dell’acqua scrosciante interruppe il sonno leggero di Flanny. La donna, dopo essersi passata la mano sul volto, l’allungò nel letto per sentire il calore del marito, che stava abbandonando lentamente il lenzuolo stropicciato.

Diede allora un’occhiata fugace al quadrante della sveglia, dove le lancette fosforescenti indicavano le quattro e quarantasette.

Si alzò, s’infilò rapidamente la vestaglia e si avvicinò al lettino di suo figlio, che dormiva beatamente col sorriso sulle labbra. Dopo avergli dato un leggerissimo bacio sulla guancia, si diresse verso il cucinotto, infilò due fette nel tostapane e accese il fornello sotto l’alambicco del caffè.

Mentre l’acqua stava bollendo comparve il marito, avvolto nell’accappatoio, mentre si asciugava i capelli: “Come mai già in piedi? Non sei di riposo, stamattina?”

“Ma tu no.” rispose lei, semplicemente, riempiendogli la tazza.

Andy sorrise, assaporando il calore che avvertiva in mezzo al petto, per poi avvicinarsi alla compagna e abbracciarla affettuosamente da dietro: “Flanny Hamilton: infermiera per professione e moglie per vocazione” disse, col mento appoggiato sulla sua spalla “o è il contrario?”

Lei si girò, schioccandogli un bacio ardente: “Se non l’hai capito in più di due anni di matrimonio, dovrai tenerti la curiosità!” gli rispose, con una punta di malizia.

“E perché no?” replicò lui, mettendosi a sedere “Non è forse la curiosità che alimenta i legami coniugali?”

“Sì… e anche la pazienza.”

Andy credette di notare una lievissima punta di sarcasmo.

“Dica la verità, signora Greason: è forse pentita di non essersi scelta il suo partito fra qualche dottorino promettente?”

“Serve a poco pentirsi, quand’è troppo tardi” rispose lei, lanciandogli uno sguardo obliquo “bevi, piuttosto, che ti si fredda il caffè.”

“Agli ordini” rispose lui, strizzando l’occhio “mmm… eccellente, come al solito!”

“Goditelo: non ce n’è rimasto molto.”

“Ah, sì? Dirò a Master d’accennarne a Patroni.”

“Speriamo che i tuoi superiori non lo vengano a sapere che utilizzate gli aerei da carico per portare il caffè da New York!”

“Che c’è di male? Qualche cassa di miscela non aumenta certo il consumo di carburante. Se a Washington pensano che potremmo mantenere il nostro standard con quella broda di the inglese, sono del tutto rimbambiti! Fortuna che il cugino di Patroni gestisce proprio il Caffè Reggio di McDougal Street, così può garantirci un rifornimento costante.”

“Sempre fortunati, voi!” commentò ironica la moglie, spalmandosi del burro di arachidi sul toast.

“In guerra direi che non guasta!”

“No di certo… a patto che finisca prima della buona sorte!”

“Già…!” commentò lui, addentando un toast a sua volta.

Terminata in silenzio la colazione, il generale si alzò: “Bene, vado a vestirmi.”

“Andy…”

Lui guardò la moglie, che, pensierosa, seguiva il bordo della tazza con il dito: “Dimmi, cara…”

“Quando… quando pensi che terminerà, il conflitto?”

Il marito le rivolse uno sguardo dolce: “Quando i tedeschi e i giapponesi si arrenderanno, tesoro… non certo prima!”

Lei annuì, per poi insistere: “E… a tuo giudizio, quanto pensi ci vorrà?”

Andy corrugò la fronte, meditabondo. La sua consorte non era solita rivolgergli domande di quel tipo; se ora lo faceva, un motivo doveva esserci per forza.       

“Mah… quando saremo sbarcati sul continente, i crauti non dureranno a lungo. Forse sei mesi o poco più. Entro Natale, la guerra in Europa potrebbe anche essere finita. Quanto ai giapponesi… non saprei proprio dirtelo.”

“Capisco” rispose Flanny, massaggiandosi delicatamente il ventre “e immagino che, se per allora il Giappone non si sarà ancora arreso, di sicuro ti rimanderanno da quelle parti!”

“Beh, non è detto…”

“Dai, vatti a preparare: qui metto a posto io.”

“Va bene.”

Poco dopo, Andy stava indossando l’uniforme in camera da letto, quando sentì i passi frettolosi della moglie dirigersi verso il bagno. Impensierito, si avvicinò alla porta: “Ehi, cara” bussò “tutto ok…?!”

Finalmente lo scroscio dell’acqua cessò, seguito dalla serratura che si apriva. Subito dopo ricomparve Flanny, asciugandosi la bocca col fazzoletto.

“Che ti succede?” chiese lui, allarmato.

“Niente di che… solo un pochino di nausea!”

“Nausea?”

“Mm, mm… scusa, vado a vestirmi anch’io.”

“Ma perché non te ne torni a letto, invece?”

“Tranquillo, sto bene. T’accompagno all’aeroporto.”

“Cosa? E Paul…?”

“Lo portiamo con noi. Oggi è una bellissima giornata e non prenderà freddo.”

“Flanny, è successo qualcosa?” chiese il marito, incapace di nascondere la sua perplessità.

La moglie scosse la testa, sorridendogli affettuosamente: “Tu pensa solo a tornare, stasera. Come sempre, ok?”

Andy sospirò, ma non insistette. Se Flanny aveva qualcosa da dirgli, lo avrebbe fatto soltanto quando lo avesse ritenuto opportuno. Non un secondo prima.[1]

“Ok, amore… messaggio ricevuto.”

“Bravo!” gli rispose lei, baciandolo ancora.

***

Quando la Buick varcò il posto di controllo della base di Grant Field, il caporalmaggiore Oliver Thorton sbarrò tanto d’occhi nello scorgere la moglie del generale, sedutagli accanto sul sedile posteriore, col suo frugoletto di sette mesi, placidamente addormentato tra le braccia. Dopo aver restituito il lasciapassare all’autista, sergente Travis, l’MP salutò impeccabilmente il comandante dell’intera Forza Aerea, che gli rispose con un gesto bonario.

Appena l’auto di servizio s’arrestò davanti all’edificio del comando, i Greason si affrettarono ad entrare, per dirigersi poi verso la Sala Operazioni. Qui giunti furono accolti dal maggior-generale Stone, vice-comandante della Decima FA, a colloquio col brigadier-generale Sanders, comandante del 1° Stormo Strategico e il maggiore Roy Master, comandante del 99° Gruppo Caccia. I tre interruppero la loro conversazione per salutare correttamente il comandante in capo.

“Benarrivato, signore!” disse Sanders, non troppo stupito dalla presenza di Flanny, che portava il suo pargoletto, intento a guardarsi intorno con la più viva curiosità.

“Grazie, Vic” rispose Andy “qualche intoppo sul ruolino di marcia?”

“Nessuno: le nostre  tre Squadriglie sono pronte a decollare per le 0800[2] precise.” notificò Master.

“Quand’è previsto il rende-vu coi bombardieri del 22°?”

“Alle 0955, sulla verticale di Maastricht.” rispose James.

“Notizie da Richardson?” chiese ancora il comandante, osservando il suo cronografo.

“È arrivato il suo radiomessaggio tre minuti fa: la loro formazione sta già per sorvolare Great Yarmouth.” rispose il comandante del 1° Stormo.

“Allora sarà il caso di prepararsi. Roy, fatemi posto sulla vostra jeep: dico a Travis di riaccompagnare mia moglie.”

“Tua moglie rientrerà quando avrai decollato” rimpallò subito l’interessata “il pupo qui presente ha una gran voglia d’ammirare il suo paparino in tenuta di volo. Non è vero, Paul?”

“Ghiii…!!” rispose convinto l’erede dell’asso.

Andy sbuffò, rassegnato. Nel suo cranio ronzava sempre quella maledetta massima di Shakespeare…[3] 

“D’accordo, potete andare” rispose allora ai subordinati, intenti a lisciarsi discretamente la bocca “voi due, invece, aspettatemi in macchina.”

“Agli ordini, signore!” lo salutò scherzosamente la compagna.

***

Entrato nello spogliatoio mentre già si slacciava la cravatta dopo essersi sbottonato la giacca dell’uniforme, Greason l’appese insieme al cappello nell’armadietto personale, da dove estrasse la combinazione di volo termoriscaldata, che indossò dopo aver sfilato i pantaloni. Dopo essersi seduto sulla panca al centro del locale, infilò ai piedi le doppie calze di lana sopra i calzini di cotone, dando uno strappo nervoso alle cerniere di chiusura degli stivaletti.

“Nervoso, Andy?”

Senza neppure voltarsi, l’interpellato si mise al collo il suo prezioso foulard, confezionatogli in Cina dalla moglie, per poi vestire il pesante giubbotto di pelle foderato di lana: “Che me lo chiedi a fare, se lo hai già capito?”

James alzò le spalle: “Una volta mi dicesti che, quando i giochi sono fatti, tanto vale giocare senza pensarci più.”

“Davvero?” il compagno, richiuse rumorosamente lo sportello “Ne ho dette di cazzate, quand’ero signorino!”

Stone ebbe un guizzo, ma rispose pacatamente: “Ero sempre rimasto convinto che il tuo nuovo status non avesse per nulla intaccato la tua fibra di pilota.”

“Allora sei proprio un ingenuo!” rimpallò il superiore, passandogli accanto per uscire.

“E se invece sputassi il rospo senza tanti giri di parole?”

Il comandante si bloccò, per poi rivoltarsi, squadrando decisamente il compagno di tante avventure: “Cosa ti fa credere che abbia un rospo da sputare?”

“Andiamo, Andy: è la prima volta che ti vedo così nero prima d’una missione. E sono quasi due anni e mezzo che sei sposato!”

L’asso appoggiò la schiena allo stipite della porta, sbuffando sonoramente: “Beh… il fatto di scortare una formazione da bombardamento fin sulla città del mio migliore amico, non mi rende particolarmente allegro. Ti basta?”

“No. Perché non è quello il motivo!”

Il tenente-generale grugnì leggermente, prima di lasciarsi sfuggire la frase successiva: “Perché ha voluto venire all’aeroporto proprio stamattina? E col bambino, per di più… non riesco a capire cosa cavolo ci sia sotto!”

“E perché non glielo chiedi?”

Andy scosse il capo: “Perché so già che me lo dirà soltanto al mio ritorno. Se ritorno…!”

“E finiscila di sparare fregnacce” s’alterò decisamente James “lo sai bene che non esiste nessun nemico che possa abbattere te!”

“Vorrei averla io, questa sicurezza!” concluse il superiore, mentre infilava la porta.

***

Non appena l’auto si fermò presso la piazzola di stazionamento della sezione di Andy, il sergente George Travis scese per aprire lo sportello alla First Lady della Decima, come la signora Greason era scherzosamente (ma rispettosamente) chiamata in tutta l’USAAF. Lei ringraziò con un sorriso, sempre tenendosi stretta il bambino. Subito dopo seguì il marito verso il massiccio P-47, che attendeva il suo pilota col motore già acceso e la carlinga spalancata. Al di sotto dei piloni subalari, come pure sotto il ventre del velivolo, spiccavano tre voluminosi serbatoi sganciabili, contenenti non meno di 108 galloni di carburante. Con tale riserva lo Yankee Eagle avrebbe potuto raggiungere il cuore della Germania e fare poi ritorno in Inghilterra.[4]

Prima di salire, Andy Greason si voltò per salutare la sua famiglia.

“Ciao, bello di papà!” disse, baciando in fronte il figlioletto.

“Gaoo…!” rispose il pargolo.

Poi fissò la compagna, che lo accarezzò in viso: “Buona fortuna, tesoro…!” e lo baciò, passandogli un braccio intorno alle spalle.

“Non devi dirmi proprio niente?” tentò ancora lui.

Lei scosse la testa sorridendo, anche se i suoi occhi erano lucidi: “Per ora no. Bada solo a fare del tuo meglio! Ricevuto?”

“Forte e chiaro... a stasera!”

Ciò detto mise piede sul piano dell’ala, per poi scavalcare il bordo dell’abitacolo, col fido Nat Carling che gli porgeva il casco. Mentre gli altri due avieri dell’equipaggio di terra gli fissavano le cinghie del paracadute, l’asso alzò il pollice verso i suoi cari, strizzandogli l’occhiolino…

“Dai, Paul: fa’ ciao a papà!” lo incitò la madre, muovendogli il braccino con la mano destra, mentre lo teneva al petto col braccio sinistro.

“Aoo… baaa…!!” gridò lui.

Sorridendo a denti stretti, il padre sorrise e afferrò la maniglia superiore del tettuccio, tirandolo in avanti fino a sentire lo scatto della chiusura. Dopo aver collegato tubi e spinotti vari, si premette il laringofono sotto il mento: “Bravo 761 a torre: chiedo conferma per il decollo!”

“Torre a Bravo 761: decollo confermato. Procedere su pista 2. Buona missione, signore!”

“E buona permanenza a voi” rispose di rimando il generale, commutando la frequenza di trasmissione “Bravo 761 a India 218: Victor, mi senti? Decollo immediato. Rende-vu a 4000 piedi sopra il circuito.”

“Wilco, comandante. Siamo pronti!” rispose la voce del brigadier-generale Sanders.

“Roger… andiamo!”

Dopo aver mandato un ultimo cenno di saluto ai congiunti, Andy controllò rapidamente passo e miscela prima di dare manetta, permettendo alla possente Hamilton-Standard di trascinare le 19400 libbre[5] di metallo dello Juggy lungo il raccordo d’imbocco della pista designata dalla torre di controllo.

Quando il P-47 D-22 4K-B 275761 si trovò in posizione di partenza, il pilota abbassò completamente gli estesi flaps, bloccò lo sterzaggio del ruotino posteriore e spinse a fondo la manetta del gas: il ruggito del poderoso radiale Pratt & Whitney R2800-59 Double Wasp riempì completamente il confortevole abitacolo del caccia, che iniziò a scorrere sopra l’asfalto, mentre la coda assumeva la posizione orizzontale.

Le lancette del cronografo di Andy segnavano le 8 e 2 minuti del mattino. Un radioso mattino di fine Aprile del 1944.

Ma, più che all’orologio, gli occhi dell’asso erano puntati sull’anemometro e sul contagiri: quando la lancetta del primo strumento ebbe superato le 92 miglia orarie,[6] con un leggero richiamo della cloche, Andrew Steve Greason affidò per l’ennesima volta il suo amato velivolo alla portanza del vento di corsa.

“Sono nelle tue mani anche oggi, amico mio…!”

Mentre i 2000 cavalli abbondanti del poderoso stellare lo trascinavano verso l’azzurro del cielo con una media di 1384 piedi al minuto,[7] il nostre eroe si voltò all’indietro, scorgendo così la sua donna mentre continuava a salutarlo, tenendosi sempre stretto il loro primogenito…

“Cristo… non ho mai desiderato così tanto essere un semplice mezzemaniche del Dipartimento!” si sfogò, rammentando il tentativo di Flanny nel coprire la sua professione, quando l’aveva presentato alla bionda collega di Lakewood.

Ora capiva perché la consorte l’aveva voluto accompagnare alla partenza di quella difficile missione. Anche se c’era un particolare che ancora non riusciva a spiegarsi.

“Non piangere, piccolino mio” diceva Flanny nel frattempo al suo bambino, che aveva cominciato a lamentarsi “il tuo papà tornerà anche stasera… e forse gli faremo una bella sorpresa, d’accordo?”

Dopo averlo baciato di nuovo, la signora Greason tornò sui suoi passi per rientrare nella berlina di servizio del marito: “All’ospedale St.Mary, per favore, George.”

“Bene, signora.” rispose il sergente Travis.

***

“Cosa ci fai, qui?” chiese una stupita Candy vedendo l’amica entrare nella saletta del personale col suo frugoletto tra le braccia “Perché non sei a casa a riposare?”

“Ho un appuntamento col dottor Waxman.”

La bionda emise uno sbuffò sonoro: “Ah, Flanny…! È mai possibile che nemmeno una famiglia sul collo ti permetta di dare un calcio a questo tuo stakanovismo?!”

“Non è per lavoro” spiegò la mora, stancamente, mentre faceva sedere il bambino sul tavolo “devo farmi visitare.”

La collega ebbe un lieve sussulto: “Cosa c’è, non stai bene?”

“Niente di serio, non preoccuparti” ribatté Flanny, con un vago gesto della mano “piuttosto, nel frattempo, mi daresti un’occhiata a Paul?”

“Ma certo” rispose l’altra, con un tenerissimo sorriso “vieni qua, bambolotto della zia!”

“Gheee…!” rispose felice il pargolo, agitando le braccine.

Felice di godersi per un po’ il suo “figlioccio” preferito, la dolce Candy non rimase più di tanto a riflettere sul motivo che portava la sua amica dal dottore. Inoltre, durante la sua assenza, arrivarono Natalie ed Eleanore, che subito iniziarono anche loro a coccolare il primogenito dei Greason.

Dopo venti minuti circa, la loro mentrice ricomparve con un’espressione piuttosto assorta, tenendo per mano un referto medico. Senza nemmeno rispondere al saluto delle compagne, si sedette di peso su una sedia, poggiando la mano sulla fronte.

“Flanny” l’apostrofò subito Candy, combattendo con la propria ansietà “allora, com’è andata?”

L’interpellata si voltò verso di lei, guardandola un po’ senza vederla.

“A meraviglia” rispose, asciuttamente “non avreste un po’ di caffè?”

A un cenno di Candy, Natalie s’affrettò a prepararlo, mentre la bionda s’avvicinava all’ex condiscepola, mettendole una mano sulla spalla: “Ti prego, cara, non tenerci sulle spine. Che ti ha detto il dottor Waxman? Che cos’hai…?”

La collega alzò le spalle: “Niente di anomalo, dopotutto” mostrò un malinconico sorriso “sono solo un po’ incinta...!”

“Cosa…?” sussurrò Candy, stupefatta.

“Ma davvero??” saltò su anche Natalie, spalancando gli occhi.

“No, per finta” ironizzò la moglie di Andy, accarezzandosi la pancia. Poi appoggiò la testa all’indietro, chiudendo gli occhi “ci mancava pure questa, adesso! Eppure c’eravamo stati attenti…!”

“Flanny…” disse Candy.

“Ma perché, non sei contenta?!” chiese invece Eleanor, intenta a giocare col piccolo Paul.

“Contenta??” saltò su la signora Greason, in tono piccato, verso quella signorina di buona famiglia “Ma si capisce: fra la casa e l’ospedale, stento a reggere per miracolo con un marmocchio solo! Sono strafelice…!!”

“Non angosciarti” s’affrettò a rassicurarla Candy, sempre accarezzandole la spalla “ci siamo noi, con te. Vi aiuteremo!”

La mora le circondò la vita con un braccio, stringendosela con affetto: “Ah, Candy… non è questo il problema!”

“E allora che altro c’è…?” chiese lei, stupita e commossa da quell’inusuale gesto d’affetto da parte della non più tanto fredda compagna.

Flanny si versò una tazza di caffè dal bricco che Natalie le aveva appena porto e assaporò la calda bevanda: “C’è che stavolta il mio maritino sarà inflessibile!” disse poi.

“In che senso?” chiese Candy.

“Pretenderà che io torni a casa, lo so! E io non posso… non voglio!!” ribadì con veemenza, sbattendo la tazza sul tavolo.

“Waaa…!!!” sbottò il povero Paul, spaventato. Per evitare che si mettesse a frignare per la gioia di tutta la vicina corsia, la madre s’affrettò ad alzarsi e a prenderlo in braccio.

“Accidenti” imprecò, mentre lo cullava, dopo che Natalie gli aveva infilato il succhiotto in bocca “ma è mai possibile che, dopo quindici anni d’inferno e cinque di purgatorio, le cose più belle della mia vita debbano capitarmi tutte nei momenti peggiori?!”

Non riuscendo a non domandarsi se pure lei avesse fatto parte di quel purgatorio, la buona Candy tornò ad avvicinarsi all’amica: “Stai tranquilla, Flanny: Andy non ti rimanderà in America. Ci parlo io con lui!”

La collega fece una smorfia divertita: “Tempo sprecato, tesoro: per certe cose, il mio dolcissimo pilota è cocciuto come un mulo!”

*Dio li fa e poi li accoppia!* commentò Natalie, fra sé e sé.

“Mai quanto me” rispose invece la bionda, punta sul vivo “dov’è, adesso, quell’irresponsabile seduttore?”

“Su a 30000 piedi, sparato verso la Germania a 400 miglia all’ora...!” rispose la donna, in tono cupo, stringendosi il bambino, che già s’era addormentato.

Candy prese un po’ di fiato per smaltire l’improvvisa fitta in mezzo al petto… quanto somigliava lo sguardo di Flanny a quello di Patty, in quei maledettissimi momenti!

*Altro che non tornare a casa* pensò, incollerita *aspetta solo che mi senta, quello scriteriato: ce li rimando tutti e due, a calci nel didietro!*[8]

“Okay, aspetteremo che ritorni. Non temere, si aggiusterà tutto!” le disse quindi, facendo una carezza al piccolo Paul.

“Speriamo” rispose lei, mettendolo sulle braccia di Natalie per potersi infilare il soprabito “e speriamo anche che questo sia femmina…!” concluse, battendosi una mano sull’addome.[9]



[1] E certamente non prima di una missione, per evitare che il compagno si deconcentrasse (cosa che, durante il combattimento, poteva facilmente riuscire fatale).

[2] Leggasi Zero-Ottocento: cioè alle 8 in punto del mattino.

[3] Vedi capitolo 9.

[4] 324 galloni equivalgono a 1226 litri; per avere più o meno lo stesso rateo d’autonomia, al P-51 Mustang bastava una riserva di 150 galloni (568 litri), trasportati dentro due serbatoi da 75.

[5] 8800 chilogrammi. Come gli appassionati di storia aerea (fra i quali il nostro moderatore) ben sanno, il Republic Thunderbolt è stato il più grosso e pesante monomotore monoposto a popolare i cieli della Seconda Guerra Mondiale.

[6] 154 Km/h: la velocità di sostentamento a pieno carico del P-47.

[7] 422 metri.

[8] Anni dopo, venuto a conoscenza di questi particolari, l’oberstleutnant Schultz von Heindrich commentò divertito che, a seguito di un’eventualità di quel genere, Candice White Andrew sarebbe sicuramente diventata, nell’intera Luftwaffe, molto più popolare della stessa Hanna Reitsch!

[9] Sicuramente alludeva al fatto che, come donna, la sua secondogenita non avrebbe mai fatto il soldato. Di guerre, comunque, Lucy Greason ne vide almeno una, giacché, vent’anni più tardi, giovane e intraprendente giornalista, venne inviata come corrispondente proprio in Vietnam!

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Capitolo 18
*** L'incidente ***


Capitolo 9: Chi non muore si rivede

Capitolo 18: L’incidente

 

UCPFH 18

 

 

“P

ilota a navigatore: dammi la posizione, Cookie!” ordinò il comandante Legan, del Candy Candy.

“Navigatore a pilota” rispose il tenente Laffey, dopo aver velocemente fatto il punto “siamo sulla verticale di Bilzen, circa 11 miglia nautiche a sud-ovest di Maastricht.”

“Roger… dove cavolo sono finiti, allora, quei fottutissimi caccia di scorta?” ribatté Neal, discretamente alterato.

“Probabilmente a smaltire la sbronza in qualche bordello di Brighton!” suggerì, senza peli sulla lingua, il puntatore Boyle.

“Taci, scostumato” lo redarguì prontamente il navigatore “se no lo racconto a Candy!”

“Me la sto facendo sotto, mozzucolo da strapazzo.”

“Tappatevi quelle fogne” gridò il comandante nell’intercom, che diventava sempre piuttosto irritabile a sentir nominare la dannazione della sua vita “e muovetevi a controllare le armi: siamo quasi in Kartofalia.”

Poco dopo il monotono brontolio dei quattro motori radiali venne interrotto dai secchi scatti delle sicure che venivano disinnestate, seguiti dal crepitio delle raffiche di prova sputate dalle mitragliatrici.

Il pensiero di vedersi piombare addosso tutta la Luftwaffe da un momento all’altro rendeva i novellini del Delta-Fox abbastanza nervosi e a farne le spese fu la coda del Saint Tail, sfiorata dai traccianti di Sammy Carson, dimentico di dover sparare verso il basso, anziché verso l’alto.

Le rimostranze del comandante Askey non tardarono a farsi sentire: “Ehi, badate a ciò che fate, là sotto, banda di orbi: siamo americani anche noi!!”

“Le nostre scuse, colleghi” bofonchiò Neal, nervosamente “faremo più attenzione.”

“Ce l’auguriamo di cuore, adescatori di infermiere!” replicò, provocatorio, il tenente Mantano.

“Vattene al diavolo, reporter fallito” grugnì Legan, per poi richiamare severamente il suo mitragliere di destra “tieni la testa a posto, Sammy: non intendo fare più figure simili!!”

“Sono mortificato, signore… non ricapiterà!”

“Capo, abbiamo raggiunto il Way-Point[1] numero 4” intervenne Cookie, prima che Neal potesse replicare “puoi procedere per 0-9-1.”

“Roger…!” sbuffò il pilota.

Mentre il Delta-Fox assumeva la rotta definitiva verso il bersaglio, accompagnato dalla sua formazione, Cookie tracciava scrupolosamente sulla mappa la posizione dell’apparecchio, rimembrando con nostalgia le prime lezioni di navigazione che il suo benefattore, il capitano Nieven, gli aveva impartito sulla Seagull.

Mustang a ore sette, in alto!” annunciò la voce di Tom, dalla postazione superiore.

Pochi attimi dopo la formazione del 22° Gruppo Bombardieri venne sorvolata da una squadriglia di P-51, splendenti nelle loro livree d’alluminio. Quella vista era un vero toccasana per l’animo di quegli aviatori: dai primi mesi del 1944, grazie ai nuovi serbatoi supplementari sganciabili, le Fortezze non erano più sole ad affrontare i lupi arrabbiati della Jagdwaffe hitleriana.

“Le Cadillac del cielo sono qui” esclamò allegramente Gilbert Evans “ormai siamo al sicuro!”

“Non sono mica tanti, però” osservò suo malgrado il tenente Curtright “dipende da quanti crauti spunteranno da qui all’obiettivo!”

“Parecchi, temo, data l’importanza del bersaglio” commentò amaramente Neal “per fortuna ci saranno anche i Thunderbolt del generale Greason.”

“Ancora, però, non si vedono” ribatté polemicamente Charlie “speriamo che non si siano dimenticati della festa!”

“E dagli il tempo d’arrivare” osservò Cookie “il P-47 è più lento del P-51 di almeno 8 miglia orarie, per tacere del doppio carico di benzina che deve portarsi dietro per avere la stessa autonomia. Dopotutto nemmeno i tedeschi si stanno facendo vede…”

“Banditi a ore undici!!” gracchiò nell’intercom dei piloti e del marconista la voce del colonnello Richardson dalla South Sea Sinner, a meno di 500 piedi più avanti.

“Pronti al fuoco, mitraglieri” passò parola Neal, dopo essersi umettato le labbra “stanno arrivando i crauti!”  

“Ecco, lo sapevo” imprecò il navigatore contro il compagno di volo “ma perché non tieni mai chiusa quella maledetta boccaccia da gangster?!”

“Come se bastasse a tener lontani i nazi…!” ribatté costui, affrettandosi ad impugnare la sua Browning sulla destra, mentre l’altro lo imitava brandeggiando la sinistra.

“Sono almeno una dozzina, tra Messerscmitt e Focke-Wulf” segnalò Gilbert, dal suo comparto radio, sporgendosi attraverso il lucernaio superiore “fra poco farà caldo, quassù…!”

“Sbatteteli giù, compari!” gridò Tom Steeve, a mo’ d’incoraggiamento, stringendo febbrile i comandi della sua torretta.

I sei Mustang del 30th Squadron del 99th Figthing Group, al comando dell’ormai svezzato capitano Roger Williams, per giunta accompagnati dal maggiore Roy Master sul suo Blonde dalla prua scarlatta e dal brigadier-generale Victor Sanders, ai comandi del Big Beautiful Doll dal muso quadrettato, piombarono subito come falchi sugli intercettori tedeschi, incuranti del loro numero più elevato.

Ben presto tutto il cielo circostante diventò una giostra di velivoli che cercavano di abbattersi a vicenda e una parte degli attaccanti stava riuscendo a sgusciare dagli artigli della scorta per avventarsi sulle Fortezze, che purtroppo, nonostante la loro robustezza leggendaria, avevano lo svantaggio di fornire dei bersagli piuttosto facili, grazie alla loro notevole mole.

Nelle cuffie di tutti i componenti degli equipaggi iniziò subito un frenetico scambio di messaggi e avvertimenti diretti ai mitraglieri: puntatore, 109 a ore sei, da basso! Attento, armiere ventrale, sta per passarci sotto! L’ho colpito… l’ho colpito!!! Non distrarti, ce n’è un altro! Armiere di coda, bada a quel caccia a ore cinque…

A dispetto dei 30 gradi sottozero che imperversavano alla quota di 25000 piedi,[2] accentuati dagli spifferi che passavano attraverso le aperture delle postazioni difensive, gli aviatori del 22nd Bombardment Group non sentivano eccessivamente il freddo, poiché l’adrenalina aiutava efficacemente il termo-riscaldamento delle tute a far scorrere un copioso sudore lungo le loro membra.

“Puttana miseria” imprecò Charlie nel tentare di seguire la traiettoria di un 190 in modo da prenderlo di mira “questi qui fanno sul serio, cazzo!!”

“Pare di sì… sulla Francia era un’altra cosa” ammise Laffey, tentando anche lui inutilmente d’inquadrare un 109 che sfrecciava sulla sinistra “merda, queste armi hanno un campo di tiro schifoso! Datti da fare, Tommy…!”

“Faccio del mio meglio, Cook!” rispose costui, con l’occhio puntato sul mirino a riflessione delle sue mitragliatrici. Un altro Messerschmitt, dopo avere effettuato un tiro frontale contro la Memphis Belle del capitano Swanson, stava giusto passando fra quel bombardiere e la Fortezza di Legan, entrando, dopo solo mezzo secondo, nel campo di tiro dell’armiere superiore.

“Ce l’ho” esclamò l’ex ranchero, con le dita contratte sui grilletti “fuoco…!!!”

Le raffiche congiunte del sergente Steeve e del mitragliere inferiore del Belle investirono senz’appello il caccia tedesco, che iniziò ad avvitarsi, completamente crivellato, lasciandosi dietro una scia di fumo nero.

“Beccato” gridò il marconista, esultante “complimenti, Tom!”

“Grazie, Gil” rispose il compagno, mentre osservava sollevato il paracadute del tedesco che si apriva “stasera mi offrirai una birra!”

“Con immenso piacere!” rispose l’ex fattorino del Miami Post Dispatch *Sempre però che non venga a trovarc…*

“Attenti, Candy Candy” lo avvertì improvvisamente la voce del marconista del Chow Hourd, gregario destro della pattuglia del maggiore Connelly, che volava trenta metri più avanti e trenta metri sotto di loro “un 190 vi sta puntando a ore 3!”

I nervi del sergente Smith (detto spesso Baby-Jo per la giovanissima età di sedici anni, con gran spasso del collega di coda) armiere di fusoliera e “fratellino adottivo” della bionda collega di Mrs Greason, si tesero fino allo spasimo, nella coscienza di trovarsi, di lì a pochi istanti, di fronte alla tragica scelta di uccidere per non essere ucciso!

La sua fronte era gelida, le gambe gli tremavano e le natiche erano in fiamme, probabilmente al ricordo di quegli sculaccioni (simbolici nell’intenzione ma reali nella consistenza) che la vice-direttrice della Casa di Pony gli aveva rifilato a suo tempo per punirlo di avere preso parte a quelle “esercitazioni di guerra” organizzate dal suo “capo” e attuale co-pilota!

Anche il metallo della mitragliatrice da 12,7 gli bruciava sotto la pelle dei guanti da volo o almeno così parve al piccolo John mentre la muoveva per far entrare la sagoma del caccia nemico entro il cerchio del reticolo di mira.

“Che cacchio aspetti a sparare, Johnny?!” gli gridò alle spalle il sergente Carson, armiere della postazione destra.

*Non ci riesco* rispose mentalmente il poveretto, in preda alla più grave crisi di coscienza della sua giovane vita *oh, Dio… non ce la faccio…!!*

In quei fatali attimi, le immagini del suo corso di addestramento gli scorrevano nella mente, come fotogrammi scoloriti di un vecchio film…

 

***

“Non essere così teso, Smith” gli diceva l’istruttore “le Browning mordono solo chi sta davanti. Forza, tira una breve raffica al bersaglio 3!”

C’era voluta la voce grossa del sergente-maggiore a minacciargli due giornate di consegna, se non si fosse deciso a tirare quel fottuto grilletto e soltanto il pensiero degli scherni della recluta Robert Malone, arruolatosi insieme a lui, l’avevano infine deciso. Ogni centimetro cubo del suo corpo aveva sussultato alle vibrazioni e al frastuono infernale di quell’orribile arma, assieme ai proiettili che andavano a colpire una semplice sagoma di compensato. Dopo, Baby-Jo l’aveva vista da vicino, quella sagoma: nulla più d’un mucchietto di schegge e di frammenti… ma stavolta davanti alla sua arma ci sarebbe stato proprio un vero aereo. E all’interno ci sarebbe stato un uomo.

 

***

“John, stai aspettando che ci spezzi in due?” dicevano le urla isteriche di Sammy, nella cuffia “Spara, per amor di Cristo!!”

Stringendo fortemente le palplebre, l’ex orfanello che aveva aiutato la sua “sorellina maggiore” a far recedere i signori Brighton dall’intenzione di adottarla prestandole un lenzuolo bagnato, azionò infine il grilletto della M2HB mandando un gemito soffocato: “Perdonami, Candy…!!!”

La raffica da mezzo pollice partì, prendendo in pieno il radiale BMW del malcapitato intercettore germanico, che stava semplicemente cercando di allontanarsi dalla formazione. Per lui quel bersaglio sarebbe stato in piena deflessione e un centro praticamente impossibile, nonostante l’armamento poderoso.[3] Ma il fuoco difensivo del Candy Candy, aperto dal piccolo Baby-Jo, si rivelò fatale per l’hauptmann Rudolf Strassmann: tutti quei colpi gli avevano frantumato le palette della ventola di raffreddamento, altri avevano forse raggiunto il serbatoio dell’olio e il motore prese fuoco… dopo una manciata di secondi, il Focke-Wulf 190 s’era già trasformato in una torcia fiammeggiante, che precipitò subito verso terra senza dar tempo al suo pilota di lanciarsi.

“Bel lavoro, Baby” gli gridò il pilota, nell’interfono “cerca solo d’essere più svelto, la prossima volta!”

“Vaffanculo, Neal!!” sbottò tuttavia John, esasperato, fra un singhiozzo e l’altro.

“Ehi, che ti prende, pivello? Cerchi guai, forse?” ribatté il comandante, irritato dalla mancanza di rispetto e anche un po’ ferito.

“Dai, lascialo” lo pregò Jimmy, che aveva compreso la situazione “era il suo primo abbattimento!”

Legan grugnì, comprensivo, mentre Tony Chaklies, dalla torretta sferica inferiore, osservava la caduta del caccia che si perdeva nella foschia: “A quel poveraccio dev’essersi bloccata la capottina.” commentò.

Poveraccio un corno” replicò Bob, dalla postazione di coda “o noi o loro, fratello!”

“Silenzio, voialtri” li redarguì il comandante “non distraetevi, se tenete alla pelle!”

“Altri banditi, di sopra a ore due!” gridò nuovamente il buon Tom dalla torretta dorsale.

“Questa non ci voleva” osservò Jimmy “i nostri caccia sono impegnati a darsele con quell’altro squadrone!”

“E allora ce la caveremo da soli!” rispose asciutto il comandante. E il co-pilota scosse la testa, constatando di nuovo quanto fosse cambiato il viziato rampollo di casa Legan.

Seguirono parecchi minuti infernali, che misero a dura prova i nervi degli equipaggi del 22°… almeno una decina di Messerschmitt li avevano circondati, crivellandoli di colpi da 13, da 20 e da 30 millimetri. I piani di coda del Saint Tail, compagno d’ala del Candy Candy, erano stati ridotti a mal partito e meno male che le raffiche difensive, sparate anche dagli aerei vicini, erano riusciti a far desistere gli attaccanti. Minor fortuna era toccata alla pattuglia del maggiore Lang, che copriva il lato alto della formazione: il muso della sua Baby on the Grass appariva sbrindellato e due dei suoi motori erano fermi.

“Colonnello Richardson al Gruppo” s’udì nelle cuffie dei marconisti e dei piloti la voce del Comandante del 22° “serrate più i ranghi e concentrate il fuoco difensivo. Ci stanno bastonando di brutto!”

“Meno male che le incursioni diversive dovevano distrarli!” commentò Charlie, sarcastico, facendo seguire un’imprecazione alquanto spinta.

“Già” commentò sempre Cookie cercando d’inquadrare un 109 che puntava verso la pattuglia inferiore, guidata dal maggiore Connelly “chi era quell’idiota che diceva che i crauti stavano per essere sconfitti?”

“Tenete duro, amici: siamo qui!!”

Il timbro di quella voce ridiede linfa vitale all’animo di tutti gli equipaggi… in poco meno di dieci secondi si videro sbucare dalle nuvole dodici massicci P-47 Thunderbolt nella loro mimetica verde oliva, guidati da un gemello che mostrava una vistosa cappottatura a scacchi bianconeri. La 20a Squadriglia del 99° Gruppo Caccia del capitano Harris e la 10a Squadriglia, al comando del capitano Maxim, ma di fatto condotta dall’Aquila Americana in persona, s’avventarono contro lo Staffel di Messerschmitt che aveva approfittato del vantaggio momentaneo fornitogli dal gruppo dei Focke-Wulf, che stavano impegnando totalmente i Mustang di Roger Williams, Roy Master e Victor Sanders.

In breve tempo i feroci lupi della Luftwaffe, presi fra due fuochi dal tiro difensivo dei bombardieri e da quello offensivo dei loro nuovi accompagnatori, ripiegarono disordinatamente lasciando dietro tre dei loro, rispettivamente abbattuti da Andy Greason, da James Stone e da John Maxim.

“Scusate il ritardo, fratelli maggiori” trasmise l’Aquila Americana, dopo essersi affiancato alla South Sea Sinner del colonnello Richardson “ma tutta la benzina che abbiamo in pancia ci ha fatto rallentare un po’…!”

“Scuse accettate, piccoli amici” rispose il comandante del 22° “ai nostri mitraglieri non faceva che bene un po’ d’allenamento in più!”

“Davvero buona, come fregnaccia!” storse la bocca il marconista Evans.

Dopo questo scambio di battute, che per fortuna i diretti interessati non potevano sentire, i caccia delle tre squadriglie assunsero l’assetto più idoneo alla protezione delle dodici Fortezze Volanti.[4]

Ormai erano quasi le undici del mattino sul meridiano di Greenwich[5] e i due Gruppi della Decima Air Force si trovavano a meno di 100 miglia dal bersaglio loro designato.

 

***

Nel tratto finale del percorso non ci furono altri attacchi nemici di particolare entità. Evidentemente, nonostante lo scetticismo di Charlie Boyle, le operazioni diversive effettuate dagli stormi dell’Ottava e della Quindicesima Forza Aerea stavano tenendo occupato il grosso della Luftwaffe, le cui squadriglie dovevano cominciare a fare i conti con una disponibilità di benzina sempre più bassa. O magari i responsabili delle zone aeree sorvolate pensavano che non valesse troppo la pena scomodarsi per una formazione così piccola, che non sembrava diretta verso obiettivi particolarmente importanti.

Fatto sta che il 22nd Bombardment Group riuscì ad arrivare sulla Westfalia praticamente intatto, a parte l’assenza del povero Chow-Hourd di Robert Gerryson, abbattuto durante il primo scontro con i caccia tedeschi. Per fortuna almeno 8 paracadute su dieci erano stati visti scendere verso terra, dopodiché la “mutilata” pattuglia del capitano Connelly (leader della 44a Squadriglia) s’era avvicinata alla pattuglia di testa del colonnello Richardson, lasciando un po’ sguarnita quella posteriore di Swanson della 66a, nella quale volava il Candy Candy.

A bordo di quest’ultimo il tenente Boyle stata congelandosi per armare le otto M44 appese alle rastrelliere. Purtroppo per lui nella stiva-bombe non esistevano prese elettriche per la termo-combinazione di volo e nemmeno prese per l’ossigeno. Cosicché l’ex teppista di New York doveva reggere con un braccio una scomoda bomboletta portatile, mentre con l’altra mano doveva raggiungere e sfilare tutte le sicure che impedivano alle spolette posteriori di mettersi a girare incidentalmente per far poi detonare l’esplosivo. Il tutto con la consapevolezza che, se avesse perso l’equilibrio piombando sui portelloni sottostanti, i suoi 78 chili di peso li avrebbero sfondati facendolo cadere nel vuoto e questo l’obbligava a portarsi dietro anche l’ingombrante paracadute.

Dopo aver levato l’ultimo ferretto, Charlie stava per tornare nel compartimento del muso, quando s’accorse che una delle pinze d’attacco superiori appariva serrata in modo anomalo. Tentare di sistemarla con le mani era fatica sprecata; avrebbe dovuto recarsi nella retrostante cabina radio di Gilbert a prendere qualche attrezzo, ma ormai non c’era più tempo: solo pochi istanti prima, Cookie aveva infatti segnalato l’ultimo Way-Point.

Uscì allora dalla stiva per entrare nella cabina di pilotaggio, dove scosse leggermente la spalla di Neal: “Ehi, capo…”

“Che vuoi? Hai finito di spolettare?”

“Sì, però…” accostata la bocca al suo orecchio, il puntatore gli spiegò la faccenda della pinza.

“Non c’è tempo per ripararla” rispose l’altro, scuotendo la testa “torna al tuo posto.”

“Ma…”

“Fa’ come t’ho detto: fra poco dovrò passarti i comandi.”

“D’accordo.”

Dopo aver seguito una leggera deviazione a sud per arrivare sull’obiettivo dalla direzione prestabilita, appena la formazione venne a trovarsi sopra il villaggio di Derschen, il colonnello Richardson, avvertito dal suo navigatore, annunciò che si trovavano sull’Initial Point.[6] Immediatamente dopo la formazione si trasformò e le quattro pattuglie del 22° si disposero una dietro l’altra, affinché la trama delle bombe piovute sul bersaglio risultasse meno larga possibile.

“Capo-formazione ai piloti: lasciare i comandi ai puntatori.” ordinò Richardson.

Su ogni Fortezza Volante del gruppo ogni comandante di velivolo settò il suo pilota automatico nella posizione che consentiva allo strumento di ricevere i segnali direttamente dal calcolatore del traguardo Norden; in altre parole, ogni addetto al bombardamento stava pilotando personalmente l’apparecchio per mantenerlo nella posizione ottimale di sgancio.

“Pilota a bombardiere: ho girato l’automatico sul mirino. Il Candy è tutto tuo!”

Quello scapestrato di Charlie non seppe resistere alla tentazione: “È tutta mia, vorrai dire!”

“Va bene, è tutta tua.” si corresse Neal, senza pensarci troppo.

“Grazie, capo! In effetti, quella volta, ci avevo fatto un pensierino…”[7]

“TACI E LAVORA, IDIOTA!!” urlò Neal, furioso, non appena ebbe afferrato il doppio senso. Sogghignando, l’ex teppista del Bronx armeggiò con le manopole dello strumento e accostò l’orbita destra all’oculare del mirino. Quindi si dispose ad attendere che il buon Cookie, dietro di lui, gli segnalasse l’avvenuto sgancio delle bombe dall’aereo di testa.

Contemporaneamente, a qualche centinaio di yarde più in alto rispetto alle Fortezze del 22°, le squadriglie del 99° facevano buona guardia contro eventuali ricomparse della Luftwaffe. I piloti dei caccia non vedevano l’ora che i colleghi dei bombardieri mollassero quelle maledette pillole sul bersaglio e riprendessero la via di casa. Specialmente i piloti dei P-47 lanciavano nervosi sguardi alle lancette degli indicatori di livello, ormai consapevoli di poter contare soltanto sul carburante contenuto nei serbatoi interni, giacché quelli esterni li avevano dovuti mollare durante i duelli con i caccia tedeschi.[8]

Oltretutto, per spremere la maggiore autonomia possibile dai 370 galloni[9] trasportati nella pancia dei Thunderbolt, il generale Greason aveva dovuto escogitare una soluzione abbastanza semplice, anche se leggermente drastica…

***

“Caricheremo solo 2000 colpi da cinquanta, anziché i soliti 3400.”

“Sei uscito di senno?” aveva obiettato James Stone “Fanno appena 20 secondi di fuoco per arma!”

“Lo so” rispose il capo, fissandolo negli occhi “del resto, noi non siamo tipi da sprecare colpi!”

“È sfidare la bontà divina, signore” fece osservare il suo capo-squadriglia, capitano Maxim “non siamo mai penetrati così a fondo nel cuore della Germania!”

“Hai ragione, Johnny. Ma senza questa mossa, i nostri Jug non avranno mai l’autonomia sufficiente per arrivare laggiù, nemmeno coi 3 babies da 108.[10] Dovrei mandare soltanto Roy e Victor, con la 30a di Williams, sui Mustangs… troppo pochi per i miei gusti!”

“E se invece smontassimo un paio di Browning?” propose il capitano Harris, comandante del 20th Squadron.

Andy scosse la testa: “Non basterebbe, Sammy: per ottenere lo stesso sgravio dovremmo toglierne almeno quattro… e non credo che dimezzare la potenza di fuoco sia una cosa molto saggia, in quest’operazione. Meglio sparare meno raffiche, ma più nutrite!”[11]

“Speriamo in bene…!” aveva sentenziato Stone, in chiusura.

***

E in effetti, fino a quel momento, era andata bene. I pochi attacchi nemici che la formazione americana aveva subito lungo la rotta di avvicinamento erano stati eseguiti da piloti non eccessivamente esperti, tanto è vero che poche puntate della scorta erano state sufficienti  per farli desistere. Evidentemente la zona del bersaglio non era fra le priorità della difesa aerea del Reich, che si concentrava soprattutto attorno a Berlino, ad Amburgo e al triangolo industriale della Ruhr.[12] Probabilmente lo stesso Adolf Galland, comandante in capo della Jadgwaffe, ignorava l’esistenza di quel fantomatico laboratorio di armi batteriologiche che il Primo Stormo della  Decima era stato chiamato a neutralizzare.

L’avvicinamento finale al bersaglio si svolse lungo una direzione un poco divergente da quella che avrebbe portato le Fortezze a sorvolare direttamente la cittadina di Eiserfeld, anche se ciò comportava un allungamento del percorso. Era l’ultima precauzione possibile che il generale Greason aveva potuto adottare per preservare la città del suo migliore amico.

Parecchi suoi colleghi, da entrambe le parti in lotta, l’avrebbero severamente criticato di posporre l’integrità del suo stesso personale ad uno stravagante favoritismo verso la controparte, ma Andy non avrebbe potuto agire in nessun modo differente.

Laggiù vivevano pur sempre i concittadini di Schultz von Heindrich, l’uomo che aveva rischiato la fucilazione per non averlo consegnato ai nazisti quand’era dovuto atterrare fortunosamente presso il campo di Saint Dizier nel Luglio del ’42;[13] l’amico che sarebbe stato pronto ad evitare che cadesse nelle grinfie del colonnello Erminio Rospetti[14] quando lui ed i suoi compagni erano stati catturati dagli italiani quell’8 Settembre del ’43 (anche se poi non ce n’era stato bisogno). Ma soprattutto era il collega che, con la sua grande e affettuosa stima, gli ricordava che nel popolo tedesco non c’erano soltanto gli spietati assassini di Hitler, fornendogli la continua speranza che un giorno quel povero mondo avrebbe potuto rinascere.

Senza contare che in una di quelle case abitava una coppia di persone che aspettavano impazienti la fine della guerra per conoscere l’amico americano del loro figliolo e una fraulein molto carina che purtroppo ignorava tuttora che quell’avvenente ufficiale, purtroppo nemico, non era da tempo più scapolo, in quanto il fratello maggiore non aveva mai trovato il coraggio di dirglielo, da che le aveva portato una sua foto.[15]

Non era quello, tuttavia, il momento per simili pensieri. La formazione era già in vista dell’obiettivo, appena celato da una leggera foschia. Il comandante operativo della scorta diede quindi ordine ai componenti della 10a Squadriglia di scendere a bassa quota per neutralizzare le eventuali postazioni contraeree che i tedeschi avessero piazzato a protezione dello stabilimento, mentre la due restanti sarebbero rimaste sopra le Fortezze, proseguendo il loro compito di copertura.

 

***

“Bombe sganciate!!” esclamò il tenente Johnny Miller, il puntatore del colonnello Richardson, in testa alla pattuglia d’attacco.

Le otto bombe da 1000 libbre abbandonarono i sostegni delle rastrelliere precipitando nell’aria gelida sottostante. Subito dopo, dalle stive degli altri dieci[16] B-17, uscirono le restanti 80, le cui spolette ritardate le avrebbero fatte esplodere solo quando avessero sfondato i tetti in cemento dei fabbricati; la micidiale potenza dell’esplosivo RDX, trattenuta dalle restanti pareti, avrebbe completato l’opera.

Grazie alla rotta di allontanamento, che avrebbe lasciato il paese di Eiserfeld a mezzo miglio sulla sinistra della formazione, era sperabile che gli inevitabili sganci lunghi sarebbero finiti nei campi e quindi, se tutto andava liscio, i temuti danni collaterali (vigneti e colture a parte) sarebbero stati nulli.

“Sono andate!” annunciò a sua volta il puntatore del Candy Candy, dal suo muso trasparente.

“Ben fatto, Charlie” rispose Neal “chiudi la stiva.”

“Ricevuto!” replicò Boyle, azionando la leva.

Ma in luogo del solito ronzio dei motorini elettrici che azionavano i martinetti dei portelli, s’udirono alcuni sinistri rumori di ferraglia e le spie di controllo sul pannello di Charlie non risposero come avrebbero dovuto.

“Qualcosa non va… la stiva è ancora aperta!”

“Tommy, va’ a vedere.” disse allora il co-pilota al mitragliere superiore.

Il figlio adottivo del signor Steeve abbandonò la sua postazione e spalancò la porta del vano bombe. Ciò che vide lo lasciò sgomento: non soltanto i portelli non si erano mossi dalla posizione di apertura, ma una M44 si trovava ancora appesa alle sue pinze di attacco, le cui molle di rilascio s’erano bloccate per qualche ragione, come aveva riferito lo stesso tenente Boyle, poco prima del punto iniziale.

Dopo aver connesso la spina del suo laringofono alla presa interfonica più vicina, il buon Tom s’affrettò a dare l’allarme: “Siamo nei guai, comandante: i portelli sono aperti e c’è una pillola rimasta nella rastrelliera!”

“Va bene, torna dentro” rispose il pilota “cercheremo di mollarla sul Mare del Nord.”

“E se un crucco ci spara da sotto prima della costa?” obiettò Jimmy “Se la centra finiamo in briciole!”

“Allontaniamoci almeno da qui” ribatté Neal “perché se…”

“Cristo, s’è sganciata…!!” urlò Tom, all’improvviso.

Per il capitano Legan il mondo intero si fermò in quell’istante…

***

Dopo aver sorvolato a volo quasi radente gli edifici dell’impianto sospetto e aver constatato l’assoluta assenza di postazioni difensive (almeno per quanto fu possibile vedere nel rapido passaggio a 450 miglia orarie[17]) i P-47 del 10th Squadron avevano virato verso ovest per effettuare una larga spirale in cabrata che li avrebbe riportati nuovamente a riunirsi con i  loro colleghi.

Durante questa manovra dei caccia, i B-17 avevano cominciato ad effettuare il loro lavoro e quando la Squadriglia di Andy venne a trovarsi a circa due terzi dalla loro quota di bombardamento, il generale osservò ansiosamente sia l’area del bersaglio, presto coperta da massicce nuvole di polvere illuminate inferiormente da sinistri bagliori, che soprattutto la zona sorvolata dalla rotta di ritorno, dove diversi crateri si vedevano aprirsi nei campi.

Quando però l’ultimo bombardiere ebbe mollato il suo carico, il comandante dei caccia sospirò di sollievo, contemplando l’immagine della borgata di Eiserfeld, con i suoi quartieri pacifici e soprattutto intatti, mentre altrettanto non si poteva dire della vicina fabbrica,  dove ben difficilmente avrebbero potuto più produrre anche solo una misera bomboletta di spray insetticida.

Al colmo della soddisfazione l’amichevole nemico di Schultz von Heindrich scatenò tutta la potenza del suo radiale e scaricò l’adrenalina con un superbo tonneau, a beneficio dei suoi colleghi, che lo acclamarono via radio, qualcuno intonando a squarciagola le strofe di Off We Go…![18]

Quand’ebbe finito di roteare, il nostro eroe si rese conto di trovarsi  a breve distanza e poco al di sotto d’una Fortezza che, dalla sigla riportata in fusoliera, riconobbe essere quella che portava il nome della sua omonima “ammiratrice”.

Avvicinandosi per mandare un salutino al suo irrequieto “pretendente”, s’accorse tuttavia che il Candy Candy aveva il vano bombe ancora aperto. Stava per trasmettere un avvertimento all’equipaggio, quando una bomba da 1000 libbre sbucò inaspettatamente fuori dalla stiva… il comandante della Decima diresse per istinto lo sguardo verso il basso, prendendo atto, con orrore, che il paese del suo amico stava giusto per sfilare sotto le loro ali… probabilmente, per una fatale deviazione dovuta al vento, la rotta del Delta-Fox si era modificata di pochi fatidici gradi.

Andy Greason sentì come il cuore arrestarsi, mentre due mani gelate gli strappavano letteralmente i visceri. Mortificando le sue migliori intenzioni, un destino cinico e baro stava per provocare una tragedia che tutta la sua energia e la sua determinazione non avrebbero potuto più impedire in alcun modo!

O almeno così pareva… ma i suoi neuroni, rapidi come quei nuovi calcolatori sperimentali della IBM, entrarono istantaneamente in funzione per l’ennesima volta. Spingendo brutalmente in avanti la manetta con la sinistra e la barra di comando con la destra, il marito di Flanny Hamilton, che stava aspettando ansiosamente il suo ritorno portando in grembo il suo secondogenito, diresse il muso dello Yankee Eagle verso il terreno!

Ben presto la velocità si fece spaventosa. La lancetta dell’anemometro s’avvicinava pericolosamente al valore terminale, quella del variometro raggiungeva quasi il fondo scala e quelle dell’altimetro roteavano all’indietro come in un orologio impazzito che stesse registrando un vorticoso retrocedere del tempo[19]

Ma Andy non guardava né l’anemometro, né il variometro, né l’altimetro. Le sue pupille puntavano oltre il parabrezza corazzato, fisse su quella lugubre forma scura che stava precipitando sull’inerme cittadina westfaliana. Le sue cellule cerebrali, interamente concentrate in quell’estrema risoluzione, sentivano soltanto le grida disperate dei compagni  berciare negli auricolari del caschetto, senza distrarsi a interpretarne le parole. E per deconcentrarsi ancora meno, il pilota sfilò via lo spinotto dalla presa della radio.

*No* dichiarò mentalmente, con feroce determinazione *quella bomba non deve cadere…!!*

 

***

Si dice vi siano circostanze in cui si vede scorrere tutta la propria esistenza come in un film, dove sembra che i fatti più salienti appartengano alla vita di un estraneo. Si dice anche che tali circostanze precedano di solito la nostra dipartita da questo mondo; che può anche non arrivare, ma soltanto l’averlo creduto induce la nostra mente a presentarci un rapido riassunto della nostra esistenza terrena.

Probabilmente non fu in quell’occasione che questo accadde al generale Andrew Steve Greason, poiché, come già detto, il suo cervello era troppo occupato a dirigere il suo caccia, trasformato in un proiettile, contro quell’ordigno maledetto che stava piombando addosso a una comunità di persone che i suoi principi più profondi non gli consentivano di considerare dei nemici.[20]

Non c’era comunque dubbio che quella fosse l’impresa più folle che il nostro pilota avesse mai compiuto in tutta la sua avventurosa carriera. A parte la possibilità quasi certa che il suo velivolo venisse investito dalle schegge, che avrebbero frantumato per lo meno l’elica, se soltanto avesse aperto il fuoco contro la bomba quando la velocità della picchiata avesse superato anche di poco quella terminale,[21] il rinculo delle otto mitragliatrici avrebbe spezzato di netto i longheroni delle ali. E sarebbe stata la fine!

Nondimeno Andy Greason  era sì un uomo molto audace, ma non un pazzo. Aveva regolato il reticolo del collimatore Bell & Howell K14 sulla posizione relativa ai bersagli della dimensione minima e intendeva premere il pulsante né un secondo troppo presto, né un secondo troppo tardi, contando anche sul fatto che la forza di gravità rallentasse la spinta delle schegge verso l’alto, quel tanto che bastava perché lo Yankee Eagle non ne uscisse danneggiato in maniera irreversibile. Se poi non fosse più riuscito a mantenersi in volo e avesse dovuto paracadutarsi in pieno territorio tedesco… beh, a questo avrebbe pensato in un secondo tempo!

All’improvviso i timpani dell’asso vennero feriti dall’avvisatore acustico che avvertiva che il P-47 stava superando le 500 miglia orarie, più o meno nello stesso istante in cui il reticolo del mirino gli mostrava che la M44 da 1000 libbre, satura del micidiale RDX, distava solo 400 yarde.[22]

L’asso degli assi aprì il fuoco. Le otto Colt-Browning sgranarono la loro soverchiante rosa di proiettili da mezzo pollice e almeno un terzo di essi raggiunse la bomba perforandone facilmente l’involucro d’acciaio. I colpi incendiari fecero il resto, neutralizzando all’istante il pericolo mortale corso dai sottostanti cittadini di Eiserfeld.

Tirando a sé con tutte le sue forze la barra di comando, che sembrava saldata al pavimento, il nostro eroe disperava di riuscire a passar sopra la sfera esplosiva di oltre 13 piedi di diametro.[23] Cupi rimbombi metallici denunciarono che parecchi frammenti non stavano andando perduti e all’improvviso fu come se qualcuno gli avesse rovesciato del piombo fuso sugli arti inferiori…

Urlando dal dolore atroce, il pilota riuscì miracolosamente a non perdere la concentrazione, continuando a richiamare disperatamente l’aeroplano. Per fortuna i due equilibratori della coda, opportunamente retrofittati[24] in alluminio, erano rimasti illesi.

Straziato dagli spasimi, Andy vide spuntare alcune chiazze rosso scuro sul colore giallo sabbia dei calzoni. Distolse sgomentato lo sguardo e vide i tetti di molte abitazioni cominciare a farsi pericolosamente vicini…

*E va bene* pensò in un impeto d’orgoglio e di ferrea volontà *le gambe saranno partite, ma le braccia no! Tirati su, bastardo…!!*

Sempre troppo lentamente per i suoi gusti, l’orizzonte tornò ad abbassarsi sul blindovetro, mentre l’ago del variometro risaliva nuovamente verso lo zero. Andy dovette però aiutarsi con il volantino del trim per aumentare l’efficacia dei timoni di quota e lo lasciò soltanto per inclinarsi all’improvviso sulla destra, onde scartare la torre del campanile…

Dopo essersi nuovamente raddrizzato e aver ripuntato il muso verso l’alto, l’asso lasciò che il suo fedele Juggy, che protestava vibrando in tutte le sue giunture, lo allontanasse dal paese che aveva salvato con la sua cavalleresca generosità. Nel frattempo una pioggia di schegge, pericolose ma non più letali, finivano di rimbalzare sul porfido della piazza principale del paese. Piazza che, che di lì a pochi anni, su espressa richiesta della famiglia von Heindrich, la nuova giunta socialdemocratica avrebbe fatto coerentemente ribattezzare Die Fliegenheldenplatze.[25]

 

 



[1] Punto di virata lungo la rotta.

[2] 7620 m.

[3] Il caccia FW190 A-8 Wurger era dotato di quattro cannoncini Mauser da 20 mm e di 2 mitragliatrici Rheinmetall da 13 mm.

[4] I caccia  rimanevano generalmente a quota più elevata rispetto ai bombardieri effettuando, grazie alla loro maggior velocità, delle azioni di pattugliamento lungo le “combat box” da scortare, in modo da poter intervenire tempestivamente nei punti dove la minaccia nemica poteva maggiormente concretizzarsi.

[5] Cioè mezzogiorno su quello di Amburgo, Roma e Berlino.

[6] Punto Iniziale della rotta di avvicinamento al bersaglio, coincidente con l’inizio della corsa di bombardamento vera e propria.

[7] Si riferisce a quando aveva incontrato Candy, appena sbarcata dalla Seagull dopo la traversata dall’Inghilterra.

[8] Era estremamente pericoloso trattenere i serbatoi sganciabili (costruiti in cartone trattato) durante il combattimento aereo, perché, se venivano colpiti da proiettili incendiari, avrebbero lasciato ben poche possibilità di scampo.

[9] 1400 litri.

[10] I serbatoi supplementari sganciabili, in questo caso da 108 galloni (409 litri) erano in gergo chiamati babies (bambini).

[11] Le mitragliatrici Browning da 12,7 mm avevano una cadenza di 13 colpi al secondo. In questo lasso di tempo otto armi del genere sparavano quindi contro un bersaglio una raffica di 104 proiettili, che si sarebbero ridotti a 52 se fosse stata impiegata la soluzione proposta da Harris.

[12] Essen, Dortmund e Dusseldorf, dov’erano soprattutto concentrate le officine siderurgiche, le raffinerie e gli impianti per la produzione della benzina sintetica (quella ricavata dal carbone).

[13] Vedi capitolo 9.

[14] Comandante di reggimento italiano, fervente fascista e grande amico del generaloberst delle SS Otto von Kruppen, la nemesi dell’Asso degli Assi.

[15] L’idea di inserire una relazione shakespeariana fra quell’eventuale coppia di “nemici” mi aveva effettivamente stuzzicato. Purtroppo per Marika von Heindrich, l’idea di scritturare Flanny Hamilton aveva avuto già la precedenza!

[16] Dopo l’abbattimento del Chow-Hourd i velivoli arrivati sull’obiettivo erano soltanto undici.

[17] Circa 720 Km/h.

[18] Off We Go into the Wild Blue Yonder è una sorta di inno ufficioso per gli aviatori statunitensi, come lo è Anchors Aweigh per i marinai, The Army Goes Rolling Along per i soldati e Semper Fidelis per i Marines. 

[19] Come noto anche ai non esperti in materia, l’altimetro (cioè l’indicatore della quota), ha l’aspetto di un orologio con un quadrante diviso in dieci tacche principali anziché dodici, ognuna delle quali rappresenta 1000 piedi (304,8 m) segnati dalla lancetta corta o 100 piedi (30,48 m) segnati da quella lunga. Esattamente come nell’orologio, un giro completo della lancetta lunga equivale ad un singolo “passo” della lancetta corta. Quando anche questa ha compiuto un giro completo, una finestrella sul quadrante mostra il decamigliaio di piedi di quota raggiunta. Per chi non lo sapesse, aggiungo che questo strumento funziona col principio del barometro, misurando la pressione dell’aria circostante, che varia con un gradiente di 27 piedi (8,23 m) per ogni millibar di pressione e riporta quindi il valore dell’altitudine rispetto al livello del mare. Pertanto solo sull’altimetro di un idrovolante ammarato potrete osservare tutte e due le lancette sullo 0.  

[20] “Noi stiamo combattendo per salvare la civiltà dalla barbarie e soltanto quelli che imbracciano un’arma contro di noi dovrebbero avere ragione di temerci!” disse una volta Andy Greason polemizzando duramente col maresciallo Arthur T. Harris. Il comandante del Bomber Command britannico, tenace assertore dei bombardamenti notturni indiscriminati, accusava sovente gli aviatori americani di pazzia per il fatto che attaccassero di giorno i loro obiettivi, esponendosi così del tutto alla feroce reazione della Luftwaffe.

[21] Limite massimo raggiungibile in una picchiata, oltre il quale la resistenza dell’aria non permette più alla velocità di crescere. Nel P-47 era calcolata sulle 515 miglia orarie (859 Km/h) senza carichi esterni.

[22] Circa 3,66 metri.

[23] 4 m.

[24] Modificati sul campo, successivamente al montaggio in fabbrica. Il 22° lotto di produzione del P-47 D era uscito dallo stabilimento di Farmingdale (New York) coi timoni di profondità rivestiti in tela impermeabilizzata. Le successive prove in volo avevano però rivelato il pericolo di strappi esiziali durante le picchiate prolungate, specie all’avvicinarsi della citata velocità critica.

[25] Piazza dell’Eroe Volante,dove si legge tuttora una targa che riporta queste parole: Il 27 Aprile 1944, nel corso del conflitto più tremendo che avesse insanguinato l’Europa, un uomo venuto da oltre Atlantico, da una città chiamata Provvidenza, preservava la nostra comunità a rischio della sua stessa vita. Possa questo atto luminoso rammentare in perpetuo alla maggioranza degli uomini il dovere di sentirsi fratelli, anche quando una folle minoranza cospira per renderli nemici. 

 

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Capitolo 19
*** L'amichevole nemico ***


Capitolo 9: Chi non muore si rivede

Capitolo 19: L’amichevole nemico

 

UCPFH 19

 

 

L

a vita di Neal Legan, almeno fino a quel momento, non era stata esattamente cosparsa di rose e di fiori. Quando l’ostetrica le aveva sistemato fra le braccia quel pargoletto dal viso leggermente rincagnato e dalla carnagione troppo scura per i suoi gusti,[1] il sorriso della giovane Lilith Andrew in Legan, ultimogenita del più facoltoso magnate d’America, si era un po’ storto dal disappunto, salvo convincersi che molti neonati non avevano precisamente un bell’aspetto, appena dopo il parto e sicuramente, di lì a pochi giorni, il suo secondo figlio avrebbe assunto i deliziosi[2] lineamenti della piccola Iriza.

Le cose, però, non erano andate esattamente in questo modo… non che il piccolo Neal fosse diventato propriamente “brutto”, ma aveva mantenuto una leggera durezza nei tratti somatici che contrastava fastidiosamente con la gentile eleganza della sorella. Quasi a voler completare l’opera, anche il carattere del bambino aveva mostrato delle spigolosità che giustificavano in modo notevole quel suo inquietante sguardo luciferino.

La signora Legan e la figlia Iriza non riuscivano, con tutta la loro buona volontà, a non farsi influenzare da queste peculiarità del loro congiunto e l’affetto che pur sentivano di dovergli dare ne rimaneva purtroppo intaccato. Tuttavia quel bambino adorava la madre e voleva molto bene alla sorella, dalla quale cercava faticosamente quell’affetto e quella complicità che dovrebbero sorgere spontanee fra consanguinei.

Speranza vana. La vanitosa Iriza, accortasi che la madre aveva per lei una considerazione palesemente diversa, s’era convinta - complice l’impietosa schematicità della psicologia  infantile -  che il fratello fosse inferiore a lei e lo trattava quindi come tale!

Quanto aveva sofferto, il futuro comandante del Fox 815, per quella triste sufficienza che permeava dalle persone per lui più importanti. Avrebbe dato l’anima per un po’ di considerazione in più… e purtroppo, in un certo senso, l’avrebbe poi data.

Avendo notato - sempre con l’acuto senso d’osservazione dei bambini - che meglio lo trattava Iriza, meglio lo trattava la madre, s’era imposto di assecondarne al massimo i capricci, trasformandosi ineluttabilmente nel suo imperituro sodale. Così facendo, la sufficienza della sorellina era andata lentamente trasformandosi in benevolenza, rischiarando fiocamente le tenebre che avvolgevano l’animo di quel povero bambino.

È facile immaginare la mazzata ricevuta nel sentire la richiesta che l’ingrata parente aveva un giorno rivolto alla madre: “Voglio un’amica che mi faccia compagnia!”

*Ma come?!* si era chiesto il disgraziato, in preda al batticuore *Sono io il suo amico! Perché, Iriza?*

Cosa poteva capirne, allora, del bisogno che aveva una ragazzina di poter finalmente parlare con una coetanea del suo stesso sesso?

Aveva provato quindi un notevole sollievo nel constatare, in seguito, che l’amicizia fra la sorella e la nuova venuta non era di certo sbocciata! Non solo per la delusione della piccola Candy nello scoprire d’essere stata assunta come semplice “dama di compagnia” anziché adottata come figlia dai Legan, ma soprattutto per l’incompatibilità esistente fra l’energica bontà della bionda orfanella e l’acida altezzosità della signorina dai boccoli ramati.

La guerra feroce che Iriza Legan aveva iniziato contro la mancata “sorella adottiva” non poteva che vedere il fratello Neal nella sciagurata veste di perfido complice, non soltanto per il suo morboso e incessante bisogno di mantenere la considerazione della sorella, ma pure per quella sorta di “rivalità” derivante dal timore che, se putacaso Iriza e Candy avessero cominciato ad andare d’accordo, l’avrebbero magari emarginato entrambe. E questo sarebbe stato micidiale!

Ma il prezzo pagato per rimanere nella grazie della sorella maggiore era stato pesante. Senza quasi rendersene conto, Neal era diventato il suo “aguzzino per procura” non facendole solo da spalla nelle sue cattiverie contro la povera Candy, ma inventando addirittura anche lui qualche diabolico piano da presentare poi fieramente alla compiaciuta Iriza.

Le conseguenze di questo suo agire erano state - peraltro giustamente - del tutto negative: odiato da Candy, disprezzato dai cugini, ignorato dal padre, tollerato dalle tre “arpie” della famiglia Andrew (sorella, madre e prozia), aveva trascorso un’esistenza da “reietto di lusso” certamente non felice.

Come se tutto ciò non bastasse il destino gli aveva in seguito giocato il suo tiro più mancino: si era innamorato di Candy! Dapprincipio ne era rimasto sbalordito, ridendo addirittura di sé stesso… salvo rendersi poi conto che, per quanto assurda sotto tutti gli aspetti, quella sua infatuazione era diventata una cosa seria: più tentava di togliersela dalla testa, più quella bella, buona e vitale ragazza gli si cristallizzava nel cervello, senza volerne più uscire. Tanto che, alla fine, non ce l’aveva fatta più e aveva iniziato a farle la corte!

Inutile dire che i suoi pessimi precedenti, la sua immaturità, l’inesperienza in materia e soprattutto l’ingenua speranza che la molta acqua passata sotto i ponti avesse prescritto nell’animo di Candy le sue “marachelle” peggiori, avevano prodotto i risultati più disastrosi, aggravando - se possibile - la considerazione negativa della “cugina” nei suoi riguardi.

Per Neal Legan, a questo punto, rimanevano aperte due sole possibilità: togliersi la vita o cambiarla radicalmente. E, dal momento che gli mancavano sia il coraggio per la prima soluzione che la forza per la seconda, s’era deciso a minacciare la sua famigliola che si sarebbe arruolato nell’esercito se non lo avessero aiutato a fidanzarsi con Candy!

Visto poi che il suo progetto sentimentale[3] non era andato a buon fine nemmeno con l’aiuto del parentado, tanto valeva mettere in pratica quel suo folle proponimento. Pazienza se l’uniforme gli avrebbe tolto la protezione della sua classe sociale, né si curava del fatto che avrebbero potuto spedirlo al fronte, a farsi uccidere. Ciò che voleva era introdursi in un contesto del tutto diverso da quello in cui era cresciuto, che lo avrebbe mutato anche a dispetto di sé stesso. Tanto peggio se ci avrebbe rimesso la salute o addirittura la pelle: l’importante era  lasciarsi alle spalle quell’ambiente ipocrita e marcio che lo aveva reso un miserabile.

Era stata dura, ma ce l’aveva fatta (grazie anche a un certo aviatore che aveva scommesso nel suo “recupero”) e ancora gli scaldavano il cuore le lettere giuntegli da casa: quella del padre (Sono orgoglioso del mio figliolo), della madre (Abbi sempre cura di te) e addirittura della sorella (Buona fortuna, fratello mio).

Forse si ricordava male, ma era la prima volta in vita sua che quella viperetta gli dimostrava un pochino d’affetto: persino quando i famigliari erano venuti a Quonset Field per salutarlo alla partenza per l’Inghilterra, l’abbraccio di Iriza era stato troppo freddo e formale (forse quel nome sul  muso del B-17 non le era piaciuto).

E adesso… quel maledetto incidente sopra il bersaglio avrebbe probabilmente distrutto tutta la dimensione decente che si era faticosamente costruito. Neal lo sapeva benissimo perché il comandante del 22° Gruppo aveva raccomandato di non colpire per sbaglio nemmeno un comignolo di quella Eiser-non-sapeva-cosa. Tempo addietro aveva avuto col sottotenente Archibald Cornwell, inquadrato nel 45° Gruppo d’Attacco del 2° Stormo, un paio d’incontri non troppo burrascosi,[4] durante uno dei quali il cugino gli aveva confidato quello che oramai era un segreto di Pulcinella: il comandante in capo della Decima Air Force era legato da profonda amicizia con l’oberstleutnant Schultz von Heindrich della Luftwaffe, la cui famiglia abitava esattamente in quel posto dannato!

Cristo, s’è sganciata!” aveva gridato Tom Steeve, all’improvviso, proprio quando stavano per sorvolare il paese… e quasi non fosse sufficiente, dopo una manciata di secondi Bobby Malone aveva aggiunto, dalla coda: “Ma cosa fa quel pazzo, su quel Thunderbolt?!”

“Mio Dio, sta picchiando sulla bomba!!” rincarò la dose Tony Chaklies, dalla torretta inferiore.

Era troppo per il povero Neal, che istintivamente iniziò a spingere la barra di comando per far scendere il Candy Candy e forse sarebbe anche tornato indietro, se la voce del colonnello Richardson non avesse gracchiato seccamente negli auricolari: “Legan, torna in formazione. Che diavolo credi di fare?!”

“Neal…!!” esclamò Jimmy, stringendogli il braccio destro.

Il comandante lo guardò con occhi stralunati: “Jimmy… il generale… è il generale che sta picchiando…!!”

“Non possiamo farci niente, amico mio” replicò il co-pilota, scuotendo la testa e guardandolo con occhi comprensivi “abbiamo otto compagni da riportare a casa!”

“Maledizione…” imprecò il capitano Legan, al colmo dell’impotenza “…maledizione!!”

 

***

*Se il mio vecchio m’avesse visto fare questa fesseria, non ci avrebbe pensato due volte a prendermi a nerbate… alla faccia del mio grado e dell’età!* pensava Andy Greason cercando di mantenere l’assetto del caccia meglio che poteva.

Si ricordava ancora del manrovescio che lo aveva steso piatto davanti al prato di casa sua, quand’era riuscito ad atterrare col Neuport del padre, dopo essere furtivamente decollato per suo conto. Quello che però gli aveva fatto più male erano stati i singhiozzi della madre, che se lo era stretto al seno, quasi stritolandolo: “Non farlo più, bambino mio… mai più!”

Bambino, già… che avesse già compiuto 12 anni, per la signora Maggie Greason non contava niente; né avrebbe contato qualcosa ora, che ne aveva 37. Per fortuna che i suoi stavano a Philadelphia…

A parte che ci avrebbe pensato qualcun’altro a sfasciargli il sedere, se per caso fosse riuscito a riportarlo alla base. Il che non era per nulla scontato.

Rabbrividendo per gli spifferi gelati provenienti dagli squarci apertisi sul fondo del cockpit, Andy osservò le gocce di sangue che trasudavano dalla stoffa dei calzoni e decise che era venuto il momento di prendere una decisione drastica.

*Perdonami, tesoro!” disse, sfilandosi la sciarpa di seta che la consorte gli aveva amorevolmente confezionato. Ne addentò un lembo e la strappò, dividendola in due parti, annodandosele poi ai polpacci, a guisa di lacci emostatici. Subito dopo si accorse che un altro P-47, della versione bubbletop,[5] si stava affiancando a lui facendo oscillare disperatamente le ali, onde attirare la sua attenzione. Ricordandosi di aver prima staccato i contatti, tornò a infilare lo spinotto della cuffia nella presa radiofonica e risettò il canale sul ricetrasmettitore.

“Eagle One a Eagle Two… mi ricevi, James?” domandò.

La risposta non fu troppo pacata: “Cinque su cinque,[6] stupido idiota senza cervello!! Hai proprio deciso di farmi venire l’infarto?!”

“Volevo vedere se Schultz era in licenza, dato che prima non c’era piombato addosso…”

“Imbecille!! Fammi subito rapporto!”

Juggy deve avere qualche buco sotto al pancino, stando alla corrente d’aria…”

“Me ne frego di Juggy! Sei ferito?!”

“Qualche graffio negli stinchi” minimizzò Andy per non turbare il compagno “per fortuna il sedile blindato e il paracadute[7] hanno salvato il resto!”

“E i serbatoi?” insistette il secondo.

Andy sospirò, stringendo i denti per il dolore alle gambe “Il principale dev’essersi forato di brutto. Ho già trasferito tutto il carburante nell’ausiliario.”

“Quanto segna il televel?”

100 galloni circa…”[8]

“Cristo” imprecò Stone “non vedrai neanche le scogliere di Dover!!”

“Temo di no…”

“Hai almeno intenzione di provarci?!” chiese James con voce leggermente stridula, non piacendogli affatto il tono fatalista del compagno.

“Si capisce: la mia signora potrebbe pensare che ho architettato tutto per scaricarla in favore di Marika!”[9]

“E allora comincia a correggere la rotta” ribatté Stone, indeciso se irritarsi o rallegrarsi per quel sarcasmo “perché stai andando nella direzione sbagliata!”

Silenzio. Il vice-comandante della Decima attese di vedere lo Yankee Eagle cambiare direzione, poi tornò ad azionare il laringofono: “Beh, che stai aspettando?! Procedi per tre-due-sette, svelto!”

“Jimmy, lo farei molto volentieri… se non avessi le gambe paralizzate!”

A Stone si gelò il sangue. Se Andy non poteva più muovere le gambe, come diavolo l’avrebbe azionata la pedaliera per virare?[10] In quel momento il muso del suo Thunderbolt era puntato sulla direzione 349: troppo a nord per dirigersi verso il Belgio e la Manica. Mantenendo quella rotta lo Yankee Eagle sarebbe arrivato dritto sulla Happy Valley,[11] dove avrebbe fatto allegramente da bersaglio ai serventi della Flak, se qualche collega della Luftwaffe non lo avesse beccato prima!

“Allora usa le mani” buttò lì James dopo qualche istante di riflessione “spingi il pedale sinistro con le mani, forza!!”

“Wilco… ci provo!”

Dopo aver preso una buona boccata d’ossigeno puro dalla maschera, Andy si slacciò la cinghia di sicurezza, piegò il busto più che poté e stese il braccio sinistro fino a toccare la parte superiore del pedale, cercando di spostare il piede per ostacolare la mano il meno possibile.

“Andy, ci sei? Riesci a raggiungere il pedale? Over…”

“Affermativo… lo sto toccando.”

“Ok… ora spingilo mentre tieni d’occhio la bussola magnetica. Continua fino a quando l’indice non arriva a 327!”

“Roger…!”

Con lentezza esasperante la sferetta del girodirezionale iniziò a ruotare verso il numero indicato. Dopo avere superato di poco la linea dei 330 gradi, Andy rimise la pedaliera in posizione “neutra”.

“327… confermi, Jim?”

“Affermativo: sei in rotta!”

Espirando di sollievo, il pilota si rimise seduto, riagganciandosi al sedile. Attorno a lui si erano posizionati tutti i compagni della 10a Squadriglia, lasciando alle altre due il compito di scortare le Fortezze del 22° Gruppo.

Risolto il problema più pressante, il maggior-generale Stone tornò a contattare l’amico: “Eagle Two a Eagle One… mi ricevi, Andy?”

“Cinque su cinque…”

“Come ti senti?”

“Come se un gruppo di gentili sartine stessero usando i miei polpacci come puntaspilli, oltre ad essere mezzo congelato dagli spifferi che arrivano in cabina. A parte questo, sto da Dio!”

“E l’aereo?”

“Sta facendo onore al suo nome.”

“Il motore tiene sempre?”

“È meno compresso di prima per via dei buchi sulla pancia,[12] ma tira ugualmente come uno stallone di prima categoria. È la sua intemperanza che mi preoccupa…”

“Già… speriamo che non imiti il suo pilota!”

“Se mi riporta dalla mia famiglia, giuro che divento astemio!”

“Bada che lo riferisco a tua moglie!”

“Fai pure…” rispose l’asso senza esitazione, tergendosi il sudore dalla fronte.

“Ok…” commentò James, sospirando “…e adesso speriamo che i crauti ci lascino in pace!” e aggiunse, fra sé *Sarebbe il minimo, dopo quel che hai combinato!*

 

***

L’oberstleutnant Schultz von Heindrich, Croce di Ferro di Prima Classe con Fronde Intrecciate, Spade e Brillanti[13] si stava rilassando nell’ascolto della musica leggera trasmessagli in cuffia dalla stazione di Radio Berlino mentre sorvolava il confine fra la Bavaria e la Slesia. Versi e melodia della popolarissima Lilì Marlene si mescolavano al ronzio del Daimler Benz 600 che stava alzando in quota il suo vetusto ma fidato Emil, con il quale aveva colto i suoi primi successi all’epoca della Battaglia d’Inghilterra.[14]

Era decollato dieci minuti prima dall’aerodromo della fabbrica di Regensburg, dove i tecnici della Messerschmitt gli avevano revisionato il caccia da cima a fondo (anche lui, come Andy Greason, si rifiutava ostinatamente di cambiarlo) e si stava dirigendo verso il campo di Poznan, in Polonia. Data la scarsa comodità del claustrofobico abitacolo, era lieto di non possedere l’autonomia necessaria per un volo senza scalo fino a Briansk, dov’era al momento acquartierato il suo Geschwader,[15] sebbene in quei lontani e infernali giorni sulla Manica avesse desiderato ardentemente i famosi serbatoi ventrali da 300 litri, tante volte promessi dal “ciccione”[16] e mai arrivati in zona operativa.

Non erano mica scemi, quelli della “concorrenza”, ad aver preteso i serbatoi supplementari prima di azzardarsi a scortare i loro bombardieri fin nel cuore della Germania, anche se Schultz non invidiava di certo i compari del suo “amichevole nemico”, che dovevano sorbirsi quei voli da otto-dieci ore, fra andata e ritorno.

Già, Andy… chissà dov’era, adesso, quel matto d’uno yankee!

Non l’aveva più rivisto da quando si erano salutati presso quell’avamposto italiano vicino a Foggia, dopo che i soldati del maggiore Broccoletti li avevano dovuti liberare perché le alleanze si erano “capovolte”. Com’era rimasto contento, quel birbante, quando avevano sentito alla radio il messaggio di Badoglio!

Ach… gli amerikaner volevano l’Italia dalla loro parte? Bene, che se la tenessero. Se ne sarebbero accorti, quei dummkopf![17]

All’improvviso la bella voce di Lala Andersen fu interrotta da uno spiacevole fischio, che avvertiva il pilota di cambiare  frequenza. Fatto ciò, poté ascoltare il massaggio trasmesso dal Controllo Aereo di Norimberga: “Achtung… achtung… Mutter Gans a Sparver Drei… messaggio urgente per Sparver Drei… mi ricevete?”

Schultz si premette sul collo la piastrina del laringofono: “Hier spricht Sparver Drei… vi ricevo perfettamente, Mutter Gans” rispose, con voce annoiata “parlate, prego!”

L’operatore parve esitare, prima di procedere: “C’è stata un’incursione nemica vicino ad Eiserfeld… i danni non sembrano gravi… se desiderate recarvici, potete fare rotta per l’aerodromo di Siegen… passo!”

Von Heindrich ebbe un subitaneo tuffo al cuore e gli parve che la temperatura dell’abitacolo calasse paurosamente. Dovette umettarsi le labbra per proseguire la comunicazione: “Mutter Gans… qui Sparver Drei… ricevuto! Procedo per Siegen. Datemi la rotta, prego…”

“Direzione due-nove-sette. Distanza 365 chilometri. Avete carburante sufficiente, Sparver Drei?”

Schultz dette un’occhiata veloce all’indicatore di livello: “Affermativo, Mutter Gans… ce la posso fare.”

“Bene, Sparver Drei. Siete autorizzato ad assumere il nuovo piano di volo. Buona fortuna, herr oberstleutnant!”

“Danke, Mutter Gans… chiudo.”

Febbrilmente l’asso più titolato del Terzo Reich, dopo aver virato di bordo, spinse a fondo la manetta e sentì subito lo schienale trasmettergli la spinta del suo 109, mentre la lancetta dell’anemometro correva verso i 570 orari… al massimo regime il suo caccia ci avrebbe impiegato quasi 40 minuti per raggiungere l’aeroporto. Poi, ammesso di trovare subito a disposizione un veicolo, ce ne sarebbero voluti altrettanti per raggiungere il suo paese. Quasi un’ora e mezza di angoscia…!

In teoria avrebbe potuto richiedere via radio a Siegen che chiamassero Eiserfeld: i suoi non avevano telefono, ma il Municipio sì… ma la paura di ricevere brutte notizie anzitempo era troppo forte!

I danni non sembravano gravi aveva detto il Controllo. Già… ma quanto “non gravi”?

E poi perché Eiserfeld era stata bombardata? Perché colpire un obiettivo così insignificante?

Schultz von Heindrich non poteva concepire che gli Alleati, pur nella loro feroce determinazione a sconfiggere il regime hitleriano, organizzassero un’incursione con l’unico scopo di distruggere una misera cittadina di provincia. Rischiare la vita di centinaia di aviatori soltanto per quello era ridicolo e gli americani erano troppo pragmatici per essere così stupidi!

A meno che non lo avessero fatto per vendicarsi, dal momento che Eiserfeld era la sua città… forse qualche spia russa aveva riferito a Mosca che l’oberstleutnant von Heindrich (bestia nera dell’aviazione alleata) stava rientrando in Germania; Mosca lo aveva riferito agli alleati occidentali e quelli, convintisi che lui fosse andato in licenza, avevano cercato di beccarlo! Ma chi lo poteva sapere che la sua famiglia risiedeva proprio laggiù? L’unico che ne fosse al corrente, in campo avverso - su questo ci avrebbe scommesso la pelle - non lo avrebbe rivelato nemmeno sotto tortura!

Dopo un volo senza storia, che comunque il povero Schultz avrebbe ricordato per tutta la vita, davanti al muso dell’Emil comparve all’improvviso, mezzo nascosto fra le nuvole, un combat box di Fortezze Volanti. Quella vista fu un vero pugno nello stomaco per l’aviatore tedesco e la smania di annientarli fu domata a fatica dal buon senso del veterano, che gli rammentava quanto precario fosse, per un singolo caccia, l’attacco ad un intera formazione nemica; tralasciando il fatto che non vedeva l’ora di arrivare dai suoi.

*Per stavolta v’è andata bene* pensò il pilota, mantenendo la sua rotta *ma presto ci rivedremo, dannati yankies!*

Finora non li aveva mai attaccati con odio, non tanto per i suoi sentimenti antinazisti, quanto per il fatto che dentro quegli aerei con la stella a cinque punte volavano i connazionali del suo migliore amico. E del resto, solo quattro anni prima, non aveva lui stesso scortato gli Heinkel e i Dornier diretti su Londra? Non avevano, nello stesso periodo, uomini come Andrew Steve Greason e Alistear Cornwell Andrew, protetto le città della Cina dai bombardieri del Mikado?

“Oggi siamo gatti, domani siamo sorci!” si disse von Heindrich, con estremo disgusto. Poi, quasi per istinto, manovrò il sintonizzatore della radio di bordo, con l’intento di captare le trasmissioni nemiche. Era sempre interessante ascoltarle e anche molto istruttivo…

 

***

“Vulture One a Vulture Eleven… si può sapere cos’avete in corpo?! Tenete la posizione, razza di deficienti!”

“Vulture Eleven a Vulture One… chiedo scusa, colonnello… il mio comandante è rimasto scioccato da quello che è successo!”

“Di che diavolo parla, tenente?”

Il co-pilota del Candy Candy esitò qualche attimo, ma poi si decise a parlare: “Il nostro mitragliere di coda ha visto tuffarsi un P-47 sopra l’abitato vicino al bersaglio, signore!”

“E perché diamine lo avrebbe fatto?”

“Io… non saprei, colonnello!” titubò Jimmy Curtright.

“O piuttosto non vuoi dirmelo?” insistette, implacabile, John Bart Richardson.

“Le giuro che…”

“Basta, maledizione” lo interruppe il povero Neal, esasperato “voleva salvare la ghirba a quei kartofen, là sotto. Ecco perché l’ha fatto!”

“Si può sapere di che stiamo parlando?” ruggì allora il colonnello, assai spazientito.

Il comandante del Delta-Fox lanciò un paradossale appello telepatico alla madrina del suo apparecchio: “Capitano Legan, colonnello… a rapporto… desidero darle un chiarimento in merito…”

“Sputi, allora!” lo incitò il Group Leader.

“C’è stato un incidente, a bordo… una M44, rimasta incastrata sopra il bersaglio, s’è sganciata mentre sorvolavamo la cittadina di Eiserfeld, signore!”

Un’imprecazione talmente irriferibile da far sussultare persino lo spregiudicato Charlie Boyle risuonò nelle cuffie degli undici equipaggi di ritorno dalla missione, a cui fecero seguito le parole di Richardson: “Adesso lo sappiamo chi s’è buttato su quella bomba!”

Poi, dopo avere ordinato al suo marconista di commutare la radio sul canale riservato alla caccia di scorta, cercò subito di mettersi in contatto con la medesima: “Vulture chiama Eagle, Vulture chiama Eagle… mi sentite? Over…”

“Vulture da Eagle Six” rispose il CO della 20a Squadriglia “cinque su cinque, over…”

“Roger, Eagle Six… dov’é  Eagle One?”

“La 10a Squadriglia ha seguito il capo” la voce di Samuel Harris era nettamente alterata “devono trovarsi ancora a bassa quota. La 30a sta sgombrando la rotta di rientro. Noi vi siamo sopra. Non potevamo certo mollarvi!”

Richardson sospirò: “Grazie, capitano… sappiamo quanto vi sta costando. Animo, comunque: il capo ha la pelle dura!”

“Certo, signore… anzi, appena atterrati, gli prepareremo un megaparty: stasera si festeggia!”

“Questo è parlare. Eagle Six da Vulture One, chiudo!”

***

Quantunque quei messaggi fossero stati trasmessi nella lingua di Shakespeare e non in quella di Goethe, il pilota di quel solitario Messerschmitt che tallonava la formazione celandosi furtivamente tra le nubi li aveva compresi perfettamente.[18]

Ma Schultz von Heindrich non ne aveva inteso il solo senso letterale. Come un fattore conosce i suoi polli, l’expert[19] tedesco conosceva “il suo aquilotto” e non nutriva nessun dubbio su chi fosse il misterioso “capo” che s’era tuffato col P-47 contro quella fantomatica bomba sganciata accidentalmente sul suo borgo natio, né conservava riserve di alcun genere sull’involontarietà dell’accaduto, dato che il bombardiere che ne era stato protagonista apparteneva alla Decima Air Force. 

Senza indugiare oltre, il buon Schultz spinse avanti la barra di comando, portando il suo Emil in picchiata attraverso la coltre di nuvole, senza la minima apprensione per un’eventuale collisione con le colline circostanti (dopotutto aveva in testa la carta nautica di tutta la Germania). L’unico pensiero che aveva in testa era reperire al più presto un Thunderbolt color verde oliva, con una scacchiera sul muso e possibilmente intatto!

E fu proprio ciò che vide, con immenso sollievo, quando il suo altimetro indicava quota 5000, alle ore 12, oltre il parabrezza blindato: il caccia più temuto da tutta la Luftwaffe, accompagnato da sette gemelli che lo circondavano con affettuosa protezione, mentre risalivano tutti verso la quota di sicurezza.[20]

Con mano febbrile l’oberstleutnant premette il laringofono, ma la voce stentava ad uscirgli di bocca… stava per commettere un’azione censurabile come alto tradimento, perché, se avesse contattato Andy, gli Alleati sarebbero venuti a conoscenza che il nemico aveva scoperto una delle loro frequenze operative!

Ma nella vita ci sono momenti che costringono un individuo a decidere secondo la propria coscienza… proprio come aveva fatto il suo amico nel costringere gli equipaggi dei suoi bombardieri a sganciare ad una quota tale che, se vi fosse stata della contraerea a difendere l’obiettivo, li avrebbe fatti a pezzi. Così facendo, l’asso americano s’era comportato in un modo spaventosamente ingiusto verso tutti i colleghi affidati a lui, ma aveva anche salvato la vita a tutti i suoi concittadini. Per l’arbitrio di Schultz von Heindrich, questo gesto era più che sufficiente.

“Pronto… pronto… parlo alla squadriglia americana davanti a me… sono l’oberstleutnant von Heindrich, comandante del 234° Geschwader… non ho intenzioni ostili… chiamo il vostro caposquadriglia… rispondetemi, prego… passo…”

A sette membri su otto del’unità avversaria venne quasi una sincope! Imprecando contro sé stessi per non aver posto sufficiente attenzione allo spazio circostante, rimanendo troppo concentrati sul loro comandante ferito, il capitano John Maxim e i due gregari della sua sezione, s’affrettarono a rompere la formazione virando a sinistra e a destra per piombare poi alle spalle dell’intruso, quando la voce dell’aquila americana ruppe l’etere a sua volta: “Questa sì, che è una sorpresa… sei proprio tu, zuccone d’un kraut?”

“Sono proprio io, diavolo d’uno yankee svitato!”

La voce di Andy, forzatamente allegra e quella di Schultz, tremante per l’emozione, erano entrambe cariche d’affetto, al di là di quegli epiteti, chiaramente ironici.

“Hai fatto bene a venire a trovarmi” motteggiò l’americano “sentivo proprio la mancanza del mio crucco preferito!”

“Veramente sei tu che mi sei venuto a trovare…” precisò il tedesco, sempre lottando col suo nodo in gola.

“Hai ragione… mi starò rimbambendo con l’età” rispose Andy, stringendo gli occhi per una fitta improvvisa alle gambe “sono passato da te, infatti, ma non eri in casa… sei stato gentile a venirmi incontro!”

“Figurati” stette al gioco l’altro “per quello che avevo da fare…”

Nel frattempo i piloti della sezione di Maxim, comprendendo che il generale non avrebbe gradito una loro iniziativa ai danni dell’asso tedesco, erano rientrati nei ranghi e, per ironia della sorte, il CO del 10° Squadron venne a trovarsi proprio in coda al caccia di von Heindrich…

*Quanto sarebbe facile buttarlo giù, stavolta!* masticò, amaro, il texano.

Amico del comandante o no, il pilota di quel Messerschmitt era pur sempre lo stesso individuo che aveva strappato dal cielo parecchi suoi connazionali e alleati. Sia nella Decima Air Force statunitense, come nel 234° Stormo tedesco, non erano in molti, nonostante il carisma dei rispettivi capi, ad apprezzare in modo particolare quel loro fingere che la guerra non ci fosse!

“Però, venirci addosso tutto da solo…” continuò lo yankee “…ho sempre apprezzato il tuo spirito sportivo, ma lasciati dire che qualche scampolo di pazzia lo devi tenere anche tu, in quel cervello da kartofen!”

“Saranno le mie pessime frequentazioni” alluse Schultz “ma almeno io non mi diverto a mitragliare le bombe in picchiata!”

“Come fai a…” chiese l’amico, stupito, ma non troppo.

“Fatti miei” troncò subito il tedesco “si può sapere che t’era preso, piuttosto? T’ha dato alla testa tutta la Coca-Cola che ti scoli?”

“Ero in vena di forti emozioni!”

“Sei proprio matto” rispose Schultz, strizzandosi gli occhi umidi “matto…!”

“Adesso basta, voi due imbecilli” sbottò finalmente James Stone, non potendone più di quell’assurda conversazione salottiera “herr oberstleutant, visto che è qui e ha già capito tutto, posso chiederle se sarebbe disposto a garantirci l’immunità dai suoi colleghi? La informo che il nostro leader non sarebbe in grado di manovrare!”

“Sono qui per questo” rispose Schultz, semplicemente “tenetemi dietro e vi guiderò fuori dal nostro spazio aereo.”

“Che umiliazione” ironizzò Andy, con finto disgusto “respinto dal nemico, col foglio di via!”

“Fammi un favore, Andy: stattene zitto!!” sbottò il suo secondo.

“Va bene, va bene…!”

Mentre i bombardieri del 22° Gruppo, scortati dal resto dei caccia del 99°, dovettero ancora fronteggiare alcuni attacchi della Jadgwaffe tedesca (durante i quali venne purtroppo abbattuta la Little Audrey del capitano Boman), la squadriglia di Andy scivolò via indisturbata fin sopra l’Olanda, dove Schultz von Heindrich si congedò a malincuore, non avendo il suo 109 l’autonomia sufficiente a proseguire oltre (dovette infatti, di lì a poco, atterrare nell’aerodromo più vicino).

“E bada di conservarti quella pellaccia da schizzato. Hai capito?!” trasmise per ultimo all’amico, con voce rotta.

“Roger, kraut… ce la metterò tutta. E tu vedi di fare altrettanto!”

“Contaci, yankee…!” concluse Schultz, soffocando un singhiozzo.

 

 

 

 

 

 



[1] Sono stato tentato dal far venir fuori che Neal fosse il frutto d’una “scappatella” del signor Legan con una qualche creola incontrata nei suoi viaggi d’affari in Centro-America. Poi ho deciso di soprassedere!

[2] Se alcune gentili lettrici vogliono metterci le virgolette, lo facciano. Io, cavallerescamente, mi astengo.

[3] Non me la sono sentita di chiamarlo sogno d’amore…!

[4] Dopotutto li “accomunava” la medesima “antipatia” per un certo attore…

[5] Ovvero dotato di capottina a goccia. Il Thunderbolt di Andy era invece della versione razorback (a dorso di rasoio), dotato del più tradizionale tettuccio a “serra”.

[6] Sta per ricezione massima (Uno su Cinque vorrebbe dire ricezione minima).

[7] Per anni mi sono spaccato il cervello per capire dove diavolo lo tenessero i piloti da caccia degli anni ’40… prima di capire che lo sistemavano sotto il sedere, a mo di cuscino!

[8] Indicatore del carburante. 100 galloni sono quasi 380 litri.

[9] La sorella di von Heindrich. Dietro sua insistenza, l’asso tedesco aveva fatto pervenire al collega anche una sua fotografia e lui aveva dovuto ammettere che assomigliava leggermente a una certa collega di sua moglie. Il che…

[10] Come si sa, negli aeromobili il timone direzionale viene azionato tramite i pedali posti davanti alla barra di comando.

[11] Valle Felice: soprannome ironico affibbiato dagli Alleati alla regione della Rhur, il polo industriale della Germania nord-occidentale, dov’erano concentrate circa la metà delle difese antiaeree tedesche.

[12] Le schegge della bomba avevano chiaramente danneggiato il condotto che portava l’aria dalla presa anteriore al compressore, situato dietro la cabina di pilotaggio.

[13] Una delle massime decorazioni concesse ai combattenti del Terzo Reich.

[14] È così chiamato l’insieme degli scontri fra la RAF e la Luftwaffe, protrattisi dall’Agosto all’Ottobre del 1940, attraverso i quali l’aviazione germanica tentò di conquistare il dominio del cielo per consentire il progettato sbarco sulle Isole Britanniche, conclusosi però con la vittoria dei britannici che, abbattendo 1740 aerei tedeschi contro 915 dei loro, costrinsero Hitler a rinunciare all’invasione. In quel periodo i caccia della Luftflotte 2, comandata da Albert Kesserling e basata fra la Lorena e la Normandia, erano quasi tutti Messerschmitt 109 della versione E, soprannominata Emil.

[15] Stormo.

[16] Il Reichmarshall Hermann Goering, comandante in capo della Luftwaffe, così nominato per la sua stazza, non proprio mingherlina!

[17] Sciocchi, ingenui. L’episodio qui accennato è descritto in un capitolo della biografia completa dell’asso statunitense.

[18] Inutile specificare che i due famosi “amici-nemici” erano bilingue. Oltre ad avere fortuitamente studiato a scuola ognuno il linguaggio dell’altro, si erano dati alcune reciproche lezioni di aggiornamento, le rare volte che avevano passato del tempo insieme.

[19] Asso, nel gergo dell’aviazione tedesca.

[20] Quell’altezza che li avrebbe messi al riparo sia dalla contraerea pesante, che dalla maggior parte dei caccia nemici. Naturalmente l’altimetro di Schultz era tarato in metri, al contrario di quello di Andy che, tarato in piedi, avrebbe segnato 15000 (16404, per l’esattezza).

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Capitolo 20
*** Gli ordini non si discutono ***


Capitolo 9: Chi non muore si rivede

Se ti trovi in combattimento e desideri far ritorno a casa,

 la cosa migliore è trovarsi ai comandi di un Thunderbolt.

(H.Zemcke, comandante del 56th FG)

Capitolo 20: Gli ordini non si discutono

 

UCPFH 20

 

 

D

opo avere affidato casa e bambino alla buona Mrs. Piggot - una dolce signora quarantenne, vedova di un pilota della RAF caduto nella Battaglia d’Inghilterra che le faceva volentieri da governante per arrotondare il suo magro sussidio - la signora Greason s’incamminò per la strada che lasciava il paese di Newhaven in direzione nord, conducendo verso la base americana di Grant Field. Erano ormai passate le quattro e Flanny calcolava che il reparto del marito sarebbe rientrato entro un’ora o poco meno.

Voleva assolutamente riceverlo a bordo pista per sbattergli in faccia la lieta novella che, di lì a dicembre, sarebbe ridiventato papà. Ah, se soltanto la guerra fosse terminata prima di allora! Sarebbe stato meraviglioso se la famiglia Greason - la sua vera famiglia - avesse potuto rimpatriare al completo (e poco importa se il nuovo arrivato si fosse trovato ancora dentro il pancione), per poi, a travaglio compiuto, andare tutti a vivere in quella bella casa vicino al mare dove il marito l’aveva portata dopo aver conosciuto Candy e i coniugi Cornwell.[1]

Avrebbe fatto di tutto purché suo marito fosse stato accanto a lei, quando il loro secondogenito sarebbe venuto al mondo. Percepiva ancora il forte rimpianto per non aver potuto posare di persona il piccolo Paul fra le braccia di suo padre, quando l’aveva dato alla luce nel Settembre precedente; ma c’erano voluti tre mesi prima che il Distaccamento di Andy abbandonasse il teatro italiano per rientrare in Gran Bretagna, a predisporre le successive operazioni sul continente.

Era stato buffo pensare alla faccia del marito nel leggere quel dispaccio:

 

col. a.s.greason -  xii usaaf - greason detachment - comiso airfield - sicily - mto: missione compiuta mascalzone - sei padre di un maschietto di  otto libbre - neozie candy e natalie ti salutano - neomamma ok ma giura che questo non diventa militare - stop[2]

 

Tuttavia, far sapere al proprio compagno di avergli dato un figlio per telegramma era quantomeno squallido e la signora Flanny non aveva mai digerito del tutto la cosa.

Sinceramente, anche l’idea di diventare mamma nel pieno di quel tremendo conflitto non l’aveva affatto vista piena d’entusiasmo. All’inizio, la malaugurata ipotesi di rimanere sola con un figlio l’aveva spaventata abbastanza, anche se poi aveva gradualmente mutato parere, confidandone il motivo alla collega del cuore: “Vedi, Candy… se per disgrazia dovesse accadergli davvero qualcosa… a me resterebbe il bambino e sarebbe un po’ come averlo ancora qui con me!”

Così aveva detto allora, tentando di credere davvero in quelle parole. Ma adesso che un’altra vita stava germogliando dentro di lei, sapeva per certo di voler crescere i suoi figli accanto al suo uomo, la cui posizione, purtroppo, non glielo avrebbe consentito fin tanto che sarebbe durata quella maledetta guerra!

Una volta tornata la pace, il suo Andy avrebbe probabilmente dismesso l’uniforme per dedicarsi all’aviazione civile, ma fino ad allora difendere il mondo libero sarebbe rimasta la sua principale ragione di vita, proprio come la medicina lo era per lei.

Del resto, quando Andy e Flanny si erano uniti, il patto fra loro era stato ben chiaro: nessuno dei due avrebbe mai messo in discussione il lavoro dell’altro. E se suo marito manteneva gli impegni, sua moglie avrebbe fatto lo stesso, qualunque ne fosse stato il prezzo da pagare.

*Purché l’inflazione non vada alle stelle…* si concesse Flanny una battuta sarcastica, giungendo all’ingresso della base.

“Buon pomeriggio, signora Greason” la salutò il sottufficiale di guardia “è venuta a prendere il generale?”

“Appunto, caporalmaggiore” rispose lei, con un sorriso di circostanza “sono già atterrati?”

“Non ancora, ma non tarderanno gran che. Può raggiungere il capitano Lennox alla torre, se crede.”

“Grazie, Thorton: è ciò che farò.”

“A più tardi, signora.”

Mentre Flanny attraversava il piazzale diretta verso la torre di controllo, la quiete pomeridiana dell’aerodromo venne rotta dalla voce degli altoparlanti: “A tutto il personale di terra: prepararsi all’atterraggio della Squadriglia n° 30. Sezioni antincendio in posizione. Gruppo di soccorso in allerta!”

L’ultima frase fece sorridere la donna. Aveva più volte constatato con malcelata soddisfazione la notevole efficienza raggiunta dai reparti medici della Decima. Due anni prima, quand’era arrivata in Gran Bretagna, il livello del personale preposto dell’aviazione militare le era apparso a dir poco scandaloso.[3] La signora Greason non era rimasta a guardare e aveva convinto il marito a istituire degli opportuni corsi di perfezionamento, ai quali avevano collaborato attivamente proprio le ex allieve della Mary Jane School. Cosicché, grazie alla sua stessa First Lady, la divisione aerea di Andy Greason poteva attualmente usufruire d’un servizio sanitario di primissimo livello.

Mentre la moglie del generale saliva le scale che conducevano al primo piano del fabbricato, i Mustang della squadriglia di Roger Williams cominciavano a scendere sulla pista n° 2. Flanny si trattenne momentaneamente sul terrazzino intermedio per osservare i vari gruppi degli specialisti che circondavano rapidamente ogni caccia rollante verso il suo parcheggio, per offrire assistenza al pilota. Con sollievo constatò che tutti e sei i componenti del reparto erano rientrati, seguiti subito dal leader del 99° Gruppo, maggiore Roland “Roy” Master. Quando poi l’altoparlante tornò a berciare, annunciando l’arrivo della 20a Squadriglia di Samuel Harris, Flanny strinse convulsamente la ringhiera: il prossimo annuncio avrebbe dovuto riguardare proprio la squadriglia del marito.

Anche i Thunderbolt di Harris erano rientrati al completo, accompagnati dal P-51 del generale di brigata Victor Sanders, comandante del Primo Stormo. Qualche aereo presentava evidenti postumi della baruffa (un’ala bucherellata, una deriva sbrecciata); nondimeno i Terrori della Luftwaffe - come si facevano chiamare, un po’ pomposamente - erano riusciti a farsi onore.

***

Vic Sanders arrestò il Pakard del suo Big Beautiful Doll, tirò il freno di parcheggio e si slacciò la cinghia di sicurezza, sconnettendo con furia rabbiosa tubi e cavetti. Scavalcò il bordo dell’abitacolo, saltò sul cemento del piazzale e procedette con andatura sostenuta verso la torre. Probabilmente non vide la figura di Flanny, ancora in piedi sulla balconata intermedia o il suo cervello non la registrò. Fatto sta che aggirò la costruzione per varcare l’ingresso principale, salendo poi le due rampe di scale che conducevano in sala operativa. Qui trovò il maggiore Craig Anderson, capo dell’ufficio operazioni del 99° Gruppo Caccia, che gli andò incontro con visibile sollievo: “Bentornato, generale. È andato tutto bene?”

“Non del tutto, purtroppo! Dov’è Spillett?”

“Su alla radio, signore. Ci sono state perdite?”

“Due fortezze abbattute: Boman e Gerryson. Zero fra i caccia… almeno al momento!” rispose Sanders, marcando le ultime parole.

La Squadriglia del capitano Maxim non ci ha ancora contattati, generale. Ma sarà questione di poco…”

“Ci vorrà un po’ di più, invece: sono ancora sulla Manica.”

“Come mai questo ritardo, signore?” chiese l’ufficiale operativo, aggrottando la fronte “Non li vediamo nemmeno sul radar.”

“Per forza non li vedete” rimpallò con veemenza il Comandante di Stormo “volano a regime minimo per risparmiare più carburante possibile, scortando il generale Greason!”

Scortando, signore?” ribatté Anderson, con la forte incredulità che traspariva dal suo accento svedese.

“Ha avuto un incidente sopra il bersaglio, il suo aereo è ridotto male” Sanders deglutì “sarà un miracolo se riuscirà a rientrare intero!”

“Ma è ferito??!”

Victor trasalì, sentendo dietro di lui quella nota voce. Giratosi, rimase di stucco davanti alla moglie del capo, che li aveva ascoltati silenziosamente dopo essere rientrata dal terrazzo.

*Questa non ci voleva!* imprecò fra sé, per poi balbettare: “Flanny, che ci fai qui?!”

“Rispondimi Victor: cosa gli è successo?”

Quegli occhi d’acciaio non consentivano repliche. Il maggiore dei Compari di Chicago si schiarì la voce, sforzandosi di mantenerla ferma: “Non lo so… temo sia ferito, ma non credo gravemente. Io non l’ho visto da vicino, ci ho solo parlato per radio. Avevamo l’autonomia contata, non potevo andare avanti e indietro… e mi ha ordinato tassativamente di restare con la mia squadriglia![4] Perdonami, Flanny, non potevo agire diversamente…”

“Non preoccuparti” fece lei, con un cenno benevolo “perché pensi che non riesca a rientrare?”

“Beh, ha forato il serbatoio principale. Ormai dev’essere proprio agli sgoccioli con la benzina…”

*È davvero un vizio!* masticò amaro la moglie dell’asso, sentendo le ginocchia piegarsi sempre più.

“Signore, mi scusi…” dalla sua scrivania il maggiore Anderson attirò l’attenzione di Sanders, scostando dall’orecchio il ricevitore del telefono.

“Sì, Craig… novità?”

“Spillett è in contatto con la 10a Squadriglia.”

Gli altri due vennero scossi da una forte scarica elettrica, certo più dolorosa per la signora.

“Ok, andiamo su” sospirò il comandante del 99°, volgendo lo sguardo verso  quest’ultima: “Flanny…”

La donna scosse appena il mento, muovendosi di nuovo verso la porta del balcone, per salire stavolta la scala esterna che permetteva di raggiungere il terrazzo, dov’era ubicata la cabina della radio. Sanders, tergendosi la fronte, la seguì a ruota. Non aveva certo avuto l’intenzione di persuadere la moglie del comandante in capo a restare dov’era: sapeva bene che convincere la sorella del capitano Legan a baciare sulle gote quella piacente infermiera bionda coi codini sarebbe stato di sicuro più proficuo!

 

***

Più o meno a metà del Canale, il comandante della Decima aveva iniziato a preoccuparsi un po’ più seriamente. Sentiva le sue povere gambe farsi sempre meno sensibili, nonostante avesse stretto al massimo i due lembi della sciarpa per limitare la perdita di sangue. Aveva preso una compressa di analgesico, ma era servito a poco e non osava far uso della morfina compresa nel kit di pronto soccorso, per timore di perdere i sensi. A preoccuparlo più di tutto era però la sinistra luce arancione proveniente dalla spia della riserva, degna comare della lancetta bastarda sull’indicatore di livello, che oscillava sempre più prossima a quella maledetta E[5]

La cupa visione delle acque verdastre che scorrevano sotto la pancia ferita del Thunderbolt lo spingeva a darsi del coglione per non essere atterrato in Olanda assieme a Schultz… ma il pensiero di trascorrere il resto della guerra dietro un reticolato non lo attirava per niente e nemmeno poteva pretendere che il suo amico si mettesse nei guai, assieme alla sua famiglia - dopo che Andy l’aveva salvata con quel gesto folle - per cercare di sottrarlo alla cattura; impresa del tutto aleatoria, giacché il generaloberst Otto von Kruppen[6] avrebbe rivoltato l’intera l’Europa come un calzino occupata, pur di mettergli le mani addosso!

Per distrarsi da quei pensieri allegri il pilota ascoltava la più bella musica che poteva sentire attualmente: il rombo del radiale Pratt & Whitney che, qualora avesse cessato di cantare, avrebbe trascinato il P-47 direttamente in fondo alla Manica, come tanti suoi colleghi anglo-tedeschi durante quell’epica battaglia di quattro anni prima. Ne erano finiti parecchi, in bocca ai pesci… e ci sarebbe finito anche lui, perché, se pur fosse riuscito ad abbandonare il cockpit prima che il bestione andasse a picco, non era affatto certo che sarebbe stato in grado di nuotare con le gambe in quello stato. È vero che la Mae West l’avrebbe mantenuto a galla, ma l’acqua salata non avrebbe permesso alle ferite di cicatrizzarsi e rischiava di morire dissanguato prima che i soccorsi potessero raccoglierlo.[7]  

Come se non bastasse, quei dannati spifferi provenienti dagli squarci nella pancia del velivolo lo stavano letteralmente congelando!

*Flanny… cosa stai facendo, ora? Fa un freddo cane, quassù… e ho tanto bisogno delle tue braccia!*

Anche laggiù in acqua avrebbe fatto piuttosto freddo… per questo lo sguardo del pilota non riusciva a distaccarsi dal disco dell’elica, consapevole che ad ogni nuovo giro se ne andava un’altra goccia di benzina. Per un vero miracolo nessuna delle quattro pale della robusta Hamilton Standard Hidromatic era stata danneggiata nello scoppio della bomba colpita su Eiserfeld, anche se forse non era del tutto illogico.[8]

“Tieni duro, Andy” continuava a rassicurarlo Stone “ormai ci siamo quasi: la base dista solo poche miglia! Mi ricevi…?”

“Cinque su cinque… stai tranquillo, Jim: ce la farò!” rispondeva l’aquila americana, lottando coi suoi dubbi e il torpore della febbre.

Con le gambe quasi inerti sui pedali, ma le mani strette a morsa sulla barra, come pronte a sostenere il velivolo in aria quando il motore avesse bruciato l’ultima particella di carburante, il nostro eroe era deciso a lottare fino in fondo. Voleva rimanere in gioco e continuare a combattere per quello in cui credeva, alla testa dei suoi meravigliosi compagni. Ma più di tutto voleva tornare dalla sua famiglia, coccolare il suo bambino e stringere la sua donna fantastica; fare ancora l’amore con lei per sciogliersi nel suo calore e addormentarsi col capo poggiato sul suo seno…

“Forza, Juggy: non cedere proprio adesso” diceva al suo fido compagno d’avventure “Nathan ti rimetterà a nuovo, tranquillo: ne abbiamo da fare ancora tante, noi due…!”

 

***

“Eagle, mi ricevete? Qui torre di Grant Field… vi ho appena rilevati sullo schermo, a sei nautiche da qui. Rispondete, Eagle… over!” stava dicendo il sergente Spillett, al microfono, mentre Anderson, Sanders e la signora Greason stavano entrando nel casotto. I nervi di quest’ultima si tesero fino allo spasimo; sul momento l’altoparlante della grossa trasmittente non restituì che fischi e scariche, ma poco dopo la voce del maggior-generale Stone si poté udire con discreta limpidezza: “Vi ricevo, Grant Field… qui Eagle Two… stiamo sorvolando la costa in questo istante, ma siamo in riserva da mezzo Canale: i motori potrebbero piantarsi da un momento all’altro…”

“Digli di posarsi sui campi, dovunque possono!” intervenne Sanders.

“Grant Field a Eagle Two… il generale Sanders dice di atterrare sul primo spiazzo utile che vedete. Ricevuto?”

“Negativo, Grant Field… l’aereo del comandante ha il ventre squarciato. Non può eseguire un atterraggio di fortuna: gli serve una pista!”

Per poco le parole ventre squarciato non causarono un colpo apoplettico alla povera Flanny, come se il buon James avesse parlato del pilota. Non potendo resistere oltre, afferrò la spalla di Spillett: “Mi faccia parlare con mio marito…!”

“Ma, signora… il regolamento…”

“Si fotta, il regolamento! Mi dia quel microfono…!!” urlò Flanny disperata.[9]

Sconcertato, l’ufficiale guardò il Wing Leader, che annuì subito con la testa. Spillett porse allora lo strumento alla moglie dell’asso, che lo ricambiò con uno sguardo a mezza via fra il rammarico e la riconoscenza.

“Andy… sono Flanny… mi senti…?”

Dopo qualche altra crudele interferenza le orecchie della donna poterono essere raggiunte dalla più bella voce che conoscevano: “Forte e chiaro… amore mio!”

In un istante gli occhi della bruna dalla coda di cavallo si riempirono di lacrime: “Sei ferito…? Dimmelo, ti prego!!” chiese, con voce tremante.

“Ecco, temo… di essermi procurato qualche… graffietto nelle zampe… niente di che.”

Flanny si gelò. Data l’abitudine di Andy a minimizzare i suoi danni fisici (quasi temesse di venir preso a ceffoni come un qualsiasi marmocchio fattosi male per aver disobbedito alle raccomandazioni della mamma), poteva star certa che, se non fosse stato nulla di serio, il suo compagno avrebbe negato di avere alcunché! Se invece si sentiva spinto a confessarle di essersi procurato qualche graffio, c’era da temere seriamente che le sue condizioni fossero abbastanza gravi.

“Ma ce la fai a tornare qui… vero, tesoro?”

La risposta non fu esattamente quella che voleva sentire: “Beh, sto facendo… del mio meglio… ritengo di avere una discreta probabilità. Ma se…”

Allenata a intuire le conclusioni persino dei suoi monosillabi, la moglie non lo lasciò continuare: “Andrew Steve Greason… io ti ordino di tornare qui da me!! Sono stata chiara?”

L’asso deglutì, tornando con la mente a quel famoso pensiero di Shakespeare[10]

“Affermativo, signora!”

“Ricevuto” rispose Flanny, parzialmente rassicurata “e ancora una cosa…”

“Parla, cara…”

“A dicembre saremo in quattro!”

La mente dell’asso, intorpidita dallo spossamento, ci mise un po’ per giungere alla conclusione: “Vuoi dire che aspetti un…”

“Adesso come adesso aspetto solo mio marito” taglio corto la sua sposa “vedi quindi di atterrare tutto intero! Hai capito bene?”

Il dolore, il torpore e l’angoscia vennero spazzati via da un potente guizzo di energia gioiosa: “Cinque su cinque!! Attendimi sulla pista, amore… chiudo!”

Mentre Flanny, con le spalle tremanti per i singhiozzi che stava soffocando, posava il microfono sulla console, il radarista, sergente Paxton, annunciava ai superiori: “Ho i loro eco, signori… stanno per entrare nel circuito.”[11]

“Bene” rispose il maggiore Anderson, tamponandosi la fronte col fazzoletto “servizi di soccorso a bordo pista. Tutto il personale ai propri posti!”

 

***

“Aeroporto in vista!” annunciò John Maxim dal suo Dallas Blonde, in testa alla formazione.

“Bene, ragazzi” intervenne James Stone “allargatevi e lasciate la pista al capo: è senz’altro più agli sgoccioli di noi! Sei pronto, Andy?”

“Affermativo… ma non fate troppo gli eroi, voialtri: abbiamo tre piste a disposizione. Venitemi subito dietro, prima che i motori vi piantino in asso!”

“Tu non preoccuparti e pensa ad atterrare più in fretta che puoi. Togli manetta, abbassa i flaps e fai scendere il carrello.”

“Grazie delle informazioni, Jimmy: non ricordavo più come si fa…”

“Taci ed esegui, spiritoso!”

“Agli ordini…” rispose Greason, calando motore.

La pista numero 1 dell’aerodromo di Grant Field si stendeva dritta davanti allo Yankee Eagle. L’altimetro segnava 120 piedi e l’anemometro registrava una velocità di 85 nodi… quanto al televel, la lancetta era già inerte sullo zero…

“Spero bruci anche i vapori di benzina…” mormorò l’asso “…flaps…!”

Un istante dopo l’indice degli ipersostentatori si trovava nella posizione giusta. Il variometro registrava una discesa di 30 piedi al minuto e il pilota accentuò la spinta sulla barra.

“Ok… giù il carrello!”

Non c’è nulla che angosci un aviatore al rientro più dell’eseguire un atterraggio sul ventre. Andy l’aveva già fatto due volte ed entrambe gli era andata bene, soprattutto dal lato sentimentale (dopo la prima aveva conosciuto Flanny, dopo la seconda si era fidanzato).

Ma stavolta, col ventre dell’aereo ridotto in quello stato, gli servivano le ruote, altrimenti sotto le “dolci grinfie” della sua infermiera ci sarebbe rimasto fino a guerra conclusa, plausibilmente su una sedia a rotelle.  Con enorme sollievo osservò quindi le spie verdi che confermavano l’avvenuta discesa delle gambe del Thunderbolt, che per fortuna, al contrario delle sue, erano rimaste illese…

PRAT… PRAT… PRAT…

“Oh, no…!! Lo sapevo… lo sapevo…!!!”

Sentir battere in testa i pistoni, non regolarmente sollecitati quando non entra più miscela nei cilindri, è l’altro incubo di chi conduce una macchina volante. Circa venti piedi separavano ancora le ruote dal cemento della pista. Andy pigiò subito il pulsante per la messa in bandiera dell’elica,[12] ma ciò non impedì alla velocità di scemare rapidamente sotto i 78 nodi… l’aereo era in stallo.

La poderosa massa del P-47 piombò al suolo in un istante, piegando i robusti carrelli d’acciaio come spaghetti stracotti e accartocciando impietosamente le pale della povera Hamilton… che comunque stava meglio dell’omonima consorte del pilota, non lontana spettatrice in prima fila, assieme alla squadra di soccorso.

*Andy… tu mi farai morire, brutto bastardo!!* imprecò.

***

I solerti membri della squadra d’emergenza s’affrettarono a sbloccare dall’esterno il tettuccio del velivolo, lo spalancarono e si diedero da fare per svincolare il pilota dal seggiolino. Andy sembrava svenuto… certo aveva preso una gran bella botta!

“Piano… fate piano!” disse uno.

“Non riesco a sganciare la cinghia…”

“Tranciala, fai svelto!”

“Ecco, ho fatto: tiriamolo fuori.”

“Cristo, ha le gambe spappolate…!”

“No, no… è solo il sangue.”

“Ma è vivo…?”

“Speriamo di sì!”

“Forza, sbrigatevi a metterlo giù” ordinò il maggiore medico della base “presto, con quella barella!”

Non appena il generale venne coricato sulla medesima, il dottor Robert Farrell gli tastò subito il polso per poi auscultargli il torace con lo stetoscopio. Rivolse quindi lo sguardo alla moglie, non certo rinfrancata dalle precedenti battute dei soccorritori: “È vivo, signora, stia tranquilla!”

“E le sue condizioni…?” domandò lei, con voce tremula.

“Serie, purtroppo: qui ci vuole l’ospedale. Mettiamolo sull’ambulanza.”

La Dodge attendeva a breve distanza, con gli sportelli aperti. Gli assistenti caricarono a bordo la barella, seguiti dal maggiore Farrell e dalla stessa Flanny. La vettura si mise in moto procedendo spedita verso il cancello, diretta all’ospedale St.Mary.

Mentre un infermiere sistemava la maschera dell’ossigeno sul volto del povero Andy, la sua compagna gli aveva afferrato la mano dopo avergli sfilato il guantone, in modo che potesse percepire il suo calore. Il gesto funzionò, giacché il ferito aprì lentamente gli occhi…

“Tesoro… mi senti?!” lo chiamò dolcemente la moglie “Parlami, ti prego…!!”

Andy la guardò, mettendola lentamente a fuoco, finché il più bel sorriso che Flanny gli avesse mai visto non spuntò su quella faccia da schiaffi. Siccome faceva cenno di voler parlare, la moglie gli scostò la maschera dalle labbra: “E… ehi… c… ciao, bellezza…!!”

La donna soffocò un singhiozzo: “Ciao… maledetto scavezzacollo!”

Il marito arrossì discretamente, per poi rabbuiarsi: “Devo… darti una brutta notizia…”

“Un’altra?!” chiese lei, tra l’irato e l’ironico.

“Sì… vedi… ho dovuto… la tua sciarpa…”

“Non si agiti, generale!” lo esortò il medico.

Notando i due lembi del povero indumento stringere i polpacci del marito, Flanny sorrise mestamente: “Non ci pensare, sciocco… te ne farò un’altra.”

“È stata un’ottima idea, signore.” approvò anche il dottor Farrell.

“Beh… ho avuto… cough… una brava… maestra… cough… cough…!”

“Ora basta, Andy” lo esortò la moglie “cerca di star sveglio, ma non parlare più!” e gli risistemò la maschera sul viso.

A sirene spiegate l’ambulanza giunse ben presto al St.Mary Hospital, dove l’intera equipe era stata già allertata dalla base. Il primario, dottor George Waxman, dopo avere ascoltato il rapporto di Farrell e della signora Greason e visitato il pilota, fu concorde col collega militare sul fatto che il comandante della Decima andava operato d’urgenza: occorreva levargli tutte le schegge che aveva nelle gambe, prima che gliele infettassero, altrimenti avrebbe rischiato di perderle. Sentito ciò, un brivido gelido non scosse soltanto Flanny: accorsa prontamente all’annuncio di quanto accaduto, nella mente della dolce Candy balzò subito il nome di Susanna Marlowe…

“Malauguratamente le sue condizioni sono critiche” disse il dottor Waxman “ha perso parecchio sangue e gli serve una trasfusione per affrontare l’intervento senza rischi.”

“Oh, no…!” gemette Flanny, con angoscia.

“Qual è il gruppo di suo marito?” le chiese il maggiore Farrell.

“È lo Zero RH negativo, il più raro che c’è!” rispose lei, sconfortata, coprendosi gli occhi con la mano.

“Questa non ci voleva” esclamò Candy “non ne abbiamo di scorta, dottore?”

“Purtroppo no, miss White” rispose Waxman “abbiamo utilizzato completamente quello che ci avevano racimolato in tutta l’Inghilterra, nelle ultime settimane!”

“E per farlo arrivare dall’America ci vorrebbero almeno dodici ore” disse Farrell, sconsolato “troppe!”

*E proprio il pilota doveva fare, quello sconsiderato?!* inveì Candy all’indirizzo del suo quasi omonimo, guardando con pena la sua consorte… poi ebbe un guizzo improvviso: “Terence…!!!”

“Cosa…?” chiese Flanny, riscuotendosi.

“Terence Grenchester, l’attore di teatro: anche lui ha l’RH negativo!”

“Ma… ne è sicura?!” la incalzò il maggiore Farrell.

“Sicurissima!” rispose la bionda, con decisione.

“Scusi, ma… come fa a saperlo?” chiese Waxman, perplesso.

La giovane arrossì: “Beh… vede dottore, io e lui… insomma, stiamo insieme…”

“Ah… capisco. E dov’è, adesso, a Londra?”

“Magari” Candy allargò le braccia “purtroppo è andato in Scozia, a trovare i suoi.”

“Allora siamo fregati!” imprecò il primario dell’ospedale scuotendo desolato la testa, mentre la povera Flanny si lasciava sfuggire un singulto.

“Un momento” intervenne Farrell “dove risiedono, esattamente, i Grenchester?”

“In un castello nei dintorni di Pitcairngreen, nella Contea di Perthshire.” rispose la bionda.

Il medico della base aerea fece mente locale: “Se non sbaglio, la base della RAF di Redgorton non è lontana. Dov’è un telefono?”

“Da questa parte, venga!” gli rispose Candy.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



 



[1] Vedi capitolo 8.

[2] Il Greason Detachment era il reparto formato dalle squadriglie da caccia di Andy, trasferite dalla Ottava Forza Aerea in Inghilterra alla Dodicesima nel Mediterraneo (Mediterranean Theatre of Operations), prima in Algeria e quindi in Sicilia.

[3] Questo aspetto era stato accennato nel capitolo 10.

[4] E per un altro “crucco” come lui, gli ordini sono ordini!

[5] Sta per Empty (vuoto).

[6] Il nemico personale di Andy Greason, che i lettori della sua biografia completa conosceranno a tempo debito.

[7] La Mae West è il giubbotto salvagente. Per quanto mi risulta, all’epoca soltanto gli aerei plurimotori erano dotati di canotti gonfiabili.

[8] “È bello affidarsi a una Hamilton!” questa frase di Andy Greason era diventata uno slogan pubblicitario dell’azienda costruttrice, la Hamilton Standard Propeller Corporation di Hartford (Connecticut), anche se i responsabili del marketing non avevano capito se l’aviatore volesse alludere all’elica oppure alla moglie!

[9] Quando la signora Mary Jane, direttrice dell’omonima scuola per infermiere, venne a conoscenza di quell’episodio, ebbe a commentare: “Beh, probabilmente soltanto un uomo come Andrew Steve Greason sarebbe riuscito a far esprimere un concetto simile alla mia migliore allieva!”

[10] Vedi capitolo 9.

[11] Il segnale di ritorno di un radar, riflesso dall’oggetto rilevato, veniva e viene gergalmente chiamato eco.

[12] Procedura che consiste nel ruotare le pale in modo che non offrano più resistenza all’aria.

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Capitolo 21
*** Una serata piena di sorprese ***


Capitolo 9: Chi non muore si rivede

Capitolo 21: Una serata piena di sorprese

 

UCPFH 21

 

 

“A

ndy, ti vuoi muovere o no?” sbottò la signora Greason, mentre scendeva dal taxi.

“Arrivo, arrivo… tenga il resto, buon uomo.”

“Grazie, maggiore.” rispose l’autista.[1]       

Dopo avere attraversato la metà del vasto atrio del Savoy,[2] Flanny si voltò indietro, accertando con disappunto che il marito aveva appena oltrepassato il portone girevole e procedeva sbadigliando, senza troppo affrettarsi.

“Ma insomma, vuoi farti trascinare?!”

“Awh… scusa, tesoro, ma sono stanco morto!”

“Come mai, non ti sei riposato abbastanza?”

“E dove?”

“In teatro: hai ronfato per tutta la commedia!”

“Già, in effetti…” ricordò l’asso lisciandosi la nuca, imbarazzato, per poi ritrovare la solita arguzia “…ma d’altra parte te lo dovevi aspettare, dato il titolo!” ghignò.

I due stavano tornando dal Pavillion Theatre, dove avevano assistito alla soirée della commedia Sogno di una notte di mezza estate.

“Spiritoso” sbuffò la moglie “Shakespeare non è proprio il tuo genere…”

“Beh, un filmetto con Laurel & Hardy[3] m’avrebbe certo coinvolto di più!”

“Non ne dubito” commentò Flanny, con un pizzico d’acredine “bella figura m’hai fatto fare, con la mia collega!”

Andy allargò le braccia: “Hai ragione, perdonami… ma mettiti al mio posto: sono sveglio dalle quattro del mattino, reduce da un volo di sei ore da Norwich a Saint Nazaire e ritorno. Rincaso alle sette di sera, ancora rintronato dai contraccolpi della flak e tu, senza neanche darmi il tempo per una doccia, mi spari su due piedi che la nostra amica ci ha invitato a vedere quel polpettone, dove recita il suo famoso prim’attore, con successivo ricevimento al Savoy! Capisco il suo entusiasmo da prima fan, ma non era meglio una tranquilla cenetta fra amici? Conosco un posticino a Soho, che…”

“Ho presente” lo fermò la consorte con un cenno eloquente della mano “ma Candy non è il tipo da frequentare quel genere di posticini…”

“Scommetto che il suo bello invece sì!”

Flanny Greason s’arrestò di colpo, tornando a girarsi di fronte al marito e stringendogli le spalle: “Ora ascoltami bene: lo so che gli inglesi non ti sono eccessivamente simpatici[4]… e capisco che io e Candy non t’abbiamo alleggerito la giornata. Ma lo sai com’e fatta e quanto ci teneva… perciò ti prego: fa’ uno sforzo e comportati soprattutto da quel gentiluomo che sei in realtà!”

Quando la moglie lo guardava con quegli occhi, al contempo severi e amorevoli, Andy Greason non poteva più discutere, per cui abbozzò un sorriso: “Ma certo, amore. Ci mancherebbe!”

“Bravo!” replicò lei, schioccandogli un bacetto a fior di labbra.

Entrati nel salone principale si fecero strada fra i tavoli volgendo lo sguardo verso i commensali e le coppie che danzavano sulle note di Night and Day, una celebre canzone di Cole Porter, discretamente interpretata dall’orchestra dell’hotel.

“Eccola là…!” disse la donna.

Andy diresse la sua vista acuta nella direzione indicata, non tardando a scorgere la loro amica. Giunti al suo tavolo, i coniugi ne notarono subito l’espressione poco allegra.

“Siamo qui!” si annunciò Flanny.

“Come mai tutta sola?” le chiese invece il marito.

La ragazza abbozzò un malinconico sorriso: “Terry ha dovuto trattenersi in teatro per parlare col signor Hattaway e la cosa stava andando per le lunghe. Ho preferito venirvi incontro per non farvi preoccupare.”

“Sei stata gentile, cara, ma non ce n’era bisogno.” le rispose la collega con la coda di cavallo.

“Vero” aggiunse l’asso “e poi trovo assai imprudente, da parte tua, lasciarlo in balia delle ammiratrici!”

“Tesoro” intervenne la consorte, rifilandogli una gomitata nel fianco “che ne dici di sederci a bere qualcosa, mentre lo aspettiamo?”

“Ottima idea…!” rispose lui, mascherando il dolore con una smorfia. Accomodatosi, attirò l’attenzione d’un cameriere e ordinò - suo malgrado - uno scotch allungato per lui e due spremute d’arancia per le signore. Quando vennero serviti, Andy alzò il bicchiere e propose un brindisi per rimediare alla gaffe precedente: “Bene… al nostro superbo attore e alla sua luminosa carriera. E, naturalmente, anche alla sua musa ispiratrice!” concluse guardando la bionda.

“Grazie di cuore” rispose lei, sorridendo dolcemente “v’è piaciuta la commedia?”

“Molto” s’affrettò a rispondere Flanny, premendo leggermente il piede destro su quello sinistro del marito “era la prima volta che potevo assistere ad un classico e l’esperienza è stata del tutto positiva. Il talento del tuo fidanzato, poi, è senz’altro all’altezza della fama!”

Ringraziando nuovamente l’amica con un cenno del capo, Candy guardò allora il suo quasi omonimo: “E tu, Andy, cosa mi dici? Sei riuscito a capirci qualcosa, fra un sonnellino e l’altro?” gli chiese, con affettuosa ironia.

“Beh, ecco…” rispose lui, trastullandosi la cravatta “…se devo essere proprio sincero… pur ammirando la bravura del tuo attore, devo confessarti di non essere riuscito a capirci un granché… sai, io ed i classici non siamo mai andati molto d’accordo!” concluse con un sorrisetto imbarazzato.

“Effettivamente” confermò la sua compagna, con malizia “la tua antologia giovanile era limitata ai fumetti e ai romanzi d’avventure, se non erro.”

“Non nego che Verne fosse più presente di Shakespeare, nella mia biblioteca” rispose lui, di rimando, leggermente piccato “d’altra parte i suoi romanzi futuristici hanno contribuito non poco a istillarmi la passione per la tecnica e l’aeronautica in particolare!”

“Sta’ tranquillo, Andy” intervenne la bionda, col suo eterno istinto pacificatorio “è giusto che ognuno segua le proprie inclinazioni. Ho sempre ammirato le persone che svolgono con passione il loro lavoro, come tu e Terry… per non parlare della mia prima maestra!” terminò guardando la signora Greason.

“Sei troppo buona, Candy. Te lo dico sempre di non esagerare!” scherzò lei.

“A Cesare quel che è di Cesare” rispose lei, strizzando l’occhio “peccato, però, che tuo marito fosse così spossato: alcune scene di quell’opera sono davvero affascinanti. Anche il personaggio di Ermia è magistralmente interpretato.”

“È vero” ammise Andy, senza troppo pensarci “la presenza di quell’attrice è davvero notevole. Com’è che si chiama? Karen Kleis, mi pare…”

“Figurati se non eri sveglio, quando recitava lei” saltò su la moglie “sempre il solito!”

“E tu sempre a lamentarti” ridacchiò lui “pensa alla povera Candy, piuttosto: almeno io non ci recito accanto!”

“Pfui… Candy non ha bisogno di preoccuparsi, perché Terence Granchester è sicuramente più serio di te! Vero, cara?”

“Non posso lamentarmi…!” rispose l’interessata, con lieve accento strascicato.

“Ehi, hanno attaccato con Polvere di Stelle…” Andy si alzò e tese la mano alla moglie “…balliamo?”

“T’è già passata la stanchezza? Prima, per poco non cascavi per terra!”

“Beh, ma è una delle nostre canzoni preferite…” tentò goffamente di rimediare “…non ti va?”

Lei scosse la testa: “Scusami, amore, ma ho ancora i piedi che fumano: sono stata in corsia per tutta la mattina e in sala operatoria per l’intero pomeriggio. Tu, almeno, in carlinga, puoi startene seduto!”

“Spiritosona! Vuoi far cambio, per caso?”

“Scherzi? Ci tengo ai miei pazienti!”

“Va bene, come non detto” sospirò il maggiore. Poi, incrociando lo sguardo con Candy, si ritrovò improvvisamente a chiederle “posso…?”

La bionda spalancò gli occhi, per poi guardare la mora: “Mah…” titubò “…se a Flanny non dispiace…”

Quest’ultima la guardò con aria strana, poi abbozzò: “Ma sì, fallo contento. Almeno la smetterà di sparare sciocchezze!”

L’infermiera dai codini dorati porse allora galantemente la mano all’aitante ufficiale dell’USAAF, che, con un sorriso amabile, la condusse alla pista da ballo. Qui giunti, la giovane abbozzò un lieve inchino al suo accompagnatore, che la cinse gentilmente in vita, ponendole l’altra mano sulla spalla. I due amici, forse suggestionati dalla dolce melodia di Carmichael, si rilassarono completamente dopo una dura giornata di lavoro.

Quasi senza rendersene conto, Candy appoggio lentamente il mento sulla spalla del pilota… era strano, ma la stretta vicinanza dell’amico le infondeva la medesima sensazione che avvertiva in compagnia del suo caro “zio adottivo” o quella che, in passato, aveva provato vivendo assieme al suo primo ragazzo (nipote dello stesso William Andrew) tragicamente perito durante una battuta di caccia alla volpe.

Anche il nostro asso percepiva una gradevole sensazione di tranquillità emanare da quella formidabile ragazza, così diversa nel carattere dalla sua compagna, ma così affine per tenacia e per generosità. Seduta al tavolo, Flanny Greason li guardava ballare quel lento candidamente abbracciati, senza che alcun pensiero negativo le passasse per la mente (a parte augurarsi che l’orchestra non si mettesse a suonare Cheek to Cheek).

Non era ingenuità, la sua, ma soltanto una ferma consapevolezza. Flanny non aveva dubbi su chi fosse, anche in quel momento, la persona posta al centro dei pensieri del marito.

***

Non la pensava però esattamente così un prestante giovanotto dal volto fiero e dalla folta chioma castana, che proprio in quell’istante stava entrando nel salone assieme a una bella giovane dai lunghi capelli rossi e un distinto signore di mezza età. Tutto si aspettava di vedere, a quel “ricevimento da imboscati”, tranne la donna della sua vita intenta a ballare fra le braccia di uno sconosciuto!

“Scusatemi un attimo…” disse ai suoi accompagnatori, la collega Karen Kleis, prim’attrice della Compagnia Stratford e Robert Hattaway, direttore della medesima. Quindi, coi pugni ben chiusi, si diresse deciso verso quella coppia singolare.

Proprio mentre i due ballerini si stavano lasciando cullare dalla musica, sognando entrambi di trovarsi fra le braccia della reciproca persona amata, l’ufficiale americano si sentì picchiettare bruscamente la punta di un indice sulla spalla…

“Le dispiace se gliela rubo?”

La coppia smise immediatamente di danzare, prestando attenzione al nuovo arrivato.

*Terry…!!!* avrebbe voluto gridare l’apparente “reproba”… ma la voce le morì purtroppo in gola e il gesto di portarsi la mano alle labbra fu interpretato dal suo gelosissimo compagno come la conferma che ci fosse in effetti qualcosa di losco.

Anche un “uomo di mondo” come Andy Greason avrebbe saputo certamente gestire la situazione, se solo le circostanze fossero state leggermente migliori. Ma lo sguardo duramente ostile di quel bel giovane lo scombussolò, stimolando malauguratamente la sua parte reattiva, sviluppata in decine di combattimenti aerei.

“Sì, mi dispiace!” rispose infatti con voce secca e definitiva.

L’attore alzò il busto facendo un profondo respiro: “Beh, temo che dovrà passarci sopra, se non vuole ritrovarsi col sedere per terra!”

“Terry, ti prego! Lascia che…” tentò la bionda.

Con un cenno della mano e un mezzo sorriso, l’asso zittì la sua partner occasionale e squadrò dritto negli occhi quell’importuno: “Il mio sedere resterà dov’è, amico. Sarà invece il suo muso da figurino a fare una brutta fine, se non chiederà immediatamente scusa alla mia accompagnatrice per la sua insolenza!”

“No, Andy, aspetta!!” tornò a intervenire Candy, disperata.

Un ghigno beffardo spuntò sul volto del famoso interprete shakespeariano: “Ah, insolente io? Un giudizio davvero singolare, per venire da uno yankee!”

“Per favore, Terence…!”

L’attore aveva messo nella voce tutto il disprezzò che poteva esprimere, ignorando del tutto il fatto che il titolo che aveva utilizzato, rappresentava per l’asso un complimento![5]

“Ha qualcosa da ridire sugli yankies?” lo incalzò infatti Andy con palese aria di sfida.

“Non mi basterebbe la nottata intera per elencarle i motivi per cui mi state sulle scatole. Non ultimo, il vizio di fare sempre i galletti con le donne altrui!”

“Smettila, Terry: non è come credi!” insistette ancora la povera collega di Flanny, talmente spiazzata da quell’assurda situazione, da non riuscire nemmeno a tirar fuori la sua ben nota grinta.

“Buona, tu” le rispose il suo promesso “me la vedo io con questo bellimbusto gallonato!”

“Donne altrui?” replicò con sarcasmo il bellimbusto “Questa poi… guardi che la signorina qui presente è una mia connazionale!”

“Ah, davvero?” ribatté l’inglese, leggermente divertito da quel duello in punta di forchetta “Ma guarda quant’è piccolo il mondo. Perché si da il caso che sia anche la mia fidanzata!”

Candy arrossì abbassando il capo, pronta ad assistere all’imbarazzo dell’amico e a scusarsi di conseguenza. Ma la reazione del maggiore non fu esattamente quella prevista: “Ah, sì? Mi spiace, compare, ma il trucco è vecchio. Ora decolla, prima che perda la pazienza!”

“Sarai tu a decollare!!” rispose veemente l’attore, che l’aveva già persa di colpo.

“Terence, no…!!”

L’inglese sferrò un potente diretto all’avversario… che quest’ultimo, inaspettatamente, riuscì a bloccare con il palmo della mano![6]

“Troppo lento, amico” ghignò lui “è questo il guaio di voi limey: siete lenti. Ecco perché avete sempre bisogno di noi per togliervi le castagne dal fuoco!”

“Castagne?” ghignò Terry a sua volta “Come questa?” chiese, ironicamente, mollando al rivale un fulmineo upper-cut con la sinistra.

Come aveva profetizzato il talentuoso attore, l’altrettanto celebre asso finì effettivamente col sedere per terra… non senza aver prima travolto un povero cameriere sessantenne, il cui vassoio si rovesciò inesorabile coi bicchieri e i cocktail che trasportava, i cui liquidi contenutivi andarono direttamente a impreziosire lo smoking di Robert Hattaway e l’abito da sera di Karen Kleis!

“Vi detesto, voi yankee” esclamò Terence Grenchester, incurante del brusio proveniente dalla stupefatta folla di spettatori, fra i quali alcuni reporter che avevano già iniziato a far scattare i flash “la vostra rozzezza, il vostro cinico pragmatismo, la vostra sicurezza d’arricchiti, la vostra arrogante presunzione d’essere sempre nel giusto…”

“Abbiamo anche un altro difetto…” lo interruppe Andy guardandolo torvo, mentre si strusciava il dorso della mano sul mento, alzandosi lentamente.

“Sarò lieto di conoscere anche quello!”

“…non la facciamo mai passare liscia!!” e, con mossa repentina, sferrò un potente destro allo stomaco di Terence, per poi restituirgli l’upper-cut di poco prima. L’attore sarebbe certamente finito piatto sul marmo del salone, se non avesse incontrato il tavolo del buffet, che per lo scossone ricevuto fece rovesciare caraffe e bottiglie sovrastanti, con discreto disappunto dei convenuti che stavano servendosi lungo il lato opposto, futuri prossimi clienti delle premiate lavanderie londinesi.

“Terry…!!!” gridò Candy, del tutto sgomenta.

“Niente male…” commentò il fidanzato, ansimando “…ora, però, facciamo sul serio!”

“Quando vuoi, limey” rispose lo yankee, mettendosi in guardia “io sono qua!”         

Adesso basta!!”                                          

A quel tono bifonico, secco e autoritario, i due contendenti s’irrigidirono, scrutando smarriti le loro signore, che li fissavano con uno sguardo di ghiaccio. Posando ciascuna la mano sulla spalla del proprio “discolaccio” (e scacciando a fatica la tentazione di prenderli per le orecchie) le due infermiere li spinsero l’uno di fronte all’altro.

“E adesso datevi la mano!” ordinò loro Candy.              

“E presentatevi!” aggiunse Flanny, che aveva già compreso com’erano andate le cose.

Cercando di darsi un contegno, attore e pilota si guardarono un poco di sbieco, lasciando comunque trasparire una leggera parvenza di reciproco rispetto.

“Un’ottima impostazione, limey” disse l’ufficiale dell’USAAF “faresti furore, sul ring!”

“Anche tu sei sprecato, in quell’uniforme, yank” ribatté asciuttamente l’altro “con chi ho l’onore di essermi battuto?”

“Maggiore Andrew Steve Greason, sir… aviazione dell’esercito.”

Grenchester spalancò gli occhi: “Onore doppio, allora: se ti batti in cielo come quaggiù, compiango di cuore i poveri jerries!”[7]

“Lusingato” sorrise Andy “restando in argomento, posso conoscere il nome del primo avversario che mi ha sbattuto giù?”[8]

“Terence Graham Grenchester, compagnia teatrale Stratford.”

L’americano sobbalzò a sua volta: “È davvero una serata di sorprese… qua la zampa, limey!”

“Con piacere, yankee!”

Lo sguardo soddisfatto che intercorse fra Candy White Andrew e Flanny Hamilton Greason, condito dagli applausi di tutti i presenti nel grande salone del Savoy, venne bruscamente interrotto da un forte e sinistro scrocchiare, seguito da un grido di dolore da parte dei due riappacificati gentlemen… i quali, evidentemente (e fors’anche inconsciamente) avevano voluto prendersi un’ultima rivincita. Se però la “stretta yankee” dell’asso era giustamente rinomata, non lo era da meno quella dell’attore shakespeariano!

E siccome, dopo qualche ora, una preoccupante emicrania era subentrata in entrambi al dolore della mano, quei due capoccioni dovettero passare la nottata in ospedale per essere sottoposti a osservazioni mediche che li tennero ricoverati fino al pomeriggio successivo. Superfluo aggiungere che le due passate compagne di stanza della Scuola Mary Jane dovettero sudare i proverbiali sette camici per tenere a bada le loro colleghe (Natalie, Eleonor e soprattutto Judith) rimaste completamente rimbambite dalla contemporanea presenza dei loro due “idoli”…![9]

***

Due anni dopo quell’increscioso “incidente diplomatico” fra le due principali nazioni alleate nella lotta contro il nazismo,[10] l’albionico protagonista di quell’avvenimento stava trascorrendo un breve periodo di vacanza nel castello di famiglia, situato nella Contea scozzese di Perthshire. I suoi genitori si erano trasferiti lì da quando la madre, l’attrice Eleanor Baker, aveva abbandonato le scene per sposare l’ex amante.

Il Duca di Grenchester, dopo un travagliato duello con la sua coscienza, aveva finalmente chiesto e ottenuto il divorzio dalla sua legittima consorte (un’acida contessa che l’aveva “accalappiato” per puro prestigio sociale), incoraggiato nella sua decisione dalla mossa di Edoardo VII, che aveva rinunciato al trono di Gran Bretagna nel 1936 per unirsi a Wallis Simpson. Cosicché, il figlio naturale di Richard Grenchester, l’ormai affermato talento di Broadway, aveva recuperato il titolo di primogenito, assieme al diritto di successione nobiliare.

Tutto questo non era comunque bastato a eliminare completamente la vecchia ruggine con il duca per averlo separato dalla madre quando suo nonno aveva richiamato severamente in Patria il figlio Richard, minacciando di ripudiarlo per il suo libertinaggio con un’attrice americana.

Una delle ragioni dietro al risentimento di Terence verso gli Stati Uniti stava proprio nell’impotenza delle autorità americane nel non avere allora difeso i diritti della madre. Purtroppo, come aveva spiegato alla povera signora Baker un desolato funzionario del Dipartimento di Stato, essendo il suo bambino registrato all’anagrafe come figlio di un suddito britannico e avendo abbandonato il territorio federale prima del 5° anno di età, non poteva essergli concessa la cittadinanza, pur essendo nato sul suolo americano. In caso contrario, una volta accertato l’effettivo “sequestro”, la Guardia Costiera avrebbe senz’altro abbordato il transatlantico del duca, prima che potesse lasciare le acque territoriali![11]

“Sei ancora alzato, tesoro?”

Il giovane attore si riscosse a quella calda voce, alzando gli occhi dal libro che leggeva: “Come vedi…”

L’ancora affascinante quarantacinquenne gli carezzò delicatamente la testa. Suo figlio non gradiva eccessivamente quelle “moine da moccioso”, ma lei sapeva che le avrebbe giustamente tollerate, dopo che per anni non le aveva nemmeno permesso di toccarlo con un dito.

“Non riuscivi a dormire?”

“Già…” rispose Terence, laconico.

Eleanor sospirò: “Io e tuo padre speravamo tanto che potessi portare anche Candy. Lo sai che adesso è come una figlia, per noi.”

Lui mostrò un sorriso agrodolce: “Lo sa anche lei e vi ringrazia. Purtroppo all’ospedale di Newhaven c’era troppo lavoro perché le accordassero una licenza.”

La madre lo baciò fra i capelli: “Sei stato un tesoro a venire ugualmente fin quassù.”

“Beh… non è che, per me, voi due non contiate proprio nulla!”  

“Grazie, caro… e ringrazia per noi anche Candy, quanto la rivedrai.”

“Non mancherò.” rispose, asciutto, per poi dirsi *Come se avessi potuto restare a Londra senza che non mi spingesse sul treno a calcioni!*

Scuotendo la testa, tentò di riprendere la lettura, ma stavolta fu la voce del duca in persona a interromperlo nuovamente: “Ah, siete ancora in piedi, vedo… meglio così.”

“Che succede, caro?” domandò Eleanor, sorpresa dall’improvvisa comparsa del marito.

“Abbiamo visite. E cercano nostro figlio.”

L’interessato corrugò la fronte, stupito soprattutto nel vedere uno sconosciuto, alle spalle del padre, che indossava l’uniforme di capitano della Royal Air Force.

“Lei è il signor Terence Grenchester?” s’informò costui.

“In persona” rispose l’attore, alzandosi e facendo qualche passo verso il militare “in cosa posso esserle utile?” domandò in tono fermo, quanto cortese.

L’aviatore salutò: “Capitano James Pearson, del Comando Caccia. Devo pregarla di seguirmi immediatamente al campo di Redgorton. Un Mosquito[12] sta aspettando sulla pista per condurla alla base americana di Grant Field, presso Newhaven. È un caso di emergenza!”

La bocca dell’attore si curvò in un sorriso scettico: “Non mi dica che sono stato scritturato dal circolo ricreativo della Decima Air Force: pensavo che il livello culturale degli ex coloni si fosse fermato alle Silly Simphonies[13] della Disney!”

“Per favore, figliolo” lo redarguì la madre “cerca di non essere scortese!”

L’aviatore della RAF, capendo subito con chi aveva a che fare, imitò il sorriso sardonico dell’interlocutore: “In confidenza, signor Grenchester, gli yankies non piacciono molto neppure a me. Ma si ricordi che sono gli unici che abbiamo[14] e che, senza di loro, noi e i sovietici staremmo probabilmente lustrando gli stivali ai tedeschi da tre anni a questa parte! Se lei non si presenta entro qualche ora all’ospedale St.Mary di Newhaven, il generale Andrew Steve Greason morirà dissanguato o, in alternativa, dovranno amputargli le gambe per sopravvenuta cancrena. È rimasto gravemente ferito in azione e, senza una trasfusione, non possono operarlo. Un’infermiera dell’ospedale ha riferito all’ufficiale medico della Decima che il rarissimo gruppo sanguigno del generale è fortuitamente identico al suo. Sappia inoltre che, un paio d’anni fa, stavo per essere abbattuto sopra Dieppe, quando comparve provvidenzialmente quello yankee strepitoso, che piombò sui tre dannati jerries che mi stavano alle costole, spazzandoli via uno dopo l’altro. In conclusione l’avverto che, se entro dieci secondi non mi seguirà spontaneamente, provvederò io stesso a convincerla nel modo più efficace” detto ciò, Pearson alzò il braccio sinistro per fissare il suo cronografo “comincio a contare…”

Considerando che l’infermiera succitata era senza dubbio la sua Candy, che lei stessa non lo avrebbe guardato più in faccia se non fosse accorso ad aiutare il marito della sua mentrice, che si trattava di salvare la ghirba allo “yankee meno buzzurro del pianeta” e soprattutto che l’ufficiale della RAF era un individuo discretamente piantato, Terence Graham Grenchester si decise di buon grado a fare la cosa più giusta.

“Bene… dal momento che il generale ha contribuito a impedire che i nazisti mi costringessero a recitare le opere di quel pazzoide di Wagner in qualche fumosa bettola di Berlino[15] e che ha pure salvato la pelle ad un mio connazionale… andiamo pure, capitano. Mamma e papà, se volete scusarmi…”

“Vai, caro” annuì con enfasi la madre “fai presto…!”

“Guarda il lato positivo, figliolo” aggiunse il duca, con fare ironico, tenendo le mani nelle tasche della veste da camera “da domani ti potrai vantare di essere anche il fratello di sangue del migliore pilota alleato!”

Il suo erede stette al gioco: “Così potrò forse riprendermi qualcuna delle ammiratrici che mi ha soffiato. Sto già impazzendo dalla gioia. Beh, arrivederci…!”

“Mi raccomando, Terry” disse Eleanor “mettici al corrente appena possibile.”

“Tranquilla, mamma” rispose il figlio alzando le spalle con noncuranza “il cuginetto se la caverà. Ha la pelle dura, lui…!”

 

 

 

 

 

 



[1] La prima parte di questo capitolo si colloca cronologicamente subito dopo il decimo: siamo nel 1942 e il nostro asso, al comando del 444° Gruppo Caccia della Ottava Air Force, porta ancora il grado di maggiore.

[2] Uno dei più facoltosi alberghi della capitale britannica.

[3] Più noti in Italia come Stanlio & Ollio (piacevano anche a Mussolini).

[4] La leggera anglofobia di Andy derivava più che altro dalla conoscenza col maresciallo Bernard Law Montgomery, il famoso comandante dell’Ottava Armata britannica, a sua volta scarso estimatore degli americani. Il loro rapporto era cominciato male fin dall’inizio: durante una conferenza interalleata al Cairo, Montgomery aveva liquidato una pertinente osservazione di Eisenhower, puntualizzando che la Gran Bretagna era già una grande potenza navale quando l’America era ancora popolata da “selvaggi ignudi”. Il nostro asso, presente alla riunione, aveva ribattuto: “Adesso che ci siamo vestiti, forse potremo darvi una mano!” e, per poco, non era scoppiato un putiferio.

[5] Il sostantivo yankee era stato inventato dai britannici durante la Guerra d’Indipendenza americana (1775-1783) per indicare spregiativamente i coloni che avevano voluto ribellarsi alla madrepatria. Tornò in auge durante la Guerra di Secessione (1861-1865) come titolo rivolto agli unionisti da parte dei confederati. Andrew Steve Greason, fiero discendente di un Padre Pellegrino e poi di un combattente al seguito di Washington, se lo era invece scelto come nome di battaglia, battezzandoci, come sappiamo - persino il suo apparecchio da caccia.

[6] Quando poi, calmate le acque, Terry chiese al suo nuovo amico se facesse sollevamento persi, lui rispose con candore: “No, faccio sollevamento caccia!” Allora i comandi manuali dei velivoli non disponevano di servocomandi e i muscoli dei piloti, a lungo andare, si sviluppavano facilmente.

[7] Jerry è il nomignolo dato in guerra ai Tedeschi dagli Inglesi.

[8] Ovviamente l’accidentale duello con Schultz von Heindrich doveva ancora avvenire.

[9] Questo passaggio è dedicato a Zucchero Filato per il suo commento al 15° capitolo.

[10] Si dice che l’allora maggiore Greason si fosse offerto volontario per il teatro operativo del Mediterraneo anche per placare il disappunto del suo comandante supremo, generale Arnold!

[11] Sono stato male anch’io nel vedere quella scena col piccolo Terence sulla nave che domandava chi fosse “quella signora” e il padre che gli diceva di andare in cabina. Quel bastardo d’un inglese…! (voce di Andy)

[12] Il De Havilland Mosquito, detto anche wooden wonder (meraviglia di legno) è stato un famosissimo aereo militare degli anni Quaranta. Interamente costruito in legno, ha svolto una molteplice varietà di ruoli: caccia diurna e notturna, ricognizione, attacco al suolo, bombardamento in quota, cercatore di bersagli. I primi esemplari erano disarmati, dal momento che la loro velocità di 611 Km/h li rendeva inintercettabili, specialmente di notte, dai coevi caccia tedeschi.

[13] Le strisce dei comics (fumetti) stampate sui maggiori quotidiani statunitensi.

[14] Questa frase la pronunciò anche il cancelliere Helmut Schmidt negli anni cinquanta: “Gli americani sono quello che sono, ma sono gli unici americani che abbiamo!”

[15] Beh, forse, considerato il suo talento, gli avrebbero concesso il Teatro dell’Opera!

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Capitolo 22
*** Un tuffo nel passato ***


Capitolo 9: Chi non muore si rivede

Capitolo 22: Un tuffo nel passato

 

UCPFH 22

 

 

T

erence Granchester gettò annoiato il numero di Time che stava provando a leggere per ammazzare quell’attesa tormentosa. Niente da fare, non c’era verso di concentrarsi. Sarebbe stato meglio se avesse dato retta a Candy, che dopo avergli somministrato due compresse di ferro per compensare il prelievo della trasfusione, gli aveva calorosamente consigliato di prendersi qualche ora di sonno. Già, come se il bell’attore avesse potuto tranquillamente appisolarsi in una circostanza di quel genere, tale da ricordargli il terribile incidente occorso in passato alla collega ed amica Susanna Marlowe. Era davvero angosciante pensare che potesse finire in modo analogo!

Finalmente le porte della corsia si spalancarono, rivelando un gruppo di sanitari che accompagnava un letto a rotelle dove stava disteso un paziente ancora sotto anestesia. L’aspetto del pilota contrastava fortemente con la foto che Terence aveva visto prima sul periodico, sopra il titolo L’Aquila Americana conquista la sua centesima vittoria… nondimeno il talentuoso interprete shakespeariano si sentì molto più leggero quando la sagoma del lenzuolo che lo ricopriva rivelò che le sue gambe erano entrambe ancora al loro posto!

L’infermiera bruna dalla coda di cavallo presente nell’equipe s’affrettò a infilare l’ago di una flebo nel braccio destro dell’aviatore e subito dopo si voltò verso il chirurgo.

“Adesso lasciamolo riposare” disse questi, dopo avere annotato qualcosa sulla cartella clinica “e lei, signora Greason, cerchi di fare altrettanto.”

“Ma, dottore” cominciò la donna, con voce tremula “lei ritiene che…”

“Abbia fiducia” rispose il dottor Waxman posandole la mano sulla spalla “abbiamo fatto tutto il possibile. Suo marito è un individuo robusto e vi sono ottime probabilità che le facoltà motorie si ripristino integralmente. Fra qualche giorno ne sapremo di più.”

“Grazie…!”

Mentre il medico si ritirava, l’infermiera tornò ad accostarsi al letto. Dolcemente accarezzò i capelli del paziente, quindi gli prese con delicatezza il braccio libero dalla flebo, ne appoggiò la mano al proprio grembo e disse: “Dai, piccolino: fa’ il tifo a papà…!” poi, all’improvviso, la povera donna non ce la fece più: riportò la mano al volto e scoppiò in un pianto dirotto.

Alla fine era successo davvero: aveva avuto il proprio uomo sotto i ferri! Un’esperienza che aveva da sempre temuto come la peggiore della sua vita, pur augurandosi di poterla affrontare nella malaugurata ipotesi che un giorno fosse stato necessario.[1]

Nessuno aveva cercato di dissuadere la signora Greason dal partecipare all’operazione. E quando il dottor Waxman aveva detto: “Ora diamoci da fare, se vogliamo salvargli le gambe!” le colleghe di Flanny, al tempo sue ex condiscepole, l’avevano fissata con ansia. Per fortuna l’abitudine della loro mentrice ad assistere qualunque chirurgo come se questi operasse il proprio uomo era stato un egregio allenamento, fin dai tempi di Pearl Harbor:[2] non un tremito, non un sussulto, né la minima esitazione avevano pregiudicato l’efficienza della migliore allieva della Mary Jane Nursery Training School e le sue quattro compagne si erano dimostrate pienamente alla sua altezza.

Alla fine il bisogno di scaricare la tensione si era però fatto insopprimibile e le spalle di Flanny continuavano ad essere scosse da singhiozzi disperati.

Una sua collega dalla chioma bionda, acconciata con due codini vistosi, l’abbracciò subito da dietro: “Su, Flanny…” sussurrò “…non fare così: hai sentito cos’ha detto il dottor Waxman? Andy è forte… se la caverà, vedrai!”

La moglie dell’interessato strinse convulsamente una delle mani dell’amica che la cingevano alla cintura: “Sì, ma…” balbettò “…se lui non potrà… più volare… che cosa farà?!”

La deliziosa boccuccia di Candy rimase semiaperta. Avrebbe voluto rispondere senza mezzi termini che una simile eventualità l’avrebbe riempita di gioia, specialmente se si fosse trovata al suo posto! Ma la sua bontà proverbiale sopravvenne, ricordando soprattutto una conversazione che aveva avuto tempo prima con Terence…

“Sai, Candy… seguire la propria vocazione nella vita è certamente meraviglioso. Ma comporta un prezzo molto alto!”

“Quale prezzo, Terence?” gli aveva chiesto lei.

“Quello di morire due volte, mia cara. La prima quando si lascia la propria attività e la seconda quando si smette di vivere. Purtroppo, quando fai ciò che senti veramente, finisci per averne bisogno più dell’aria che respiri, anche negli aspetti negativi: il biasimo dei critici nel caso mio, il pericolo dell’azione nel caso di Andy!”

Nondimeno la coscienza professionale di Candy non poteva consentirle di trasmettere false speranze alla collega: “Non temere, cara: io sono sicura che Andy troverà sempre il suo scopo nella vita, specialmente con una compagna come te. Anche se dovesse smettere di…”

“No!” disse una voce, in tono secco.

Le due donne si voltarono. Terence Granchester era di fronte a loro, il viso altero ma con le labbra sorridenti. E prima che la fidanzata gli potesse dire il fatto suo, si rivolse direttamente alla sua amica: “Andy volerà di nuovo, Flanny. Te lo assicuro io!”

“Ma Terry…!” protestò la bionda.

“Come ha detto il dottore, il nostro amico è robusto” continuò l’attore “ma, soprattutto, ha una volontà d’acciaio. Non sarà questo contrattempo a compromettergli la carriera.”

“La fai sempre molto semplice, tu!” commentò Candy, rimproverandolo cogli occhi.

“Senti, tesoro: Andy potrebbe pilotare anche con due protesi, come quel suo collega, mio connazionale.[3] Anche Susanna è tornata sul palcoscenico, con la sua gamba artificiale. E tu credi che l’aquila americana si faccia fermare da qualche scheggietta?”

*Qualche decina di scheggette, per essere esatti!* replicò amaramente la bionda, fra sé e sé. Ma disse poi a Flanny: “Beh, lo hai sentito? Anch’io sono convinta che ce la farà… vedrai, il tuo aquilotto tornerà a volare!”

“Che Iddio vi ascolti, amici” rispose Flanny, asciugandosi le lacrime, per tendere poi la mano al compagno di Candy “e grazie di tutto, Terry…!!”

“Oh, è stato un piacere” rispose lui, stringendogliela con noncuranza “speriamo solo, prima o poi, di rivederci in circostanze più tranquille!”

Alla signora Greason s’imporporarono le guance: “Mi dispiace… per quella volta…”[4]

“Acqua passata” rispose lui, strizzando l’occhio per poi volgersi verso l’asso addormentato “alla prossima, cuginetto… e stammi bene!”

Poco dopo, mentre lo accompagnava fuori, Candy volle togliersi un sassolino dalla scarpa…

“Me la spieghi una cosa, Terry?”

“Parla, tesoro.”

“Perché chiami Andy sempre cugino? Va bene che, da quando siamo in guerra, noi anglo-americani ci diciamo sempre così, ma tu non sei esattamente il tipo da seguire certe consuetudini!”

“E infatti non lo sono” alzò le spalle Terence “ma si da il caso che - almeno alla lontana - Andrew Steve Greason sia davvero mio cugino!”

“Cosa…?!” la giovane si arrestò di colpo “Ma parli sul serio?”

“T’ho mai preso in giro?” domandò lui, in tono semiserio.

“Questo non lo so” rispose Candy mettendo le mani sui fianchi “ma so per certo che spesso mi nascondi qualcosa!”

“Nulla che tu mi abbia mai chiesto.” obiettò l’amico, ostentando la flemma più britannica.

“Bene, stavolta te lo chiederò”[5] ribatté con veemenza la sua ragazza “spiegami se è proprio un caso che tu e il marito di Flanny avete nelle vene lo stesso tipo di sangue rarissimo!”

“Ok” sospirò rassegnato l’attore “che ne dici però di parlarne con le gambe sotto un tavolo? Mi reggo appena in piedi!”

“E non te l’avevo detto di metterti a dormire?”

“Ora lo sai perché non l’ho fatto. Quando smonti?”

“Alle quattro.”

“Allora ci vediamo più tardi. Buon lavoro!”

Ciò detto e salutata l’amica con uno dei suoi sorrisi “tira-schiaffi”, il bello di Broadway si diresse verso l’uscita del St.Mary, mentre la sua prima ragione di vita (la seconda era il teatro) lo seguiva scuotendo lentamente i suoi codini biondi…

***

Scozia, Contea di Perthshire, Settembre 1840…

Nella cupa atmosfera nordica di un nebbioso mattino autunnale, un’esile figura varcò furtiva la postierla di un massiccio maniero che si ergeva fieramente nella brughiera. Coperta nel suo pesante mantello di lana, si avviò quindi a passi veloci lungo il sentiero che conduceva alla vicina borgata di Pitcairngreen.

Giunta a destinazione bussò risoluta alla porta di una taverna situata nella piazza centrale del paese, dove le venne aperto dopo pochi istanti.

“Che volete, a quest’ora?!” le chiese il padrone con voce burbera, dal momento che si era appena alzato.

La persona misteriosa abbassò il cappuccio del mantello rivelando i graziosi lineamenti d’una giovanetta appena sedicenne. Le gote erano rosse per il freddo mattutino e i suoi riccioli biondi apparivano spruzzati di rugiada.

“Milady…” sobbalzò il taverniere, che ben la conosceva, dovendo recarsi periodicamente al castello per la consegna delle provviste  “…che ci fate, voi, qui?!”

“Dovete aiutarmi, mio buon Angus!”

“Che posso fare, per voi?” domandò l’altro, timoroso, come colto da un vago presentimento.

“Mi occorrono un carro e un cavallo” rispose la bella fanciulla “subito!”

“Ma…” balbettò il poveretto “…così, su due piedi…”

“Vi prego, Angus” insistette la giovane, afferrandogli la mano libera dalla lanterna “devo recarmi urgentemente a Glasgow: è questione di vita o di morte!”

“Ma cosa è successo, milady?” s’informò premurosamente il taverniere.

“Devo svolgere una faccenda per mio padre. Ha mandato me per non dare nell’occhio: mio fratello in città lo conoscono in troppi…”

L’oste la scrutò bene in viso. Quegli occhi azzurri, che parevano aver pianto a lungo, tendevano a smentire quelle semplici parole.

“Capisco” sospirò il brav’uomo, rassegnandosi alla vista di futuri guai “va bene, vedrò di accontentarvi. Voi, nel frattempo, scaldatevi vicino al fuoco.”

“Grazie, mio buon amico. Sapevo di poter contare su di voi!”

“Servo vostro, milady. Vi faccio portare qualcosa di caldo?”

“Un punch sarebbe il benvenuto…”

“Arriva subito.”

La taverna di Pitcairngreen era rinomata per i suoi punch, ma la giovane Giuditta, secondogenita del Duca di Granchester, non poté gustarselo molto, in quella circostanza. Fra una sorso e l’altro continuava a interrogare il suo orologio, sempre più inquieta e seccata che l’oste ci mettesse tutto quel tempo. Anche la luce del giorno, che cresceva sempre più, non era fatta per rilassarla.

Finalmente il padrone ricomparve: “Il carro è pronto… è nel cortile.” le annunciò, quasi esitando. Come punta da una vespa, la ragazza si rialzò, andò verso l’uomo e gli porse un sacchetto di monete: “Grazie, Angus: questi sono per voi.”

“No, io… non posso accettare!” protestò l’altro, con forte imbarazzo.

“Non fatevi pregare: vi sarò per sempre grata del vostro concorso. Addio e buona fortuna!”

“Altrettanto a voi, milady!” replicò il taverniere, nella cui voce si notava però come un senso di colpa.

La giovanetta uscì dal retro del locale per raggiungere il cortile, dove faceva bella mostra di sé un carro trainato da un cavallo. Quest’ultimo soffiava impaziente, strisciando uno dei due zoccoli anteriori. Giuditta gli carezzò la criniera, montò a cassetta e afferrò le redini. Stava per spronare il destriero, quando una voce proveniente da un recesso del cortile le procurò un tuffo al cuore: “Dove vuoi andare, sorella?”

La ragazza si girò per fissare sgomenta la figura comparsa dal nulla: “Arthur…!!”

Il nominato si avvicinò al carro. La giovanetta era così terrorizzata da non pensare nemmeno a scuotere le briglie per lanciare il cavallo al galoppo.

“Come hai fatto a scoprirmi?” domandò, con un filo di voce.

“Angus è corso al castello per avvertirci.”

Giuditta annuì amaramente: “Ecco perché ci ha messo tanto, quel disgraziato... miserabile vigliacco!!”

“Non essere così severa con lui” obiettò Arthur Granchester, il primogenito del Duca “ti conosce fin da bambina e voleva solo impedirti di commettere una sciocchezza!”

“O piuttosto non voleva incorrere nelle ire di nostro padre…!” rettificò Giuditta, con marcato scetticismo.

“Anche, forse” specificò il giovane “comunque rassicurati: nostro padre non sa ancora nulla. Angus ha avvertito solo me.”

“Perciò provvederai tu a tradirmi, non è vero?” gli chiese la sorella, lanciandogli uno sguardo di fuoco.

“No… a patto che tu sia ragionevole.”

La fanciulla chiuse gli occhi, stringendo la mascella minuta: “Arthur, io non ti seguirò spontaneamente: dovrai usare la forza per costringermi a rientrare!”

Lui sospirò: “Se ti comporterai così, Giuditta, non riuscirò a coprirti con nostro padre!”

“Non me ne importa niente!!” gridò lei, spaventando il cavallo, che per poco non s’imbizzarrì. Dopo averne afferrato le redini e carezzatogli la testa per calmarlo, il giovane Granchester continuò: “Rifletti, sorella: vuoi davvero ripudiare la tua famiglia per correre dietro a quell’uomo?”

“Non sarei io a ripudiarvi” precisò Giuditta “sarebbe il Duca a ripudiare me!”

“E cos’altro potrebbe fare? Il casato dei Granchester ha ricevuto il titolo nobiliare dalla Corona Britannica: come potrebbe il capo del Clan consentire a imparentarsi con dei separatisti?”

“Taci” ribatté la fanciulla, con veemenza “non è forse per questo che i McGreason se ne vanno? Per non spaccare di più la Contea, dopo che quel maledetto gli ha messo contro la metà del popolo?!”

“Giuditta” la richiamò il fratello “stai parlando di nostro padre!!”

“Io non ho più un padre…!” dichiarò lei amaramente, abbassando il capo.

“Non parlare in questo modo: lo sai che ti ha sempre voluto bene.”

“È inutile che lo difendi, Arthur: non chiamerò più padre un uomo che antepone la politica alla propria figlia, impedendole di unirsi con l’uomo che ha scelto… costringendo anche una famiglia per bene ad emigrare in terra straniera!”

“È stata una loro scelta, Giuditta. Potevano limitarsi a cambiare Contea…”

“Il Duca non li avrebbe mai lasciati in pace, se rimanevano in Scozia. E adesso lasciami andare!”

“Non posso…!” rispose mestamente il giovane, scuotendo la testa.

Giuditta Grenchester comprese in quel momento che suo fratello non avrebbe mai ceduto. Era troppo legato a suo padre per consentirle di fargli perdere la faccia: se si fosse saputo che il Duca di Granchester si era fatto soffiare la figlia dal primogenito dei McGreason, non soltanto la Contea, ma la Scozia intera avrebbe riso di lui per decenni, trascinando nel fango il suo blasone. Ma ritornare al suo castello sarebbe stato per la giovane una vera e propria condanna all’infelicità perpetua.

Cosicché, l’ex pupilla del Duca decise di giocare la sua ultima carta: “Ti scongiuro, fratello mio” lo implorò, con voce piangente “lasciamelo almeno salutare per l’ultima volta...!”

Arthur Granchester guardò la sorella minore, il cui dolce visino si stava riempiendo di lacrime. Contemplò quelle piccole gote, che da bambino aveva tante volte baciato dopo le loro felici corse per la brughiera e non resistette più…

“E sia” sentenziò traendo di tasca il suo orologio “affrettiamoci, allora: se non ricordo male, la nave salpa alle undici!”

 

***

Ormeggiata lungo la banchina principale del porto di Glasgow, la Queen of Caledonia si lasciava cullare pigramente dalle onde in attesa di prendere il largo, mentre l’equipaggio si affrettava a ultimare il carico. Presso la murata di dritta, un giovane di circa diciott’anni se ne stava appoggiato al parapetto osservando malinconico gli edifici scuri della grande città, che già contendeva alla meridionale Liverpool il ruolo di primo scalo britannico per i traffici con le Americhe. Ciò che però il ragazzo sembrava osservare più attentamente erano le strade che convergevano sulla gittata, come se aspettasse qualcuno che doveva anche lui imbarcarsi su quella stessa nave.

All’improvviso trasalì, sentendo una mano appoggiarsi sulla spalla: “Tutto bene, figliolo…?”

Il giovane si girò per guardare il volto dell’uomo più anziano: “Certo, padre. E voi come vi sentite?”

Robert McGreason sospirò pesantemente: “Come può sentirsi un uomo costretto a lasciare per sempre la terra natia. Ma le avversità rendono i giusti più forti, Daniel.”

“Già, quando non li annientano!” replicò il figlio, tornando a voltarsi verso la banchina.

Suo padre gli strinse la spalla con più energia: “Nessuno ci annienterà, ragazzo mio. Tu, tua madre e io stesso, siamo persone forti e risolute. Ricominceremo da capo e nel Nuovo Mondo troveremo quello che la Scozia non ha voluto concederci: la pace e la libertà!”

“Speriamolo” commentò il giovane Daniel “ma trovo ingiusto che siano i miti a doversene andare, anziché i prepotenti!”

“La giustizia è merce rara su questa terra, figliolo” ribatté il genitore “a volte bisogna sacrificarsi per evitare un danno peggiore, di cui la coscienza ci chiederebbe eternamente conto.”

“Questo è vero” ammise il ragazzo “non potevamo permettere che l’intera regione continuasse a vivere nel disordine per i contrasti fra i nostri fiancheggiatori e quelli del Duca… ma non sopporto il pensiero di avergli dato partita vinta!”

“Col tempo le cose si aggiusteranno. Un giorno il giovane Arthur prenderà il posto del padre e saprà governare quella terra con lungimiranza ed onestà.”

“Vorrei crederlo…!” rispose Daniel, con una smorfia diffidente.

“Tuttavia” aggiunse il padre, riposandogli la mano sulla spalla “non è solo questo che ti tormenta, nevvero?”

Il ragazzo lo guardò bene in viso: “Ti sbagli, padre” ripose, con voce quasi atona “è soltanto questo…!”

“D’accordo” sospirò l’altro “io torno da tua madre. L’aria del mattino non fa bene ai miei reumatismi.”

“A più tardi, allora…”

Dando un’ultima pacca alla schiena del figlio, Robert McGreason rientrò sottocoperta. Naturalmente non aveva creduto affatto alle parole del suo unico erede e non certo perché lui difettasse in sincerità. In effetti conosceva bene i sentimenti che albergavano nel cuore del figlio, ma non voleva spargere ulteriore sale sulle ferite del suo cuore tormentato.

***

“Più presto, Arthur… più presto!!”

“Stai calma, Giuditta” rispose il giovane Granchester, incitando il cavallo “fra poco ci siamo.”

“Se l’alta marea è in anticipo, anche la nave salperà prima… e non potrò più rivederlo!!”

“Fidati di me… stiamo già raggiungendo i sobborghi.”

Il carro che l’oste di Pitcairngreen aveva procurato loro filava a rotta di collo lungo la strada maestra, con grande spavento dei rari viandanti e la meraviglia dei contadini. La secondogenita del Duca si straziava nello sforzo di non mostrarsi troppo spasmodica, ma le lancette del suo orologio, che ruotavano implacabili sul quadrante, la pungolavano senza pietà. Finalmente il veicolo fece il suo ingresso in città e, dopo avere attraversato i quartieri principali, raggiunse la calata del porto. Purtroppo, mentre si avvicinavano alla banchina, poterono vedere la Queen of Caledonia che già stava mollando gli ormeggi, mentre la passerella veniva ritirata.

“Oh, Signore… è troppo tardi!!” gridò con angoscia la povera Giuditta.

“Mi dispiace veramente, sorella…!” si rammaricò il giovane Arthur.

Ma la ragazza non se ne dette per intesa e, dopo essere saltata giù dal carro, corse velocemente verso il molo, gridando a squarciagola il nome del suo amato: “Daniel…!!! Daniel…!!!”

Il fratello maggiore, affrettatosi a raggiungerla, poté scorgere anche lui la figura d’un uomo che, richiamato dalle grida assieme ad altri passeggeri, era rimasto pietrificato dalla sorpresa… o forse dalla gioia per l’avverarsi d’una segreta speranza.

“Giuditta…!” mormorò il giovane McGreason, con un filo di voce.

Ma se non furono le orecchie, fu il cuore della fanciulla a percepire chiaramente quel nome e le braccia della figlia dei Grenchester si tesero verso quel crudele veliero che le stava rubando il suo promesso: “Ti amo, Daniel… ti amo!!!” gridò, con tutte le sue forze.

“Anch’io, Giuditta…” gridò lui, di rimando, a pieni polmoni “…non lasciarmi… non lasciarmi, ti scongiuro…!!”

Il giovane McGreason sapeva bene quanto fosse irrazionale quella supplica, ma forse un inconscio presentimento l’aveva spinto a precedere l’identica implorazione che gli avrebbe rivolto la sua Giuditta e che lui non avrebbe potuto pragmaticamente soddisfare.[6]

“Daniel…” gridò ancora la ragazza, scossa dai singhiozzi “…Daniel…!!”

Arthur Granchester abbassò il capo, incapace di reggere la scena. Poche volte, nella sua vita, si era sentito combattuto in quel modo, ma la propria responsabilità di erede del Casato gli pesava maggiormente della paura di suo padre…

Un improvviso sciacquio lo riscosse dai suoi cupi pensieri e subito dopo si ritrovò stupito a fissare la sorella che, dopo essersi tuffata, stava nuotando a vigorose bracciate verso la nave, dalla cui tolda un intenso vociare s’era subito levato a commentare quell’evento inaspettato.

“Giuditta…!!!” gridarono all’unisono il figlio dei Grenchester e quello dei McGreason.

Per fortuna la brezza non era molto forte e così la velocità con la quale la Queen of Caledonia si stava allontanando dal porto. Quell’intrepida figlia delle Highlands poté quindi raggiungere e afferrare la scaletta di corda che i marinai si erano affrettati a rilasciare.

Non appena la bella Giuditta arrivò sul ponte coi biondi capelli grondanti e le piccole gote più rubiconde che mai, Daniel McGreason se l’afferrò stretta al petto, per poi baciarla sulla bocca con passione irrefrenabile, incurante (o forse stimolato) da tutti quei fischi, le grida e gli applausi della piccola folla che li circondava.

I due giovani sarebbero rimasti per ore a guardarsi negli occhi senza fare null’altro, se una voce autorevole e falsamente severa, non li avesse richiamati all’ordine: “Mi perdoni, milady…”

Accortisi di avere di fronte il capitano della nave, i due ragazzi cercarono di ridarsi un contegno, sconvolti dall’imbarazzo. L’uomo continuò però a parlare come se nulla fosse: “…ritengo doveroso da parte mia farvi presente che il nostro primo scalo è Boston!”

“Che coincidenza: è proprio là che dovevo andare!” ribatté la giovane candidamente e Daniel le sorrise di rimando.

“Capisco” proseguì il comandante “e naturalmente garantite voi per la signora. Dico bene, sir?” chiese poi direttamente al giovane.

“Naturalmente, capitano. Potete stare tranquillo.”

“Molto bene” questi borbottò con dignità “in tal caso, vi auguro buon viaggio!”

“Un momento, comandante” lo fermò McGreason “avrei da chiedervi una cortesia…”

“Dite pure, giovanotto.”

“Avreste tempo per un matrimonio…?”

Il fiero lupo di mare, che già si aspettava una tale domanda, rispose con pacatezza: “Beh, penso proprio di sì… datemi solo una mezz’oretta, quindi trovatevi nel quadrato.”

“Ci saremo, comandante!” rispose la bella Giuditta.

I due fidanzati tornarono a fissarsi e Daniel fu il primo a parlare: “Mi dispiace, tesoro: non ho un anello, qui con me…”

“Oh, Daniel… cosa vuoi mai che me ne importi?”

“Ma importa a me. Prendi questo, figlio mio” disse una donna dalle fattezze ancor piacenti, porgendo al ragazzo la sua vera nuziale “era di mia madre. Sarei felice se anche mia nuora lo portasse!”

“Grazie, madre!”

“Anche da parte mia, lady McGreason!” aggiunse Giuditta, con un inchino.

“Signora Greason, prego” la corresse il marito “il Mac lo lasceremo in mezzo all’oceano. Da oggi comincia una nuova vita: avremo un nuovo nome e una nuova Patria!”

“Hai ragione, marito mio” rispose la consorte “se la Scozia ci ha voltato le spalle, di certo l’America ci sorriderà. Dio vi benedica, ragazzi!”

E così, mentre la Queen of Caledonia veleggiava verso la terra promessa, sul molo della vecchia Glasgow il futuro Duca di Granchester pronunciò il suo triste addio, certo anche lui che il cuore della cara sorella lo avrebbe potuto sentire: “Sii felice, mia piccola Giuditta… forse, un giorno, le nostre famiglie potranno incontrarsi di nuovo.”

 

***

Inghilterra, Contea dell’East Sussex, Aprile 1944…

“Certo che il mondo è veramente piccolo…!” commentò sbalordita una giovane bionda, assai simile alla fiera Giuditta dei bei tempi andati, seduta al tavolo di un pub nel centro di Newhaven.

“Già…!” ribatté l’uomo di fronte a lei, con un sorriso leggermente beffardo sulle labbra.

“Adesso capisco perché, nel vedervi insieme, avvertivo sempre una certa rassomiglianza fra di voi… almeno in alcuni atteggiamenti!”

“Parli forse dell’approccio con l’altro sesso?” domandò Terence, marcando sull’accento ironico.

“Per l’appunto…!” confermò Candy, socchiudendo gli occhi.

L’attuale erede dei Granchester ridacchiò: “Beh, come si suol dire… buon sangue non mente!”

“Sbruffone! Tu e lui” sentenziò la bella infermiera “però la storia di quei giovani è davvero romantica: non ricorda quella di Romeo e Giulietta?”

“Direi di sì… con la variante, però, del lieto fine.”

“Hai ragione… e questo mi fa capire quanto tu sentissi quella storia!”

“È probabile” ammise l’attore “però, se devo essere sincero, non erano Giuditta e Daniel il mio preciso punto di riferimento…”

“E allora chi?” s’incuriosì la giovane.

Noi due, mia bella zuccona!”

Zuccona?! Ma come ti perm….” ma la bionda non riuscì a terminare, perché, alla vista di quella faccia serafica, scoppiò a ridere anche lei.

Dopodiché, per concludere degnamente quella conversazione rivelatrice, i due si avvicinarono, abbracciandosi e si scambiarono un dolcissimo bacio d’amore…



[1] “Sarebbe terribile se mio marito finisse in sala operatoria. Ma sarebbe ancora peggio se io non potessi essergli accanto!” aveva detto Flanny, più volte.

[2] Vedi capitolo 7.

[3] Douglas Bader (1910-1982), asso della RAF che, pur avendo perduto entrambi gli arti inferiori in un incidente, riuscì a riabilitarsi come pilota da caccia grazie all’impiego di due gambe artificiali.

[4] Allude a quando l’aveva “scacciato” dall’ospedale Santa Johanna di Chicago impedendogli così d’incontrarsi con Candy.

[5] Purtroppo per Terry, la famosa flemma britannica non funziona con le americane (come sa bene anche Andy)!

[6] Se anche Daniel McGreason fosse rimasto in Scozia, ben difficilmente i due giovani avrebbero potuto coronare il loro sogno, a causa dell’incombente presenza dal Duca.

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Capitolo 23
*** Redde Rationem ***


Capitolo 9: Chi non muore si rivede

Capitolo 23: Redde Rationem

 

UCPFH 23

 

 

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agle Two a Eagle One… Eagle Two a Eagle One… Andy…!! Andy…!! Mi  senti…?” urlava disperata la voce di James Stone “Cabra! Stai scendendo troppo!! Cabra…!!!”

“Sto provando, Jimmy” rispondeva convulso il compagno “ho preso troppa velocità… non ci riesco!!”

L’avvisatore acustico che entrava in funzione quando l’anemometro superava le 500 miglia orarie[1] stava trapanando i timpani del pilota, mentre le pupille si alternavano dal cruscotto (dove l’altimetro retrocedeva vorticosamente) al parabrezza, che mostrava l’avvicinarsi del terreno a gran velocità.

“Andy, per amor di Cristo!! Fra un po’ ti schianterai! Richiama quell’aereo… richiamalo…!!”

“Non ce la faccio… la barra è di piombo!!”

“Aziona il trim… estrai gli aerofreni… fa’ qualcosa…!!” insisteva disperatamente il suo secondo.

“È inutile… sono entrato in compressione. È finita…!!”

“Andy, non mollare… non devi… tirati su…!!”

*Non posso!! Non  si muove… è finita!! Flanny…!!!*

“Andy… mi senti…? Andy!!”

“Flanny… dove sei…? Flanny…!”

“Andy… tesoro… mi senti…?”

“Flanny… aiutami… Flanny…!!”

“Sono qui, amore… sono qui!!”

Il paziente spalancò gli occhi e cessò lentamente di agitarsi, mentre una mano amorevole gli asciugava la fronte madida di sudore. Il cervello mise pian piano a fuoco il bel viso della sua compagna e un pallido sorriso incurvò leggermente la bocca dell’asso.

“Tranquillo, tesoro: stavi solo sognando” lo tranquillizzò l’infermiera con voce rotta “come stai…?”

Il ferito respirò con voluttà: “Sto sempre meglio, quando ti vedo…!”

“Anch’io, amore mio!!” replicò Flanny con voce piangente mentre gli buttava le braccia al collo. I singhiozzi successivi della moglie strinsero il cuore di Andy, che le accarezzò faticosamente la schiena col braccio sinistro. Si sentiva estremamente debole, senz’altro per opera degli anestetici.

Vagando per la stanza, il suo sguardo incontrò quello di Candy, ferma immobile presso il trespolo della flebo, che lo fissava piuttosto intensamente. Le sorrise, grato per essere rimasta vicino alla sua Flanny, ma la giovane non ricambiò. Cogliendo come un muto rimprovero in quell’atteggiamento, l’aviatore sospirò fortemente: “Perdonami se ti faccio soffrire…!” disse alla moglie.

La mora scosse la testa: “L’importante è che tu sia vivo!” rispose poi, fra un singulto e l’altro.

“E intero” aggiunse la buona Candy “spero ci racconterai cos’hai combinato, razza di scapestrato che non sei altro!”

La collega si voltò mostrando una faccia perplessa e divertita e Candy abbassò gli occhi, imbarazzata: “Scusa, Flanny… lo sai quanto gli sono affezionata!”

“Bada che Romeo s’ingelosisce, eh?” saltò su Andy, lieto di cogliere il diversivo “Non credo d’essere in condizione per ricevere un altro dei suoi cazzotti!”

“Sciocco…!” rispose la bionda, distogliendo la faccia arrossita.           

In quell’istante la porta si aprì e il primario dell’ospedale si avvicinò al letto del degente, tenendo in mano una cartella clinica.

“Buongiorno, generale. Come si sente?”

L’interpellato, fatta un’ultima carezza alla moglie, alzò il pollice verso il medico: “Splendidamente. La ringrazio per avermi ricucito, doc!”

Candy alzò gli occhi al cielo, esasperata da quell’ottimismo incosciente. A quanto pareva, per lo sconsiderato pilota, l’incidente capitatogli era già un discorso chiuso.

“Sono lieto di trovarla in condizioni di spirito così buone” annuì il medico “le sarà più facile sentire quanto sto per dirle…”

Avvertendo un discreto formicolio allo stomaco, l’asso si sforzò di mantenere la sua nonchalance: “Non avrà mica l’intenzione di mettermi a terra, doc?! Ho visto colleghi tornare su dopo aver ricevuto ferite peggiori delle mie e…”

“Generale” lo interruppe  bruscamente l’altro “non le interessa prima sapere se e quando potrà ancora camminare?”

Andy si gelò, fissando la consorte con sguardo smarrito. Flanny teneva gli occhi bassi, senza manifestare alcun segno di panico. Certamente dovevano essersi già consultati.

“Santo cielo” mormorò l’asso, tornando a guardare il dottore “è così grave…?”

“Insomma, Andy” saltò su l’infermiera codinata, ostentando due pugni sui fianchi “lo sai che con tutte le schegge che ti abbiamo estratto dalle gambe ci si potrebbe ricostruire il tuo aeroplano? Pensi proprio di cavartela con qualche giorno di riposo?”

“Beh, non dico questo, ma…” Andy cercò di non pensare alla notizia appresa dal generale Spaatz, quando lo aveva convocato per quella missione maledetta: ovvero che, di lì a quaranta giorni, sarebbe arrivato il D Day.[2] Raccolse tutto il sangue freddo e la maturità impostigli dal grado e tornò a rivolgersi a Waxman: “Okay, doc…” sospirò “…sputi tutto!”

“Ci sono diversi legamenti da ripristinare e alcuni nervi motori offesi” rispose lui, in tono pacato “occorrerà un certo periodo terapeutico per ristabilire totalmente le facoltà muscolari. In quanto al volo…” sospirò a sua volta “…questa è una decisione che spetterà ai suoi superiori diretti!”

Andy si lasciò scappare un gemito. Era già un privilegio che al comandante in capo d’una Forza Aerea venisse consentito di partecipare alle operazioni. Finora Spaatz, Arnold e Marshall glielo avevano permesso ben sapendo che nessun pilota crucco sarebbe riuscito a sbatterlo di sotto, ma quant’era successo stavolta li avrebbe probabilmente indotti a ritornare sulla loro decisione; specialmente se avessero saputo della sua performance sul cielo di Eiserfeld!

Sentendosi stringere la mano dalla moglie, l’asso si riscosse dai suoi pensieri. Guardò il dolce viso di Flanny e si perse un momento nei suoi stupendi occhi scuri.

“Potreste lasciarci un po’ da soli, per favore?” mormorò poi.

“Ma certo” approvò Waxman “venga, miss White.”

“Sì, dottore…”

Mentre uscivano Candy non poté non voltarsi a guardare preoccupata la collega, che la ricambiò con un mesto sorriso di riconoscenza.

 

***

Il giorno precedente, sul cielo delle Fiandre…

Il piccolo Jimmy, figlio adottivo del signor Curtright, l’ormai anziano allevatore del Michigan, stringeva convulsamente il volantino della barra di comando. Non si era mai sentito così a disagio come in quel momento, da quando gli avevano appuntato le ali d’ottone sulla giacca dell’uniforme. Quale meravigliosa fierezza aveva provato, in quell’istante… finalmente aveva realizzato il suo sogno: era diventato un soldato. E un pilota, per di più!

Nonostante la preoccupazione del suo tutore, l’angoscia delle sue “tate” Miss Pony e Suor Maria e soprattutto la decisa contrarietà del suo “capo”, l’immaturo adolescente da lei schiaffeggiato alla fine di quel dannato giorno per punirlo della propria “supponenza”, era riuscito a raggiungere il suo scopo.

Tutto grazie a quell’aerodromo che, non molto tempo prima, avevano piazzato al confine della tenuta del padre. La strada per andare in città scorreva giusto parallela al recinto del campo di volo e il nostro giovanotto aveva cominciato ad arrestare il cavallo per assistere ai decolli e agli atterraggi dei piccoli aerei postali e dei più grossi cargo per le merci. Più avanti aveva preso a scambiare quattro chiacchiere con piloti e meccanici, finché, durante un giorno di libertà, era riuscito a farsi “ospitare” a bordo di un Cessna Bobcat che doveva effettuare un volo fino a Milwaukee e ritorno. La cosa lo aveva talmente entusiasmato che per giorni non aveva parlato d’altro al suo genitore adottivo e ai suoi stessi aiutanti.

Recatosi tempo dopo nella città vicina per acquistare delle attrezzature, vi aveva incontrato Tom, anche lui adottato anzitempo dal ranchero Taddeus Steeve, i cui pascoli confinavano con quelli di Joshua Curtright. Gli euforici racconti del vicino avevano contagiato anche il “fratello maggiore” di Candy, spingendolo a bazzicare anche lui i dintorni dell’aeroporto, per ripetere infine la stessa esperienza del giovane “collega”.

Come si sa, una cosa tira l’altra e, durante le loro occasionali visite, anche gli orfanelli di Miss Pony avevano potuto ascoltare dai due più cresciuti compagni quanto fosse meraviglioso volare sulle loro bellissime vallate e sull’altrettanto stupendo Lago Michigan. I piccoli avevano bevuto avidamente quei racconti e desiderato con ardore di salire anche loro fin sopra le nuvole. Cosicché, mossi dalla loro generosità e spronati dai due rispettivi figliocci, i signori Steeve e Curtright avevano finito per regalare ai ragazzi della Casa di Pony un volo turistico sopra la Contea. Anche Suor Maria era stata felicemente della partita, mentre la buona Miss Pony aveva cortesemente declinato l’invito!

Quando poi era scoppiata la guerra, il piccolo Jimmy non ce l’aveva fatta più. Che Candy lo prendesse pure a schiaffi quanto voleva: lui avrebbe difeso la Patria dai gialli e dai crauti senza più sentire ragioni, specialmente se questo significava entrare in aviazione. Lo stesso Tom ne aveva seguito l’esempio e i poveri Taddeus Steeve e Joshua Curtright si erano dovuti infine rassegnare: stavolta la “vice-direttrice” della Casa di Pony non era lì per dar loro manforte!

Morale, un grigio mattino di Gennaio del 1942, i due giovani cow-boy avevano preso il treno per Dayton, nell’Ohio, diretti al primo Centro di Addestramento per il Corpo Aereo dell’Esercito. Manco a dirlo, ad accompagnarli erano anche l’imberbe John Smith (dal cognome assegnatogli d’ufficio) e il “ribelle” Bob Malone, con i quali Tom e Jimmy si erano sempre tenuti in contatto anche dopo la licenza degli amici dall’orfanotrofio.

“Quando Candy lo verrà a sapere, saranno dolori, capo!” così John aveva espresso il suo pensiero, proprio sul treno che li portava a Dayton. Jimmy aveva fatto spallucce.

E ora eccoli tutti lì, a bordo di quel bombardiere dedicato alla loro eroina, tanto amata quanto temuta: chi non avesse avuto a che fare con lei non avrebbe potuto comprendere il singolare episodio seguito all’arrivo del Fox 815 al campo di Lafayette.

Il tenente Curtright non avrebbe sopportato di vedersi trattare ancora come un moccioso, soprattutto davanti ai nuovi compagni che non provenivano dalla Casa di Pony. Cosa avrebbero pensato Sammy Carson, Tony Chaklies, Gilbert Evans e Cookie Laffey del loro secondo pilota? Per non parlare del “duro” Charlie Boyle!

E il comandante? Beh, forse lui avrebbe capito… ma, per fortuna, né Neal né tutti i sopraddetti avevano potuto assistere all’episodio di quel giorno, dopo che Jimmy aveva colpevolmente fatto imbizzarrire quella mandria davanti al loro ranch, sparando uno sconsiderato colpo di fucile con lo scopo di “preparare alla guerra” l’intera compagine maschile dell’orfanotrofio!

Dopo averlo schiaffeggiato per la sua immaturità, l’energica Candy lo aveva trascinato fino a un punto dove avevano potuto contemplare il macabro spettacolo offerto da decine di manzi stecchiti, dopo essere precipitati in un dirupo, alla fine della loro folle carica.

Immagina che quelle povere bestie siano dei soldati, Jimmy” gli aveva detto la ragazza “uno spettacolo come questo è all’ordine del giorno sui campi di battaglia!

Allo sconvolto ragazzino non era rimasto che precipitarsi a singhiozzare nel seno di Candy e, per quella volta, i suoi inopportuni sogni di gloria erano finiti lì. Ma, tempo dopo, aveva avuto la sua avventura aerea e le cose si erano evolute come raccontato.[3]

Il Candy Candy sobbalzò leggermente… non era stato un vuoto d’aria, ma il trasalimento del co-pilota al ricordo di quegli avvenimenti lontani.

“Ehi, Jimmy, che ti prende?!” protestò il sergente Steeve, quasi sbalzato dal sedile.

“Scusa, Tommy… ero soprappensiero!”

“Cerca di stare lucido almeno tu o saranno guai! Come va il capo?”

L’altro diede un’occhiata fugace verso il posto di sinistra. Il primo pilota era ancora accasciato sul suo seggiolino, col capo inclinato verso l’alto, la bocca semiaperta e gli occhi chiusi. Stille di freddo sudore gli scorrevano lungo la fronte.

“Sembra si sia addormentato. Meglio per lui” commentò il suo secondo “spero non ne faccia una tragedia!”

“Sarà dura, se il generale ci ha rimesso le penne!” commentò il compagno.

“Sta’ zitto, non ci voglio nemmeno pensare” ribatté con veemenza il tenente “ho paura che, in questo caso, Candy non glielo perdonerebbe mai!”

Tom sospirò, non avendo il coraggio di fargli notare che se il marito di Flanny fosse davvero trapassato, la stessa sua collega non avrebbe perdonato facilmente nessun membro del loro equipaggio!

*Se pesco quell’idiota di armiere che non ha aggiustato quella pinza…* pensò, con stizza.

“Nemici a ore sette…!!” urlò una voce nell’interfono.

“Dannazione, ancora?!” sussultò il sergente Steeve, facendo ruotare subito la sua torretta dorsale.

“Li vedo, sono quattro Messerschmitt!!” gridò ancora un’altra voce, quella di Bob.

Tutti gli aviatori, che stavano già iniziando a rilassarsi per la prossima vicinanza della costa belga, tornarono subito in pieno allarme e i mitraglieri, scuotendosi il torpore di dosso, puntarono frenetici lo sguardo verso la direzione in cui la minaccia veniva segnalata, cercando di non badare al pizzicore che avvertivano negli occhi.

Malauguratamente, dopo l’abbattimento del Chow Hourd di Robert Gerryson e della Little Audrey di Charlie Boman, la formazione, pur compattatasi, era meno consistente rispetto all’andata e ben 26 mitragliatrici mancavano all’appello per la difesa. La schwarm di 109 in arrivo si divise all’istante in due rotte:[4] una  puntò sulla pattuglia del maggiore Connelly e del capitano Halverstrone, privi del loro gregario, mentre l’altra sfrecciò dritta sull’aereo dei nostri eroi. Ben presto lo sgranare delle raffiche si confuse al rombo dei motori e sinistri rumori metallici annunciarono l’apertura degli squarci nella fusoliera, ad opera dei proiettili da 30 dei micidiali cannoncini Rehinmetall sparanti attraverso l’ogiva dell’elica.

Un urlo straziante, proveniente dalla postazione laterale sinistra, lacerò i timpani di tutto l’equipaggio del Candy Candy

“Johnny…!! Johnny, sei ferito?!” domandò subito dopo la voce tesa di Sammy, dalla postazione di destra, senza però ottenere risposta.

Il comandante, svegliato di soprassalto dall’azione nemica, stava cercando faticosamente di rientrare nel pieno delle sue facoltà. A quelle ultime grida si destò del tutto e, dopo essersi ripetutamente sfregato il volto, si premette il laringofono sul collo: “Pilota a mitraglieri centrali: che succede là dietro?”

“Smith è stato colpito, comandante!” rispose immediatamente il sergente Carson.

Legan impallidì, guardando ansiosamente il co-pilota: “Ma è grave…?” chiese ancora.

“Credo di no” rispose Sam, con tono non troppo sicuro “ma sta perdendo sangue!”

Neal imprecò, slacciandosi la cintura di sicurezza: “Tieni i comandi, Jimmy: vado a vedere!”

“Ok…!” si limitò ad annuire l’altro, senza far notare al comandante l’imprudenza della cosa.[5]

Scosso da un’improvvisa e ritrovata vitalità, il capitano Legan si trascinò oltre la stiva bombe e la cabina radio (dove l’ex strillone Gil era inchiodato alla sua Browning sgranando proiettili contro gli intercettori) per giungere infine nel compartimento centrale, dove un premuroso Sammy stava cercando di prestare soccorso al compagno ferito.

“Torna alla tua mitragliatrice” gli ordinò Neal “a lui penso io!”

“Sì, signore.” obbedì il mitragliere.

“Sto bene, comandante” intervenne il ferito, cercando faticosamente di rialzarsi “posso ancora sparare…”

“Può darsi” lo fermò Legan, perentorio “ma prima fatti fasciare.”

Afferrata una cassetta di pronto soccorso, aiutò il mitragliere a togliersi il giaccone imbottito, per poi esaminare la ferita e constatare che, grazie al Cielo, si trattava solo di qualche colpo di striscio al braccio destro. Sforzandosi di ricordare le nozioni teoriche che le infermiere del St.Mary[6] avevano impartito al campo (purtroppo la vista di Candy non gli aveva consentito la massima concentrazione), Neal disinfettò la parte lesa con polvere sulfamidica e applicò la fasciatura meglio che poté, mentre Tommy, dalla torretta superiore, si prodigava a difendere la direzione che il povero Baby-Joe aveva suo malgrado lasciato scoperta.

Quest’ultimo apprezzò volentieri lo zelo del comandante nel prestargli le sue cure, ben lieto di non riconoscere più il fratellaccio di quella strega che aveva trattato in passato la sua “sorellona” alla stregua d’una serva, invece di accettarla quantomeno come amica.

“Grazie, capitano” mormorò, quando ebbe finito “e mi scusi per quello che ho detto dopo avere abbattuto quel caccia…”[7]

“Non pensarci più.” rispose Legan, dandogli un buffetto sulla guancia per tornare poi verso prua. Al di fuori s’era intanto scatenato un mezzo inferno, quasi che i tedeschi volessero vendicarsi per l’ottimo colpo messo a segno dagli yankee sul bersaglio e la formazione del 22° Gruppo, ridotta a dieci Fortezze, risentiva sensibilmente del minor volume di fuoco che poteva opporre al nemico.

Il povero piccolo Jimmy, rimasto ancora solo al comando del Candy Candy, si sforzava enormemente di vincere la tensione del pericolo, mentre le grida dei compagni gli colpivano i timpani coi loro reciproci richiami d’avvertimento che arrivavano nella cuffia.

Al di là del parabrezza, oltre ai caccia avversari che sfrecciavano attorno ai bombardieri e le temibili scie dei traccianti, al tenente Curtright pareva di vedere, stagliato sulle nuvole, il volto corrucciato del suo superiore precedente, e - quel che era peggio - la sua mente poteva percepirne la seguente maternale: Ora sei contento, Jimmy, di essere diventato un soldato? Sei fiero di te? Ti stai divertendo? Il tuo ego di maschio si sente realizzato?!

“Piantala, Candy” imprecò l’aviatore a bassa voce, neanche potesse parlarle direttamente “la prossima volta che ci vediamo, sculacciami a braghe calate davanti a tutti, se credi… ma ora smettila, perdio!!”[8]

Si riscosse al rumore del suo attuale comandante nel rientrare in cabina. Dopo essersi seduto e avere riallacciato la cintura, Neal si passò una mano sui capelli rossi. Il suo volto pareva abbastanza rasserenato.

“Come sta Johnny?” chiese subito il secondo.

“È ferito, ma non è grave… l’ho medicato.”

“Gra… bene!” si corresse Jim. E il compagno fu lieto di questo.[9]

“Dice che può ancora sparare, ma gli ho ordinato di starsene al riparo. Basteranno Tommy e Gilbert a coprirci.”

Per fortuna non ce ne sarebbe stato più bisogno. La pattuglia tedesca, ormai a corto di carburante, dovette desistere per rientrare alla base e i superstiti dell’attacco poterono affrontare, in piena tranquillità, l’ultima parte del volo di rientro.  

“D’accordo” approvò quindi il co-pilota “vuoi riprendere i comandi?”

“Va bene…” rispose Neal, impugnando il volantino “…anche se penso che la faresti più contenta se guidassi sempre tu questo gingillo!”

Ma Jimmy gli sorrise: “Da oggi in poi, credo di no, vecchio mio…”

***

Dopo un ultimo tratto di volo senza storia, il Fox 815, nominativo Vulture 11, posò finalmente le ruote sulla pista n° 3 del campo di Lafayette, quella base che il comandante della Forza Aerea aveva voluto battezzare in memoria del famoso generale e politico francese che tanto aveva contribuito alla causa della libertà americana, anche come auspicio per il compito assegnato alla sua organizzazione, che doveva fornire l’apporto alla liberazione della stessa Francia, nazione considerata “sorella” da gran parte del popolo statunitense.[10]

Dopo che Neal ebbe tirato i freni di parcheggio e Jimmy tolto il contatto ai motori, tutti i componenti dell’equipaggio scesero lentamente dal velivolo, ritornato fortunatamente senza nessun danno troppo serio. Tanto che Charlie, uscito dalla botola anteriore, si permise di carezzare “affettuosamente” il posteriore della pin-up dipinta sul muso…

“Grazie di averci protetto, bambola!” disse, lieto che il suo amico Terence non potesse vederlo, ché altrimenti gli avrebbe rifilato di certo uno sganassone.

Dal vano bombe, tuttora aperto, sbucarono fuori Tom e Gil, mentre dal portello verso coda usciva Tony, seguito da Sammy e Bob che reggevano premurosamente Baby-Jo, col braccio destro appeso al collo.

“Scommetto che ti sei fatto beccare apposta per farti curare dalla tua sorellona” lo provocò il suo compare “di’ la verità…!”

“Per poi farmi sculacciare come un moccioso? Non ci tengo proprio!”

“Allora miravi alla Purple Heart.[11]

“Quella te la procuro io, se non chiudi la ciabatta!” ribatté Johnny, seccato.

“Ad ogni modo è andata bene” commentò Sammy, guardandosi attorno “la nostra madrina non è qui per tirarci le orecchie!”

“Non mi meraviglio” replicò Tony “all’ospedale St.Mary saranno già in piena attività, specialmente per quelli della caccia.”

“Che allegria…!” borbottò l’ex becchino della Casa di Pony.[12]

Mentre i due mitraglieri scortavano il compagno ferito all’ambulatorio della base, i restanti sette membri dell’equipaggio si diressero alla baracca riservata ai de-briefing.

Quando fu il loro turno di accostarsi al tavolino dove il capitano Ferguson, affiancato dal maggiore Dumfryes, ascoltava il resoconto dei vari equipaggi tornati dalla missione, il capitano Legan barcollò leggermente e il suo secondo, Curtright, fu pronto a stringergli forte la spalla. Nonostante tutto il comandante del Candy Candy riuscì a fare il suo rapporto con voce calma e chiara, anche se gli fuoriuscì un po’ tremula nel riferire l’incidente della bomba. Contrariamente ai suoi timori, non ci furono però reazioni particolarmente negative da parte dei due ufficiali. Dopotutto la responsabilità del malfunzionamento nella pinza di attacco non era certamente sua, poiché dal controllo pre-volo era escluso il compartimento bombe, competenza esclusiva del personale di terra.

“Bene, comandante. Potete andare.” annunciò finalmente Ferguson, dopo aver fatto qualche altra domanda ad alcuni dei suoi sottoposti.

Il maggiore Dumfryes annuì e Neal, piuttosto sollevato, salutò militarmente iniziando a dirigersi coi compagni verso gli alloggi del campo. Non era comunque per nulla sereno, privo com’era di notizie sul suo generale e camminava a testa bassa, fissandosi le scarpe…

“Un momento, Legan!” una voce autoritaria lo fermò e una scarica elettrica gli percorse la schiena alla vista di Richardson.

“Colonnello…?” balbettò, confuso.

“Ho un’informazione confidenziale per lei. Venga qui.”

“Sissignore…” rispose lui, con voce semispenta.

Come si trovò vicino al Group Leader, questi gli annunciò senza preamboli: “Il generale Greason è riuscito a rientrare a Grant Field.”

Per Neal fu come se gli avessero levato un macigno dallo stomaco.

“È incolume…?” chiese, ansiosamente.

“Purtroppo no, ma è stato subito ricoverato al St.Mary. Attendiamo tuttora notizie, anche se non dovrebbe essere troppo grave, stando al rapporto dell’ufficiale medico del 99° Caccia.”

“Dio sia ringraziato!” rispose il comandante del Delta-Fox, passandosi una mano sulla faccia per asciugare qualche probabile lacrima.

“Ora vada a mangiare un boccone, poi si faccia una bella doccia e una bella dormita. Domani, se vuole, potrà andare a visitarlo.”

“Ci conti, signore. Sono distrutto da quanto è successo!”

“Me lo immagino, ma non si pianga addosso più del dovuto. È stata una scelta sua quella di tuffarsi su quella bomba.”

“Già… ma è stato il mio aereo che l’ha fatta cadere!” commentò tristemente l’altro.

“In guerra incidenti del genere non sono infrequenti. E neppure in tempo di pace. Non lo sapeva?”

Gli batté due volte la mano sulla spalla e si allontanò, come fece subito anche Legan, per evitare che i suoi compagni si accorgessero dei suoi occhi ormai lucidi.

 

***

Il giorno dopo, all’ospedale St.Mary di Newhaven…

Nella camera a lui riservata, Andy Greason stava accarezzando dolcemente l’addome di Flanny col più bel sorriso che gli fosse mai stato visto sulle labbra.

“Dici che sarà una bambina?” domandò.

“Forse sì… non so perché, ma me lo sento!”

“O è solo il desiderio di ripristinare l’equilibrio in famiglia?” ridacchiò il marito.

La moglie si portò la mano sinistra sul fianco, essendo la destra impegnata ad accarezzare i capelli del compagno: “Possibile che tu non riesca ad essere più serio, anche quando non sei in servizio?!”

“Hai ragione, scusami! Bisognerà cominciare a pensare al nome…”

“Qualche idea?”

“Vediamo… potremmo chiamarla Mary.”

“Sì… come Marika, eh?!”[13] 

“Non scherzare tu, adesso… io pensavo al nome di mia madre. Quando hai detto che dovrebbe nascere?”

“Beh, facendo i debiti calcoli” Flanny conteggiò i mesi con le dita “il tempo dovrebbe scadermi a metà Dicembre.”

“Uhm… allora, se è una femmina, potremmo chiamarla Lucia.”

“Perché no?” replicò sorridendo la consorte “è un nome molto bello.”

“Ok, vada per Lucy… e tu che ne dici?” chiese poi l’asso, premendo delicatamente il grembo della moglie.

“Non pretenderai che ti risponda” obiettò lei “ha soltanto quaranta giorni!”

“Eh, chissà…” rispose lui, con tono giocoso, per poi mettersi a riflettere “…ma… secondo te, quando è successo?”

“Che te ne importa?” ribatté lei, accoccolandosi di fianco al marito e mettendo la guancia a contatto con la sua “È successo è basta!”

“Si capisce, ma… insomma, avevamo deciso di aspettare la fine della guerra per avere altri figli e… mi sembra che stessimo prendendo tutte le precauzioni per non…”

“Già… tranne quel pomeriggio del mese scorso, quando sei venuto a trovarmi in ospedale!”

“Come…?”

“Non ricordi? Mi sei piombato in ambulatorio mentre stavo sbrigando delle scartoffie per il dottor Waxman. Tremavi come una foglia e, come al solito, mi hai fatto venire un colpo: credevo che fossi ferito!”

Andy si portò la mano alla fronte, per poi annuire, cupo: “Non lo ero, ma ero terrorizzato. Tornavo da quella missione su Billancourt,[14] dove la flak ci aveva accolti con un muro di fuoco! M’era scoppiata una granata da 88 a meno di 200 yarde,[15] riducendomi un colabrodo l’ala destra e metà fusoliera. Non so ancora come ho fatto a rientrare…”

Flanny emise un gemito, stringendogli convulsamente il braccio. Lui continuò: “La prima cosa che volevo fare dopo atterrato era vederti, così mi sono precipitato al St.Mary…”

“Dove m’hai abbracciato così forte da stritolarmi e iniziando a stamparmi dei baci che quasi mi soffocavano” continuò lei “non la finivi più, tanto che ho dovuto trascinarti nel bagno, prima che dessimo spettacolo davanti a tutti!”

“Mi rincresce” si scusò Andy, imbarazzato “ma ti assicuro che non era una semplice astinenza…”

“Oh, lo so… una donna impara presto che la guerra non fa diventare gli uomini forti e decisi… ma li porta, quanto più combattono, a diventare dei bambini che vogliono essere consolati e vezzeggiati come cuccioletti[16]… comunque, adesso lo sai quando hai fatto il guaio!” concluse, con dolce malizia.

L’asso, che rifletteva sul concetto appena espresso dalla moglie, si riscosse a quelle ultime parole: “Ma cosa dici? Se saremmo stati là dentro sì e no dieci minuti!”

“E allora? È proprio in quel bagno, invece, che abbiamo prenotato il nuovo acquisto.”

In dieci minuti?!”

“Guarda che sono più che sufficienti, sai!”

Andy scosse il capo con sconcerto, mentre Flanny sospirava compiangendo che il marito fosse troppo ferrato in aerofisica e troppo poco in biologia. I due rimasero in silenzio per un po’, lei continuando a giocherellare coi suoi capelli, lui continuando a carezzarle l’addome.

“Flanny…”

“Mm?”

“Vuoi che smetta di volare?”

La donna trasalì. Tutto si sarebbe aspettata, tranne che il suo uomo le facesse quella terribile domanda. Chiuse gli occhi per un attimo e si prese un bel respiro: “Te lo ricordi cosa ci siamo detti la sera prima del nostro matrimonio?”

“Sì” sospirò lui, guardandola “però…”

“Ripetimelo.”

L’asso sospirò ancora: “Che nessuno di noi due avrebbe mai chiesto all’altro di rinunciare alla sua vocazione.”

“Bravo” rispose lei, baciandolo sulla testa “perciò una decisione simile la dovrai prendere per conto tuo. D’accordo?”

“Sì, cara…!”

“E ricordati che, qualunque sarà, io ti sosterrò sempre. Capito?” gli chiese ancora, tornando a stringergli forte la mano.

“Certo…” sussurrò Andy, commosso “…grazie mille, tesoro!”

“Non c’è di che…” disse lei, dandogli un buffetto sulla guancia. Per tutta risposta, l’uomo la tirò a se, baciandola sulla bocca con ardore. Flanny rispose con identico trasporto e, di lì a poco, i due stavano per perdere il controllo, quando venne provvidenzialmente bussato alla porta…

“A… avanti…!” rispose la donna, dopo essersi rimessa frettolosamente in piedi.

L’uscio si aprì, rivelando la figura di George Waxman: “Tutto bene, qui?” domandò, sorridendo, alla coppia.

“Ah… sì, certo, dottore!” ribatté Flanny, rossa in viso, rassettandosi l’uniforme.

“Come si sente, generale?”

“In piena forma, dottore” rispose il pilota “come potrebbe essere altrimenti, con un’infermiera come la mia?”

“Già, già” convenne Waxman, guardando divertito l’interessata, che gli faceva gli occhiacci “lei è un individuo fortunato, generale Greason, sotto molti aspetti. È disposto a ricevere una visita?”

“Sicuro. Di chi si tratta?”

A un cenno del medico, James Stone e John Bart Richardson entrarono nella stanza. Il capo di stato maggiore della Decima e il comandante del 22° Gruppo da Bombardamento si avvicinarono cautamente al capezzale del loro capo ed amico, sorridendo sollevati dal suo buon aspetto.

“Salute, asso!” disse il colonnello.

“Andy, come va…?” chiese il maggiore-generale.

“Mi fa un po’ male quando rido, ma i pezzi ci sono tutti” rispose l’infermo, sollevandosi sui gomiti “Novità?”

“Tutto okay” sospirò James, chiaramente rasserenato “i ragazzi sono rientrati al completo. Fuori ci sono anche Victor e Roy, ma il dottore non ha voluto far passare troppa gente.”

“Molto bene” anche il superiore sospirò con sollievo “lo stesso per i tuoi?” chiese quindi a Richardson, che scosse tristemente la testa.

“Purtroppo no: le fortezze di Boman e Gerryson sono state abbattute!”

Greason avvertì una fitta dolorosa allo stomaco. Venti ragazzi perduti, morti o prigionieri che fossero. Alcuni fors’anche scannati dalla folla inferocita.[17] E fra essi Robert Gerryson, il luogotenente dello stesso Richardson nella famosa missione su Berlino del Febbraio 1942.[18]

L’asso si riadagiò sul cuscino, mandando al compagno d’accademia uno sguardo di sincero cordoglio: “Mi dispiace, Ricky… mi dispiace tanto!”

“È la guerra, che ci vuoi fare?” sospirò il colonnello “Almeno tu sei tornato tutto intero.”

“C’è mancato poco” grugnì il maggior-generale Stone “spero che sarà l’ultima volta che ci farai assistere a spettacoli del genere!”

“Promesso, Jim” ribatté lui, facendogli cenno di tacere “ma non ne parliamo più, eh?”

“Okay…!” accondiscese il compagno, sbirciando Flanny e capendo l’antifona.

“Ascolta, Andy” disse ancora Richardson “di là c’è uno dei miei piloti che vorrebbe vederti. Lo faccio entrare?”

“Ma certo. Chi è?”

Il Group Leader accostò la bocca all’orecchio del capo, che aggrottò le sopracciglia: “Va bene. Flanny, dottore… potreste per favore uscire un attimo?”

“D’accordo” consentì il primario “ma solo per dieci minuti. Lei ha bisogno di dormire, generale.”

“Ricevuto. Fallo entrare, Rick…”

“Subito.”

Pochi istanti dopo il capitano Legan, scarmigliato e scuro in volto, si presentava titubante all’uscio. L’asso si rimise a sedere: “Lieto di vederla, capitano” sorrise, bonario “venga avanti!”

Fattosi coraggio, il comandante del Delta-Fox si trascinò verso il letto di Andy tenendo gli occhi bassi e appena li rialzò trasalì lievemente nel vedersi di fronte la figura di sua moglie.

“Buonasera, generale” farfugliò “signora Greason…”

Flanny gli rispose con un cenno del capo, mentre sistemava il cuscino dietro la schiena del marito. Poi si diresse verso la porta, non senza prima aver detto: “Mi raccomando, Andy: dieci minuti!”

“Tranquilla” rispose lui. Attese quindi che la moglie uscisse, prima di rivolgere la parola al nuovo venuto “allora, Legan, com’è andato il volo di rientro?”

L’altro sembrò spiazzato da quella domanda banale, nondimeno si affrettò a rispondere: “Abbastanza bene, signore… a parte un ultimo assalto della caccia nemica. Solo un ferito leggero, a bordo. L’apparecchio ha subito danni di lieve entità.”

“Benissimo. Avete svolto tutti un magnifico lavoro. Devo ancora leggere i rapporti e visionare le fotografie, ma da ciò che ho potuto vedere durante lo sgancio, il bersaglio è stato colpito in pieno e i danni collaterali sono stati nulli. I miei complimenti, capitano!”

Il povero Neal si sentì avvampare il viso. Provava una vergogna maggiore di quando aveva accusato Candy di aver pungolato con uno sperone il cavallo di Annie, allo scopo di farla disarcionare; ennesima manovra ideata da lui per screditare la giovane domestica agli occhi della signora Brighton, allora creduta la vera madre dell’attuale moglie di Archie Cornwall.

“Non dica questo, signore” protestò quindi il reprobo, respirando a fatica “se nessun civile tedesco ci ha rimesso la vita, è soltanto merito suo!”

“Stupidaggini” ribatté il generale, minimizzando con un gesto della mano “se lei e tutti i suoi colleghi non aveste saputo eseguire così bene le istruzioni ricevute, quel villaggio avrebbe subito devastazioni ben maggiori dei danni che poteva provocare quella singola bomba!”

“Può darsi. Però…” Neal si terse il sudore dalla fronte pallida “…non posso prescindere dal fatto che si sia sganciata dal mio aeroplano. E questo non potrò mai perdonarmelo!”

“Capitano, non è stato lei a caricare quella bomba nella stiva, né le competeva la verifica delle rastrelliere. Non si addossi responsabilità che non ha… magari a saldo di colpe passate!”

“Lei non capisce, generale” insistette l’altro con veemenza “la bomba s’è sganciata sul paese perché noi ci trovavamo fuori rotta. E la responsabilità di questo è unicamente mia!”

“Una leggera deviazione in quota può sempre verificarsi, specialmente con vento forte. Sarebbe potuto accadere a qualunque altro apparecchio della sua formazione.”

Ma lui continuò, caparbio: “Lo so, ma sta di fatto che è successo al mio… che oltretutto abbiamo battezzato col suo nome. Se avessimo provocato una strage, lei non avrebbe disprezzato solo me (come se già non lo facesse abbastanza) ma anche tutti i miei ragazzi!”

Andy sospirò pazientemente: “Neal, mi stia a sentire: purtroppo incidenti del genere possono capitare, in combattimento. Tanti nostri colleghi sono periti anche per casi di fuoco amico! Se si fa condizionare a tal punto da questo episodio, non sarà più in grado di affrontare le missioni, sempre più difficili, che dovrà svolgere nel resto del suo ciclo operativo.”

Il comandante del Candy Candy lo guardò, dibattuto fra sconcerto e ammirazione: “Io non la capisco, generale… come può parlare così, quando lei stesso, per un pelo, non ci ha rimesso la pelle?!

Greason si spazientì: “Rimetterci la pelle è un incerto del nostro mestiere, che ci piaccia o no” ribatté, alzando la voce “e, se fosse accaduto, forse sarebbe anche stato giusto… dato che io, per primo, l’ho fatta rischiare a voi tutti più del necessario, ordinando a Richardson di farvi bombardare il bersaglio da una quota assurdamente bassa. Se ci fosse stata della contraerea pesante a difendere quella fabbrica di armi chimiche, vi avrebbero massacrati! Ed io, più che giustamente, sarei finito davanti a una Corte Marziale per aver subordinato la vita dei miei aviatori a quella dei nemici, sia pure civili. Perché io questo, ho fatto, Legan! E adesso? Che ne dice? Mi ritiene ancora tanto migliore di lei?!”

“Ma… generale, io…” balbettò il fratello di Iriza.

“Avanti, Neal: me lo dica” lo incalzò Andy, in tono sconvolto, fissandolo con uno sguardo quasi allucinato “perché io ho bisogno di saperlo!!”

Nel frattempo la porta della stanza era tornata a spalancarsi. Richiamate da quelle grida, Flanny e Candy erano precipitosamente accorse, con le braccia cariche di sedativi. Ma i due, coinvolti nella loro accesa discussione, non se ne erano nemmeno accorti.

“Io… non lo so, signore” iniziò a rispondere Neal “chi può dire cosa sia giusto o sbagliato in tutto questo casino? So solo che lei… ha sempre insegnato ai suoi uomini a comportarsi da veri soldati. Non con le parole, ma con l’esempio” riprese fiato stropicciandosi gli occhi “e, per quanto mi riguarda… lei mi ha insegnato ad essere finalmente un uomo. Ad avere più rispetto di me stesso, a prendermi le mie responsabilità… tutte cose che la mia inetta famiglia non s’è mai degnata minimamente di fare” tacque ancora per un attimo e tirò su col naso “purtroppo, però… ancora una volta i fatti mi si sono rivoltati contro, dimostrando che… sono solo un disgraziato. Un individuo immaturo e incosciente, incapace di combinare alcunché di buono!”

Andy Greason, che non dava le spalle alla porta, aveva realizzato la presenza delle moglie e della bionda collega, nonché perpetua fiamma del suo subordinato. Con ammirevole savoir faire non fece però una piega, limitandosi a sorridere con estremo compiacimento: “Questo non è vero, Neal. I fatti hanno dimostrato, invece, che un rampollo di famiglia altolocata, viziato, altezzoso e codardo - magari stimolato dal ricordo di una bella fanciulla - ha scovato la grinta per trasformarsi faticosamente in un uomo per bene e in un bravo soldato!”

Ma Neal, del tutto ignaro della presenza delle due infermiere dietro di lui (e dello sguardo attonito proveniente da una di loro) continuò ostinatamente a denigrarsi: “Lei è troppo buono, generale! Io non ho fatto altro che imparare a pilotare e a condurre un bombardiere da una base ad un bersaglio.”

“Non solo: lei ha imparato a prendersi cura dei suoi compagni… o meglio dei suoi ragazzi, come li ha nominati prima. Li ha condotti in azione e - soprattutto - li ha riportati indietro. Le sembra così poco, tutto questo?”

Il capitano rialzò il viso verso il suo benefattore, dicendo in tono alterato: “La ringrazio di cuore, signore. Sarebbe fantastico se queste parole le avesse potute ascoltare anche lei…”

Andy dovette cacciarsi una mano sulla bocca per non scoppiare a ridere: “Stia attento con certi desideri, Neal” disse poi “a volte potrebbero avverarsi…!”

Insospettito dallo sguardo ammiccante del generale, Legan si girò lentamente su sé stesso e ciò che vide lo mandò completamente in apnea.

Davanti a lui, in carne ed ossa e sempre bella come il sole, stava la sua Candy. La quale, con un lieve ma dolce sorriso, così gli parlo: “Ciao, Neal… sono contenta di trovarti bene!”

***

Neal Legan, capitano, numero di matricola 11451250, capo-equipaggio del Fox Otto-Uno-Cinque, gregario sinistro della 4a Pattuglia della 66a Squadriglia, inquadrata nel 22° Gruppo da Bombardamento del 1° Stormo Strategico, appartenente alla Decima Forza Aerea dell’Esercito USA in Europa, era rimasto pressoché pietrificato davanti alla giovane infermiera bionda, ex dama di compagnia e poi cameriera di sua sorella, nonché propria “vittima su commissione” e infine impossibile amore infinito.

“Sei… davvero tu, Candy…?” farfugliò, con voce appena distinguibile.

“Mi stai vedendo.” rispose asciutta lei.

Lui dichiarò, estremamente a disagio: “Sei sempre… molto bella!”

L’infermiera si sforzò di rendere il sorriso, se non proprio solare, almeno più marcato…  a rispondergli grazie non ci riusciva ancora.

L’ufficiale s’azzardò ad allungare la mano per sfiorarle delicatamente la spalla, come a sincerarsi della sua corporeità: “Scusami… sono così… felice di rincontrarti! Anche se…”

“Anche a me non dispiace.” rispose Candy, stimolata da quello scusami che le aveva appena detto. Era il primo e veramente storico!

“Da... davvero??” chiese lui, oltremodo stupito.

“Ma certo!” confermo lei, sempre con un sorriso bonario.

“Sentite” intervenne la signora Greason, intenta a preparare una siringa “perché non andate a farvi due chiacchiere nel corridoio, mentre io spedisco mio marito da Morfeo, mm?”

“Ma… Flanny…” balbettò Candy, presa così alla sprovvista.

“Su, fuori dai piedi!” incalzò la collega bruna, sedendo di fianco al letto.

Neal, non meno perplesso della cugina adottiva, volse lo sguardo al generale, che non mancò di confermare le istruzioni della propria superiore diretta: “È un ordine, capitano!”

I due, dopo un sospiro perfettamente sincronizzato, si decisero a lasciare la stanza.

“Braccio scoperto, prego!” ordinò il generale del generale con voce secca.

“Ma perché mi vuoi dare un calmante?” protestò lui, obbedendo macchinalmente “Non ne ho mica bisogno…”

“Sì, l’ho sentito!” ribatté ironica lei, cominciando a frizionare col batuffolo di cotone imbevuto d’alcool.

“Va bene, mi sono alterato un attimo” minimizzò lui, con aria innocente “ma adesso sono okay!”

“E allora speriamo che questa roba ti rappezzi anche il cervello!” rimpallò Flanny, affondandogli l’ago. Era sempre incredibile come riuscisse a non provocargli il benché minimo dolore.

“Cosa vuoi dire?” chiese lui, preoccupato dal suo tono così duro.

“Che spero ti tolga la voglia di fare l’artificiere…!” chiarì lei, con voce malferma senza modificare la sua espressione furiosa.

Ad Andy si gelò la schiena: “Chi te lo ha detto?!”

“Ho fatto il terzo grado a James!” gli rivelò Flanny, massaggiandogli la puntura. Poi gli riabbassò rabbiosamente la manica del pigiama, gli rimise giù il cuscino e lo fece stendere.

“Quando lo rivedo, lo strozzo!” borbottò lo smascherato acrobata volante, cominciando a sentire il torpore del sedativo.

“Dovresti ringraziarlo, invece… perché se il tuo compare non lo avesse detto a me, glielo avrebbe fatto sputare Candy, che è molto più brava della sottoscritta a far parlare le persone, te lo posso assicurare.[19] E sta’ sicuro che lei, al posto mio, ti avrebbe già riempito la faccia di sberle!!” concluse, combattendo col feroce desiderio di procedere allo stesso modo.

“Davvero, eh…?” bofonchiò il suo diuturno paziente, già mezzo addormentato.

“Sì, davvero! Ma sarebbe stato nulla, in confronto a quello che ti farò io, se solo ci riproverai ancora… e ricordati anche che, se mai mi girerà di diventare vedova, provvederò personalmente” gli puntò contro la siringa e specificò “con la stricnina…!!”

Senza preoccuparsi se l’amato rompicollo avesse inteso le sue ultime parole o fosse già immerso nel mondo dei sogni, Flanny Hamilton Greason se ne andò finalmente anche lei, sbattendosi la porta alle spalle.

***

“Ti va un caffé?” chiese Candy a Neal quando furono in corridoio. Fu la prima cosa che le venne in mente, tanto per alleviare la tensione.

“Beh… perché no?” sorrise lui, tuttora in forte imbarazzo.

“Vieni…”

La giovane non capiva bene a cosa doveva tutta quella sua condiscendenza. Che si stesse pentendo d’essere stata oltremodo dura con lui, durante il periodo del suo vano corteggiamento? Che suo zio Albert avesse avuto un pochino ragione quando aveva osservato che comunque era triste venire respinti dalla ragazza che si ama? O magari, prima ancora, quando Neal faceva il giannizzero della sorella nella sua feroce guerra contro di lei, aveva avuto forse il torto di disprezzarlo, più che compatirlo…

*Saresti diventato un ragazzo migliore se avessi provato a comprenderti?* non poté evitare di domandarsi.

Entrati nella saletta delle infermiere, Candy accese il fornelletto a gas, versò dell’acqua in una boccia di vetro, vuotandoci due bustine di Nescafé. Quando la temperatura fu giusta, riempì una tazza e gliela porse: “Prendi…”

“Gra… grazie!” balbettò lui. Cercando di contenere i tremiti della mano, il pilota se la portò alle labbra sorseggiando lentamente il contenuto, mentre lei si serviva a sua volta.

“Come stanno i ragazzi…?”

“Chi? Ah, i miei compagni, vuoi dire… bene, sono tutti interi. A parte John…”

Candy spalancò gli occhi: “Il piccolo John? Che gli è successo??” chiese subito, con trepidazione.

“Nulla di grave, non preoccuparti” la rassicurò lui “era stato colpito di striscio, ma l’ho medicato… lo hanno già ricoverato all’infermeria dell’aeroporto.”

“L’hai soccorso tu…?”

“Sì… ho cercato di fare del mio meglio. Grazie alle vostre lezioni teoriche. Le ho seguite, sai? Ci sono state molto utili.”

“Lo credo bene… domani verrò a trovarli!”

“Li farai felici.”

“Lo so…”

Candy bevve allora il suo caffé, imitata dal ragazzo.

“È molto buono” disse lui, poco dopo “mi ricorda casa mia!”

“Davvero?” chiese la donna, un po’ divertita.

“La nostra cameriera era davvero brava a prepararlo” la guardò in viso “Dorothy, te la ricordi?”

La bionda non rispose, al che il giovane realizzò d’un colpo la tremenda gaffe: “Ma certo che te la ricordi… imbecille che sono!!”

“Lascia stare…”

Ma lui scosse la testa, con disgusto: “Come posso lasciar stare? È mostruoso ciò che feci quella sera!!”

“Ormai è passata, Neal… cerchiamo di guardare avanti.”

“Per te è facile, Candy! Ma per me… tu non puoi giustamente immaginare cosa si prova quando si comprende di farsi schifo!! Sono stato fortunato a non avere nemmeno il coraggio di ammazzarmi…”

Candy sospirò, poi rifletté un momento e gli rispose: “Avremmo perso un uomo per bene e un bravo soldato.”

“Cosa…?”

La giovane sorrise ancora: “Lo ha detto Andy, no? E io gli credo. E penso che anche l’ultimo dei mascalzoni meriti una chance per cambiare vita. Lui te la poteva offrire e sono lieta che l’abbia fatto. Io non potevo, Neal…”

“Lo so… come si può comprendere un mostro?”

“Ora non stare a flagellarti! Eri una canaglia, va bene, ma non un mostro…”

“Ne sei proprio sicura?” sorrise, lui malinconico.

“Sono ben altri i mostri, Neal, specialmente in questa guerra. Almeno tu non hai mai ucciso nessuno!”

“No, certo” ammise lui, tenendo gli occhi bassi “ti ho soltanto avvelenato il cuore!”

“Adesso, però, me lo stai riscaldando…”

Neal ci mise un po’ ad assimilare quelle parole: “Come hai detto, scusa?!”

“Che mi stai rendendo felice… per quello che dici e per quello che fai.”

Piuttosto incredulo per ciò che sentiva, il giovane sorrise di nuovo, ma poi disse, ancora in tono amaro: “Non si può cancellare il passato…!”

“No, non si può. A me, però, ha sempre interessato più il presente. Tu adesso stai facendo il tuo dovere con impegno e coraggio. Inoltre ti stai prendendo cura dei miei amici che, a quanto ho saputo, sono tutti contenti di te. Per di più, stai rischiando la vita per difendere la nostra libertà e per abbattere un regime orribile, che sta schiacciando l’esistenza di milioni di persone. Tutto questo mi basta, Neal…”

“Ti basta per cosa?”

“Per concederti il mio perdono. Ridarti la mia stima…” sembrò esitare “…e offrirti la mia amicizia, se la vuoi ancora!”

L’ufficiale spalancò la bocca, per poi allargarla fino ai padiglioni auricolari. Mosse d’istinto un passo verso di lei, ma si bloccò subito, turbato dal peso del rimorso. Tristemente, rimise gli occhi a terra, non sapendo cosa fare.

“Neal…”

Al richiamo, lui rialzò la testa e rimase inebetito. La sua irraggiungibile fiamma, la sua bramata biondina, il suo più grande desiderio proibito gli stava tendendo le braccia…

“Vieni, Neal…”

“Ma… Candy, sei impazzita?!”

“Vieni!” insistette.

Vincendo quel dannato piombo nella gambe, il ragazzo si appressò cautamente a lei, lasciandosi avvolgere in un caldissimo abbraccio: “Felice di conoscerti, Neal…!”[20]

Comprendendo appieno il vero senso di quelle parole, il rampollo dei Legan strinse gli occhi, già molto umidi e fu appena capace di sussurrare agli orecchi di lei, assaporando il profumo dei suoi riccioli: “Grazie, Candy!! Grazie… grazie… grazie…!!!”

“Di nulla, cugino. E benvenuto fra i buoni… vedrai che ti troverai bene!”

Emettendo un singhiozzo marcato, il redento strinse più forte la sua nuova amica. Un turbine di sensazioni, dolci e dolorose, frullava nel suo animo turbato. Era quello, dunque, l’autentico affetto di una persona cara?

Come fu duro separarsi da lei! E che tormento contemplare quel bel viso senza potere… oh, quanto avrebbe voluto assaggiare quelle dolcissime labbra! Quanto avrebbe voluto osare… ma non poteva. Avrebbe perso tutto ciò che aveva appena guadagnato.

Ma Candy, che lo leggeva come un libro stampato, fu ancora una volta in grado di stupirlo: prima che Neal potesse pensare a qualcosa da dirle, gli stampò sulle guance due tenerissimi baci. Lui allora barcollò in avanti, ributtandole le braccia al collo…

“Allora? Sei contento, Neal? Neal…? Ehi, cos’hai? Neal… ossignore! Neal, ti senti male?! Dì qualcosa, su… mamma mia, è svenuto!! Presto, aiutatemi… dottor Waxman… il capitano Legan, qui, ha perduto i sensi! Natalie… Judy… presto, fate qualcosa! Dottore…!!”[21]



[1] 800 Km/h. Superati gli 859 (515 miglia orarie) il P-47 D entrava in regime terminale, nel quale l’eccessivo indurimento dei comandi poteva rendere molto difficile uscire da una picchiata.

[2] Il giorno dello sbarco in Normandia, inizialmente pianificato per il 1° Maggio del 1944 e rimandato successivamente al 6 Giugno per le condizioni atmosferiche.

[3] Volete che ve lo dica? Alla “non più verde età” di 43 anni riconosco perfettamente le ottime ragioni che stavano dietro all’atteggiamento di Candy nell’episodio Lacrime di un piccolo Cow-Boy. Ma vi confesso che nel vedere quelle immagini quando ne avevo 13, il mio orgoglio di maschietto era stato leggermente pizzicato e fu proprio allora che decisi, sui due piedi, di arruolare il piccolo Jimmy nella Decima Air Force!

[4] Lo schwarm era una formazione di due coppie (rotte) di caccia, ciascuna comprendente il leader e il suo gregario.

[5] Come potete immaginare, lasciare un solo pilota in cabina durante un attacco della caccia era estremamente pericoloso, poiché, se fosse stato colpito, l’aereo avrebbe potuto precipitare prima che qualcuno riuscisse a riprenderne il controllo.

[6] Vedi capitolo 20.

[7] Si riferisce alla colorita imprecazione con cui aveva ribattuto al suo rimprovero per avere esitato a sparare (vedi capitolo 18).

[8] Ci pensate se, nel corso della Storia, prima dell’inizio di ogni battaglia, le madri, le sorelle o le mogli di tutti i soldati di entrambi gli schieramenti fossero venuti a riprendersi questi ultimi e, dopo avergli fatto quanto immaginato da Jimmy, se li fossero portati via trascinandoli per un orecchio, al grido di: A casa, marsch!...? Niente male come sistema per consolidare una pace duratura nel mondo, non credete?

[9] Nel non esprimergli chiaramente la gratitudine per quanto aveva fatto, Jimmy dimostra a Neal di non considerare più il suo comportamento come un fatto eccezionale. Ormai, per l’equipaggio del Delta-Fox, il fratello di Iriza Legan non era più il passato aguzzino di Candy, ma unicamente il loro compagno d’armi.

[10] Non va inoltre dimenticato che Frances L. Greason, il padre dell’asso, aveva militato nella Escadrille Lafayette, composta dai volontari statunitensi che si batterono nel cielo francese contro gli aviatori del Kaiser, nel 1917-18.

[11] Decorazione concessa ai militari statunitensi feriti in azione. Esiste una valle, vicino a Cassino, chiamata La Valle dei Cuori di Porpora, per l’elevato numero dei militari della Quinta Armata rimasti feriti durante la battaglia svoltasi nella zona.

[12] Il macabro appellativo gli derivava dalla sua mania di costruire le croci dei ragazzi con cui litigava all’orfanotrofio.

[13] Marika von Heindrich, la sorella minore di Schultz (vedi capitolo 18).

[14] Località vicino a Parigi, dove si trovano gli stabilimenti della Renault, che in quel periodo lavoravano ovviamente per i tedeschi.

[15] Circa 183 metri. Le granate da 88 mm tedesche erano in grado di abbattere un velivolo fino alla distanza di 30 metri dal punto di deflagrazione e provocare danni, anche gravi, fino a 300 metri.

[16] Questa non è mia, ma di John Hersey (dal suo romanzo L’amante della Guerra).

[17] Persino alcuni piloti abbattuti della Luftwaffe furono uccisi nel corso della guerra dai loro connazionali, in quanto erroneamente scambiati per aviatori nemici!

[18] Descritta nel racconto Le Due Aquile, redatto a quattro mani col mio amico Alberto Borghesi, la missione prevedeva un volo su Berlino con partenza da Lowell, nel Massachusset e varie tappe a Goose Bay (Labrador), Stromfjord (Groenlandia), Isle of Mainland (Shetland). Durante il percorso Gorenlandia-Shetland il B-24 di Richardson aveva però smarrito la rotta per poi atterrare sul Pac una volta esaurita la benzina. Raccolti da un sommergibile tedesco, i sette uomini dell’equipaggio (tre erano periti nell’impatto) erano stati rilasciati due mesi dopo a seguito di una tregua stabilita dopo il termine di un “duello” fra l’U-855 del korvettenkapitan Herbert Thyssen e l’SS 323 Pretty Shark del comandante Patt Barkley della USN.

[19] Ovvio riferimento, quello di Flanny, a quando Candy l’aveva costretta a “confessare” il motivo che la spingeva ad offrirsi volontaria come crocerossina.

[20] Non ti arrabbiare, Terence! Glielo vogliamo dare, a quello sfigato, un breve momento di felicità?

[21] Come siamo deboli!” (Ugo Tognazzi, nel film La stanza del Vescovo).

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Capitolo 24
*** Missing in Action ***


Capitolo 9: Chi non muore si rivede

Il lungo singhiozzo dei violini d’autunno

 ferisce il mio cuore con monotono languore

(Paul Verlaine, 1866)

Capitolo 24: Missing in Action

 

UCPFH 24

 

 

I

l monotono ronzio del Packard Merlin V1650 che stava trainando il suo P-51 D Little Ann attraverso la Manica, stordiva piacevolmente il tenente Archibal Cornwell, matricola 11183150, capo-sezione della 15a Squadriglia d’Attacco, inquadrata nel 45° Gruppo del 2° Stormo Tattico, in forza alla Decima Forza Aerea.

Tale circostanza permetteva al secondo nipote del magnate d’oltreoceano William Albert Andrew di sopportare meglio la struggente sensazione delle notte appena trascorsa. Il suo comandante di Squadriglia, capitano John C. Mayer, gli aveva malauguratamente consentito - in via del tutto eccezionale - di trascorrere la vigilia della missione con la sua giovane consorte, pensando che questo lo avrebbe temprato efficacemente per l’importante operazione che il reparto doveva compiere nella giornata del 7 Giugno.

Il reparto di Archie avrebbe dovuto battere le principali direttrici stradali e ferroviarie che collegavano la regione dello sbarco al restante retroterra francese sud-occidentale, neutralizzando qualunque eventuale contrattacco che il nemico avesse sferrato contro le due divisioni aerotrasportate dell’Esercito (82a e 101a) scese due notti prima a presidiare gli accessi delle spiagge Utah e Omaha, dove la mattina del 6 erano sbarcati i reparti della 4a e della 29a divisione di fanteria statunitense nell’ambito dell’Operazione Overlord.

Se soltanto Mayer, quell’impiccione d’un viennese romantico, avesse badato agli affaracci suoi… chissà come si sarebbe temprato, il capo-squadriglia, passando l’intera nottata a fare l’amore con sua moglie, fra un singhiozzo e l’altro di quest’ultima! Il tenente Cornwell avrebbe trascorso il resto della vita a chiedersi come poteva riuscire una donna a raggiungere l’orgasmo piangendo! Anche se, conoscendo la sua dolce metà, non ci sarebbe stato molto da stupirsi, dato che il melodramma era sempre stato il suo forte.

Era davvero curioso quanto la timida Annie fosse opposta di carattere alla solare Candy - la sua vecchia fiamma, mai del tutto estinta - considerando soprattutto che quelle due avevano trascorso l’infanzia insieme. D’altra parte, l’impossibilità che aveva avuto un vulcano come miss tuttelentiggini nel plasmare a dovere la sua “sorellina” (come aveva invece fatto coi tanti altri che aveva conosciuto) denotava la notevole caparbietà dell’attuale signora Cornwell, pur tenendo conto del poco tempo che aveva avuto a disposizione la sua compagna di brefotrofio, prima che lei venisse adottata dai coniugi Brighton.

Eh, già… Archibald Cornwell Andrew, il dandy prestato all’aviazione (così lo chiamavano diversi commilitoni)[1] doveva pur convenire che dietro a quell’apparente fragilità, la sua mogliettina nascondeva e sapeva sfoderare una grintosa volontà di ferro, come i graffi sulla schiena e sulle braccia continuavano fisicamente a ricordargli, testimoni non soltanto dell’umida e focosa notte di passione, ma anche dei suoi disperati tentativi di trattenerlo nella loro stanza d’albergo.

Solo alla domanda del marito “Vuoi diventare la moglie d’un disertore?!” la povera Annie l’aveva mollato. Per fortuna lo spettro del disonore faceva ancora presa sulla figlioccia della signora Brighton!

*A proposito dell’influenza di Candy* meditò ancora il tenente del 45° mentre si grattava un succhiotto che gli prudeva sul collo *c’è da dire che nemmeno coi cuginetti Legan s’è rivelata efficace[2]… un vero peccato: pensa a quanti grattacapi di meno!*

“Sparrow 2 a Sparrow 4…” gracchiò negli auricolari la voce del capo-squadriglia “…tenete gli occhi aperti: siamo per sorvolare la costa nemica!”

“Roger, capitano” rispose Archie, dopo un lieve trasalimento “capo-sezione a gregari: avete sentito?”

“Forte e chiaro!” confermarono i suoi tre compagni, che gli volavano appresso nella canonica formazione a quattro dita. Dopo avere sorvolato la Manica, dove innumerevoli navi alleate stavano ancora facendo la spola fra le coste meridionali inglesi e quelle della Normandia, riversandovi sempre più uomini, veicoli e rifornimenti, il reparto tattico della Decima stava superando ad alta quota il litorale ben presto noto in tutto il mondo come la spiaggia di Bloody Omaha. Gli otto cacciabombardieri stavano seguendo una rotta che li avrebbe portati sopra Saint-Lô, dove l’Intelligence aveva riferito, grazie ai rapporti della Resistenza francese, che vi si trovava acquartierata una panzerdivision tedesca, pronta a piombare su Sainte-Mère-Eglise, ora presidiata dalle Aquile Urlanti della 101a Divisione Aviotrasportata.[3]

*Ed eccoci ancora sopra la Douce France* si disse il tenente Cornwell, contemplando le verdi distese dei campi, intervallate da macchie rigogliose[4] *ormai dovrei esserci abituato, ma mi si serra sempre la bocca dello stomaco! Immagino le risate di mio cugino, se lo sapesse…*

 

***

Il buon Archie conosceva bene il motivo di questa tensione: pur essendo ormai svezzato come pilota militare, era quella la sua prima missione operativa di attacco al suolo, da quando era stato trasferito a tale specialità.

Quando la Decima Air Force era giunta alla sua massima espansione, le sue squadriglie da caccia erano state ripartite fra il 1° Stormo Strategico di Victor Sanders, avente il compito di colpire le infrastrutture nemiche nelle retrovie e il 2° Stormo Tattico del brigadiere James Pryor,[5] che si sarebbe occupato di attaccare al suolo le unità della Werhmacht. Pryor aveva però preteso che anche il suo Stormo disponesse di un proprio reparto di caccia di scorta e così il glorioso 444° Fighting Group, già inquadrato nell’Ottava Air Force di Ira Eaker (prima della sua trasferta mediterranea col Greason Detachment), si era scomposto in due unità distinte: il 99° Fighting Group, al comando del maggiore Roy Master, che avrebbe scortato le Fortezze Volanti del 22° Gruppo Bombardieri, nell’ambito del 1st Strategic Wing e il 65° Escort Group, che avrebbe invece protetto i cacciabombardieri e gli assaltatori del 45° Attack Group, in forza al 2nd Tactical Wing.[6]

L’allora sottotenente Cornwell aveva creduto di rimanere nel 99° Caccia, assieme all’ex compagno del defunto fratello maggiore, ma le cose non erano andate così. Non solo era stato trasferito dallo Stormo Strategico a quello Tattico, ma non era nemmeno rimasto sugli intercettori: dopo un breve quanto intenso corso sulle nuove procedure di combattimento, era stato infatti aggregato ad una delle tre squadriglie del 45° Gruppo, come pilota di cacciabombardiere!

Archie non aveva prove certe, ma s’era fortemente convinto che dietro a tutto ciò vi fosse lo zampino della moglie e soprattutto il potente aiuto della loro cara amica lentigginosa. Se l’era potuta ben immaginare la sua “tenera” consorte stringere convulsa le mani del comandante in capo e supplicarlo perentoriamente di metterlo subito a terra, affinché non facesse la fine del cognato. E, se non erano bastate le preghiere di Annie, non c’era dubbio che avesse provveduto Candy a dare il colpo di grazia ai residui scrupoli professionali del generale Greason. L’asso degli assi poteva ostentare fin che voleva la sua granitica devozione nei confronti della moglie Flanny, ma era altrettanto palese l’ascendente che la sua bionda collega esercitava pure su di lui!

Il terrore di ripetere l’esperienza vissuta colla perdita di Stear e di dover comunicare alla giovane signora Cornwell che non avrebbe più rivisto l’amato consorte (eventualità che l’avrebbe di certo schiantata di crepacuore mettendolo in una posizione disastrosa davanti a Candy) aveva ben convinto il comandante della Decima, se non a “imboscarle” il maritino, a toglierlo almeno dagli aerei da caccia.

Non che le operazioni di attacco al suolo fossero faccende da sbrigare in tutta tranquillità, ma per lo meno un pilota di cacciabombardiere si trovava meno isolato di un intercettatore e la contraerea, per quanto intensa si manifestasse, rappresentava spesso un deterrente più che una minaccia concreta.[7] Il rovescio della medaglia era però che, se l’aereo veniva effettivamente colpito proprio durante la discesa sul bersaglio, la bassa altitudine e la forte velocità rispetto al suolo lasciavano ben poche possibilità di sopravvivere gettandosi fuori, contrariamente a quando lo si poteva fare in alta quota, dopo essere stati abbattuti da un caccia avversario. Ma tutto non si poteva avere…

 

***

 “Sparrow 2 a Sparrow 4” trasmise ancora il capitano Mayer “siamo a tre minuti dall’obiettivo… state pronti!”

In basso, davanti ai musi degli otto P-51, incominciava a delinearsi la brughiera nei dintorni di Saint-Lô. Il CO della 15a Squadriglia d’Attacco tornò a far udire la sua voce nelle cuffie dei piloti: “Sparrow 2 a Sparrow 4: guardateci le spalle mentre scendiamo sull’obiettivo. Dopo lo sgancio ci rialzeremo per coprire il vostro attacco. Tutto chiaro?”

“Wilco, capitano” rispose Archie “procedete pure!”

I quattro Mustang della sezione guidata da Mayer picchiarono risoluti sulla coltre verde della boscaglia e, poco dopo, sei fiori luminosi s’accesero sotto le loro ali, denunciando l’accensione di altrettanti razzi propulsori. Gli innovativi missili aria-terra, dotati di una testata esplosiva da 60 libbre,[8] abbandonarono gli attacchi subalari per scendere inesorabili verso il terreno. Ancora una manciata di secondi e una serie di esplosioni scosse l’etere, mentre diverse vampate di fuoco guizzavano fra le incolpevoli querce, di cui numerosi tronchi iniziarono a rovinare al suolo.

“Mi piange il cuore per quei poveri alberi!” osservò rammaricato il sottotenente Claude J. Crenshaw, figlio di un ranger del Parco di Yellowstone.

“Concordo…” ammise il capo-sezione, ricordandosi dei boschi attorno a Lakewood.

Dopo avere sganciato anche le due bombe da 500 libbre, gli aerei della 1a Sezione risalirono rapidamente, alleggeriti da tutto quel peso, mettendosi poi a circuitare sulla zona sovrastante. Erano adesso di nuovo dei caccia, pronti a difendere i compagni durante il loro turno di attacco.

“A voi, 2a Sezione: date la ripulita finale!” ordinò Mayer, sempre col suo accento austriaco.

“Con piacere!” rispose il tenente Cornwell.

Trasmesso l’ordine ai suoi gregari, Archie abbassò la mano destra sul pannello davanti alla cloche e azionò gli interruttori per armare il proprio carico di caduta, ubicati sotto gli strumenti di volo.

“Andiamo, ragazzi… e speriamo che dopo la guerra lo rimboschino, qui sotto, anziché farci un parcheggio!”

“La seguiamo, tenente!” rispose il fido Crenshaw.

I quattro Mustang della Sezione di Cornwell planarono a loro volta sulla foresta, già parzialmente divelta e in fiamme, sganciando anch’essi le loro M43 con calma e precisione.

All’improvviso un paio di Panther sbucarono da una macchia ancora integra e si diressero lungo i campi alla massima velocità consentita.

“Sparrow 4 a Sparrow 11 e 12: date l’ultima ripassata coi razzi. A quei due unni ci pensiamo noi!”

“Roger, Sparrow 4!” risposero i sottotenenti Sandy Daimond e Lenny Carson.

“Sparrow 10, wilco!” confermò invece il suo secondo.

Mentre i compagni eseguivano l’ordine, Cornwell e Crenshaw puntarono i musi dei loro aerei contro i panzer tedeschi, i cui equipaggi, certamente colti dal panico, avevano abbandonato sconsideratamente quella posizione protetta, per quanto precaria fosse diventata.

“Io punto su quello a sinistra, Claude. Tu cura l’altro!” dispose il capo-sezione.

“Okay, Arch. Buona caccia!”

“Altrettanto, chiudo!”

Il cugino adottivo di Candy estrasse completamente gli aerofreni e ritrasse la manetta verso la posizione di chiusura. Il regime del motore calò sensibilmente e Archie, dopo aver regolato il mirino N9, impugnò saldamente la barra, concentrandosi nella picchiata.

Il comandante del carro, che si era sporto audacemente dallo sportello della torre realizzando l’attacco degli aerei avversari, stava dando nervose istruzioni al suo pilota con l’intercomunicatore di bordo. Si vide allora il Panther cominciare a zigzagare per rendere difficile la mira all’attaccante.

“Troppo lento, amico” scosse la testa il pilota “molto spiacente di doverlo fare…” e premette il pulsante di fuoco.

I proiettili razzo-propulsi si sganciarono dalle ali del Little Ann e discesero verso il suolo, assumendo traiettorie lievemente divergenti. L’autiere del carro tedesco pestava forsennato sull’acceleratore, spingendo il motore Maybach al massimo dei giri. Al tempo stesso il capo-carro, l’oberfeldwebel Johann Wassermann, puntava freneticamente la Spandau[9] contro il minaccioso cacciabombardiere.

Il bravo equipaggio della panzerwaffe avrebbe certamente fatto meglio ad abbandonare quel carro fuggendosene a piedi, ma l’ultima cosa che un soldato tedesco abbandona è la sua arma e questa valorosa fermezza dovette costar loro la vita. Un tiro del genere era abbastanza empirico, in assenza dei futuri sistemi di guida elettronica, ma gli HVAR[10] erano pur sempre sei e, per quanto pesante, a quel genere di bersaglio ne bastava uno… un sordo boato si diffuse nell’aria, mentre una nuvola di fumo e di fiamme prese il posto del Panzerkampfwagen V Ausf. A, la cui torre, pesante più di dieci tonnellate, veniva sollevata in aria come il tappo d’una bottiglia di Champagne: la testata del missile doveva aver centrato il serbatoio della benzina o la riserva di munizioni.

A quella vista lo stomaco di Archie si contrasse in una fitta dolorosa. Nessuno poteva avere avuto scampo, dentro quel carro!

“Ottimo lavoro, 2a Sezione” comunicò Mayer “riprendete quota per ricostituire la formazione. Rotta di rientro.”

Pochi minuti dopo gli otto Mustang della 15a Squadriglia procedevano nuovamente in volo orizzontale, diretti verso nord.

“Un colpo da maestro, tenente!” gridò nella cuffia di Archie la voce di Claude Crenshaw, non appena si ritrovarono affiancati. La sua azione era stata meno proficua, giacché i carristi del suo bersaglio, più abili o più fortunati, erano riusciti a mandare a vuoto il suo tiro.

Ma il capo-sezione non manifestò nessuna esultanza: “Quei poveri diavoli… neanche il tempo di pisciarsi sotto!”

“Non rammaricarti, Arch” lo consolò il compagno “avrai salvato almeno tre nostri equipaggi!”[11]

Mors tua, vita mea” commentò amaramente Cornwell “mia cugina ha davvero ragione quando dice che la guerra è una schifezza!”

“Tua cugina? Quella sventolona bionda coi codini sulla testa che venne a trovarti quella sera, alla base, insieme a tua moglie?”

“Già. Hai buona memoria!”

“E come potevo scordarla? Non sei mica stato carino, a non presentarmela!”

“Tempo sprecato…”

“Perché, l’hanno già accalappiata?”

“Purtroppo…!” confermò Archie, con un grugnito di disappunto.

“E chi è il fortunato collega?” s’incuriosì il gregario.

“Nessun collega: è solo un attore di teatro. E per di più inglese!”[12]

“Davvero?!” esclamò Crenshaw, per cedere poi alla tentazione di stuzzicare il suo numero uno “Mi deludi, tenente: farti soffiare una bambola simile da un limey imboscato!”

“Chiudi la bocca, ficcanaso e pensa ai casi tuoi!”

Claude ridacchiò:“Non te la prendere, Arch… anche la tua Annie è un vero bocconcino!”

“Non mi lamento” sospirò il tenente “è solo che…”

“Basta ciance, voialtri” li redarguì severamente il capo-squadriglia “tenete gli occhi aperti per altri bersagli a terra, 2a Sezione. Noi della 1a pensiamo ai caccia.”

“Wilco, Sparrow 2!” rispose Cornwell, serrando la mascella dalla stizza. Mayer era sempre il solito: all’eventuale intercettazione del nemico in aria voleva sempre provvedere di persona. E pensare che lui stesso era stato abilitato come pilota da caccia, quando s’era arruolato nell’USAAF! Come rimpiangeva quei tempi… detestava quello che faceva adesso. Per lo meno, nei duelli aerei, gli aviatori nemici avevano la loro chance: le prestazioni dei caccia alleati e di quelli tedeschi si equivalevano abbastanza e il risultato di uno scontro dipendeva in gran parte dall’abilità del pilota. Ma, colpendo un bersaglio terrestre, Archie sentiva sempre un moto di vergogna, perché pensava che chi stava là sotto non aveva nessun modo di difendersi.

“Sparrow 2 a Sparrow 4” comunicò il sottotenente Carson “individuato target a ore due, lungo la strada!”

Archie puntò lo sguardo in quella direzione, accertando la presenza di una colonna di sei autocarri Opelblitz che percorreva velocemente la Route Nationale 174.

“Pare ci sia altro lavoro da fare” constatò il capo della 2a Sezione “torniamo giù a sistemarli.”

“Lascia fare a noi, tenente.” propose Carson, ben conoscendo la succitata idiosincrasia del superiore.

“Ti ringrazio, Lenny… ma sono troppi per due caccia con le sole mitragliatrici. Serviamo tutti. Sparrow 4 a Sezione: attaccare in ordine di ruolo!”

“Roger…!” risposero i tre gregari.

I quattro P-51 dell’unità di Cornwell iniziarono a picchiare dolcemente verso quell’invitante colonna di succosi bersagli, praticamente indifesi. O almeno così sembrava… perché, non appena il Little Ann di Archie si trovò nella posizione ottimale per tirare le sue raffiche contro l’autocarro di testa (così da bloccare la strada a quelli che lo seguivano), si videro i teloni dei camion arrotolarsi improvvisamente per lasciar libero il campo di tiro a dei cannoncini antiaerei da 37 millimetri!

Psicologicamente restio com’era a infierire contro quel genere di bersagli, il marito di Annie non fece nemmeno in tempo a collimarne uno prima di vedersi circondato dalle scie dei traccianti provenienti dalle micidiali Flak trasportate sui cassoni dei veicoli.

A bordo dei Mustang volarono giudizi piuttosto duri sulle madri di quei tedeschi…

“Porci bastardi” gridò Crenshaw, sgomentato “ci hanno teso una trappola!!”

“Disimpegnatevi… riprendere quota…!” ordinò subito il tenente Cornwell. Ciò fatto ritirò i flap, ridusse il passo dell’elica e spinse la manetta a fondo corsa per allontanarsi il più possibile. Ma il personale della Luftwaffe[13] che componeva quel reparto antiaereo aveva saggiamente disposto che il cannoncino dei due camion di testa fosse puntato verso la direzione di marcia, in modo da poter prendere di mira gli aerei, subito dopo che li avessero sorvolati. Così, sebbene i quattro caccia avessero rotto la formazione disperdendosi a ventaglio, le due Flak di testa poterono mantenere il tiro su un paio di loro: quello di Carson e quello di Cornwell.

Il primo se la cavò con qualche foro nell’ala sinistra, che la robusta struttura del P-51 fu in grado di reggere senza compromettere la tenuta di volo, mentre il secondo si beccò un proiettile in pieno muso, che appiccò un incendio al serbatoio del refrigerante.

“Maledizione…!!” gridò il povero Archie, vedendo scomparire ben presto lo spazio circostante dietro una coltre di fumo nero.

Cercando di tenere a bada l’agitazione, il pilota tolse il contatto al motore e premette il pomello dell’impianto estinguente, che però non volle saperne di funzionare.

“Oggi non è giornata…!” commentò, amaro.

“Sparrow 10 a Sparrow 4… mi senti, Arch? Arch…!!”

“Cinque su cinque, Claude… sono nei guai!”

“Arch, lanciati subito: se il fuoco raggiunge il serbatoio dell’olio, sei fottuto!”

“Wilco… farò del mio meglio. Ma mi serve un po’ di quota, se non voglio rimetterci l’osso del collo!” rispose il compagno, tirando la cloche.

A motore fermo non poteva però sperare di guadagnarne granché, se non voleva rischiare uno stallo. Quando l’altimetro rasentò i mille piedi, Archie tirò con forza la rossa leva di emergenza con la scritta canopy release. Subito la cupola di plexiglas che ricopriva l’abitacolo se ne volò via, liberata dagli agganci e il pilota si sentì penetrare fin nelle ossa il freddo intenso dell’aria esterna.

Adesso si trattava di lanciarsi, ma non era una cosa facile. Non si abbandona un aeroplano in volo come si salterebbe da un treno o da un’auto. Il pericolo di venire investiti dai piani di governo o frantumati dalle pale dell’elica è troppo reale per trascurarlo.[14] Archie ricordava chiaramente le parole del suo istruttore al corso avanzato: “Ricordatevelo sempre, boys: il modo più sicuro per salvare la ghirba, se appena siete in grado di farlo, è quello di sganciare la cinghia di sicurezza, capovolgere l’aereo e lasciarvi scodellare giù come un uovo da friggere… cercando di finire in padella anziché sulla brace, possibilmente!”

La conclusione aveva suscitato fra gli allievi una certa ilarità, ma ora il tenente Cornwell non rideva per niente, al ricordo di una certa persona che la ghirba non l’aveva salvata, proprio perché non si era trovato in grado di fare più nulla…

“Proteggimi tu, fratello, se ancora non ti manca la mia compagnia…!” lo pregò.

Liberata la fibbia della cintura, si segnò rapidamente per poi spingere la barra tutta a sinistra, dopo aver portato il timone al centro. L’orizzonte ruotò rapidamente di centottanta gradi e Archie, chiuse gli occhi non appena si sentì risucchiare dalla gravità terrestre. Senza por tempo in mezzo, tirò la maniglia d’apertura che aveva già stretto in pugno e avvertì il fruscio del nylon[15] fuoriuscente dall’involucro. L’ombrello del paracadute si aprì regolarmente e il contraccolpo dell’imbragatura infierì purtroppo su una parte del corpo che la notte precedente aveva dovuto fare gli straordinari… Archie mandò un affettuoso moccolo alla sua consorte e all’intero genere femminile!

 

***

Nel frattempo i suoi gregari stavano indugiando sulla zona per capire se l’aveva scampata, ma il comandante di squadriglia fu costretto a richiamarli all’ordine: “Sparrow 2 a 2a Sezione: ripristinare la formazione e procedere al rientro!”

“Sparrow 10 a Sparrow 2… il tenente Cornwell è stato abbattuto dalla contraerea e s’è lanciato. Dobbiamo fare qualcosa!”

“E che vorresti fare, Crenshaw? Scendere a prenderlo? Non sei su un R-4.”[16]

“Ma, capitano… qua sotto è ancora territorio nemico!”

“Poco male… se è rimasto intero e riesce a non farsi beccare dai crauti per un giorno o due, le nostre truppe lo raggiungeranno.”

Il sottotenente Crenshaw strinse i denti per non mancare di rispetto al superiore. Quella fredda logica mitteleuropea gli dava parecchio sui nervi. Arch era suo amico, porca miseria!

“Signore, mi lasci scendere per vedere se è ancora vivo, la prego!” supplicò.

“Negativo, Sparrow 10: non ti basterebbe il carburante per rientrare. Finiresti in bocca ai pesci, in fondo alla Manica.”

“Correrò il rischio, capitano. La pelle è mia!”

“Ma l’aereo è dei contribuenti. Resta in formazione, è un ordine!”

“Roger…!!” grugnì Claude soffocando una bestemmia. E poi pensò: *Va’ in malora, malnato tirolese bifolco dei miei coglioni!*

Con l’animo pieno d’angoscia si mise a setacciare con lo sguardo il terreno sottostante, alla ricerca del paracadute di Archie, ma senza risultato. Sospirando, si concentrò allora sulla rotta, consapevole di avere adesso la responsabilità dei suoi due compagni di sezione.

 

***

Archibald Cornwell non ebbe modo di contemplare l’ameno paesaggio che si stendeva sotto di lui, poiché la bassissima quota da cui s’era lanciato gli concedeva un tempo di discesa piuttosto breve. Né poté disporre di un grande margine per controllare la direzione, sollecitando le funi di sostegno del paracadute. Aveva bensì adocchiato un invitante covone, accatastato vicino a una grossa cascina, ma ben presto si dovette accontentare di un’enorme platano che s’innalzava poco distante…

“Eh, no… miseriaccia d’una… ma puttana miseria…!!”

La tuttora viva e vegeta signora Elroy si sarebbe inorridita a sentire il suo nipote più distinto pronunciare quegli sconci epiteti da plebeo! D’altra parte due anni abbondanti di servizio militare avevano decisamente influito sul carattere dell’ultimo rampollo della facoltosa famiglia americana.

Dopo avere falciato numerosi rametti ed essersi contuso nelle parti più sensibili del corpo, procurandosi una discreta collezione di bitorzoli, il malcapitato aviatore della Decima Air Force riuscì finalmente ad avvinghiarsi a un nodoso ramo della prima biforcazione, a circa dodici metri d’altezza. Il più era fatto. Adesso si trattava solo di scendere…

*Povero me… e pensare che per Candy sarebbe come bere un bicchier d’acqua!*

Quest’auto-considerazione stuzzicò in qualche modo il suo orgoglio maschile: “Animo, amico… non vorrai mica farti bagnare il naso da una femmina, per quanto adorabile e in gamba sia. Sei un soldato, per di più…!”

Ciò detto, si sfilò i guantoni da volo per avere maggior presa sulla corteccia e iniziò a scendere cautamente lungo il tronco. Inutile dire che, dopo pochi secondi, rivoli di sudore gli scorrevano già fra l’intera peluria, drizzata dalla fifa.

“Mannaggia! Se solo mi fossi unito ad Anthony e Stear, quando Candy pretendeva d’insegnarci a salire sugli alberi, nel parco di Lakewood…”

Omise ovviamente di specificare che aveva resistito alle pressioni della biondina per la paura di compromettere il suo prezioso guardaroba. E ora ne pagava lo scotto.

“Coraggio…” mormorò, cercando di dominare la tremarella “…ancora qualche metro e ci siamo… piano piano… ecco… ancora un po’… oddio…!!”

A soli tre metri dal suolo il povero Archie perse completamente la presa e, complice anche il suo fisico non eccessivamente mingherlino (era sempre stato un amante della buona tavola, dilettandosi pure a cucinare, con grande disappunto di sua zia),[17] scivolò giù pesantemente, finendo col posteriore a terra, non rompendosi per poco l’osso sacro contro una nodosa radice.

Il dolore fu però talmente intenso da farlo ricadere supino sul terreno, privo di sensi.

***

Chiuso nel suo ufficio presso la base di Grant Field, sede del 99° Gruppo Caccia, il generale Andrew Steve Greason, comandante della Decima FA, stava consultando attentamente i rapporti pervenutigli, via via, dai responsabili dei reparti tattici.

Appoggiate alla scrivania si notavano le due stampelle di cui ancora doveva servirsi per camminare. Il decorso post-operatorio seguito all’incidente sul cielo di Eiserfeld era stato concordemente definito prodigioso da tutta l’equipe medica civile e militare. Il dottor Farrell non dubitava che, tempo qualche settimana ancora e l’aquila americana avrebbe nuovamente potuto spiccare il volo. Per fortuna, né le alte sfere dello SHAEF di Londra, né quelle dello JCS di Washington[18] avevano saputo della sua performance per neutralizzare la bomba fortuitamente sganciata dal Candy Candy!

Il generale Spaatz e il generale Arnold erano andati personalmente a trovarlo in ospedale per congratularsi sull’ottimo risultato dell’operazione contro il fantomatico laboratorio chimico e naturalmente avevano voluto sapere chi mai fosse stato quel pilota tedesco così abile da sorprendere dal basso il loro campione (era stata quella la versione “ufficiale”…) e il loro irrequieto pupillo, stringendo in una morsa la mano di Flanny, presente al colloquio, aveva spudoratamente risposto che anche ai migliori può capitare di farsi mettere sotto da un pivello fortunato e che la lezione gli sarebbe servita per non ripetere quell’errore, in futuro! Così aveva detto fissando la moglie negli occhi, che aveva compreso perfettamente a quale errore si fosse in realtà riferito il suo uomo.

La sua bella, cara, dolce e forte Flanny, che non gli avrebbe mai chiesto di smettere di volare. Andy le aveva bensì giurato che non avrebbe mai più corso un rischio così folle, ma la signora Greason era purtroppo sicura che continuare a dividere il marito con il cielo le avrebbe procurato ancora ansia e sofferenza a volontà. Aveva il diritto di farlo, specialmente ora che la sua meravigliosa compagna stava per dargli un secondo figlio? Era giusto continuare a rischiare di non poter tornare insieme alla sua famiglia, quando quel tremendo conflitto fosse terminato?

Cosa ci sarebbe stato di così disdicevole a proseguire il suo lavoro dirigendo la Decima Forza Aerea da terra? Non aveva già fatto abbastanza, come combattente? La sua esperienza organizzativa e la sua competenza tattica non lo rendevano palesemente più prezioso come coordinatore che come cacciatore, quando ad abbattere gli aerei con la svastica rimanevano pur sempre piloti come Jim Stone, Vic Sanders, Roy Master e Vinny Hames, ormai abili quasi quanto lui? Cosa sarebbe mancato, lassù, nella lotta, se quaggiù il loro comandante avesse finalmente restituito la serenità alla moglie?

Sarebbe mancata la leggenda… sarebbe mancata, in tutti i suoi aviatori, la consapevolezza che l’asso degli assi era insieme con loro. Sarebbe mancato il sostegno psicologico che dava il solo vedere quel Thunderbolt verde con il muso quadrettato e quell’aquila disegnata presso il cockpit. Quanti dei suoi ragazzi avrebbero continuato a dare il meglio di loro stessi, senza la sua tangibile presenza? E quanti di loro avrebbero magari perso la vita per la sua assenza? Anche il nemico si sarebbe fatto maggiormente spavaldo, non incontrandolo più in aria. Poteva Andy barattare il ritrovato sorriso di Flanny con le lacrime di tante altre mogli, tante sorelle, tante madri? E tanti altri figli che non sarebbero più nati?

E poi… rimanere lì, in quell’ufficio, in mezzo alle scartoffie, struggendosi a contare il tempo che mancava ad ogni rientro dei suoi uomini dalle missioni, con l’angoscia di non rivederne più qualcheduno! La perdita di un compagno in azione, per quanto scioccante, era riuscito, col tempo, ad assimilarla. Sarebbe riuscito a sopportare anche un mancato ritorno?

Il trillo del telefono lo fece sussultare, mentre si stava quasi assopendo, perso nelle sue meditazioni.

“Pronto? Parla Greason…”

“Andy? Sono Pryor…”

“Ah, Elliot… dimmi tutto!”

“Poco fa mi ha chiamato McMillian. La sua 15a Squadriglia è rientrata dalla missione su Saint-Lô…”

La gola dell’asso s’inaridì di colpo. Nella 15a Squadriglia, appartenente al 45° Gruppo d’Attacco del colonnello Patrick McMillian, volava il tenente Archibald Cornwell, marito di Annie Brighton, l’amica del cuore di Candy White. E il brigadier-generale Pryor non l’avrebbe contattato personalmente, se…

“È successo qualcosa…?” deglutì poi, stringendo i pugni, cogli occhi puntati sul ritratto di Flanny, posato sul tavolo.

“Beh… non so come dirtelo, ma… il tenente Cornwell risulta disperso in azione.”

Il cuore dell’asso mancò d’un battito. Strinse gli occhi, appoggiandosi allo schienale della poltrona, con appena la forza di reggere il ricevitore, mentre il comandante del 2° Stormo Tattico continuava a parlare: “Il rapporto del capitano Mayer riferisce che è stato abbattuto dalla contraerea, ma i suoi compagni di sezione l’hanno visto saltare. Purtroppo non hanno potuto vederlo arrivare a terra, ma ci sono buone probabilità che se la sia cavata.”

“Dove…” Andy dovette tossire più volte “…dov’è accaduto, esattamente?”

“A circa tre miglia a nord di Pont Hébert…”

Il generale afferrò una stampella, si alzò non badando alle fitte di dolore e s’avvicinò ad una mappa, appesa alla parete, raffigurante la Francia settentrionale. Recenti segni di pennarello marcavano l’estensione della testa di ponte del 21° Gruppo d’Armate[19] con la posizione delle principali unità.

Andy tentò disperatamente di concentrarsi, anche per evitare che gli tremasse la voce: “Si trova a meno di quindici miglia dalla linea del fronte… se la Quarta Divisione di Burton facesse una sortita in quella direzione, potrebbe raggiungere la zona in pochi giorni!”

“Lo pensavo anch’io” convenne Pryor “è per questo che t’ho chiamato subito. Se ne parlassi con Ike…”

“Non sono abituato a fare queste cose, Elliot!”

“Lo so, scusami. Ma, se stavo zitto, me ne sarei pentito fino al mio funerale.”

“Ti capisco… hai fatto bene.”

“Mi dispiace, capo… ma aspettiamo a pensare al peggio. Se è arrivato incolume a terra, quasi sicuramente è ancora vivo.”

“Sì, è probabile” concordò Greason, cercando disperatamente di convincersene “ma c’è anche il rischio che i crucchi lo abbiano ingabbiato!”

“Non è detto: se riesce a rifugiarsi in un villaggio o in una fattoria, i francesi lo nasconderanno fin tanto che le nostre forze respingeranno i tedeschi verso sud.”

“Iddio ti ascolti, Elliot… grazie di avermi informato.”

“Di nulla: non mi andava che lo venissi a sapere da un rapporto ordinario!”

“Grazie ancora…!”

Andy riattaccò, sospirando pesantemente. Si risedette poi cautamente sulla poltrona e rimase parecchi minuti chino sullo scrittoio, a sorreggersi la testa con la mano sugli occhi. Quando la ritrasse era leggermente umida…

Era successo di nuovo. Un’altra persona che aveva voluto seguire il suo esempio non era tornata indietro. E proprio lui: il fratello di Alistear Cornwell Andrew!

Come lo avrebbe detto a sua moglie? Con che coraggio avrebbe guardato in viso Candy?

Si portava dietro quel dannato presentimento da quando quel benedetto bon viveur aveva avuto la malaugurata idea di entrare in aeronautica e, alla fine, le sue peggiori previsioni si erano purtroppo avverate in pieno.

Restò lungamente a fissare il telefono, in alternanza colla foto della moglie, fin quando si decise a rialzare la cornetta e a chiamare il centralino: “Parla Greason. Passatemi l’ufficio del generale Eisenhower, per favore… sì, è urgente!”

***

Lo snebbiarsi del cervello e la discreta emicrania che gli martellava le tempie portò lentamente Archie Cornwell alla vita. Le sue membra non sentivano più la durezza del terreno, saggiata suo malgrado al termine della caduta dall’albero, ma una morbidezza rilassante come quella d’un materasso e anche l’epidermide percepiva il piacevole tocco liscio, come d’un lenzuolo di bucato.

Per un istante pensò di non essersi nemmeno alzato dal letto, quella mattina. Che sua moglie lo avesse davvero convinto a disertare la missione?

A siffatto pensiero, spalancò gli occhi… per ritrovarsi a contemplare, una volta che la vista gli tornò del tutto a fuoco, l’immagine d’una giovane donna dai riccioli biondi che le contornavano graziosamente l’ovale perfetto del viso, ingentilito da un nasino leggiadro, spruzzato di maliziose lentiggini. Due incantevoli occhi color acquamarina lo stavano fissando intensamente…

“Ca… Candy…!!” mormorò il tenente, con voce debole.

Un certo stupore animò quel bellissimo viso femminile: “Come sa il mio nome?” gli chiese, poi, nella lingua di Shakespeare, addolcita da un grazioso accento francese.

“Co… come?” balbettò l’aviatore, confuso, cercando di alzarsi.

“No, no… stia giù, la prego. Sente dolore…?”

“Io… non so… non mi pare…”

“Meglio così. Cerchi di muoversi il meno possibile o comunque lentamente. Grazie al Cielo non sembra avere niente di rotto, ma non si sa mai… purtroppo il medico non è in paese, oggi, ma domani verrà a darle un’occhiata. Speriamo che non si debba portarla all’ospedale: sarebbe troppo rischioso, coi boches in allarme!”

“Con chi…?” chiese, stupito, Archie.

“I boches… les allemands… i tedeschi!”

“Ah… è vero! Sono molto spiacente per questo disturbo… signorina…?”

“Signora… sono sposata” abbassò gli occhi, mentre un velo di tristezza le incupiva il volto “anzi, vedova. Mi chiamo Catherine…”

“Catherine…” ripeté l’aviatore, con un guizzo “…ah, ecco perché diceva…”

“Già…” sorrise la giovane “…quando si è svegliato mi ha chiamata Kathy!”

“Beh, io veramente…” s’impappinò “…oh, bah, non importa. Io mi chiamo Archie…”

Archie…??” ripeté lei, sconcertata.

“Archibald… Archibald Cornwell, di Chicago, Illinois. Familiari e amici mi chiamano Archie.”

“Capisco… io sono Catherine Beauville. Molto piacere!” sorrise.

“Onoratissimo, madame! Parla molto bene la mia lingua…”

“Niente di che: mi sono laureata in lingua e letteratura inglese alla Sorbona, prima della guerra.”

“Ah, caspita… complimenti!” esclamò lui, sinceramente ammirato.

“Grazie” un’altro sorriso, così simile al suo “ho insegnato tre anni in un liceo di Parigi. Poi, nel ’40, sono arrivati i tedeschi… mio marito, Philippe, è entrato nel maquis… la resistenza… e…”

Quei begli occhioni azzurri s’inumidirono e Archie provò una stretta al cuore. Dio santo, anche la sua voce gli ricordava quella di…

“Lo hanno preso?” le domandò, con tatto.

Lei annuì, tamponandosi gli occhi col fazzoletto: “Lo hanno arrestato nel ’41… lo condannarono a cinque anni di lavoro coatto, in Germania. Non era un franco tiratore, passava delle informazioni, distribuiva volantini propagandisitici, cose del genere. Ma poi… ci fu un attentato contro un ufficiale delle SS… e, per rappresaglia… lo fucilarono assieme ad altri partigiani che tenevano già in carcere!” ciò detto, cominciò a singhiozzare.

Incapace di resistere, il pilota della Decima si alzò dal letto, le si avvicinò e le mise le mani attorno alle spalle: “Mi dispiace… davvero, mi dispiace molto!”

Lei appoggiò la testa sulla spalla di lui, che istintivamente l’abbracciò con tenerezza. I suoi boccoli emanavano un delicato profumo di lavanda.

“Su, su…” le disse il pilota, carezzandoli dolcemente “…coraggio!”

“Avrebbero arrestato anche me” raccontò lei, dopo essersi ripresa, godendosi il tepore del corpo dell’uomo “se degli amici non mi avessero aiutato a lasciare Parigi. Rimasi nascosta per un anno… poi le acque si calmarono e i nazisti si scordarono di me. Così potei stabilirmi in questo villaggio…”

“E cosa fa, per vivere?” le domandò lui, senza nessuna curiosità indiscreta. Era interesse affettuoso, puro e semplice.

“Coltivo il mio orto e insegno alla scuola elementare. Non mi danno un gran che, ma non posso lamentarmi!”

“Certo… sono sicuro che i suoi alunni l’adorano!”

“Oh, sì” confermò lei, ricambiando inconsciamente l’abbraccio. Poi lo guardò in viso, per dirgli “tu… gli somigli molto, sai?”

“A chi…?”

“A Philippe… mio marito.”[20]

“Davvero?”

“Ti dà fastidio?” chiese Catherine, sembrando notargli del rammarico nella voce.

“Ma no, figurati” la rassicurò lui, adeguandosi a quell’improvvisa confidenza “e poi, se devo essere sincero… anche tu le somigli parecchio!”

“A chi somiglio…?” domandò la donna, alzando la testa e scrutandolo bene in volto.

“A una ragazza… di cui m’ero innamorato…” confessò malinconico l’ufficiale.

“Oh...! E anche lei è…?”

“No, no” si affrettò a chiarire lui “è solo che… non mi ha voluto!” sospirò.

Lei mostrò un tenero sorriso: “Ho capito” rispose, mentre gli accarezzava il petto “povero Archibald…”

“Chiamami Archie.”

Lei scosse la testa: “Non mi piace…!”

“Allora chiamami Arch” contropropose lui “nel mio reparto mi chiamano così.”

“Uff… di male in peggio. Cos’è questa mania di voi yankee per abbreviare sempre i nomi?”

“Per fare prima, no?” sorrise lui.

“Ma come mai avete sempre tutta questa fretta?”

“Non abbiamo fretta. Ci piace semplificare le cose.”

“E perché?” insistette lei.

“Non lo so… magari pensiamo che, in questo modo, i problemi si risolvano più facilmente.”

“Che pragmatisti, siete!”

“Forse… però siamo anche spontanei.”

“Già… troppo spontanei!”

“Troppo?”
“Guardati un po’…” lo esortò lei, con voce maliziosa, sciogliendo l’abbraccio. E, solo allora, il tenente Cornwell realizzò d’indossare soltanto i boxer e i calzini d’ordinanza!

“Santi numi… mi dispiace!! Non volevo… oh, accidenti…!” farfugliò, più rosso in faccia di quanto avrebbe voluto, mentre annaspava intorno alla ricerca disperata di qualche indumento.

“Ehi, calma…” la donna non riusciva a smettere di ridere “…non ti ho detto che sono una donna sposata?”

“Ma non con me…!!” obiettò il tenente, permeato dal solito puritanesimo americano.

“No… certo!” l’espressione di Catherine si rifece seria.

“Beh, comunque…” borbottò lo yankee, guardandosi intorno “…si può sapere dov’é finita la mia roba?”

“L’ho nascosta. Se arrivano i tedeschi…”

“Ah, già! Buona idea… però, un’altra volta, ricordati di levarmi pure questa!”

“Cos’è, un portafortuna?” domandò lei, sapendo quanto gli aviatori fossero superstiziosi (anche suo zio era stato un pilota, nella Grande Guerra).

Portafortuna?! È la mia piastrina militare: se i crauti me la trovavano al collo, tanto valeva che indossassi ancora la tuta di volo!”

“Oh… mi dispiace” si scusò Catherine, di nuovo leggermente divertita “dammela, la metterò insieme al resto.”

“Brava… già che ci sei, non avresti anche qualcosa da mettermi addosso?”

“Certo. Ti darò un vestito di Philippe.”

“Oh, no” sussultò Archie, imbarazzatissimo “non devi!”

Ma lei scosse la testa, sorridendo: “Non preoccuparti, avete giusto la stessa taglia… e poi, lui sarebbe stato felice di aiutarti!”

“Ti ringrazio di cuore, Can… Kat… Catherine” aggiustò il tiro, quando lei aggrottò le ciglia, con disappunto “anche per il pericolo che stai correndo per me!”

“Figurati… con quelli che correte voi, nel liberarci… sono quattro anni che vi aspettiamo!”

“Già…” ammise, lui, portandosi una mano alla nuca “…scusateci per tutto quel ritardo!”

 “Beh… l’importante è che ora ci siate!” concluse la giovane, prima di lasciare la stanza.

L’importante è che adesso ci sei… avrebbe invece voluto dire.



[1] Altri lo chiamavano invece La bella copia del cugino bombarolo (ovvero Legan)… quando entrambi non sentivano, però.

[2] Non si può cavare olio da una pietra, avrebbe detto l’interessata!

[3] Screaming Eagles, com’erano soprannominati i paracadutisti della 101st Airborne.

[4] Il famigerato Bocage, che sarebbe stato l’incubo dei soldati alleati per l’intera durata delle operazioni in Normandia.

[5] Nel settembre 1943 James Elliot Pryor comandava il 3° Gruppo Bombardieri del Greason Detachment in Sicilia e l’atterraggio fortuito del suo Douglas A-20 in territorio nemico aveva dato luogo all’allegra avventura svoltasi proprio nel giorno della proclamazione dell’armistizio fra l’Italia e le Nazioni Alleate, firmato cinque giorni prima da Castellano e Bedell-Smith (episodio ricordato da Schultz von Heindrich nel capitolo 19).

[6] Tutti reparti che esistono veramente: aprire il mio armadio per credere!

[7] Statisticamente occorrevano non meno di quattromila granate antiaeree per abbattere un bombardiere in quota e a velocità costante. L’elevata velocità relativa di un cacciabombardiere che picchiava verso il suolo o risaliva rapidamente (una volta alleggerito dal suo carico offensivo) rendeva ancora più difficile il tiro della Flak.

[8] 27 Kg. Erano chiaramente ancora missili non guidati, ma dimostrarono un’ottima efficacia contro i corazzati pesanti tedeschi tipo Tiger e Panther, che gli Sherman statunitensi e i Cromwell britannici affrontavano con notevole difficoltà.

[9] Mitragliatrice leggera, usata sui panzer in funzione antiaerea.

[10] High Velocity Aircraft Rocket (razzo aereo ad alta velocità).

[11] Si diceva che ci volessero almeno quattro Sherman per distruggere un Tiger e non molti di meno per un Panther. Ancor più esplicitamente, il generale Eisenhower aveva dichiarato che il modo più efficace per neutralizzare i panzer tedeschi era bombardare le fabbriche che li costruivano!

[12] Se solo Archie avesse saputo quanto gli scozzesi possano irritarsi nel venire chiamati inglesi, si sarebbe evitato parecchi guai col nostro amico attore! Il fatto è che molti dicono Inghilterra, quando dovrebbero dire invece Gran Bretagna.

[13] Gli artiglieri della Flak non facevano parte della Wehrmacht (cioè dell’Esercito), ma dipendevano tutti dall’aeronautica, secondo una precisa disposizione del Reichmarshall Hermann Göring. Se l’esercito (dove c’erano diversi generali anti-nazisti) avesse messo in atto un eventuale colpo di stato, si sarebbe trovato così senza alcuna difesa contro l’aviazione, interamente comandata da fedeli nazionalsocialisti.

[14] Non occorre precisare che a quell’epoca i sedili eiettabili presenti sugli odierni caccia erano ancora di là da venire, anche se si cominciavano a fare i primi esperimenti.

[15] Il nylon è nato nel 1940 e già sostituiva la seta nei paracadute d’oltreoceano.

[16] Il Sikorsky R-4 Hoverfly è stato il primo elicottero operativo al mondo, entrato in servizio nel 1943.

[17] Forse m’è tornato in mente l’Archie descritto nell’ultima parte del romanzo di Odyssea. A proposito della sua l’abilità culinaria, mi sono ricordato della trasferta di Grey Town, in compagnia di Annie.

[18] SHAEF: Supreme Head Quarter Allied Expeditionary Force (Quartiere Supremo della Forza di Spedizione Alleata), costituito all’epoca della pianificazione dello sbarco in Normandia e successivo comando generale Alleato fino al termine del conflitto, con sede a Londra, poi a Parigi. JCS: Joint Chief of Staff (Comando degli Stati Maggiori Riuniti), in pratica il vertice delle Forze Armate Statunitensi, dal dopoguerra chiamato comunemente Pentagono per via della forma geometrica del ben noto edificio che lo ospita.

[19] Comandato dal suo “amico” maresciallo Bernard Law Montgomery, vincitore della Battaglia di El Alamein.

[20] Cercate d’immaginare Archie non con la consueta pettinatura del manga o dell’anime, ma coi capelli tagliati corti alla militare. “Ragazzo: da domani, capelli corti così!!” gli aveva detto il suo primo superiore, subito dopo il suo arruolamento.

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Capitolo 25
*** Sull'orlo del precipizio ***


Capitolo 9: Chi non muore si rivede

Guerra e Lussuria: non c’è

 nient’altro che rimanga di moda

(William Shakespeare)

Capitolo 25: Sull’orlo del precipizio

 

UCPFH 25

 

 

“A

ndy… Andy, su… svegliati!”

“Mmmm… sgrunf…”

“Forza, generale… siamo in ritardo!!”

“Cinque minuti…”

“Neanche cinque secondi. In piedi…!”

L’asso degli assi dovette alla fine dar retta a quella vociaccia, nettamente dissimile dal timbro affettuoso della sua dolce metà, pur essendo ugualmente perentoria. Il generale di divisione James Patrick Stone, Capo di Stato Maggiore della Decima Forza Aerea, dovette però anche dargli alcuni energici scossoni, per costringere il suo diretto superiore ad aprire gli occhi.

“Jim… sei tu…?”

“Già… non sono Flanny, mi dispiace!”

L’altro grugnì di nuovo, volgendo il capo verso il comodino: “Che ora è?”

“L’ora che ti dia una strigliata, mandi giù una tazza di caffè e ti precipiti in Sala Operazioni: abbiamo il briefing fra dieci minuti!”

“Cosa??!” l’affermazione del suo vice spazzò di netto il torpore dal corpo di Andy “Oh, cavolo… devo aver dimenticato di caricare la sveglia!” affermò, schizzando fuori dal letto e dirigendosi verso la toilette, mentre si sfilava la casacca del pigiama.

“Secondo me non l’hai proprio sentita, invece!” ipotizzò il suo secondo.

“Dici…?” chiese Andy, fra uno scroscio d’acqua fredda e l’altro.

“Dico. Ti sei imbottito di sonnifero anche ieri sera o sbaglio?”

“Non sbagli…!” bofonchiò il collega, dopo essere uscito dalla doccia, mentre si strofinava coll’asciugamano.

“Se tua moglie viene a saperlo, sono guai!”

“Dimmi qualcosa che non so…” rispose Greason, abbottonandosi la camicia.

“Ciò che non so io” replicò il collega allungandogli i calzoni “è perché ti ostini a non avere un attendente!”

“Per non fare l’aristocratico nei confronti di mia moglie. Lo sai come ragiona” spiegò l’amico, calzando infine le scarpe “a parte che anche Candy mi prenderebbe in giro…”

“L’ho sempre saputo che avevi un debole per lei!”

“Finiscila” lo guardò brutto Andy, allacciando il cinturino del cronografo; poi guardò il quadrante “miseria… neanche il tempo di radermi!”

“Ehi, ti senti bene?” gli chiese seriamente James, stringendogli una spalla “Non hai una bella cera!”

“Infatti sto da cani. Che c’è di nuovo? Su, andiamo!”

“Ok…” sospirò l’altro.

***

Durante tutto il briefing il maggior-generale Stone non cessò di tener d’occhio il proprio comandante in capo, impensierito dall’aspetto teso che mostrava. Era da soli dieci giorni che il tenente-generale Greason era rientrato in servizio operativo. Quando il dottor Dumfryes gli aveva rilasciato l’idoneità al volo, i superiori, i compagni più fidati e in special modo la sua consorte avevano cercato d’indurlo a pazientare ancora per un po’… ma dopo aver compreso che più rimaneva a terra e più si sarebbe agitato, avevano dovuto rassegnarsi.

Il dottor Waxman, primario dell’ospedale St Mary, aveva confidato alla sua coadiutrice che forse c’era il modo di allungare i tempi “alterando” leggermente le diagnosi cliniche e, magari, nel frattempo, la guerra avrebbe anche potuto finire…

“È inutile, dottore” aveva risposto la signora Greason “mio marito tornerebbe in aria anche se avesse perso gambe e braccia. Sarebbe peggio. Ridiamogli il suo giocattolo e così sia!”

“Ma perché?!” aveva obiettato Candy, scandalizzata “Basterebbe che convincessimo il maggiore Dumfryes a suggerire un prolungamento di convalescenza. Magari gli darebbero un incarico al Dipartimento e…”

“Candy” l’aveva fermata la collega, con voce secca “io non farò una cosa simile a mio marito! È chiaro?”

“E quindi dovremo proprio rischiare di perderlo” incalzò l’altra, incapace di trattenersi “non bastavano Stear e Archie…!”

Flanny fissò l’amica con aria fredda e penetrante, che la fece arrossire fino alla cima dei riccioli: “Oh, Flanny… perdonami” mormorò poi, abbassando lo sguardo “non so che mi abbia…”

Mrs Greason s’avvicinò e quando Candy la sentì vicina rialzò a fatica il volto, aspettandosi uno sguardo di fuoco o magari anche uno schiaffo… ma vide solo un bonario sorriso: “Tranquilla… l’ho sempre saputo che avevi un debole per lui…!” le dichiarò apertamente.

Alla bionda gelò la schiena e deglutì faticosamente: “Ti giuro: è solo un fratello, per me…!” balbettò.

“Ne sono lieta per lui: si è sempre crucciato di essere figlio unico!” le rivelò l’altra, mollandole un buffetto. Poi si voltò e si diresse verso la corsia, scuotendo armoniosamente la coda di cavallo.

***

L’apparente stoicismo di Flanny aveva, come sempre, delle ragioni pratiche.

Da quando il tenente Archibald Cornwell era risultato disperso in azione, subito dopo lo sbarco in Normandia, il comandante della Decima FA aveva passato momenti eufemisticamente infernali. Il tentativo di farlo raggiungere dalle forze americane prima che i tedeschi lo “pizzicassero”, suggerendo al comandante supremo alleato - da sempre ammiratore dell’asso - di ordinare una puntata della 4th Infantry Divison verso Pont Hébert, si era purtroppo rivelato fallimentare, poiché la resistenza nemica, dopo l’iniziale sbandamento delle unità costiere, si era irrigidita notevolmente, soprattutto nella zona del Bocage, caratterizzata da una vegetazione lussureggiante che rafforzava fortemente la difesa.[1]

Cosicché, ai primi di Luglio del ’44, il fianco destro del fronte alleato (composto dalla Prima Armata USA di Courtney Hodges) si trovava ancora cinque miglia a nord di Saint-Lô, mentre il fianco destro (quello verso oriente, composto dalla Seconda Armata Britannica di Bernard Montgomery) aveva raggiunto soltanto i sobborghi di Caen, che sarebbe caduta soltanto il 18 Luglio, al termine di una violentissima battaglia.

La povera Annie Brighton Cornwell non aveva quindi avuto più notizie del marito da ben quattro settimane: 24 terribili giorni trascorsi singhiozzando nelle ore diurne e urlando in quelle notturne, molto spesso in preda agli incubi, tanto che era stato necessario ricoverarla in ospedale, dove Candy la teneva sotto stretta sorveglianza nel caso le passasse qualche idea malsana per la testa!

C’era voluto tutto il suo amorevole ascendente per farle recuperare un certo equilibrio, ripetendole decine di volte che, se ancora non si sapeva nulla del suo Archie, non voleva necessariamente significare che fosse morto, ma che, più probabilmente, si era nascosto da qualche parte con l’aiuto dei maquis,[2] giacché oramai, se i tedeschi l’avevano internato in uno stalag, la Croce Rossa internazionale avrebbe già dovuto comunicarlo.

Purtroppo per Andy, la conoscenza personale con la famiglia Cornwell non gli aveva permesso di lasciare che la compagna di Archie venisse informata del suo mancato rientro mediante un freddo comunicato ufficiale: il suo onore di gentiluomo l’aveva obbligato a riferirglielo di persona e, per superare una prova del genere, la sua inflessibile dolce metà aveva dovuto fare un discreto strappo alle regole, lasciando che il generale si scolasse almeno una mezza bottiglia di Bourbon!

“Tu me lo riporterai, vero Andy…? Il mio Archie non può essere morto, vero?! Tu me lo riporterai… ME LO DEVI RIPORTARE!!!” gridava la povera giovane trafiggendogli il petto coi suoi umidi occhi imploranti.

“Certo… sta’ tranquilla, Annie” non poteva che rispondere l’asso “Archie è un tipo in gamba. Come suo…” per fortuna si bloccò in tempo “…cioè… se la sarà cavata senz’altro! Io sono sicuro che è vivo… vedrai, lo ritroveremo!”

“Me lo devi giurare…!” lo incalzò lei, stritolandogli i polsi con le sue mani in apparenza così delicate.

“Annie… ti prometto che farò il poss…”

“GIURAMELO!!!” gridò la pupilla di Candy, perforandogli i timpani.

Profondamente scosso dalla disperazione che vedeva nel suo sguardo, il povero Andy aveva dovuto dichiarare, in un soffio: “Te lo giuro!”

Non può quindi stupire se la First Lady della Decima Air Force aveva preferito che il marito riprendesse servizio, ritenendo giustamente che rientrare nel suo elemento lo avrebbe distratto da quella terza esperienza traumatica[3] che lo costringeva a imbottirsi di sonnifero per dormire, quand’era costretto a fermarsi alla base. Non che dormire a casa gli desse comunque un sollievo maggiore, quasi che il sentirsi colpevole nell’aver separato quella coppia di amici gli proibisse di godere del conforto della moglie.

Meglio era quindi, anche per Flanny, risapere il suo uomo in azione, piuttosto che vederlo consumarsi quotidianamente dagli scrupoli; se non altro si sarebbe scongiurato il pericolo che l’aviatore chiedesse un trasferimento in fanteria per andare personalmente in Francia a cercare il marito di Annie! Infine, specie dopo quella folle picchiata su Eiserfeld, la signora Greason sentiva nella pelle che fino alla fine della guerra, il posto più sicuro per il suo compagno sarebbe sempre stato quello stesso aeroplano massiccio sul quale loro due si erano uniti nel cielo della Costa Orientale[4]

***

Rispetto all’energica signora Greason, il buon vecchio James era invece un po’ meno tranquillo mentre guardava il suo amico e comandante esporre ai piloti della sua unità “personale” i dettagli della missione in programma. La 10a Squadriglia Caccia avrebbe scortato una sezione di ricognitori fotografici A-26 su Villedieu-les-Roeles, dove risiedeva il comando della 7a Armata tedesca. Allo SHAEF[5] occorrevano precise informazioni sull’effettiva entità delle forze che il nemico avrebbe potuto scagliare contro l’Armata di Hodges, per impedirgli di superare il fiume Vire.

Mentre il generale parlava si notava nel timbro della voce una palpabile tensione e l’aspetto nient’affatto rilassato del suo viso non trasmetteva quell’usuale e carismatico entusiasmo che sempre aveva caricato come molle tutti i membri del reparto.

“Bene, ragazzi, è tutto. Ci vediamo sul piazzale!” concluse Andy, dopo aver fatto sincronizzare gli orologi.

I sei piloti della squadriglia si levarono dalle sedie per uscire dalla baracca e più d’uno, durante il tragitto, si girò  per sbirciare verso il capo che riponeva le carte nautiche nella cartella. Un’atmosfera indubbiamente diversa da quando il briefing si chiudeva con le solite battute scaramantiche, i fischi e le pacche sulla schiena. Tutto questo non faceva che aumentare l’apprensione di Stone.

“È tutto OK, Andy…?” tornò a chiedergli, una volta che furono all’aperto.

“Certo che sì!” fu la risposta laconica.

“Sicuro?”

Andy sbirciò curiosamente il suo vice: “Sinceramente, ho un discreto mal di testa… ma appena in volo, come sempre, passerà subito tutto!”

“Meglio così. Dopotutto hai ripreso da poco e…”

“Ti preoccupi troppo, Jim” lo interruppe il collega, mollandogli un leggero e affettuoso cazzotto sul braccio “lo sai che, per me, volare è un toccasana!”

“Lo so, lo so… è per il tuo Jug che mi preoccupo: è in convalescenza pure lui!”

“Con un medico come Carling, il mio aquilotto passa direttamente dall’infortunio alla guarigione” sogghignò Andy “non è vero, vecchio mio?”

“Comandi, signore. Diceva?”

“Scusa l’impudenza, amico. Ma il compare qui presente vorrebbe rassicurarsi sull’efficienza del nostro apparecchio!”

“È al 100%, signore” rispose il capo-meccanico “cerchi solo di non forzarlo troppo nelle picchiate…”

“Tranquillo, Nat: lo sai che vado sempre coi guanti di velluto!”

“Certo, come no?” ribatté ironico James “Bah… ci vediamo di sopra.”

“Buon decollo, Jim…!” concluse l’asso, indossando l’imbragatura del paracadute, aiutato da Carling. Montò poi sull’ala sinistra del Thunderbolt ed entrò nell’abitacolo. Dopo i soliti controlli di prammatica contattò la torre, che gli diede subito il via.

“Contatto…!” annunciò il pilota.

“Buona caccia, come sempre, signore!” gli augurò Carling col pollice alzato sul braccio teso. Andy accennò un salutò e spinse la manetta, mandando al massimo il motore: “Ruggisce che è un piacere… cockpit chiuso!” gridò al suo specialista, prima di far scivolare il tettuccio fino alla posizione di blocco.

Lo Yankee Eagle, trainato dalla possente Hamilton Standard, abbandonò la piazzola di stazionamento per rullare lungo il raccordo che immetteva nella pista n° 1 dell’aerodromo di Grant Field, subito seguito dal Patty Ann II di Stone. Non molto distanti, le due Sezioni della 10a Squadriglia, precedute dal Dallas Blonde del capitano John Maxim (CO) e dal Down for Double del 1° tenente Hank Oaxley (2° capo-sezione) uscivano anche loro dai parcheggi per raggiungere le posizioni di decollo.

Come da prassi, dopo aver posizionato il ruotino di coda sulla linea mediana della pista, Andy chiese conferma alla torre di controllo, dopodiché comunicò ai suoi capi-sezione: “Bravo 761 ad Alpha 008 ed Echo 906: decollo immediato. Stabilizzarsi a 12000 piedi, come da istruzioni.”

“Roger, 761!” risposero le voci di Maxim e Oaxley.

Quando la formazione di caccia ebbe raggiunto l’altitudine prescritta, la voce del comandante tornò a farsi sentire: “Assumere formazione in scalata sulla rotta due-zero-sette. Manetta in crociera economica. Jim, prova a contattare la pattuglia di Harper…”

 “Roger” rispose il secondo “qui Eagle chiama Buzzard… Eagle chiama Buzzard… mi sentite, Buzzard? Over!”

Dopo pochi secondi e qualche scarica, la voce del 1° tenente Malcolm Harper, leader della 2a Pattuglia dell’88a Squadriglia di Appoggio, risuonò negli auricolari della 10a da Caccia: “Hallo, Eagle: qui Buzzard Two. Stiamo raggiungendo il punto Beta. Dovreste reperirci da un momento all’altro.”

L’Aquila Americana aguzzò la vista, non tardando a scorgere il luccichio provocato dal sole sulle argentee superfici degli Invader: “Ricognitori a ore due, quota 10000… vi vediamo, Mal: vanno bene i nuovi giocattoli?”

“Sono perfetti, signore: delle vere libellule. Anzi, delle vespe, visto l’armamento: non vediamo l’ora di provarlo!”

“Smorzate i bollori, ragazzi: oggi servono le foto, non altre svastiche sulla carlinga. Semmai, a quelle, provvederemo noi. Eagle a Buzzard, chiudo!”

“Wilco, generale. A dopo!” concluse Harper.

Le due sezioni di caccia, precedute dai due capi-formazione (Andy e James) si posizionarono ai fianchi della pattuglia degli A-26, tenendosi la sezione di Maxim a una quota maggiore e quella di Oaxley ad una minore, così da garantire la massima copertura.

Il volo sulla Manica fu privo d’incidenti e, una volta sorvolato il litorale all’altezza di Port-en-Bessin (i cui moli trasudavano tuttora di veicoli, derrate e munizioni scaricate dalle Liberty)[6] la formazione della Decima Air Force raggiunse ben presto la zona dell’obiettivo.

“Target a due miglia” annunciò Andy “potete scendere per le vostre foto, Buzzard. Noi rimaniamo su a coprirvi il sederino!”

“Buzzard Two a Eagle One: wilco. Scendiamo in planata, Jeffrey” dispose quindi il tenente Harper al suo gregario “camere pronte!”

“Roger, Mal!” rispose il sottotenente Ripper.

I due Invader sorvolarono quindi il terreno sottostante, mentre le fotocamere K22 facevano scattare gli otturatori attraverso le finestrature dei portelli di stiva. I loro protettori della 10a Squadriglia non vedevano che una folta vegetazione circondare i sobborghi di Villedieu, ma sapevano che un attento esame degli specialisti avrebbe rivelato la presenza dei carri tedeschi, ben mascherati sotto il fogliame e le reti mimetiche.

All’improvviso un vero putiferio di traccianti si sollevò dalla verde coltre della campagna, dimostrando che lo stesso ragionamento era stato formulato dalla concorrenza: a quel punto era meglio impedire che quei rulli di pellicola ripassassero il Canale della Manica!

“Buzzard 1 a Buzzard 2” trasmise Harper al suo secondo “ridiamo manetta e filiamo, prima che la Flak ci faccia a pezzi…!”

“Non me lo faccio ripetere, Mal!” rispose subito Ripper.

Gli ottomila cavalli di potenza complessiva sviluppati dai quattro Pratt & Whitney Double Wasp sollevarono di nuovo i due ricognitori verso la quota di sicurezza. Per fortuna gli stanati reparti nemici non disponevano di contraerea pesante.

“Quei timidoni se la sono presa, a quanto pare!” commentò burlescamente il generale Greason, quando l’aereo del tenente Harper si riavvicinò al suo Thunderbolt.

“Forse non si sentivano molto fotogenici” stette al gioco il leader della 2a Pattuglia “ma quando arriveranno qui sopra quelli del 45°, rimpiangeranno le nostre fotografie!”

“Parole sante” commentò Andy Greason “e vedremo se…”

“Eagle Five a Eagle One: banditi a ore cinque!!” lo interruppe bruscamente la voce del capitano John Maxim.

Il comandante trasalì e, puntato lo sguardo nella direzione segnalata, non tardò a discernere quattro puntini che ingrandivano progressivamente nel suo campo visivo: “Qualcosa mi diceva che non avremmo sprecato benzina per niente… c’è lavoro per noi, Jim!”

“Wilco, Andy” rispose Stone “Johnny, vienci dietro e lascia i tuoi con i recco!”[7]

“Roger, Eagle Two” rispose Maxim “Hank, resta con Buzzard. Charlie e Jerry a rinforzo con Eagle Eight!”

“Roger, captain” confermò il suo gregario, sottotenente Charles Jones “fateli neri, mi raccomando!”

“Puoi contarci!” replicò il texano, inforcando gli occhiali e spingendo la manetta del suo Dallas Blonde.

Mentre i ricognitori si allontanavano sulla rotta di ritorno assieme alla loro scorta, i tre veterani della Forza Aerea si diressero con decisione contro i nemici, pienamente fiduciosi di sistemarli, pur essendo in leggera inferiorità. Spirito sportivo a parte, avevano lasciato cinque caccia cogli A-26 per non lasciarli troppo sprotetti.

“Sono 109” annunciò Andy, dopo avere aguzzato la vista “attenzione a non farvi mettere il sale in coda.[8] Nel caso, muso in giù a tutta manetta!”

“Roger…!” risposero i compagni.

La schwarm di Messerschmitt si divise in due rotte, la seconda delle quali picchiò risoluta verso il gruppo degli Invader, che aveva probabilmente avvistato per prima; la pattuglia di punta rimase invece in quota, sdoppiandosi a sua volta per scompaginare la formazione avversaria.

“Ah, vogliono giocare?” si chiese il nostro asso “Bene, li accontenteremo! Eagle One a Eagle Two: io curo l’aereo di testa, tu segui il gregario. Guardaci le spalle, Eagle Five!”

“Conti su di me, signore!” rispose Maxim.

Lo Yankee Eagle si gettò quindi sulla scia del 109 che aveva guidato la formazione tedesca, mentre il Patty Ann II di Stone si metteva sulle tracce dell’altro. Cosa strana: mentre la distanza diminuiva, grazie all’accelerazione superiore del suo caccia, lungi dal provare l’usuale eccitazione da pre-combattimento, Andy Greason si sentiva pervadere da una strana ansietà, accompagnata da uno leggero struggimento…

*Che mi succede? Non avrò mica la tremarella?!* commentò, con un sorriso forzato.

Il 109, che lo aveva visto, eseguì subito una virata imperiale per invertire la direzione guadagnando quota, ma Andy scosse il capo, beffardo: “Mossa inutile, kamerad: il tuo aquilone somiglierà allo Zero, ma il mio non assomiglia al P-40…!”

Spingendo a fondo la manetta, Andy eseguì una larga virata in leggera salita, che se anche non annullava il vantaggio in altezza, almeno lo portava fuori tiro. I due caccia si ritrovarono ben presto su rotte convergenti, iniziando una gara di minor velocità: chi l’avesse perduta sarebbe finito diritto nel mirino dell’altro!

“A te la precedenza, amico!” dichiarò quindi Andy, abbassando completamente i flaps, dopo aver tirato la manetta indietro. Ma quando sembrava proprio che il Messerschmitt stesse per sfilargli davanti al muso, il pilota tedesco eseguì un superbo tonneau,[9] che precluse allo yankee la possibilità d’inquadrarlo.

“Cavolo, è un Emil… e ci sa fare, il ragazzo!”

Per non superare il mancato bersaglio trovandosi a sua volta col culo per terra, il generale spinse la barra in una picchiata, ben sapendo che, se avesse imitato la manovra del Messerschmitt, a quella velocità il suo pesante P-47 avrebbe rischiato di andare in stallo.[10] Livellato l’aereo quasi all’altezza delle cime degli alberi, Andy fece una virata a semicerchio per tornare sui suoi passi, scrutando attentamente il cielo sopra di sé: “Eccoti lassù, crucco bello… ti gira un po’ la testa per quel numero da circo, vero? Ora te la faccio passare io…!”

Ritirò i flaps, mise il passo dell’elica al minimo e ridiede tutto gas, dopo avere arricchito la miscela. Con un possente rombo lo stellare a diciotto cilindri fece vorticare le pale della Hamilton a 50 giri al secondo, riportando lo Yankee Eagle verso la quota precedente. Quando l’altimetro gli segnalò di trovarsi a circa 1000 piedi teorici sopra il nemico, tornò ad invertire la rotta per cercare di mettersi in coda al tedesco, che non tardò a individuare un poco più in basso, mentre teneva una traiettoria cautamente serpeggiante.

“Sei meno stupido di quanto pensavo, amico… non mi trovi più, eh? E dire che ho ancora le invasion stripes[11] ad aiutarti… peggio per te!” disse, infine, gettandosi in picchiata, dopo avere regolato il mirino.

Tuttavia, un istante prima di riuscire a inquadrarlo, l’agile Emil si tolse repentinamente dalla linea di tiro del Thunderbolt eseguendo una mezza rollata…

“Son of a bitch…!!”[12] imprecò il nostro asso, colto di sorpresa, mentre le otto scie dei suoi traccianti si perdevano nel vuoto. È inutile dire che, dopo pochi secondi, l’aereo di Andy si ritrovava il Messerschmitt allineato alla sua coda!

“Ti piacerebbe, eh?!” disse il marito di Flanny, scostando violentemente la cloche per eseguire a sua volta un tonneau, essendo adesso la sua velocità sufficiente per non stallare. Ma il caccia tedesco, facilitato dal miglior rapporto fra peso e potenza,[13] imitò la manovra, mantenendo la posizione di vantaggio.

“Okay, bastardo, ho capito che sai volare” sbottò lo yankee, osservando i traccianti sfiorargli la cabina e qualche colpo da 20 mm bucherellargli le estremità delle ali “sarà meglio che tolga il disturbo…!”

E così, rovesciato com’era in quel momento, alzò ancora la barra per verticalizzare il muso in una candela ma, prima che potesse portarsi fuori dalla mira dell’avversario, avvertì uno schianto secco provenire da dietro le spalle e notò subito dopo una preoccupante scia biancastra fuoriuscire dallo scarico ventrale. A conferma di quanto avvenuto, il pilota notò azzerarsi sul cruscotto la lancetta del sovralimentatore…

“Maledizione: m’ha fottuto la turbina!!”

Con 300 cavalli di potenza in meno, il massiccio P-47 si trovava davvero in braghe di tela nei confronti del leggero 109… la più elementare prudenza consigliava all’americano di disimpegnarsi subito, sempre che vi fosse riuscito! Ma purtroppo il nostro eroe, frustrato dall’essere stato toccato per la seconda volta,[14] preferì dare ascolto all’orgoglio, richiamando l’aereo per trasformare di nuovo in altezza la velocità.

Forse era stata la provvidenziale presenza d’una nuvola a spingere l’asso verso quella mossa da sciocco novellino: in caso contrario il pilota del Messerschmitt avrebbe potuto tagliargli tranquillamente la virata e castigarlo duramente per la sua ingenuità. Protetto invece da quella coltre bianca, Andy riuscì a sfruttare la sua comunque maggior velocità per allontanarsi dal tedesco, riguadagnando la quota perduta.

Una volta risbucato nel cielo libero, lo Yankee Eagle fece una nuova virata a semicerchio e il pilota si rimise a scrutare lo spazio circostante, quando lo raggiunse un messaggio di Stone: “Eagle Two a Eagle One… mi ricevi, Andy?”

“Ti ricevo, Jim… situazione?”

“Quei krauts ci hanno bucherellato un po’, ma ce ne siamo liberati. È stata dura, però: erano davvero in gamba. Fra un momento saremo da te!”

“Negativo, Eagle Two: raggiungete gli altri sulla rotta di rientro. Siamo già a corto di carburante!” ribatté il capo, dando un rapido sguardo al televel.

“Ma se tu…”

“Non preoccupatevi per me… sistemo il mio kraut e arrivo. Passo e chiudo!”

“Andy, non fare fess…” provò a ribattere James, imprecando contro quel maledetto spirito da rompicollo che tornava sempre a far capolino nel suo superiore nei momenti meno opportuni “Eagle Two a Eagle Five: prendi tu il comando, Johnny: vado a dar man forte a quel matto!”

Ma il capitano Maxim, prim’ancora di poter dare il ricevuto, dovette a sua volta segnalare un’altra improvvisa emergenza: “Altri quattro krauts a ore due, vice-leader!”

“Dannazione eterna…!!” replicò, sgomento, Stone.

Con la morte nel cuore, il capo di stato maggiore della Decima Air Force dovette quindi rimanere coi compagni per fronteggiare la nuova minaccia e lasciare che il suo comandante rimanesse a sbrigarsela da solo…

***

Dopo aver richiuso la comunicazione con James, Andy non aveva tardato molto a rintracciare nuovamente il suo avversario, il quale procedeva guardingo, oscillando sempre le ali per eliminare gli angoli morti.

“Eccoti, furfante… visto che non riesco a venirti in coda, vediamo come te la cavi in un attacco frontale!” concluse, ridando manetta e puntando direttamente sul Messerschmitt.

Senza dubbio il generale Eaker, attuale comandante della Quindicesima Air Force e suo ex istruttore alla scuola di Spanner Field, lo avrebbe preso per entrambe le orecchie prima di rifilargli un cicchetto da levargli il contropelo: una mossa del genere poteva rivelarsi una sciocchezza incomparabile contro un caccia armato di tre cannoni, anche se Andy poteva contare sulla rapidità delle sue otto Colt-Browning rispetto alla bassa cadenza degli Oerlikon dell’Emil;[15] ma un tiro a deflessione zero avrebbe annullato questo vantaggio, senza contare che il caccia tedesco poteva integrare (e correggere) il tiro con le due Rheinmetall MG17 sincronizzate sul muso…[16] ma tant’è: anche i campioni possono sbagliare, specialmente se irritati dall’aver trovato un osso più duro del solito da rosicchiare, preoccupati dei compagni impegnati a distanza e infine pervasi da un vago presentimento che cresceva man mano con l’impressione che quel 109 aveva in effetti qualcosa di familiare. Impressione mutatasi in certezza all’ennesimo tonneau effettuato da quest’ultimo, consentendo all’acuta vista dell’aquila americana di riconoscere i contrassegni che portava in fusoliera…

“SCHULTZ…!!!” gridò lo yankee, con un sussulto, rincuorandosi al contempo di averlo mancato, a parte qualche foro superficiale.

Disgraziatamente il tiro del tedesco era stato più fortunato e diversi rumori poco rassicuranti si fecero sentire nel vano motore, seguiti quasi subito da sinistre quanto dense scie di fumo grigio provenienti dai flabelli della NACA…

“Cristo santo… m’ha beccato…!!”

***

“Aaargh…!!”

“Flanny… stai bene?!”

Quel grido improvviso e il successivo sinistro clangore di ferri fecero accorrere l’infermiera White verso la bruna collega, che si era portata rapidamente la mano su un fianco lasciando cadere il vassoio con l’attrezzatura che stava riportando al magazzino.

“Mmm…” gemette la responsabile del reparto paramedico dell’ospedale St.Mary, curvandosi da una parte mentre si massaggiava la parte sofferente.

“Cara, che ti succede…? Siediti, presto!” esortò l’amica bionda aiutandola a obbedirle, mentre l’altra cercava di riprendersi eseguendo profonde inspirazioni.

“Ti gira la testa?” s’informò ansiosamente Candy “Forse è meglio che ti stenda…”

“No… m’è passato. Vorrei solo un po’ d’acqua…”

“Te la porto subito!”

La compagna di lavoro s’affrettò a riempire un bicchiere al vicino lavabo per poi tornare precipitosamente a porgerglielo. Mentre l’altra beveva non resistette però all’impulso di riprenderla: “Dovresti riguardarti meglio, nel tuo stato! Hai avuto un mancamento, vero?”

Flanny scosse la testa: “Ho sentito una fitta fortissima al fianco…”

“Una fitta?! Non dirmi che…”

“Ma figurati, sono appena al secondo mese!” ribatté la mora, con un pizzico d’ilare sconcerto.

“E allora?”

“Mah… forse uno strappo muscolare… spero!”

“Flanny, vuoi capirlo che adesso devi lavorare di meno? E come sarebbe a dire spero…?”

L’amica rivolse alla bionda uno sguardo da stringerle il cuore: “Spero che… il motivo non fosse psicologico…!”

Tante volte, quand’erano allieve alla Mary Jane o tirocinanti al Santa Johanna di Chicago, Candy aveva fortemente desiderato che fra lei e la compagna s’instaurasse una maggiore comprensione. Adesso la dolce biondina era invece angustiata che ve ne fosse perfino troppa: “Andy è in missione, stamani…?” chiese, con un po’ di titubanza.

“Sì…!” rispose la signora Greason, con un filo di voce appena.

***

“Finalmente l’ho preso!! Zum Teufel[17]… è stata dura!” esclamò con sollievo l’expert a bordo dell’Emil, osservando la figura dello Jug mentre si allontanava picchiando, lasciandosi dietro una densa scia di fumo.

“Complimenti, herr oberst” udì nella cuffia la voce del suo secondo “un altro uccellino yankee ad arricchire la sua collezione!”

“Lascia perdere, Kurt… ce l’ho fatta per miracolo. Era un vero demonio!”

“Un demonio temerario” giudicò il mayor Kurt Henskel, capo del 1° Jagdstaffel e vice-comandante del 234° Jagdgeshwader “per affrontare un 109 con un P-47 in combattimento manovrato!”

“Ach so…  non doveva essere molto saggio! Proprio come… oh, scheisse!!” sussultò all’improvviso l’oberstleutnant Schultz von Heindrich, comandante  dell’intero Stormo. Un atroce sospetto gli era balzato nel cervello, scaricatosi dalla tensione dello scontro.

*Himmel, non può essere… mein Gott, fa che non sia vero!!* pregò il povero asso della Luftwaffe ridando piena manetta e spingendo la cloche per fiondarsi all’inseguimento di quel Thunderbolt, con intento ben diverso dal precedente.

“Schultz, ma dove vai?!” gli gridò dietro Henskel.

“Riporta i kinder alla base, Kurt... io torno appena posso!”

“Aspetta: vengo con te!”

“Negativo: il carburante è misurato al millilitro. Tornate alla base, è un ordine!”

“Già… invece il tuo Daimler va anche a pipì, buono a sapersi!” sospirò il maggiore Henskel, non osando, come ogni buon tedesco, disobbedire al proprio superiore. Rientrato nei ranghi, trasmise ai due colleghi: “Rotta verso casa, jungen. Il capo ha un affare urgente!”

“Non dirmi che vuol prendersi un souvenir dal suo bersaglio. Chi si crede, il Barone Rosso?” motteggiò l’oberstleutnant Gunther Schroeder.

“Se è successo ciò che penso io” intervenne l’altro gregario “stasera si festeggia alla grande!”

“Turati quella bocca da nazista, Helmut” ribatté Kurt con tutta la rabbia spuntatagli in corpo “per Schultz sarebbe terribile… specie dopo quel che è successo ad Eiserfeld, l’Aprile scorso!”

“Coi buoni sentimenti non si vince la guerra!” insistette il tenente-colonnello Muller.[18]

“L’abbiamo già persa la guerra, testa di cappero!” sentenziò il maggiore Henskel, prima di chiudere bruscamente il contatto.

Subito dopo il fedele secondo di Schultz si concentrò sulla rotta di rientro, pregando di cuore che il suo comandante non avesse davvero abbattuto per sbaglio il suo  “amichevole nemico” americano!        

***

Pur continuando ad andare a benzina, il DB601 ruggiva disperato per tirare verso terra il piccolo Emil dell’oberst von Heindrich, i cui occhi brucianti fissavano sbarrati lo Yankee Eagle fatalmente ferito dalle raffiche dei suoi Oerlikon. Senza distogliere lo sguardo dal suo malcapitato bersaglio, supportato dalla propria consumata esperienza, l’expert smanettava contemporaneamente sul quadretto della radio per mettersi in contatto col pilota: “Andy… Andy… mi stai sentendo?” domandò con voce strozzata “Rispondimi, ti supplico… sono Schultz…!! Mi ricevi…? Passo…”

Dopo le solite scariche, la voce del collega raggiunse gli auricolari del tedesco: “Mi venisse un accidente!! Eri tu, allora, diavolo d’un mangiakrauts…!”

“Sì, Andy… perdonami… non volevo… non ho fatto in tempo a riconoscerti… sei ferito?”

“No, tranquillo. Non angosciarti, sono cose che ca… MA PORCA D’UNA BALDRACCA, SCHULTZ: hai scoperto un’altra delle nostre frequenze??!”

Il tedesco sospirò. Solo Andy poteva alterarsi d’un tal particolare mentre stava picchiando verso terra con l’aereo fuori uso!

“Al diavolo le frequenze, Andy… salta giù da quell’aereo, prima di precipitare!”

“Scordatelo: atterrerò tranquillamente. Non mi aggiungerai alla tua collezione!”

“Pazzo indemoniato d’uno yankee” esclamò aspramente l’altro “vuoi fare felice von Kruppen solo per il tuo stupido orgoglio del cavolo?”

“Schultz, quest’uccellino m’ha salvata la buccia troppe volte perché lo lasci diventare un ammasso di rottami. Non temere, ce la farò! Stammi vicino, se vuoi…”

“Sai bene che non ti mollerei in nessun caso, scapestrato divoratore di pop-corn…!”

“Dankeschön, mein freund!”[19] sorrise l’americano, profondamente commosso.

“Bitte… e adesso bada bene a ciò che fai!”

Andy alzò il pollice con fare deciso, quindi staccò i contatti e mise l’elica in bandiera. Quasi subito le scie di fumo calarono d’intensità, mentre il bestione continuava a scendere. Tenendo sempre d’occhio l’anemometro per non rischiare uno stallo, il pilota azionò i flaps per contenere l’accelerazione, mentre scrutava attentamente il terreno sottostante.

“Quella radura fa proprio al caso mio: Juggy non dovrebbe risentirne troppo!”

“Cerca di pensare anche per te” puntualizzò il tedesco “e attento a non finire contro gli alberi!”

“Figurati: eseguivo i miei primi atterraggi, quando tu facevi ancora il chierichetto!”

“Modesto come tutti gli yankies…!” borbottò Schultz.

Ormai esperto in atterraggi di fortuna e nient’affatto preoccupato che quello fosse il terzo che affrontava, Andy indirizzò il velivolo sulla lunghezza d’un campo coltivato, facendo abbassare la coda a circa trenta metri dal terreno. Dopodiché sbloccò il tettuccio e lo fece scorrere all’indietro, premendo infine i dischetti del laringofono per mandare all’amico un ultimo saluto: “Sto per toccare, Schultz… ora puoi anche andartene o attirerai l’attenzione su di me!”

“Prima voglio vederti sgambettare fuori da quel Thunderbolt… cerca piuttosto di non farti prendere, perché stavolta non ci sarò io, a salvarti il culo!”

“Il vecchio Otto non mi avrà. Al prossimo crucco abbattuto da me, saprai che me la sono cavata.”

“Sbruffone…  in bocca al lupo!”

“Crepi… alla prossima, mio affezionato kraut!”

I sessanta secondi successivi furono i più lunghi nell’avventurosa esistenza dell’oberst von Heindrich, che per fortuna poté finalmente osservare il voluminoso caccia posarsi sul terreno dopo un paio di balzi contenuti. L’unico inconveniente era la seconda Hamilton da sostituire[20]

Ringraziando il suo paracadute, che gli aveva fatto provvidenzialmente da cuscino, Andy sbucò fuori dall’abitacolo e rimase in piedi sull’ala destra, massaggiandosi un braccio che aveva urtato la console laterale. Come s’accorse del collega, ancora sopra di lui, si levò il foulard dal collo, sventolandolo allegramente: “Uno a zero per te, Schultz! Spero che adesso i tuoi superiori siano soddisfatti e non ti rompano più l’anima…” commentò l’asso, senza troppo rimpiangere la sua perduta invincibilità.

“Con quel culo che si ritrova, scommetto che i nostri non riusciranno nemmeno a grattargli l’aereo” commentò il tedesco, quasi avesse letto i suoi pensieri “così non passerò nemmeno alla storia per aver buttato giù l’aquila americana…!”

Non era in effetti costume, per un serio professionista come lui, farsi accreditare una vittoria senza esibire una prova dell’avvenuto abbattimento; il rammarico di arricchire il suo curriculum proprio con l’aereo del suo “amichevole nemico” rimaneva un fatto puramente secondario. O forse no?

 

***

“Ti senti meglio, Flanny…?” domandò a quest’ultima la voce premurosa dell’amica.

La mora annuì con la testa: “Credo di sì. Le fitte sono cessate di colpo.”

“Cosa può esserti successo?” domandò Natalie, che aveva dato man forte a Candy nel costringere la signora Greason a prendersi mezz’ora di riposo, con le buone o con le cattive “Il dottor Waxman ha detto che era tutto regolare…”

“Evidentemente la piccola Lucy comincia ad essere impaziente di venire al mondo!” commentò, sorridendo, la collega lentigginosa.

“Lucy non c’entra niente” obbiettò la mora scuotendo la coda di cavallo “sarà piuttosto quell’incosciente di suo padre ad averne combinata una delle sue!”

Anche Candy avvertì una stretta al cuore, accompagnata da uno di quegli sguardi che facevano arricciare il naso a Terence quando la sua fiamma correva col pensiero all’amico acquisito. Più d’una volta il talentuoso attore aveva meditato di dare un calcio al suo antimilitarismo per arruolarsi nella RAF… ma sapeva che, anche in uniforme, le alte sfere lo avrebbero piazzato nel settore ricreativo per galvanizzare il personale con la sua oratoria shakespeariana, piuttosto che affidargli uno Spitfire e per questo aveva desistito.

“Stai tranquilla, Flanny” le disse la bionda “lo sai che non esiste nessun pilota tedesco che potrebbe abbattere tuo marito!”

“Candy ha ragione” s’affrettò a ribadire Natalie “l’unico che forse potrebbe tenergli testa, sappiamo bene che non lo farebbe mai!”

“Vi ringrazio del conforto, amiche mie” sorrise mestamente la loro mentrice “ma purtroppo, in guerra, non si può mai sapere…!”

 

***

Quando l’aereo di von Heindrich scomparve definitivamente all’orizzonte, Andy Greason smise di gesticolare nella sua direzione, si diede una grattatina al mento, già lievemente irsuto, per poi battere le mani, come a volersi destare da uno stato di tranche: “Bene: e adesso che ci siamo divertiti, vediamo di pensare al da farsi…!”

Volgendo lo sguardo intorno, adocchiò subito un capace covone poco lontano e cominciò ad applicare la sua prima risoluzione. Affondò le mani nella paglia e ne trasportò una manciata presso il suo caccia, lasciandola cadere su un’ala: “M’aspetta un bel lavoraccio! Avessi almeno una pala…”

Un altro, al posto suo, si sarebbe messo in cammino senza indugio verso le linee alleate, senza correre il rischio d’essere pescato da una qualche pattuglia tedesca. Con una produzione media di 326 esemplari al mese,[21] la Republic Aircraft Corporation poteva garantire all’USAAF un rimpiazzo praticamente immediato, ma il nostro eroe non avrebbe giammai sostituito il suo fedele Yankee Eagle con un gemello qualsiasi e tantomeno lo avrebbe lasciato in balia dei crucchi, che lo avrebbero magari portato a von Kruppen come trofeo personale! Sudando copiosamente sotto il sole estivo, Andy impiegò quasi tre ore a ricoprire l’apparecchio e quando si lasciò cadere sull’erba a riposarsi, era già pomeriggio inoltrato.

“Auff… e anche questa è fatta! Cinque minuti di fiato e mi metterò in marcia…” trangugiò di gusto la tavoletta di cioccolato della sua razione K e appoggiò la schiena al covone “contraffatto” da lui stesso realizzato.

*Se spuntano i crauti, non farò altro che cacciarmi anch’io sotto la paglia!* pensò, fiducioso.

Se non che, complice la stanchezza per il lavoro compiuto, aggiuntasi all’impegno psicofisico della missione, l’aviatore piombò suo malgrado in un sonno di piombo, dal quale lo strapparono una rude scossa e una perentoria voce gutturale: “Zu fuss! Hande loch, schnell…!!”[22]

Il povero Andy spalancò gli occhi, ritrovandosi a fissare la faccia non proprio amichevole di un tenente della Wehrmacht: “Ehi, ma dico… è questa la maniera di turbare il sonno dei pacifici cittadini? Come vi permettete?”

“Poche ciance” ribatté severo l’ufficiale, passando scioltamente alla lingua inglese “chi è lei? Nome, grado e matricola, avanti!”

“Io… ehm.. Smith… tenente John Smith. Matricola 460921…”

“Cosa ci fa, qui?”

“Ehm… sono pilota da ricognizione. M’hanno abbattuto i vostri caccia. Senza rancore, naturalmente!”

“Capisco” il tedesco mostrò un sorriso mellifluo “non vi dispiace mostrarmi i vostri documenti, bitte?”

“I documenti? Ah, sì, certo! Solo un attimo…” l’americano finse di frugarsi un po’ dappertutto “…toh, ma guarda che testa: proprio stamattina ho dimenticato di mettermeli in tasca… sono davvero spiacente!”

“Herr leutnant: venite a vedere…!”

Purtroppo i soldati della pattuglia non erano sprovveduti e, mentre il loro comandante s’intratteneva amabilmente col pilota nemico, due di loro avevano infilato i Mauser 98[23] nella paglia del covone e un sordo rumore metallico aveva ben presto rivelato quanto si celava all’interno. L’ufficiale s’avvicinò quindi al punto indicatogli dal sottoposto, mentre gli altri tenevano d’occhio il prigioniero e, dopo avere scostato un po’ di paglia, portò malauguratamente alla luce i caratteri dorati che componevano il nome del velivolo, sormontati dall’aquilotto con la testa bianca: “John Smith, eh…?”

Masticando un’imprecazione, Greason raccolse tutta la sua faccia tosta per fare un ultimo tentativo: “Herr leutnant… non crederà davvero che quell’affare sia mio, vero? Io piloto le cicogne,[24] gliel’ho detto. Non saprei nemmeno farlo alzare in aria, quel bestione. Scherzerà…!”

Per tutta risposta il graduato gli si mise di fronte e, senza tanti complimenti, allungò una mano a frugare sotto il foulard della combinazione di volo, da dove estrasse una coppia di piastrine metalliche vincolate a una catenella: “Basta con questa commedia, herr general… la sua faccia riempie di continuo le prime pagine di tutte le testate d’oltreoceano. Crede che i nostri agenti non siano in grado di procurarcene qualche copia?!”

A quel punto il povero Andy ritenne opportuno fare buon viso a cattivo gioco: “Sono nei guai, è vero?”

“Abbastanza. E se vuole evitarne di peggiori, sarà bene ci segua senza troppe storie!”

“Farò il bravo…” sospirò lo smascherato asso degli assi.

“Alla buon ora!” replicò il tenente, facendo cenno ai suoi subordinati.

Due di essi s’affrettarono a perquisire il pilota, per poi metterglisi ai fianchi, mentre il comandante impartiva l’ordine di riprendere la marcia. La pattuglia procedette quindi verso sud, portando seco il prezioso “bottino”, beandosi i soldati al pensiero d’una licenza premio e il tenente alla prospettiva di una promozione o magari della Croce di Ferro!

Assai meno allegri erano i pensieri del prigioniero, che già si vedeva nelle grinfie di Otto von Kruppen. Purtroppo il generaloberst delle SS aveva giurato di fargliela pagare per tutte le azioni di attacco subite dalla sua Quinta Panzerarmee ad opera dei cacciabombardieri della Decima Air Force, dichiarando sovente che, se lo avesse avuto in mano vivo e vegeto, non avrebbe avuto pietà! Solo nel caso fosse rimasto inabile al servizio militare, in seguito a gravi ferite sofferte nel corso d’un eventuale abbattimento, il suo nemico personale avrebbe rispettato le leggi di guerra che vietano d’infierire sui prigionieri. Per von Kruppen gli aviatori alleati erano una sorta di pirati che infierivano codardamente sui tedeschi dal cielo per la loro congenita incapacità di affrontarli alla pari sul campo di battaglia. Come se poi la Luftwaffe non avesse fatto altrettanto su tutti i nemici della Germania, fin quando le sue risorse glielo avevano consentito!

Scappare era l’unica soluzione, ma occorreva agire con il massimo della freddezza: una mossa falsa e quei cerberi dagli stivali chiodati l’avrebbero freddato immediatamente con una scarica dei loro Schmeisser. Andy si risolse quindi ad attendere il calare delle tenebre, ostentando nel frattempo la massima pacatezza per tranquillizzare maggiormente i suoi guardiani.

Le riflessioni di tutti non durarono però a lungo… un lontano ronzio, a malapena percepito, aumentò rapidamente, assieme all’apparire, nel cielo ormai rosso, della minacciosa sagoma di un caccia…

“Achtung…!!” gridò Andy, la cui vista, degna del rapace che lo simboleggiava, gli aveva consentito di scorgerlo prima degli altri.

“In mezzo all’erba, presto!!” ordinò il tenente.

L’americano e gli altri quattro tedeschi non se lo fecero ripetere due volte, tuffandosi con estrema rapidità in mezzo alle piante di grano che coprivano il campo adiacente alla rotabile percorsa. Non fecero nemmeno in tempo a sdraiarsi che udirono il crepitio delle mitragliatrici, seguito dal fruscio delle canne che si tranciavano. L’asso americano, con la faccia spiaccicata sul terreno e le braccia a riparo della nuca, venne scosso dalle vibrazioni trasmesse dai proiettili penetranti nelle zolle circostanti e decise che fare da bersaglio fuori da un aereo era mille volte peggio che non farlo dal suo interno!

Un urlo straziante gli perforò quasi il timpano destro e capì che il soldato tedesco più vicino a lui era stato colpito. Quando gli parve che il rumore del caccia diminuisse, Andy s’azzardò ad emergere dalle spighe e scorse l’elegante figura di uno Spitfire stagliarsi netta nella luce serale mentre s’allontanava virando.

*Figurati se non era un inglese* pensò, sarcastico *ma allora ditelo, che ce l’avete con me…!*

Subito dopo rivolse la sua attenzione allo shutzen[25] che si lamentava contorcendosi: il povero ragazzo, nemmeno ventenne, s’era beccato un proiettile da 303[26] nella schiena. Cercando spasmodicamente di raggiungere la ferita con le mani, la sua imberbe e lacrimosa faccia terrorizzata ben poco si confaceva con lo stereotipo dell’invitto guerriero appartenente alla razza eletta. La sua modesta erudizione medica (derivata dalle lezioni della moglie) fece comprendere ad Andy che, continuando in quel modo, il ferito rischiava di sollecitare la pallottola, provocando dei danni magari peggiori.

“Sta fermo, stupido” gli gridò, afferrandolo a corpo morto, mentre gli altri si avvicinavano. Si rivolse poi all’ufficiale “tenente, il suo uomo ha un proiettile nella schiena. Bisogna levarglielo, prima che danneggi la spina dorsale!”

“Brutto affare” commentò il capo-pattuglia dopo aver biascicato un’imprecazione “non abbiamo medicamenti, con noi!”

“Se mi lasciate tornare al mio caccia posso prelevare il pacco di sopravvivenza…”

Il tedesco lo guardò in modo strano: “Ottima idea… ma, se permette, vi accompagneranno i miei uomini!”

“Naturalmente.” rispose, asciutto, il pilota.

“Gut… fate presto. Kranz, Beier…!”

I due soldati scattarono prontamente, scortando quindi il prigioniero sul luogo del fortunoso atterraggio, dove, riportato alla luce l’abitacolo, il pilota prelevò quanto serviva. Tornati sui loro passi, Andy aprì il contenitore con la massima tranquillità, sorvegliato attentamente dai tedeschi. Il ferito, già denudato nella parte offesa, continuava a lamentarsi sommessamente per il dolore, pur cercando d’imporsi un contegno: “Prima di procedere sarà meglio praticargli un’iniezione di morfina… ho la sua autorizzazione?”

Dopo avere esitato un secondo, l’ufficiale assentì, fiducioso: “Faccia pure, herr general. Non è solo la Luftwaffe a considerarla un galantuomo!”

“Molto obbligato…!” rispose lo yankee, ricambiandogli il sorriso. Prelevò la piccola capsula cilindrica contenente l’antidolorifico e, una volta scoperchiatone l’ago, l’affondò nella carne del ferito, le cui membra, dopo un lieve sussultò, poterono rilassarsi.

“Coraggio, kamerad: è come cavarsi un dente. Chi mi presta una baionetta, bitte?”

Il tenente fece cenno a un soldato che lo guardava perplesso e costui allungò l’arnese all’improvvisato chirurgo, che ci versò sopra un po’ di tintura di iodio, ripetendo l’azione sulla ferita, che esaminò attentamente: “T’é andata bene, ragazzo: un pollice più al centro e addio colonna vertebrale…” con la massima delicatezza, introdusse la lama a intercettare il proiettile e lo fece saltar fuori “…così, invece ti becchi una bella licenza di convalescenza e quando riprendi servizio, magari la guerra sarà già finita. Ce n’è di gente fortunata…!” posò allora il proiettile sul palmo del soldato, stringendogli sopra la mano.

“Danke…!” borbottò lui, con voce flebile.

“Non credo possa camminare” disse ancora Andy, al tenente “ma ho convinto i suoi a portare qui il mio paracadute, così possiamo ricavarci un’amaca. Ha mai visto qualche western, tenente?”

“Ho fatto in tempo a vedere Ombre Rosse, prima che in Germania lo vietassero.[27] Sono lieto di vedere che ci sono yankee in gamba, anche fuori da Hollywood!”

“Già, peccato non ci siano rimasti, eh tenente?” lo stuzzicò Greason, facendogli l’occhiolino.

L’ufficiale alzò le spalle: “Non è dipeso né da lei, né da me. Ora vada e sia prudente!”

“Come dice, scusi…?” chiese l’americano, spalancando gli occhi.

“Le ho detto di andare. Con due dei miei occupati a trascinare quell’amaca non potremmo tenerla d’occhio a sufficienza, giacché si sta facendo buio. Lei una ne fa e cento ne pensa, per cui preferisco non correre rischi. Auf wiedersehen, mein general…!” concluse, battendo i tacchi e salutando impeccabilmente.

“Perdiana… il mio amico Schultz von Heindrich poteva trovare un modo meno rischioso per mostrarmi d’avere degli adepti nella Werhmacht!” esclamò l’asso, tendendo d’impulso la destra al generoso ufficiale.

A buon intenditor, poche parole. L’acuto tenente comprese tante cose e rispose, nello stringerla: “Mi spiace che abbia perso la sua imbattibilità, signore… d’altra parte, se non l’avesse spuntata il nostro miglior pilota, non potrei raccontare un giorno ai miei nipotini di avere stretto la mano ad Andrew Steve Greason. Helmut Dolfmann, onorato!”

“Io pure. Beh, ringrazi Schultz quando lo vede… ma si guardi da un altro suo compatriota che non sarebbe molto soddisfatto di com’è finita la giornata… a buon rendere!” l’aquila americana si portò la mano al berretto e riprese a incamminarsi in direzione nord.

Osservandolo sparire nella calante oscurità, il tenente Dolfmann si lasciò scappare un ghigno: “Quello yankee ha proprio ragione: il generaloberst von Kruppen non sarebbe affatto contento… d’altra parte era un bel pezzo che aspettavo l’occasione di giocare un brutto tiro a qualcuna di quelle miserabili SS…!”

 

***

“Archie… ci sei?” domandò una gentile voce di donna.

“Sono qui, Cathy… che succede?”

“Puoi uscire, cherie… fa già buio.”

Il tenente Cornwell si alzò in piedi,  stiracchiandosi le membra: “Che ore sono ?”

“Quasi le nove. Hai fame?” chiese ancora la francesina.

“Beh, un boccone lo manderei giù molto volentieri!”

“Allora vieni…”

“Eccomi.”

I due se ne andarono in cucina, dove la giovane vedova aveva imbandito la tavola. Al centro faceva bella mostra un bel pollastro, accanto a una ciotola d’insalata. Poco distante una coppa di frutta (mele, pesche, alcune ciliegie) davano un tocco di colore assieme al bottiglione di vino rosso e non mancavano le classiche baguette di pane. La tenue luce delle candele dava a tutta la scena un tocco decisamente intimo.

“Caspita, che meraviglia” esclamò stupito l’americano “sembra quasi un banchetto d’addio!”

La donna ebbe un fremito: “I boches sono andati avanti e indietro tutto il giorno. Qualche ora fa si sentivano anche le cannonate. Credo che il fronte si stia avvicinando…”

“Sì, anch’io le ho sentite” confermò Archie, versandosi da bere “può darsi che i nostri, domani, saranno già qui…”

“Già…” sospirò la biondina, spezzando il pane, mentre lo guardava cupamente.

L’uomo la imitò, per poi rivolgerle un caldo sorriso: “Su, Cathy, non ti angustiare… dove sta scritto che non ci rivedremo più? I tedeschi si stanno ritirando, lo sai… magari per Natale la guerra sarà finita. Allora lo zio Sam ci metterà tutti in libertà e…”

“…e tu tornerai a casa!”  concluse la francese, con accento acre.

Archie rimase interdetto un istante: “Non necessariamente” disse poi “potrei rimanere a Parigi, trovare un impiego alla nostra ambasciata. Tu potresti tornare a insegnare laggiù e…” s’interruppe per portarsi alle labbra il bicchiere.

“…e tua moglie?”

Il Pernod gli andò di traverso e lo yankee cominciò a tossire. Quando riprese fiato, la fissò con decisione: “Ci penseremo con calma…”

“Archibald Cornwell Andrew” ribatté la donna, stingendo i pugni “io non voglio essere solo la tua amante. Sono stata chiara?!”

“E chi ha mai detto questo, Cathy?”

“Mi chiamo Catherine… credevo di avertelo detto!”

Intuendo la velleità battagliera dell’amica, l’aviatore contò mentalmente fino a dieci, prima di rispondere: “Okay… va bien” si corresse “senti, lo so che voi europei - e voi francesi, in particolare - ci considerate una specie di barbari, ma io sono un gentiluomo! E ti assicuro che, se ti amo al punto da avere una relazione con te dietro le spalle di mia moglie, ti amo abbastanza per chiederle il divorzio. Per me, il male è lo stesso!”

Lei distolse lo sguardo verso la finestra: “Il male… certo!”

“Cerca di capirmi, cherie: anche se il mio è stato un matrimonio d’interesse e non sono mai stato veramente innamorato di Annie, le voglio comunque bene. Non posso scaricarla così, a freddo! Mi serve un po’ di tempo, per riflettere…” appoggiò la mano su quella di lei e cominciò a carezzarla.

Catherine lo guardò profondamente, mentre i suoi occhi s’inumidivano: “Oh, amore… hai ragione, sono una sciocca egoista! Non so cosa mi sia successo…” singhiozzò “…dopo aver perso Philippe credevo di non potermi innamorare mai più… poi sei arrivato tu e…”

“Lo so” rispose lui, accentuando la stretta della mano “anch’io credevo che la vita non mi avrebbe mai offerto un’opportunità come questa… anni fa, quando capii che la ragazza di cui ero innamorato sul serio non mi avrebbe mai ricambiato, decisi d’assecondare il sentimento della ragazza che i miei genitori avevano scelto per me. Ciononostante, l’ho sempre considerata una specie di sorella, pur impegnandomi a farla felice…”

“Ma lei ti ama…?” s’informò Catherine, con una certa ansietà.

“Molto” dovette ammettere lui “ed è anche molto buona. Come se non bastasse, è anche l’amica del cuore di Candy!”

“La ragazza che mi assomiglia?”

Non ti assomiglia: è il tuo ritratto sputato avrebbe voluto precisare lui. Ma si limitò ad annuire: “Per Annie è una specie di sorella maggiore. Infatti sono cresciute insieme, all’orfanotrofio… questo per dirti che, se farò a mia moglie una cosa del genere, saranno in due a volermi morto!”

“Non dirmi che, adesso, anche quella Candy ti…”

“No, no” negò il pilota, con gesto deciso “lei è persa dietro il suo Terence Grenchester, figurati…!”

“Chi, l’attore? Il celebre interprete shakespeariano di Broadway?”

“Sì, lui…!” confermò Archie, con una smorfia, ricordando la loro vecchia ruggine, mai del tutto estintasi.

Cathrine rimuginò per un attimo: “Io e Philippe andammo a vederlo, durante una tournee parigina della Stratford Company… è indubbiamente bello e bravissimo! Credevo però che fosse scapolo…”

“Infatti non si sono mai sposati, per quanto si amino. Troppo testardi e indipendenti di carattere per legarsi così ad un’altra persona. Dopotutto sono liberi, loro…!”

“E tu non lo sei…” concluse la donna, malinconica.

“No” confermò lui, riempiendo e tracannando un altro bicchiere di Pernod “ma vorrei esserlo…!”

La francese lo guardò con occhi semichiusi: “Non è detto che tu non riesca a diventarlo…”

“Mah… ne dubito!”

“Dopotutto non sei certo un debole, col mestiere che fai…”

“Direi di no… ma forse è più facile volare con quegli ammassi di ferraglia, sparare con le mitragliatrici e mollare bombe, piuttosto che prendere le decisioni giuste nel corso della vita! Certe volte non ce la fai proprio a decidere, Catherine... e allora scappi” contemplò per un momento il vino nel bicchiere “forse anche mio fratello era scappato, tre anni fa… e ci ha rimesso la pelle!” concluse, vuotandolo.

“Ma tu non devi scappare” ribatté la donna, stringendogli anch’essa la mano “devi affrontare il problema e fare la scelta giusta!”

Archie le lanciò uno sguardo languido: “E quale sarebbe la scelta giusta…?” le chiese, con soffusa ironia.

“Quella che ti indica il cuore…!” rispose lei, quasi sussurrando, avvicinandosi poi per mettergli le mani sulle spalle.

Lui sospirò: “Vorrei tanto riuscire a farlo, Catherine!” 

“Puoi farlo…” ribadì lei, con convinzione, avvicinando le labbra alle sue.

“Da… davvero…?” domandò Archie, sentendo come un lieve capogiro. Il suo profumo era inebriante, mentre i 13 gradi del vino facevano il resto.

“Davvero…!” confermò la giovane, baciandolo infine con ardore.

Da lì in poi, fu tutto un precipitare… dopo essersi scambiati altri due o tre baci roventi, i due si alzarono e, tenendosi per mano, raggiunsero la camera da letto, dove si sfilarono rapidamente gli abiti, per poi infilarsi sotto le coperte…

“Sei bellissima…!” mormorò il tenente Cornwall, contemplando i suoi boccoli biondi che le contornavano il viso lentigginoso.

“Come lei…?” mormorò la giovane, maliziosamente.

“No” scosse la testa l’uomo “come te…!”

Lei si avvicinò, stringendolo in un dolce abbraccio. Lui la baciò ancora, carezzandole la chioma dorata. Il contatto della loro pelle calda li stava facendo impazzire…

“Ti amo… Cathy…!” dichiarò lui.

“Allora prendimi… Archie…!” lo pregò lei.

Improvvisamente, un attimo prima di mollare i freni inibitori, la porta si spalancò… scampati per miracolo a un infarto, i due amanti improvvisati rimasero a fissare quell’intruso, che indossava la combinazione di volo dell’aeronautica statunitense.

“Ops… scusatemi!! Niente paura, sono un amico… americain… je suis americain!”

Per nulla rassicurati, i due “reprobi” continuavano a scrutarlo con terrore, specialmente l’uomo, che esclamò ad un tratto: “Signor generale…!”

Al suono di quella voce, Andrew Steve Greason sgranò tanto d’occhi: “Tenente Cornwell… cosa diavolo ci fa qui?!”

Prevenendo il suo partner, incapace anche solo di riordinare le idee, la padrona di casa prese in mano la situazione e replicò, indignata, tirandosi le lenzuola fino al mento: “Lo vede bene cosa stiamo facendo, scostumato! Ci spieghi piuttosto cosa fa lei, in casa mia…”

“Sono mortificato, madame” rispose il comandante della Decima Air Force, senza più nessuna traccia d’imbarazzo “ero entrato per sfuggire alle pattuglie tedesche. Ho visto i resti della cena, al piano terra e credevo che la casa fosse stata evacuata… scusatemi se vi ho interrotto!” concluse, rivolgendo un’occhiata significativa al suo subordinato.

“Non era ancora successo niente, generale…!” si giustificò il tenente, alzatosi a sedere.

“Lasci perdere, Arch: non è a me che dovrà fornire giustificazioni! L’aspetto di sotto, fate con comodo…” si portò due dita alla fronte “…di nuovo le mie scuse, madame…!”

Andy Greason richiuse l’uscio, con discrezione. Il povero Archie Cornwell si lasciò allora ricadere sul cuscino col volto disfatto, mentre la sua aspirante seconda moglie affondava la faccia nel proprio, soffocandovi disperatamente i singhiozzi…                                                                                                                                                                                             

 

 

 

 



[1] Gli appezzamenti della Normandia erano circondati da folte siepi, cresciute su compattissimi terrapieni, che nemmeno i veicoli corazzati riuscivano a sfondare. Questo costringeva le fanterie ad attraversare i campi senza poter contare sull’appoggio ravvicinato dei carri armati, subendo perdite molto gravi dal nutrito fuoco dei difensori. Anche i genieri che tentavano di aprire varchi nei terrapieni facendovi brillare delle cariche esplosive, venivano spesso falciati dal tiro delle micidiali  Spandau tedesche.

[2] I partigiani francesi.

[3] La prima era stata la morte di Stear, in Cina e la seconda l’incontro con la sua fidanzata, a New York (vedi capitoli 4 e 15).

[4] “Finché me lo riporta indietro, non m’importa di dividere il mio uomo con quell’aeroplano: alla fine, ingombrante com’è, in camera da letto non può portarselo!” aveva detto una volta Flanny, facendo sbellicare le sue smaliziate colleghe (e arrossire la pudica Candy).

[5] Il Comando Supremo Interalleato.

[6] Le Liberty erano mercantili formati da sezioni realizzate in precedenza da diverse fabbriche, anche lontano dalle coste e infine assemblate nei cantieri navali per rendere il montaggio più rapido rispetto a quello delle navi tradizionali. Dal 1941 al 1945 ne vennero varate più di 2700, contribuendo a neutralizzare il blocco navale da parte degli U-Boat tedeschi.

[7] Ricognitori (da Reconnaissance).

[8] Intende dire di non farsi raggiungere da dietro…

[9] Vite orizzontale.

[10] Rallentando cioè al di sotto della velocità di sostentamento.

[11] Letteralmente Strisce di Invasione: alla vigilia dello sbarco in Normandia, su tutti gli aerei alleati (qualunque ruolo e dimensione avessero) vennero dipinte cinque strisce di identificazione (tre bianche e due nere) per evitare casi di fuoco amico sia dall’aria che da terra.

[12] Figlio di…” beh, si sarà capito!

[13] Con un peso al decollo di 2010 Kg e una potenza di 1050 HP nel motore, la versione E del Messerschmitt 109 (detta Emil) aveva un rapporto peso/potenza di 1,91 Kg/HP, mentre il P-47 D, con un peso di 8000 Kg e un motore da 2000 HP ce l’aveva di 4,4 Kg/HP, che calavano a 3,83 grazie all’apporto  di 300 HP a parità di quota, fornito dal turbocompressore.

[14] La prima era successa in Cina, da parte di un Nakajima Hayabusa giapponese, incidente grazie al quale aveva conosciuto la sua futura moglie (vedi cap. 1).

[15] La Colt-Browning M2HB sparava 13 proiettili da 12,7 mm al secondo, contro le 6 da 20 mm dell’Oerlikon MGFF; quindi, per ogni secondo di tiro, il P-47 di Andy poteva “innaffiare” l’avversario con una “rosa” di 104 proiettili, mentre il Me 109 gliene avrebbe tirati solo 18, anche se di calibro maggiore.

[16] Mitragliatrici leggere da 7,92 mm con una cadenza di tiro di 18 colpi al secondo (15 se sincronizzate).

[17]Al diavolo!

[18] Amico personale di Otto von Kruppen e deciso censore dell’amicizia fra Andy Greason e Schultz von Heindrich.

[19]Grazie, amico mio!

[20] Finché si tratta dell’elica…

[21] Dato stimato dal sottoscritto, ricavato dalla produzione totale di 15683 P-47 dal 1941 al 1945. 

[22]In piedi! Mani in alto, presto…!

[23] Fucile a ricarica manuale, in dotazione standard all’esercito tedesco.

[24] Monomotori leggeri, ad ala alta, impiegati per il trasporto di persone singole o la ricognizione. Fra i modelli più celebri del tempo c’erano il tedesco Fieseler Fi156 Storch, l’americano Piper L4 Grasshopper e il britannico Westland Lysander Mk.I.

[25] Soldato semplice.

[26] Trecentotre millesimi di pollice, pari a 7 millimetri e 7 decimi: il calibro delle mitragliatrici leggere della RAF.

[27] Ombre Rosse, di John Ford, col celebre attore John Wayne, girato nel 1939.

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Capitolo 26
*** Il sofferto ritorno all’ovile ***


 

 

Capitolo 9: Chi non muore si rivede

 Tutti gli uomini desiderano diventare il primo amore di una donna.

Le donne, più intelligenti, preferiscono diventare l’ultimo amore di un uomo

(Oscar Wilde)

Capitolo 26: Il sofferto ritorno all’ovile

 

UCPFH 26

 

F

ra le tre e le quattro antimeridiane del 16 Luglio 1944, l’USS Whitehurst (DE634), cacciatorpediniere di scorta della classe Butler, stava solcando le acque della Manica verso la base navale di Portsmouth. L’unità, ai comandi del Capitano di Corvetta Lawrence Partridge e appartenente al TG 16.1[1], stava rientrando in sede per rifornirsi di provviste e munizioni dopo un mese di servizio ininterrotto a protezione delle operazioni di sbarco davanti a Utah Beach.

La cabina del primo ufficiale, ubicata dietro il quadrato di prua, ospitava gentilmente due inconsueti passeggeri. La fioca luce azzurrina prescritta dalle procedure di oscuramento mostrava vagamente le loro sagome: il primo, completamente disteso sulla branda, una mano sul petto e l’altra penzolante dal bordo, era immerso in un sonno profondo come indicava il leggero russare. Il compagno, di alcuni anni più giovane, restava invece seduto sulla cuccetta, fissando le mani intrecciate con uno sguardo assai cupo. Il marcato ronzio delle macchine gli arpeggiava discretamente i nervi e, se lo avesse potuto, avrebbe affondato con le sue mani quella maledetta bagnarola, a costo di finire davanti al plotone d’esecuzione! Anche la vista del suo superiore, che ronfava placidamente col sorriso sulle labbra, contribuiva ad aumentare il suo dispetto.

Bella forza: lui tornava dalla sua adorata moglie, che solo due giorni prima era svenuta davanti a tutto l’ospedale St.Mary, quando il maggiore Farrell, giunto personalmente da Grant Field, le aveva annunciato la lieta novella: il generale, sano e libero, sarebbe presto rientrato in Inghilterra. Guarda caso, proprio in quel momento la signora Greason e la sua collega Candy White stavano assistendo la povera Annie, nuovamente ricoverata d’urgenza per una delle sue crisi isteriche e l’ufficiale medico del 99° Gruppo Caccia era stato oltremodo felice di poter riferire anche a lei che il tenente Archibald Cornwell, del 45° Gruppo d’Attacco, scampato miracolosamente alla prigionia dopo il suo abbattimento nell’azione del 7 Giugno, sarebbe rientrato assieme al generale.

C’era voluta quasi l’intera scorta di biancheria dell’ospedale per asciugare le lacrime di gioia versate dalla signora Cornwell e anche la sua bionda amica del cuore aveva dovuto inumidire qualche fazzoletto per sfogare l’immane sollievo provato. Senza contare gli affettuosi ringraziamenti che l’ex compagno di squadra di suo fratello avrebbe ricevuto dalla sua antica fiamma e sua consorte, per poi concludere il “giro d’onore” fra le grazie appassionate della propria… no, decisamente il generale Andrew Steve Greason, in vista del suo reintegro a capo della Decima Forza Aerea - alla faccia del generaloberst Otto von Kruppen e grazie all’amicizia dell’oberstleutnant Schultz von Heindrich e al rispetto del leutnant Helmut Dolfmann - non doveva davvero preoccuparsi troppo per il suo ritorno all’ovile… mentre invece, per il tenente Archibald Cornwell Andrew era decisamente tutta un’altra faccenda!

A un certo punto, oppresso da tutti quei pensieri e sempre irritato dal tranquillo russare dell’asso degli assi, il fratello minore del povero Alistear si levò di scatto, deciso a prendere una boccata d’aria. Non appena raggiunta la tolda, una forte brezza salmastra lo travolse in pieno. Richiuso il portello dietro di sé, l’aviatore si diresse a poppa, barcollando leggermente per il rollio e il beccheggio della piccola nave, che procedeva a 18 nodi sopra un mare forza quattro.

Superato il castello di poppa e la torretta col pezzo da 5 pollici, aggirò la postazione con le due antiaeree da 20 millimetri, trascinandosi fino all’alberetto portabandiera, situato fra le due tramogge delle bombe di profondità. Aggrappatovici saldamente, si mise a scrutare il tenebroso orizzonte, dove non poteva più scorgere la costa francese.

A occhi chiusi superò mentalmente quel mare crudele ritrovandosi sopra le dolci brughiere normanne, prima ancora sorvolate col suo cacciabombardiere. Rivide la dimora che lo aveva ospitato: piccola, tranquilla e pulita. Rivide quegli splendidi occhi celesti e i suoi soffici capelli biondi. Risentì il suo profumo, il suo calore, il suo affetto… che beffa crudele!

Perché doveva finire così? Perché non aveva il coraggio di tuffarsi, sfidare quelle nere acque minacciose, gli squali e le mine pur di tornare fra quelle candide e morbide braccia?

Perché doveva tornare dalla sua consorte, belloccia sia pure, ma così… convenzionale?  Perché doveva farsi imprigionare ancora dal suo amore così soffocante?

Perché il suo comandante in capo non l’aveva lasciato dov’era? Perché un uomo straordinario come Andy Greason, che giustamente si vantava di combattere per la libertà, non aveva rispettato la sua? Perché continuava a farsi tutte quelle domande stupide?

“Sigaretta…?”

Archibald sussultò e, volgendosi all’indietro, distinse la figura del generale mentre si accendeva una Lucky Strike.[2]   

“No, grazie” borbottò nel rivolgergli uno sguardo corrucciato “non fumo.”

“Meglio così” commentò il generale gettando in mare il fiammifero “un vizio di meno…!”

Il tenente ebbe un moto di disappunto: “A che vorrebbe alludere, signore?”

Greason alzò le spalle: “A nulla… presumo.”

Ad Archie scappò un grugnito: “Se pensa che sia un depravato, lo dica pure chiaro e tondo!” ribatté senza tanti preamboli

“Non lo penso” rispose asciutto l’altro “e comunque non sono affari miei.”

“Questo è poco, ma sicuro!” puntualizzò il collega, stringendo il parapetto.

“Ad ogni modo” l’asso aspirò una boccata e soffiò il fumo lentamente “procedi pure, se vuoi sfogarti.”

“Cosa le fa credere che mi voglia sfogare?” chiese Archie, con aria di sfida.

“Mah… da quando ci siamo rivisti non mi rivolgi praticamente la parola e ogni volta che mi guardi trasudi dalla voglia di mollarmi un pugno in piena faccia. Inoltre…” proseguì, mandando il mozzicone a raggiungere il cerino “…non ho mai visto un ex disperso così poco entusiasta di tornare a casa!”

Cornwell ghignò, amaro: “Il ritorno non è sempre uguale per tutti, generale!”

“Per tacere del tuo formalismo inedito: se ben ricordo mi davi del tu, in privato.”

Archie si rese improvvisamente conto di quanto il suo atteggiamento fosse sciocco: anziché rallegrarsi di essere scampato alla prigionia o alla morte assieme al suo capo ed amico, gliene voleva perché lo stava riportando dai suoi cari! E che avrebbe dovuto fare? Lasciarlo dove stava, con la sua nuova amichetta?

La mattina dopo la sua “improvvisata” nella casa di Catherine, un reparto della 3a Divisione Corazzata aveva raggiunto il villaggio di Pont Hebert e un felice quanto stupito maggiore Albert McKenna aveva messo gentilmente a disposizione la sua jeep per riaccompagnare i due aviatori fino alla costa. Lo stesso comandante del 5° RCT[3] aveva riferito al generale Greason che un reparto del 2° Battaglione Rangers aveva rinvenuto un P-47 sotto un covone di paglia improvvisato. Riconosciutolo come quello dell’asso, aveva segnalato al servizio logistico di mandare un mezzo di recupero per riportarlo indietro. Il consorte di Flanny Hamilton non poteva credere a tanta fortuna!

Chi non poteva invece credere a tanta scalogna era il consorte di Annie Brighton, occupato a consolare la povera Catherine, che singhiozzava disperata conficcandogli le unghie nella schiena, già indolenzita dalla notte insonne passata sul divano… amaro paragone col morbido e caldo letto della dolce francesina!

Dopo reiterate raccomandazioni e promesse, i due avevano dovuto rassegnarsi alla dolorosa separazione, con Andy per nulla lieto di far la parte del Don Rodrigo, soprattutto per le velenose occhiate dalla gallica sosia di Candy… anche se la situazione, più che i manzoniani Promessi Sposi, ricordava maggiormente la pucciniana Madama Butterfly!

Gli yankies avevano infine lasciato la casa, con la soccorritrice di Archie Cornwell sulla porta che li guardava astiosamente fra le lacrime, maledicendo sia la malasorte che il marchese di Lafayette tutte e due insieme[4]

***

Dopo aver ricondotto il compagno alla loro cabina, il generale richiuse la porta, si frugò nel giubbotto della combinazione di volo ed estrasse una fiaschetta dalla tasca interna.

“Per vuotare meglio il sacco” dichiarò porgendola al tenente “omaggio del maggiore McKenna!”

L’altro esitò un istante prima di afferrarla, quindi svitò il tappo e annusò l’imboccatura: “Il bicchierino non c’è?”

Andy volse sospirando gli occhi al soffitto: “No, mi dispiace… coraggio, signor Andrew: qui sua zia non la potrà vedere!”

“Molto spiritoso” ribatté Archie, prima d’imboccarla con decisione “passabile!” giudicò poi.

“Sicuramente avrete di meglio nella cantina della vostra villa di Lakewood…” commentò salace Andy.

Archie gli lanciò un’occhiata torva: “Ne paghiamo regolarmente le tasse, generale!”

“E chi ha detto il contrario?” ribatté il superiore, sdraiandosi sulla branda.

“Oltretutto sono anni che non ci metto piede” precisò “dacché mio cugino Anthony passò a miglior vita e Candy se ne tornò alla Casa di Pony, a me e al mio povero fratello sembrò sempre di più una prigione… come la nostra stessa famiglia, del resto!” concluse, concedendosi un’altra sorsata.

“Ed ora più che mai… vero, tenente?” lo stuzzicò Andy, subito prima di pentirsi.

Archie interruppe bruscamente la deglutizione per dare alcuni colpi di tosse, quindi lo fissò, scuro: “È inutile che lei cerchi di capire” esclamò, con tono acceso “bisogna provarla sulla propria pelle la beffa atroce di trovare l’amore vero quand’è troppo tardi. Quando tutto è ormai inutile!” altra sorsata.

L’asso sospirò di nuovo: “Con tutto il rispetto, Archie, non ti sembra di esagerare? La conoscevi da meno di un mese!”

“Perché, lei quanto ci ha messo a innamorarsi di sua moglie?” rimpallò il compagno, piuttosto sarcastico.

“Numero uno, piantala di darmi del lei” gl’ingiunse piccato Andy, puntandogli contro l’indice “numero due, io non ero ancora sposato! Numero tre, non è notoriamente mia abitudine impicciarmi degli affari privati dei miei sottoposti… ma, come amico personale tuo e di tua moglie, mi sento in dovere d’invitarti a pensarci bene, prima di buttare tutto all’aria!”

Archie scosse la testa: “Crede forse che…” s’interruppe e respirò a fondo “…credi che non ci stia pensando? So benissimo che sarei l’ultimo dei miserabili se facessi questo ad Annie… ma che ci posso fare se provo per lei solo affetto, mentre di Catherine me ne sono innamorato?” ribadì, dando un pugno alla parete.

“Te ne sei innamorato perché somiglia a Candy?” s’informò con noncuranza il generale, incrociando le braccia.

“Non è solo per quello che… ma tu come lo sai?!” domandò, sgomento.

“Se non ti dispiace, ho ancora i miei dieci decimi, dall’ultimo controllo” rispose il capo tagliando l’aria con la mano “mi sono preso un mezzo accidente quand’ho spalancato la porta di quella camera!”

“Già… la tua discrezione ha lasciato anche me senza fiato.”

“La prossima volta appendi una crocera alla maniglia” lo erudì il generale “non lo sapevi che il segnale è quello?”[5]

“Purtroppo non ho la sua esperienza, signore…” ironizzò il subalterno.

“Beh, modestamente… ehi, c’é sempre stata solo Flanny con me, in quelle stanze, sappilo!”

“Sono affari suoi, generale.” annuì il tenente alzando le mani.

Andy sbuffò, mettendo fine al gioco: “Vorrei soltanto che voi due non vi faceste più male del necessario” dichiarò seriamente “tutto qui!”

Archie lo guardò a lungo, per poi chiedere: “Che cosa dovrei fare, allora?”

“Capire bene se quanto provi per quella donna è veramente amore, senza farti condizionare troppo dai suoi lineamenti!”

“Fosse facile…” borbottò l’altro, stendendosi a sua volta in cuccetta.

“In fondo anche quella per Candy poteva essere una semplice infatuazione.”

“Non lo era!”

“Lungi da me sminuire le sue qualità” puntualizzò il compagno “ma farne sempre l’unico punto di riferimento…”

“Alchimia, signore. Con tutto il dovuto rispetto, ma forse anche lei ha qualcosa da imparare!” commentò l’altro, nuovamente formale per scherzo.

L’asso scosse la testa: “Tu, tuo fratello, i tuoi cugini… quell’attore… ha fatto una bella strage, non c’è che dire!”

“Ci metta anche mio zio, nella lista.” rivelò Archie, sprimacciando il cuscino, deciso a tentare di dormire un po’.

“William Andrew? Ma questo è troppo!” sbottò Andy, scherzosamente scandalizzato.

“Non faccia il superiore, capo: ci sarebbe cascato anche lei, se l’avesse conosciuta prima di Flanny!”

Punto sul vivo, Andy voleva replicare, ma poi si lasciò scappare soltanto un “Chissà…!” e si mise a riflettere, per concludere dentro di sé *Ma per fortuna l’ho conosciuta dopo…!*

“Comunque sia” disse ancora al suo subordinato “accetta solo un ultimo consiglio…”

“Sono tutt’orecchi, generale…” bofonchiò Archie, già nel dormiveglia.

“Fatti la doccia, prima di sbarcare” si raccomandò il superiore “perché quel profumo francese si sente fino a cinquanta yarde!”[6]

Distesosi anche lui nella sua branda, chiuse poi tranquillamente gli occhi, mentre il tenente Cornwell, perduta ogni traccia di sonno, si mise ad annusarsi con preoccupata cura...

 

***

Quando il cacciatorpediniere approdò finalmente alle banchine di Portsmouth erano già le sette del mattino. I due “ex dispersi”, dopo una gradita colazione offerta dallo stato maggiore della nave, stavano aspettando che l’equipaggio sistemasse la passerella per scendere sul molo, dove una discreta folla, composta non solo dal personale di marina ma anche da diversi ufficiali dell’esercito e da alcuni civili, palesavano un’impaziente attesa. Dopo avere stretto la mano al comandante Partridge, il generale Greason batté la mano sulla spalla del tenente Cornwell, che sembrava irrigidito presso la murata, con molta poca voglia di sbarcare. L’acuta vista dell’asso non aveva infatti tardato a scorgere la figura di una giovane dagli sciolti capelli corvini che, avendo riconosciuto anche lei il suo compagno, tendeva con trepidazione le braccia verso di lui, mentre due rivoli di lacrime le scorrevano lungo le guance arrossate.

Accanto a lei un’altra giovane bionda, che le cingeva la vita con un braccio in evidente atteggiamento protettivo, anziché indossare un abito civile come l’amica, sfoggiava una fiammante uniforme da ufficiale, non dissimile da quella che portava una sua collega poco lontano, acconciata con una lunga e bruna coda di cavallo.

Dopo avere interiormente sussultato nel riconoscere quei due militari in gonnella, il nostro asso sospirò, mormorando all’orecchio del compagno: “Coraggio, Archie: i cambiamenti bisogna saperli affrontare!”

Il tenente Cornwell non rispose, chiedendosi però se quella frase il generale l’avesse diretta a lui o a sé stesso, avendo a sua volta riconosciuto le due accompagnatrici della moglie.

Cercando di manifestare maggior aplomb possibile, i due aviatori della Decima FA discesero quindi la passerella, avvicinandosi al gruppo dei militari di entrambi i sessi, mentre più indietro diversi MP[7] tenevano a bada numerosi giornalisti, accompagnati da altrettanti fotoreporter che facevano scattare i loro flashes.

La giovane bruna anzidetta, abbandonata la tutela della compagna, si fiondò con uno scatto da centometrista sul pilota più giovane, stringendolo in un abbraccio degno di un anaconda brasiliano, per poi tempestargli la faccia di baci roventi.

Discretamente più flemmatica di lei, la “soldatessa” dalla coda di cavallo raggiunse anche lei il suo consorte, gli accarezzò lentamente il viso come a sincerarsi della sua tangibilità per poi abbracciarlo più lentamente, ma in una stretta non meno intensa della signora Cornwell.

I coniugi Greason rimasero parecchi secondi a guardarsi negli occhi, scambiandosi un’espressione seria e profonda, fin tanto che l’asso abbozzò un leggero sorriso: “Niente male il tuo nuovo look…” commentò lisciandole i risvolti della giacca marrone, indugiando sulle mostrine del corpo medico dell’esercito.[8]

“Davvero ti piace?” chiede lei di rimando, non alludendo tanto all’uniforme, quanto al fatto di averla indossata.

“Di sicuro ti si addice” confermò lui, con voce lievemente strascicata per poi concedersi un guizzo d’ironia “così ora mi toccherà rigare ancora più dritto! Eh, tenente?”

“La sua preoccupazione è fuori luogo” confutò la neo infermiera militare lisciandogli le stellette sulla spallina “lei è pur sempre un mio superiore, signor generale!”

“Già… ma lei è pur sempre mia moglie, signor tenente. E se è vero ciò che dice Shakespeare…”[9] un pensiero improvviso, scaturito da un’associazione di idee, lo fece poi scoppiare in una fragorosa risata.

“Che cosa ti prende?!” domandò Flanny, leggermente preoccupata.

“Niente, cara.. sto solo pensando che il boy friend della tua amica avrà da preoccuparsi ben più di me… non le ha mica le stellette, lui!”

“Come sempre il tuo sarcasmo mi toglie il fiato, Andy!” ribatté la seconda ufficialessa del corpo infermieristico, che aveva appena finito di abbracciare il cugino adottivo lasciandolo ancora più depresso: anche il profumo di Candy gli ricordava, in tutto e per tutto, quello di Catherine…[10]

“Non te la prendere, amica mia” le rispose l’asso calcando, forse inconsciamente, sulle ultime due parole “quando l’umorismo ti è indispensabile per non impazzire in questa maledetta guerra, non lo tieni facilmente a bada!” quindi l’abbracciò a sua volta, baciandola sulla guance “sei splendida, come sempre: sono felice di rivederti!”

“Mai quanto me, con tutto il riguardo per Flanny” rispose, asciutta, la bionda “stavolta ci hai fatto davvero paura, ragazzaccio!”

Andy abbassò gli occhi: “Lo so… e mi dispiace. E ancora una volta devo ringraziarti per esserle stata vicino!” concluse, guardando sua moglie mentre faceva qualche domanda ad Archie sul suo stato di salute.

“Ormai, per me, è come una sorella” specificò Candy “dovresti saperlo!”

“In effetti l’ho sempre saputo” sorrise l’aviatore “però questo non m’impedisce di pensare che stavolta hai esagerato ad andarle dietro!” concluse, alludendo alla sua uniforme.

Candy arrossì come un peperone: “Beh… sai com’è: se fossi rimasta un’infermiera civile, ci avrebbero separato e allora…”

“Capisco, capisco” convenne lui, benevolmente “anche se non riesco a non stupirmi: un’antimilitarista come te!”

“Si vede proprio che la guerra cambia le persone!” ammise l’amica, facendo una smorfia.

“Eh, già… cribbio, quando Romeo ti vedrà conciata così gli verrà un colpo: capace di passare ai tedeschi per farla pagare a noi yankies…”

“Dai, ora basta!”

“Scommetto invece che se ti vede Neal cascherà di nuovo ai tuoi piedi come una pera marcia!” continuò l’altro, imperterrito.

“T’ho detto di smetterla, Andy!!” gridò a questo punto lei, alzando la mano destra.

Visto il gesto, il generale s’affrettò a rientrare nei ranghi: “Ok, ok… ti chiedo scusa!”

“Passi anche stavolta” sbuffò la bionda “ma dovresti davvero imparare a tenere più a freno quella tua lingua!” lo esortò, agitando l’indice.

“Hai ragione. Te lo promett…”

“Andy… Andy…!”

Il generale si voltò per trovarsi di fronte al viso di Annie Brighton Cornwell, coi nerissimi occhi ancora lucidi, ma raggianti di felicità. La giovane afferrò le mani dell’asso e le strinse forte: “Andy… grazie. Grazie di avermelo riportato!!”

“Non ringraziarmi, Annie: abbiamo avuto fortuna!”

“In ogni modo non lo dimenticherò mai… sarai nel mio cuore per tutta la vita!”

“Sei troppo buona. Ma non preoccuparti per me: sono già in ottime mani. Pensa invece ad avere cura del tuo ragazzo!” la consigliò decisamente.

“Non dubitarne: so che qualcosa non andava nel nostro rapporto… e può darsi fosse anche colpa mia. Forse ero troppo possessiva… ma ora rimedierò. Ci chiariremo e ti assicuro che lo renderò l’uomo più felice del mondo!”

Andy gettò uno sguardo su suo marito, sorprendendolo a scrutare l’orizzonte marino verso il meridione… trattenne un groppo in gola e dichiarò, stringendo la mano di Annie fra le sue: “Ti faccio… anzi, vi faccio i miei più sinceri auguri…!”

“Grazie, ancora… arrivederci a presto!” lo salutò lei, raggiungendo il consorte. Questi le prese il braccio che lei gli offriva e, prima d’incamminarsi verso l’uscita del porto, guardò il superiore, salutandolo militarmente: “I miei rispetti, generale!”

“A presto, tenente. E abbia giudizio!” non poté trattenersi dal dire Andy.

Tornato a voltarsi verso la moglie, si trovò di fronte alcuni fra i suoi più fidi compagni: James Stone, Victor Sanders, Roy Master, John Bart Richardson, accompagnati dal generale Carl Spaatz.

“Complimenti, Greason” dichiarò quest’ultimo “neanche stavolta i crauti sono riusciti a metterla fuori gioco!”

“No, signore. E può star certo che, finché avrò al mio fianco questa donna eccezionale, nessun nemico, anche il più implacabile, riuscirà a separarci e quindi a non farmi tornare in servizio!”

“Già, già… non lo metto in dubbio” sorrise il comandante dell’USAAF nell’ETO[11] “e poi, adesso, siete anche colleghi!”

“Infatti” ammise l’asso “devo dire che mia moglie mi ha fatto una bella sorpresa!”

“Ho solo ricambiato una di quelle che finora hai fatto a me!” ironizzò lei.

“Non dico di no… ma questa ne vale almeno due!”

Spaatz ridacchiò, non potendo fare a meno di osservare: “Lasciatemi dire che siete una coppia davvero singolare, amici miei!”

“Può essere” ammise Flanny “ma vede, signore, abbiamo fatto un patto, quando ci siamo sposati: nessuno dei due avrebbe mai messo in discussione le scelte dell’altro in tema di lavoro!”

“Ah, è così…” fece il generale di stato maggiore, andando con lo sguardo dall’uno all’altro “…beh, a quanto pare l’accordo ha funzionato egregiamente. Giusto, Greason?”

Approfittando dello sguardo della moglie, sempre puntato sul generale, costui allargò le braccia in una muta richiesta di solidarietà maschile, per poi confermare: “Giustissimo, signore!”

“Bene, bene… ne sono lieto per voi. Alla prossima, generale. Tenente…”

“Arrivederci, signore!” rispose la signora Greason.

Partito il superiore, Andy Greason offrì a sua volta il braccio alla moglie dirigendosi verso la Buick personale mandata dalla base di Grant Field. Camminando rivolse il pensiero ai problemi che gli amici Archie ed Annie avrebbero dovuto affrontare, ritenendosi davvero fortunato che il suo matrimonio fosse, a confronto, così felicemente riuscito.

Era invece lungi dall’immaginare come i prossimi avvenimenti futuri lo avrebbero messo duramente alla prova…

 

 



[1] Task Group (Gruppo Navale); più TG formavano una Task Force (TF) o Squadra Navale.

[2] Io sono un accanito anti-fumatore (mi vanto di non aver fumato in vita mia nemmeno una sigaretta). Però, il fascino di Humphrey Bogart… non vorremo mica negarlo a Andy Greason, vero?

[3] Regimental Combat Team (Gruppo da Combattimento Reggimentale).

[4] Il marchese Paul Marie Lafayette riuscì a convincere Luigi XVI a mandare un contingente francese che fece pendere per il rotto della cuffia la bilancia a favore delle milizie di Washington, le quali, nonostante il loro valore, stavano rischiando di essere sconfitte dalle più numerose ed esperte truppe inglesi di Cornwallis. Penso si possa comunque affermare che, fra il 1917-18 e il 1944-45, i “cugini” d’oltre Atlantico abbiano restituito ampiamente il favore.

[5] Da un vecchio film americano degli anni Cinquanta o Sessanta.  

[6] Una yarda è il metro anglosassone e corrisponde a 3 piedi.

[7] Military Police, i componenti della polizia militare.

[8] Formato da un bastone alato, avvolto da due serpenti.

[9] La moglie del generale è il generale del generale!” (v. cap. 10).

[10] Dite che sono un po’ sadico?

[11] Il teatro operativo europeo.

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