Tu lo conosci Sasuke?

di wari
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** parte prima ***
Capitolo 2: *** parte seconda ***



Capitolo 1
*** parte prima ***


Sarebbe una narusasunarusasunasuras-... Sì, dai, quella roba lì. Sarebbe per fare gli auguri alla prode annamariz (buon compleanno, anna!) e sarebbe in au. Io e le au non andiamo per nulla d'accordo: ne leggo volentieri ma non so scriverne. Ciò detto, evitate di leggere se cercate una trama realistica, perché non la troverete qui. Qui è già tanto trovarci qualcosa che ci somigli vagamente, ad una trama *sviene*





Tu lo conosci Sasuke?
- parte prima -


Era mezzanotte e quarantadue quando Naruto Uzumaki si era soffocato con la birra, nel momento esatto in cui il suo cervello aveva deliberato che quella, potenzialmente, poteva essere una nottata rivoluzionaria. Non che avesse una qualche prova concreta: era una sensazione a pelle, forse dovuta all'alcol, anche se aiutava la consueta indole ottimista, quella d'una persona dotata di sorriso contagioso e la rara abitudine a prendere sempre il meglio delle cose. Non aveva certezze, dunque, ma il suo istinto di rado sbagliava.
Naruto non era abituato alle cotte, alle sbandate da ragazzina, e neanche stava lì a far caso ad ogni esemplare umano che gli svolazzasse nei paraggi, ma beh, evidentemente una volta nella vita doveva capitare pure a lui: e non appena era capitato si era strozzato con la birra.
D'accordo, andiamo con ordine: una sequenza di avvenimenti avevano condotto quello che sarà il nostro eroe a soffocarsi con la birra, primo tra tutti il fatto d'averne presa una ad alta gradazione alcolica, per festeggiare. Festeggiare il nuovo lavoro – fattorino per la consegna di ramen a domicilio – con gli amici di sempre: Sakura Haruno, laureanda in medicina habitué di trenta e lode, sua migliore amica dalle scuole medie; Kiba Inuzuka, età anagrafica ventiquattro, età apparente quattordici, dog-sitter a perdita di tempo, ghigno ferino e ubriacatura allegra; costui era accompagnato dalla di lui ragazza: Hinata Hyuuga, ventidue anni di timidezza annegata in un analcolico, per non contraddire il babbo. Infine, ultimi ma non per amicizia, c'erano Ino Yamanaka, esuberante collega di Sakura, martinimunita e cavallerescamente, sbuffantemente scortata da Shikamaru Nara – professione genio e, per l'occasione, guidatore designato, ai quali si aggiungeva il fido Chouji Akimichi, vocazione amico ideale – virtù ormai decaduta di cui si faceva araldo e patrono dall'infanzia, nonostante le botte sul muso per la crudeltà del mondo.
Insomma, Naruto Uzumaki, in precedenza ventiquattrenne biondo, arancione, omosessuale alla ricerca dell'anima gemella, allegro ma disoccupato era divenuto solo quella mattina, a seguito d'una lunga, sfibrante ricerca durata anni di lavoretti saltuari e sottopagati, Naruto Uzumaki, ventiquattrenne biondo, arancione, omosessuale alla ricerca dell'anima gemella, nuovo fattorino a tempo indeterminato dell'Ichiraku Ramen. Salute! aveva brindato la congrega, facendo cozzare bicchieri e bottiglie per celebrare la mutata definizione giunta gloriosa a scalzare la precedente, ormai vetusta e scomoda. Le patatine fritte di Chouji si erano fatte una passeggiata di mezzo metro quando qualcuno aveva urtato il tavolo col gomito, nell'impeto del momento, suggellando così l'evento con un cocciare solenne.
Dunque Uzumaki Naruto, il fattorino, era felicemente seduto con gli amici al pub, circondato da una spumosa aura chiacchierona e affabile, convinto di apprestarsi a trascorrere una serata tranquilla e oltremodo piacevole e invece,
uh! - no, non si era strozzato, non ancora: con calma, ci arriviamo. Ci siamo vicini – più precisamente, ci siamo seduti di fronte. O meglio, Naruto c'era seduto di fronte. Non di fronte come ad una cena di famiglia – quando la mamma vi dice di sedervi di fronte alla zia, quella che vi strappa il mento con la mano unghiuta, no -, di fronte per il destino, per la sorte, per volontà del fato. D'accordo: per l'arido volere della prospettiva lineare: difatti, dietro la bionda, fluente chioma di Ino, tra lei e la mole bonaria di Chouji, si intravedeva un tavolo. Naruto non provava grande attrazione per i tavoli in sé – e quindi non è il tavolo il succo del discorso – ma per l'occupante del tavolo si era ritrovato di colpo investito da un interesse spasmodico. Più esattamente, per gli occhi dell'occupante del tavolo, che avevano incrociato i suoi mentre mandava giù il primo sorso di birra scura direttamente dal vetro freddo della bottiglia. Fu allora, davanti a due iridi nere sospese in lucidi occhi dal taglio allungato, che il nostro eroe si strozzò, tossendo, sputacchiando d'intorno e dando finalmente un senso a questa indecorosa analessi di mezza pagina. E qui, mentre il fedele Kiba gli batteva due colpi sulla schiena, Hinata sgranava gli occhi e Sakura si preparava già alla manovra di Heimlic – benché l'amico non avesse ingerito ancora neppure una molecola di cibo solido – Naruto realizzò che, potenzialmente, avrebbe potuto emendare in una sera sola tutte le voci stonate della sua descrizione: Uzumaki Naruto, ventiquattrenne, biondo, arancione, omosessuale forse con una botta di colpo di fulmine per il Tizio del tavolo vicino, nuovo fattorino a tempo indeterminato dell'Ichiraku Ramen. Suonava allettante.
Fiducioso del suo istinto, nutriva in sostanza buone speranze di guadagnarsi un tentativo – è il tentativo che uccide il rimorso, e a Naruto i rimorsi non erano mai piaciuti -, nonostante stesse rischiando l'asfissia, avesse la laringe in fiamme e fosse circondato da uno stuolo d'amici ansiosi che cercavano di soccorrerlo.
«Sto be-ne!» riuscì infine ad articolare, spezzandosi sotto l'ennesima pacca di Kiba, il quale – era chiaro – perseguiva nell'opera solo per divertimento, non per una reale convinzione che continuare a percuotergli la cassa toracica potesse realmente giovare all'amico.
A sentire la sua voce, roca ma indubbiamente convinta, Sakura rilassò la schiena sulla sedia, seguita a ruota dagli altri.
Naruto si beccò i vaffa di rito, le pindariche previsioni di cosa i carissimi amici avrebbero fatto scrivere sul suo epitaffio – “morì come visse: da coglione”, copyright di Kiba – e poi si riprese allegri a blaterare a briglia sciolta, con Hinata persino più partecipe de solito, forse per la scarica di adrenalina – e se andava in fibrillazione per un amico scemo a cui va giù storta la birra, c'erano un po' di dubbi che riuscisse a davvero a laurearsi in infermieristica.
A clima più disteso, Shikamaru partì con una lamentela su sua madre, che voleva per forza buttarlo fuori di casa, mentre Ino gli si sovrapponeva raccontando del nuovo collega attraente adocchiato al bar dell'università, cercando sostegno in Sakura, che però partì a parlare male del suddetto – tale Sai, pare l'avesse definita racchia. Al che, invece di saltare subito come una iena, con un opportuno «dimmi chi è e gli vengo a spaccare la faccia», come sarebbe stato prevedibile aspettarsi da lui in quanto paladino, migliore amico e personcina dal temperamento non esattamente placido, Naruto annuì, distratto.
Dopo la sua pessima figura con la birra, gli occhi neri gli stavano dando buca, persi a scrutare un alcolico scuro, sollevandosi solo di tanto in tanto per dare un poco di corda al resto del tavolo. Perché sì, Naruto lo realizzò solo allora, dopo aver scannerizzato il viso pallido del ragazzo, i capelli neri improponibilmente ordinati pur nell'assurda capacità di sfidare la forza di gravità nella zona sulla nuca, le dita della mano rilassate attorno al bicchiere... Sì, ci siamo persi.
Il punto è: Naruto, dopo essersi completamente rimbambito a fissare il tizio in questione, dimentico dei suoi doveri di migliorissimo amico e con un'espressione acuta da baccalà in salamoia, aveva realizzato che beh, contrariamente a quel che gli era parso di primo acchito, il tizio non sedeva in uno spazio vuoto fungendo da fulcro per i moti universali. No: il tizio sedeva davanti ad un tavolaccio di legno - esattamente come quello su cui Naruto teneva i gomiti rigidi -, assieme ad uno sparuto gruppo di compari chiassosi: nella fattispecie un ragazzo dagli assurdi capelli azzurri e dal sorriso aguzzo, che sorbiva birra a garganella e gesticolava vivacemente di volta in volta rivolto al Tizio e all'unica ragazza, leggiadra fanciulla dal medio facile, capelli rosso acceso sfoltiti in un taglio asimmetrico e occhiali spessi che le finivano sulla punta del naso ogni qualvolta si infervorava per una cazzata partorita dall'amico coi capelli azzurri; a concludere il quadretto, un ragazzone alto come un armadio stava placidamente seduto a sorseggiare quello che pareva un innocuo succo di frutta, intrattenendo qualche breve monosillabo con le labbra sottili del Tizio. Tale Tizio, tra l'altro, doveva evidentemente ritenerlo l'unico esemplare umano degno di una qualche considerazione, perché era il solo cui non avesse ancora rifilato almeno un'occhiataccia.
«Na-ru-to» sillabarono cinque dita e un palmo, sventolati più volte davanti al suo naso.
«Eh-eh?» emise il nostro eroe, cercando di mettere a fuoco dopo il brusco cambio di orizzonte.
La mano di Sakura si ritirò per far posto a sei paia d'occhi tutti puntati su di lui. Naruto osservò gli amici un poco stralunato, prima di cominciare a ridere e grattarsi la testa.
«Oh, oi» borbottò imbarazzato. «Scusate! Mi sono distratto. Si diceva?»
«Si diceva di te, che ti stai mangiando con gli occhi il tizio qui dietro» lo rese edotto Ino, senza astenersi dall'esibire la sua famosa faccia da femmina – espressione coniata da Shikamaru, intraducibile in altre parole: bisognava vederla per capire, e comunque sarebbe stato di gran lunga preferibile trovarsi a distanza di sicurezza.
«Il Tizio» sospirò Sakura, lanciando anche lei un'occhiatina trasognata al suddetto e confermando ancora una volta di condividere gli stessi gusti del migliore amico, in quanto agli uomini. Anche Ino, comunque, non era rimasta immune dal fascino del Tizio, solo che per guardarlo le toccava girare con tutta la sedia e, al terzo tentativo, quello si voltò bruscamente per individuare la fonte del fastidioso struscio, le sopracciglia aggrottate e l'aria d'essere tranquillamente disposto a gonfiare di botte anche un irlandese nerboruto alto il doppio della sua statura.
Il risultato fu un sussultò collettivo che spostò il tavolo di due centimetri nello stomaco di Kiba, lasciò il gomito di Shikamaru orfano d'appoggio e costrinse Chouji a sollevare la ciotola delle patatine per evitare che queste si rovesciassero su Hinata; lei trattenne il fiato, grata. Naruto e Sakura si annegarono con le teste dietro l'alcol, nascosti dalla schiena di Chouji, perfetta paratia.
Hinata ridacchiò arrossendo e Kiba scosse forte la testa, per latrare divertito assieme a lei e poi domandarsi a voce alta cosa mai ci fosse di attraente nel Tizio: fu zittito dalla mascella schioccante di Ino e dalle occhiate incredule di Naruto e Sakura – Shikamaru gli batté una confortante pacca sulla spalla e scosse la testa in un modo che Chouji tradusse con un «non possiamo capire», sospirato in divertita, finta afflizione. Poi, mentre Ino già partiva con una filippica su quanto la questione fosse fondata sul senso estetico, piuttosto che sull'orientamento sessuale, e Kiba la ignorava per domandare ad Hinata di spiegargli, da donna, cosa mai ci fosse di attraente in un Tizio simile – che tra l'altro a lui sembrava un po' gay -, Tizio, proprio lui, si alzò in piedi.
Ci fu un momento di immobilità che ammutolì anche la concitata replica categorica di Ino - impegnata a berciare contro Kiba un esaltato «no, no! Se è gay mollo tutto e mi faccio suora!» -, durante il quale lei per poco non cadde dalla sedia, Hinata distolse lo sguardo con tanta fretta da intingere i lunghissimi capelli nel bicchiere di Chouji e Naruto divenne un blocco di ghiaccio arancione, cristallizzato accanto ad una Sakura altrettanto immobile. Shikamaru, dal canto suo, sollevò placido gli occhi al cielo e approfittò della calma per sorseggiare il suo analcolico, beato: dopotutto uscire con quella manica di debosciati aveva un contorto modo di piacergli; forse perché pareva di ritornare alla ricreazione delle superiori – la ricreazione era sempre stato il momento che preferiva, non a caso.
Lui, comunque, fu l'unico a rilassarsi. Godette dell'istante di stasi e accolse la successiva tempesta con pazienza, lasciandosi sfuggire un unico, solenne sbuffo, prontamente ignorato.
«È andato al bagno!» avvisò Ino, come se il fatto che Tizio avesse appena spinto la porta saloon sotto il discreto ma perfettamente visibile cartello che indicava i servizi non fosse già di per sé abbastanza eloquente.
In ogni caso, l'affermazione sussurrata cadde nel mezzo, come appesa ad un amo.
«Ah! Invidiatemi, perché io posso!» saltò infine su Naruto, alzandosi e scatenando ringhi oltraggiati di Sakura e Ino. Le salutò esibendo un ghigno a trentadue denti e si ingegnò a scavalcare goffo il panchetto, in fretta.
«Naruto, ti odio a morte!» gli comunicò Sakura, quando ormai lui si era già fatto strada tra i tavoli; alle sue spalle, prima che spingesse con le mani sui battenti, udì distintamente Ino masticare imbronciata «tanto non è gay!», prevedibile premessa allo sbuffo soave di Shikamaru.


Nel bagno piastrellato di un anonimo giallino, Naruto indugiò davanti al lavabo per qualche momento, a specchiarsi distratto. Con la vecchia tuta arancione portafortuna – la stessa che indossava quando si era presentato a chiedere lavoro -, gli occhi azzurri annebbiati di un lucido un poco alticcio e la fratta bionda disordinata e smossa, come pettinata dal cuscino – ed effettivamente l'idea corrispondeva alla realtà dei fatti –, non si trovava nelle condizioni più adatte ad attaccar bottone con uno che magari l'avrebbe preso a pizze anche se fosse stato al massimo del suo potenziale estetico; ma la filosofia di Naruto era se non ti piaccio come sono, sei tu che non piaci a me, dunque la preoccupazione al riguardo era pressoché minima.
Deciso e brillo –
decisamente brillo, più che altro -, accolse il rumore dello scarico con trepidazione, per poi ricordare che effettivamente non aveva la più vaga idea di cosa dire. In passato aveva già fatto la prima mossa con qualche tipo attraente, gettandosi a corpo libero con risultati alterni, ma non in un bagno, ecco. Per esempio: a pelle, la domanda “ti accendo l'asciugamano elettrico?” non sembrava avere le stesse accattivanti potenzialità di “ti offro qualcosa da bere?”
Non ebbe il tempo di rimuginarci adeguatamente su: Tizio era appena emerso dal suo cubicolo, diretto al lavandino. Quello davanti al quale stava il nostro dubbioso eroe, stupidamente impalato.
Sotto la luce chiara del bagno, a Naruto parve che Tizio fosse ancora meglio che dalla sua risicata angolazione dietro le scapole di Chouji. Ed era gay, cavolo. Lo era assolutamente. Forse.
Okay, bastava tentare un approccio amichevole: al massimo, a malincuore, avrebbe proposto a Tizio di interagire con le sue frizzanti amiche, sebbene in tal modo avrebbe forse rischiato di instaurare una faida eterna tra Ino e Sakura.
«Ti togli?» cominciò però Tizio, prendendo chiaramente a pugni la parola amichevole e tutti gli annessi lemmi primitivi e derivati col suo tono monocorde e cupo, non troppo vagamente acido.
«Ah, sì» emise Naruto, provvedendo a scansarsi contro il muro. «Con permesso, eh» aggiunse, giusto per puntualizzare: ma puoi anche essere la Venere di Botticelli. Se sei stronzo sei stronzo, e si cerca di fartelo presente.
Lo Stronzo gli rispose con un'occhiataccia strafottente – da stronzo, appunto – e lavò le mani con comodo, incupendosi un poco quando scoprì l'assenza del sapone. Naruto se ne rimase lì a guardarlo passare le mani sotto il getto e, non appena lui lo spense, domandò candido: «ti accendo l'asciugamano elettrico?» col tono che chiunque avrebbe adottato per “ti offro qualcosa da bere?” o anche “ti va di venire a casa mia?”, che poi il novanta percento dei casi è il sottinteso della seconda domanda.
Tizio Stronzo parve recepire l'antifona e rimase un momento a guardarlo, ancora un poco piegato verso il lavabo, le maniche tirate sugli avambracci.
«No, faccio a modo mio» rispose telegrafico e tronfio, distraendo Naruto con un sorriso storto chiaramente malvagio. E difatti subito dopo le sue mani fradice andarono a strofinarsi direttamente sull'amata tuta di Naruto, che sgranò gli occhi e trattenne il fiato, la pancia a contatto con l'acqua gelata.
«Che cazz- Ma sei scemo?!» riuscì a berciargli dietro, quando Tizio Stronzo era già in corridoio, davanti alla porta saloon.
«Se stai zitto va bene, ma se urli mi toccherà lamentarmi per il servizio, alla cassa» replicò pronto, con quella dannata espressione altezzosa. Naruto ebbe l'improvviso impeto di fargliela scivolare via con una capocciata – o un bacio: la parte brilla del suo cervello stava ancora decidendo se da zitto e fermo, forse da svenuto?, il Tizio fosse comunque accettabile. Quello in ogni caso non gliene diede il tempo: mentre lui concludeva l'ultima sillaba di «stronzo!», unica risposta che gli era parsa opportuna, Tizio era già filato via, di ritorno nel chiacchiericcio del locale.


Aveva rinunciato in fretta a cercare di asciugare alla buona la felpa sotto lo stupido asciugamano elettrico e infine, stizzito, Naruto si era lasciato la porta del bagno ad ondeggiare nervosa alle spalle, per poi rimettersi a sedere imbronciato. Fu accolto da un silenzio tronco di chiacchiere interrotte, finché Sakura non si azzardò a spiargli in viso, cauta.
«Beh?» chiese, apprensiva.
«È gay» sentenziò Naruto, diretto. Kiba fischiò «l'avevo detto!» e Ino emise un gemito prostrato. «Ed è uno stronzo» chiosò Naruto, per dare un perché alla mancanza di entusiasmo per quella sicurezza.
Sakura gli sospirò accanto, battendogli una mano sulla schiena senza aggiungere altro e intimando a Ino di smetterla di mugugnare affranta e piuttosto ricordarle gli orari delle lezioni del lunedì seguente, in un chiaro tentativo di cambiare alla svelta argomento. In breve, infatti, si ricominciò a blaterare di questioni random e Kiba ebbe anche il tempo di mettersi a costruire omini con patatine e stuzzicadenti per far ridere le ragazze, infastidire Shikamaru e aiutare Chouji con la dieta – a sua insaputa.
Naruto, però, non riuscì a rallegrarsi del tutto. Era un'impuntatura stupida, un capriccio non da lui. Insomma , sapeva d'essere un cocciuto, ma nel perseguire obiettivi concreti, non nell'attaccarsi ossessivo-morbosamente al faccino gradevole d'un Tizio Stronzo qualunque. Tizio Stronzo era solo Tizio Stronzo, si disse: qualificazione per nulla bastevole a giustificare un interesse più approfondito di dieci minuti; non con una cricca d'amici e una birra davanti a reclamare la sua completa attenzione.
«Naruto, guarda!» lo riscosse la voce graffiante di Kiba, brusca. Lui si voltò a sinistra, staccando di malavoglia le pupille da una nuca irta di capelli neri e, davanti all'amico con due cannucce ficcate nel naso, si strozzò di nuovo con la birra.
Ripresosi – Sakura stavolta si era alzata e gli aveva urlato contro che, se non la piantava di strozzarsi, con quelle stupide cannucce gli avrebbe praticato una tracheotomia -, Naruto aveva infine deciso risolutamente di ignorare quello spillino acuto agli angoli degli occhi, che finiva sempre per riportare il suo sguardo verso il tavolo in fondo e così ricominciò a godersi la serata, partecipando attivamente alla sgangherata proposta di andare al cinema nel fine settimana seguente, a vedere non si sa quale film dalla trama poco interessante che però faceva brillare gli occhi ad Ino, Sakura e persino ad Hinata. Il suo tentativo di convincerle a comprare piuttosto i biglietti per l'ultimo film d'azione – americanata con contorno di ninja – fu bocciata senza appello dai ringhi di Ino.
Due giri di alcol dopo, al momento di pagare, Naruto si sentiva ormai felicemente brillo e quasi mancò di infilare correttamente in tasca il suo Gamakichi – il portamonete a forma di rospo – alla cassa; quantomeno però lui non ridacchiava a voce così acuta come invece stava facendo Ino da quasi mezz'ora, appesa al braccio di uno sbuffante Shikamaru – non troppo contrariato, in verità.
«Diograzie domani è domenica» soffiò Sakura, non appena misero piede fuori dal locale, nell'aria ancora fredda di aprile. «Se avessimo avuto lezione Ino si sarebbe addormentata di nuovo sugli appunti» aggiunse ridacchiando all'indirizzo dell'amica, mentre quella ondeggiava tre passi più avanti per invitare un imbarazzato Chouji a ballare un lento sotto il lampione.
Naruto, che invece aveva appena realizzato come non sentisse freddo perché la macchia d'acqua lasciatagli dal Tizio Stronzo si era ormai asciugata da un bel pezzo, l'ascoltò con poca attenzione, arricciando il naso all'odore ora un po' sgradevole di birra e legno umido proveniente dall'Irish pub.
«Gente, credo sia il caso di portare Ino a casa» concluse Shikamaru, annuendo convinto accanto a Naruto, mentre Kiba rideva a crepapelle per la danza improvvisata dalla bionda fanciulla – che sapeva essere bella e divertente anche mezza ciucca, come chiaramente testimoniava l'espressione di Shikamaru, impegnato a guardarsela trasognato.
Naruto gli batté d'istinto una pacca sulla schiena senza misurare per niente la forza, tanto che il genio andò diretto tra le braccia dell'Ino danzante: lei l'accolse per coinvolgerlo in un ardito waltzer.
«Sì, meglio andare» commentò Hinata compita, avvertendo poi Kiba che, anche se gli scappava – come lui aveva già comunicato al vicinato con voce troppo alta – sarebbe stato più opportuno aspettare di arrivare a casa.
Con un ultimo congedo durato altri venti minuti – frammezzati dal volo di una scarpetta nella fontana della piazzola – Naruto, che abitava a meno di cento metri in una strada a senso unico e divieto per i non residenti, rimase a guardare gli amici che si sistemavano in auto inscatolati in maniera da infrangere un paio di norme della strada: Ino a piedi nudi stretta tra Sakura e Kiba, con Hinata appollaiata sulle sue ginocchia; Chouji nel sedile anteriore, in compagnia delle scarpe di Ino - una delle quali bagnata come il suo braccio destro fino al gomito - e alla guida il sobrio Nara, proprietario della povera vettura. Naruto aveva già levato una mano sorridendo contro il vetro, quando Sakura quel vetro cominciò a colpirlo a pugni.
«Girati, girati!» sillabò, le labbra quasi coperte dal suo stesso fiato condensato, tanto che per un momento Naruto captò un «gelati! Gelati!» che aveva ben poco senso, così salutò con la mano ricambiato dal braccio di Shikamaru fuori dal finestrino e attese che la vecchia carrozzeria fosse sparita dietro l'angolo, prima di voltarsi davvero.
Dietro di lui non v'era traccia di gelati: solo un ghiacciolo con i suoi occhi bui e la sua faccia da schiaffi che parlava coi tre compari, appena fuori dal pub. Naruto rimase un attimo come un pesce lesso, bagnato di grazia discendente dal lampione sulla sua testa; stette in silenzio per un lungo momento, perso, e si riebbe solo quando, dopo aver spento un mozzicone contro la suola, il ragazzo dai capelli azzurri si voltò proprio verso di lui, lanciandogli un'occhiata di indecifrabile divertimento; poi la fanciulla dovette decidere che si era fatto tardi, perché gli arpionò un bracciò e prese a tirarselo dietro con falcate da corridora, subito tallonata dal ragazzone nerboruto. Invece, con sommo smarrimento di Naruto, Tizio Stronzo, rimasto solo, accennò qualche passo nella sua direzione, mani nelle tasche e l'atteggiamento di chi si crede il padrone dei metri di strada su cui cammina.
Fanculo, pensò il cervello di Naruto, preciso come una stilettata: fanculo, il suo istinto non sbagliava mai.
«Finito il turno?» domandò Tizio Stronzo, quando fu finalmente a portata di orecchio, in un tono non studiatamente casuale, ma casualmente studiato. Qualunque cosa volesse dire nella sua testa ciucca.
«Il turno di che?» si riprese Naruto, decidendo d'uscire dal cono di luce quantomeno per smetterla di sembrare un tutt'uno con la lampadina ed il suo arancione diffuso.
Lui, Tizio Stronzo, si mise a guardare con estremo interesse – e quindi all'unico scopo di mostrare assoluto spregio nei suoi confronti, almeno a sensazione di Naruto – il lampione in fondo alla strada e l'insegna di una macelleria chiusa.
«Il turno di addetto agli asciugamani elettrici» propose, dando l'idea di stare realmente ponderando la questione, tanto che Naruto ci mise due secondi in più del dovuto per capire che, semplicemente, lo stava prendendo per i fondelli.
«Ma sei uno stronzo laureato!» sbottò, davanti alla sua faccia di cazzo; faccia di cazzo da stronzo laureato, e stupido lui, che si faceva abbindolare sempre da questi soggetti impossibili: non a caso, la sua ultima storia semiseria l'aveva avuta con un monolito privo d'ironia, snob e rompicoglioni – il cugino di Hinata, tra l'altro. Ci cascava sempre, con quegli esemplari lì.
«Non ancora» ribatté l'esemplare, criptico come stesse seguendo un ragionamento tutto suo. O più probabilmente cercava solo di mostrarsi in posizione di vantaggio puntando sul metodo io ne so di più. Non si sa di chi o che cosa, ma produceva comunque un qualche effetto sull'interlocutore, tranne su quelli più svegli. E Naruto si sentiva sveglio.
«Okay, come ti pare» si decise infatti, scoraggiato. Non aveva voglia di stare lì a farsi tirare scemo da un perfetto sconosciuto, sinceramente. Anche se il suo intuito ancora scampanellava, tirando nel senso opposto – dopotutto si era fermato, lo Stronzo, a parlare proprio con lui – il buonsenso di cui comunque era provvisto in maniera moderata, gli aveva ricordato che starsene in una strada semideserta in compagnia di un individuo alticcio, a guardare l'insegna di una macelleria in piedi sotto un lampione, non rientrava tra i suoi interessi. Così insaccò le mani nelle tasche della tuta pronto a voltarsi e mollarlo lì, davanti alla sua stupida macelleria a fissare la sua stupida insegna con i suoi stupidi occhi meravigliosamente neri; forse fu proprio a causa di quell'ultima, sconsolata constatazione che l'istinto ebbe nuovamente la meglio, spingendolo almeno a voltarsi di mezzo grado per annunciare: «me ne torno a casa», in un tono spavaldo che invece per qualche ragione gli uscì mogio.
Il Tizio Stronzo, tutto perso nelle sue elucubrazioni, impiegò un secondo intero per girarsi, quando Naruto gli aveva ormai voltato le spalle del tutto, diretto all'incrocio.
«Ma sei completamente imbecille, allora» brontolò, con una vena d'esasperazione. Naruto, piccato, frenò di scatto davanti ad un tombino.
«Ehi, senti un po', te» ringhiò, stizzito, e sollevò le braccia per aiutarsi ad esprimere il concetto; «non so che problema hai, ma...»
«Che problema hai tu, usuratonkachi» ribatté Tizio, ancora impalato alla stessa distanza, le sopracciglia contratte e l'espressione – oh, sì! Anche lui pareva essere dotato di mimica facciale: un vero sollievo – combattuta, quasi di nascosto disagio. Imbarazzo? «Mi fissi come fossi un dannato cono gelato per due ore, mi pedini al cesso e poi “te ne torni a casa”? Sei imbecille» snocciolò, logico e seccato.
Naruto esibì nuovamente la sua collaudata espressione da totano svenuto, stordito.
Eppure, a scapito delle apparenze, il suo cervello non aveva rallentato affatto, tutt'altro: era partito ronzando come una motoretta, raccogliendosi avido il sangue e provocandogli in tal modo un colorito poco sano, alla Hinata nei momenti di timidezza acuta – molti momenti.
Il nostro biondo eroe aveva infatti realizzato ben due cose: primo, faceva schifo a pedinare, spiare o anche solo osservare la gente senza farsi scoprire – un imbranato totale, insomma. Non avrebbe mai potuto fare il ninja, e non solo per colpa della tuta arancione -; secondo, Tizio Stronzo, quello stronzo stronzo, quello che aveva spiato di sottecchi per due ore come fosse una ciotola fumante di ramen – preferiva il ramen, al gelato -, quello che aveva goffamente pedinato in bagno, non voleva denunciarlo per stalking, bensì stava dimostrando d'essere interessato. Certo, nel modo sbagliato, con una goffaggine ruvida da grizzly claudicante, che cozzava terribilmente con la prima impressione che Naruto ne aveva avuto – quella di una persona perfettamente consapevole di sé -, ma ciò non toglieva che fosse interessato, e interessato a lui.
Ora, Uzumaki Naruto - ventiquattrenne, biondo, arancione, omosessuale con una botta di colpo di fulmine incomprensibilmente ricambiata dal Tizio Stronzo del tavolo accanto, nuovo fattorino a tempo indeterminato dell'Ichiraku Ramen –, si sarà capito, era un sognatore. Uno di quagli esemplari umani che si gettano a capofitto seguendo l'istinto, il cuore o come lo si vuole chiamare – sì, anche il pene, in determinati casi, ma sempre con l'ausilio degli altri due. Il sogno nel cassetto di Uzumaki Naruto era scalare l'Everest, per esempio: era un visionario; anche un po' tocco a detta di alcuni, semplicemente un idiota a detta di molti altri, ma Naruto aveva sempre dato poco credito agli altri. Altri - misteriosa entità dotata di cento occhi e mille bocche - avrebbe senza dubbio disapprovato la sua mossa seguente, per esempio. Ridacchiare, prima d'ogni altra cosa, come uno scemo con le braccia incrociate dietro la nuca, in piedi ad ancora a dieci metri dal Tizio, che gli aveva scoccato un'occhiata a metà tra l'omicida, il truce e forse un vago disagio sospeso d'attesa, incertezza di un rifiuto dopo aver mostrato tanto il fianco – grizzly in zona di caccia.
«Dove abiti?» aveva chiesto subito dopo Naruto, brillante di nuova verve nonostante il sano imbarazzo della situazione.
L'altro l'aveva guardato, altezzoso.
«Non è la domanda corretta».
Saccente del cazzo. Naruto si era avvicinato a gran passi per poi fermarglisi davanti, i piedi ben piantati in terra.
«E qual è la domanda corretta, sentiamo?»
Tizio, braccia conserte e aura di inscalfibile superiorità perfettamente riabilitata, non si era scomposto.
«Se ci arrivi da solo, la mia risposta potrebbe essere un sì» suggerì, magnanimo, prima di chiarire: «un aiutino: non è “ti accendo l'asciugamano elettrico?”», con scherno palese.
Il sorriso di Naruto non si incrinò; anzi, crebbe in larghezza e intensità luminosa.
«Io sto a cento metri» cominciò il suo istinto per lui, basso e congestionato. «Ti va di venire a casa mia?»
E Tizio Stronzo lo tenne sospeso, sadico e, appunto, stronzo. Poi regalò alla notte il suo mezzo ghigno storto, con una soddisfazione da maestro elementare davanti ad un pargolo volenteroso ma tardo.
«Questa» sancì pomposo, «è la domanda giusta».
Mezzo secondo dopo, al diavolo la ragionevolezza, Naruto se lo stava tirando dietro fino in fondo alla strada, ruggendo a volo sul lastricato.


Sas'ke. Tizio Stronzo non era Tizio Stronzo, ma Sasuke.
Naruto l'aveva chiesto quando già si erano baciati una volta, rischiando di inciampare in un idrante, e Sasuke gli aveva borbottato la risposta tra i capelli, composto quanto può essere composto qualcuno che, brillo, si sta esibendo in una frettolosa pomiciata dinamica alle due di notte in una strada pubblica in compagnia di un tale d'arancio vestito.
«Naruto Uzumaki» aveva invece decretato Sasuke stesso, quando la performance era proseguita fino al portone del suddetto: il nome svettava inconfondibile sul citofono, proprio accanto alla sua nuca. Era l'unica targhetta arancione acceso, penultimo piano. Sette rampe di scale.
«Niente ascensore» si era scusato Naruto in fretta, dopo essersi chiuso il portone alle spalle con poco garbo per l'ora tarda, le mani impegnate a guadagnarsi centimetri di pelle di Sasuke come se le dita, ubriache, stessero facendo tra loro un qualche genere di gara. Lui, contrariato già al primo gradino, gli aveva arpionato i capelli per sibilargli «lo sapevo che eri una piaga sociale», senza però smettere di salirle, quelle scale, o anche smettere di baciarlo, riuscendo in tal modo nell'impresa di conficcarsi il corrimano nel fianco per quasi tre metri di salita.
Gli intermezzi pomicianti raddoppiarono inevitabilmente il tempo medio del percorso, sicché a metà della quinta rampa la luce li abbandonò di colpo e li costrinse a procedere a tentoni sui gradini.
Naruto si beccò una gomitata e svariati insulti, utilizzati da Sasuke come espressione del suo disappunto per i piedi pestati: purtroppo era un po' instabile sulle ginocchia e tra l'altro il sangue stava cominciando a defluire felicemente dal luogo adibito alla coordinazione alle zone erogene, condizioni che conferivano innegabile complessità anche ad un'operazione semplice come raggiungere l'interruttore della luce. Non a caso, prima di riuscire davvero a premere l'indice sul fioco puntolino luminoso sospeso nel buio, il nostro eroe si occupò di far cadere Sasuke – almeno così sostenne lui, incolpandolo assieme ai suoi avi d'essere un totale mentecatto – e di seguirlo l'istante dopo, inciampandogli sulla schiena. Il risultato fu almeno quello di zittire i rimbrotti di Sasuke stesso, ma di certo non quello di facilitare l'ascesa.
In breve: raggiunsero il pianerottolo giusto in condizioni non esattamente ottimali – due reduci di un pentathlon, praticamente -, tanto che Naruto, a giudicare dallo sguardo torvo dell'altro, temette per un momento che gli sarebbe andata in bianco con contorno di cazzotto. Non che le scale fossero colpa sua, così come non lo era il timer della luce a tempo, ma Sasuke pareva esattamente il genere di persona che, di fronte all'imprevisto, smonta il calendario con metodica furia e scarica i nervi su un raggio d'azione di cento metri a partire dal punto in cui si trova.
Per questo, anche una volta assicuratosi d'essere più o meno sano e salvo davanti al portone, Naruto si fece un attimo prendere dalla foga.
«Chiavi!» berciò e nella furia di svuotare le tasche per poco non si fece sgusciare via dalle dita sia quelle – in compagnia dell'opinabile portachiavi a forma di girino dagli occhi fluorescenti – che il portafogli.
«Non dirlo con la stessa urgenza con cui diresti “preservativo”» brontolò Sasuke, nonostante tutto ancora appiccicato a lui; Naruto per poco non lo stese con una gomitata, mentre armeggiava ostinato sulla vecchia serratura. Sgranò gli occhi insieme al clack sonoro del metallo.
«Oddio, mica lo so dove li ho messi!»
Sasuke soffiò via una ciocca con spregio e superiorità, sfoderandone come se qualcuno gli avesse chiesto in prestito una penna. O anche una spada laser.
«Li tieni in tasca? Sei un sessuomane?»
«Preferisco definirmi previdente».
E forse fu perché lo disse adottando il tono di qualcuno che fosse davvero convinto di sembrare molto più previdente che sessuomane, saldo nella stima di sé; o forse perché semplicemente aveva gli occhi neri lucidi sotto le sopracciglia dritte su quella faccia da testate e schiaffoni, che Naruto decise di non avere voglia di ribattere – oltretutto quello lì, ne era certo, gli avrebbe rigirato la frittata pontificando a pene di segugio solo per dimostrare d'avere ragione, come se qualcuno provasse il minimo interesse al riguardo.
Scelse quindi di tornare a respirargli in bocca e accolse elettrico le sue mani addosso – quelle mani da stronzo faccia di merda che lui s'era asciugato sulla stessa felpa che adesso stava cercando di tirare via. Naruto lo aiutò non appena fu riuscito a chiudersi la porta alle spalle, troppo preso dalle dita fredde e dalla bocca calda di Sasuke per curarsi d'aver probabilmente svegliato la vecchia Chiyo, l'adorabile nonnina moralista dell'appartamento adiacente, che andava a dormire alle otto di sera unicamente per il sadico gusto di destarsi a mezzanotte e lamentarsi dei rumori nel vicinato fino all'alba. E comunque neanche il rugoso pensiero della vecchia Chiyo in vestaglia e ciabatte di feltro riuscì a spegnere le braci accese nel suo stomaco.
«Stanza... da letto» finì a mugugnare, masticando capelli neri e seminando capi di vestiario come molliche di pane. «Non hai pure il lubrificante, in tasca, vero?»
«Sono solo previdente, mica sessuomane» ne approfittò per confutare Sasuke, altrettanto svestito a chiazze, per poi spalmarlo contro un settimino e tirarsi dietro una lampada. Che tra l'altro cadde in terra scatenando le ire del cagnetto idrofobo al piano di sotto.
Raggiunta la camera da letto – situata lì vicino, solo che se ci arrivi rimbalzando a zig zag come una mosca ubriaca il percorso triplica -, non c'era più molto da svestire: stupido e felice come un bambino, Naruto si godette la vista del suo Tizio Stronzo ora congruamente nudo – naturalmente per via della giustizia karmica.
Sasuke pareva persino meno stronzo, da nudo, specialmente distratto com'era ad esplorarlo a sua volta con contenuto interesse quasi scientifico, passata la foga alcolica della scalata al condominio. Quando si ritrovarono ad indugiare un attimo, testa a testa, Sasuke finì per alzare gli occhi al cielo nella riuscita versione d'uno Shikamaru meno bonario e dieci volte più snob.
«Visto che tu hai messo la casa, suppongo di poter offrire...» accennò, vago, maestosamente stravaccato contro il materasso cedevole, troppo in basso perché i polpacci non penzolassero fuori. A Naruto brillarono gli occhi.


Mai fatto tanto sesso tutto insieme. Seriamente: la situazione era a metà tra la peggiore romanticheria da ho incontrato la mia anima gemella, la metà della mia mela, il pezzo mancante del puzzle, la chiave della mia serratura e la serratura della mia chiave, e per una buona, sostanziosa metà, un testa a testa allo scontro finale di tutti i film d'azione, quello col protagonista che fronteggia il suo arcinemico in piedi su una scogliera, col vento tra i capelli e l'aria densa di ideali contrastanti che frizionano l'un sull'altro producendo elettricità bastevole a fornire illuminazione annua per un piccolo centro abitato. Oppure era che Sasuke aveva la testa dura come il marmo, Naruto non era da meno e più che concentrarsi nell'amplesso facevano rissa trattandosi come nemici mortali, piuttosto che come amanti. Di amorevole c'era solo la vicendevole ostinazione a rimanere addossati a tutti i costi con la maggiore porzione possibile d'epidermide a contatto.
Per il secondo round era comparso un giaciglio supplementare sul pavimento - creato quando Naruto aveva cercato di strangolare Sasuke perché la smettesse di prendere in giro la sua sveglia a forma di rospo, ottenendo solo di finire ribaltato giù in compagnia di cuscini e lenzuolo -; al terzo, cui era seguita una pausa durante la quale il fiato era stato finalmente disperso nell'aria, piuttosto che in una bocca, Sasuke aveva avuto la malaugurata idea di alzarsi in piedi per ritornare sul materasso. In felice conseguenza di ciò, Naruto aveva deciso di dimostrare la sua opposizione afferrandogli un piede, e se l'era fatto cadere addosso. Vittime: l'abat-jour disarcionata con un braccio e il muro nel punto in cui Sasuke aveva dato una craniata così forte da far tremare i doppivetri della finestra.
Al che, Naruto era stato in dubbio se portarlo in ospedale – d'accordo, Sasuke, non il muro: il muro nonostante tutto stava bene -, ma l'affettuoso amante aveva ripagato la sua preoccupazione picchiandolo col tubetto del Lasonil e atterrandolo sul pavimento del bagno.
Consumato l'ennesimo coito, forti della loro gioventù – avrebbe detto il buon vecchio insegnante di educazione fisica di Naruto, Gai sensei - avevano cercato di proseguire nell'epopea, incuranti delle interruzioni dovute, di volta in volta, al cane isterico dei vicini e alla voce della vecchia Chiyo, che ogni tot si esibiva in gracchianti segnali orari. Alla fine, quando anche Naruto aveva sbadatamente assestato una capocciata tellurica contro la testiera del letto e Sasuke aveva preso col piede la sveglia sul comodino – che aveva dunque ritenuto opportuno gracidare a squarciagola “sono le tre-e-trentasette-minuti”, mentre si sfracellava in terra - si era presentata la nonnina in persona, dito al campanello: Naruto le aveva aperto in pantaloni, senza mutande – disperse – e con indosso la maglietta di Sasuke alla rovescia. L'anziana, sveglissima e incazzata, i capelli grigi a penzolarle flosci attorno al viso, l'aveva squadrato come si guarderebbe la foto segnaletica di un pluriomicida.
«Mi dispiace moltissimo, Chiyo san» aveva deglutito Naruto – ed era sincero, davvero. Solo che, diavolo, se la vecchia avesse avuto ventiquattro anni ed un Sasuke nudo a disposizione, anche lei avrebbe faticato a contenere gli entusiasmi.
«Sono le quattro, razza di teppista! Le quattro! Si può sapere che accidenti-» ma non aveva avuto il tempo di profondersi nella sua – obiettivamente sensata, giusto un poco logorroica – paternale nonnista sulla corruzione della gioventù odierna, sulla guerra, sulla sua artrite e sul valore del silenzio. E non perché non ne avesse una pronta – ne aveva sempre una pronta, probabilmente teneva i fogli del discorso nella tasca della vestaglia -, ma perché, in quel momento, i suoi occhi si erano spostati dall'espressione contrita di Naruto oltre la sua spalla, all'interno della casa: lì dove era appena spuntato Sasuke, spettinato e fiero della sua nudità drappeggiata dietro al lenzuolo avvoltolato a mo' di toga. Giratosi per seguire gli occhi della donna, Naruto aveva percorso con le pupille le pieghe morbide della stoffa solo affinché il suo cervello, del tutto autonomamente, decidesse che la prima cosa da fare, una volta chiusa la porta, sarebbe stato appallottolare lenzuolo e Sasuke e ributtarli entrambi sul letto – ma anche lì in soggiorno, sul divano arancione – per ricominciare tutto da capo.
«Io» aveva cominciato, la gola secca, senza riuscire a staccare del tutto gli occhi per riportarli sul viso della simpatica vecchina – altrettanto folgorata. «Le prometto che farò, faremo...» e il doveroso, sensato più piano si era perso dietro il battente della porta.
L'istante dopo Naruto, giusto per contraddirsi subito, aveva urlato allegro «Sas'keeeh», planandogli contro a peso morto e costringendo entrambi a ruzzolare al contrario sul divano, gambe all'aria.
Sia l'usuratonkachi di protesta sia la bussata furibonda della vecchia Chiyo erano poi finite felicemente risucchiate in un angolino del cervello di Naruto, innocue e distanti.
Tornarono più tardi, assieme all'effettiva stanchezza e ad una vaga cefalea alcolica, solo dopo la decisione tacita di trascinarsi sul letto ed usarlo per dormire, stavolta.
Ma, sinceramente, anche consapevole di doversi dare una calmata ed evitare così la denuncia per schiamazzi notturni, Naruto era ancora un po' troppo elettrizzato, stanchissimo ma incapace di abbandonarsi davvero al sonno; anche per questo fu contento d'aver dimenticato le imposte aperte, così da potersi godere l'alba che iniziava a violeggiare a sprazzi tra i profili netti dei palazzi ancora ombrosi. Dovevano essere quasi le cinque: i colombi cominciarono a tubare come ossessi, in un modo che gli provocò sincere risate.
«Cazzo ridi?» biascicò Sasuke, pigramente abbandonato contro il suo fianco sghignazzante, indifferente all'aurora e all'avere un piede fuori dal materasso.
«I piccioni, li trovo buffi» spiegò Naruto senza impegno, sospirando in uno sbadiglio ampio; per qualche ragione al suo braccio scattò, illogica, l'irrefrenabile voglia di accarezzare distrattamente la schiena di Sasuke, provvidenzialmente a portata di zampa - si era trascinato uno sconosciuto a casa seguendo tutt'altro che il cervello, sarebbe stato poco democratico da parte sua opporsi al volere imperioso di un arto qualsiasi. Lui, lo sconosciuto, apprezzò calando le palpebre sugli occhi e sbadigliando a sua volta, senza però rinunciare a borbottargli un ruvido «idiota», in un biascichio assonnato. Poi si mise a russare come una motoretta e alle orecchie – perse, si era completamente perso – di Naruto, quel ronzio nasale parve un concerto di melodiose fusa. Scoppiò a ridere da solo, perché se cominciava a concepire pensieri del genere significava proprio essersi rimbecillito del tutto, e Sasuke espresse il suo disappunto – forse il suo accordo con l'ultima considerazione, in verità - tirandogli una dolorosa manata sonnambula, prima di ribaltarsi un paio di volte in cerca di una posizione comoda. Poi anche Naruto si arrese al sonno.


Al diavolo la gloria dell'alba: avrebbe dovuto chiuderle, quelle stupide imposte.
«Ngh» concordò una voce soffocata, dal materasso.
Naruto non si mosse, gli occhi ancora cocciutamente chiusi nonostante fosse chiaro, anche da dietro le palpebre, che il sole fosse sorto da un pezzo e direttamente sulla sua faccia. Trasse un sospiro affaticato e il diaframma gli si incagliò su un peso morbido, annidato tiepido sullo stomaco. Decise di aprire gli occhi.
Sul soffitto, il lampadario spento gli risultò un poco annebbiato, perso tra i fasci luminosi di pulviscolo svolazzante, finché non decise di sollevare un braccio per stropicciarsi la faccia; ci riuscì solo al secondo tentativo, quando finalmente indovinò dei due quello non sepolto vivo da Sasuke, che stava tranquillamente dormendo sul sinistro.
«Quindi non sei scappato» commentò Naruto contento a voce alta, mentre si sforzava di ricostruire i particolari di un sogno nebuloso in cui aveva dovuto inseguire un barile correndo a perdifiato in una foresta, neanche stesse giocando a Donkey Kong; la cosa buffa è che, nell'illogica logica del mondo onirico, per qualche ragione era arcisicuro che dentro il barile ci fosse Sasuke, strisciato via nottetempo dalla finestra di camera sua.
«Non te la squagli mica se vado al bagno, vero?» proseguì secondo lo stesso ordine di pensieri – curandosi pudicamente di emendare la parte sul barile -, mentre cercava un poco a malincuore di liberarsi il torace dal peso di un braccio senza svegliarne il proprietario; Sasuke doveva averglielo schiaffato sopra nel sonno, non si sa se in cerca di calore umano o solo per un impeto di territorialità sul materasso. Dopotutto era un singolo: non è che ci fosse molto spazio.
Naruto risolse ammettendo con pacatezza che, quale che fosse la verità, era contento: non dormiva con qualcuno da diverso tempo e in ogni caso svegliarsi appiccicato ad un Sasuke non era niente male. L'avrebbe dovuto dire a Sakura, a proposito.
Si lasciò scivolare giù rotolando con un cigolio di molle e carambolando direttamente faccia a terra.
«Ahia» respirò, la guancia contro il pavimento freddo – freddissimo se confrontato al corpo caldo che aveva appena lasciato a russare mezzo metro più su. Prima di trovare la forza di alzarsi, cominciò a tastare in giro, ventre a terra come una foca spiaggiata. Beccò un lembo del lenzuolo, una delle sue scarpe, le mutande di Sasuke e la sveglia, così decise che era necessario lasciar perdere i detriti e raccogliere piuttosto la sua forza di volontà: la concentro nelle braccia, per riuscire almeno a mettersi gattoni. Da lì, con un sonoro sbadiglio e scompigliandosi capelli degni di un'esposizione alla GNAM, trascinò i piedi fino al bagno, per svuotare la vescica. Cominciò anche a brontolargli vigorosamente lo stomaco, ma ritenne fosse più opportuno darsi un contegno, prima di andare a svaligiare il frigorifero.
Tornò quindi nella stanza, a passo felpato per non svegliare il Sasuke dormiente – senza di lui, piuttosto che spaparanzarsi come sarebbe stato logico, quello si era accartocciato sghembo come un origami malfatto, impegnato ad arricciare il naso ad ogni respiro per via di capelli ammutinati che gli penzolavano sul viso. Si diresse direttamente al cassetto delle mutande e ci affondò la mano dentro alla disperata ricerca di qualcosa di sobrio; purtroppo il paio più sobrio che avesse vantava spirali arancioni su fondo verde ed era già stato disperso da qualche parte nella stanza, così si rassegnò a indossarne di gialle a fantasia di ranocchie. Era domenica e, ottimisticamente parlando, avrebbe forse avuto l'occasione di togliersele in fretta, sempre che Sasuke non avesse altro da fare.
Naruto ne studiò il profilo mentre pescava dei calzoncini da basket che non ricordava di avere – sovrapporre arancione acceso a giallo e ranocchie avrebbe causato epilessia anche ad una persona perfettamente sana, ma lui non se ne curò – e, complice la buona disposizione d'animo nei confronti del nuovo giorno, si ritrovò a constatare nuovamente, con maggiore intensità della sera prima, quanto Sasuke fosse irrimediabilmente attraente, persino ammucchiato sul materasso a quel modo, non troppo dissimile dal cumulo di lenzuola stropicciate che giaceva invece per metà sul pavimento, in compagnia di un cuscino.
Chissà se l'attraente sarebbe rimasto per colazione: magari aveva davvero cavoli suoi da fare la domenica, magari una famiglia, di quelle che fanno i pranzi collettivi tutti i fine settimana. Naruto aggrottò le sopracciglia, corrucciato.
«Uffa» sbuffò ad alta voce, ad esprimere disappunto per quell'ipotetica famiglia numerosa che lo avrebbe privato del suo Tizio Stronzo pescato al pub. Poteva essere un po' egoista, no? Poteva tenersi un Sasuke per un giorno, visto che ormai l'aveva messo nel carrello: poi l'avrebbe riportato al suo pranzo di famiglia, senza dubbio. Riconsegnato intatto alle cure d'una madre dai bei capelli lunghi e neri e dal viso dolce, ad un padre di quelli che leggono sempre il giornale davanti al tavolo – rigorosamente la pagina economica: Naruto non aveva mai capito bene cosa ci fosse scritto, ma sembrava una roba da padri – e al suo, boh? magari un fratello – o più d'uno: fratelli posati e diligenti dai capelli neri che sorbivano tè con calma e discorrevano pacatamente col padre-giornale sulle ultime oscillazioni della Borsa – ma la borsa di chi, poi? Sakura metteva un sacco di cose, in borsa. Oh, e un nonno! Tutte le famiglie numerose hanno un nonno: magari uno un po' rimbambito che inizia ogni frase con “ai miei tempi...!” finendo per blaterare inascoltato di avvenimenti anacronistici mescolati a vecchie pellicole di guerra.
Non aveva pensato ad alta voce, ne era certo, ma in compenso aveva sbuffato e tamburellato con le dita sulla scrivania, facendo casino – cosa che gli veniva in verità assai bene - ed era stato così preso da quelle elucubrazioni che, anche se non gli aveva staccato un minuto gli occhi di dosso, sussultò quando si accorse che Sasuke si stava muovendo – e non per sonnambulismo.
«Buondì» esordì il nostro sessualmente appagato eroe, grattandosi il naso prima di incrociare le braccia dietro la nuca e sorridere a vanvera. Sasuke parve tentare di inquadrarlo con gli occhi annebbiati e, piuttosto che rispondere al saluto, si prese tempo per sbadigliare, la faccia nascosta sotto il braccio.
L'ospite arancione non se ne crucciò, decidendo piuttosto di sollevare la sveglia e riporla sul comodino: il rospo faceva le tre e trentasette.
«Anche se sarebbe meglio buon pomeriggio, vista l'ora. Fame?» domandò poi, lasciandosi ricadere sul letto. Sasuke rimbalzò un po' sul materasso all'impatto, ma non si mosse per diversi altri secondi. Naruto finì quasi per impensierirsi: tra i capelli scompigliati, sulla nuca, era quasi visibile il grosso bernoccolo della capocciata carpiata. Magari era svenuto.
«Sei vivo... ?» domandò, con qualche grammo d'apprensione aggrovigliata nello stomaco; indeciso, si tirò seduto per guardare Sasuke dall'alto. «Stronzo? Sei in coma?»
«Quanto-» ribatté quello, la voce soffocata dal materasso, senza muoversi d'un millimetro. Naruto ebbe giusto il tempo di sgranare gli occhi tra sollievo e sorpresa, prima di ritrovarsi schiena sul materasso, la testa a penzolare fuori assieme a tutto il collo; «parli, usuratonkachi» sillabarono le labbra di Sasuke ad un palmo dal naso, prima che il loro proprietario gli assestasse una capocciata lieve, ma abbastanza dolorosa per qualcuno col collo sospeso ad un metro da terra.
«Non si sveglia così, la gente» continuò a brontolare lo psicolabile – ecco, stronzo e pure psicolabile. E non si poteva neppure dire che si fosse alzato col piede sbagliato dato che, per gli dei, non aveva ancora messo a terra neanche l'alluce.
«Ahia, bastardo!» reagì Naruto, rischiando di capitombolare giù di testa. Si agitò arrotolandosi su se stesso, goffo e impacciato, solo per trovare - una volta ripristinata una più comoda posizione coi gomiti puntellati sul materasso - Sasuke che, seduto a gambe incrociate con la fierezza di un capo indiano, lo squadrava con un'espressione terribilmente simile a sprezzante compassione per la sua inettitudine.
«Lo sai cosa?» gli ringhiò Naruto, dopo essersi portato in ginocchio con un ruggito e avergli puntato un dito in mezzo agli occhi. «Io me ne frego del tuo pranzo di famiglia!»
Sasuke ebbe giusto un momento per aggrottare le sopracciglia, ragionevolmente perplesso, che si ritrovò buttato giù dal letto, in un arrovellamento mortale. Fortunatamente per lui, il lubrificante era a portata di mano.


«Adesso ho fame» sentenziò infine Sasuke, e il suo stomaco brontolò. Naruto lo sentì chiaro e forte tremolare nella testa che ci teneva poggiata su, ad impedire diverse funzioni vitali.
«Ti levi» domandò. Ordinò, in verità, data l'assenza di qualunque tono interrogativo.
«Sto comodo» rimbeccò Naruto, assestandogli un colpo di nuca come a volerlo sprimacciare; fece appena in tempo a sbadigliare con soddisfazione, ridacchiando, che dall'alto si vide piombare in faccia la mano dell'altro. Incrociò gli occhi per seguirne le dita che affondavano nei suoi capelli.
«To-gli-ti» sillabò lo psicolabile, e ad ogni sillaba strattonò forte le ciocche bionde per sollevargli tutta la testa.
«Ahia-ahia-stronzo» accusò Naruto, imbronciandosi. «Guarda che fai male, sei una merda!».
«Ho fame» ripeté quello, noncurante, la voce più chiara ora che aveva lo stomaco libero.
Naruto ringhiò al cielo, per poi trarsi in piedi indolenzito.
«Ho capito, ho capito!» si stiracchiò, prima di offrire una mano all'individuo più insopportabile del pianeta, ancora dignitosamente steso in terra.
Lui la studiò per un lungo momento, titubante, e Naruto dovette fare forza su di sé per non utilizzare il vantaggio: fosse stato una persona cattiva, e un judoka, come minimo l'avrebbe ribaltato.
Invece la fame e il suo essere un luminoso amante di tutto il creato – anche dei Tizi Stronzi e Psicolabili Pescati in un Pub la Sera Prima – lo spinsero a sorridere come un ebete e tirarsi dietro dita, mano e tutto l'intero corpo assonnato di Sasuke, che lo seguì incredibilmente docile, opponendosi giusto il tempo di cercare le sue mutande perché mai, mai e poi mai avrebbe accettato di mettersene un paio di Naruto – quando lui fece per proporlo, lo gelò sul posto con un'occhiata da pazzo omicida.
Da lì, raggiunta la cucina, Naruto Uzumaki, ventiquattrenne, biondo, arancione, omosessuale sessualmente appagato e un po' in imbarazzo dall'avere Tizio Stronzo a gironzolare in mutande nel suo appartamento, nuovo fattorino a tempo indeterminato dell'Ichiraku Ramen per la prima volta in vita si rammaricò d'essere un individuo disorganizzato a livelli patologici, abituato a vivere alla giornata come un randagio e privo di creanza, per usare le parole dolci di Sakura.
«Che palle, ero sicuro d'aver fatto la spesa...» brontolò, la testa e un braccio ficcati per intero in uno stipetto. Tastò indeciso con la mano, la fronte corrugata. Schivò il caffè, si fece quasi cadere in testa un pacco di cereali e tirò fuori un barattolo di cetriolini sottolio studiandoselo un momento con espressione allucinata.
«Devo morire di fame?» mugugnò la voce di Sasuke, da dietro. Naruto sollevò lo sguardo dalla data di scadenza dei cetriolini – cetriolini del secolo scorso – e aggrottò le sopracciglia davanti alla figura dell'altro, seduto al tavolo col mento sulle braccia conserte, a guardarlo da sotto in su con espressione contrariata.
«Non è che ti stai proprio rendendo utilissimo, eh» sbottò. Gettò i cetriolini da una parte e arraffò una sedia, per esplorare la credenza da una posizione sopraelevata.
«Non è possibile che non ci sia niente, deve esserci almeno del ramen!» riprese a confabulare tra sé, il suo cervello e la sua mano in modalità esplorativa, impegnato ad ignorare lo sbuffo scocciato del suo ospite. E, siccome l'aveva invocato – lui sapeva sempre quando era in difficoltà – il ramen si palesò in tutto il suo splendore: due confezioni ammaccate spinte sul fondo e risalenti a qualcosa come il decennio passato. Naruto le afferrò con uno strilletto di gioia, voltandosi poi per sventolarle trionfante. Nel processo rischiò anche di capitombolare giù dalla sedia, ma infine scese indenne con un balzello, atterrando agile come uno zoppo e radioso come una giovane sposa.
«Ti piace il ramen? Va bene alla soia?» sorrise, mentre già aveva spinto cavallerescamente la confezione meno ammaccata fin sotto il naso di Sasuke, che ne seguì guardingo il movimento, neanche avesse timore di finire avvelenato da una gattara.
«Non mi fa vomitare» optò per rispondere, fermandosi a guardare Naruto che, forte di una esperienza quasi ventennale, riempiva d'acqua il bollitore misurando ad occhio la quantità necessaria.
«Il ramen è il cibo più buono del mondo! Io lavoro in un chiosco, da ieri. Cioè, da lunedì, ieri mi hanno assunto» proseguì a blaterare contento anche mentre apriva il barattolo. «Sono il ragazzo delle consegne» aggiunse, orgoglioso. Come prova, arraffò un paio dei volantini che aveva ammonticchiato lì vicino al frigo, la sera prima, e gliene lanciò con palese gioia, neanche riguardassero chissà quale meritevole attività filantropica.
Sasuke sollevò un sopracciglio, studiandoli distrattamente all'apparenza all'unico scopo di decidere d'essere infastidito anche solo dalla scritta chiassosa che gridava Ichiraku Ramen – la più grande varietà ai prezzi più piccoli in una gradazione di giallo decisamente troppo giallo – e snobbarli subito dopo, già tutto proiettato verso l'ardua impresa di aprire la confezione di ramen; cercò di mascherare con poca abilità il fatto che praticamente la distrusse, mentre Naruto era riuscito a sollevare l'alluminio e aprire i condimenti come fosse un gioco da ragazzi – e probabilmente lo era.
«Pensavo azionassi asciugamano elettrici» si rivalse Sasuke, mentre si rigirava una bustina tra le mani come contenesse qualche curioso preparato mortale ottenuto in laboratorio.
«Tu invece sei nato stronzo o hai frequentato apposite scuole?» lo canzonò Naruto, senza offendersi. «E comunque è solo un lavoro, il mio sogno in realtà è scalare l'Everest».
Sasuke, ancora in lotta con la sua bustina, sollevò gli occhi e lo guardò come fosse un animale bizzarro.
«Tu vorresti cosa
Naruto non si scompose minimamente.
«Sì, sai, scalare l'Everest. Faccio le arrampicate, ho cominciato arrampicandomi sugli alberi all'asilo» spiegò, le mani sui fianchi e il petto in fuori. «E quando uno si arrampica vorrebbe arrivare sempre il più in alto possibile e il più in alto possibile su questa Terra è proprio l'Everest, no? Per questo mi alleno tutti i giorni!»
«Considerato che non riesci neanche a stare in piedi su una sedia, a momenti, fai bene» ribatté Sasuke, sprezzante.
Naruto scrollò le spalle: lui avrebbe scalato l'Everest, punto. C'era poco da girarci attorno.
«Guarda che puoi usare le forbici» si rivalse, gongolando davanti alle dita di Sasuke, inette di fronte al possente alluminio.
«Ci riesco benissimo».
«Sicuro, sicuro. Si vede» commentò Naruto, scoppiando poi a ridere quando effettivamente la bustina fu divelta e Sasuke starnutì davanti alla nuvoletta di polvere piccante che gli era esplosa sotto il naso.
«Deficiente» mugugnò sdegnato, ma Naruto si era già voltato a recuperare il bollitore.
«Adesso bisogna aspettare tre minuti» spiegò solenne, una volta riempiti i bicchieri.
«Guarda che lo so».
«Io li odio, i tre minuti. Divento impaziente» proseguì quello, incurante, senza togliere gli occhi di dosso al suo ramen, neanche temesse una fuga. Il suo stomaco brontolò a sottolineare il tutto.
«Mh» si degnò di rispondere Sasuke, osservando a sua volta il ramen, ma con decisamente meno trasporto nonostante l'appetito. Naruto lo spiò di sottecchi per almeno centottanta lunghissimi secondi, sentendosi un poco a disagio in compagnia di qualcuno che sapeva stare così zitto tanto a lungo. Decise di allungare un piede e assestargli un mezzo calcio sullo stinco.
«Tu invece che fai?» domandò, ridacchiando mentre si beccava la pedata di reazione.
«Cosa».
«Che fai, sì. Tipo nella vita. Buon appetito!» berciò, impugnando le bacchette manco tenesse in mano delle spade laser. «Lavori?» si ostinò a chiedere, mentre già tirava su un boccone mastodontico e bollente con trasporto quasi amoroso.
Sasuke se lo squadrò per qualche momento con palese disapprovazione, prima di immergere a sua volta le bacchette nel brodo.
«Studio».
«Oh, forte!» si soffocò Naruto – che forse avrebbe dovuto imparare a comportarsi più civilmente a tavola per evitare di rischiare la vita ogni qualvolta assumeva sostanze liquide o solide -; Sasuke lo osservò passivamente mentre tossiva e rideva tutto insieme. «E che studi?»
«Libri» fu la laconica risposta, assieme al risucchio di una generosa dose di tagliolini – che, fanculo, il signor “non mi fanno vomitare” stava fagocitando come un affamato.
«Millegrazie. Intendo, sai... Ho due amiche che fanno medicina, una che fa scienze infermieristiche» elencò Naruto, dopo avergli assestato un'altra pedata – sempre prontamente ricambiata - «Chouji fa filosofia...»
Sasuke non si degnò di chiedere cosa diavolo fosse un Chouji, ma alzò gli occhi al cielo.
«Ingegneria biomedica» enunciò, sintetico.
«E cioè?» masticò Naruto, così interessato da dimenticare d'avere un tagliolino a penzolargli dalle labbra.
Sasuke lo osservò quasi scoraggiato.
«Creo zombie alieni mutanti. Per il governo» rispose, impassibile.
E, dato che nelle ore precedenti non aveva mostrato neanche il più vago barlume di senso dell'umorismo – non che avessero esattamente dialogato molto – Naruto si ritrovò a sgranare per un momento gli occhi, il tagliolino a sbatacchiargli sul mento.
Realizzò subito d'aver appena fatto una cazzata, solo che poi Sasuke stava ridendo. Ridendo davvero dopo ore di amimia - a parte mezzi ghigni di scherno e qualche sussulto di sopracciglia. Okay, non stava davvero ridendo, non come un qualsiasi conoscente di Naruto avrebbe riso; era una cosa più discreta, una risata da disadattato, le spalle a sussultare un poco e la faccia nascosta dai capelli, dietro al bicchierone di ramen utilizzato opportunamente come paratia; e anche se il disadattato in questione stava sicuramente ridendo per lui – o forse proprio per quella ragione – Naruto non riuscì ad arrabbiarsi. O meglio, non quanto avrebbe dovuto: per l'unica volta da che aveva memoria, ignorò gli ultimi rimasugli di brodo – quello più buono sul fondo, salatissimo e pieno di condimento sfuggito alle bacchette – e, prima che Sasuke facesse in tempo a finire di soffiargli contro «sei davvero imbecille», sprezzante ed ilare, lo zittì con un bacio.


Quante volte al giorno si può fare sesso? Un sacco, aveva scoperto Naruto. Un sacco proprio un sacco, senza fretta e con pause ludiche, volte a riprendere fiato e a rifocillarsi con rimasugli di cibo – pomodori annidati nei meandri del frigo, una scatoletta di tonno, coca cola cagiona-rutti fortemente disapprovata da Sasuke e sì, anche i cetriolini sott'olio.
Quando il sole era ormai calato da un pezzo, Sasuke aveva avuto il tempo di dire che doveva andarsene almeno una decina di volte – l'indomani doveva svegliarsi presto per vedere un certo Orochimaru o chi sa Dio – e altrettante Naruto l'aveva felicemente ignorato, incontrando tra l'altro notevole collaborazione da parte dell'interessato, che sembrava più che altro interessato a restare.
Da lì, però, Naruto aveva cominciato ad avere l'irrazionale sensazione che, se fossero usciti di casa, si sarebbe spezzato qualcuno di quei fili di ragno che teneva sospesa in un bozzolo quella situazione tanto surreale quanto meravigliosamente irripetibile e, seguendo questa logica, aveva convinto Sasuke ad appoggiargli l'ordine di pizze da asporto – non che ci fosse voluto molto, dato che l'aveva proposto mentre lo stavano facendo.
Erano così finiti a stazionare sul divano, con la pizza e Slither sul canale tre – tanto per restare in tema di zombie alieni mutanti –; peccato che a metà si fossero addormentati spalla a spalla come due cinquenni, proprio mentre l'automobile dei protagonisti finiva circondata da una torma di morti viventi, per di più cannibali, esattamente come Sasuke – in tono perfettamente neutro e mandando giù signorilmente un brano di pizza grosso come la sua faccia - aveva pronosticato sarebbe accaduto fin da quando i quattro erano saliti in macchina. Naruto si era addormentato contento proprio come un marmocchio dopo una gita al mare, rilassato e completamente a suo agio.
La mattina l'aveva sorpreso così: accasciato contro lo schienale, storto e dolorante, la schiena incollata al divano che, caduta la copertura arancione, si mostrava in tutto il suo splendore di rosa stantio scelto a gusto della precedente proprietaria dell'appartamento – un'anziana, bisbetica vecchietta di nome Koharu che se n'era andata perché in continua lite con la dirimpettaia, più bisbetica e ostinata di lei.
Tutto regolare, non era la prima volta che gli capitava di addormentarsi fuori dal suo letto, eppure ancora prima di aprire gli occhi il nostro assonnato, spettinato e un poco incontinente – aveva bevuto davvero tantissima coca cola, la vescica gli stava scoppiando – eroico eroe seppe che c'era qualcosa che non andava. E non si trattava della mozzarella che aveva sotto i piedi, anche se avrebbe aiutato cominciare a liberarsi di quella.
«Gh, che schifo...» biascicò, quando trovò la forza di sollevare le palpebre e inquadrò il suo piede sinistro serenamente steso dentro un cartone, tra gli avanzi di pizza coi pomodori.
«Che pizza vuoi?» gli aveva sbraitato coprendo inutilmente la cornetta del telefono col palmo. Sasuke, già stravaccato a fare zapping, si era stretto nelle spalle.
«Basta ci siano i pomodori».

Ad occhi sgranati, Naruto inquadrò la televisione ancora accesa, realizzando in maniera vaga il fatto che fosse sintonizzata sui Teletubbies.
Con una sensazione di sgomento vacuo, un po' stordito, aggrottò le sopracciglia davanti a Tinky Winky e si tastò il petto, per poi proseguire con le mani a palpare il divano, ritrovandosi tra le dita solo il lembo della copertura di uno sconvolgente arancione fluo, fredda. Si guardò attorno, completamente stralunato: aveva bisogno seriamente d andare al bagno, ma c'era qualcosa che non tornava; alzandosi, fiacchissimo, uno dei volantini di Ichiraku cadde giù dal divano, svolazzò placido e finì a terra; Naruto per poco non ci scivolò su, così lo spinse svogliato sotto il mobile, distratto a cercare di inquadrare tutta la stanza insieme alla situazione. Finché, nel silenzio, non si voltò di nuovo verso la televisione, sconcertato dalla drammatica rivelazione appena risvegliatasi nel suo cervello assopito: sorvolando sui pupazzi parlanti in tv, c'era freddo, c'erano due cartoni di pizza vuoti, lui era in mutande, l'alito gli puzzava di scarpa da ginnastica e il sole era sorto da un pezzo dietro le tende, sul cadente balconcino dell'appartamento.
E Sasuke. Sasuke se n'era andato.





Nda
Prosegue nel capitolo due perché la logorrea è una brutta bestia.
Il titolo è la storpiatura di Tu la conosci Claudia?, di Aldo, Giovanni e Giacomo: al solito, per i titoli c'ho bisogno del supporto tecnico.
Non scrivevo al passato remoto da anni, tipo. La consecutio temporum credo sia morta in diversi punti: se qualcuno notasse verbi che stonano e potesse farmelo presente gliene sarei infinitamente grata (questo vale per qualsiasi altro orrore, ovviamente). E IC sta chiaramente per Ignobile Cazzata, qui dentro.
L'ambientazione è assai indefinita, sì, e faccio presente che la storia è volutamente demenziale: mi diverto così. Nella seconda parte riesce persino a peggiorare, tra l'altro.
Oh, “violeggiare” è un verbo che non esiste, ma secondo me dovrebbe! *schiva gli accademici della Crusca*
Ultima cosa: il rating è arancione più perché la gente è sboccata che altro. Il picco massimo d'erotismo l'abbiamo toccato parlando di ciabatte di feltro e cani dei vicini, spiacente.
(Che note lunghe <_<' chiedo scusa)


Anna! Ho letto la storia di slice XD cosa che rende ancora più indecoroso provare a farti gli auguri con una stupidaggine simile (era indecoroso già da sé, sia chiaro). Ma insomma, basta il pensiero, no? No? *sviene*
Buon compleanno, millemila di questi giorni! Se vivessimo vicine t'avrei portato un gigantesca torta gelato, col caldo che fa XD


Come sempre, non mi appartiene niente a parte la stupidità.


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Capitolo 2
*** parte seconda ***


Ultima parte in altre quindici (s)comode pagine, oggidì dedicate a scarlett666. Buoncompleanno, psychologa!
Ciò detto, attenzione! Qui Naruto fa almeno dieci cose-che-nessuno-dovrebbe-mai-fare (non a caso, il narusasunarudndfnquellaroba lì si trasforma in stalking): non imitatelo XD
Oh, comunque è una totale cretinata.





Tu lo conosci Sasuke?
- parte seconda -



Sotto il sole delle dieci, Naruto sapeva d'essere un uomo finito.
Lui, il grande Naruto Uzumaki, quello che voleva scalare l'Everest, sentiva chiaramente che la sua vita era finita, conclusa, persa, caput!
Okay, anche no. Ridimensioniamoci, prima di scadere davvero nel patetismo spicciolo.
Il problema era che da Naruto Uzumaki, ventiquattrenne, biondo, arancione, omosessuale con un Sasuke a dormirgli addosso sul divano, nuovo fattorino a tempo indeterminato dell'Ichiraku Ramen, il nostro eroe, insomma, fosse divenuto repentinamente Naruto Uzumaki, ventiquattrenne, biondo, arancione, omosessuale che meritava di restare solo per sempre perché troppo stupido, stupido, stupido! per riuscire a guadagnarsi una sana relazione, nuovo fattorino a tempo indeterminato dell'Ichiraku Ramen, cosa, questa, che lo rendeva alquanto depresso. Il motivo della depressione, invero, non era tanto il fatto che Sasuke se ne fosse andato, quanto piuttosto che Sasuke fosse quello, un Sasuke. Un tizio di nome Sasuke. Solo Sasuke. Sasuke-e-basta.
«Il cognome, Naruto! Il cognome, le basi!»
Naruto riuscì solo a scuotere la testa, sinceramente dispiaciuto e con un grumo di pizza sullo stomaco da ore, a pesargli dentro come avesse vita propria. Sakura, implacabile, approfittò del cedimento per rincarare la dose; sbraitava davanti al bar della facoltà, un tomo di diagnostica a sventolarle minaccioso tra le dita.
«Il cognome! Il numero di telefono! Che cavolo, Naruto sei-» e Naruto lasciò che lei gli ficcasse lo spigolo del volume in fronte, convinto di meritarsi sia il segno rosso che gli improperi. «Non è possibile che tu non gli abbia chiesto il numero di telefono! Che tu non gli abbia dato il tuo, anche a costo di farglielo ingoiare, tu- tu!»
«Hai sempre avuto ragione, sono davvero il più grande idiota del pianeta» annuì, sconsolato.
E Sakura, che ormai era partita a razzo e l'avrebbe rimproverato per qualunque cosa, si prese anche la briga di urlargli: «dell'universo, Naruto, dell'universo!» rischiando di decapitare Ino con il libro. Lei, appena sopraggiunta non si sa se in cerca di caffè o per le urla belluine della carissima amica, le sfilò il volume dalle mani con l'aria di qualcuno avvezzo a scatti d'ira di colleghe isteriche; poi agguantò una sedia dal tavolo accanto. Se la guadagnò senza praticamente dover chiedere, solo grazie ad un unico, disarmante sorriso e un frullare casualmente studiato di ciglia lunghe sull'azzurro, e si sedette con tutta l'atletica pesantezza di qualcuno che, begli occhi o meno, è sveglio dalle sei.
«Che diamine succede?» chiese, poggiando il libro di diagnostica sul tavolino, lontano dalle grinfie nevrotiche di Sakura.
«Succede che è un deficiente!» ribatté la bocca altrettanto nevrotica di Sakura, mentre le mani additavano Naruto. Lui chinò il capo e cacciò un sospiro.
«È che eravamo lì e poi abbiamo... Non ho avuto il tempo di...»
«Capisci? Capisci cosa deve subire il genere umano per colpa di questo imbecille patentato?» sbottò Sakura, sotto lo sguardo di una perplessa Ino. «Non si sa come faccia, voglio dire, a parte che è biondo, arancione e tutte quelle cose lì... Non si sa! Lo sai come fa, li attira! Ha una specie di potere messianico o che so io! Lui sta lì, parla a vanvera, non sa da che parte è girato eppure toh! mezzo mondo gli dà retta! Converte le masse, adesca i giovani!»
«Ma quel caffè era corretto?» la interruppe Ino, strabuzzando gli occhi davanti all'amica prima di voltarsi verso Naruto, in cerca d'aiuto.
Sakura non parve gradire quell'allusione alla sua sconclusionatezza e afferrò Ino direttamente per i vestiti, portandosela quasi contro il naso.
«Sto dicendo che questo... questo coso improponibile» e Naruto si disse che alla fine come epiteto non era tra i peggiori che Sakura gli avesse mai affibbiato; «non si sa come fa, ma riesce a portarsi a casa Tizi random – guarda caso quelli che piacciono a me, che guarda caso sono gay!, e adesso dimmi se non ti sembra la dannata trama di un dannato episodio di Dawson's creek! - e a farceli rimanere! Capisci?» proseguì, senza attendere alcun segno da parte di Ino che facesse intuire un'effettiva comprensione di quel delirio psicotico. «Lui non si limita ad andarci a letto, no, perché lui è Naruto Uzumaki! Lui costruisce legami, stringe rapporti! E quindi mi fa stare in ansia per ore perché ha la segreteria inserita per un giorno intero e non risponde al cellulare-»
«Era scarico, ho dimenticato di-» cercò di difendersi lui, invano - come cercare di spegnere un incendio gettandoci sopra un granello di sabbia alla volta.
«Ma certo!» divampò infatti nuovamente Sakura, quantomeno liberando Ino dalla stretta mortale per rivolgersi di nuovo a lui. «Non è questo il punto, Naruto! Tu ti porti la gente a casa, ci fai sesso per un giorno intero, mangiate, ordinate pizze, dormite, guardate SlitherSlither! Si può chiacchierare guardando Slither! Non è mica Schlinder's list, per gli dei! - e non riesci a sapere niente di più del suo nome proprio?!»
Nel silenzio seguente – esteso anche agli altri tavoli ormai in ammirato ascolto della ragguardevole estensione vocale di Sakura Haruno –, Naruto boccheggiò per qualche lungo secondo, incapace di articolare.
Avrebbe tanto desiderato giustificarsi: lui di Sasuke sapeva principalmente che si chiamava Sasuke, d'accordo, ma sapeva anche un mucchio d'altre cose. Che era uno stronzo, che russava ma non voleva ammetterlo – e se punzecchiato in merito diveniva violento -, che l'arancione sembrava infastidirlo di primo acchito, ma poi ci si spaparanzava tranquillamente sopra senza troppo pensarci; sapeva che gli piacevano i pomodori e che, se affamato, dimenticava senza ritegno qualsiasi tipo di educazione – della cui mancanza si preoccupava di rimproverare piuttosto lui -; sapeva che odiava il chiacchiericcio, sapeva che era dotato di scarso senso dell'umorismo, facilmente irritabile, inconsapevolmente privo di pudore – lui al fattorino delle pizze stava andando ad aprire in mutande –, sgarbato e nel complesso un'emerita testa di cazzo non troppo vagamente psicolabile. E, pur avendo afferrato tutto questo con una certa consapevolezza, conscio del fatto che una descrizione simile avrebbe fatto scappare a gambe levate qualsiasi individuo sano di mente o quantomeno ringraziare tutti gli dei che il tale in questione si fosse defilato senza lasciare tracce, Naruto avvertiva con altrettanta smania l'impressione istintiva, pressante – anche inquietante, a dire il vero – del va bene lo stesso. Quella sensazione a metà tra il masochismo e la catarsi, che ti fa stringere nelle spalle, sospirare tutt'al più, quando la tua migliore amica dai capelli rosa si approccia a te più spesso coi pugni che a parole: perché a te va bene lo stesso.
Naruto ci metteva poco a capire le persone, era il suo dono. Senza sperare di conoscerlo – per quello è ovvio che ci voglia il tempo che ci vuole -, quello che aveva capito in ventiquattro ore era che a lui Sasuke andava bene lo stesso. E se c'era il va bene lo stesso, a che serviva uno stupido cognome?
«Beh, se lo vedessi lo riconoscerei» tentò titubante, ritornando alla triste realtà dei fatti, quella in cui il pianeta Terra è abitato da sette miliardi di persone che per contattarsi necessitano di recapiti, dati anagrafici ed altre impoetiche, fastidiose corbellerie così basse e pratiche da apparire desolanti.
Giusto a sottolineare che il mondo era un posto irrimediabilmente crudele e lui solo uno sciocco sognatore, accanto a lui Ino emise un basso verso di profondo biasimo.
«Fammi capire» intervenne spiccia, tamburellando nervosa con le dita. «Tu ti sei portato a casa il Tizio dell'altra sera e lui il giorno dopo ti ha mollato senza lasciarti alcun recapito?»
«Non mi ha mollato! Continuava a dire di doversi vedere con un tale stamattina, sarà dovuto correre via in fretta...» e non servirono le occhiate mestamente complici scambiate tra Sakura ed Ino a fargli capire, chiaro e forte, quanto quelle parole sarebbero risultate patetiche per chiunque, anche per il protagonista di una telenovela doppiata male.
«Naruto» cominciò Sakura, dopo avergli poggiato con cautela il palmo sul pugno che lui teneva chiuso sul tavolo. «Credo che se avesse voluto rivederti ti avrebbe almeno scritto un biglietto, no?»
Naruto tentò infruttuosamente di aprire la mascella, poi aggrottò le sopracciglia e fece per ribattere, subito interrotto da un sospiro di Ino.
«Sei stato scaricato, bello mio» gli rese noto lei con grazia, assestandogli un colpetto lieve sulla spalla. «Mi spiace».
Gli occhi di Naruto si sgranarono andando dall'una all'altra; abbozzò una risata.
«No, ma ehi! Guardate che era vero-» si sforzò, tutto teso a cercare di recuperare brandelli di conversazione. «Doveva vedere un tale Orochisuke... Orochiyama...»
E invece di consigliargli di berci su, distrarsi e archiviare la faccenda, Sakura e Ino aggrottarono le sopracciglia e si voltarono l'una verso l'altra esclamando: «Orochimaru?»
Scombussolato, Naruto annuì.
«Ecco, sì! Orochimaru. Vedi che me lo ricordavo?» disse, parlando al tavolo.
«Orochimaru insegna qui, Naruto. Cioè, non qui qui... Qui nell'ateneo» ragionò Ino. Gli acchiappò il viso tra le mani tanto velocemente che si udì un crack di vertebre e uno studente del tavolino alle loro spalle avvertì che, ehi, se c'era bisogno d'aiuto lui si stava specializzando in ortopedia.
«Eh?» le fece Naruto, le guance ancora strette tra i palmi dell'amica, che però si era voltata verso Sakura.
«Orochimaru, Orochimaru!» esclamò lei, quasi scocciata dal dover spiegare cose ovvie. «È una specie di personalità scientifica mondiale. Una roba tipo... tipo Margherita Hack, ma con più serpenti» spiegò, senza approfondire. «Si dice sia un po' fuori di testa e che durante i suoi corsi sia più normale sentirlo blaterare di concetti pseudofilosofici che di cose pratiche. Comunque è un genio».
«E dov'è?» domandò Naruto, mostrando ancora una volta le sue grandi doti di uomo d'azione.
«Beh, sarà in qualche aula a tenere lezione, suppongo... Non interromperai una lezione, Naruto!» scattò subito Sakura, senza dargli neppure il tempo di alzarsi in piedi del tutto – cosa che lui avrebbe fatto lasciandosi cadere la sedia alle spalle e cominciando a correre lungo i corridoi di una facoltà a caso per aprire rumorosamente le porte di aule, uffici, bagni e sgabuzzini e gridarci dentro Sas'ke! Sas'ke! Sas'ke! come una scimmia urlatrice. Una scimmia urlatrice vedova e afflitta in cerca dei suoi cuccioli.
Naruto, le ginocchia mezze tese e il sedere già separato dalla sedia da diversi centimetri cubi d'aria, emise un breve gemito frustrato.
«E allora che faccio?»
«Uomini, e poi siamo noi che facciamo i drammi» sbuffò Ino, impegnata a rilassarsi contro lo schienale all'unico scopo di sporgersi per sbirciare Sai, il collega carino della facoltà di psicologia, che se ne stava seduto su una panchina con un album tra le mani.
Naruto tornò su Sakura.
«E quando lo posso vedere, questo Orochimaru?»
«Orario di ricevimento? Ma pure che lo dovessi trovare che faresti? “Salve, mi sono portato a letto un suo studente, potrebbe aiutarmi a rintracciarlo?”» cantilenò, scoraggiata per empatia con l'espressione sempre più tetra di Naruto. «Oltretutto con ogni probabilità non avrà la più pallida idea di cosa dovrebbe essere un Sasuke, visto e considerato che in questo luogo incivile e disumano gli studenti sono numeri e basta. È già tanto quando un insegnante riesce ad associare un cognome storpiato ad un viso confuso tra altri centinai di visi ogni santo giorno, figurati cosa potresti cavare andando lì a domandare “senta, ma lei lo conosce Sasuke?”: ti riderà in faccia».
«Dannazione» sospirò il nostro biondo, eroico eroe tragico – comunque molto arancione, cosa che ne smorzava catastroficamente la tragicità. «Vuol dire che seguirò tutti i corsi di biomedicinistica ingegnosa per tutta la settimana finché non lo beccherò. Dove sarà la facoltà di biomedicinistica?» e cominciò a voltarsi da un lato all'altro come fosse convinto di vedersi spuntare davanti un cartello delucidante o magari proprio un edificio intero.
«Naruto» intervenne Ino perentoria, dopo averlo afferrato per le spalle. «Ti-ha-scaricato. Fattene una ragione, non puoi diventare uno stalker» cercò nuovamente di spiegargli con poca diplomazia, per evitare fraintendimenti con la ben nota testa dura dell'amico.
«Oltretutto non puoi infiltrarti a caso a biomedi... sarà ingegneria biomedica, no scemo?» rincarò Sakura, sbuffando. Si tirò una ciocca rosa dietro l'orecchio e poi guardò l'orologio. «Noi dobbiamo andare, Naruto. Vattene a casa e vedi di non far tardi a lavoro, stasera» aggiunse, severa.
«Oi, ma sei sicuro che non ti sia sognato tutto?» rise Ino, evidentemente non molto ansiosa di recarsi a lezione. «Sarebbe una storia deludente da film deludente!»
Naruto sgranò gli occhi e per un momento, davvero, si chiese se non se lo fosse sognato, un Sasuke: insomma, le ultime ventiquattro ore si reggevano sull'esile trama di un sogno da sbronza o di un raccontino rosa di bassa lega scritto da un'adolescente cresciuta ad Harmony e telefilm per teenager. Ma c'erano una casa disordinata, due cartoni di pizza, due confezioni di ramen vuote e una bruttissima sensazione di mancanza a comprovare l'effettiva realtà dei fatti, a meno di non essere diventato sonnambulo - un sonnambulo vivace e con molto appetito.
Si ritrovò il pugno di Sakura calato in testa dall'alto: era leggero, ma Naruto sobbalzò comunque. Lei, in piedi, lo sbirciò dall'alto premendogli le nocche tra i capelli arruffati.
«Vai a casa, Naruto, dammi retta. E non ti deprimere, ti chiamo più tardi».
E lui, il nostro povero, irragionevolmente depresso eroe arancione, annuì, lasciando che Sakura lo salutasse con un sorriso un po' triste e Ino sventolasse la mano comunque pimpante, prima di raccogliere la borsa da terra e augurargli buona giornata.
Naruto osservò la sua coda ondeggiante seguire il caschetto rosa di Sakura, finché le due non furono sparite nell'edificio della facoltà, dietro le porte a vetri.
Sospirò pesantemente, frustrato.
«Sono una stupida teenager» mugolò, la fronte spalmata contro il piano del tavolo. E si sentì terribilmente solo al mondo.


Era una stupida teenager, assodato, ma c'era da ammettere che il mondo in questo senso non lo aiutava; non si spiegava altrimenti il fatto di star intrattenendo una conversazione del genere con Sai.
«Non conosco bene la facoltà di Ingegneria, Naruto kun, ma sono certo che recarci in segreteria potrebbe essere un intelligente primo passo per le ricerche».
Ora, Naruto, si diceva, era un boccalone abituato a fidarsi della gente a pelle – questo per riassumere in soldoni concetti già espressi ampiamente nel paragrafo precedente – e non si era posto il minimo problema quando, del tutto spontaneamente, Sai gli si era avvicinato con la mandritta tesa e un sorriso plastico e vagamente inquietante spalmato in viso, in una buona imitazione di qualcuno con dei problemi – una paresi facciale, ad esempio.
Quello che aveva messo il nostro eroe un po' sulla difensiva era più che altro il fatto che poi il ragazzo, con trasporto degno del personaggio ausiliario di un film Disney, spiegatogli di non aver potuto fare a meno di ascoltare la sua triste storia, si era offerto di aiutarlo nella difficile impresa di ritrovare Sas'kekun – pronunciando il nome con lo stesso tono che si adotterebbe, nel caso, per le parole “portafogli” o “borsetta”.
Per spiegare tutto quell'interesse era infine partito con una dissertazione - in tono piano e cadenzato da accademico novantenne - su come gli esseri umani si dovrebbero aiutare vicendevolmente al fine di perseguire un'ideale di vita collettiva che consenta a tutti di raggiungere un paritario stato di benessere. Naruto di socialismo utopistico ne capiva assai poco, così come effettivamente Sai stesso, e si era perso piuttosto a fissarlo stralunato riuscendo solo a constatare - in uno slancio paranoide che a mente fresca l'aveva poi seriamente impensierito - quanto quel Sai, con i suoi capelli neri e il viso pallido, somigliasse irrimediabilmente a Sasuke.
«Ma Sasuke è più attraente» concluse a voce alta, proprio mentre Sai lo rendeva edotto in maniera confusionaria sul pensiero di tale Charles Fourier, incurante del fatto che il nostro distratto eroe non avesse espresso alcun desiderio in tal senso.
Sai, gliene sia reso merito, non si scompose: semplicemente sorrise di nuovo e domandò «davvero?», senza apparire minimamente scalfito da quello che poteva tranquillamente essere considerato un insulto – anche se magari aveva capito che l'oggetto della conversazione fosse ancora Fourier.
Naruto, stordito, trasse un respiro profondo e prese la situazione in mano.
«Quello che intendo è-»
«Dobbiamo trovare Sasuke kun, certamente» conciliò l'altro, pronto, per poi cominciare di testa sua a precederlo a passi sicuri lungo il viale, la borsa in spalla e il suo album sotto il braccio. Naruto, che non conosceva per nulla il posto, fatte salve alcune sporadiche visite a Sakura, gli si accodò con qualche esitazione, approfittando per spiarsi in giro in cerca di una nuca coperta da irsuti capelli neri – sarebbe stato un bel colpo di culo.
«Prima di tutto, Naruto kun, hai idea dell'età precisa di Sasuke kun? Se così fosse, sebbene con un ampio margine di errore, potremmo provare ad isolare un elenco di insegnamenti che potrebbe stare frequentando in questo momento, con particolare attenzione per quelli tenuti da Orochimaru sama».
Naruto, perso a guardare tutta quella mandria di gente che, attorno a lui, pareva invece avere una precisa idea di dove recarsi – la cosa lo fece sentire un po' sperduto -, gli rivolse un'occhiata totalmente vacua.
«Oh, ahn. Beh, non so... la mia età?»
«E tu quanti anni hai, Naruto kun?»
«Ventiquattro... ma beh, poteva averne tranquillamente anche di meno, o di più o... Diciamo tra, boh, tra i venti e i venticinque?»
Sai sorrise di un sorriso accondiscendente.
«Se il tuo pene è piccolo come il tuo cervello, Naruto kun, non vedo perché Sasuke kun dovrebbe desiderare di farsi trovare da te».
Naruto dilatò gli occhi all'inverosimile; stava già per tirargli un cazzotto, senza dimenticare di sbraitare «io ti ammazzo!» a tonsille spiegate, ma Sai, un passo indietro e l'espressione perfettamente sorridente e composta, gli bloccò il pugno con un indice.
«D'accordo, cambiamo approccio metodologico» proferì, calmissimo.
«Ma quale approccio e approccio, io ti approccio a pugni!»
«Non sarebbe vantaggioso picchiare qualcuno che sta cercando di aiutarti, Naruto kun, anche questo non farebbe che avvalorare la tesi della tua scarsa intelligen-»
Naruto gli assestò una capocciata e lo spedì direttamente a terra.
Ma era troppo buono, Jiraiya glielo diceva sempre: una persona normale Sai l'avrebbe lasciato agonizzare sulla strada e magari gli avrebbe anche tirato qualche insulto pesante. Non l'avrebbe certo trascinato su una panchina per farlo rinvenire.
«Potremmo tentare con un identikit» aveva proposto l'insopportabile, una volta ripresosi. Sulla fronte spiccava un bel bernoccolo gonfio – modestamente Naruto sapeva di possedere una testa particolarmente dura. Non a caso sulla sua, di fronte, era rimasto solo un vago alone arrossato.
Accomodato al suo fianco con un cipiglio ancora offeso, il nostro eroe dal cranio infrangibile osservò Sai che, metodico, sfogliava il suo album – zeppo di schizzi a china e confuse composizioni di pastelli – in cerca di un foglio pulito, la penna già in mano.
«Coraggio» concluse, una volta posizionato il blocco sulle sue gambe accavallate, la punta della biro pronta e il sorriso plastico perfettamente ripristinato. «Prova a descrivermi Sasuke kun. Sarà più facile che qualcuno lo riconosca, in questo modo».
«Oh, ma è un'idea stramitica!» si ritrovò ad esclamare Naruto, una volta realizzate le conseguenze del piano: con un ritratto, sarebbe stato molto più semplice. Esaltato e gonfio di nuove speranze, già si vedeva tappezzare l'università di volantini – per poi arrivare ai cartoni del latte come il più bieco fan dei Blur.
La faccenda si rivelò meno semplice del previsto: la prima versione di Sasuke somigliava più ad un pokèmon – colpa dell'incapacità di Naruto nel descrivere capelli come quelli -; la seconda era troppo simile a Sai stesso e troppo sorridente – terribile, completamente out of charachter – e solo con la terza erano infine giunti ad una soddisfacente versione di Sasuke, ma dopo una montagna di cartocci ai loro piedi, una biro caduta nell'impresa e terra bruciata di qualsiasi passante che, dinanzi alla foga descrittiva di Naruto - con annessi gesticolii tanto ampi e teatrali quanto scarsamente esplicativi –, si era defilato in un brusio seriamente indispettito.
Naruto guardò il risultato della fatica quasi commosso, ed era così somigliante che a Sai fu naturalmente perdonato il suo essere un individuo tanto decentrato quanto indelicato.
«Adesso non resta che trovare Orochimaru sama e sperare che ricordi la sua faccia, Naruto kun».
Lui annuì, senza distogliere le pupille da quelle si Sasuke, che lo squadravano dal foglio.
«Io, davvero-»
«Non cercare di ringraziarmi, Naruto kun, è un dovere morale venire in soccorso dei meno fortunati» lo interruppe Sai, compreso.
«Meno fortunati?»
«Sì, tutte le minoranze, siano esse in base etnica, religiosa o sessuale, meritano l'impegno di ciascuno affinché possano godere di pari diritti e possibilità di esprimere a pieno le loro potenzialità di cittadini» spiegò, sempre col sorriso di qualcuno che stesse ripetendo qualcosa con una certa convinzione ma senza averne compreso a pieno i significati pratici. «Oltretutto, è ancora più naturale porsi in aiuto dei disagiati, persone che per minorazioni fisiche o, come nel tuo caso, mentali non siano in grado di-»
«Non concludere la frase se non vuoi farti dare un pugno, prima stavi andando quasi bene» gli ringhiò Naruto, aspro. Sai parve cogliere l'antifona, perché tacque, senza però privare il mondo del suo irritante sorriso. Il nostro eroe rimase a guardarlo per qualche momento, stralunato – i matti tutti a lui, eh -, ma infine giunse alla conclusione che, per quanto strano, Sai lo stava davvero aiutando in maniera del tutto disinteressata e gli doveva gratitudine.
«Allora, beh» riprese, la mano a grattare la nuca. «Dove possiamo trovare questo Orochimaru?»
Sai annuì tutto da solo, prima di alzarsi in piedi con ammirevole decisione.
«Potremmo provare nel suo ufficio» spiegò, indicando poi un edificio di cui si intravedeva a stento il tetto basso; un baraccone piuttosto brutto e spigoloso, dall'aria imponente. Naruto corrugò le sopracciglia, interrogativo, in attesa che l'altro riprendesse a spiegare.
«Quella è la facoltà di ingegneria, Naruto kun» disse infatti lui, quando Naruto si fu alzato in piedi a sua volta. «Orochimaru sama è una personalità, sono sicuro che basterà domandare in giro. Inoltre, potremmo farci dare i suoi orari di ricevimento o, in alternativa, scoprire se sta tenendo qualche lezione in questo momento o quale lezione abbia tenuto al mattino».
Naruto studiò il tetto del casermone come avesse intenzione di scalarlo a mani nude.
«D'accordo» concluse, deciso. «Questo Orochimaru avrà pane per i suoi denti!»
Sai, alle sue spalle, si limitò a sorridere beato.


La facoltà di Ingegneria era l'enorme, perverso parto d'una mente votata al complesso. Non si spiegava altrimenti la presenza di un simile calvario di corridoi avviluppati come spire, ampi ma bassi, opprimenti; le porte si susseguivano una uguale all'altra a distanze cadenzate, in un ansiogeno deja vù di legno-muro-legno-muro per metri e metri. Probabilmente là sotto qualcuno c'era morto, perduto per sempre negli inesplorati meandri della struttura – e probabilmente si trattava, se non dello stesso architetto, almeno del geometra.
«Naruto kun, credi che Sasuke kun ti stia aspettando nudo alla fine di questo corridoio?»
La suola consunta della scarpa di Naruto slittò sul pavimento sdrucciolevole con uno stridore d'oca scannata e il nostro arancione, frettoloso eroe andò magistralmente a schiantarsi faccia a terra in scivolata.
«Sai!» berciò, il fiato mozzo e le mani sul pavimento freddo. Dietro di lui: una scia nera di gomma, il busto di un insegnante affacciatosi dall'aula – probabilmente per assicurarsi che nessuno avesse cominciato a sgozzare animali da cortile in corridoio - e Sai, ritto come un fuso e sorridente ad intollerabili livelli di insopportabilità.
«Scusa Naruto kun, è che mi pareva l'unica motivazione atta a giustificare la tua fretta di percorrere corridoi che non conosci minimamente».
Naruto, senza forze, appoggiò la fronte contro il pavimento e si abbandonò ad un sospiro affranto: davvero, non era sicuro che Sai lo stesse aiutando. Tutti gli indizi dicevano che era così, ma quella voglia irrefrenabile di sbattergli la faccia contro un letto per fachiri gli suggeriva il contrario in modo sempre più veemente a partire da quando gli aveva rivolto parola per la prima volta, e si trattava solo d'una mezz'ora prima.
«Coraggio Naruto kun, non è bene stare stesi nel mezzo di un corridoio» si avvicinò Sai, e da quell'angolazione – l'angolazione del nostro eroe, quella d'una rana spiaccicata al suolo dalle ruote di un tir, sguardo vivace compreso – il suo sorrisetto del cazzo sembrava quasi addolcito dalla gentilezza. Naruto sospirò e si lasciò aiutare a riacquistare la posizione eretta, peccato che poi Sai decise di trascinarlo arbitrariamente seduto lì accanto al muro, sotto una bacheca di sughero ingombra di annunci e circolari.
«Si può sapere perché sei così gentile, Sai?» gli domandò infine Naruto, dopo che lui fu arrivato ad offrirgli dell'acqua, dopo averne cacciata dalla sua borsa gonfia di libri. «È anche un po' inquietante, a pensarci».
Lui parve vagamente sorpreso – evidentemente non si ritrovava nella definizione di “inquietante -, ma ci passò sopra con notevole diplomazia.
«Trovo affascinanti le relazioni sociali, Naruto kun» spiegò, con la lentezza di chi fosse impegnato a ricercare le parole giuste. «Non avevo mai analizzato da vicino le caratteristiche di un rapporto omosessuale, la cosa mi incuriosisce. Anche dopo essermi documentato riguardo le dinamiche anatomiche, le implicazioni psicologiche all'interno di una coppia mi restano alquanto oscure, anche se sempre più studi...»
«Tu sei tutto scemo» sbottò Naruto ridacchiando, la nuca contro il muro. «Insomma, è lo stesso no?» tentò: se quello che voleva era una spiegazione in cambio del suo aiuto, beh, lui non ci perdeva niente. «Si fanno le cose che fanno le persone che stanno insieme: parlare, mangiare, far sesso, uscire... Poi tipo se ci si fa le smancerie o cose del genere dipende dalle persone, come in tutte le coppie, no?» si ingarbugliò un po', perché in effetti non è che fosse particolarmente ferrato sull'argomento coppie, lui.
Sai parve ponderare attentamente quella risposta raffazzonata, neanche fosse tentato di prendere appunti.
«Smancerie. Le smancerie sono variabili in relazione all'individualità, d'accordo» memorizzò, compreso.
«Senti, non è che devi prendere quello che dico come verità rivelate, eh...»
«Non preoccuparti, Naruto kun, so che sei stupido: mi occuperò più tardi di verificare opportunamente quanto dici mediante la comparazione con studi accreditati o-»
Strangolare Sai sbraitando minacce di morte in un corridoio universitario si sarebbe potuta rivelare una mossa alquanto azzardata ma, fortunatamente, proprio in quel momento una porta si aprì riversando in corridoio un folto gruppetto di studenti che coprì il chiasso con chiacchiericcio e rumore di passi. Sai, le mani di Naruto ancora saldamente ancorate al suo collo in una riuscita emulazione dei metodi educativi di Homer Simpson, emise dei versi strozzati, gli occhi puntati dietro la nuca del suo aggressore. Quello, l'aggressore, si voltò senza curarsi di staccare le falangi dalla sua trachea, lo sguardo interrogativo a passare in rassegna la nutrita schiera di futuri ingegneri che sciamava via dall'aula.
«Quello è Kabuto san, Naruto kun» soffiò la voce di Sai, affaticata sotto la sua stretta ferrea.
Naruto seguì l'indice puntato, perplesso, e si pentì quasi subito d'aver messo di strangolare l'idiota, dato che quello non perse occasione di fargli presente che: «quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito».
«Che cavolo sarebbe un Kabuto san?» domandò, incurante della tosse asfittica dell'altro, impegnato com'era a stirare il collo per sbirciare dentro l'aula: un giovanotto con gli occhiali tondi stava pulendo la lavagna con un cancellino polveroso, solingo.
«Quello è un Kabuto san» si riprese Sai, la voce solo un po' roca. «È l'assistente di Orochimaru sama, sicuramente lui saprà dov'è».
Naruto sgranò gli occhi, estasiato: Kabuto san! Sempre viva Kabuto san, e viva Sai, soprattutto!
«Tu come diavolo...»
«Ho studiato l'organigramma di tutte le facoltà dell'ateneo, per comprendere le dinamiche che...» ed estrasse un libriccino zeppo di schemi e – ben più inquietante – fotografie con relative didascalie di quello che doveva essere l'intero corpo docenti. Ma a Naruto non ebbe il tempo di preoccuparsene: era già schizzato in piedi come una raganella schizofrenica, le energie di colpo ripristinate, neanche fosse stato sottoposto ad un qualche genere di power up da video game. Sgomitò tra gli ultimi studenti che si erano attardati davanti alla porta e si fiondò in aula sbraitando «Kabuto saaaan!» come un indemoniato.
La prima conseguenza del suo insano gesto fu quella di richiamare l'attenzione del suddetto Kabuto san, e questo fu certamente positivo. Peccato che, subito dopo, Naruto inciampò sulla borsa di questi, una valigetta assai professionale parcheggiata in terra, tra cattedra e lavagna: il risultato fu un discutibile tuffo carpiato del nostro atletico eroe. In ogni caso, simile prodezza ginnica non avrebbe avuto alcuna altra conseguenza di uno sbilenco atterraggio qualche metro più in là, se non che, proprio qualche metro più in là, c'era Kabuto: l'impatto si portò via una sedia e il cancellino ebbe l'accortezza di cadere proprio in testa a Sai, accorso sul posto con rapidità.
Il ragazzo seguì con distacco il rimbalzo dell'oggetto, che impattava al suolo con un tonfo fumoso di gesso, e non mutò espressione, perfettamente composto. Scorse lo sguardo sulla schiena di Naruto, spalmato addosso ad un Kabuto privo di sensi e notevolmente ammaccato e attese che lui si voltasse di qualche grado, sconcertato dal suo stesso irruente gesto.
«Non credo ci fosse bisogno di placcarlo, Naruto kun» sentenziò, saputo.
E se non fosse stato nel serio pericolo di ricevere già una denuncia per aggressione, Naruto gli avrebbe volentieri rotto una sedia in testa.


Naruto Uzumaki non era una persona violenta, tutt'altro. Poteva essere un tantinello irruente, spesso non sapeva dosare la forza e se provocato era facile a venire alle mani... D'accordo, Naruto Uzumaki era una persona violenta, ma non cattiva, ecco. Se non provocato, era praticamente impossibile che il suo cervello venisse attraversato da pensieri di natura distruttiva – di solito era attraversato da placidi pensieri mangerecci e altri impulsi cerebrali assolutamente innocui. In quel momento però, quello stesso pacifico cervello era impostato sul pericoloso comando “Sas'ke! Sas'ke! Sas'ke!”, che a quanto pare aveva il terrificante potere di interrompere tutti i collegamenti sinaptici adibiti al controllo delle pulsioni e risvegliare invece la secrezione intensiva di sostanze quantomeno nocive: non si spiegava altrimenti il motivo per cui, nonostante Kabuto fosse chiaramente se non del tutto incosciente, almeno in stato confusionale, il nostro normalmente benevolo eroe l'avesse afferrato per il colletto gridando che aveva assoluta, impellente necessità di incontrare Orochimaru, perché – aveva aggiunto nella foga – doveva decidere se spaccare la faccia a Sasuke, magari strangolarlo con un filo del telefono – sembrava un contrappasso azzeccato – o sbatterlo su un letto e farci l'amore per i due mesi seguenti mentre guardavano film stupidi e intingevano pomodori nel brodo del ramen.
Comprensibilmente, questo elenco di propositi deliranti berciati da un ventiquattrenne fanciullo non esattamente esile a cavalcioni sul corpo esanime d'un poveraccio atterrato da lui stesso, aveva attratto un bel po' di studenti e persino qualche docente delle aule accanto.
Il risultato era stata un'attesa fuori da un'infermeria e la seria minaccia di una denuncia, sedata momentaneamente solo grazie a Sai, che testimoniò a favore di Naruto e contro la borsa che l'aveva fatto inciampare – per la parte delle urla belluine, aveva scrollato le spalle e manifestato l'intenzione di appellarsi all'insanità mentale in sede di giudizio.
Quando finalmente la concitazione si era ridotta, Naruto aveva già avuto il tempo di chiedere scusa ventidue volte ad un Kabuto supino, prima incosciente, poi seriamente dolorante, infine chiaramente incazzato.
«Le ho già chiesto scusa molte volte» ribadì il nostro mortificato eroe un quarto d'ora dopo, tenace. Nonostante le ottime credenziali – occhi blu e la faccia d'un ragazzone che, invece di ucciderle, le mosche le accompagna fuori dalla porta -, ciò che Naruto ottenne da Kabuto furono solo occhiatacce e improperi, non tanto per le chiappe e la nuca e la schiena lese, quanto per via degli occhiali: si erano tragicamente sfracellati nella caduta. Il fatto che Sai avesse aggiunto, in un sorriso: «fortunatamente a sfracellarsi non è stata la sua testa», non aveva aiutato la disposizione d'animo dell'assistente.
«Per favore, voglio solo sapere dov'è Orochimaru! Poi prometto che se vi va mi faccio arrestare!» proseguì però Naruto, inarrestabile ai limiti della stoltezza, e che l'affermazione fosse stupidamente illogica non aveva importanza; Sai del resto era troppo impegnato a prendere appunti – sotto il titolo di “gesti eclatanti compiuti per rinsaldare legami perduti”, qualunque cosa volesse dire nel suo cervello bruciato – per preoccuparsi di far uscire il suo degno compare d'avventure dalla modalità stalking compulsivo.
In un ultimo afflato di speranza e senza curarsi del fatto che la mano di Kabuto fosse ormai scivolata vicino ad un bisturi con chiari intenti omicidi, Naruto riuscì anche a cacciare fuori il ritratto di Sasuke e spalmarglielo praticamente sul naso: peccato che, con le loro sette diottrie in meno, le pupille di Kabuto fossero totalmente inette. In compenso, essere nuovamente molestato dal biondo aggressore causò nel giovane ingegnere la definitiva crisi isterica che si concluse con Sai che tirava via Naruto dalla traiettoria di un bisturi, un'infermiera urlante e l'assoluta opposizione di Kabuto a rivelare qualunque informazione su Orochimaru, fosse anche semplicemente il suo numero di scarpe, perché non avrebbe mai messo il suo maestro nelle mani di due schizzati chiaramente usciti da un ospedale psichiatrico con chissà quali terribili intenti – magari vivisezionare Orochimaru e mettere il suo geniale cervello in formaldeide, per i posteri.
Infine, sotto la minaccia di avvisare il vicino comando di polizia se in futuro si fossero azzardati a rimettere piede in facoltà, i nostri eroi si erano decisi a levare le tende.
Naruto aveva ubbidito a malincuore, con Sai a trascinarlo via per le spalle, il sorriso cortesissimo da gelare il sangue usato come deterrente per chiunque volesse avvicinarsi; infine si era rassegnato a farsi condurre fuori dall'edificio, sotto il sole di mezzogiorno.
«Sono molto dispiaciuto per la tua perdita, Naruto kun» tentò di consolarlo da voce di Sai dopo un po', quando ormai si erano lasciati alle spalle quella trappola architettonica della facoltà di Ingegneria, che comunque incombeva imponente come una Morte Nera con la sua ombra netta.
Naruto storse il naso, distogliendo lo sguardo per portarlo sulla strada, verso gli altri edifici – la facoltà di medicina salutava alta e chiara contro il cielo fin troppo terso per il suo umore cupo.
«Mica è morto, Sasuke» borbottò imbronciato, le mani nelle tasche e i piedi a strusciare in terra mogi.
«Oh, non ha importanza. Se non lo vedrai mai più è come se fosse morto, no?»
«Davvero Sai, secondo me hai scelto la facoltà sbagliata: non sei proprio portato».
«Perché dici così?»
Alla fine, Sai insistette per offrirgli il pranzo e lasciargli persino il numero di telefono, intontendolo di ciarle su come fosse produttivo cercare di costruire una rete di rapporti sociali da mantenere viva mediante momenti d'aggregazione – il pranzo, appunto – e l'utilizzo della tecnologia delle comunicazioni, strumento che aveva modificato il mondo della sociologia in modi che Naruto preferì ascoltare solo distrattamente, molto preso dal masticare il suo panino – solenne nostalgia quando i suoi denti incontrarono un cetriolino.
Tornò a casa senza fermarsi a cercare Sakura – ne aveva abbastanza di infruttuose ricerche in edifici astrusi – e una volta lì, non si sentì minimamente in vena di pulizie. Degnò i cartoni vuoti della pizza di un'occhiata afflitta e tirò dritto in camera; ai due tonfi mollicci delle scarpe lanciate alla rinfusa, seguì il cigolio delle molle vecchie sotto il suo peso stanco e, con la faccia affondata nel materasso, il nostro mogio eroe si sentì di nuovo la teenager più stupida dell'universo tutto.


Oggettivamente, non ne era uscito bene. Non gli era mai capitato di prendersela tanto: insomma, aveva incontrato un tizio, ci aveva fatto del sesso notevole e poi quello se n'era andato, tutto qui: mica da costruirci chissà quale film.
E però Naruto Uzumaki, ventiquattrenne, biondo, arancione, omosessuale mollato random da uno stronzo random, nuovo fattorino a tempo indeterminato dell'Ichiraku Ramen, non riusciva a ripigliarsi. Non aveva buttato il ritratto di Sasuke, tanto per dirne una: non l'aveva incorniciato e, anzi, in un impeto di rabbia l'aveva anche accartocciato, ma ecco, era comunque rimasto lì, lanciato a rimbalzare secco contro il muro e stanziatosi in un angolo, silenzioso e triste.
Persino l'entusiasmo per la prima sera di lavoro non era riuscito a tirarlo del tutto su, neanche quando gli amici gli avevano fatto una sorpresa facendosi recapitare l'ordine più abbondante direttamente a casa di Kiba – aveva preferito non far loro sapere che aver dovuto consegnare sei porzioni di ramen bollente dall'altra parte della città gli sarebbe costato più in benzina che altro, ma erano così entusiasti e amavano tanto la sua maglietta giallo evidenziatore col logo del locale, che Naruto non aveva avuto cuore di farglielo sapere.
Di ritorno a casa, sul tardi, fare quei sette, consueti piani di scale gli era parso lunghissimo e infinitamente noioso e, come se non bastasse, era riuscito anche ad incontrare la vecchia Chiyo che, annunciata dallo strusciare minaccioso delle solite ciabatte – ma che diavolo ci faceva in giro a mezzanotte passata, poi? - gli aveva brontolato «questa sera il vicinato potrà dormire o hai nuovamente intenzione di darti alla sodomia fino a notte fonda? Ai miei tempi...»
E lì, Naruto, contrariamente alle proprie abitudini - in fondo la vecchina era pedante e un po' rompicoglioni, ma non particolarmente dannosa, inoltre aveva una certa ragione dalla sua riguardo gli schiamazzi e lui cercava d'essere comunque sempre cordiale – era stato sul punto di risponderle seriamente piccato. Solo che lei l'aveva preceduto: squadratolo da capo a piedi, aveva sbuffato con aria saggia e «Ti ha mollato, eh? Il mondo è pieno di idioti, ragazzo, presto ne troverai un altro» aveva sentenziato, lasciandolo così di stucco che, quando poi si era ritirata oltre il battente della porta – senza però smettere di borbottare riguardo quanto i giovani fossero chiaramente lenti di comprendonio, oltre che dei patetici pivelli che non sapevano niente della vita – Naruto era ancora immobile sul pianerottolo, le chiavi in mano e la bocca a fare da rifugio per i moscerini.
Seriamente, si era poi detto con decisione, dopo essersi chiuso la porta alle spalle: non esisteva di stare così giù da doversi far consolare dalla vecchia Chiyo. Si stava veramente scadendo nel patetico, e tutto per un Sasuke. Un solo misero, stupido, maledetto stronzo di un Sasuke qualunque.
Ne trovava a frotte, di stronzi! La mamma degli stronzi è sempre incinta, non a caso. Aveva ragione la vecchia: se proprio voleva uno stronzo, se ne sarebbe cercato un altro, tutto qui. Mica da perderci il buon umore.
«Io sono Naruto Uzumaki, e scalerò l'Everest! Fanculo ai Sasuke!»
Lo specchio del bagno gli rimandò il riflesso spettinato di un fattorino di ramen istantaneo che era stato mollato poco più di dodici ore prima. Non esattamente un'immagine idillica da pubblicità dei cereali per la prima colazione.
Ciabattò scocciato in cucina, dove ancora giaceva la sua sporcizia – colture batteriche prosperavano tra televisione e divano. Lo stesso su cui si buttò a peso morto, riuscendo anche a spostarlo di qualche centimetro in un fracasso che, al solito, attivò il cane al piano di sotto. Quell'animale necessitava seriamente di un tranquillante per rinoceronti o di una lunga, lunga vacanza.
Infine il nostro mogio eroe si rassegnò a se stesso: sapeva d'essere stupido, così come sapeva che a prendere a cuore una cosa simile avrebbe finito solo per farsi male, ma niente. O seguiva la sua indole o doveva mettersi a litigare anche coi suoi organi interni, oltre che con tutto il condominio, e lui non era portato per i dissidi interiori da poeta maledetto, quella roba cervellotica da persone profonde era meglio lasciarla a ragazze come Sakura. Lui era uno stupido: glielo ripetevano dalla più tenera età, faceva parte di lui e se essere stupidi significava seguire fino in fondo la via che in quel momento gli pareva giusta allora va bene, probabilmente lo era. Il più grande stupido del mondo. Il più grande stupido del mondo che teneva tra le mani un ritratto scartocciato, rugoso e sbaffato, uno stupido con il cervello saturo alla disperata ricerca di un piano d'azione che gli consentisse di frugare l'elenco degli iscritti alla facoltà di ingegnomedicologia – quella roba lì.
Stava quasi per chiamare Sai – non si sa se per masochismo o che altro -, convinto comunque che lo psicopatico l'avrebbe aiutato anche se gli avesse proposto qualcosa di illegale, tutto in nome dei suoi complicati studi sociologici, ma quando già aveva scorso la rubrica fino alla C di Coglione – appena sotto Cagnaccio, che corrispondeva al cellulare di Kiba – si bloccò col pollice sul tasto verde, preda d'un improvviso sgomento.
Poteva essere una panzana, realizzò, come una scossa elettrica. Qualcosa di molliccio si coagulò sul fondo del suo stomaco, a pesare di rabbia e frustrazione contro la sua schiena, incassata nel divano cedevole.
Poteva essere una palla, che ne sapeva? Magari Sasuke neanche si chiamava Sasuke, magari era uno spostato sessuomane che si divertiva a cambiare amante ogni sera e raccontava ad ognuno una storia diversa – quell'Orochibutomaru era una personalità ben nota, no? Gliel'aveva detto anche Sakura: lo Stronzo doveva essersi inventato una palla pseudocredibile così, per farlo fesso. Effettivamente aveva pensato che la facoltà di Ingegnerobiomedicamentosità fosse una roba troppo assurda per esistere... Ah, no, okay, quella esisteva. Ma restava comunque troppo assurda e...
«Che palle!» rantolò, sprofondando ancora di più nell'imbottitura. Il cellulare scivolò dalla sua mano e si sfracellò a terra, con estremo disappunto del cagnetto idrofobo residente al sesto piano.


Un mese dopo l'incresciosa avventura, il nostro eroe da Naruto Uzumaki, ventiquattrenne biondo, arancione, omosessuale alla ricerca dell'anima gemella, allegro e disoccupato, si era stanziato morbidamente nella definizione di Naruto Uzumaki ventiquattrenne biondo, arancione, omosessuale un po' sfiduciato nell'amore, nonostante tutto allegro e ormai collaudato fattorino a tempo indeterminato dell'Ichiraku ramen. Non era per nulla una brutta vita, faceva duemila cose come al solito, sempre rumoreggiando molto, e lo scorso fine settimana era anche riuscito a convincere il buon vecchio Jiraiya, il suo pimpante padrino cinquantenne, a svagarsi con lui in montagna. Nella fattispecie “svagarsi” nel vocabolario narutesco significava “salire a picco su metri e metri di parete verticale”, ma l'uomo, avvezzo al rischioso hobby del figlioccio, l'aveva presa con filosofia.
Stare con Jiraiya aveva quasi definitivamente rinfrancato l'arancioso spirito del nostro eroe, che era quindi ritornato in città più vitale e attivo - come il bifidus, sì -, pronto a rituffarsi negli intrighi da telenovela tessuti attorno a Ino dall'abile mente votata al romanticismo che risiedeva nella scatola cranica di Sakura Haruno. I nuovi sviluppi della vicenda comprendevano la comparsa di Sai, che aveva preso a frequentare la congrega per via dei suoi studi sociologici – così diceva lui. I risultati di questo nuovo sodalizio erano stati: farsi odiare enormemente da Sakura, venire giornalmente alle mani con Naruto e finire tra le grinfie amorevoli di Ino, che gli ronzava attorno apparentemente indecisa lei stessa su come muoversi con un tipo tanto assurdo.
Quel dì Sakura aveva appena finito di esporre nuovamente il problema – il problema si chiamava quel pigro cialtrone di Shikamaru finirà per farsela sfuggire! -, per poi perdersi a parlare del futuro con voce mogia. Naruto ascoltò paziente e anche vagamente divertito tutta la consueta trafila di propositi futuri: la sua migliore amica aveva un piano dettagliato che comprendeva lei e l'eterno amore – era fiduciosa che prima o poi le sarebbe piovuto in testa - e una brillante carriera di cardiologa, Naruto possibilmente accasato con un brav'uomo di sani principi morali, Ino felicemente sposata con Shikamaru, Chouji ammogliato con una ragazza bravissima, buonissima, purissima e levissima e quindi probabilmente inesistente – non era Chouji ad essere esigente, erano gli amici ad esigere che fosse ripagato della sua santità con altrettanta santità - e Kiba e Hinata circondati da un branco di cuccioli, sia umani che canidi, a completare il quadro. E quindi ecco, spiegò seccata e diretta nella cornetta del cellulare – facile immaginarla mentre tamburellava col dorso della penna sulla copertina di un manuale -, Sai stava scombussolando il suo schema – eh, che ansia!
Prima di sentirla esplodere come un coreografico fuoco d'artificio rosa, Naruto si affrettò a tranquillizzarla: secondo lui l'unica donna che Sai avesse mai conosciuto intimamente doveva essere sua mamma il momento della nascita, per il resto del tempo probabilmente era vissuto in una boccia di pesci rossi o in una capsula criogenica - e questo spiegava anche il suo colorito praticamente cianotico.
«Basta solo aspettare che Shikamaru si dia una mossa» concluse Naruto, mentre cercava di rimettere in moto il catorcio che gli si era appena spento su una salita appena più ripida; «Shikamaru si dà sempre una mossa prima o poi. Abbi fede». Ed era vero, eh: Ino per ora sembrava troppo persa tra gli studi e una comprensibile voglia di divertirsi per accorgersi che l'uomo della sua vita stava dietro di lei come una saggia, intelligentissima ombra paziente da quando i due erano ancora in grembo a due madri in travaglio nella stessa corsia d'ospedale, ma Shikamaru era un paziente stratega, e prima o poi le cose si sarebbero assestate da sole.
Ecco: ciarlare con Sakura aveva sempre la sua bellezza, peccato che dover contemporaneamente evitare un incidente stradale, salvare tre porzioni di ramen bollente dal suicidio sull'asfalto e risparmiarsi possibilmente una multa succhiastipendio – anche perché non è che il suo stipendio fosse questo gran capitale – rendesse l'attività meno distensiva del consueto.
«Adesso devo proprio andare, eh» salutò nella cornetta ammaccata, lanciandole un in bocca al lupo per l'esame mentre imboccava una curva a gomito. Parcheggiò in derapata – in realtà semplicemente sbandò, urlando come una donnicciola quando per poco non si schiantò contro un idrante – e Sakura a quel punto dovette ritenere che era giunto il momento di attaccare, piuttosto che quello di mettersi a rantolare di disperazione per l'esame imminente. Salutò raccomandandosi di guidare piano e Naruto non le rispose male solo perché stava cercando di sopravvivere e perché, beh, era Sakura. Fosse stato Kiba avrebbe rimesso in moto il trabiccolo e sarebbe andato direttamente a casa sua a fargli ingoiare l'olio del motore per mezzo d'un imbuto.
Comunque, alla fine il nostro eroe arancione raggiunse illeso il marciapiede, il ramen ben impacchettato nella destra e sotto il naso il foglietto dell'ordinazione, da recapitare a tale Hozuki Suigetsu al civico ventitré.
Sul citofono c'erano un bel po' di nomi, ma nessun Hozuki, così Naruto si rassegnò a schiacciare l'unico pulsante privo di targhetta leggibile, molto seccato con i soliti clienti approssimativi che tendevano a fargli perdere inutilmente tempo. La sua stizza salì notevolmente quando la risposta, solo dopo la terza scampanellata, arrivò piuttosto seccata da una voce rude e piana. Il nostro normalmente cordialissimo eroe fu degnato solo di un monosillabico «sì» senza inflessione interrogativa e ci volle tutta la sua buona volontà per non rispondere in maniera scortese. Dopotutto, il cliente ha sempre ragione e perdere il lavoro per così poco era fuori discussione, così il fattorino ingoiò un grumo di irritazione e rispose: «il ramen che hai ordinato», arrogandosi come risarcimento solo il diritto di un informale tu.
Fu ripagato da una sorta di sibilo scocciato e dai toni soavi di una voce femminile che gridava – probabilmente da un'altra stanza – una cosa sullo stampo del «lurida pozza, se è per te va' a rispondere tu, non mandarci gli altri!» col tono d'una educatrice per l'infanzia particolarmente piccata: al successivo rumore secco che gli fece strizzare gli occhi, Naruto comprese che “gli altri” - alias il mister simpatia addetto al citofono – gli aveva appena sbattuto la cornetta in faccia. Stava per riscampanellare - il dito già contro i pulsante, deciso ad attaccar briga e salire anche solo per rovesciare quel ramen in testa a Suigetsu Hozuki, chiunque egli fosse -, quando l'apparecchio gracchiò di nuovo, quasi con timidezza.
«Siamo al terzo piano, la prego di scusarci».
Il nostro eroe, che era una persona di buon cuore – un cuore arancione amante di tutte le creature – si addolcì di colpo: quel vocione pacato, appena distorto dal citofono, raccontava una storia di pazienza infinita – facile crederlo, considerate le voci degli altri inquilini. Così, ristabilita un poco di fiducia nella cortesia del genere umano, Naruto si avviò oltre il poltrone, in un tramestio di ciotole e scatolame.
Il palazzo era vecchio e piuttosto inquietante, nella penombra di una luce fioca. Le scale si inerpicavano ripide e strette, tutte tese verso l'alto - cosa piuttosto sensata per una scala, ma in quel caso pareva che per salire i gradini servisse un serio studio sul piano inclinato e Naruto di piani inclinati non ne aveva mai voluto sapere niente. Fortunatamente c'era l'ascensore o come minimo sarebbe stato necessario tornare a casa a prendere l'attrezzatura per arrampicare.
«Oh, non bloccarti, per piacere» lo supplicò Naruto, quando a metà del secondo piano le luci ebbero un fremito, ad accompagnare un sinistro grattare di lamiere.
Non appena le porte si aprirono, trasse un sospiro asmatico da fanciulla in difficoltà, compensando poi con più virile scatto da maratoneta nel momento stesso in cui poté fiondarsi fuori, del tutto incurante del brodo sballottato – e in discesa avrebbe preso le infide scale, altroché.
«Visto? Sei salvo!» ragliò rivoltò alla confezione di ramen da asporto, dentro cui stavano le ciotole impilate ordinatamente da Teuchi in persona.
«Ma che fai, parli da solo col ramen? Bell'animale strano che sei».
Le sopracciglia di Naruto si aggrottarono del tutto spontaneamente quando il suo collo ancora non s'era voltato; lo fece un attimo dopo, portandosi dietro l'opportuna espressione un po' perplessa un po' incazzosa, che però si sciolse all'istante non appena gli occhi incontrarono la figura incorniciata dalla porta aperta. Lì sotto, un po' in ombra per via della luce proveniente dall'interno della casa, alle sue spalle, stava Suigetsu Hozuki. Suigetsu Hozuki che era un tizio assurdo coi capelli azzurri, col sorriso da squalo e lo sguardo da pazzo; un tizio assurdo che Naruto aveva già visto.
«Saaasuke, tu mangi?» si intromise la voce acuta della ragazza, portandosi dietro la ragazza stessa, occhiali dalla montatura spessa e capelli rossi compresi nel pacchetto. Si affacciò quasi buttando a terra il coinquilino, l'amico, il tizio, chiunque fosse per lei Suigetsu Hozuki, sempre che quello fosse Suigetsu Hozuki. E lo era, perché poi spuntò anche la testa altissima di un tizio altissimo - lo stesso tizio altissimo che- sì, insomma, quello. Quello del succo di frutta – e fu appellato con un lagnoso «Juugo, ce l'hai da cambiare?» da Suigetsu Hozuki in persona. E il nostro perspicace eroe spalancò la bocca, illuminandosi dall'interno ancor prima che quello, Juugo, rispondesse in modo alquanto incoerente con «Sasuke ha detto di dirvi “morite”. Credo significhi che non cenerà con noi».
Al che, al diavolo Suigetsu Hozuki che cercava di mettergli una banconota in mano e di ritirare il suo sacrosanto ramen, quello era tutto ciò che Naruto aveva bisogno di sentire per far scattare il suo personalissimo blitz.


Fare irruzione in un appartamento privato è illegale. Fare irruzione in un appartamento privato urlando «bastardooooo!» e buttando all'aria Suigetsu Hozuki con una spinta è criminale, specie se poi, non contento, utilizzi uno scatolone pieno di ramen bollente a mo' di ariete per sfondare la difesa di Juugo e catapultarti in un corridoio non tuo di una casa non tua mentre una Karin strepita che «Devi solo provare ad avvicinarti, sono cintura nera di karate!» – affermazione poco credibile urlata brandendo un portaombrelli a mo' di clava.
Il nostro eroe non era un criminale, ma pareva che, da quando Sasuke gli era capitato tra i piedi, fosse stato propenso a darsi al terrorismo e alle aggressioni con una facilità che sarebbe risultata come minimo preoccupante se analizzata da Sai, per esempio, e che invece era scivolata felice nello scomparto “cose che vanno fatte perché il tuo corpo lo decide da solo” - un ampio loft nel cervello, proprio accanto allo sgabuzzino in cui era rimasto intrappolato il buonsenso, un dì che il nostro eroe non sapeva ancora parlare e già si produceva in immani cazzate: quella che si dice la predisposizione genetica.
In ogni caso, anche quando Karin aveva già tirato fuori il cellulare per contattare la polizia, i carabinieri e l'esercito – come stava sbraitando alquanto infervorata – Naruto non si era fermato: seguendo il suo istinto animale, o forse solo perché non è che il posto fosse così grande, aveva sfondato una porta con un calcio diretto dato con tutta la sua forza, proprio come nei telefilm con l'FBI che butta giù usci randomici senza neanche mezzo mandato di perquisizione o simili. Ovviamente, si trattava di una di quelle cose che, appunto, succedono solo nei film: l'unico motivo per cui la porta effettivamente cedette contro il piede di Naruto, sbilanciando lui direttamente dentro la stanza, fu che l'occupante avesse scelto quel momento esatto per aprirla, tra l'altro ringhiando «volete stare zitti?» col tono d'uno che fosse stato interrotto mentre era ad un passo dallo scoprire il vaccino contro il cancro.
Sasuke non aveva scoperto un bel niente, a dirla tutta: aveva solo aperto la porta ed era rimasto lì, con una faccia da vampiro appena emerso da una cripta, ed effettivamente quella stanza ombrosa, lunga e stretta, somigliava un po' ad una bara. Sasuke invece, agli occhi di Naruto, somigliava a qualcuno che a breve ne avrebbe avuto bisogno, di una bara. E di un catafalco e di un officiante al rito funebre o, nel migliore dei casi – suo buon cuore permettendo –, almeno di un bravo ortopedico. Il pensiero omicida fu fugace, comunque, perché il nostro eroe era troppo preso dalla catartica sensazione delle sue nocche che impattavano contro la faccia di Sasuke, tutte le energie concentrate nel pugno e nelle corde vocali che gridavano «tuuuu!», in un'ammonizione ancestrale di rivalsa per tutti gli amanti abbandonati di tutto l'universo di tutti i tempi, o qualcosa di epico su questa linea.
Naruto ricominciò a respirare solo una volta constatato di non aver effettivamente ucciso Sasuke: gli era semplicemente caduto sopra per accompagnare lo slancio del pugno nel tentativo di fargli il più male possibile e adesso quello, lo stronzo contuso, se ne stava sotto il suo peso a guardarlo stralunato e – ma presumibilmente su questa considerazione influiva il giudizio dell'amante abbandonato – irrimediabilmente facciadicazzomunito.
La situazione statica durò ben tre lunghi, silenziosi secondi – fatta salva Karin che litigava con il centotredici perché, sosteneva lei, «stanno ammazzando il mio coinquilino e voi mi lasciate minuti interi ad ascoltare Rihanna?! Cos'è, oltre al danno la beffa?» –, finché Naruto non fu ripagato d'un cazzotto altrettanto significativo: il colpo lo ribaltò sul pavimento come un'omelette, cosa che parve tranquillizzare l'ombra imponente di Juugo, giunto in silenzio a fare le veci del tutore dell'ordine.
Naruto, stordito, era comunque troppo preso da Sasuke – Sasuke, Sasuke! Dattebayo! - per preoccuparsi di cosa un omaccione uno e novanta avrebbe potuto fargli se avesse insistito nel tentare di ammazzare a pugni il suo coinquilino; incurante delle conseguenze – la più probabile delle quali contemplava la sua ospedalizzazione con lo stampo delle nocche di Juugo impresse sul suo naso a memoria imperitura dell'inviolabilità dell'altrui domicilio -, aprì la bocca fumando dalle orecchie, la cartuccia di insulti già pronta sulla punta della lingua e l'indice puntato. Sasuke però fu svelto e, piuttosto che perdersi in chiacchiere, trovò più produttivo assestargli un altro cazzotto e spedirlo dritto contro una pila di libri. Mezzo skyline della scrivania ingombra crollò insieme a Naruto sul pavimento e, solo quando la granitica zucca del nostro eroe andò a collidere con lo spigolo di una tesi di laurea rilegata, Sasuke parve ritenersi relativamente propenso ad evitare di infliggere altro dolore al giovane Uzumaki.
«Ganzo, una rissa! Io scommetto su Sasuke, senza offesa» commentò la testa di Suigetsu, che sporgeva curiosa dal corridoio, incurante della tensione palpabile.
«Fuori» sillabò solo Sasuke, secernendo veleno a fiumi, senza neppure voltare il capo.
La mano di Juugo, silenziosa e discreta, spuntò fuori dal nulla e chiuse piano la porta, ancor prima che Karin avesse il tempo d'affacciarsi curiosa; Naruto ne seguì il guizzo di capelli rossi con la vista appannata, sconvolto, finché Sasuke non riprese parola, pronto a frustare l'aria ad ogni sillaba, le palpebre strette e le braccia conserte.
«Che diavolo ci fai qua».
Naruto si guardò attorno per un momento, stralunato, il sedere sul pavimento freddo e un crollo di grattacieli librari che, integerrimi, continuavano a franargli accanto. Fece quasi per cercare di raccogliere il disordinato disastro; realizzò l'assurdità del gesto che già aveva messo mano ad un librone di analisi matematica. Lo guardò fissò per un momento, prima di lasciarselo cadere dietro, alla rinfusa.
«Tu- io. Tu!» in un colpo si ricordò che doveva essere lui a picchiare Sasuke, non il contrario, e il pensiero gli diede abbastanza energie da permettere alle sue gambe di riportarlo in piedi. «Tu sei sparito!»
Sasuke guardò l'indice puntato contro la sua fronte come fosse pronto a staccarlo con un morso.
«Come sarebbe “sei sparito”, razza di imbecille patentato» sfrigolò, rovente. «Io non sono sparito, tu sei sparito».
Lì per lì, col cervello inceppato, il nostro eroe tentò di valutare quelle parole con razionalità, sebbene il vociare di Suigetsu e Karin che, dietro la porta, bofonchiavano «cantagliele, Sasuke!» senza evidentemente aver capito un fico secco ma divertendosi un mondo, non lo aiutasse nell'ingrato compito. Alla fine optò per schiudere la bocca e rantolare un verso interrogativo di molto simile al cigolio di cardini mal oliati che, comunque, parve sortire l'effetto sperato: Sasuke, da che teneva le palpebre assottigliate in assoluto spregio e ira, contrasse le sopracciglia, per rivolgergli una lunga occhiata indagatrice.
«Tu non sei analfabeta, vero?» domandò sospettoso, e pareva talmente serio che nello stomaco di Naruto si risvegliò nuovamente un istinto omicida – non esattamente sopito – dalle fattezze di demoniache zanne in un ribollire rosso di rabbia decisamente mal trattenuta. In procinto di ruggire fuori serie minacce alla salute dell'altro, il nostro furibondo eroe avanzò di due passi e fece per acchiappare Sasuke per le spalle e quantomeno strapazzarlo – magari scuotendolo si scopriva definitivamente che nella sua testa non c'era nient'altro che tanta stronzaggine raccolta in una densa sfera nera: se ne sarebbe sentito il suono di rimbalzo sulle pareti del cranio. Gliele aveva già acchiappate, le spalle, la faccia a due millimetri dal suo naso indisponente, quando di colpo, arrivò l'epifania.
«Perché pensi che sia analfabeta?» boccheggiò, e Sasuke ebbe persino l'ardire di storcere il naso per via del suo alito. Si astenne almeno dal prodursi in qualche poco pertinente lamentela ed emise un basso grugnito seccato.
«Non l'hai letto» concluse, chiudendo gli occhi per un breve momento – parve ad un passo dallo spalmarsi una mano in fronte e ruggire di noia. «Ti ho lasciato un biglietto, mentecatto. Dovevo lasciare il gas aperto e ucciderti, piuttosto. Avrei fatto un favore al mondo».
Ma Naruto non lo sentì, registrare la minaccia di morte era assolutamente superfluo. Un biglietto. Un biglietto. Un. Biglietto. Un biglietto come le persone normali!
«E dove cavolo sarebbe questo biglietto?!» sbottò poi, sballottando Sasuke come un sacco di patate, tanto da meritarsi un pestone. Si disinteressò anche a quello – che probabilmente si sarebbe rivelata essere una frattura composta dell'alluce - e fece quasi per mettersi a frugare in quella stanza in cerca del biglietto in questione; fortunatamente si astenne, così da consentire a Sasuke di assestargli un pizzico per indurlo a staccarsi, brontolare qualche altro insulto a suo carico – tutti riguardanti le dimensioni microscopiche del suo cervello - e spiegargli, adottando il tono seccatissimo da impiegato delle poste a due minuti dalla fine del suo turno, che non ne aveva la più pallida idea, che se la sua casa era un maledetto porcile la cosa non lo riguardava minimamente e che comunque anche se lo avesse trovato, quel dannato biglietto, sarebbe stato troppo stupido per riuscire a leggere la sua grafia, quindi tanto meglio così. Peccato che al nostro impavido eroe non fregasse nulla di nulla di quel blaterio rissoso da gatto arrabbiato, preso com'era a vagliare le alternative: biglietto? Che biglietto? Dove stava quel biglietto, perché non aveva visto il biglietto?
«Sasuke, porca miseria, dove l'avevi scritto?!» sbraitò, tornando a sbatterlo come un tappeto – e stavolta partì il gancio sotto il mento: la lingua del nostro eroe ne uscì male. Qualcuno dietro la porta sobbalzò tanto da dare una botta al battente e gridò «che vi dicevo? ho vinto!»: era la voce di Suigetsu.
«Su uno di quei tuoi merdosi volantini gialli, dannato fattorino del cazzo!» replicò Sasuke, le staffe ormai perse a passeggiare nello spazio aperto assieme alla pazienza e al controllo di sé.
Su uno di quegli merdosi volantini gialli, tipo il volantino giallo che si era ritrovato addosso al mattino, quello che aveva lasciato cadere nella foga di ritrovare il Sasuke perduto, quello che aveva spinto col piede sotto il divano; lo stesso divano sotto il quale lui non puliva mai perché tanto nessuno lo avrebbe spostato e allora che importava?
Naruto si sventolò la lingua dolorante, senza fiato.
«E... Eh 'he 'ehra 'hitto?»
«Cosa ha detto?» domandò la voce di Karin, turbata. Sasuke la ignorò.
«Che vuoi che ci fosse scritto, decerebrato? Dovevo andare all'università».
«All'università, a bioingegnoseria medicale da Orochibuto!» si rispose da solo il nostro eroe, sorvolando eroicamente – non per nulla era, appunto, un eroe – sulle papille perdute e sul dolore; e al diavolo l'aver mescolato due o tre cose insieme. Sasuke annuì in uno sbuffo, prima di specificare con saccenza: «Orochimaru, il relatore della mia tesi. Mi dovevo laureare, imbecille, ero in ritardo. Ti avevo scritto il numero».
E al diavolo anche gli insulti: Naruto era leggero come un sufflè, mentre ancora sbatacchiava Sasuke come un salvadanaio, incurante del fatto che lui stesse cercando di divincolarsi a pugni – non che il nostro ormai esaltato protagonista se ne fosse accorto, impegnato com'era a latrare: «questa cosa non ha senso! Il giorno prima della tua laurea stavi in giro a fare sesso?!» praticamente sulla sua faccia. Neanche i sibili oltraggiati di Sasuke riuscirono a smorzare l'entusiasmo: non era stato mollato! Sasuke era chiaramente un sessuomane, ma non l'aveva mollato! E gli aveva anche-
«Il numero! Il numero!»
«Sì, sai, quella sequenza che si digita su un apparecchio telefonico per-»
«Mi hai lasciato il numero!»
«Mi sto domandando perché l'ho fatto».
Che stronzo, pensò Naruto, spintonandolo. Che stronzo! E, in coerenza con le trenta pagine precedenti, la costatazione lo portò solo a zittire lo stronzo con un bacio, che fu tra l'altro radiocronacato da un urletto di Karin, occhio alla serratura; Sasuke borbottò qualcosa di indistinto sulle coinquiline yaoifangirl e i coinquilini idioti che ordinano ramen in posti pieni di usuratonkachi.
«Sei veramente uno stronzo laureato» conclusero le labbra di Naruto, dopo aver deciso che era più saggio zittirlo rubandogli altro ossigeno per un congruo numero di secondi.
Sasuke si strinse nelle spalle.
«Beh, effettivamente adesso sono laureato».
Ci sarebbe stato da aggiungere qualcosa sulla parte dello stronzo, ma l'unico altro pensiero sensato che il cervello di Naruto riuscì a formulare, solo un momento prima di spintonare Sasuke sul letto, guadando il pavimento disseminato di libri e pestando quella maledetta tesi di laurea, fu che – per gli dei – finito lì, come minimo Naruto Uzumaki, ventiquattrenne arancione, biondo, felicemente sasukesessuale a tempo indeterminato, fattorino a tempo altrettanto indeterminato dell'Ichiraku Ramen, quel numero di telefono se lo sarebbe fatto tatuare sulla fronte.


Sei un imbecille e io dovrei soffocarti nel sonno, non scriverti un biglietto.
Le tre e trentasette cosa, mentecatto? La tua sveglia è ferma, rotta. Un catorcio, come la tua stupida testa abitata da quell'ammasso di cellule che ti ostini a chiamare cervello: non sono le tre e trentasette, sono le otto passate e per colpa tua io sarò la prima persona al mondo ad arrivare tardi alla sua stessa seduta di laurea (sei un imbecille, ti odio. Ah, e russi: giusto perché tu lo sappia e non mi venga a dire che quello che russa sono io). Non ho tempo di soffocarti nel sonno, forse lascerò il gas aperto: se leggerai questo biglietto vorrà dire che ti avrò risparmiato la vita per un mio capriccio. Sii consapevole e ringraziami come si deve, magari usando il telefono (i misteriosi numeri scritti lì in alto, se digitati in sequenza sulla tastiera di un cellulare, ti permetteranno di parlarmi a distanza: te lo spiego nel caso non lo sapessi, data la tua natura di inutile cercopiteco ignorante).
E guarda che merde di biglietti chilometrici mi fai scrivere, idiota. Su uno stupido volantino giallo, poi.
Quasi quasi lo accendo davvero, il gas.
Muori, usuratonkachi.
Ti odio.

Sasuke (Uchiha, babbeo. Il piacere è tutto tuo)





Nda
Ahn... no, okay, meglio se resto in un dignitoso silenzio. Solo, grazie ai sopravvissuti che hanno speso tempo prezioso a leggere questa cavolata.
Comunque sì: Scontata Idiozia è il mio nome di battesimo e Suigetsu deus ex machina è una cosa che se non la scrivi non ci credi, ma io l'avevo detto che era una cretinata *piagnucolii*

Parlando d'altro, auguri a ssscarkun *sibilo*: la nostra luminescente, sommergibile, ignifuga pissicologa iperimpegnata! Considerato il poco tempo che hai e la tua predilezione per cose decisamente più impegnate e profonde, appiopparti 'sta stupidata è stata UN'IDEA CRETINA, ma non è che abbia mai dato a intendere d'essere intelligente, io (altrimenti suppongo non scriverei cose simili). Comunque dentro c'è tanto amore ùù'
'Kay, mh. Leggi solo gli auguri: auguri! **


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