Tu lo conosci Sasuke? di wari (/viewuser.php?uid=83330)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** parte prima ***
Capitolo 2: *** parte seconda ***
Capitolo 1 *** parte prima ***
Sarebbe
una narusasunarusasunasuras-... Sì, dai, quella roba lì.
Sarebbe per fare gli auguri alla prode annamariz
(buon compleanno, anna!) e sarebbe in au. Io e le au non andiamo per
nulla d'accordo: ne leggo volentieri ma non so scriverne. Ciò detto,
evitate di leggere se cercate una trama realistica, perché non la
troverete qui. Qui è già tanto trovarci qualcosa che ci somigli
vagamente, ad una trama *sviene*
Tu
lo conosci Sasuke?
-
parte prima -
Era
mezzanotte e quarantadue quando Naruto Uzumaki si era soffocato con
la birra, nel momento esatto in cui il suo cervello aveva deliberato
che quella, potenzialmente, poteva essere una nottata rivoluzionaria.
Non che avesse una qualche prova concreta: era una sensazione a
pelle, forse dovuta all'alcol, anche se aiutava la consueta indole
ottimista, quella d'una persona dotata di sorriso contagioso e la
rara abitudine a prendere sempre il meglio delle cose. Non aveva
certezze, dunque, ma il suo istinto di rado sbagliava.
Naruto
non era abituato alle cotte, alle sbandate da ragazzina, e neanche
stava lì a far caso ad ogni esemplare umano che gli svolazzasse nei
paraggi, ma beh, evidentemente una volta nella vita doveva capitare
pure a lui: e non appena era capitato si era strozzato con la birra.
D'accordo,
andiamo con ordine: una sequenza di avvenimenti avevano condotto
quello che sarà il nostro eroe a soffocarsi con la birra, primo tra
tutti il fatto d'averne presa una ad alta gradazione alcolica, per
festeggiare. Festeggiare il nuovo lavoro – fattorino per la
consegna di ramen a domicilio – con gli amici di sempre: Sakura
Haruno, laureanda in medicina habitué di trenta e lode, sua
migliore amica dalle scuole medie; Kiba Inuzuka, età anagrafica
ventiquattro, età apparente quattordici, dog-sitter a perdita di
tempo, ghigno ferino e ubriacatura allegra; costui era accompagnato
dalla di lui ragazza: Hinata Hyuuga, ventidue anni di timidezza
annegata in un analcolico, per non contraddire il babbo. Infine,
ultimi ma non per amicizia, c'erano Ino Yamanaka, esuberante collega
di Sakura, martinimunita e cavallerescamente, sbuffantemente
scortata da Shikamaru Nara – professione genio
e, per l'occasione, guidatore designato, ai quali si
aggiungeva il fido Chouji Akimichi, vocazione amico ideale –
virtù ormai decaduta di cui si faceva araldo e patrono
dall'infanzia, nonostante le botte sul muso per la crudeltà del
mondo.
Insomma,
Naruto Uzumaki, in precedenza ventiquattrenne biondo, arancione,
omosessuale alla ricerca dell'anima gemella, allegro ma disoccupato
era divenuto solo quella mattina, a seguito d'una lunga, sfibrante
ricerca durata anni di lavoretti saltuari e sottopagati, Naruto
Uzumaki, ventiquattrenne biondo, arancione, omosessuale alla
ricerca dell'anima gemella, nuovo fattorino a tempo indeterminato
dell'Ichiraku Ramen. Salute!
aveva brindato la congrega, facendo cozzare bicchieri e bottiglie per
celebrare la mutata definizione giunta gloriosa a scalzare la
precedente, ormai vetusta e scomoda. Le patatine fritte di Chouji si
erano fatte una passeggiata di mezzo metro quando qualcuno aveva
urtato il tavolo col gomito, nell'impeto del momento, suggellando
così l'evento con un cocciare solenne.
Dunque
Uzumaki Naruto, il fattorino, era felicemente seduto con gli amici al
pub, circondato da una spumosa aura chiacchierona e affabile,
convinto di apprestarsi a trascorrere una serata tranquilla e
oltremodo piacevole e invece, uh!
- no, non si era strozzato, non ancora: con calma, ci arriviamo. Ci
siamo vicini – più precisamente, ci siamo seduti di fronte. O
meglio, Naruto c'era seduto di fronte. Non di fronte come ad una cena
di famiglia – quando la mamma vi dice di sedervi di fronte alla
zia, quella che vi strappa il mento con la mano unghiuta, no -, di
fronte per il destino, per la sorte, per volontà del fato.
D'accordo: per l'arido volere della prospettiva lineare: difatti,
dietro la bionda, fluente chioma di Ino, tra lei e la mole bonaria di
Chouji, si intravedeva un tavolo. Naruto non provava grande
attrazione per i tavoli in sé – e quindi non è il tavolo il succo
del discorso – ma per l'occupante del tavolo si era ritrovato di
colpo investito da un interesse spasmodico. Più esattamente, per gli
occhi dell'occupante del tavolo, che avevano incrociato i suoi mentre
mandava giù il primo sorso di birra scura direttamente dal vetro
freddo della bottiglia. Fu allora, davanti a due iridi nere sospese
in lucidi occhi dal taglio allungato, che il nostro eroe si strozzò,
tossendo, sputacchiando d'intorno e dando finalmente un senso a
questa indecorosa analessi di mezza pagina. E qui, mentre il fedele
Kiba gli batteva due colpi sulla schiena, Hinata sgranava gli occhi e
Sakura si preparava già alla manovra di Heimlic – benché l'amico
non avesse ingerito ancora neppure una molecola di cibo solido –
Naruto realizzò che, potenzialmente, avrebbe potuto emendare in una
sera sola tutte le voci stonate della sua descrizione: Uzumaki
Naruto, ventiquattrenne, biondo, arancione, omosessuale forse con una
botta di colpo di fulmine per il Tizio del tavolo vicino, nuovo
fattorino a tempo indeterminato dell'Ichiraku Ramen.
Suonava allettante.
Fiducioso
del suo istinto, nutriva in sostanza buone speranze di guadagnarsi un
tentativo – è il tentativo che uccide il rimorso, e a Naruto i
rimorsi non erano mai piaciuti -, nonostante stesse rischiando
l'asfissia, avesse la laringe in fiamme e fosse circondato da uno
stuolo d'amici ansiosi che cercavano di soccorrerlo.
«Sto
be-ne!» riuscì
infine ad articolare, spezzandosi sotto l'ennesima pacca di Kiba, il
quale – era chiaro – perseguiva nell'opera solo per divertimento,
non per una reale convinzione che continuare a percuotergli la cassa
toracica potesse realmente giovare all'amico.
A
sentire la sua voce, roca ma indubbiamente convinta, Sakura rilassò
la schiena sulla sedia, seguita a ruota dagli altri.
Naruto
si beccò i vaffa di rito, le pindariche previsioni di cosa i
carissimi amici avrebbero fatto scrivere sul suo epitaffio – “morì
come visse: da coglione”,
copyright di Kiba – e poi si riprese allegri a blaterare a briglia
sciolta, con Hinata persino più partecipe de solito, forse per la
scarica di adrenalina – e se andava in fibrillazione per un amico
scemo a cui va giù storta la birra, c'erano un po' di dubbi che
riuscisse a davvero a laurearsi in infermieristica.
A
clima più disteso, Shikamaru partì con una lamentela su sua madre,
che voleva per forza buttarlo fuori di casa, mentre Ino gli si
sovrapponeva raccontando del nuovo collega attraente adocchiato al
bar dell'università, cercando sostegno in Sakura, che però partì a
parlare male del suddetto – tale Sai, pare l'avesse definita
racchia. Al che, invece di saltare subito come una iena, con un
opportuno «dimmi chi è e gli vengo a spaccare la faccia», come
sarebbe stato prevedibile aspettarsi da lui in quanto paladino,
migliore amico e personcina dal temperamento non esattamente placido,
Naruto annuì, distratto.
Dopo
la sua pessima figura con la birra, gli occhi neri gli stavano dando
buca, persi a scrutare un alcolico scuro, sollevandosi solo di tanto
in tanto per dare un poco di corda al resto del tavolo. Perché sì,
Naruto lo realizzò solo allora, dopo aver scannerizzato il viso
pallido del ragazzo, i capelli neri improponibilmente ordinati pur
nell'assurda capacità di sfidare la forza di gravità nella zona
sulla nuca, le dita della mano rilassate attorno al bicchiere... Sì,
ci siamo persi.
Il
punto è: Naruto, dopo essersi completamente rimbambito a fissare il
tizio in questione, dimentico dei suoi doveri di migliorissimo
amico e con un'espressione acuta da baccalà in salamoia, aveva
realizzato che beh,
contrariamente a quel che gli era parso di primo acchito, il tizio
non sedeva in uno spazio vuoto fungendo da fulcro per i moti
universali. No: il tizio sedeva davanti ad un tavolaccio di legno -
esattamente come quello su cui Naruto teneva i gomiti rigidi -,
assieme ad uno sparuto gruppo di compari chiassosi: nella fattispecie
un ragazzo dagli assurdi capelli azzurri e dal sorriso aguzzo, che
sorbiva birra a garganella e gesticolava vivacemente di volta in
volta rivolto al Tizio e all'unica ragazza, leggiadra fanciulla dal
medio facile, capelli rosso acceso sfoltiti in un taglio asimmetrico
e occhiali spessi che le finivano sulla punta del naso ogni qualvolta
si infervorava per una cazzata partorita dall'amico coi capelli
azzurri; a concludere il quadretto, un ragazzone alto come un armadio
stava placidamente seduto a sorseggiare quello che pareva un innocuo
succo di frutta, intrattenendo qualche breve monosillabo con le
labbra sottili del Tizio. Tale Tizio, tra l'altro, doveva
evidentemente ritenerlo l'unico esemplare umano degno di una qualche
considerazione, perché era il solo cui non avesse ancora rifilato
almeno un'occhiataccia.
«Na-ru-to»
sillabarono cinque dita e un palmo, sventolati più volte davanti al
suo naso.
«Eh-eh?»
emise il nostro eroe, cercando di mettere a fuoco dopo il brusco
cambio di orizzonte.
La
mano di Sakura si ritirò per far posto a sei paia d'occhi tutti
puntati su di lui. Naruto osservò gli amici un poco stralunato,
prima di cominciare a ridere e grattarsi la testa.
«Oh,
oi» borbottò imbarazzato. «Scusate! Mi sono distratto. Si diceva?»
«Si
diceva di te, che ti stai mangiando con gli occhi il tizio qui
dietro» lo rese edotto Ino, senza astenersi dall'esibire la sua
famosa faccia da femmina –
espressione coniata da Shikamaru, intraducibile in altre parole:
bisognava vederla per capire, e comunque sarebbe stato di gran lunga
preferibile trovarsi a distanza di sicurezza.
«Il
Tizio» sospirò Sakura, lanciando anche lei un'occhiatina trasognata
al suddetto e confermando ancora una volta di condividere gli stessi
gusti del migliore amico, in quanto agli uomini. Anche Ino, comunque,
non era rimasta immune dal fascino del Tizio, solo che per guardarlo
le toccava girare con tutta la sedia e, al terzo tentativo, quello si
voltò bruscamente per individuare la fonte del fastidioso struscio,
le sopracciglia aggrottate e l'aria d'essere tranquillamente disposto
a gonfiare di botte anche un irlandese nerboruto alto il doppio della
sua statura.
Il
risultato fu un sussultò collettivo che spostò il tavolo di due
centimetri nello stomaco di Kiba, lasciò il gomito di Shikamaru
orfano d'appoggio e costrinse Chouji a sollevare la ciotola delle
patatine per evitare che queste si rovesciassero su Hinata; lei
trattenne il fiato, grata. Naruto e Sakura si annegarono con le teste
dietro l'alcol, nascosti dalla schiena di Chouji, perfetta paratia.
Hinata
ridacchiò arrossendo e Kiba scosse forte la testa, per latrare
divertito assieme a lei e poi domandarsi a voce alta cosa mai ci
fosse di attraente nel Tizio: fu zittito dalla mascella schioccante
di Ino e dalle occhiate incredule di Naruto e Sakura – Shikamaru
gli batté una confortante pacca sulla spalla e scosse la testa in un
modo che Chouji tradusse con un «non possiamo capire», sospirato in
divertita, finta afflizione. Poi, mentre Ino già partiva con una
filippica su quanto la questione fosse fondata sul senso estetico,
piuttosto che sull'orientamento sessuale, e Kiba la ignorava per
domandare ad Hinata di spiegargli, da donna, cosa mai ci fosse di
attraente in un Tizio simile – che tra l'altro a lui sembrava un
po' gay -, Tizio, proprio lui, si alzò in piedi.
Ci
fu un momento di immobilità che ammutolì anche la concitata replica
categorica di Ino - impegnata a berciare contro Kiba un esaltato «no,
no! Se è gay mollo tutto e mi faccio suora!» -, durante il quale
lei per poco non cadde dalla sedia, Hinata distolse lo sguardo con
tanta fretta da intingere i lunghissimi capelli nel bicchiere di
Chouji e Naruto divenne un blocco di ghiaccio arancione,
cristallizzato accanto ad una Sakura altrettanto immobile. Shikamaru,
dal
canto suo, sollevò placido gli occhi al cielo e approfittò della
calma per sorseggiare il suo analcolico, beato: dopotutto uscire con
quella manica di debosciati aveva un contorto modo di piacergli;
forse perché pareva di ritornare alla ricreazione delle superiori –
la ricreazione era sempre stato il momento che preferiva, non a caso.
Lui,
comunque, fu l'unico a rilassarsi. Godette dell'istante di stasi e
accolse la successiva tempesta con pazienza, lasciandosi sfuggire un
unico, solenne sbuffo, prontamente ignorato.
«È
andato al bagno!» avvisò Ino, come se il fatto che Tizio avesse
appena spinto la porta saloon sotto il discreto ma perfettamente
visibile cartello che indicava i servizi non fosse già di per sé
abbastanza eloquente.
In
ogni caso, l'affermazione sussurrata cadde nel mezzo, come appesa ad
un amo.
«Ah!
Invidiatemi, perché io posso!» saltò infine su Naruto, alzandosi e
scatenando ringhi oltraggiati di Sakura e Ino. Le salutò esibendo un
ghigno a trentadue denti e si ingegnò a scavalcare goffo il
panchetto, in fretta.
«Naruto,
ti odio a morte!» gli comunicò Sakura, quando ormai lui si era già
fatto strada tra i tavoli; alle sue spalle, prima che spingesse con
le mani sui battenti, udì distintamente Ino masticare imbronciata
«tanto non è gay!», prevedibile premessa allo sbuffo soave di
Shikamaru.
Nel
bagno piastrellato di un anonimo giallino, Naruto indugiò davanti al
lavabo per qualche momento, a specchiarsi distratto. Con
la vecchia tuta arancione portafortuna – la stessa che indossava
quando si era presentato a chiedere lavoro -, gli occhi azzurri
annebbiati di un lucido un poco alticcio e la fratta bionda
disordinata e smossa, come pettinata dal cuscino – ed
effettivamente l'idea corrispondeva alla realtà dei fatti –, non
si trovava nelle condizioni più adatte ad attaccar bottone con uno
che magari l'avrebbe preso a pizze anche se fosse stato al massimo
del suo potenziale estetico; ma la filosofia di Naruto era se
non ti piaccio come sono, sei tu che non piaci a me,
dunque la preoccupazione al riguardo era pressoché minima.
Deciso
e brillo – decisamente brillo,
più che altro -, accolse il rumore dello scarico con trepidazione,
per poi ricordare che effettivamente non aveva la più vaga idea di
cosa dire. In passato aveva già fatto la prima mossa con qualche
tipo attraente, gettandosi a corpo libero con risultati alterni, ma
non in un bagno, ecco. Per esempio: a pelle, la domanda “ti
accendo l'asciugamano elettrico?”
non sembrava avere le stesse accattivanti potenzialità di “ti
offro qualcosa da bere?”
Non
ebbe il tempo di rimuginarci adeguatamente su: Tizio era appena
emerso dal suo cubicolo, diretto al lavandino. Quello davanti al
quale stava il nostro dubbioso eroe, stupidamente impalato.
Sotto
la luce chiara del bagno, a Naruto parve che Tizio fosse ancora
meglio che dalla sua risicata angolazione dietro le scapole di
Chouji. Ed era gay, cavolo. Lo era assolutamente. Forse.
Okay,
bastava tentare un approccio amichevole: al massimo, a malincuore,
avrebbe proposto a Tizio di interagire con le sue frizzanti amiche,
sebbene in tal modo avrebbe forse rischiato di instaurare una faida
eterna tra Ino e Sakura.
«Ti
togli?» cominciò però Tizio, prendendo chiaramente a pugni la
parola amichevole e tutti gli annessi lemmi primitivi e derivati col
suo tono monocorde e cupo, non troppo vagamente acido.
«Ah,
sì» emise Naruto, provvedendo a scansarsi contro il muro. «Con
permesso, eh» aggiunse, giusto per puntualizzare: ma puoi anche
essere la Venere di Botticelli. Se sei stronzo sei stronzo, e si
cerca di fartelo presente.
Lo
Stronzo gli rispose con un'occhiataccia strafottente – da stronzo,
appunto – e lavò le mani con comodo, incupendosi un poco quando
scoprì l'assenza del sapone. Naruto se ne rimase lì a guardarlo
passare le mani sotto il getto e, non appena lui lo spense, domandò
candido: «ti accendo l'asciugamano elettrico?» col tono che
chiunque avrebbe adottato per “ti offro qualcosa da bere?” o
anche “ti va di venire a casa mia?”, che poi il novanta percento
dei casi è il sottinteso della seconda domanda.
Tizio
Stronzo parve recepire l'antifona e rimase un momento a guardarlo,
ancora un poco piegato verso il lavabo, le maniche tirate sugli
avambracci.
«No,
faccio a modo mio» rispose telegrafico e tronfio, distraendo Naruto
con un sorriso storto chiaramente malvagio.
E difatti subito dopo le sue mani fradice andarono a strofinarsi
direttamente sull'amata tuta di Naruto, che sgranò gli occhi e
trattenne il fiato, la pancia a contatto con l'acqua gelata.
«Che
cazz- Ma sei scemo?!» riuscì a berciargli dietro, quando Tizio
Stronzo era già in corridoio, davanti alla porta saloon.
«Se
stai zitto va bene, ma se urli mi toccherà lamentarmi per il
servizio, alla cassa» replicò pronto, con quella dannata
espressione altezzosa. Naruto ebbe l'improvviso impeto di fargliela
scivolare via con una capocciata – o un bacio: la parte brilla del
suo cervello stava ancora decidendo se da zitto e fermo, forse da
svenuto?, il Tizio fosse comunque accettabile. Quello in ogni caso
non gliene diede il tempo: mentre lui concludeva l'ultima sillaba di
«stronzo!», unica risposta che gli era parsa opportuna, Tizio era
già filato via, di ritorno nel chiacchiericcio del locale.
Aveva
rinunciato in fretta a cercare di asciugare alla buona la felpa sotto
lo stupido asciugamano elettrico e infine, stizzito, Naruto si era
lasciato la porta del bagno ad ondeggiare nervosa alle spalle, per
poi rimettersi a sedere imbronciato. Fu accolto da un silenzio tronco
di chiacchiere interrotte, finché Sakura non si azzardò a spiargli
in viso, cauta.
«Beh?»
chiese, apprensiva.
«È
gay» sentenziò Naruto, diretto. Kiba fischiò «l'avevo detto!» e
Ino emise un gemito prostrato. «Ed è uno stronzo» chiosò Naruto,
per dare un perché alla mancanza di entusiasmo per quella sicurezza.
Sakura
gli sospirò accanto, battendogli una mano sulla schiena senza
aggiungere altro e intimando a Ino di smetterla di mugugnare affranta
e piuttosto ricordarle gli orari delle lezioni del lunedì seguente,
in un chiaro tentativo di cambiare alla svelta argomento. In breve,
infatti, si ricominciò a blaterare di questioni random e Kiba ebbe
anche il tempo di mettersi a costruire omini con patatine e
stuzzicadenti per far ridere le ragazze, infastidire Shikamaru e
aiutare Chouji con la dieta – a sua insaputa.
Naruto,
però, non riuscì a rallegrarsi del tutto. Era un'impuntatura
stupida, un capriccio non da lui. Insomma , sapeva d'essere un
cocciuto, ma nel perseguire obiettivi concreti, non nell'attaccarsi
ossessivo-morbosamente al faccino gradevole d'un Tizio Stronzo
qualunque. Tizio Stronzo era solo Tizio Stronzo, si disse:
qualificazione per nulla bastevole a giustificare un interesse più
approfondito di dieci minuti; non con una cricca d'amici e una birra
davanti a reclamare la sua completa attenzione.
«Naruto,
guarda!» lo riscosse la voce graffiante di Kiba, brusca. Lui si
voltò a sinistra, staccando di malavoglia le pupille da una nuca
irta di capelli neri e, davanti all'amico con due cannucce ficcate
nel naso, si strozzò di nuovo con la birra.
Ripresosi
– Sakura stavolta si era alzata e gli aveva urlato contro che, se
non la piantava di strozzarsi, con quelle stupide cannucce gli
avrebbe praticato una tracheotomia -, Naruto aveva infine deciso
risolutamente di ignorare quello spillino acuto agli angoli degli
occhi, che finiva sempre per riportare il suo sguardo verso il tavolo
in fondo e così ricominciò a godersi la serata, partecipando
attivamente alla sgangherata proposta di andare al cinema nel fine
settimana seguente, a vedere non si sa quale film dalla trama poco
interessante che però faceva brillare gli occhi ad Ino, Sakura e
persino ad Hinata. Il suo tentativo di convincerle a comprare
piuttosto i biglietti per l'ultimo film d'azione – americanata con
contorno di ninja – fu bocciata senza appello dai ringhi di Ino.
Due
giri di alcol dopo, al momento di pagare, Naruto si sentiva ormai
felicemente brillo e quasi mancò di infilare correttamente in tasca
il suo Gamakichi – il portamonete a forma di rospo – alla cassa;
quantomeno però lui non ridacchiava a voce così acuta come invece
stava facendo Ino da quasi mezz'ora, appesa al braccio di uno
sbuffante Shikamaru – non troppo contrariato, in verità.
«Diograzie
domani è domenica» soffiò Sakura, non appena misero piede fuori
dal locale, nell'aria ancora fredda di aprile. «Se avessimo avuto
lezione Ino si sarebbe addormentata di nuovo sugli appunti» aggiunse
ridacchiando all'indirizzo dell'amica, mentre quella ondeggiava tre
passi più avanti per invitare un imbarazzato Chouji a ballare un
lento sotto il lampione.
Naruto,
che invece aveva appena realizzato come non sentisse freddo perché
la macchia d'acqua lasciatagli dal Tizio Stronzo si era ormai
asciugata da un bel pezzo, l'ascoltò con poca attenzione,
arricciando il naso all'odore ora un po' sgradevole di birra e legno
umido proveniente dall'Irish pub.
«Gente,
credo sia il caso di portare Ino a casa» concluse Shikamaru,
annuendo convinto accanto a Naruto, mentre Kiba rideva a crepapelle
per la danza improvvisata dalla bionda fanciulla – che sapeva
essere bella e divertente anche mezza ciucca, come chiaramente
testimoniava l'espressione di Shikamaru, impegnato a guardarsela
trasognato.
Naruto
gli batté d'istinto una pacca sulla schiena senza misurare per
niente la forza, tanto che il genio andò diretto tra le braccia
dell'Ino danzante: lei l'accolse per coinvolgerlo in un ardito
waltzer.
«Sì,
meglio andare» commentò Hinata compita, avvertendo poi Kiba che,
anche se gli scappava – come lui aveva già comunicato al vicinato
con voce troppo alta – sarebbe stato più opportuno aspettare di
arrivare a casa.
Con
un ultimo congedo durato altri venti minuti – frammezzati dal volo
di una scarpetta nella fontana della piazzola – Naruto, che abitava
a meno di cento metri in una strada a senso unico e divieto per i non
residenti, rimase a guardare gli amici che si sistemavano in auto
inscatolati in maniera da infrangere un paio di norme della strada:
Ino a piedi nudi stretta tra Sakura e Kiba, con Hinata appollaiata
sulle sue ginocchia; Chouji nel sedile anteriore, in compagnia delle
scarpe di Ino - una delle quali bagnata come il suo braccio destro
fino al gomito - e alla guida il sobrio Nara, proprietario della
povera vettura. Naruto aveva già levato una mano sorridendo contro
il vetro, quando Sakura quel vetro cominciò a colpirlo a pugni.
«Girati,
girati!» sillabò, le labbra quasi coperte dal suo stesso
fiato condensato, tanto che per un momento Naruto captò un «gelati!
Gelati!» che aveva ben poco senso, così salutò con la mano
ricambiato dal braccio di Shikamaru fuori dal finestrino e attese che
la vecchia carrozzeria fosse sparita dietro l'angolo, prima di
voltarsi davvero.
Dietro di lui non v'era traccia di gelati: solo un ghiacciolo con i
suoi occhi bui e la sua faccia da schiaffi che parlava coi tre
compari, appena fuori dal pub. Naruto rimase un attimo come un pesce
lesso, bagnato di grazia discendente dal lampione sulla sua testa;
stette in silenzio per un lungo momento, perso, e si riebbe solo
quando, dopo aver spento un mozzicone contro la suola, il ragazzo dai
capelli azzurri si voltò proprio verso di lui, lanciandogli
un'occhiata di indecifrabile divertimento; poi la fanciulla dovette
decidere che si era fatto tardi, perché gli arpionò un bracciò e
prese a tirarselo dietro con falcate da corridora, subito tallonata
dal ragazzone nerboruto. Invece, con sommo smarrimento di Naruto,
Tizio Stronzo, rimasto solo, accennò qualche passo nella sua
direzione, mani nelle tasche e l'atteggiamento di chi si crede il
padrone dei metri di strada su cui cammina.
Fanculo,
pensò il cervello di Naruto, preciso come una stilettata: fanculo,
il suo istinto non sbagliava mai.
«Finito
il turno?» domandò Tizio Stronzo, quando fu finalmente a portata di
orecchio, in un tono non studiatamente casuale, ma casualmente
studiato. Qualunque cosa volesse dire nella sua testa ciucca.
«Il
turno di che?» si riprese Naruto, decidendo d'uscire dal cono di
luce quantomeno per smetterla di sembrare un tutt'uno con la
lampadina ed il suo arancione diffuso.
Lui,
Tizio Stronzo, si mise a guardare con estremo interesse – e quindi
all'unico scopo di mostrare assoluto spregio nei suoi confronti,
almeno a sensazione di Naruto – il lampione in fondo alla strada e
l'insegna di una macelleria chiusa.
«Il
turno di addetto agli asciugamani elettrici» propose, dando l'idea
di stare realmente ponderando la questione, tanto che Naruto ci mise
due secondi in più del dovuto per capire che, semplicemente, lo
stava prendendo per i fondelli.
«Ma
sei uno stronzo laureato!» sbottò, davanti alla sua faccia di
cazzo; faccia di cazzo da stronzo laureato, e stupido lui, che si
faceva abbindolare sempre da questi soggetti impossibili: non a caso,
la sua ultima storia semiseria l'aveva avuta con un monolito privo
d'ironia, snob e rompicoglioni – il cugino di Hinata, tra l'altro.
Ci cascava sempre, con quegli esemplari lì.
«Non
ancora» ribatté l'esemplare, criptico come stesse seguendo un
ragionamento tutto suo. O più probabilmente cercava solo di
mostrarsi in posizione di vantaggio puntando sul metodo io ne so
di più. Non si sa di chi o che cosa, ma produceva comunque un
qualche effetto sull'interlocutore, tranne su quelli più svegli. E
Naruto si sentiva sveglio.
«Okay,
come ti pare» si decise infatti, scoraggiato. Non aveva voglia di
stare lì a farsi tirare scemo da un perfetto sconosciuto,
sinceramente. Anche se il suo intuito ancora scampanellava, tirando
nel senso opposto – dopotutto si era fermato, lo Stronzo, a parlare
proprio con lui – il buonsenso di cui comunque era provvisto in
maniera moderata, gli aveva ricordato che starsene in una strada
semideserta in compagnia di un individuo alticcio, a guardare
l'insegna di una macelleria in piedi sotto un lampione, non rientrava
tra i suoi interessi. Così insaccò le mani nelle tasche della tuta
pronto a voltarsi e mollarlo lì, davanti alla sua stupida macelleria
a fissare la sua stupida insegna con i suoi stupidi occhi
meravigliosamente neri; forse fu proprio a causa di quell'ultima,
sconsolata constatazione che l'istinto ebbe nuovamente la meglio,
spingendolo almeno a voltarsi di mezzo grado per annunciare: «me ne
torno a casa», in un tono spavaldo che invece per qualche ragione
gli uscì mogio.
Il
Tizio Stronzo, tutto perso nelle sue elucubrazioni, impiegò un
secondo intero per girarsi, quando Naruto gli aveva ormai voltato le
spalle del tutto, diretto all'incrocio.
«Ma
sei completamente imbecille, allora» brontolò, con una vena
d'esasperazione. Naruto, piccato, frenò di scatto davanti ad un
tombino.
«Ehi,
senti un po', te» ringhiò, stizzito, e sollevò le braccia per
aiutarsi ad esprimere il concetto; «non so che problema hai, ma...»
«Che
problema hai tu, usuratonkachi» ribatté Tizio, ancora
impalato alla stessa distanza, le sopracciglia contratte e
l'espressione – oh, sì! Anche lui pareva essere dotato di mimica
facciale: un vero sollievo – combattuta, quasi di nascosto disagio.
Imbarazzo? «Mi fissi come fossi un dannato cono gelato per due ore,
mi pedini al cesso e poi “te ne torni a casa”? Sei imbecille»
snocciolò, logico e seccato.
Naruto
esibì nuovamente la sua collaudata espressione da totano svenuto,
stordito.
Eppure,
a scapito delle apparenze, il suo cervello non aveva rallentato
affatto, tutt'altro: era partito ronzando come una motoretta,
raccogliendosi avido il sangue e provocandogli in tal modo un
colorito poco sano, alla Hinata nei momenti di timidezza acuta –
molti momenti.
Il
nostro biondo eroe aveva infatti realizzato ben due cose: primo,
faceva schifo a pedinare, spiare o anche solo osservare la gente
senza farsi scoprire – un imbranato totale, insomma. Non avrebbe
mai potuto fare il ninja, e non solo per colpa della tuta arancione
-; secondo, Tizio Stronzo, quello stronzo stronzo, quello che aveva
spiato di sottecchi per due ore come fosse una ciotola fumante di
ramen – preferiva il ramen, al gelato -, quello che aveva
goffamente pedinato in bagno, non voleva denunciarlo per stalking,
bensì stava dimostrando d'essere interessato. Certo, nel modo
sbagliato, con una goffaggine ruvida da grizzly claudicante, che
cozzava terribilmente con la prima impressione che Naruto ne aveva
avuto – quella di una persona perfettamente consapevole di sé -,
ma ciò non toglieva che fosse interessato, e interessato a lui.
Ora,
Uzumaki Naruto - ventiquattrenne, biondo, arancione, omosessuale
con una botta di colpo di fulmine incomprensibilmente ricambiata dal
Tizio Stronzo del tavolo accanto, nuovo fattorino a tempo
indeterminato dell'Ichiraku Ramen –, si sarà capito, era
un sognatore. Uno di quagli esemplari umani che si gettano a
capofitto seguendo l'istinto, il cuore o come lo si vuole chiamare –
sì, anche il pene, in determinati casi, ma sempre con l'ausilio
degli altri due. Il sogno nel cassetto di Uzumaki Naruto era scalare
l'Everest, per esempio: era un visionario; anche un po' tocco a detta
di alcuni, semplicemente un idiota a detta di molti altri, ma Naruto
aveva sempre dato poco credito agli altri. Altri - misteriosa
entità dotata di cento occhi e mille bocche - avrebbe senza dubbio
disapprovato la sua mossa seguente, per esempio. Ridacchiare, prima
d'ogni altra cosa, come uno scemo con le braccia incrociate dietro la
nuca, in piedi ad ancora a dieci metri dal Tizio, che gli aveva
scoccato un'occhiata a metà tra l'omicida, il truce e forse un vago
disagio sospeso d'attesa, incertezza di un rifiuto dopo aver mostrato
tanto il fianco – grizzly in zona di caccia.
«Dove
abiti?» aveva chiesto subito dopo Naruto, brillante di nuova verve
nonostante il sano imbarazzo della
situazione.
L'altro
l'aveva guardato, altezzoso.
«Non
è la domanda corretta».
Saccente
del cazzo. Naruto si era avvicinato a gran passi per poi fermarglisi
davanti, i piedi ben piantati in terra.
«E
qual è la domanda corretta, sentiamo?»
Tizio,
braccia conserte e aura di inscalfibile superiorità perfettamente
riabilitata, non si era scomposto.
«Se
ci arrivi da solo, la mia risposta potrebbe essere un sì» suggerì,
magnanimo, prima di chiarire: «un aiutino: non è “ti accendo
l'asciugamano elettrico?”», con scherno palese.
Il
sorriso di Naruto non si incrinò; anzi, crebbe in larghezza e
intensità luminosa.
«Io
sto a cento metri» cominciò il suo istinto per lui, basso e
congestionato. «Ti va di venire a casa mia?»
E
Tizio Stronzo lo tenne sospeso, sadico e, appunto, stronzo. Poi
regalò alla notte il suo mezzo ghigno storto, con una soddisfazione
da maestro elementare davanti ad un pargolo volenteroso ma tardo.
«Questa»
sancì pomposo,
«è la
domanda giusta».
Mezzo
secondo dopo, al diavolo la ragionevolezza, Naruto se lo stava
tirando dietro fino in fondo alla strada, ruggendo a volo sul
lastricato.
Sas'ke.
Tizio Stronzo non era Tizio Stronzo, ma Sasuke.
Naruto
l'aveva chiesto quando già si erano baciati una volta, rischiando di
inciampare in un idrante, e Sasuke gli aveva borbottato la risposta
tra i capelli, composto quanto può essere composto qualcuno che,
brillo, si sta esibendo in una frettolosa pomiciata dinamica alle due
di notte in una strada pubblica in compagnia di un tale d'arancio
vestito.
«Naruto
Uzumaki» aveva invece decretato Sasuke stesso, quando la performance
era proseguita fino al portone del suddetto: il nome svettava
inconfondibile sul citofono, proprio accanto alla sua nuca. Era
l'unica targhetta arancione acceso, penultimo piano. Sette rampe di
scale.
«Niente
ascensore» si era scusato Naruto in fretta, dopo essersi chiuso il
portone alle spalle con poco garbo per l'ora tarda, le mani impegnate
a guadagnarsi centimetri di pelle di Sasuke come se le dita,
ubriache, stessero facendo tra loro un qualche genere di gara. Lui,
contrariato già al primo gradino, gli aveva arpionato i capelli per
sibilargli «lo sapevo che eri una piaga sociale», senza però
smettere di salirle, quelle scale, o anche smettere di baciarlo,
riuscendo in tal modo nell'impresa di conficcarsi il corrimano nel
fianco per quasi tre metri di salita.
Gli
intermezzi pomicianti raddoppiarono inevitabilmente il tempo medio
del percorso, sicché a metà della quinta rampa la luce li abbandonò
di colpo e li costrinse a procedere a tentoni sui gradini.
Naruto
si beccò una gomitata e svariati insulti, utilizzati da Sasuke come
espressione del suo disappunto per i piedi pestati: purtroppo era un
po' instabile sulle ginocchia e tra l'altro il sangue stava
cominciando a defluire felicemente dal luogo adibito alla
coordinazione alle zone erogene, condizioni che conferivano innegabile
complessità anche ad un'operazione semplice come
raggiungere l'interruttore della luce. Non a caso, prima di riuscire
davvero a premere l'indice sul fioco puntolino luminoso sospeso nel
buio, il nostro eroe si occupò di far cadere Sasuke – almeno così
sostenne lui, incolpandolo assieme ai suoi avi d'essere un totale
mentecatto – e di seguirlo l'istante dopo, inciampandogli sulla
schiena. Il risultato fu almeno quello di zittire i rimbrotti di
Sasuke stesso, ma di certo non quello di facilitare l'ascesa.
In
breve: raggiunsero il pianerottolo giusto in condizioni non
esattamente ottimali – due reduci di un pentathlon, praticamente -,
tanto che Naruto, a giudicare dallo sguardo torvo dell'altro, temette
per un momento che gli sarebbe andata in bianco con contorno di
cazzotto. Non che le scale fossero colpa sua, così come non lo era
il timer della luce a tempo, ma Sasuke pareva esattamente il genere
di persona che, di fronte all'imprevisto, smonta il calendario con
metodica furia e scarica i nervi su un raggio d'azione di cento metri
a partire dal punto in cui si trova.
Per
questo, anche una volta assicuratosi d'essere più o meno sano e
salvo davanti al portone, Naruto si fece un attimo prendere dalla
foga.
«Chiavi!»
berciò e nella furia di svuotare le tasche per poco non si fece
sgusciare via dalle dita sia quelle – in compagnia dell'opinabile
portachiavi a forma di girino dagli occhi fluorescenti – che il
portafogli.
«Non
dirlo con la stessa urgenza con cui diresti “preservativo”»
brontolò Sasuke, nonostante tutto ancora appiccicato a lui; Naruto
per poco non lo stese con una gomitata, mentre armeggiava ostinato
sulla vecchia serratura. Sgranò gli occhi insieme al clack
sonoro del metallo.
«Oddio,
mica lo so dove li ho messi!»
Sasuke
soffiò via una ciocca con spregio e superiorità, sfoderandone come
se qualcuno gli avesse chiesto in prestito una penna. O anche una
spada laser.
«Li
tieni in tasca? Sei un sessuomane?»
«Preferisco
definirmi previdente».
E
forse fu perché lo disse adottando il tono di qualcuno che fosse
davvero convinto di sembrare molto più previdente che sessuomane,
saldo nella stima di sé; o forse perché semplicemente aveva gli
occhi neri lucidi sotto le sopracciglia dritte su quella faccia da
testate e schiaffoni, che Naruto decise di non avere voglia di
ribattere – oltretutto quello lì, ne era certo, gli avrebbe
rigirato la frittata pontificando a pene di segugio solo per
dimostrare d'avere ragione, come se qualcuno provasse il minimo
interesse al riguardo.
Scelse
quindi di tornare a respirargli in bocca e accolse elettrico le sue
mani addosso – quelle mani da stronzo faccia di merda che lui s'era
asciugato sulla stessa felpa che adesso stava cercando di tirare via.
Naruto lo aiutò non appena fu riuscito a chiudersi la porta alle
spalle, troppo preso dalle dita fredde e dalla bocca calda di Sasuke
per curarsi d'aver probabilmente svegliato la vecchia Chiyo,
l'adorabile nonnina moralista dell'appartamento adiacente, che andava
a dormire alle otto di sera unicamente per il sadico gusto di
destarsi a mezzanotte e lamentarsi dei rumori nel vicinato fino
all'alba. E comunque neanche il rugoso pensiero della vecchia Chiyo
in vestaglia e ciabatte di feltro riuscì a spegnere le braci accese
nel suo stomaco.
«Stanza...
da letto» finì a mugugnare, masticando capelli neri e seminando
capi di vestiario come molliche di pane. «Non hai pure il
lubrificante, in tasca, vero?»
«Sono
solo previdente, mica sessuomane» ne approfittò per confutare
Sasuke, altrettanto svestito a chiazze, per poi spalmarlo contro un
settimino e tirarsi dietro una lampada. Che tra l'altro cadde in
terra scatenando le ire del cagnetto idrofobo al piano di sotto.
Raggiunta
la camera da letto – situata lì vicino, solo che se ci arrivi
rimbalzando a zig zag come una mosca ubriaca il percorso triplica -,
non c'era più molto da svestire: stupido e felice come un bambino,
Naruto si godette la vista del suo Tizio Stronzo ora congruamente
nudo – naturalmente per via della giustizia karmica.
Sasuke
pareva persino meno stronzo, da nudo, specialmente distratto com'era
ad esplorarlo a sua volta con contenuto interesse quasi scientifico,
passata la foga alcolica della scalata al condominio. Quando si
ritrovarono ad indugiare un attimo, testa a testa, Sasuke finì per
alzare gli occhi al cielo nella riuscita versione d'uno Shikamaru
meno bonario e dieci volte più snob.
«Visto
che tu hai messo la casa, suppongo di poter offrire...» accennò,
vago, maestosamente stravaccato contro il materasso cedevole, troppo
in basso perché i polpacci non penzolassero fuori. A Naruto
brillarono gli occhi.
Mai
fatto tanto sesso tutto insieme. Seriamente: la situazione era a metà
tra la peggiore romanticheria da ho incontrato la mia anima
gemella, la metà della mia mela, il pezzo mancante del
puzzle, la chiave della mia serratura e la serratura della
mia chiave, e per una buona, sostanziosa metà, un testa a testa
allo scontro finale di tutti i film d'azione, quello col protagonista
che fronteggia il suo arcinemico in piedi su una scogliera, col vento
tra i capelli e l'aria densa di ideali contrastanti che frizionano
l'un sull'altro producendo elettricità bastevole a fornire
illuminazione annua per un piccolo centro abitato. Oppure era che
Sasuke aveva la testa dura come il marmo, Naruto non era da meno e
più che concentrarsi nell'amplesso facevano rissa trattandosi come
nemici mortali, piuttosto che come amanti. Di amorevole c'era solo la
vicendevole ostinazione a rimanere addossati a tutti i costi con la
maggiore porzione possibile d'epidermide a contatto.
Per
il secondo round era comparso un giaciglio supplementare sul
pavimento - creato quando Naruto aveva cercato di strangolare Sasuke
perché la smettesse di prendere in giro la sua sveglia a forma di
rospo, ottenendo solo di finire ribaltato giù in compagnia di
cuscini e lenzuolo -; al terzo, cui era seguita una pausa durante la
quale il fiato era stato finalmente disperso nell'aria, piuttosto che
in una bocca, Sasuke aveva avuto la malaugurata idea di alzarsi in
piedi per ritornare sul materasso. In felice conseguenza di ciò,
Naruto aveva deciso di dimostrare la sua opposizione afferrandogli un
piede, e se l'era fatto cadere addosso. Vittime: l'abat-jour
disarcionata con un braccio e il muro nel punto in cui Sasuke aveva
dato una craniata così forte da far tremare i doppivetri della
finestra.
Al
che, Naruto era stato in dubbio se portarlo in ospedale –
d'accordo, Sasuke, non il muro: il muro nonostante tutto stava bene
-, ma l'affettuoso amante aveva ripagato la sua preoccupazione
picchiandolo col tubetto del Lasonil e atterrandolo sul
pavimento del bagno.
Consumato
l'ennesimo coito, forti della loro gioventù – avrebbe detto il
buon vecchio insegnante di educazione fisica di Naruto, Gai sensei -
avevano cercato di proseguire nell'epopea, incuranti delle
interruzioni dovute, di volta in volta, al cane isterico dei vicini e
alla voce della vecchia Chiyo, che ogni tot si esibiva in gracchianti
segnali orari. Alla fine, quando anche Naruto aveva sbadatamente
assestato una capocciata tellurica contro la testiera del letto e
Sasuke aveva preso col piede la sveglia sul comodino – che aveva
dunque ritenuto opportuno gracidare a squarciagola “sono le
tre-e-trentasette-minuti”, mentre si sfracellava in terra - si
era presentata la nonnina in persona, dito al campanello: Naruto le
aveva aperto in pantaloni, senza mutande – disperse – e con
indosso la maglietta di Sasuke alla rovescia. L'anziana, sveglissima
e incazzata, i capelli grigi a penzolarle flosci attorno al viso,
l'aveva squadrato come si guarderebbe la foto segnaletica di un
pluriomicida.
«Mi
dispiace moltissimo, Chiyo san» aveva deglutito Naruto – ed era
sincero, davvero. Solo che, diavolo, se la vecchia avesse avuto
ventiquattro anni ed un Sasuke nudo a disposizione, anche lei avrebbe
faticato a contenere gli entusiasmi.
«Sono
le quattro, razza di teppista! Le quattro! Si può sapere che
accidenti-» ma non aveva avuto il tempo di profondersi nella sua –
obiettivamente sensata, giusto un poco logorroica – paternale
nonnista sulla corruzione della gioventù odierna, sulla guerra,
sulla sua artrite e sul valore del silenzio. E non perché non ne
avesse una pronta – ne aveva sempre una pronta, probabilmente
teneva i fogli del discorso nella tasca della vestaglia -, ma
perché, in quel momento, i suoi occhi si erano spostati
dall'espressione contrita di Naruto oltre la sua spalla, all'interno
della casa: lì dove era appena spuntato Sasuke, spettinato e fiero
della sua nudità drappeggiata dietro al lenzuolo avvoltolato a mo'
di toga. Giratosi per seguire gli occhi della donna, Naruto aveva
percorso con le pupille le pieghe morbide della stoffa solo affinché
il suo cervello, del tutto autonomamente, decidesse che la prima cosa
da fare, una volta chiusa la porta, sarebbe stato appallottolare
lenzuolo e Sasuke e ributtarli entrambi sul letto – ma anche lì in
soggiorno, sul divano arancione – per ricominciare tutto da capo.
«Io»
aveva cominciato, la gola secca, senza riuscire a staccare del tutto
gli occhi per riportarli sul viso della simpatica vecchina –
altrettanto folgorata. «Le prometto che farò, faremo...» e il
doveroso, sensato più piano si era perso dietro il battente
della porta.
L'istante
dopo Naruto, giusto per contraddirsi subito, aveva urlato allegro
«Sas'keeeh», planandogli contro a peso morto e costringendo
entrambi a ruzzolare al contrario sul divano, gambe all'aria.
Sia
l'usuratonkachi di protesta sia la bussata furibonda della
vecchia Chiyo erano poi finite felicemente risucchiate in un angolino
del cervello di Naruto, innocue e distanti.
Tornarono
più tardi, assieme all'effettiva stanchezza e ad una vaga cefalea
alcolica, solo dopo la decisione tacita di trascinarsi sul letto ed
usarlo per dormire, stavolta.
Ma,
sinceramente, anche consapevole di doversi dare una calmata ed
evitare così la denuncia per schiamazzi notturni, Naruto era ancora
un po' troppo elettrizzato, stanchissimo ma incapace di abbandonarsi
davvero al sonno; anche per questo fu contento d'aver dimenticato le
imposte aperte, così da potersi godere l'alba che iniziava a
violeggiare
a sprazzi
tra i profili netti dei palazzi ancora ombrosi. Dovevano essere quasi
le cinque: i colombi cominciarono a tubare come ossessi, in un modo
che gli provocò sincere risate.
«Cazzo
ridi?» biascicò Sasuke, pigramente abbandonato contro il suo fianco
sghignazzante, indifferente all'aurora e all'avere un piede fuori dal
materasso.
«I
piccioni, li trovo buffi» spiegò Naruto senza impegno, sospirando
in uno sbadiglio ampio; per qualche ragione al suo braccio scattò,
illogica, l'irrefrenabile voglia di accarezzare distrattamente la
schiena di Sasuke, provvidenzialmente a portata di zampa - si era
trascinato uno sconosciuto a casa seguendo tutt'altro che il
cervello, sarebbe stato poco democratico da parte sua opporsi al
volere imperioso di un arto qualsiasi. Lui, lo sconosciuto, apprezzò
calando le palpebre sugli occhi e sbadigliando a sua volta, senza
però rinunciare a borbottargli un ruvido «idiota», in un
biascichio assonnato. Poi si mise a russare come una motoretta e alle
orecchie – perse, si era completamente perso – di Naruto, quel
ronzio nasale parve un concerto di melodiose fusa. Scoppiò a ridere
da solo, perché se cominciava a concepire pensieri del genere
significava proprio essersi rimbecillito del tutto, e Sasuke espresse
il suo disappunto – forse il suo accordo con l'ultima
considerazione, in verità - tirandogli una dolorosa manata
sonnambula, prima di ribaltarsi un paio di volte in cerca di una
posizione comoda. Poi anche Naruto si arrese al sonno.
Al
diavolo la gloria dell'alba: avrebbe dovuto chiuderle, quelle stupide
imposte.
«Ngh»
concordò una voce soffocata, dal materasso.
Naruto
non si mosse, gli occhi ancora cocciutamente chiusi nonostante fosse
chiaro, anche da dietro le palpebre, che il sole fosse sorto da un
pezzo e direttamente sulla sua faccia. Trasse un sospiro affaticato e
il diaframma gli si incagliò su un peso morbido, annidato tiepido
sullo stomaco. Decise di aprire gli occhi.
Sul
soffitto, il lampadario spento gli risultò un poco annebbiato, perso
tra i fasci luminosi di pulviscolo svolazzante, finché non decise di
sollevare un braccio per stropicciarsi la faccia; ci riuscì solo al
secondo tentativo, quando finalmente indovinò dei due quello non
sepolto vivo da Sasuke, che stava tranquillamente dormendo sul
sinistro.
«Quindi
non sei scappato» commentò Naruto contento a voce alta, mentre si
sforzava di ricostruire i particolari di un sogno nebuloso in cui aveva
dovuto
inseguire un barile correndo a perdifiato in una foresta, neanche
stesse giocando a Donkey Kong; la cosa buffa è che, nell'illogica
logica del mondo onirico, per qualche ragione era arcisicuro che
dentro il barile ci fosse Sasuke, strisciato via nottetempo dalla
finestra di camera sua.
«Non
te la squagli mica se vado al bagno, vero?» proseguì secondo lo
stesso ordine di pensieri – curandosi pudicamente di emendare la
parte sul barile -, mentre cercava un poco a malincuore di liberarsi
il torace dal peso di un braccio senza svegliarne il proprietario;
Sasuke doveva averglielo schiaffato sopra nel sonno, non si sa se in
cerca di calore umano o solo per un impeto di territorialità sul
materasso. Dopotutto era un singolo: non è che ci fosse molto
spazio.
Naruto
risolse ammettendo con pacatezza che, quale che fosse la verità, era
contento: non dormiva con qualcuno da diverso tempo e in ogni caso
svegliarsi appiccicato ad un Sasuke non era niente male. L'avrebbe
dovuto dire a Sakura, a proposito.
Si
lasciò scivolare giù rotolando con un cigolio di molle e
carambolando direttamente faccia a terra.
«Ahia»
respirò, la guancia contro il pavimento freddo – freddissimo se
confrontato al corpo caldo che aveva appena lasciato a russare mezzo
metro più su. Prima di trovare la forza di alzarsi, cominciò a
tastare in giro, ventre a terra come una foca spiaggiata. Beccò un
lembo del lenzuolo, una delle sue scarpe, le mutande di Sasuke e la
sveglia, così decise che era necessario lasciar perdere i detriti e
raccogliere piuttosto la sua forza di volontà: la concentro nelle
braccia, per riuscire almeno a mettersi gattoni. Da lì, con un
sonoro sbadiglio e scompigliandosi capelli degni di un'esposizione
alla GNAM, trascinò i piedi fino al bagno, per svuotare la vescica.
Cominciò anche a brontolargli vigorosamente lo stomaco, ma ritenne
fosse più opportuno darsi un contegno, prima di andare a svaligiare
il frigorifero.
Tornò
quindi nella stanza, a passo felpato per non svegliare il Sasuke
dormiente – senza di lui, piuttosto che spaparanzarsi come sarebbe
stato logico, quello si era accartocciato sghembo come un origami
malfatto, impegnato ad arricciare il naso ad ogni respiro per via di
capelli ammutinati che gli penzolavano sul viso. Si diresse
direttamente al cassetto delle mutande e ci affondò la mano dentro
alla disperata ricerca di qualcosa di sobrio; purtroppo il paio più
sobrio che
avesse vantava spirali arancioni su fondo verde ed era già stato
disperso da qualche parte nella stanza, così si rassegnò a
indossarne di gialle a fantasia di ranocchie. Era domenica e,
ottimisticamente parlando, avrebbe forse avuto l'occasione di
togliersele in fretta, sempre che Sasuke non avesse altro da fare.
Naruto
ne studiò il profilo mentre pescava dei calzoncini da basket che non
ricordava di avere – sovrapporre arancione acceso a giallo e
ranocchie avrebbe causato epilessia anche ad una persona
perfettamente sana, ma lui non se ne curò – e, complice la buona
disposizione d'animo nei confronti del nuovo giorno, si ritrovò a
constatare nuovamente, con maggiore intensità della sera prima,
quanto Sasuke fosse irrimediabilmente attraente, persino ammucchiato
sul materasso a quel modo, non troppo dissimile dal cumulo di
lenzuola stropicciate che giaceva invece per metà sul pavimento, in
compagnia di un cuscino.
Chissà
se l'attraente sarebbe rimasto per colazione: magari aveva
davvero cavoli suoi da fare la domenica, magari una famiglia, di
quelle che fanno i pranzi collettivi tutti i fine settimana. Naruto
aggrottò le sopracciglia, corrucciato.
«Uffa»
sbuffò ad alta voce, ad esprimere disappunto per quell'ipotetica
famiglia numerosa che lo avrebbe privato del suo Tizio Stronzo
pescato al pub. Poteva essere un po' egoista, no? Poteva tenersi un
Sasuke per un giorno, visto che ormai l'aveva messo nel carrello: poi
l'avrebbe riportato al suo pranzo di famiglia, senza dubbio.
Riconsegnato intatto alle cure d'una madre dai bei capelli lunghi e
neri e dal viso dolce, ad un padre di quelli che leggono sempre il
giornale davanti al tavolo – rigorosamente la pagina economica:
Naruto non aveva mai capito bene cosa ci fosse scritto, ma sembrava
una roba da padri – e al suo, boh? magari un fratello – o più
d'uno: fratelli posati e diligenti dai capelli neri che sorbivano tè
con calma e discorrevano pacatamente col padre-giornale sulle ultime
oscillazioni della Borsa – ma la borsa di chi, poi? Sakura metteva
un sacco di cose, in borsa. Oh, e un nonno! Tutte le famiglie
numerose hanno un nonno: magari uno un po' rimbambito che inizia ogni
frase con “ai miei tempi...!” finendo per blaterare inascoltato
di avvenimenti anacronistici mescolati a vecchie pellicole di guerra.
Non
aveva pensato ad alta voce, ne era certo, ma in compenso aveva
sbuffato e tamburellato con le dita sulla scrivania, facendo casino –
cosa che gli veniva in verità assai bene - ed
era stato così preso da quelle elucubrazioni che, anche se non gli
aveva staccato un minuto gli occhi di dosso, sussultò quando si
accorse che Sasuke si stava muovendo – e non per sonnambulismo.
«Buondì»
esordì il nostro sessualmente appagato eroe, grattandosi il naso prima
di incrociare le braccia
dietro la nuca e sorridere a vanvera. Sasuke parve tentare di
inquadrarlo con gli occhi annebbiati e, piuttosto che rispondere al
saluto, si prese tempo per sbadigliare, la faccia nascosta sotto il
braccio.
L'ospite
arancione non se ne crucciò, decidendo piuttosto di sollevare la
sveglia e riporla sul comodino: il rospo faceva le tre e trentasette.
«Anche
se sarebbe meglio buon pomeriggio, vista l'ora. Fame?» domandò poi,
lasciandosi ricadere sul letto. Sasuke rimbalzò un po' sul materasso
all'impatto, ma non si mosse per diversi altri secondi. Naruto finì
quasi per impensierirsi: tra i capelli scompigliati, sulla nuca, era
quasi visibile il grosso bernoccolo della capocciata carpiata. Magari
era svenuto.
«Sei
vivo... ?» domandò, con qualche grammo d'apprensione aggrovigliata
nello stomaco; indeciso, si tirò seduto per guardare Sasuke
dall'alto. «Stronzo? Sei in coma?»
«Quanto-»
ribatté quello, la voce soffocata dal materasso, senza muoversi d'un
millimetro. Naruto ebbe giusto il tempo di sgranare gli occhi tra
sollievo e sorpresa, prima di ritrovarsi schiena sul materasso, la
testa a penzolare fuori assieme a tutto il collo; «parli,
usuratonkachi» sillabarono le labbra di Sasuke ad un palmo dal naso,
prima che il loro proprietario gli assestasse una capocciata lieve,
ma abbastanza dolorosa per qualcuno col collo sospeso ad un metro da
terra.
«Non
si sveglia così, la gente» continuò a brontolare lo psicolabile –
ecco, stronzo e pure psicolabile. E non si poteva neppure dire che si
fosse alzato col piede sbagliato dato che, per gli dei, non aveva
ancora messo a terra neanche l'alluce.
«Ahia,
bastardo!» reagì Naruto, rischiando di capitombolare giù di testa.
Si agitò arrotolandosi su se stesso, goffo e impacciato, solo per
trovare - una volta ripristinata una più comoda posizione coi gomiti
puntellati sul materasso - Sasuke che, seduto a gambe incrociate con
la fierezza di un capo indiano, lo squadrava con un'espressione
terribilmente simile a sprezzante compassione per la sua
inettitudine.
«Lo
sai cosa?» gli ringhiò Naruto, dopo essersi portato in ginocchio con un
ruggito e avergli puntato un dito in mezzo agli occhi. «Io me ne frego
del tuo pranzo di famiglia!»
Sasuke
ebbe giusto un momento per aggrottare le sopracciglia,
ragionevolmente perplesso, che si ritrovò buttato giù dal letto, in
un arrovellamento mortale. Fortunatamente per lui, il lubrificante
era a portata di mano.
«Adesso
ho fame» sentenziò infine Sasuke, e il suo stomaco brontolò.
Naruto lo sentì chiaro e forte tremolare nella testa che ci teneva
poggiata su, ad impedire diverse funzioni vitali.
«Ti
levi» domandò. Ordinò, in verità, data l'assenza di
qualunque tono interrogativo.
«Sto
comodo» rimbeccò Naruto, assestandogli un colpo di nuca come a
volerlo sprimacciare; fece appena in tempo a sbadigliare con
soddisfazione, ridacchiando, che dall'alto si vide piombare in faccia
la mano dell'altro. Incrociò gli occhi per seguirne le dita che
affondavano nei suoi capelli.
«To-gli-ti»
sillabò lo psicolabile, e ad ogni sillaba strattonò forte le ciocche
bionde per
sollevargli tutta la testa.
«Ahia-ahia-stronzo»
accusò Naruto, imbronciandosi. «Guarda che fai male, sei una
merda!».
«Ho
fame» ripeté quello, noncurante, la voce più chiara ora che aveva
lo stomaco libero.
Naruto
ringhiò al cielo, per poi trarsi in piedi indolenzito.
«Ho
capito, ho capito!» si stiracchiò, prima di offrire una mano
all'individuo più insopportabile del pianeta, ancora dignitosamente
steso in terra.
Lui
la studiò per un lungo momento, titubante,
e Naruto dovette fare forza su di sé per non utilizzare il
vantaggio: fosse stato una persona cattiva, e un judoka, come minimo
l'avrebbe ribaltato.
Invece
la fame e il suo essere un luminoso amante di tutto il creato –
anche dei Tizi Stronzi e Psicolabili Pescati in un Pub la Sera
Prima – lo spinsero a sorridere come un ebete e tirarsi dietro
dita, mano e tutto l'intero corpo assonnato di Sasuke, che lo seguì
incredibilmente docile, opponendosi giusto il tempo di cercare le sue
mutande perché mai, mai e poi mai avrebbe accettato di mettersene un
paio di Naruto – quando lui fece per proporlo, lo gelò sul posto
con un'occhiata da pazzo omicida.
Da
lì, raggiunta la cucina, Naruto Uzumaki, ventiquattrenne, biondo,
arancione, omosessuale sessualmente appagato e un po' in imbarazzo
dall'avere Tizio Stronzo a gironzolare in mutande nel suo
appartamento, nuovo fattorino a tempo indeterminato dell'Ichiraku
Ramen per la prima volta in vita si rammaricò d'essere un
individuo disorganizzato a livelli patologici, abituato a vivere alla
giornata come un randagio e privo di creanza, per usare le
parole dolci di Sakura.
«Che
palle, ero sicuro d'aver fatto la spesa...» brontolò, la testa e un
braccio ficcati per intero in uno stipetto. Tastò indeciso con la
mano, la fronte corrugata. Schivò il caffè, si fece quasi cadere in
testa un pacco di cereali e tirò fuori un barattolo di cetriolini
sottolio studiandoselo un momento con espressione allucinata.
«Devo
morire di fame?» mugugnò la voce di Sasuke, da dietro. Naruto
sollevò lo sguardo dalla data di scadenza dei cetriolini –
cetriolini del secolo scorso – e aggrottò le sopracciglia davanti
alla figura dell'altro, seduto al tavolo col mento sulle braccia
conserte, a guardarlo da sotto in su con espressione contrariata.
«Non
è che ti stai proprio rendendo utilissimo, eh» sbottò. Gettò i
cetriolini da una parte e arraffò una sedia, per
esplorare la credenza da una posizione sopraelevata.
«Non
è possibile che non ci sia niente, deve esserci almeno del ramen!»
riprese a confabulare tra sé, il suo cervello e la sua mano in
modalità esplorativa, impegnato ad ignorare lo sbuffo scocciato del
suo ospite. E, siccome l'aveva invocato – lui sapeva sempre
quando era in difficoltà – il ramen si palesò in tutto il suo
splendore: due confezioni ammaccate spinte sul fondo e risalenti a
qualcosa come il decennio passato. Naruto le afferrò con uno
strilletto di gioia, voltandosi poi per sventolarle trionfante. Nel
processo rischiò anche di capitombolare giù dalla sedia, ma infine
scese indenne con un balzello, atterrando agile come uno zoppo e
radioso come una giovane sposa.
«Ti
piace il ramen? Va bene alla soia?» sorrise, mentre già aveva spinto
cavallerescamente la confezione meno ammaccata fin sotto il naso di
Sasuke, che ne seguì guardingo il movimento, neanche avesse timore
di finire avvelenato da una gattara.
«Non
mi fa vomitare» optò per rispondere, fermandosi a guardare Naruto
che, forte di una esperienza quasi ventennale, riempiva d'acqua il
bollitore misurando ad occhio la quantità necessaria.
«Il
ramen è il cibo più buono del mondo! Io lavoro in un chiosco, da
ieri. Cioè, da lunedì, ieri mi hanno assunto» proseguì a
blaterare contento anche mentre apriva il barattolo. «Sono il
ragazzo delle consegne» aggiunse, orgoglioso. Come prova, arraffò
un paio dei volantini che aveva ammonticchiato lì vicino al frigo,
la sera prima, e gliene lanciò con palese gioia, neanche
riguardassero chissà quale meritevole attività filantropica.
Sasuke
sollevò un sopracciglio, studiandoli distrattamente all'apparenza
all'unico scopo di decidere d'essere infastidito anche solo dalla
scritta chiassosa che gridava Ichiraku Ramen – la più grande
varietà ai prezzi più piccoli in una gradazione di giallo
decisamente troppo giallo – e snobbarli subito dopo, già
tutto proiettato verso l'ardua impresa di aprire la confezione di
ramen; cercò di mascherare con poca abilità il fatto che
praticamente la distrusse, mentre Naruto era riuscito a
sollevare l'alluminio e aprire i condimenti come fosse un gioco da
ragazzi – e probabilmente lo era.
«Pensavo
azionassi asciugamano elettrici» si rivalse Sasuke, mentre si
rigirava una bustina tra le mani come contenesse qualche curioso
preparato mortale ottenuto in laboratorio.
«Tu
invece sei nato stronzo o hai frequentato apposite scuole?» lo
canzonò Naruto, senza offendersi. «E comunque è solo un lavoro, il
mio sogno in realtà è scalare l'Everest».
Sasuke,
ancora in lotta con la sua bustina, sollevò gli occhi e lo guardò
come fosse un animale bizzarro.
«Tu
vorresti cosa?»
Naruto
non si scompose minimamente.
«Sì,
sai, scalare l'Everest. Faccio le arrampicate, ho cominciato
arrampicandomi sugli alberi all'asilo» spiegò, le mani sui fianchi
e il petto in fuori. «E quando uno si arrampica vorrebbe arrivare
sempre il più in alto possibile e il più in alto possibile su
questa Terra è proprio l'Everest, no? Per questo mi alleno tutti i
giorni!»
«Considerato
che non riesci neanche a stare in piedi su una sedia, a momenti, fai
bene» ribatté Sasuke, sprezzante.
Naruto
scrollò le spalle: lui avrebbe scalato l'Everest, punto. C'era poco
da girarci attorno.
«Guarda
che puoi usare le forbici» si rivalse, gongolando davanti alle dita
di Sasuke, inette di fronte al possente alluminio.
«Ci
riesco benissimo».
«Sicuro,
sicuro. Si vede» commentò Naruto, scoppiando poi a ridere quando
effettivamente la bustina fu divelta e Sasuke starnutì davanti alla
nuvoletta di polvere piccante che gli era esplosa sotto il naso.
«Deficiente»
mugugnò sdegnato, ma Naruto si era già voltato a recuperare il
bollitore.
«Adesso
bisogna aspettare tre minuti» spiegò solenne, una volta riempiti i
bicchieri.
«Guarda
che lo so».
«Io
li odio, i tre minuti. Divento impaziente» proseguì quello,
incurante, senza togliere gli occhi di dosso al suo ramen, neanche
temesse una fuga. Il suo stomaco brontolò a sottolineare il tutto.
«Mh»
si degnò di rispondere Sasuke, osservando a sua volta il ramen, ma
con decisamente meno trasporto nonostante l'appetito. Naruto lo spiò
di sottecchi per almeno centottanta lunghissimi secondi, sentendosi
un poco a disagio in compagnia di qualcuno che sapeva stare così
zitto tanto a lungo. Decise di allungare un piede e assestargli un
mezzo calcio sullo stinco.
«Tu
invece che fai?» domandò, ridacchiando mentre si beccava la pedata
di reazione.
«Cosa».
«Che
fai, sì. Tipo nella vita. Buon appetito!» berciò, impugnando le
bacchette manco tenesse in mano delle spade laser. «Lavori?» si
ostinò a chiedere, mentre già tirava su un boccone mastodontico e
bollente con trasporto quasi amoroso.
Sasuke
se lo squadrò per qualche momento con palese disapprovazione, prima
di immergere a sua volta le bacchette nel brodo.
«Studio».
«Oh,
forte!» si soffocò Naruto – che forse avrebbe dovuto imparare a
comportarsi più civilmente a tavola per evitare di rischiare la vita
ogni qualvolta assumeva sostanze liquide o solide -; Sasuke lo
osservò passivamente mentre tossiva e rideva tutto insieme. «E che
studi?»
«Libri»
fu la laconica risposta, assieme al risucchio di una generosa dose di
tagliolini – che, fanculo, il signor “non mi fanno vomitare”
stava fagocitando come un affamato.
«Millegrazie.
Intendo, sai... Ho due amiche che fanno medicina, una che fa scienze
infermieristiche» elencò Naruto, dopo avergli assestato un'altra
pedata – sempre prontamente ricambiata - «Chouji fa filosofia...»
Sasuke
non si degnò di chiedere cosa diavolo fosse un Chouji, ma alzò gli
occhi al cielo.
«Ingegneria
biomedica» enunciò, sintetico.
«E
cioè?» masticò Naruto, così interessato da dimenticare d'avere un
tagliolino a penzolargli dalle labbra.
Sasuke
lo osservò quasi scoraggiato.
«Creo
zombie alieni mutanti. Per il governo» rispose, impassibile.
E,
dato che nelle ore precedenti non aveva mostrato neanche il più vago
barlume di senso dell'umorismo – non che avessero esattamente
dialogato molto – Naruto si ritrovò a sgranare per un momento gli
occhi, il tagliolino
a sbatacchiargli sul mento.
Realizzò subito d'aver appena fatto una
cazzata, solo che poi Sasuke stava ridendo. Ridendo davvero dopo ore
di amimia - a parte mezzi ghigni di scherno e qualche sussulto di
sopracciglia. Okay, non stava davvero ridendo, non come un qualsiasi
conoscente di Naruto avrebbe riso; era una cosa più discreta, una
risata da disadattato, le
spalle a sussultare un poco e la faccia nascosta dai capelli, dietro
al bicchierone di ramen utilizzato opportunamente come paratia; e
anche se il disadattato in questione stava sicuramente ridendo per
lui – o forse proprio per quella ragione – Naruto non riuscì ad
arrabbiarsi. O meglio, non quanto avrebbe dovuto: per l'unica volta
da che aveva memoria, ignorò gli ultimi rimasugli di brodo –
quello più buono sul fondo, salatissimo e pieno di condimento
sfuggito alle bacchette – e, prima che Sasuke facesse in tempo a
finire di soffiargli contro «sei davvero imbecille», sprezzante ed
ilare,
lo zittì con un bacio.
Quante
volte al giorno si può fare sesso? Un sacco, aveva scoperto Naruto.
Un sacco proprio un sacco, senza fretta e con pause ludiche, volte a
riprendere fiato e a rifocillarsi con rimasugli di cibo – pomodori
annidati nei meandri del frigo, una scatoletta di tonno, coca cola
cagiona-rutti fortemente disapprovata da Sasuke e sì, anche i
cetriolini sott'olio.
Quando
il sole era ormai calato da un pezzo, Sasuke aveva avuto il tempo di
dire che doveva andarsene almeno una decina di volte – l'indomani
doveva svegliarsi presto per vedere un certo Orochimaru o chi sa Dio
– e altrettante Naruto l'aveva felicemente ignorato, incontrando
tra l'altro notevole collaborazione da parte dell'interessato, che
sembrava più che altro interessato a restare.
Da
lì, però, Naruto aveva cominciato ad avere l'irrazionale sensazione
che, se fossero usciti di casa, si sarebbe spezzato qualcuno di quei
fili di ragno che teneva sospesa in un bozzolo quella situazione
tanto surreale quanto meravigliosamente irripetibile e, seguendo
questa logica, aveva convinto Sasuke ad appoggiargli l'ordine di
pizze da asporto – non che ci fosse voluto molto, dato che l'aveva
proposto mentre lo stavano facendo.
Erano
così finiti a stazionare sul divano, con la pizza e Slither
sul canale tre – tanto per restare in tema di zombie alieni mutanti
–; peccato che a metà si fossero addormentati spalla a spalla come
due cinquenni, proprio mentre l'automobile dei protagonisti finiva
circondata da una torma di morti viventi, per di più cannibali,
esattamente come Sasuke – in tono perfettamente neutro e mandando
giù signorilmente un brano di pizza grosso come la sua faccia -
aveva pronosticato sarebbe accaduto fin da quando i quattro erano
saliti in macchina. Naruto si era addormentato contento proprio come
un marmocchio dopo una gita al mare, rilassato e completamente a suo
agio.
La
mattina l'aveva sorpreso così: accasciato contro lo schienale,
storto e dolorante, la schiena incollata al divano che, caduta la
copertura arancione, si mostrava in tutto il suo splendore di rosa
stantio scelto a gusto della precedente proprietaria
dell'appartamento – un'anziana, bisbetica vecchietta di nome Koharu
che se n'era andata perché in continua lite con la dirimpettaia, più
bisbetica e ostinata di lei.
Tutto
regolare, non era la prima volta che gli capitava di addormentarsi
fuori dal suo letto, eppure ancora prima di aprire gli occhi il
nostro assonnato, spettinato e un poco incontinente – aveva bevuto
davvero tantissima coca cola, la vescica gli stava scoppiando – eroico
eroe seppe che c'era qualcosa che non andava. E non si
trattava della mozzarella che aveva sotto i piedi, anche se avrebbe
aiutato cominciare a liberarsi di quella.
«Gh,
che schifo...» biascicò, quando trovò la forza di sollevare le
palpebre e inquadrò il suo piede sinistro serenamente steso dentro
un cartone, tra gli avanzi di pizza coi pomodori.
«Che
pizza vuoi?» gli aveva sbraitato coprendo inutilmente la cornetta
del telefono col palmo. Sasuke, già stravaccato a fare zapping, si
era stretto nelle spalle.
«Basta
ci siano i pomodori».
Ad
occhi sgranati, Naruto inquadrò la televisione ancora accesa,
realizzando in maniera vaga il fatto che fosse sintonizzata sui
Teletubbies.
Con
una sensazione di sgomento vacuo, un po' stordito, aggrottò le
sopracciglia davanti a Tinky Winky e si tastò il petto, per poi
proseguire con le mani a palpare il divano, ritrovandosi tra le dita
solo il lembo della copertura di uno sconvolgente arancione fluo,
fredda. Si guardò attorno, completamente stralunato: aveva bisogno
seriamente d andare al bagno, ma c'era qualcosa che non tornava;
alzandosi, fiacchissimo, uno dei volantini di Ichiraku cadde giù dal
divano, svolazzò placido e finì a terra; Naruto per poco non ci
scivolò su, così lo spinse svogliato sotto il mobile, distratto a
cercare di inquadrare tutta la stanza insieme alla situazione.
Finché, nel silenzio, non si voltò di nuovo verso la televisione,
sconcertato dalla drammatica rivelazione appena risvegliatasi nel suo
cervello assopito: sorvolando sui pupazzi parlanti in tv, c'era
freddo, c'erano due cartoni di pizza vuoti, lui era in mutande,
l'alito gli puzzava di scarpa da ginnastica e il sole era sorto da un
pezzo dietro le tende, sul cadente balconcino dell'appartamento.
E Sasuke. Sasuke se n'era andato.
Nda
Prosegue
nel capitolo due perché la logorrea è una brutta bestia.
Il
titolo è la storpiatura di Tu la conosci Claudia?, di Aldo,
Giovanni e Giacomo: al solito, per i titoli c'ho bisogno del supporto
tecnico.
Non
scrivevo al passato remoto da anni, tipo. La consecutio temporum
credo sia morta in diversi punti: se qualcuno notasse verbi che
stonano e potesse farmelo presente gliene sarei infinitamente grata
(questo vale per qualsiasi altro orrore, ovviamente). E IC sta
chiaramente per Ignobile Cazzata, qui dentro.
L'ambientazione
è assai indefinita, sì, e faccio presente che la storia è
volutamente demenziale: mi diverto così. Nella seconda parte riesce
persino a peggiorare, tra l'altro.
Oh, “violeggiare” è un verbo che non esiste, ma secondo me
dovrebbe! *schiva gli accademici della Crusca*
Ultima
cosa: il rating è arancione più perché la gente è sboccata che
altro. Il picco massimo d'erotismo l'abbiamo toccato parlando di
ciabatte di feltro e cani dei vicini, spiacente.
(Che
note lunghe <_<' chiedo scusa)
Anna!
Ho letto la storia
di slice XD cosa che rende ancora più indecoroso provare a farti
gli auguri con una stupidaggine simile (era indecoroso già da sé,
sia chiaro). Ma insomma, basta il pensiero, no? No? *sviene*
Buon
compleanno, millemila di questi giorni! Se vivessimo vicine t'avrei
portato un gigantesca torta gelato, col caldo che fa XD
Come
sempre, non
mi appartiene niente a parte la stupidità.
|
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Capitolo 2 *** parte seconda ***
Ultima
parte in altre quindici (s)comode pagine, oggidì dedicate a
scarlett666.
Buoncompleanno, psychologa!
Ciò
detto, attenzione! Qui Naruto fa almeno dieci
cose-che-nessuno-dovrebbe-mai-fare (non a caso, il
narusasunarudndfnquellaroba lì si trasforma in stalking):
non imitatelo XD
Oh, comunque è una totale cretinata.
Tu
lo conosci Sasuke?
-
parte seconda -
Sotto
il sole delle dieci, Naruto sapeva d'essere un uomo finito.
Lui,
il grande Naruto Uzumaki, quello che voleva scalare l'Everest,
sentiva chiaramente che la sua vita era finita, conclusa, persa,
caput!
Okay,
anche no. Ridimensioniamoci, prima di scadere davvero nel
patetismo spicciolo.
Il
problema era che da Naruto Uzumaki, ventiquattrenne, biondo,
arancione, omosessuale con un Sasuke a dormirgli addosso sul divano,
nuovo fattorino a tempo indeterminato dell'Ichiraku Ramen, il
nostro eroe, insomma, fosse divenuto repentinamente Naruto Uzumaki,
ventiquattrenne, biondo, arancione, omosessuale che meritava di
restare solo per sempre perché troppo stupido, stupido, stupido! per
riuscire a guadagnarsi una sana relazione, nuovo fattorino a tempo
indeterminato dell'Ichiraku Ramen, cosa, questa, che lo rendeva
alquanto depresso. Il motivo della depressione, invero, non era tanto
il fatto che Sasuke se ne fosse andato, quanto piuttosto che Sasuke
fosse quello, un Sasuke. Un tizio di nome Sasuke. Solo Sasuke.
Sasuke-e-basta.
«Il
cognome, Naruto! Il cognome, le basi!»
Naruto
riuscì solo a scuotere la testa, sinceramente dispiaciuto e con un
grumo di pizza sullo stomaco da ore, a pesargli dentro come avesse
vita propria. Sakura, implacabile, approfittò del cedimento per
rincarare la dose; sbraitava davanti al bar della facoltà, un tomo
di diagnostica a sventolarle minaccioso tra le dita.
«Il
cognome! Il numero di telefono! Che cavolo, Naruto sei-» e Naruto
lasciò che lei gli ficcasse lo spigolo del volume in fronte,
convinto di meritarsi sia il segno rosso che gli improperi. «Non è
possibile che tu non gli abbia chiesto il numero di telefono! Che tu
non gli abbia dato il tuo, anche a costo di farglielo ingoiare, tu-
tu!»
«Hai
sempre avuto ragione, sono davvero il più grande idiota del pianeta»
annuì, sconsolato.
E
Sakura, che ormai era partita a razzo e l'avrebbe rimproverato per
qualunque cosa, si prese anche la briga di urlargli: «dell'universo,
Naruto, dell'universo!» rischiando di decapitare Ino con il libro.
Lei, appena sopraggiunta non si sa se in cerca di caffè o per le
urla belluine della carissima amica, le sfilò il volume dalle mani
con l'aria di qualcuno avvezzo a scatti d'ira di colleghe isteriche;
poi agguantò una sedia dal tavolo accanto. Se la guadagnò senza
praticamente dover chiedere, solo grazie ad un unico, disarmante
sorriso e un frullare casualmente studiato di ciglia lunghe
sull'azzurro, e si sedette con tutta l'atletica pesantezza di
qualcuno che, begli occhi o meno, è sveglio dalle sei.
«Che
diamine succede?» chiese, poggiando il libro di diagnostica sul
tavolino, lontano dalle grinfie nevrotiche di Sakura.
«Succede
che è un deficiente!» ribatté la bocca altrettanto nevrotica di
Sakura, mentre le mani additavano Naruto. Lui chinò il capo e cacciò
un sospiro.
«È
che eravamo lì e poi abbiamo... Non ho avuto il tempo di...»
«Capisci?
Capisci cosa deve subire il genere umano per colpa di questo
imbecille patentato?» sbottò Sakura, sotto lo sguardo di una perplessa
Ino.
«Non si sa come faccia, voglio dire, a parte che è biondo,
arancione e tutte quelle cose lì... Non si sa! Lo sai come fa, li
attira! Ha una specie di potere messianico o che so io! Lui sta lì,
parla a vanvera, non sa da che parte è girato eppure toh! mezzo
mondo gli dà retta! Converte le masse, adesca i giovani!»
«Ma
quel caffè era corretto?» la interruppe Ino, strabuzzando gli occhi
davanti all'amica prima di voltarsi verso Naruto, in cerca d'aiuto.
Sakura
non parve gradire quell'allusione alla sua sconclusionatezza e
afferrò Ino direttamente per i vestiti, portandosela quasi contro il
naso.
«Sto
dicendo che questo... questo coso improponibile» e Naruto si
disse che alla fine come epiteto non era tra i peggiori che Sakura
gli avesse mai affibbiato; «non si sa come fa, ma riesce a portarsi
a casa Tizi random – guarda caso quelli che piacciono a me, che
guarda caso sono gay!, e adesso dimmi se non ti sembra la
dannata trama di un dannato episodio di Dawson's creek! - e a
farceli rimanere! Capisci?» proseguì, senza attendere alcun segno
da parte di Ino che facesse intuire un'effettiva comprensione di quel
delirio psicotico. «Lui non si limita ad andarci a letto, no, perché
lui è Naruto Uzumaki! Lui costruisce legami, stringe rapporti! E
quindi mi fa stare in ansia per ore perché ha la segreteria inserita
per un giorno intero e non risponde al cellulare-»
«Era
scarico, ho dimenticato di-» cercò di difendersi lui, invano - come
cercare di spegnere un incendio gettandoci sopra un granello di
sabbia alla volta.
«Ma
certo!» divampò infatti nuovamente Sakura, quantomeno liberando Ino
dalla stretta mortale per rivolgersi di nuovo a lui. «Non è questo
il punto, Naruto! Tu ti porti la gente a casa, ci fai sesso per un
giorno intero, mangiate, ordinate pizze, dormite, guardate Slither
– Slither! Si può chiacchierare guardando Slither!
Non è mica Schlinder's list, per gli dei! - e non
riesci a sapere niente di più del suo nome proprio?!»
Nel
silenzio seguente – esteso anche agli altri tavoli ormai in
ammirato ascolto della ragguardevole estensione vocale di Sakura
Haruno –, Naruto boccheggiò per qualche lungo secondo, incapace di
articolare.
Avrebbe
tanto desiderato giustificarsi: lui di Sasuke sapeva principalmente
che si chiamava Sasuke, d'accordo, ma sapeva anche un mucchio d'altre
cose. Che era uno stronzo, che russava ma non voleva ammetterlo – e
se punzecchiato in merito diveniva violento -, che l'arancione
sembrava infastidirlo di primo acchito, ma poi ci si spaparanzava
tranquillamente sopra senza troppo pensarci; sapeva che gli
piacevano i pomodori e che, se affamato, dimenticava senza ritegno
qualsiasi tipo di educazione – della cui mancanza si preoccupava di
rimproverare piuttosto lui -; sapeva che odiava il chiacchiericcio,
sapeva che era dotato di scarso senso dell'umorismo, facilmente
irritabile, inconsapevolmente privo di pudore – lui al
fattorino delle pizze stava andando ad aprire in mutande –,
sgarbato e nel complesso un'emerita testa di cazzo non troppo
vagamente psicolabile. E, pur avendo afferrato tutto questo con una
certa consapevolezza, conscio del fatto che una descrizione simile
avrebbe fatto scappare a gambe levate qualsiasi individuo sano di
mente o quantomeno ringraziare tutti gli dei che il tale in questione
si fosse defilato senza lasciare tracce, Naruto avvertiva con
altrettanta smania l'impressione istintiva, pressante – anche
inquietante, a dire il vero – del va bene lo stesso. Quella
sensazione a metà tra il masochismo e la catarsi, che
ti fa stringere nelle spalle, sospirare tutt'al più, quando la tua
migliore amica dai capelli rosa si approccia a te più spesso coi
pugni che a parole: perché a te va bene lo stesso.
Naruto
ci metteva poco a capire le persone, era il suo dono. Senza sperare
di conoscerlo – per quello è ovvio che ci voglia il tempo che ci
vuole -, quello che aveva capito in ventiquattro ore era che a lui
Sasuke andava bene lo stesso. E se c'era il va bene lo stesso,
a che serviva uno stupido cognome?
«Beh,
se lo vedessi lo riconoscerei» tentò titubante, ritornando alla
triste realtà dei fatti, quella in cui il pianeta Terra è abitato
da sette miliardi di persone che per contattarsi necessitano di
recapiti, dati anagrafici ed altre impoetiche, fastidiose corbellerie
così basse e pratiche da apparire desolanti.
Giusto
a sottolineare che il mondo era un posto irrimediabilmente crudele e
lui solo uno sciocco sognatore, accanto a lui Ino emise un basso
verso di profondo biasimo.
«Fammi
capire» intervenne spiccia, tamburellando nervosa con le dita. «Tu
ti sei portato a casa il Tizio dell'altra sera e lui il giorno dopo
ti ha mollato senza lasciarti alcun recapito?»
«Non
mi ha mollato! Continuava a dire di doversi vedere con un tale
stamattina, sarà dovuto correre via in fretta...» e non servirono
le occhiate mestamente complici scambiate tra Sakura ed Ino a fargli
capire, chiaro e forte, quanto quelle parole sarebbero risultate
patetiche per chiunque, anche per il protagonista di una telenovela
doppiata male.
«Naruto»
cominciò Sakura, dopo avergli poggiato con cautela il palmo sul
pugno che lui teneva chiuso sul tavolo. «Credo che se avesse voluto
rivederti ti avrebbe almeno scritto un biglietto, no?»
Naruto
tentò infruttuosamente di aprire la mascella, poi aggrottò le
sopracciglia e fece per ribattere, subito interrotto da un sospiro di
Ino.
«Sei
stato scaricato, bello mio» gli rese noto lei con grazia,
assestandogli un colpetto lieve sulla spalla. «Mi spiace».
Gli
occhi di Naruto si sgranarono andando dall'una all'altra; abbozzò
una risata.
«No,
ma ehi! Guardate che era vero-» si sforzò, tutto teso a cercare di
recuperare brandelli di conversazione. «Doveva vedere un tale
Orochisuke... Orochiyama...»
E
invece di consigliargli di berci su, distrarsi e archiviare la
faccenda, Sakura e Ino aggrottarono le sopracciglia e si voltarono
l'una verso l'altra esclamando: «Orochimaru?»
Scombussolato,
Naruto annuì.
«Ecco,
sì! Orochimaru. Vedi che me lo ricordavo?» disse, parlando al
tavolo.
«Orochimaru
insegna qui, Naruto. Cioè, non qui qui... Qui nell'ateneo» ragionò
Ino. Gli acchiappò il viso tra le mani tanto velocemente che si udì
un crack di vertebre e uno studente del tavolino alle loro
spalle avvertì che, ehi, se c'era bisogno d'aiuto lui si stava
specializzando in ortopedia.
«Eh?»
le fece Naruto, le guance ancora strette tra i palmi dell'amica, che
però si era voltata verso Sakura.
«Orochimaru,
Orochimaru!» esclamò lei, quasi scocciata dal dover spiegare cose
ovvie. «È una specie di personalità scientifica mondiale. Una roba
tipo... tipo Margherita Hack, ma con più serpenti» spiegò, senza
approfondire. «Si dice sia un po' fuori di testa e che durante i
suoi corsi sia più normale sentirlo blaterare di concetti
pseudofilosofici che di cose pratiche. Comunque è un genio».
«E
dov'è?» domandò Naruto, mostrando ancora una volta le sue grandi
doti di uomo d'azione.
«Beh,
sarà in qualche aula a tenere lezione, suppongo... Non interromperai
una lezione, Naruto!» scattò subito Sakura, senza dargli neppure il
tempo di alzarsi in piedi del tutto – cosa che lui avrebbe fatto
lasciandosi cadere la sedia alle spalle e cominciando a correre lungo i
corridoi di una facoltà a caso per aprire rumorosamente le
porte di aule, uffici, bagni e sgabuzzini e gridarci dentro Sas'ke!
Sas'ke! Sas'ke! come una scimmia urlatrice. Una scimmia urlatrice
vedova e afflitta in cerca dei suoi cuccioli.
Naruto,
le ginocchia mezze tese e il sedere già separato dalla sedia da
diversi centimetri cubi d'aria, emise un breve gemito frustrato.
«E
allora che faccio?»
«Uomini,
e poi siamo noi che facciamo i drammi» sbuffò Ino, impegnata a
rilassarsi contro lo schienale all'unico scopo di sporgersi per
sbirciare Sai, il collega carino della facoltà di psicologia, che se
ne stava seduto su una panchina con un album tra le mani.
Naruto
tornò su Sakura.
«E
quando lo posso vedere, questo Orochimaru?»
«Orario
di ricevimento? Ma pure che lo dovessi trovare che faresti? “Salve,
mi sono portato a letto un suo studente, potrebbe aiutarmi a
rintracciarlo?”» cantilenò, scoraggiata per empatia con
l'espressione sempre più tetra di Naruto. «Oltretutto con ogni
probabilità non avrà la più pallida idea di cosa dovrebbe essere
un Sasuke, visto e considerato che in questo luogo incivile e
disumano gli studenti sono numeri e basta. È già tanto quando un
insegnante riesce ad associare un cognome storpiato ad un viso
confuso tra altri centinai di visi ogni santo giorno, figurati cosa
potresti cavare andando lì a domandare “senta, ma lei lo conosce
Sasuke?”: ti riderà in faccia».
«Dannazione»
sospirò il nostro biondo, eroico eroe tragico – comunque molto
arancione, cosa che ne smorzava catastroficamente la tragicità.
«Vuol dire che seguirò tutti i corsi di biomedicinistica
ingegnosa per tutta la settimana finché non lo beccherò. Dove
sarà la facoltà di biomedicinistica?» e cominciò a
voltarsi da un lato all'altro come fosse convinto di vedersi spuntare
davanti un cartello delucidante o magari proprio un edificio intero.
«Naruto» intervenne Ino perentoria, dopo averlo afferrato per le
spalle.
«Ti-ha-scaricato. Fattene una ragione, non puoi diventare uno
stalker» cercò nuovamente di spiegargli con poca diplomazia, per
evitare fraintendimenti con la ben nota testa dura dell'amico.
«Oltretutto
non puoi infiltrarti a caso a biomedi... sarà ingegneria biomedica,
no scemo?» rincarò Sakura, sbuffando. Si tirò una ciocca rosa
dietro l'orecchio e poi guardò l'orologio. «Noi dobbiamo andare,
Naruto. Vattene a casa e vedi di non far tardi a lavoro, stasera»
aggiunse, severa.
«Oi,
ma sei sicuro che non ti sia sognato tutto?» rise Ino, evidentemente
non molto ansiosa di recarsi a lezione. «Sarebbe una storia
deludente da film deludente!»
Naruto
sgranò gli occhi e per un momento, davvero, si chiese se non se lo
fosse sognato, un Sasuke: insomma, le ultime ventiquattro ore si
reggevano sull'esile trama di un sogno da sbronza o di un raccontino
rosa di bassa lega scritto da un'adolescente cresciuta ad Harmony e
telefilm per teenager. Ma c'erano una casa disordinata, due cartoni
di pizza, due confezioni di ramen vuote e una bruttissima sensazione
di mancanza a comprovare l'effettiva realtà dei fatti, a meno di non
essere diventato sonnambulo - un sonnambulo vivace e con molto
appetito.
Si
ritrovò il pugno di Sakura calato in testa dall'alto: era leggero,
ma Naruto sobbalzò comunque. Lei, in piedi, lo sbirciò dall'alto
premendogli le nocche tra i capelli arruffati.
«Vai
a casa, Naruto, dammi retta. E non ti deprimere, ti chiamo più
tardi».
E
lui, il nostro povero, irragionevolmente depresso eroe arancione,
annuì, lasciando che Sakura lo salutasse con un sorriso un po'
triste e Ino sventolasse la mano comunque pimpante, prima di
raccogliere la borsa da terra e augurargli buona giornata.
Naruto
osservò la sua coda ondeggiante seguire il caschetto rosa di Sakura,
finché le due non furono sparite nell'edificio della facoltà,
dietro le porte a vetri.
Sospirò
pesantemente, frustrato.
«Sono
una stupida teenager» mugolò, la fronte spalmata contro il piano
del tavolo. E si sentì terribilmente solo al mondo.
Era
una stupida teenager, assodato, ma c'era da ammettere che il mondo in
questo senso non lo aiutava; non si spiegava altrimenti il fatto di
star intrattenendo una conversazione del genere con Sai.
«Non
conosco bene la facoltà di Ingegneria, Naruto kun, ma sono certo che
recarci in segreteria potrebbe essere un intelligente primo passo per
le ricerche».
Ora,
Naruto, si diceva, era un boccalone abituato a fidarsi della gente a
pelle – questo per riassumere in soldoni concetti già espressi
ampiamente nel paragrafo precedente – e non si era posto il minimo
problema quando, del tutto spontaneamente, Sai gli si era avvicinato
con la mandritta tesa e un sorriso plastico e vagamente inquietante
spalmato in viso, in una buona imitazione di qualcuno con dei
problemi – una paresi facciale, ad esempio.
Quello che aveva messo
il nostro eroe un po' sulla difensiva era più che altro il fatto che
poi il ragazzo, con trasporto degno del personaggio ausiliario di un
film Disney, spiegatogli di non aver potuto fare a meno di ascoltare
la sua triste storia, si era offerto di aiutarlo nella difficile
impresa di ritrovare Sas'kekun – pronunciando il nome con lo
stesso tono che si adotterebbe, nel caso, per le parole “portafogli”
o “borsetta”.
Per
spiegare tutto quell'interesse era infine partito con una
dissertazione - in tono piano e cadenzato da accademico novantenne -
su come gli esseri umani si dovrebbero aiutare vicendevolmente al
fine di perseguire un'ideale di vita collettiva che consenta a tutti
di raggiungere un paritario stato di benessere. Naruto di socialismo
utopistico ne capiva assai poco, così come effettivamente Sai
stesso, e si era perso piuttosto a fissarlo stralunato riuscendo solo
a constatare - in uno slancio paranoide che a mente fresca l'aveva
poi seriamente impensierito - quanto quel Sai, con i suoi capelli
neri e il viso pallido, somigliasse irrimediabilmente a Sasuke.
«Ma
Sasuke è più attraente» concluse a voce alta, proprio mentre Sai
lo rendeva edotto in maniera confusionaria sul pensiero di
tale Charles Fourier, incurante del fatto che il nostro distratto
eroe non avesse espresso alcun desiderio in tal senso.
Sai,
gliene sia reso merito, non si scompose: semplicemente sorrise di
nuovo e domandò «davvero?», senza apparire minimamente scalfito da
quello che poteva tranquillamente essere considerato un insulto –
anche se magari aveva capito che l'oggetto della conversazione fosse
ancora Fourier.
Naruto,
stordito, trasse un respiro profondo e prese la situazione in mano.
«Quello
che intendo è-»
«Dobbiamo
trovare Sasuke kun, certamente» conciliò l'altro, pronto, per poi
cominciare di testa sua a precederlo a passi sicuri lungo il viale,
la borsa in spalla e il suo album sotto il braccio. Naruto, che non
conosceva per nulla il posto, fatte salve alcune sporadiche visite a
Sakura, gli si accodò con qualche esitazione, approfittando per
spiarsi in giro in cerca di una nuca coperta da irsuti capelli neri –
sarebbe stato un bel colpo di culo.
«Prima
di tutto, Naruto kun, hai idea dell'età precisa di Sasuke kun? Se
così fosse, sebbene con un ampio margine di errore, potremmo provare
ad isolare un elenco di insegnamenti che potrebbe stare frequentando
in questo momento, con particolare attenzione per quelli tenuti da
Orochimaru sama».
Naruto,
perso a guardare tutta quella mandria di gente che, attorno a lui,
pareva invece avere una precisa idea di dove recarsi – la cosa lo
fece sentire un po' sperduto -, gli rivolse un'occhiata totalmente
vacua.
«Oh,
ahn. Beh, non so... la mia età?»
«E
tu quanti anni hai, Naruto kun?»
«Ventiquattro...
ma beh, poteva averne tranquillamente anche di meno, o di più o...
Diciamo tra, boh, tra i venti e i venticinque?»
Sai
sorrise di un sorriso accondiscendente.
«Se
il tuo pene è piccolo come il tuo cervello, Naruto kun, non vedo
perché Sasuke kun dovrebbe desiderare di farsi trovare da te».
Naruto
dilatò gli occhi all'inverosimile; stava già per tirargli un
cazzotto, senza dimenticare di sbraitare «io ti ammazzo!» a
tonsille spiegate, ma Sai, un passo indietro e l'espressione
perfettamente sorridente e composta, gli bloccò il pugno con un
indice.
«D'accordo,
cambiamo approccio metodologico» proferì, calmissimo.
«Ma
quale approccio e approccio, io ti approccio a pugni!»
«Non
sarebbe vantaggioso picchiare qualcuno che sta cercando di aiutarti,
Naruto kun, anche questo non farebbe che avvalorare la tesi della tua
scarsa intelligen-»
Naruto
gli assestò una capocciata e lo spedì direttamente a terra.
Ma
era troppo buono, Jiraiya glielo diceva sempre: una persona normale
Sai l'avrebbe lasciato agonizzare sulla strada e magari gli avrebbe
anche tirato qualche insulto pesante. Non l'avrebbe certo trascinato
su una panchina per farlo rinvenire.
«Potremmo
tentare con un identikit» aveva proposto l'insopportabile, una volta
ripresosi. Sulla fronte spiccava un bel bernoccolo gonfio –
modestamente Naruto sapeva di possedere una testa particolarmente
dura. Non a caso sulla sua, di fronte, era rimasto solo un vago alone
arrossato.
Accomodato
al suo fianco con un cipiglio ancora offeso, il nostro eroe dal
cranio infrangibile osservò Sai che, metodico, sfogliava il suo
album – zeppo di schizzi a china e confuse composizioni di pastelli
– in cerca di un foglio pulito, la penna già in mano.
«Coraggio»
concluse, una volta posizionato il blocco sulle sue gambe
accavallate, la punta della biro pronta e il sorriso plastico
perfettamente ripristinato. «Prova a descrivermi Sasuke kun. Sarà
più facile che qualcuno lo riconosca, in questo modo».
«Oh,
ma è un'idea stramitica!» si ritrovò ad esclamare Naruto, una
volta realizzate le conseguenze del piano: con un ritratto, sarebbe
stato molto più semplice. Esaltato e gonfio di nuove speranze, già
si vedeva tappezzare l'università di volantini – per poi arrivare
ai cartoni del latte come il più bieco fan dei Blur.
La
faccenda si rivelò meno semplice del previsto: la prima versione di
Sasuke somigliava più ad un pokèmon – colpa dell'incapacità di
Naruto nel descrivere capelli come quelli -; la seconda era troppo
simile a Sai stesso e troppo sorridente – terribile, completamente
out of charachter – e solo con la terza erano infine giunti ad una
soddisfacente versione di Sasuke, ma dopo una montagna di cartocci ai
loro piedi, una biro caduta nell'impresa e terra bruciata di
qualsiasi passante che, dinanzi alla foga descrittiva di Naruto - con
annessi gesticolii tanto ampi e teatrali quanto scarsamente
esplicativi –, si era defilato in un brusio seriamente
indispettito.
Naruto
guardò il risultato della fatica quasi commosso, ed era così
somigliante che a Sai fu naturalmente perdonato il suo essere un
individuo tanto decentrato quanto indelicato.
«Adesso
non resta che trovare Orochimaru sama e sperare che ricordi la sua
faccia, Naruto kun».
Lui
annuì, senza distogliere le pupille da quelle si Sasuke, che lo
squadravano dal foglio.
«Io,
davvero-»
«Non
cercare di ringraziarmi, Naruto kun, è un dovere morale venire in
soccorso dei meno fortunati» lo interruppe Sai, compreso.
«Meno
fortunati?»
«Sì,
tutte le minoranze, siano esse in base etnica, religiosa o sessuale,
meritano l'impegno di ciascuno affinché possano godere di pari
diritti e possibilità di esprimere a pieno le loro potenzialità di
cittadini» spiegò, sempre col sorriso di qualcuno che stesse
ripetendo qualcosa con una certa convinzione ma senza averne compreso
a pieno i significati pratici. «Oltretutto, è ancora più naturale
porsi in aiuto dei disagiati, persone che per minorazioni fisiche o,
come nel tuo caso, mentali non siano in grado di-»
«Non
concludere la frase se non vuoi farti dare un pugno, prima stavi
andando quasi bene» gli ringhiò Naruto, aspro. Sai parve cogliere
l'antifona, perché tacque, senza però privare il mondo del suo
irritante sorriso. Il nostro eroe rimase a guardarlo per qualche
momento, stralunato – i matti tutti a lui, eh -, ma infine giunse
alla conclusione che, per quanto strano, Sai lo stava davvero
aiutando in maniera del tutto disinteressata e gli doveva
gratitudine.
«Allora,
beh» riprese, la mano a grattare la nuca. «Dove possiamo trovare
questo Orochimaru?»
Sai
annuì tutto da solo, prima di alzarsi in piedi con ammirevole
decisione.
«Potremmo
provare nel suo ufficio» spiegò, indicando poi un edificio di cui
si intravedeva a stento il tetto basso; un baraccone piuttosto brutto
e spigoloso, dall'aria imponente. Naruto corrugò le sopracciglia,
interrogativo, in attesa che l'altro riprendesse a spiegare.
«Quella
è la facoltà di ingegneria, Naruto kun» disse infatti lui, quando
Naruto si fu alzato in piedi a sua volta. «Orochimaru sama è una
personalità, sono sicuro che basterà domandare in giro.
Inoltre, potremmo farci dare i suoi orari di ricevimento o, in
alternativa, scoprire se sta tenendo qualche lezione in questo
momento o quale lezione abbia tenuto al mattino».
Naruto
studiò il tetto del casermone come avesse intenzione di scalarlo a
mani nude.
«D'accordo»
concluse, deciso. «Questo Orochimaru avrà pane per i suoi denti!»
Sai,
alle sue spalle, si limitò a sorridere beato.
La
facoltà di Ingegneria era l'enorme, perverso parto d'una mente
votata al complesso. Non si spiegava altrimenti la presenza di un
simile calvario di corridoi avviluppati come spire, ampi ma bassi,
opprimenti; le porte si susseguivano una uguale all'altra a distanze
cadenzate, in un ansiogeno deja vù di legno-muro-legno-muro per
metri e metri. Probabilmente là sotto qualcuno c'era morto, perduto
per sempre negli inesplorati meandri della struttura – e
probabilmente si trattava, se non dello stesso architetto, almeno del
geometra.
«Naruto
kun, credi che Sasuke kun ti stia aspettando nudo alla fine di questo
corridoio?»
La
suola consunta della scarpa di Naruto slittò sul pavimento
sdrucciolevole con uno stridore d'oca scannata e il nostro arancione,
frettoloso eroe andò magistralmente a schiantarsi faccia a terra in
scivolata.
«Sai!»
berciò, il fiato mozzo e le mani sul pavimento freddo. Dietro di
lui: una scia nera di gomma, il busto di un insegnante affacciatosi
dall'aula – probabilmente per assicurarsi che nessuno avesse
cominciato a sgozzare animali da cortile in corridoio - e Sai, ritto
come un fuso e sorridente ad intollerabili livelli di
insopportabilità.
«Scusa
Naruto kun, è che mi pareva l'unica motivazione atta a giustificare
la tua fretta di percorrere corridoi che non conosci minimamente».
Naruto,
senza forze, appoggiò la fronte contro il pavimento e si abbandonò
ad un sospiro affranto: davvero, non era sicuro che Sai lo stesse
aiutando. Tutti gli indizi dicevano che era così, ma quella voglia
irrefrenabile di sbattergli la faccia contro un letto per fachiri gli
suggeriva il contrario in modo sempre più veemente a partire da
quando gli aveva rivolto parola per la prima volta, e si trattava
solo d'una mezz'ora prima.
«Coraggio
Naruto kun, non è bene stare stesi nel mezzo di un corridoio» si
avvicinò Sai, e da quell'angolazione – l'angolazione del nostro
eroe, quella d'una rana spiaccicata al suolo dalle ruote di un tir,
sguardo vivace compreso – il suo sorrisetto del cazzo sembrava
quasi addolcito dalla gentilezza. Naruto sospirò e si lasciò
aiutare a riacquistare la posizione eretta, peccato che poi Sai
decise di trascinarlo arbitrariamente seduto lì accanto al muro,
sotto una bacheca di sughero ingombra di annunci e circolari.
«Si
può sapere perché sei così gentile, Sai?» gli domandò infine
Naruto, dopo che lui fu arrivato ad offrirgli dell'acqua,
dopo averne cacciata dalla sua borsa gonfia di libri. «È anche un
po' inquietante, a pensarci».
Lui
parve vagamente sorpreso – evidentemente non si ritrovava nella
definizione di “inquietante -, ma ci passò sopra con notevole
diplomazia.
«Trovo
affascinanti le relazioni sociali, Naruto kun» spiegò, con la
lentezza di chi fosse impegnato a ricercare le parole giuste. «Non
avevo mai analizzato da vicino le caratteristiche di un rapporto
omosessuale, la cosa mi incuriosisce. Anche dopo essermi documentato
riguardo le dinamiche anatomiche, le implicazioni psicologiche
all'interno di una coppia mi restano alquanto oscure, anche se sempre
più studi...»
«Tu
sei tutto scemo» sbottò Naruto ridacchiando, la nuca contro il
muro. «Insomma, è lo stesso no?» tentò: se quello che voleva era
una spiegazione in cambio del suo aiuto, beh, lui non ci perdeva
niente. «Si fanno le cose che fanno le persone che stanno insieme:
parlare, mangiare, far sesso, uscire... Poi tipo se ci si fa le
smancerie o cose del genere dipende dalle persone, come in tutte le
coppie, no?» si ingarbugliò un po', perché in effetti non è che
fosse particolarmente ferrato sull'argomento coppie, lui.
Sai
parve ponderare attentamente quella risposta raffazzonata, neanche
fosse tentato di prendere appunti.
«Smancerie.
Le smancerie sono variabili in relazione all'individualità,
d'accordo» memorizzò, compreso.
«Senti,
non è che devi prendere quello che dico come verità rivelate,
eh...»
«Non
preoccuparti, Naruto kun, so che sei stupido: mi occuperò più tardi
di verificare opportunamente quanto dici mediante la comparazione con
studi accreditati o-»
Strangolare
Sai sbraitando minacce di morte in un corridoio universitario si
sarebbe potuta rivelare una mossa alquanto azzardata ma,
fortunatamente, proprio in quel momento una porta si aprì riversando
in corridoio un folto gruppetto di studenti che coprì il chiasso con
chiacchiericcio e rumore di passi. Sai, le mani di Naruto ancora
saldamente ancorate al suo collo in una riuscita emulazione dei
metodi educativi di Homer Simpson, emise dei versi strozzati, gli
occhi puntati dietro la nuca del suo aggressore. Quello,
l'aggressore, si voltò senza curarsi di staccare le falangi dalla
sua trachea, lo sguardo interrogativo a passare in rassegna la
nutrita schiera di futuri ingegneri che sciamava via dall'aula.
«Quello
è Kabuto san, Naruto kun» soffiò la voce di Sai, affaticata sotto
la sua stretta ferrea.
Naruto
seguì l'indice puntato, perplesso, e si pentì quasi subito d'aver
messo di strangolare l'idiota, dato che quello non perse occasione di
fargli presente che: «quando il saggio indica la luna, lo stolto
guarda il dito».
«Che
cavolo sarebbe un Kabuto san?» domandò, incurante della tosse
asfittica dell'altro, impegnato com'era a stirare il collo per
sbirciare dentro l'aula: un giovanotto con gli occhiali tondi stava
pulendo la lavagna con un cancellino polveroso, solingo.
«Quello
è un Kabuto san» si riprese Sai, la voce solo un po' roca. «È
l'assistente di Orochimaru sama, sicuramente lui saprà dov'è».
Naruto
sgranò gli occhi, estasiato: Kabuto san! Sempre viva Kabuto san, e
viva Sai, soprattutto!
«Tu
come diavolo...»
«Ho
studiato l'organigramma di tutte le facoltà dell'ateneo, per
comprendere le dinamiche che...» ed estrasse un libriccino zeppo di
schemi e – ben più inquietante – fotografie con relative
didascalie di quello che doveva essere l'intero corpo docenti. Ma
a Naruto non ebbe il tempo di preoccuparsene: era già schizzato in
piedi come una raganella schizofrenica,
le energie di colpo ripristinate, neanche fosse stato sottoposto ad
un qualche genere di power up da video game. Sgomitò tra gli ultimi
studenti che si erano attardati davanti alla porta e si fiondò in
aula sbraitando «Kabuto saaaan!» come un indemoniato.
La prima
conseguenza del suo insano gesto fu quella di richiamare l'attenzione
del suddetto Kabuto san, e questo fu certamente positivo. Peccato
che, subito dopo, Naruto inciampò sulla borsa di questi, una
valigetta assai professionale parcheggiata in terra, tra cattedra e
lavagna: il risultato fu un discutibile tuffo carpiato del nostro
atletico eroe. In ogni caso, simile prodezza ginnica non avrebbe avuto
alcuna altra conseguenza di
uno sbilenco atterraggio qualche metro più in là, se non che,
proprio qualche metro più in là, c'era Kabuto: l'impatto si portò
via una sedia e il cancellino ebbe l'accortezza di cadere proprio in
testa a Sai, accorso sul posto con rapidità.
Il ragazzo seguì con distacco il rimbalzo dell'oggetto, che impattava
al suolo
con un tonfo fumoso di gesso, e non mutò espressione, perfettamente
composto. Scorse lo sguardo sulla schiena di Naruto, spalmato addosso
ad un Kabuto privo di sensi e notevolmente ammaccato e attese che lui
si voltasse di qualche grado, sconcertato dal suo stesso irruente
gesto.
«Non
credo ci fosse bisogno di placcarlo, Naruto kun» sentenziò, saputo.
E
se non fosse stato nel serio pericolo di ricevere già una denuncia
per aggressione, Naruto gli avrebbe volentieri rotto una sedia in
testa.
Naruto
Uzumaki non era una persona violenta, tutt'altro. Poteva essere un
tantinello
irruente, spesso non sapeva dosare la forza e se provocato era facile
a venire alle mani... D'accordo, Naruto Uzumaki era una persona
violenta, ma non cattiva, ecco. Se non provocato, era praticamente
impossibile che il suo cervello venisse attraversato da pensieri di
natura distruttiva – di solito era attraversato da placidi pensieri
mangerecci e altri impulsi cerebrali assolutamente innocui. In quel
momento però, quello stesso pacifico cervello era impostato sul
pericoloso comando “Sas'ke! Sas'ke! Sas'ke!”, che a quanto pare
aveva il terrificante potere di interrompere tutti i collegamenti
sinaptici adibiti al controllo delle pulsioni e risvegliare invece la
secrezione intensiva di sostanze quantomeno nocive: non si spiegava
altrimenti il motivo per cui, nonostante Kabuto fosse chiaramente se
non del tutto incosciente, almeno in stato confusionale, il nostro
normalmente
benevolo eroe l'avesse afferrato per il colletto gridando che aveva
assoluta, impellente necessità di incontrare Orochimaru, perché –
aveva aggiunto nella foga – doveva decidere se spaccare la faccia a
Sasuke, magari strangolarlo con un filo del telefono – sembrava un
contrappasso azzeccato – o sbatterlo su un letto e farci l'amore
per i due mesi seguenti mentre guardavano film stupidi e intingevano
pomodori nel brodo del ramen.
Comprensibilmente,
questo elenco di propositi deliranti berciati da un ventiquattrenne
fanciullo non esattamente esile a cavalcioni sul corpo esanime d'un
poveraccio atterrato da lui stesso, aveva attratto un bel po' di
studenti e persino qualche docente delle aule accanto.
Il
risultato era stata un'attesa fuori da un'infermeria e la seria
minaccia di una denuncia, sedata momentaneamente solo grazie a Sai,
che testimoniò a favore di Naruto e contro la borsa che l'aveva
fatto inciampare – per la parte delle urla belluine, aveva scrollato le
spalle e manifestato l'intenzione di appellarsi all'insanità mentale in
sede di giudizio.
Quando
finalmente la concitazione si era ridotta, Naruto aveva già avuto il
tempo di chiedere scusa ventidue volte ad un Kabuto supino, prima
incosciente, poi seriamente dolorante, infine chiaramente incazzato.
«Le
ho già chiesto scusa molte volte» ribadì il nostro mortificato
eroe un quarto d'ora dopo, tenace. Nonostante le ottime credenziali
– occhi blu e la faccia d'un ragazzone che, invece di ucciderle, le
mosche le accompagna fuori dalla porta -, ciò che Naruto ottenne da
Kabuto furono solo occhiatacce e improperi, non tanto per le chiappe e
la nuca e la schiena lese, quanto per via degli occhiali: si erano
tragicamente sfracellati nella caduta. Il fatto che Sai avesse
aggiunto, in un sorriso: «fortunatamente a sfracellarsi non è stata
la sua testa», non aveva aiutato la disposizione d'animo
dell'assistente.
«Per
favore, voglio solo sapere dov'è Orochimaru! Poi prometto che se vi
va mi faccio arrestare!» proseguì però Naruto, inarrestabile ai
limiti della stoltezza, e che l'affermazione fosse stupidamente
illogica non aveva importanza; Sai del resto era troppo impegnato a
prendere appunti – sotto il titolo di “gesti eclatanti compiuti
per rinsaldare legami perduti”, qualunque cosa volesse dire nel suo
cervello bruciato – per preoccuparsi di far uscire il suo degno
compare d'avventure dalla modalità stalking compulsivo.
In
un ultimo afflato di speranza e senza curarsi del fatto che la mano
di Kabuto fosse ormai scivolata vicino ad un bisturi con chiari
intenti omicidi, Naruto riuscì anche a cacciare fuori il ritratto di
Sasuke e spalmarglielo praticamente sul naso: peccato che, con le
loro sette diottrie in meno, le pupille di Kabuto fossero totalmente
inette. In compenso, essere nuovamente molestato dal biondo
aggressore causò nel giovane ingegnere la definitiva crisi isterica
che si concluse con Sai che tirava via Naruto dalla traiettoria di un
bisturi, un'infermiera urlante e l'assoluta opposizione di Kabuto a
rivelare qualunque informazione su Orochimaru, fosse anche
semplicemente il suo numero di scarpe, perché non avrebbe mai messo
il suo maestro nelle mani di due schizzati chiaramente usciti da un
ospedale psichiatrico con chissà quali terribili intenti – magari
vivisezionare Orochimaru e mettere il suo geniale cervello in
formaldeide, per i posteri.
Infine,
sotto la minaccia di avvisare il vicino comando di polizia se in futuro si fossero azzardati a rimettere piede in facoltà, i nostri eroi si erano
decisi a levare le tende.
Naruto
aveva ubbidito a malincuore, con Sai a trascinarlo via per le spalle,
il sorriso cortesissimo da gelare il sangue usato come deterrente per
chiunque volesse avvicinarsi; infine si era rassegnato a farsi
condurre fuori dall'edificio, sotto il sole di mezzogiorno.
«Sono
molto dispiaciuto per la tua perdita, Naruto kun» tentò di
consolarlo da voce di Sai dopo un po', quando ormai si erano lasciati
alle spalle quella trappola architettonica della facoltà di
Ingegneria, che comunque incombeva imponente come una Morte Nera con
la sua ombra netta.
Naruto
storse il naso, distogliendo lo sguardo per portarlo sulla strada,
verso gli altri edifici – la facoltà di medicina salutava alta e
chiara contro il cielo fin troppo terso per il suo umore cupo.
«Mica
è morto, Sasuke» borbottò imbronciato, le mani nelle tasche e i
piedi a strusciare in terra mogi.
«Oh,
non ha importanza. Se non lo vedrai mai più è come se fosse morto,
no?»
«Davvero
Sai, secondo me hai scelto la facoltà sbagliata: non sei proprio
portato».
«Perché
dici così?»
Alla
fine, Sai insistette per offrirgli il pranzo e lasciargli persino il
numero di telefono, intontendolo di ciarle su come fosse produttivo
cercare di costruire una rete di rapporti sociali da mantenere viva
mediante momenti d'aggregazione – il pranzo, appunto – e
l'utilizzo della tecnologia delle comunicazioni, strumento che aveva
modificato il mondo della sociologia in modi che Naruto preferì
ascoltare solo distrattamente, molto preso dal masticare il suo
panino – solenne nostalgia quando i suoi denti incontrarono un
cetriolino.
Tornò
a casa senza fermarsi a cercare Sakura – ne aveva abbastanza di
infruttuose ricerche in edifici astrusi – e una volta lì, non si
sentì minimamente in vena di pulizie. Degnò i cartoni vuoti della
pizza di un'occhiata afflitta e tirò dritto in camera; ai due tonfi
mollicci delle scarpe lanciate alla rinfusa, seguì il cigolio delle
molle vecchie sotto il suo peso stanco e, con la faccia affondata nel
materasso, il nostro mogio eroe si sentì di nuovo la teenager più
stupida dell'universo tutto.
Oggettivamente,
non ne era uscito bene. Non gli era mai capitato di prendersela
tanto: insomma, aveva incontrato un tizio, ci aveva fatto del sesso
notevole e poi quello se n'era andato, tutto qui: mica da costruirci
chissà quale film.
E
però Naruto Uzumaki, ventiquattrenne, biondo, arancione,
omosessuale mollato random da uno stronzo random, nuovo fattorino a
tempo indeterminato dell'Ichiraku Ramen, non riusciva a
ripigliarsi. Non aveva buttato il ritratto di Sasuke, tanto per dirne
una: non l'aveva incorniciato e, anzi, in un impeto di rabbia l'aveva
anche accartocciato, ma ecco, era comunque rimasto lì, lanciato a
rimbalzare secco contro il muro e stanziatosi in un angolo,
silenzioso e triste.
Persino l'entusiasmo per la prima sera di lavoro non era riuscito a
tirarlo del tutto su,
neanche quando gli amici gli avevano fatto una sorpresa facendosi
recapitare l'ordine più abbondante direttamente a casa di Kiba –
aveva preferito non far loro sapere che aver dovuto consegnare sei
porzioni di ramen bollente dall'altra parte della città gli sarebbe
costato più in benzina che altro, ma erano così entusiasti e
amavano tanto la sua maglietta giallo evidenziatore col logo del
locale, che Naruto non
aveva avuto cuore di farglielo sapere.
Di
ritorno a casa, sul tardi, fare quei sette, consueti piani di scale
gli era parso lunghissimo e infinitamente noioso e, come se non
bastasse, era riuscito anche ad incontrare la vecchia Chiyo che,
annunciata dallo strusciare minaccioso delle solite ciabatte – ma
che diavolo ci faceva in giro a mezzanotte passata, poi? - gli aveva
brontolato «questa sera il vicinato potrà dormire o hai nuovamente
intenzione di darti alla sodomia fino a notte fonda? Ai miei
tempi...»
E
lì, Naruto, contrariamente alle proprie abitudini - in fondo la
vecchina era pedante e un po' rompicoglioni, ma non particolarmente
dannosa, inoltre aveva una certa ragione dalla sua riguardo gli
schiamazzi e lui cercava d'essere comunque sempre cordiale – era
stato sul punto di risponderle seriamente piccato. Solo che lei
l'aveva preceduto: squadratolo da capo a piedi, aveva sbuffato con
aria saggia e «Ti ha mollato, eh? Il mondo è pieno di idioti,
ragazzo, presto ne troverai un altro» aveva sentenziato, lasciandolo
così di stucco che, quando poi si era ritirata oltre il battente
della porta – senza però smettere di borbottare riguardo quanto i
giovani fossero chiaramente lenti di comprendonio, oltre che dei
patetici pivelli che non sapevano niente della vita – Naruto era
ancora immobile sul pianerottolo, le chiavi in mano e la bocca a fare
da rifugio per i moscerini.
Seriamente,
si era poi detto con decisione, dopo essersi chiuso la porta alle
spalle: non esisteva di stare così giù da doversi far consolare
dalla vecchia Chiyo. Si stava veramente scadendo nel patetico, e
tutto per un Sasuke. Un solo misero, stupido, maledetto stronzo di un
Sasuke qualunque.
Ne
trovava a frotte, di stronzi! La mamma degli stronzi è sempre
incinta, non a caso. Aveva ragione la vecchia: se proprio voleva uno
stronzo, se ne sarebbe cercato un altro, tutto qui. Mica da perderci
il buon umore.
«Io
sono Naruto Uzumaki, e scalerò l'Everest! Fanculo ai Sasuke!»
Lo
specchio del bagno gli rimandò il riflesso spettinato di un
fattorino di ramen istantaneo che era stato mollato poco più di
dodici ore prima. Non esattamente un'immagine idillica da pubblicità
dei cereali per la prima colazione.
Ciabattò
scocciato in cucina, dove ancora giaceva la sua sporcizia – colture
batteriche prosperavano tra televisione e divano. Lo stesso su cui si
buttò a peso morto, riuscendo anche a spostarlo di qualche
centimetro in un fracasso che, al solito, attivò il cane al piano di
sotto. Quell'animale necessitava seriamente di un tranquillante per
rinoceronti o di una lunga, lunga vacanza.
Infine
il nostro mogio eroe si rassegnò a se stesso: sapeva d'essere
stupido, così come sapeva che a prendere a cuore una cosa
simile avrebbe finito solo per farsi male, ma niente. O seguiva la
sua indole o doveva mettersi a litigare anche coi suoi organi
interni, oltre che con tutto il condominio, e lui non era portato per
i dissidi interiori da poeta maledetto, quella roba cervellotica da
persone profonde era meglio lasciarla a ragazze come Sakura. Lui era
uno stupido: glielo ripetevano dalla più tenera età, faceva parte
di lui e se essere stupidi significava seguire fino in fondo la via
che in quel momento gli pareva giusta allora va bene, probabilmente
lo era. Il più grande stupido del mondo. Il più grande stupido del
mondo che teneva tra le mani un ritratto scartocciato, rugoso e
sbaffato, uno stupido con il cervello saturo alla disperata ricerca di
un piano d'azione che
gli consentisse di frugare l'elenco degli iscritti alla facoltà di
ingegnomedicologia – quella roba lì.
Stava
quasi per chiamare Sai – non si sa se per masochismo o che altro -,
convinto comunque che lo psicopatico l'avrebbe aiutato anche se gli
avesse proposto qualcosa di illegale, tutto in nome dei suoi
complicati studi sociologici, ma quando già aveva scorso la rubrica
fino alla C di Coglione – appena sotto Cagnaccio, che corrispondeva
al cellulare di Kiba – si bloccò col pollice sul tasto verde,
preda d'un improvviso sgomento.
Poteva
essere una panzana, realizzò, come una scossa elettrica. Qualcosa di
molliccio si coagulò sul fondo del suo stomaco, a pesare di rabbia e
frustrazione contro la sua schiena, incassata nel divano cedevole.
Poteva
essere una palla, che ne sapeva? Magari Sasuke neanche si chiamava
Sasuke, magari era uno spostato sessuomane che si divertiva a
cambiare amante ogni sera e raccontava ad ognuno una storia diversa –
quell'Orochibutomaru era una personalità ben nota, no? Gliel'aveva
detto anche Sakura: lo Stronzo doveva essersi inventato una palla
pseudocredibile così, per farlo fesso. Effettivamente aveva pensato
che la facoltà di Ingegnerobiomedicamentosità fosse una roba
troppo assurda per esistere... Ah, no, okay, quella esisteva. Ma
restava comunque troppo assurda e...
«Che
palle!» rantolò, sprofondando ancora di più nell'imbottitura. Il
cellulare scivolò dalla sua mano e si sfracellò a terra, con
estremo disappunto del cagnetto idrofobo residente al sesto piano.
Un
mese dopo l'incresciosa avventura, il nostro eroe da Naruto Uzumaki,
ventiquattrenne biondo, arancione, omosessuale alla ricerca
dell'anima gemella, allegro e disoccupato, si era stanziato
morbidamente nella definizione di Naruto Uzumaki ventiquattrenne
biondo, arancione, omosessuale un po' sfiduciato nell'amore,
nonostante tutto allegro e ormai collaudato fattorino a tempo
indeterminato dell'Ichiraku ramen. Non era per nulla una brutta
vita, faceva duemila cose come al solito, sempre rumoreggiando molto,
e lo scorso fine settimana era anche riuscito a convincere il buon
vecchio Jiraiya, il suo pimpante padrino cinquantenne, a svagarsi con
lui in montagna. Nella fattispecie “svagarsi” nel vocabolario
narutesco significava “salire a picco su metri e metri di
parete verticale”, ma l'uomo, avvezzo al rischioso hobby del
figlioccio, l'aveva presa con filosofia.
Stare
con Jiraiya aveva quasi definitivamente rinfrancato l'arancioso
spirito del nostro eroe, che era quindi ritornato in città più vitale e attivo - come il bifidus, sì -, pronto a rituffarsi negli intrighi da telenovela
tessuti attorno a Ino dall'abile mente votata al romanticismo che
risiedeva nella scatola cranica di Sakura Haruno. I nuovi sviluppi
della vicenda comprendevano la comparsa di Sai, che aveva preso a
frequentare la congrega per via dei suoi studi sociologici – così
diceva lui. I risultati di questo nuovo sodalizio erano stati: farsi
odiare
enormemente da Sakura, venire giornalmente alle mani con Naruto e
finire tra le grinfie amorevoli di Ino, che gli
ronzava attorno apparentemente indecisa lei stessa su come muoversi
con un tipo tanto assurdo.
Quel dì Sakura aveva appena finito di esporre nuovamente il problema –
il
problema si chiamava quel pigro cialtrone di Shikamaru finirà per
farsela sfuggire! -, per poi perdersi a parlare del futuro con voce
mogia. Naruto ascoltò paziente e anche vagamente divertito tutta la
consueta trafila di propositi futuri: la sua migliore amica aveva un
piano dettagliato che
comprendeva lei e l'eterno amore – era fiduciosa che prima o poi
le sarebbe piovuto in testa - e una brillante carriera di cardiologa,
Naruto possibilmente accasato con un
brav'uomo di sani principi morali, Ino felicemente sposata con
Shikamaru, Chouji ammogliato con una ragazza bravissima, buonissima,
purissima e levissima e quindi probabilmente inesistente – non era
Chouji ad essere esigente, erano gli amici ad esigere che fosse
ripagato della sua santità con altrettanta santità - e Kiba e
Hinata circondati da un branco di cuccioli, sia umani che canidi, a
completare il quadro. E quindi ecco, spiegò seccata e diretta nella
cornetta del cellulare –
facile immaginarla mentre tamburellava col dorso della penna sulla
copertina di un manuale -, Sai stava scombussolando il suo schema –
eh, che ansia!
Prima
di sentirla esplodere come un coreografico fuoco d'artificio rosa,
Naruto si affrettò a tranquillizzarla: secondo lui l'unica donna che
Sai avesse mai conosciuto intimamente doveva essere sua mamma il
momento della nascita, per il resto del tempo probabilmente era
vissuto in una boccia di pesci rossi o in una capsula criogenica - e
questo spiegava anche il suo colorito praticamente cianotico.
«Basta
solo aspettare che Shikamaru si dia una mossa» concluse Naruto,
mentre cercava di rimettere in moto il catorcio che gli si era appena
spento su una salita appena più ripida; «Shikamaru si dà sempre
una mossa prima o poi. Abbi fede». Ed era vero, eh: Ino per ora
sembrava troppo persa tra gli studi e una comprensibile voglia di
divertirsi per accorgersi che l'uomo della sua vita stava dietro di
lei come una saggia, intelligentissima ombra paziente da quando i due
erano ancora in grembo a due madri in travaglio nella stessa corsia
d'ospedale, ma Shikamaru era un paziente stratega, e prima o poi le
cose si sarebbero assestate da sole.
Ecco:
ciarlare con Sakura aveva sempre la sua bellezza, peccato che dover
contemporaneamente evitare un incidente stradale, salvare tre
porzioni di ramen bollente dal suicidio sull'asfalto e risparmiarsi
possibilmente una multa succhiastipendio – anche perché non è che
il suo stipendio fosse questo gran capitale – rendesse l'attività
meno distensiva del consueto.
«Adesso
devo proprio andare, eh» salutò nella cornetta ammaccata,
lanciandole un in bocca al lupo per l'esame mentre imboccava una
curva a gomito. Parcheggiò in derapata – in realtà semplicemente
sbandò, urlando come una donnicciola quando per poco non si schiantò
contro un idrante – e Sakura a quel punto dovette ritenere che era
giunto il momento di attaccare, piuttosto che quello di mettersi a
rantolare di disperazione per l'esame imminente. Salutò
raccomandandosi di guidare piano e Naruto non le rispose male solo
perché stava cercando di sopravvivere e perché, beh, era Sakura.
Fosse stato Kiba avrebbe rimesso in moto il trabiccolo e sarebbe
andato direttamente a casa sua a fargli ingoiare l'olio del motore
per mezzo d'un imbuto.
Comunque,
alla fine il nostro eroe arancione raggiunse illeso il marciapiede, il
ramen ben impacchettato nella destra e sotto il naso il
foglietto dell'ordinazione, da recapitare a tale Hozuki Suigetsu al
civico ventitré.
Sul
citofono c'erano un bel po' di nomi, ma nessun Hozuki, così Naruto
si rassegnò a schiacciare l'unico pulsante privo di targhetta
leggibile, molto seccato con i soliti clienti approssimativi che
tendevano a fargli perdere inutilmente tempo. La sua stizza salì
notevolmente quando la risposta, solo dopo la terza scampanellata,
arrivò piuttosto seccata da una voce rude e piana. Il nostro
normalmente cordialissimo eroe fu degnato solo di un monosillabico
«sì» senza inflessione interrogativa e ci volle tutta la sua buona
volontà per non rispondere in maniera scortese. Dopotutto, il
cliente ha sempre ragione e perdere il lavoro per così poco era
fuori discussione, così il fattorino ingoiò un grumo di irritazione e
rispose:
«il ramen che hai ordinato», arrogandosi come risarcimento solo il
diritto di un informale tu.
Fu
ripagato da una sorta di sibilo scocciato e dai toni soavi di una
voce femminile che gridava – probabilmente da un'altra stanza –
una cosa sullo stampo del «lurida pozza, se è per te va' a
rispondere tu, non mandarci gli altri!» col tono d'una educatrice
per l'infanzia particolarmente piccata: al successivo rumore secco
che gli fece strizzare gli occhi, Naruto comprese che “gli altri”
- alias il mister simpatia addetto al citofono – gli aveva appena
sbattuto la cornetta in faccia. Stava per riscampanellare - il
dito già contro i pulsante, deciso ad attaccar briga e salire anche
solo
per rovesciare quel ramen in testa a Suigetsu Hozuki, chiunque egli
fosse -, quando l'apparecchio gracchiò di nuovo, quasi con timidezza.
«Siamo
al terzo piano, la prego di scusarci».
Il
nostro eroe, che era una persona di buon cuore – un cuore arancione
amante di tutte le creature – si addolcì di colpo: quel vocione
pacato, appena distorto dal citofono, raccontava una storia di pazienza
infinita – facile
crederlo, considerate le voci degli altri inquilini. Così,
ristabilita un poco di fiducia nella cortesia del genere umano,
Naruto si avviò oltre il poltrone, in un tramestio di ciotole e
scatolame.
Il
palazzo era vecchio e piuttosto inquietante, nella penombra di una
luce fioca. Le scale si inerpicavano ripide e strette, tutte tese
verso l'alto - cosa piuttosto sensata per una scala, ma in quel caso
pareva che per salire i gradini servisse un serio studio sul piano
inclinato e Naruto di piani inclinati non ne aveva mai voluto sapere
niente. Fortunatamente c'era l'ascensore o come minimo sarebbe
stato necessario tornare a casa a prendere l'attrezzatura per
arrampicare.
«Oh,
non bloccarti, per piacere» lo supplicò Naruto, quando a metà del
secondo piano le luci ebbero un fremito, ad accompagnare un sinistro
grattare di lamiere.
Non
appena le porte si aprirono, trasse un sospiro asmatico da fanciulla
in difficoltà, compensando poi con più virile scatto da maratoneta nel
momento stesso in cui poté fiondarsi fuori, del tutto incurante del
brodo sballottato – e in discesa avrebbe preso le infide scale,
altroché.
«Visto?
Sei salvo!» ragliò rivoltò alla confezione di ramen da asporto,
dentro cui stavano le ciotole impilate ordinatamente da Teuchi in
persona.
«Ma
che fai, parli da solo col ramen? Bell'animale strano che sei».
Le
sopracciglia di Naruto si aggrottarono del tutto spontaneamente
quando il suo collo ancora non s'era voltato; lo fece un attimo dopo,
portandosi dietro l'opportuna espressione un po' perplessa un po'
incazzosa, che però si sciolse all'istante non appena gli occhi
incontrarono la figura incorniciata dalla porta aperta. Lì sotto, un
po' in ombra per via della luce proveniente dall'interno della casa,
alle sue spalle, stava Suigetsu Hozuki. Suigetsu Hozuki che era un
tizio assurdo coi capelli azzurri, col sorriso da squalo e lo sguardo
da pazzo; un tizio assurdo che Naruto aveva già visto.
«Saaasuke,
tu mangi?» si intromise la voce acuta della ragazza, portandosi
dietro la ragazza stessa, occhiali dalla montatura spessa e capelli
rossi compresi nel pacchetto. Si affacciò quasi buttando a terra il
coinquilino, l'amico, il tizio, chiunque fosse per lei Suigetsu
Hozuki, sempre che quello fosse Suigetsu Hozuki. E lo era, perché
poi spuntò anche la testa altissima di un tizio altissimo - lo
stesso tizio altissimo che- sì, insomma, quello. Quello del succo di
frutta – e fu appellato con un lagnoso «Juugo, ce l'hai da
cambiare?» da Suigetsu Hozuki in persona. E il nostro perspicace
eroe spalancò la bocca, illuminandosi dall'interno ancor prima che
quello, Juugo, rispondesse in modo alquanto incoerente con «Sasuke
ha detto di dirvi “morite”. Credo significhi che non cenerà con noi».
Al
che, al diavolo Suigetsu Hozuki che cercava di mettergli una
banconota in mano e di ritirare il suo sacrosanto ramen, quello era
tutto ciò che Naruto aveva bisogno di sentire per far scattare il
suo personalissimo blitz.
Fare
irruzione in un appartamento privato è illegale. Fare irruzione in
un appartamento privato urlando «bastardooooo!» e buttando
all'aria Suigetsu Hozuki con una spinta è criminale, specie se poi,
non contento, utilizzi uno scatolone pieno di ramen bollente a mo' di
ariete per sfondare la difesa di Juugo e catapultarti in un corridoio
non tuo di una casa non tua mentre una Karin strepita che «Devi solo
provare ad avvicinarti, sono cintura nera di karate!» –
affermazione poco credibile urlata brandendo un portaombrelli a mo'
di clava.
Il
nostro eroe non era un criminale, ma pareva che, da quando Sasuke gli
era capitato tra i piedi, fosse stato propenso a darsi al terrorismo
e alle aggressioni con una facilità che sarebbe risultata come
minimo preoccupante se analizzata da Sai, per esempio, e che invece
era scivolata felice nello scomparto “cose che vanno fatte perché
il tuo corpo lo decide da solo” - un ampio loft nel cervello,
proprio accanto allo sgabuzzino in cui era rimasto intrappolato il
buonsenso, un dì che il nostro eroe non sapeva ancora parlare e già
si produceva in immani cazzate: quella che si dice la predisposizione
genetica.
In
ogni caso, anche quando Karin aveva già tirato fuori il cellulare
per contattare la polizia, i carabinieri e l'esercito – come stava
sbraitando alquanto infervorata – Naruto non si era fermato:
seguendo il suo istinto animale, o forse solo perché non è che il
posto fosse così grande, aveva sfondato una porta con un calcio
diretto dato con tutta la sua forza, proprio come nei telefilm con
l'FBI che butta giù usci randomici senza neanche mezzo mandato di
perquisizione o simili. Ovviamente, si trattava di una di quelle cose
che, appunto, succedono solo nei film: l'unico motivo per cui la
porta effettivamente cedette contro il piede di Naruto, sbilanciando
lui direttamente dentro la stanza, fu che l'occupante avesse scelto
quel momento esatto per aprirla, tra l'altro ringhiando «volete
stare zitti?» col tono d'uno che fosse stato interrotto mentre era
ad un passo dallo scoprire il vaccino contro il cancro.
Sasuke
non aveva scoperto un bel niente, a dirla tutta: aveva solo aperto la
porta ed era rimasto lì, con una faccia da vampiro appena emerso da
una cripta, ed effettivamente quella stanza ombrosa, lunga e stretta,
somigliava un po' ad una bara. Sasuke invece, agli occhi di Naruto,
somigliava a qualcuno che a breve ne avrebbe avuto bisogno, di una
bara. E di un catafalco e di un officiante al rito funebre o, nel
migliore dei casi – suo buon cuore permettendo –, almeno di un
bravo ortopedico. Il pensiero omicida fu fugace, comunque, perché il
nostro eroe era troppo preso dalla catartica sensazione delle sue
nocche che impattavano contro la faccia di Sasuke, tutte le energie
concentrate nel pugno e nelle corde vocali che gridavano «tuuuu!»,
in un'ammonizione ancestrale di rivalsa per tutti gli amanti
abbandonati di tutto l'universo di tutti i tempi, o qualcosa di epico
su questa linea.
Naruto
ricominciò a respirare solo una volta constatato di non aver
effettivamente ucciso Sasuke: gli era semplicemente caduto sopra per
accompagnare lo slancio del pugno nel tentativo di fargli il più
male possibile e adesso quello, lo stronzo contuso, se ne stava sotto
il suo peso a guardarlo stralunato e – ma presumibilmente su questa
considerazione influiva il giudizio dell'amante abbandonato –
irrimediabilmente facciadicazzomunito.
La
situazione statica durò ben tre lunghi, silenziosi secondi – fatta
salva Karin che litigava con il centotredici perché, sosteneva lei,
«stanno ammazzando il mio coinquilino e voi mi lasciate minuti
interi ad ascoltare Rihanna?! Cos'è, oltre al danno la beffa?» –,
finché Naruto non fu ripagato d'un cazzotto altrettanto
significativo: il colpo lo ribaltò sul pavimento come un'omelette,
cosa che parve tranquillizzare l'ombra imponente di Juugo, giunto in
silenzio a fare le veci del tutore dell'ordine.
Naruto,
stordito, era comunque troppo preso da Sasuke – Sasuke, Sasuke!
Dattebayo! - per preoccuparsi di cosa un omaccione uno e
novanta avrebbe potuto fargli se avesse insistito nel tentare di
ammazzare a pugni il suo coinquilino; incurante delle conseguenze –
la più probabile delle quali contemplava la sua ospedalizzazione con
lo stampo delle nocche di Juugo impresse sul suo naso a memoria
imperitura dell'inviolabilità dell'altrui domicilio -, aprì la
bocca fumando dalle orecchie, la cartuccia di insulti già pronta
sulla punta della lingua e l'indice puntato. Sasuke però fu svelto
e, piuttosto che perdersi in chiacchiere, trovò più produttivo
assestargli un altro cazzotto e spedirlo dritto contro una pila di
libri. Mezzo skyline della scrivania ingombra crollò insieme a
Naruto sul pavimento e, solo quando la granitica zucca del nostro
eroe andò a collidere con lo spigolo di una tesi di laurea rilegata,
Sasuke parve ritenersi relativamente propenso ad evitare di
infliggere altro dolore al giovane Uzumaki.
«Ganzo,
una rissa! Io scommetto su Sasuke, senza offesa» commentò la testa
di Suigetsu, che sporgeva curiosa dal corridoio, incurante della
tensione palpabile.
«Fuori»
sillabò solo Sasuke, secernendo veleno a fiumi, senza neppure
voltare il capo.
La
mano di Juugo, silenziosa e discreta, spuntò fuori dal nulla e
chiuse piano la porta, ancor prima che Karin avesse il tempo
d'affacciarsi curiosa; Naruto ne seguì il guizzo di capelli rossi
con la vista appannata, sconvolto, finché Sasuke non riprese parola,
pronto a frustare l'aria ad ogni sillaba, le palpebre strette e le
braccia conserte.
«Che
diavolo ci fai qua».
Naruto
si guardò attorno per un momento, stralunato, il sedere sul
pavimento freddo e un crollo di grattacieli librari che, integerrimi,
continuavano a franargli accanto. Fece quasi per cercare di
raccogliere il disordinato disastro; realizzò l'assurdità del gesto
che già aveva messo mano ad un librone di analisi matematica. Lo
guardò fissò per un momento, prima di lasciarselo cadere dietro,
alla rinfusa.
«Tu-
io. Tu!» in un colpo si ricordò che doveva essere lui a picchiare
Sasuke, non il contrario, e il pensiero gli diede abbastanza energie
da permettere alle sue gambe di riportarlo in piedi. «Tu sei
sparito!»
Sasuke
guardò l'indice puntato contro la sua fronte come fosse pronto a
staccarlo con un morso.
«Come
sarebbe “sei sparito”, razza di imbecille patentato» sfrigolò,
rovente. «Io non sono sparito, tu sei sparito».
Lì
per lì, col cervello inceppato, il nostro eroe tentò di valutare
quelle parole con razionalità, sebbene il vociare di Suigetsu e
Karin che, dietro la porta, bofonchiavano «cantagliele, Sasuke!»
senza evidentemente aver capito un fico secco ma divertendosi un
mondo, non lo aiutasse nell'ingrato compito. Alla fine optò per
schiudere la bocca e rantolare un verso interrogativo di molto simile
al cigolio di cardini mal oliati che, comunque, parve sortire
l'effetto sperato: Sasuke, da che teneva le palpebre assottigliate in
assoluto spregio e ira, contrasse le sopracciglia, per rivolgergli
una lunga occhiata indagatrice.
«Tu
non sei analfabeta, vero?» domandò sospettoso, e pareva talmente
serio che nello stomaco di Naruto si risvegliò nuovamente un istinto
omicida – non esattamente sopito – dalle fattezze di demoniache
zanne in un ribollire rosso di rabbia decisamente mal trattenuta. In
procinto di ruggire fuori serie minacce alla salute dell'altro, il
nostro furibondo eroe avanzò di due passi e fece per acchiappare
Sasuke per le spalle e quantomeno strapazzarlo – magari scuotendolo
si scopriva definitivamente che nella sua testa non c'era
nient'altro che tanta stronzaggine raccolta in una densa sfera nera:
se ne sarebbe sentito il suono di rimbalzo sulle pareti del cranio.
Gliele
aveva già acchiappate, le spalle, la faccia a due millimetri dal suo
naso indisponente, quando di colpo, arrivò l'epifania.
«Perché
pensi che sia analfabeta?» boccheggiò, e Sasuke ebbe persino
l'ardire di storcere il naso per via del suo alito. Si astenne almeno
dal prodursi in qualche poco pertinente lamentela ed emise un basso
grugnito seccato.
«Non
l'hai letto» concluse, chiudendo gli occhi per un breve momento –
parve ad un passo dallo spalmarsi una mano in fronte e ruggire di
noia. «Ti ho lasciato un biglietto, mentecatto. Dovevo lasciare il
gas aperto e ucciderti, piuttosto. Avrei fatto un favore al mondo».
Ma
Naruto non lo sentì, registrare la minaccia di morte era
assolutamente superfluo. Un biglietto. Un biglietto. Un.
Biglietto. Un biglietto come le persone normali!
«E
dove cavolo sarebbe questo biglietto?!» sbottò poi, sballottando
Sasuke come un sacco di patate, tanto da meritarsi un pestone. Si
disinteressò anche a quello – che probabilmente si sarebbe
rivelata essere una frattura composta dell'alluce - e fece quasi per
mettersi a frugare in quella stanza in cerca del biglietto in
questione; fortunatamente si astenne, così da consentire a Sasuke di
assestargli un pizzico per indurlo a staccarsi, brontolare qualche
altro insulto a suo carico – tutti riguardanti
le dimensioni microscopiche del suo cervello - e spiegargli,
adottando il tono seccatissimo da impiegato delle poste a due minuti
dalla fine del suo turno, che non ne aveva la più pallida idea, che
se la sua casa era un maledetto porcile la cosa non lo riguardava
minimamente e che comunque anche se lo avesse trovato, quel dannato
biglietto, sarebbe stato troppo
stupido per riuscire a leggere la sua grafia, quindi tanto meglio
così. Peccato che al nostro impavido eroe non fregasse nulla di
nulla di quel blaterio rissoso da gatto arrabbiato, preso com'era a
vagliare le alternative: biglietto? Che biglietto? Dove stava quel
biglietto, perché non aveva visto il biglietto?
«Sasuke,
porca miseria, dove l'avevi scritto?!» sbraitò, tornando a
sbatterlo come un tappeto – e stavolta partì il gancio sotto il
mento: la lingua del nostro eroe ne uscì male. Qualcuno dietro la
porta sobbalzò tanto da dare una botta al battente e gridò «che vi
dicevo? ho vinto!»: era la voce di Suigetsu.
«Su
uno di quei tuoi merdosi volantini gialli, dannato fattorino del
cazzo!» replicò Sasuke, le staffe ormai perse a passeggiare nello
spazio aperto assieme alla pazienza e al controllo di sé.
Su
uno di quegli merdosi volantini gialli, tipo il volantino giallo che
si era ritrovato addosso al mattino, quello che aveva lasciato cadere
nella foga di ritrovare il Sasuke perduto, quello che aveva spinto
col piede sotto il divano; lo stesso divano sotto il quale lui non
puliva mai perché tanto nessuno lo avrebbe spostato e allora che
importava?
Naruto
si sventolò la lingua dolorante, senza fiato.
«E...
Eh 'he 'ehra 'hitto?»
«Cosa
ha detto?» domandò la voce di Karin, turbata. Sasuke la ignorò.
«Che
vuoi che ci fosse scritto, decerebrato? Dovevo andare
all'università».
«All'università,
a bioingegnoseria medicale da Orochibuto!» si rispose da solo il
nostro eroe, sorvolando eroicamente – non per nulla era, appunto,
un eroe – sulle papille perdute e sul dolore; e al diavolo l'aver
mescolato due o tre cose insieme. Sasuke annuì in uno sbuffo, prima
di specificare con saccenza: «Orochimaru, il relatore della mia
tesi. Mi dovevo laureare, imbecille, ero in ritardo. Ti avevo scritto
il numero».
E
al diavolo anche gli insulti: Naruto era leggero come un sufflè,
mentre ancora sbatacchiava Sasuke come un salvadanaio, incurante del
fatto che lui stesse cercando di divincolarsi a pugni – non che il
nostro
ormai esaltato protagonista se ne fosse accorto, impegnato com'era a
latrare: «questa cosa non ha senso! Il giorno prima della tua laurea
stavi in giro a fare sesso?!» praticamente sulla sua faccia. Neanche
i sibili oltraggiati di Sasuke riuscirono a smorzare l'entusiasmo:
non era stato mollato! Sasuke era chiaramente un sessuomane, ma non
l'aveva mollato! E gli aveva anche-
«Il
numero! Il numero!»
«Sì,
sai, quella sequenza che si digita su un apparecchio telefonico per-»
«Mi
hai lasciato il numero!»
«Mi
sto domandando perché l'ho fatto».
Che
stronzo, pensò Naruto, spintonandolo. Che stronzo! E, in coerenza
con le trenta pagine precedenti, la costatazione lo portò solo a
zittire lo stronzo con un bacio, che fu tra l'altro radiocronacato da
un urletto di Karin, occhio alla serratura; Sasuke borbottò qualcosa
di indistinto sulle coinquiline yaoifangirl e i coinquilini idioti
che ordinano ramen in posti pieni di usuratonkachi.
«Sei
veramente uno stronzo laureato» conclusero le labbra di Naruto, dopo
aver deciso che era più saggio zittirlo rubandogli altro ossigeno
per un congruo numero di secondi.
Sasuke
si strinse nelle spalle.
«Beh,
effettivamente adesso sono laureato».
Ci
sarebbe stato da aggiungere qualcosa sulla parte dello stronzo,
ma l'unico altro pensiero sensato che il cervello di Naruto riuscì a
formulare, solo un momento prima di spintonare Sasuke sul letto,
guadando il pavimento disseminato di libri e pestando quella
maledetta tesi di laurea, fu che – per gli dei – finito lì, come
minimo Naruto Uzumaki, ventiquattrenne arancione, biondo,
felicemente sasukesessuale a tempo indeterminato, fattorino a tempo
altrettanto indeterminato dell'Ichiraku Ramen, quel numero di
telefono se lo sarebbe fatto tatuare sulla fronte.
Sei
un imbecille e io dovrei soffocarti nel sonno, non scriverti un
biglietto.
Le
tre e trentasette cosa, mentecatto? La tua sveglia è ferma, rotta. Un
catorcio, come la tua stupida testa abitata da
quell'ammasso di cellule che ti ostini a chiamare cervello: non sono le
tre e trentasette, sono le
otto passate e per colpa tua io sarò la prima persona al mondo ad
arrivare tardi alla sua stessa seduta di laurea (sei un imbecille, ti
odio. Ah, e russi: giusto perché tu lo sappia e non mi venga a dire
che quello che russa sono io). Non ho tempo di soffocarti nel sonno,
forse lascerò il gas aperto: se leggerai questo biglietto vorrà
dire che ti avrò risparmiato la vita per un mio capriccio. Sii
consapevole e ringraziami come si deve, magari usando il telefono (i
misteriosi numeri scritti lì in alto, se digitati in sequenza sulla
tastiera di un cellulare, ti permetteranno di parlarmi a distanza: te
lo spiego nel caso non lo sapessi, data la tua natura di inutile
cercopiteco ignorante).
E
guarda che merde di biglietti chilometrici mi fai scrivere, idiota.
Su uno stupido volantino giallo, poi.
Quasi
quasi lo accendo davvero, il gas.
Muori,
usuratonkachi.
Ti
odio.
Sasuke
(Uchiha, babbeo. Il piacere è tutto tuo)
Nda
Ahn... no, okay, meglio se resto in un dignitoso silenzio. Solo, grazie
ai
sopravvissuti che hanno speso tempo prezioso a leggere questa
cavolata.
Comunque sì: Scontata Idiozia è il mio nome di battesimo e Suigetsu
deus ex machina è una cosa che se non la scrivi non ci credi, ma io
l'avevo detto che era una cretinata *piagnucolii*
Parlando
d'altro,
auguri a ssscarkun *sibilo*: la nostra luminescente, sommergibile,
ignifuga pissicologa
iperimpegnata! Considerato il poco tempo che
hai e la tua predilezione per cose decisamente più impegnate e
profonde, appiopparti 'sta stupidata è stata UN'IDEA CRETINA, ma non è
che abbia mai dato a intendere d'essere intelligente, io (altrimenti
suppongo non scriverei cose simili). Comunque dentro c'è tanto amore ùù'
'Kay,
mh. Leggi solo gli auguri: auguri! **
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