Bleeding Sunset - Occhi di Tigre

di Gea_Kristh
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Namasté ***
Capitolo 2: *** Recovery ***
Capitolo 3: *** Fuga dal Tempio ***
Capitolo 4: *** Bellezza Letale ***
Capitolo 5: *** La Portatrice del Vero ***
Capitolo 6: *** La Bambina dagli Occhi di Tigre ***
Capitolo 7: *** L'Angelo dell'Indulgenza e della Guarigione ***
Capitolo 8: *** La Furia di Durga ***
Capitolo 9: *** L'Oscuro Abbraccio della Morte ***
Capitolo 10: *** Ragione e Sentimento ***
Capitolo 11: *** Rituale di Sangue ***



Capitolo 1
*** Namasté ***


Ciao a tutti!

L'idea per questa fanfic mi è venuta mesi fa e, dopo mille indecisioni, finalmente, mi sono decisa a scriverla.

Vedete, io adoro Shaka. Ma proprio alla follia, eh. Mi piacciono tutti i Gold Saints, per carità - decisamente meglio di quelle mezze seghe dei Bronze! - però per quel biondino ho proprio un grande debole. Non è da stupirsi, quindi, se la storia sarà principalmente incentrata su di lui, ma... non solo.

Non so se aggiornerò regolarmente, perché, per la verità, non so esattamente come si evolveranno le cose.

- Go with the flow, Gea! -

La fanfic parte dal presupposto che, dopo Hades, tutti i Gold Saints tornino alla vita - a dilettare noi donzelle!

Non mi resta che augurarvi una buona lettura e raccomandarmi di lasciare una recensionina-ina-ina.

Baci baciottoli,

Gea Kristh

Bleeding Sunset - Occhi di Tigre

Capitolo 1 - Namasté

 - Namasté Shakamuni. -

 Alzò lo sguardo sulla figura di fronte a lui. Rajani gli sorrideva, le mani congiunte davanti al petto e la testa appena china.

 - Namasté Raja. -

 Ricambiò il gesto, rendendosi marginalmente conto di stare sorridendo a sua volta.

 Shaka tornò ad ammirare la vista della valle: dall'alto del pendio, baciata dal sole nascente, l'acqua del Gange sembrava una colata d'oro in terra; e lì, sulle montagne che incorniciavano quel dono divino, il tempio giaceva immobile.

 - E' una vista meravigliosa, non trovi?-

 Lo era. E Shaka, cavaliere di Virgo, sapeva che gli sarebbe mancata una volta lontano da quella che era la sua terra. Molte cose, in realtà, gli sarebbero mancate; molte persone, anche.

 - E così parti. Te ne vai.-

 Rajani... Piccola, bella, Rajani. La sua voce quasi tremava, nel sussurrare quelle parole; come se, pronunciandole, le rendesse più vere.

 - E' il mio dovere. Sono un cavaliere di Atena. -

 Lei chinò il capo, gli occhi di brace puntati a terra. E Shaka, osservandola, non poté non pensare quanto quella creatura fosse bella: preziosa, come un gioiello raro. L'affetto che provava per lei gli strinse il cuore nel vederla così triste, così affranta. Per lui. Perché quello poteva essere un addio.

 - Tornerò Raja, te lo prometto.-

 Allora lo guardò; e il mare dorato che erano i suoi occhi brillava di lacrime trattenute. Shaka sorrise; non pensò, quando con la mano carezzò piano una guancia arrossata.

 - Attenderò il momento in cui potrò rivederti ancora, Shaka. Non dimenticarti di me, io non lo farò.-

 Sorrise, e con gesti aggraziati sfilò dal proprio collo una catenina d'oro; la ruota del dharma brillò alla luce del sole. Shaka guardò curioso il piccolo ciondolo. Quando lei gli si avvicinò di un passo il cuore gli sobbalzò in petto. Che strana sensazione quella! Rimase immobile mentre lei si alzava sulle punte dei piedi e gli circondava il collo con le braccia. Che profumo meraviglioso, pensò; lavanda, e qualcosa che era puramente donna, puramente lei. Sentì qualcosa di morbido, vellutato, sfiorargli appena una guancia; che l'avesse solo immaginato?

 Troppo in fretta quel momento ebbe fine. Raja fece un passo indietro, le gote imporporate, e Shaka sentì il freddo della catenina sulla pelle del collo.

 - E' il mio regalo per te. Così, forse, potrai ricordarmi anche quando sarai dall'altra parte del mondo.-

 - Mi mancherai Rajani, prenditi cura di te. - Fu tentato di abbracciarla, ma non lo fece. Però le sorrise dolcemente, e per lei quel sorriso valse più di qualsiasi gioiello.

 - Namasté, Shaka. Mi mancherai.-

 - Namasté.-

 

 

 

 Si svegliò, il viso della ragazza ancora impresso nella mente. Perché quel sogno? Perché adesso, dopo oltre cinque anni?

 Namasté.

 La sua voce gli risuonò nelle orecchie mentre si sollevava dal giaciglio che era il suo letto. Shaka sospirò, poi se ne sorprese. Quei gesti, così... umani, non gli appartenevano da tempo.

 Portò la mente al dolce peso della catenina al suo collo; nonostante tutto, ancora la portava.

 Ricordò la prima volta che, ancora bambino, aveva visto Rajani. Gli era sembrata una visione angelica mentre, col tramonto negli occhi, cantava in riva alle acque del Gange; il vento la carezzava e i lunghi capelli sciolti si arricciavano come lingue di fuoco vivo alle sue spalle. L'aveva colpito la sua pelle diafana, così simile alla sua e così diversa da quella di tutti gli altri.

 Lei si era girata e gli aveva sorriso; e quel sorriso, quegli occhi, gli erano entrati nel cuore: Shaka sapeva che mai ne sarebbero usciti.

 

 Quel giorno il Santuario celebrava l'anniversario della fine della Guerra Sacra. Festeggiavano la pace, e la gloria di Atena. Tutti i dodici cavalieri d'oro erano richiesti alla Tredicesima casa per il ballo che si sarebbe tenuto quella sera.

 Un anno era trascorso in fretta; il Santuario, riportato allo splendore, pullulava di vita.

 Shaka non s'ingannò: non sarebbe durata, quella pace. Non durava mai.

 Ciononostante si preparò a quello sfoggio di ipocrisia come tutti gli altri. Indossò l'armatura della Vergine e si pettinò i lunghi capelli d'oro con un pettine d'osso – uno dei pochi beni materiali che possedeva. Era un dono di Sheetal, e pertanto lo teneva caro.

 Uscì dalla sua casa, preparandosi a risalire fino alla Tredicesima.

 

 - Non mangi nulla? - Si voltò verso la timida voce del cavaliere di Andromeda.

 Gli occhi chiusi non gli permettevano di vedere il suo viso gentile, ma Shaka non aveva bisogno della vista per sapere esattamente cosa lo circondasse.

 Quando il silenzio si protrasse Shun abbassò il viso imbarazzato; fu Milo di Scorpio ad intervenire, mollando una pacca sulla spalla del giovane che lo fece sbilanciare e quasi cadere a faccia avanti.

 - Non sia mai che il nostro santone preferito mangi carne! - Rise sonoramente, attirando gli sguardi di parecchi in sala. Come se il bel greco non ottenesse già abbastanza attenzione solo respirando.

 - Tu sei matto amico! - Ed ecco arrivare il ragazzino più irritante dell'anno. Ma come faceva Shaina a sopportarlo? Santa, santa ragazza...

 - Seiya, - lo riprese pacatamente Shiryu. Quello scrollò solo le spalle, tornando ad abbuffarsi di tartine.

 - Scusatelo. Qualcuno dovrebbe insegnare a quel ragazzo come comportarsi... -

 - Sarebbe come cercare di insegnare a un salice la recitazione in versi, - furono le prime parole di Shaka quella sera. Milo sghignazzò.

 - Se volete scusarmi. - Shaka non attese risposta e si diresse verso la balconata; l'aria quella notte era tersa e fresca, un vero piacere sulla pelle. Avvertì la presenza di Mu avvicinarsi ancora prima di sentirne i passi.

 - La tua inquietudine è quasi palpabile nell'aria, - affermò il cavaliere dell'ariete. E attese. In silenzio.

 Era vero, pensò Shaka. La sensazione di preoccupazione che l'aveva colto quella mattina ancora non accennava a sparire. C'era qualcosa nell'aria... Un senso di pericolo, quasi. Nella notte non avvertiva cosmi ostili, eppure... Eppure.

 - Tu non l'avverti, Mu? Qualcosa sta per accadere, è nell'aria. -

 Il suo interlocutore gli si fece affianco, osservandolo. Shaka se ne stava immobile, gli occhi chiusi sul mondo e la brezza leggera trai capelli dorati. E quell'alone di inquietudine non lo abbandonava. Mu scosse la testa; non avvertiva nulla, nell'aria attorno a loro.

 - Qualcosa sta per accadere, - ripeté Shaka, come a rafforzare la propria convinzione.

 

 

Tempio della Devi, India

 

 - Sheetal! Sheetal! Ti prego amica mia, rispondimi! -

 Non doveva andare così. Non doveva succedere.

 Tra le lacrime, tutto ciò che Rajani riusciva a vedere era il rosso del sangue che le impregnava le mani. L’amica di una vita, esanime tra le sue braccia, moriva, colpita da una lancia al ventre. Sentiva le loro voci urlare, raggiungerla.

 Rajani sapeva che l’ombra della foresta nella notte non l’avrebbe protetta ancora a lungo. Ogni istante gli inseguitori si facevano più vicini; portavano la morte, e non avrebbero esitato un solo momento ad uccidere quella che era stata una loro compagna, una loro amica. Non l’avevano fatto, con Sheetal.

 Si sentiva esausta. Coperta da sudore e sangue, nell’afosa notte indiana, il suo solo desiderio era quello di lasciarsi andare, di permettere alle sue ultime forze di abbandonarla e di accasciarsi a terra, nell’oblio. Ma Rajani sapeva di non poterlo fare, perché avrebbe significato la morte per quella che considerava una sorella.

 Respirò a fondo, deglutì – e il gesto le causò dolore, poiché la sua bocca era arida. Sapeva cosa doveva fare. Era riuscita a trasportare l’amica sin fuori i confini del tempio, doveva solo racimolare quelle misere energie che ancora aveva in corpo. Anche se faceva male, anche se ci avrebbe rimesso la vita; poiché non fare nulla avrebbe portato la certezza di morire.

 Un ultimo sforzo, Raja. Un ultimo, piccolo sforzo.

 Chiuse gli occhi di tigre, rivolse una preghiera alla Devi e si teletrasportò.

 

 

Grande Tempio, Atene

 

 Una perturbazione. Un’energia sconosciuta in avvicinamento.

 Mu dell’Ariete alzò lo sguardo al cielo, percependo chiaramente quel cosmo farsi sempre più chiaro e, al contempo, sempre più debole. No, si corresse. Due cosmi, entrambi così flebili, morenti.

 - Bèh amico mio, credo proprio che, dopo tutto, avremo visite. –

Quando si voltò verso il viso, solitamente imperturbabile, del cavaliere della vergine, si stupì di trovarvi dipinta un’espressione turbata. La sua mano stringeva forte il ciondolo d’oro dal quale Mu non l’aveva mai visto separarsi. Cosa stava accadendo?

 Senza una parola Shaka si voltò e, evitando a passo svelto coloro che erano accorsi in balcone dopo aver percepito l’energia avvicinarsi, uscì.

 - Cosa gli prende? – Aldebaran espresse ad alta voce la domanda che tutti si chiedevano.

 Mu scosse la testa, confuso.

 

 Fuori dalla Tredicesima Shaka era immobile. Sentiva gli altri avvicinarglisi alle spalle, ma la sua attenzione era rivolta ad altro. Quei due cosmi… Lui li conosceva. Non aveva dubbi, non poteva sbagliare. Anche dopo anni.

 La mano di Mu si poggiò salda sulla sua spalla, ma non si voltò verso l’amico. Gli occhi, sebbene chiusi, scrutavano il cielo notturno, carico di stelle. I due cosmi aleggiavano nell’aria, inconsistenti. Perché non erano ancora arrivate?  Il cuore gli palpitò forte nel petto.

 Eccole, pensò.

 Istanti dopo, due figure comparvero sulla pavimentazione bianca. I cavalieri di Atena impiegarono qualche secondo a distinguere le due ragazze nella notte: l’una riversa a terra, immobile; l’altra genuflessa, affannata.

 L’odore metallico del sangue si levò nell’aria.

 Rajani non sapeva dove fosse. Sapeva di non trovarsi più sulle sponde del Gange, perché l’aria era fresca e solleticava piacevolmente la sua pelle accaldata. Alzò lentamente gli occhi, ma distinguere le persone che si trovavano davanti a lei le risultava impossibile: la sua vista era appannata, e la sua mente confusa. Luccichii dorati riflettevano la luce delle stelle.  Oro?

 Poi, nel silenzio, una voce: - Rajani… -

 E la ragazza, per la prima volta da troppo tempo, seppe che tutto si sarebbe risolto.

 Era Shaka.

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Capitolo 2
*** Recovery ***


Ed ecco il secondo capitolo!
Mi rammarica molto annunciare che, con molta probabilità, il terzo arriverà alla fine di questo mese. Lo so, è un sacco di tempo, ma purtroppo domani pomeriggio partirò per le vacanze e non sarò di ritorno prima di tre-quattro settimane. Mi dedicherò alla scrittura, comunque, in modo da poter pubblicare subito, appena tornata.

Ora! Prima di lasciarvi alla lettura vorrei ringraziare molto chi ha letto il primo capitolo ed in particolar modo chi lo ha recensito. Davvero, siete troppo gentili!
Solitamente rispondo ai recensori a fine capitolo, ma oggi farò un'eccezione:

JackoSaint: Fede giusto? Ti ringrazio infinitamente per la mail, non sai quanto mi abbia fatto piacere! Davvero, non mi disturba affatto. E puoi benissimo chiamarmi Bea-chan, è un soprannome al quale sono particolarmente affezionata. Eh sì, Shaka è assolutissimamente un grande. Quello della mia storia è un po' OOC (un po' tanto...), però ho dovuto farlo così. Sai, mi piace pensare anche al suo lato umano. Ringrazio ancora tantissimo sia te che tua sorella (Giorgia, giusto?). Grazie davvero ad entrambe. E non preoccuparti Giorgia, Miluccio comparirà di certo in questa storia! E' uno dei miei personaggi preferiti, non potrebbe mai mancare! Spero che anche questo capitolo vi piaccia ^_^
data81: grazie mille! Apprezzo anche che tu abbia fatto abbastanza attenzione da notare quei dettagli. In realtà ci sono motivazioni a tutto: per quanto riguarda il teletrasporto lo scoprirai in questo capitolo - la spiegazione avevo pianificato di metterla nel terzo, però la tua recensione mi ha spinta ad affrettare un po' i tempi; Shaka che guarda il Gange è invece assolutamente - e volontariamente - fuori dagli schemi. Vedi... Quella scena era un po' l'addio di Shaka alla sua terra. Lui voleva imprimersi nella memoria l'immagine del tramonto, così da poterla ricordare quando fosse stato lontano. Come avrai notato l'ho fatto un po' OOC - ebbene sì, sono colpevolissima!
LeiaSwan: ciao! Spero davvero che questo capitolo riesca a catturare la tua attenzione come ha fatto il primo! Grazie mille per la recensione ;)
ashar: grazie mille anche a te! Sono contenta di sapere che non sono l'unica ad adorare il caro Shaka!
Cry Benihime: grazie
grazie grazie grazie grazie grazie grazie grazie grazie grazie grazie!!! Non sai quanto mi faccia piacere! Sei della vergine? Wow. Io invece sono del cancro... diciamo che preferisco molto di più Shaka a DeathMask. Sai com'è, non amo molto gli psicolabili - vabbè, lo ammetto, un po' mi sta simpatico anche Deathy... ma solo quello delle fanfics!

Buona lettura!
Gea Kristh a.k.a. Bea-chan

Bleeding Sunset - Occhi di Tigre

Capitolo 2 - Recovery

Grande Tempio, Atene

 - Shaka… Devi aiutare Sheetal… Lei è… - La voce di Rajani tremava, appena udibile alle orecchie del cavaliere di Atena. Gli occhi di lei erano vacui e sembravano non riuscire a mettere a fuoco ciò che la circondava.

 Shaka si avvicinò velocemente alle due, appena in tempo per afferrare la ragazza che, esausta, svenne. La adagiò piano a terra, rivolgendo la sua attenzione all’altra.

 Mu guardò per un istante la scena come fosse in trance, chiedendosi per la centesima volta in due minuti cosa stesse accadendo. Si riscosse, comunque, alle parole della ragazza. L’emorragia della giovane ferita andava fermata.

 - Puoi curarla? – Le parole di Shaka erano impregnate di, Mu ne era certo, angoscia. Il cavaliere dell’Ariete annuì, chinandosi sulla figura della ragazza, senza riuscire a scorgerne i lineamenti a causa della fioca luce.

 A tastoni cercò la ferita sul corpo di lei. Lo squarcio sul ventre era profondo, ma la ragazza nemmeno si mosse quando lui lo toccò. Brutto segno. Mu concentrò il suo cosmo nelle mani, dalle quali scaturì una fievole luce di guarigione. Pregò Atena che non fosse troppo tardi.

 

 I minuti passarono, e con essi il chiacchiericcio degli spettatori alla scena si levò, sempre più assordante.

 - Shaka, chi sono queste due ragazze? – La voce di Saori Kido sembrò far tacere tutti quanti. Il biondo sollevò la testa in direzione della reincarnazione della sua dea. Esitò prima di rispondere.

 - Rajani e Sheetal sono sacerdotesse del Sacro Tempio della Devi, in India. – Altre spiegazioni avrebbero dovuto attendere finché le ragazze non fossero state in condizioni migliori, decise, riportando la sua attenzione sulle mani di Mu.

 

 

 Rajani tornò lentamente cosciente. Un basso vociare le arrivò alle orecchie, ma distinguere le parole le era impossibile. Era stanca, e confusa. Dove si trovava? Su un letto, certamente. Tuttavia, e di questo era certa, non si trattava del giaciglio su cui, da anni, tutte le albe si svegliava. Il cuscino profumava di fresco, il materasso era morbido, il lenzuolo come seta sulla pelle.

 Poi, improvvisamente, gli avvenimenti di quella notte le tornarono alla mente. Sgranò gli occhi e scattò a sedere, inaspettatamente più che sveglia. Un gemito di dolore le uscì spontaneo dalle labbra. I suoi muscoli erano intorpiditi; chissà quanto aveva dormito.

 Si guardò lentamente attorno. La stanza era illuminata a giorno dalla luce che entrava dalle grandi finestre, e resa ancora più luminosa dai toni lattei delle pareti e della mobilia. Un posto gradevole, riposante, ma Rajani non vi si soffermò più del necessario; aveva ben altro per la testa.

 Si trovava al Santuario di Atene, questo era chiaro. Sentire Shaka non le aveva lasciato dubbi. Ma come ci era arrivata? Ricordava il teletrasporto; ricordava di essersi affidata nelle mani della Devi. L’aveva condotta lei al cospetto di Atena? Scosse la testa, accorgendosi solo in quel momento del dolore sordo alle tempie.

 Sheetal. Sheetal! Il cuore prese a batterle forsennatamente nel petto. Non poteva perderla, non lei. Non quella che era un’amica, una confidente, una sorella. Non aveva le forze per reggersi in piedi, ma ci provò comunque. Rimanere lì, ferma, era impensabile. L’angoscia le attanagliò la bocca dello stomaco.

 Poggiò con fermezza  i piedi nudi a terra, rabbrividendo a contatto col pavimento di marmo. Prese un respiro, ignorò un giramento di testa e si sollevò. Finendo per cadere rovinosamente a terra.

 Sbuffò. E ora che diamine faccio? Pensò. Cercò di fare leva sulle braccia, riuscendo solo a capitolare ancora una volta a terra, sbattendo per altro su una sponda del letto. Con la testa. Soffocò un gemito di dolore, portandosi una mano alla parte offesa. Bene. Perfetto. Fantastico.

 Le voci che sentiva provenire, probabilmente, dalla stanza affianco tacquero all’improvviso. Udì il rumore di passi, poi la porta della camera si aprì, e lei ebbe un tuffo al cuore.

 Shaka era magnificente, proprio come lo ricordava. Gli anni non avevano cambiato quell’aria regale - quasi divina, pensò, e che la Devi mi perdoni - che lo contraddistingueva. Si ritrovò a osservare rapita i lunghi capelli biondi che, come una cascata d’oro, lambivano la sua figura; carezzò con lo sguardo d’ambra la sua pelle, diafana e perfetta – così simile alla propria; i lineamenti, poi, tanto fini; e pensò che fosse bellissimo, semplicemente stupendo. Desiderò poter vedere i suoi occhi, quelle pozze d’acqua cristallina, ma, pensò, probabilmente sarebbe stato un po’ troppo per il suo povero cuoricino.

 Ignorando il proprio respiro mozzato, Rajani sorrise. Shaka era lì! Avrebbe voluto abbracciarlo, dirgli quanto le era mancato. Peccato che non riuscisse nemmeno ad alzarsi.

 - Ehm… Una mano? –

 Una risata dalle spalle del biondo la fece accorgere che non erano soli. Nemmeno si era resa conto che altri due uomini fossero entrati dalla porta. Tutta colpa di Shaka, ecco.

 Quello che aveva riso se ne stava appoggiato allo stipite della porta, l’espressione divertita ancora dipinta sul volto. Era bello, senza dubbio, alto, con la pelle abbronzata e lunghi capelli ribelli; i suoi occhi, di un blu oltremare, ridevano con lui. A Rajani quel tipo stette subito simpatico. Una persona con una risata tanto spontanea non poteva non piacerle.

 L’altro era rimasto in silenzio e la guardava gentile con quelle iridi di un verde impossibile, cristalline come gemme di peridoto. I suoi capelli erano una cascata di fili di un meraviglioso – quanto insolito –  lilla, raccolti in una coda su una spalla. Nonostante tutto, nulla in lui era femminile. Anzi.

 Mica stupida la dea Atena, eh.

 Rajani sorrise ai due sconosciuti, rivolgendo loro un semplice cenno con il capo. Mentalmente, controllò che le proprie barriere fossero innalzate e solide; sarebbe stato sconveniente se qualcuno avesse letto i suoi pensieri. Quasi si mise a ridere all’idea della faccia che avrebbe fatto Shaka avesse potuto sentirla.

 Il biondo la aiutò ad alzarsi, facendola subito sedere sul letto.

 - Sheetal… - Si interruppe, cercando le parole. – Sta bene, vero? –

 Shaka sospirò, sedendosi accanto a lei. – E’ stabile. Mu, - e fece un cenno verso l’uomo dai capelli violetti, - ha curato i danni maggiori; tuttavia le serve tempo per ristabilirsi. Ancora non si è svegliata. –

 Rajani abbassò lo sguardo sulle proprie mani che, nervosamente, stropicciavano l’orlo della tunica che indossava. Una strana agitazione la pervase.

 - Mi dispiace Shaka, non sono riuscita a impedirlo. Io, - un singhiozzo la scosse, - ci ho provato, davvero. Ma loro erano in troppi, e poi Arun l’ha colpita alle spalle e io… - Scosse la testa; sentiva di stare per andare in iperventilazione, ma si impose la calma. Percepiva il cosmo di Shaka circondarla, ed era un’energia serena, immensa e calda – le ricordava il sole nelle luminose giornate estive, e la luce che batteva la terra polverosa delle sponde del Gange.

 Il corpo di Shaka emanava un piacevole profumo di fior di loto e sandalo – odori che le erano familiari, e questo la aiutò. Calmandosi, sospirò.

 - Puoi dirmi cosa è successo Rajani? – La voce del cavaliere della Vergine era gentile. Aveva posato una mano sulla spalla della giovane, che tremava quasi impercettibilmente. Rivedere due delle persone a cui più era legato nella sua vita certo lo riempiva di gioia – gli erano mancate. Tuttavia le condizioni della loro riunione avrebbero potuto essere migliori.

 La rossa annuì. Parlò piano, quasi sussurrando: – Se Shakti mi ha condotta qui un motivo deve esserci. Farò la volontà della Devi. – Alzò gli occhi sul suo amico d’infanzia. Non sapeva da dove cominciare; la situazione le sembrava irreale.

 - Atena ha convocato un Chrysos Synagein, una riunione, per quando una di voi si fosse ripresa. Te la senti?-

 Rajani annuì, sollevata quantomeno di non dover ripetere la storia più volte.

 - Rajani, giusto? – Quando lei, in risposta, annuì, il ragazzo continuò: - Il mio nome è Mu, cavaliere d’oro dell’Ariete. Rajani, sai dirmi come siete state in grado di teletrasportarvi all’interno del Tempio? Non avrebbe dovuto essere possibile. –

 La ragazza scosse la testa. – Non saprei. Io non ho consciamente deciso di arrivare qui. Quando ho abbandonato l’India… Non ero lucida. Se sono qui, è opera di Shakti. La Devi ha ascoltato le mie preghiere.-

 - Sei una telecineta? –

 Rajani annuì, piano, e rispose al sorriso gentile che Mu le rivolse.

 - Avvertirò Lady Saori del tuo risveglio; la riunione si terrà in serata. –

 

 Rajani aspettò che la porta si richiudesse alle spalle di Mu e dell’altro cavaliere – del quale non conosceva il nome. Shaka, al suo fianco, era perfettamente immobile.

 - Non sei più tornato… - Rajani ascoltò la sua voce parlare, flebile, quasi non appartenesse a lei. Non ce l’aveva con Shaka, no. Lei, sacerdotessa della Devi, più di chiunque altro comprendeva le sue ragioni. Tuttavia… Cinque anni erano un lungo tempo da passare separati dalle persone amate.

  - Lo so. – Con un gesto inaspettato Shaka passò una mano tra i capelli di lei, tra quelle ciocche di un rosso così scuro da sembrare, al buio, nero; le si avvicinò, quel tanto che bastava per cogliere il profumo di mirra e vaniglia che si irradiava dalla sua pelle. Un profumo che lo portava indietro negli anni e lontano nello spazio, dove gli occhi di lei si infuocavano del tramonto, ardendo mentre osservavano il giorno morire.

 Le guance di Rajani si imporporarono dall’imbarazzo. Doveva essere un disastro, pensò. Indossava ancora gli abiti della notte precedente, sporchi di terra e sudore – il suo corpo non si trovava in condizioni migliori.

 Mai come in quel momento desiderò abbracciarlo forte e non lasciarlo più andare. Si trattenne, comunque – non credeva Shaka avrebbe gradito. Il pensiero la fece sorridere mentre ricambiava il suo gesto, carezzando con dita incerte la cascata di fili d’oro che si riversava sulle spalle e sul torace del ragazzo. I capelli del biondo erano sottili e setosi, freschi e lucenti. Presto si ritrovò a sfiorare con la punta delle dita le guance diafane di lui; posò una leggera carezza col dorso delle dita sulla sua pelle.

 - Mi sei mancato. – Disse semplicemente, con sincerità e affetto.

 La risposta di Shaka riuscì a colpirla, e a far perdere un battito al suo – già palpitante – cuore. Sì, perché il ragazzo dischiuse con logorante lentezza le palpebre, ed immerse l’incredibile azzurro delle sue iridi nell’ambra che erano quelle di lei – intensamente, profondamente, intimamente. A Rajani il respiro quasi si mozzò in gola. Il ricordo di quel colore non gli faceva veramente giustizia, e si castigò mentalmente; le ciglia scure servivano solo a risaltare ancora di più quell’impossibile tonalità di azzurro – tanto bella, si disse, da far impallidire l’oceano. Quegli occhi dovevano appartenere ad un angelo.

 - Anche tu. – Sussurrò con voce bassa. Poi le baciò la testa, con dolcezza, e Rajani sentì le guance andare a fuoco.

 Quando Shaka, lentamente, richiuse gli occhi, la ragazza riprese a respirare normalmente – quasi.

 

 

 Sheetal dormiva tranquilla. La ferita era pulita e bendata, il danno non tanto grave quanto lo era solo ore prima. Mu la osservava – i suoi pensieri vorticavano assordanti nella sua mente.

 Era una ragazza… angelica, per mancanza di un’espressione migliore: lunghi capelli biondo chiaro, lineamenti dolci, pelle lattea. A Mu la somiglianza non sfuggiva affatto.

 Shaka di Virgo doveva loro delle spiegazioni.

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Capitolo 3
*** Fuga dal Tempio ***


Prima del previsto eccomi qui, dopo aver illegalmente scroccato la rete a qualche povero abitante di Fisterre! Aggiorno con il terzo capitolo che, devo dire, è stato alquanto sofferto. Trovo che stare in vacanza aiuti la mia ispirazione – quel tarlo che, quando ti prende, non puoi far altro che ascoltare o impazzire.

Questo capitolo è il frutto di tanta ricerca e studio. La religione induista è complessa, il suo pantheon variegato. Un dio può essere venerato in alcune parti dell’India e in altre no; oppure può assumere una miriade di forme diverse, e le versioni cambiano a seconda delle fonti – spesso contraddittorie. Credo che delle spiegazioni saranno d’obbligo, ma per questo vi rimando a fine capitolo – così come per i ringraziamenti.

Ora vi lascio alla lettura!

Bea-chan

 Bleeding Sunset - Occhi di Tigre

Capitolo 3 - Fuga dal Tempio

 Rajani uscì dalla sua stanza, ignorando la stanchezza che ancora le impregnava le ossa - sentendosi tutto sommato meglio dopo essersi goduta un bagno caldo e aver indossato abiti puliti.

 Il sari in seta era molto fine – cerimoniale, pensò - di un rosso scuro ricamato d’oro; glielo aveva portato Medea, la stessa domestica che poi le aveva preparato il bagno. Gentile concessione della dea Atena? Non lo sapeva, ma di certo ne aveva approfittato. Sarebbe stato bello avere le sue cose; i churi, le collane, gli orecchini decorati di gemme. Non li aveva, e si sarebbe accontentata – felice di ciò che le veniva dato nonostante la situazione delicata.

 Rajani non si riteneva particolarmente vanitosa; tuttavia le piaceva, di tanto in tanto, farsi bella. E quel sari! Uno dei più belli che avesse mai indossato.

 Si era arrangiata i lunghi capelli ancora umidi in una treccia morbida, fermata da uno dei nastri di cui l’armadio era pieno – no, davvero, chi mai avrebbe indossato quelle oscenità barocche? Alcuni di quegli abiti non sarebbero stati bene nemmeno ad una bomboniera!

 Aveva eseguito tutto con movimenti lenti, godendosi i momenti di pace; quelli erano gesti familiari, abituali, e, in qualche modo, l’avevano confortata.

 Sulla sua fronte il bindi catturava la luce: un piccolo rubino, come incastonato nella pelle, era circondato dall’oro di una fiamma stilizzata.

 Medea aveva insistito per aiutarla a sistemarsi. A Rajani quella ragazzina stava simpatica: sorrideva molto, era sempre gentile e sembrava disposta a compiacerla in ogni modo possibile. L’Indiana rappresentava per lei una novità, lo stacco dalla monotonia della sua vita alla Tredicesima; trovava quantomeno affascinanti i suoi modi posati, il suo strano accento e i lineamenti chiaramente medio-orientali. Per non parlare dei disegni sul suo corpo!

 Rajani le aveva mostrato, timidamente, il tilak che le copriva gran parte della schiena; Medea l’aveva trovato stupefacente e meraviglioso. Una vera opera d’arte, aveva commentato, ammirando il disegno, realizzato in toni chiari – bianco, oro ed appena un accenno di rosso -, di una tigre sinuosa e magnificente, i lunghi artigli e le zanne sfoderate in una posa minacciosa; delicata, nonostante tutto, certamente più di qualsiasi tatuaggio avesse mai visto – ma altrettanto permanente.

 La coda dell’animale sacro si arricciava sulla spalla destra della ragazza; una zampa le abbracciava il fianco sinistro. Rajani le aveva detto che era il segno della sua dea, e, al contempo, il simbolo della sua devozione. Anche se Medea non era certa di aver afferrato il concetto, quel bindi era abbastanza esotico da affascinarla.

 Medea le aveva passato il kajal attorno agli occhi con attenzione, poi le aveva fatto scegliere tra boccette di itra, profumi. Si era meravigliata di aver trovato essenze così tipicamente orientali in Grecia, ma non commentò.

 Rajani non era abituata allo sfarzo. Ciò che aveva le era stato donato – di quello che non aveva, invece, faceva a meno senza problemi. Che la dea Atena le avesse mandato una delle sue domestiche le faceva piacere, davvero; tuttavia non avrebbe potuto sopportarlo a lungo termine – aveva bisogni dei suoi spazi.

 Si era alzata e congedata da Medea, ringraziandola di cuore.

 

 Rajani si accostò alla porta della stanza accanto alla propria. Lì, Shaka le aveva detto, riposava Sheetal.

 Bussò alla porta. Non dovette attendere molto, perché una manciata di secondi dopo sull’uscio si stagliava il ragazzo che aveva visto quando si era svegliata – quello del quale non conosceva il nome.

 - Namasté, - lo salutò con un sorriso.

 Il cavaliere la guardò un attimo, sbattendo le palpebre, un’espressione stupita dipinta sul bel viso; a Rajani venne quasi da ridere. Sì, pensò, doveva aver avuto proprio un brutto aspetto quella mattina!

 - Salve, - rispose finalmente lui, e si scostò per lasciarla entrare.

 Quando vide Sheetal, a Rajani si strinse il cuore. Sapeva che sarebbe stata bene, che le serviva solo tempo per recuperare, ma… che dolore guardarla giacere così immobile, e sapere che lei ne era la causa!

 - Dovete essere molto legate. –

 La voce del ragazzo la riscosse dai suoi pensieri. Si voltò verso di lui per trovarlo intento a fissarla, uno sguardo di palese dispiacere misto a curiosità nelle sue iridi blu.

 - Io e Sheetal ci conosciamo da molto tempo. Lei è molto più che mia amica; è mia sorella. – Poi sorrise, e i suoi occhi si rischiararono. – Perdona le mie cattive maniere: non mi sono presentata. Il mio nome è Rajani. –

 - Milo di Scorpio, Cavaliere di Atena, al tuo servizio. – E, incredibilmente, si chinò facendole un perfetto baciamano. Rajani sentì il viso andare a fuoco e Milo sghignazzò, divertito.

 La ragazza, a sua volta, si trattenne dallo scoppiare a ridere. Quel cavaliere aveva davvero una risata stupenda; così contagiosa!

 - Allora dimmi, Cavaliere di Scorpio, - si interruppe un attimo, - dove mi trovo? –

 Milo la guardò stupito, ma si riscosse in fretta. Certo, pensò, nella fretta degli eventi nessuno si era premurato di darle spiegazioni su una cosa seppur così importante.

 - Come avrai intuito sei al Santuario di Atena. – Quando lei annuì, continuò: - Il Tempio è composto da dodici case, appartenenti ognuna ad uno dei cavalieri d’oro posti in sua difesa, e da una tredicesima casa, dove il Grande Sacerdote e la dea Atena soggiornano. E’ qui che ti trovi, in una delle stanze degli ospiti di Lady Saori. –

 - Ospiti? – La voce di Rajani appariva piuttosto dubbiosa, e a ragione. Ospiti in un luogo sacro?

 Milo si trattenne dallo scoppiare nuovamente a ridere. – Sì, non ha assolutamente senso. Ma ehi! Lady Saori comanda. –

 Rajani annuì ancora, un sorriso divertito sulle labbra, e tornò a guardare la figura dormiente di Sheetal.

 - E’ strano. – Esordì nuovamente Milo. – Credevo che in India la gente avesse la pelle scura, e che Shaka fosse l’eccezione. Ma ecco che mi ritrovo davanti altre due Indiane… e sono entrambe più pallide di me! –

 Lei ridacchiò. – Tranquillo Cavaliere, non sbagli. La tua è solo sfortuna, presumo, perché io, Sheetal e Shaka siamo gli unici Indiani che conosco ad avere la pelle bianca. E ne conosco tanti! –

 I silenzi tra lei e Milo erano confortevoli. Lontana migliaia di chilometri da casa, Rajani non avrebbe mai creduto di potersi sentire così a proprio agio – Shaka non contava; lui era casa.



 Fu proprio Shaka a venirla a chiamare per il Chrysos Synagein. Quando i suoi occhi si posarono su di lui, a Rajani sfuggì ogni pensiero coerente dalla mente: vestito della sacra armatura della Vergine sembrava ancor più un dio sceso in terra. Come poteva qualcuno emanare tanta bellezza?

 Il tilak rosso sulla sua fronte, parzialmente nascosto dalla frangia bionda, risaltava incredibilmente agli occhi in quell’armonia di colori aurei che era la sua visione.

 Rajani si ritrovò a sollevare lentamente una mano – si accorse di aver trattenuto il respiro, costringendosi ad esalare piano il fiato tremante. La punta delle sue dita entrò in contatto con il metallo lucido; lasciò scorrere le mani in una carezza appena accennata, e sorridere le venne spontaneo.

 Shaka aveva sempre avuto un fascino particolare, una bellezza mistica; ma mai come in quel momento si era accorta della profondità dell’affetto che la legava a lui.

 - Namasté Shaka, - lo salutò, e la sua voce era ferma.

 Lui dischiuse gli occhi allora, perché desiderava ardentemente guardarla. Ciò che vide gli causò un tuffo al cuore.

 - Namasté Raja, - rispose piano, utilizzando quel diminutivo con tono quasi dolce.

 Il profumo di patchouli gli inebriava i sensi; i suoi pensieri erano in tumulto. Rajani era bella, lo era sempre stata.

 Quella vista gli ricordò la sua terra, la sua gente; gli ricordò il passato, le giornate assolate, i tramonti insanguinati sul Gange – negli occhi d’ambra di lei rivisse anni impregnati di mille emozioni e sensazioni.

 - Ti dona, - le disse, riferendosi al sari. Era riduttivo: quei colori sembravano essere stati fatti solo per essere indossati da lei; risaltavano la pelle chiara, il rosso scuro dei suoi capelli, i suoi occhi che rilucevano come topazi.

 Rajani arrossì appena e gli regalò il più bello dei sorrisi: - Grazie - .

 Shaka si voltò verso la porta, dischiudendola. Quando lei gli passò affianco, uscendo sul corridoio, le palpebre di lui erano nuovamente calate sugli occhi.



 La sala principale della Tredicesima casa era magnificente. Alte colonne d’oro erano disposte a semicerchio di fronte ad un trono; sulle sommità sedevano statue maestose, raffiguranti i dodici segni dello zodiaco. In corrispondenza di ognuna scranni d’oro erano occupati dai cavalieri di Atena.

 Rajani riconobbe immediatamente Milo. Il cavaliere di Scorpio si alzò in piedi, proprio come tutti gli altri, quando lei entrò. L’unica a non scomodarsi, notò la sacerdotessa, fu la ragazzina seduta sul trono centrale. Era quella la reincarnazione della dea Atena?

 - Benvenuta al Grande Tempio di Atene, straniera. Il mio nome è Dohko, Cavaliere della Bilancia e Grande Sacerdote di Atena. – A parlare era stato un ragazzo che, dall’aspetto, poteva avere forse la sua età; Rajani non si lasciò però ingannare: lei vedeva, con gli occhi della sua mente, che quel cavaliere era più di ciò che sembrava.

 Dohko continuò, indicandole la ragazza seduta sul trono con un cenno della mano. – Costei è Lady Saori, la dea Atena. –

 La giovane non si mosse neppure, ma Rajani non se ne curò.  Chinò cortesemente il capo nella sua direzione e tacque. Non si sarebbe inchinata – quella non era la sua dea.

 Dohko, con un ampio gesto del braccio, indicò gli altri presenti, - I Cavalieri d’Oro della dea Atena. Mu dell’Ariete. – Rajani riconobbe allora il ragazzo che aveva visto quella mattina; nell’armatura lucida, con i capelli tirati indietro e un sorriso conciliante sulle labbra, il cavaliere le apparve quasi… etereo. Ricordò di aver già notato come quei suoi occhi fossero eccezionalmente belli; gemme di peridoto che risplendevano come di luce propria.

 Ancora, il Grande Sacerdote continuò: - Aldebaran del Toro, – e Rajani si ritrovò ad osservare un orso grizzly rivolgerle un sorrisone. La ragazza sbatté le palpebre qualche volta, cercando di dare un senso a quella vista. Si riscosse, comunque, e rispose a quell’inaspettato gesto gentile. Aveva la netta sensazione che quell’Aldebaran le sarebbe stato simpatico.

 - Saga e Kanon dei Gemelli. – Ah che fantasia, si ritrovò a pensare. I due uomini che le avevano rivolto un cenno del capo erano pressoché identici: chiaramente due gemelli. Strano, pensò. Come potevano esserci due cavalieri per una sola armatura?

 - Deathmask del Cancro. – Il cavaliere nemmeno si curò di guardarla in faccia, come se gli avvenimenti all’interno di quella sala gli fossero estranei. Rajani, in compenso, non perse l’occasione di studiarlo. C’era qualcosa in lui che non la convinceva – un’aura strana a circondarlo; non necessariamente malvagia, si disse, ma certamente diversa.

 - Aiolia del Leone. – Altro cenno del capo al quale lei rispose cortesemente. Rajani osservò curiosamente la sua figura: quella zazzera di ricci capelli biondastri, quegli occhi blu, quella postura perfettamente eretta; notò quasi con ironia come quel ragazzo fosse rigido. La considerava forse una nemica per la sua dea? Forse era così – Rajani sapeva di doversi fidare della propria intuizione.

 - Credo, - la voce di Dohko la ridestò dai suoi pensieri, - che tu già conosca Shaka della Vergine. – Sul volto giovane del cavaliere della Bilancia era dipinto un sorriso divertito.

 Rajani alzò gli occhi sul biondo, che ancora le era affianco; poi tornò a guardare il Gran Sacerdote, aspettando che continuasse.

 - Milo dello Scorpione. – Il cavaliere in questione le rivolse un sorriso smagliante che lei si ritrovò a ricambiare, divertita.

 - Aiolos del Sagittario. – La somiglianza con il cavaliere del Leone era lampante. Nonostante questo, la postura di Aiolos era più rilassata.

 - Shura del Capricorno. – La fissava. Non le rivolse alcun cenno, non si mosse nemmeno, eppure i suoi occhi non si scollarono da lei nemmeno per un istante. Rajani era abituata agli sguardi altrui; non si fece molti scrupoli e ricambiò lo sguardo, almeno finché Dohko non annunciò l’undicesimo cavaliere.

 - Camus dell’Acquario. – La prima parola che venne in mente a Rajani fu: raffinato. Tutto in lui, a partire dal modo in cui stava in piedi, gridava eleganza. Camus era bello, uno degli uomini più belli che lei avesse mai visto - d’altro canto, guardandosi attorno, Rajani si rese conto che la dea Atena aveva gusti eccelsi.

 - E Aphrodite dei Pesci. – Quest’ultimo le rivolse un cenno aggraziato del capo. Rajani si fermò un attimo ad osservare quell’uomo che trasudava bellezza ad ogni respiro; una bellezza androgina, delicata ed ammirevole; nonostante tutto, a Rajani quel fascino sembrò quasi sinistro.

 - Infine, sono oggi qui presenti, in via del tutto eccezionale, quattro dei cavalieri di bronzo: Seiya di Pegasus, Shun di Andromeda, Hyoga di Cygnus e Shiryu di Dragon. –

 Rajani guardò nella direzione indicatale da Dohko e li vide; nemmeno aveva fatto caso a loro, in tutto quell’oro! I quattro non indossavano alcuna armatura e se ne stavano un po’ in disparte, in  piedi davanti a sedie di legno chiaramente aggiunte lì per l’occasione. Erano giovani, più di lei e certamente più dei cavalieri d’oro, e Rajani li studiò con curiosità.

 Che strana ragazza, Rajani sentì pensare. Cercò di individuarne la fonte, stupendosi quando identificò il timbro mentale del cavaliere di Pegasus. Lui la stava guardando con un grosso sorriso sulle labbra. Così bella, sembra una bambola.

 Rajani si trattenne dallo scoppiare a ridere. Quel ragazzo aveva disperatamente bisogno di imparare a ergere barriere mentali! Vide con la coda dell’occhio Mu scuotere la testa, chiaramente divertito.

 - Ti ringrazio, cavaliere, ma posso assicurarti che non lo sono. – Rajani si rivolse a Seiya, che sgranò gli occhi.

 - Cosa? – Chiese lui, chiaramente scioccato.

 Rajani gli sorrise. – Una bambola. Non sono una bambola. –

 Mu ridacchiò all’espressione imbarazzata del cavaliere di bronzo; Shiryu e Hyoga scossero il capo, sconsolati; Shun le sorrise a mo’ di scusa per il comportamento incorreggibile del compagno; Shaka nemmeno gli prestò attenzione. Dohko, dall’alto della sua posizione di Gran Sacerdote, rideva senza ritegno.

 - Ora basta. – La voce di Saori catturò l’attenzione di tutti. La ragazzina puntò gli occhi ametista sulla sacerdotessa: - Chi sei, straniera? –

 E lei rispose, senza timore.

 - Io sono Rajani, Alta Sacerdotessa di Durga, Maestra delle Armi e Capitano della Guardia del Sacro Tempio della Devi. – Fece una pausa, poi continuò. – Vi ringrazio dea Atena della vostra ospitalità, e di avermi concesso, per intercessione della Mahadevi, di giungere qui in primo luogo. –

 Gli sguardi di tutti erano catturati da quella piccola ragazza – piccola, sì, ma con una regalità innata. Sotto gli occhi dei presenti dimostrava una fierezza ed una compostezza ammirevoli; non sembrava a disagio, e, se trovarsi di fronte alla reincarnazione di una divinità la intimoriva, non lo dimostrava affatto.

 Lady Saori annuì, seria. – Siedi pure, Sacerdotessa. –

 Quando lei si accomodò sulla sedia che Dohko le aveva intanto indicato, tutti i cavalieri presenti la imitarono. Il suo seggio era comodo, posto tra lo scranno di Shaka e quello di Aiolia.

 - Posso immaginare vogliate sapere cosa mi abbia spinta a fuggire dal Tempio. – Il suo tono era velato di rabbia e tristezza; ciò bastò a catturare completamente l’attenzione dei presenti.

Così, si disse Rajani, ci siamo.

 - Due notti addietro, - iniziò, - io e Sheetal eravamo in meditazione, quando qualcosa di molto insolito è avvenuto: una visione spontanea. Accade di rado, - Rajani scosse la testa, come ad enfatizzare il punto, - che Lakashimi si intrometta negli affari mortali ma, -

 Be’… forse non proprio di tutti aveva catturato l’attenzione.

 - Scusate, sembrerò inopportuno, - si intromise Seiya, un po’ imbarazzato. Lo sei, non lo sembri, avrebbero dovuto dirgli gli sguardi degli altri cavalieri. – Io però non ci ho capito nulla. Lakamishi? E chi è? E se il Tempio è di ‘sta Devi, che c’entra Purga? Che poi, chi è Purga? E… - La voce del cavaliere di bronzo andò a scemare; forse si era accorto delle occhiate stralunate che tutti gli stavano rivolgendo – o, più probabilmente, non si ricordava cos’altro avrebbe dovuto chiedere.

 Rajani si portò una mano alla bocca, soffocando una risatina. Shaka, dal canto suo, non era divertito; avesse avuto gli occhi aperti l’avrebbe incenerito con lo sguardo. O gli avrebbe tolto i cinque sensi – ci fece seriamente un pensierino, ma si trattenne.

 - Lakashimi e Durga, - iniziò, calcando il tono sui nomi, - sono forme della Devi. –

 - Ah. – Ci pensò un attimo. – E che vuol dire? –

 Rajani lo guardò incredula. – La Mahadevi, la Grande Dea, si manifesta in forme differenti; opposte, a volte, come possono sembrarlo Lakashimi e Durga. La Devi è madre generosa e sanguinaria assassina; è un’asceta, una moglie devota, una guerriera feroce, benevola e terrifica. La Devi è Shakti. –

 Prima ancora che Seiya potesse porgere la domanda, la sacerdotessa si affrettò a dire: - Shakti è l’energia divina femminile. –

 Seiya, a dire il vero, non aveva ben capito; si ripromise però di fare qualche ricerca. Quindi annuì, facendo tirare un sospiro di sollievo a tutti i presenti.

 - Come dicevo, - riprese il racconto Rajani, - due notti fa Sheetal fu colpita da una visione spontanea. Io ero con lei e ho potuto vedere nella sua mente ciò che sarebbe stato. –

 La tensione nella sala crebbe nuovamente; lei sospirò e continuò. – A mente fredda posso riportare quelle immagini alla memoria, anche se non ne ho piacere. – Fece una pausa. – Sangue. Ricordo tanto sangue; permeava la terra, e il suo odore acre si levava nell’aria. Il corpo era dilaniato, - Rajani scosse la testa, gli occhi oscurati da un’ombra, - irriconoscibile. Non seppi immediatamente di chi si trattava. C’era così tanto sangue. –

 Sentì il bisogno di prendere un respiro profondo; di ricordare al suo corpo che l’aria era pulita, che la stanza non era imbrattata di rosso, che la morte non si trovava lì.

 - Poi vidi lei. – Il capo di Rajani si sollevò, e nei suoi occhi c’era ora rabbia; una furia profonda e dolorosa. Si rivolse a Shaka: - Sadhira ha tradito. La Grande Sacerdotessa ha tradito. –

 - Sadhira? – La voce di Shaka era stupita. Non si aspettava un risvolto simile, questo era evidente.

 Rajani annuì, chinando il capo. – L’ho vista con i miei occhi. Non volevo crederci, non volevo, ma ieri il corpo è stato ritrovato. – Alzò gli occhi. – Avani. Avani è morta. –

 - Una delle sacerdotesse? – Domandò Dohko; lei annuì in risposta.

 - La Sacerdotessa di Annapurna. Ora che ci penso è chiaro; logico che sia stata lei il sacrificio: Annapurna è la Devi del nutrimento. Sadhira ha resuscitato il corpo di Mahishasura. –

 Shaka scosse la testa, confuso. – Perché? –

 - So solo ciò che ho visto. E l’ho vista, Shaka: ho visto lei e ho visto lui. Mahishasura vive. –

 - Scusate… - La voce di Seiya interruppe nuovamente la conversazione. – Ma chi è Mahishacoso? –

 Rajani scosse la testa; però doveva ammetterlo: quel ragazzo sapeva spezzare la tensione.

 - Mahishasura è il demone bufalo. – Quando vide che il ragazzo continuava a guardarla interrogativo, Rajani continuò. - La leggenda narra che in tempi remoti Mahishasura avesse pregato Brahma così intensamente che il Deva gli concesse il potere di non poter essere sconfitto da alcun essere maschile, fosse questi divino o meno. Mahishasura voleva i tre mondi, e li ottenne. Il suo dominio non conobbe confini: entrò nei Cieli, e sconfisse gli dei. – Rajani si assicurò che Seiya la seguisse, poi continuò. – La Trimurti creò allora Durga. Ella… -

 Fu bruscamente interrotta dalla voce del cavaliere di bronzo. – Quella Durga? –

 Rajani gli sorrise, contenta almeno che stesse seguendo. – Sì. Proprio quella Durga di cui io sono sacerdotessa. Posso continuare? – Lui annuì.

 - Durga nacque dalla luce della Trimurti: la sua forma era di una bellezza accecante, e la sua forza inaudita. Ogni divinità le donò la sua arma più potente, poiché Mahishasura poteva essere sconfitto solo da una donna. Lui fu stolto: tentò di sposarla; non credeva certo che una donna avrebbe potuto sfidarlo, ma lei lo fece. E lo sconfisse, al decimo giorno della luna piena, dopo aver decimato il suo esercito. Durga ebbe pietà: non lo uccise. Lo imprigionò, comunque, in una statua di bufalo. Ed era lì che il suo spirito giaceva, almeno fino a qualche giorno fa. –

 Seiya annuì, in segno di aver capito.

 - Sadhira è la Grande Sacerdotessa del Tempio, ma è anche la Sacerdotessa di Kamakshi: detiene le arti del controllo della mente e dei sensi. Direi che Mahishasura l’ha plagiata, che il suo spirito è puro; mentirei, però, perché Sadhira non può essere controllata. Lei ha tradito: lo spirito del demone l’ha cercata, e lei lo ha ascoltato di sua volontà. Ha intenzionalmente sacrificato una sua compagna per resuscitarne il corpo. - La rabbia di Rajani traspariva dal suo tono; fu Shaka a placarla: la abbracciò con il suo cosmo.

 - Il giorno seguente alla notte della visione tutti gli abitanti del Tempio sono accorsi alle urla di una delle guardie. Nella Sala delle Armi il corpo di Avani è stato ritrovato in un lago di sangue. Nel petto aveva conficcato il Tridente Sacro. –

 Successe allora qualcosa che stupì i presenti: Shaka aprì gli occhi. La guardò a lungo, senza proferire parola.

 - Questo non è possibile, - disse infine.

 Rajani annuì. – Eppure lo è stato, - sussurrò. Si rivolse agli altri: - Le armi sacre sono di fattura divina. Furono quelle le armi donate a Durga dalle divinità, e possono dunque essere prese solamente dalla Sacerdotessa di Durga, o da un dio. –

 - Ma tu sei la Sacerdotessa di Durga. – Osservò Dohko.

 Rajani annuì. – Per l’appunto. Io sono Maestra delle Armi, e solo io avrei potuto prendere il Tridente di Shiva. – Li guardò negli occhi, uno per uno. – L’omicidio di una compagna è un reato del quale ancora non mi sono macchiata. –

 Dopo una breve pausa, continuò: - Mahishasura ha colpito Avani. La sua natura semi-divina è la chiave: l’ho visto. – Rajani sospirò. – Purtroppo gli abitanti del Tempio non hanno voluto credere alle parole mie e di Sheetal: Sadhira è Maestra del Controllo. –

 - Ha plagiato le altre sacerdotesse? – Le chiese uno dei gemelli. Saga, se non sbagliava. Una luce strana brillava nei suoi occhi blu.

 - Tutte, tranne una. Visala è Alta Sacerdotessa di Sarasvati, Portatrice del Vero. Lei non può mentire, e, per contro, non le si può mentire: riconosce la verità nelle parole e negli intenti. Visala ha creduto a me e Sheetal, ed è a lei che dobbiamo la libertà. -

 - Va’ avanti, - la incitò Dohko.

 - Sadhira ha ordinato il nostro arresto per Alto Tradimento. L’unica cosa sensata da fare era fuggire. Visala ci ha ospitate fino a notte fonda. L’energia del Tempio di Sarasvati ha celato me e Sheetal; a nessuno è passata per la mente l’idea che Visala potesse essere “complice di due omicide”. A dire il vero, mi chiedo in primo luogo come abbiano fatto a credere che Sheetal potesse essere un’assassina. Sadhira non dovrebbe avere tanto potere. Non dovrebbe. – Sospirò. – Cercare di raggiungere i confini del Tempio è stata un’impresa. Le guardie ci hanno individuate non appena fuori dall’influsso di Sarasvati. Una patetica caccia alle streghe. Quel che è successo dopo è stata colpa mia. La Devi mi perdoni, ma io sono Capo della Guardia del Tempio. Be’, lo ero. Non credevo davvero che ci avrebbero attaccate per uccidere. L’hanno fatto. Anzi. L’ha fatto Arun. – I suoi pugni erano convulsamente serrati. – Arun è stato mio allievo. Questo errore mi ha quasi uccisa. -

 Shaka posò una delle sue mani su quelle di lei, che si calmò quasi istantaneamente. Rajani gli rivolse un sorriso grato.

 - Non è colpa tua. Nonostante sia uno sciocco ottuso, Arun ha un buon cuore. Sii arrabbiata con Sadhira, piuttosto. –

 - Oh, ma lo sono. – Una luce quasi feroce le illuminava gli occhi d’ambra.

 - Lo hai ucciso? – La domanda veniva da Camus.

 Rajani scosse la testa in segno di diniego. – Arun sarà anche uno stolto a volte, ma non è sciocco abbastanza da sfidarmi in un corpo a corpo. Nessuno nella Guardia lo è. Una lancia. Una lancia che ha preso Sheetal in pieno. –

 - E per fortuna che aveva ottima mira! – Esclamò Seiya allora.

 - Oh, la traiettoria era perfetta. Mi avrebbe presa dritta tra le scapole, perché ero di spalle. Ed è stata questa la mia colpa: non credevo avrebbero attaccato. – Scosse ancora il capo. – Sheetal si è messa in mezzo. Certo, ripensandoci quanto ha fatto è perfettamente logico. Ero io l’obiettivo, perché io, con il mio teletrasporto, ero la nostra libertà. – Sospirò. – Il confine era lì, a poca distanza, e l’abbiamo raggiunto prima che le guardie raggiungessero noi. Quello che è successo dopo è sfocato nella mia memoria. Credo di aver inconsciamente cercato un cosmo familiare; non so nemmeno quanto tempo abbia passato in quello spazio interdimensionale. Ho pregato la Devi, e lei deve aver risposto. Sono infine giunta qui. –

 Il silenzio scese sulla sala. Lady Saori si alzò infine in piedi. – Attenderemo il risveglio della tua compagna prima di prendere decisioni, - dichiarò solenne. Poi guardò Mu, come a dire: come sta la ragazza?

 - E’ stabile. La ferita all’addome è quasi completamente guarita. – Poi aggiunse, in tono più cupo: - Mi sarei aspettato che si fosse già svegliata. Eppure non accenna nemmeno a muoversi. –

 - E’ il veleno, - intervenne Rajani, catturando l’attenzione generale. – La lancia era molto probabilmente avvelenata. Il modo migliore per uccidere la Sacerdotessa di Durga è non combatterla affatto. –

 - Sheetal è immune ai veleni, - a parlare fu Shaka. – Maestra dei Veleni al Tempio della Devi, Sacerdotessa di Manasa tanto quanto di Lakashimi. –

 Rajani annuì, come a confermare la veridicità delle parole del cavaliere. – Arun ha con ogni probabilità preso una delle miscele divinatorie dal laboratorio di Sheetal: veleni potenti, mescolati assieme per essere istantaneamente letali. Sheetal li usa per entrare nello stato di coscienza alterata nel quale le visioni si manifestano. Quella lancia mi avrebbe uccisa sul colpo. – Rajani parlò con la furia nella voce. – Sadhira pagherà per le sue colpe. Lo giuro, pagherà. –

 Nella sua mente rivide l’espressione di Arun, quegli occhi scuri carichi d’odio per una donna che chiamava Maestra.

La voce di Mu riportò l’attenzione di Rajani ai presenti nella sala – non aveva ascoltato la domanda, ma udì perfettamente la risposta. Il viso del cavaliere della Vergine era imperturbabile mentre affermava: - Sheetal è mia sorella. –

 

 

 Sheetal meditava, immobile nella Padmasana, la posizione del loto.

 Sette ore erano ormai trascorse da quando si era seduta ai piedi di quell’albero – ma lei non se ne curava; la sua coscienza non prestava attenzione alle cose terrene: Lakashimi le stava mostrando il futuro.

 Sheetal era giovane; una sacerdotessa poco più che bambina. Di lei il popolo diceva fosse uno spirito divino, inviato da Shakti in Terra perché facesse la sua volontà. La amavano e la temevano, poiché lei era bellissima e terribile.

 Sheetal sapeva che la sua presenza suscitava soggezione, anche fino a incutere timore nelle persone. Per questo motivo amava sorridere – mettere a proprio agio coloro che la circondavano. Era solo umana, ed era giovane.

 Chiusa nella sua meditazione nulla in lei era umano.

 Le guardie osservavano con fascinazione e paura quella ragazzina immobile, circondata dell’alone dorato che era il suo cosmo; ed erano così rapiti da tanta potenza che inizialmente non notarono il movimento innaturale dell’erba attorno a lei. Quando finalmente videro la vipera era troppo tardi: già i denti velenosi affondavano nella sua carne.

 Sheetal spalancò gli occhi, allora, riprendendo contatto con la realtà. Abbassò lo sguardo ceruleo e la vide, lì, davanti a lei, con quegli occhietti che la fissavano come a dire: svegliati.

 Tutto era successo così in fretta che le guardie ebbero appena il tempo di trattenere il fiato. Poi lei allungò piano la mano, come in invito verso quel piccolo serpente mortale, e la trance venne spezzata.

 - Sacerdotessa! – Urlò Kanak, ma lei lo ignorò.

 La vipera non staccò gli occhi da quelli turchesi di lei; strisciò sulla mano tesa, quasi… docile.

 E allora le guardie compresero, perché il veleno di quel serpente già avrebbe dovuto averla uccisa.

 - Io ti vedo, - sussurrò lei alla vipera, e la sua voce non era roca, neanche dopo ore di meditazione immobile.

 Sheetal non aveva paura, perché Lakashimi le aveva mostrato ciò che sarebbe stato.

 Si alzò in piedi in un movimento fluido, la vipera quasi deferente sul palmo della sua mano. Sentiva il veleno in circolo, ma non era una brutta sensazione.

 - Io sono Sacerdotessa del Loto; Sacerdotessa di Lakashimi. – Pronunciò chiaramente.

 - E sono Sacerdotessa del Serpente; Sacerdotessa di Manasa. –



Ed eccomi dunque arrivata alla conclusione di questo mega-capitolone!

In questo momento mi trovo a Fisterre, in España. Devo dire che le vacanze aiutano positivamente il mio estro creativo… prova ne è questo capitolo!

Ma veniamo a noi. Come detto precedentemente, ho aggiunto del mio alla religione induista. Mi spiego: prima di tutto, non tutte le divinità chiamate in causa sono effettivamente forme della Devi – Manasa non lo è, per esempio; ne compariranno altre prima della fine della storia e, per dovere di cronaca, vi avvertirò man mano. In secondo luogo ho apportato una “leggera” modifica alla leggenda di Mahishasura: nella tradizione egli viene infatti ucciso da Durga, non imprigionato.

Oltre a questo, tutto dovrebbe essere abbastanza preciso. Non sapete che faticaccia capirci qualcosa! E’ davvero una religione complessa – ma, bisogna ammetterlo, affascinante.

Se vi vengono dubbi, o pensate che la storia diventi troppo complessa, non preoccupatevi: peggiorerà!!!

E il bello è che neanche scherzo. Pensate solo che ho considerato circa una quindicina di sacerdotesse, una decina di guardie e vari personaggi accessori. Ovviamente, poi, mica posso lasciare soli soletti i personaggi “classici”: ne succederanno delle belle!

Okay, ora posso fiondarmi nei ringraziamenti.

Grazie a tutti coloro che leggono e leggeranno questa mia storia, ed in particolar modo grazie ai recensori: vi sono immensamente grata.

charm_strange: sì, tutti tutti i Gold sono tornati in vita come hai potuto vedere; non ci posso far nulla, mi piacciono troppo! Grazie mille comunque!

data81: non preoccuparti, non l’ho presa come una critica! Spero che la storia continui a piacerti e ti ringrazio. Alla prossima!

JackoSaint: XD Ma graaaazie! Devo ammettere che l’anime mi ha condizionata molto, quindi io Milo me lo immagino con i capelli scuri; comunque il discorso non cambia… Atena ha capito tutto! Ad ogni modo nei capitoli a venire lascerò spazio a molti personaggi. Ho in mente delle caratterizzazioni un pochino diverse dal “normale”, forse OOC – ma se non facessi cose fuori dagli schemi non sarei io. Un bacione ad entrambe, alla prossima!

Cry Benihime: ma certo che puoi chiamarmi Bea-chan - è il mio soprannome preferito! Eh sì, immagino le battutine… Ma essere del segno di Shaka mette in paro. Spero che anche questo capitolo sia di tuo gradimento. Ciao ciao!!!

ashar: be’, alla fine sono riuscita ad aggiornare prima del previsto! Grazie mille, alla prossima!

winnie343: Shaka è fantastico, su questo non ci sono dubbi. Grazie mille, spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto. ^_^

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Capitolo 4
*** Bellezza Letale ***


E’ forse possibile che sia passato tutto questo tempo dal mio ultimo aggiornamento?! TT_TT

Mi sento repressa, ecco. Sì, perché tra università, impegni incombenti vari, progetti per la conquista del mondo e una serata fuori ogni tanto io… non ho tempoooo!

*Me va a fare i cerchietti nell’angolino*

Ecco.

Ad ogni modo! Eccomi di nuovo qui, che vi porto il quarto capitolo di questa ficcy-fiction.

Finalmente mi sono potuta cimentare con un po’ di Hindi! Non vedevo l’ora! Se qualcuno lì fuori parla Hindi e capisce che ho scritto terribili strafalcioni, per favore tenga i commenti per sé. U_U

Chiaramente sto scherzando. Io non capisco un’acca di lingua indiana, però sono un’esperta di Google Traduttore (XD), e credo di averci preso – perché ho fatto più di un controllo utilizzando la traduzione sia da Italiano che da Inglese. Per facilitare la lettura ho poi preferito mettere i segni fonetici piuttosto che quei simboli astrusi.

Io vi lascio per ora. Ci risentiamo nelle note di fine capitolo!

Buona lettura a tutti,

Bea-chan

Bleeding Sunset - Occhi di Tigre 

Capitolo 4 - Bellezza Letale

 

 La visione era ormai sfocata. Sentiva voci in lontananza, sensazioni nell’aria, respiri appena accennati; eppure, lentamente, stava tornando cosciente di sé.

No, è troppo presto! Devo vedere!  Tentò in un disperato istante di rimanere preda della visione.

 Sheetal sapeva che di lì a poco si sarebbe svegliata: già percepiva la sua mente riprendere contatto con il corpo – il torpore negli arti immobili, la stanchezza  permeata sin nelle ossa, il dolore all’addome.

 Aprire gli occhi non fu piacevole. La luce era intensa – troppo perché calde lacrime non le rigassero il viso – e passò quella che le parve essere un’eternità prima che riuscisse a dischiuderli nuovamente.

 Sheetal era confusa. Non si trovava nel suo letto; non si trovava al Tempio della Devi.

 La memoria le tornò a scaglioni ma, nonostante avesse ricordato la fuga, Sheetal non riuscì a riconoscere il luogo in cui si trovava.

 Il dove, decise riflettendoci, non le interessava molto. Qualsiasi posto era migliore del Tempio, e il solo fatto di trovarsi in un luogo sconosciuto significava che Rajani era riuscita a portarle in salvo. Ma Rajani dov’era? E quanto tempo era passato da quella fatidica notte?

 Sola e senza risposte, Sheetal fece l’unica cosa che le paresse sensata: attese.

 

 

  Milady, non crede forse che sarebbe opportuno per le nostre ospiti indossare la maschera tradizionale? – La voce di Aiolia spezzò il silenzio all’interno della sala.

 Due giorni erano trascorsi dal Chrysos Synagein e Lady Saori si era infine decisa a indirne un secondo. Attendere il risveglio dell’altra sacerdotessa si era rivelato logorante; la tensione era palpabile nell’aria stessa – quasi come se tutti non attendessero altro che un attacco nemico imminente.

 La riunione non era stata fino a quel momento molto proficua, tutt’altro, ma anche solo il pensiero di non starsene con le mani in mano aveva aiutato i cavalieri a risollevare gli animi.

 Rajani sollevò lo sguardo sul greco che aveva appena parlato. La domanda l’aveva lasciata alquanto sconcertata; non aveva idea di cosa parlasse. Aggrottò le sopracciglia, rivolgendo poi lo sguardo interrogativo a Shaka.

 Il cavaliere della Vergine appariva rilassato e imperturbabile come suo solito. Percepì chiaramente gli occhi di Rajani su di sé, ma non si mosse.

 Quando il silenzio si protrasse alcuni secondi, Rajani decise infine di vociare i suoi dubbi: - Se non sono troppo indiscreta, e visto che mi ritrovo ad essere soggetto di questa richiesta, qualcuno potrebbe gentilmente spiegarmi di cosa si tratta? –

 Dohko sospirò. E’ tradizione e legge, cominciò, che le donne del Tempio indossino una maschera per celare il proprio volto agli uomini. La maschera rappresenta il loro onore di guerriere; pertanto colei che mostrasse il proprio viso nudo ad un uomo sarebbe posta innanzi a una scelta: amare quell’uomo oppure ucciderlo, per poter riscattare l’onore perduto. Ad ogni modo, se mi è concesso, vorrei esprimere il mio dissenso: le nostre ospiti non sono affatto sacerdotesse della dea Atena, e pertanto non dovrebbero essere obbligate a seguirne le regole. –

 Rajani piegò la testa di lato, un’espressione confusa dipinta sul viso. – Non capisco. La vostra tradizione è bizzarra. Ad ogni modo non ho intenzione di nascondere il mio volto dietro ad una maschera per me priva di significato. Il mio onore non giace in un oggetto; piuttosto, potrei dire che si trova nei doni che la Devi mi ha concesso. – Sorrise, lo sguardo rivolto verso il cavaliere del Leone. Prima ancora che questi potesse aprire bocca per replicare, la ragazza riprese a parlare, un sorriso quasi divertito a piegarle la bocca.

  D’altro canto, in questa sala ci sono sedici uomini; sedici cavalieri che hanno visto il mio viso nudo. Se anche io iniziassi a vestire una maschera da questo stesso momento, cosa che ribadisco non ho intenzione di fare, quali scelte mi si porrebbero davanti? – Fece una pausa, come a pensarci su. – Dovrei forse uccidervi tutti, cavalieri?  Non credo che Milady ne sarebbe troppo felice. –

 Mentre Dohko tratteneva a stento una risata e altri cavalieri nascondevano sorrisi divertiti, Aiolia sbuffò rumorosamente.

  Credi forse di poterci uccidere tutti quanti? – La domanda proveniva da un Seiya piuttosto indispettito.

  Non saprei, cavaliere. Posso sempre provarci. –

 Il sorriso sarcastico non aveva abbandonato le labbra della ragazza. Perché poi provocare quel Seiya la divertisse tanto era un mistero.

  Hai idea di chi hai di fronte? O sei solo una folle? – Seiya pareva infervorato. Solo l’intervento di Shun e Shiryu gli impedì di alzarsi in piedi. Hyoga pareva piuttosto indifferente alla situazione. Come tutti gli altri, anche lui aveva colto l’ironia nelle parole dell’indiana. Lo stava provocando, e il siparietto se non altro era servito ad allentare un po’ la tensione.

 I cavalieri d’oro si scambiavano intanto sguardi tra il divertito e l’esasperato. Mu aveva appena un sorriso accennato sulle labbra mentre guardava ogni genere di espressione passare sul viso del cavaliere di Pegasus; Dohko aveva fatto crollare ogni pretesa di serietà e sghignazzava senza ritegno; persino Camus sorrideva un poco.

 Rajani rimase impassibile. – E tu, cavaliere? Tu sai chi hai di fronte? –

  Ora basta per l’amor del cielo! – La voce squillante di Saori riportò una parvenza d’ordine nella sala. La giovane sospirò. – Non posso imporre la legge del Santuario alle nostre ospiti. Questo è quanto. –

  Milady, questa donna ha appena insultato l’ordine dei cavalieri! –

  Insultato? No, affatto. Seiya, io non ho mai detto che i cavalieri della dea Atena non hanno valore. Perché dovrei farlo? Sarebbe una palese menzogna. Tu travisi le mie parole; nemmeno ho mai insinuato di essere effettivamente in grado di uccidervi tutti quanti. –

  Ah no? Bèh, a me è sembrato il contrario! –

 Rajani si lasciò scappare una risatina. – Noto. –

  Questo è un affare serio! Se ti senti tanto sicura di te stessa perché non dimostri il tuo di valore? –

 Quella sfida, se così poteva essere definita, ebbe il potere di farla divenire improvvisamente seria. Un’ombra scura passò nei suoi occhi d’ambra, puntati intensamente in quelli del cavaliere. – No. –

  Come? – Seiya parve spiazzato dalla risposta secca che, chiaramente, non si aspettava.

  Io combatto per la mia dea, cavaliere, non per la gloria personale. Di quella non me ne faccio niente. –

 Seiya sbuffò rumorosamente, ma parve tranquillizzarsi un po’. Stava per replicare, quando qualcosa gli fece morire le parole in gola: un cosmo di grandi dimensioni parve esplodere e placarsi tutto in un istante.

 A Rajani bastò quell’istante per scattare in piedi, gli occhi sbarrati e una sola parola in gola: - Sheetal! –

 

 

 Sheetal li percepì arrivare. Molte persone, molti passi – affrettati, rumorosi. Tra tutti riuscì chiaramente a discernere Rajani – il suo cosmo era in tumulto, forte e caldo e agitato. Sheetal sorrise, perché Rajani era salva e stava bene. Percepì, stranamente, l’energia che riconobbe subito appartenere a Shaka.

 Il sorriso si accentuò sulle labbra della bionda. Interessante, pensò.

 Fu così che la trovarono quando di colpo Rajani spalancò la porta: immobile nella posizione del loto, sul letto, i lunghi capelli che le coprivano le spalle e le braccia come un velo d’oro e un sorriso a ornarle il volto pacifico. Era una visione quasi angelica, nonostante l’aspetto poco curato dovuto ai lunghi giorni di sonno ininterrotto.

 La somiglianza con Shaka era impressionante, notarono in molti. Solo quando lei aprì gli occhi e li guardò uno per uno, senza smettere di sorridere, tutti poterono ammirare i suoi occhi blu screziati di verdemare, così diversi da quelli del fratello. Circondati da ciglia lunghe, di quel turchese così intenso e vivo, risaltavano incredibilmente su quel viso pallido – forse troppo, dopo oltre due giorni senza cibo.

 Con gli occhi puntati in quelli d’ambra dell’amica di una vita – che, intanto, la fissava come paralizzata – e le labbra ancora distese in un sorriso, Sheetal non si curò della stanchezza intensa che le pervadeva tutto il corpo. Sollevare le braccia le costò fatica, ma lo fece, e Rajani vi si fiondò senza più esitazioni. Abbracciandola stretta, gli occhi ora umidi, la rossa affondò il viso nell’incavo del collo di quella che considerava una sorella – se non di sangue, almeno di vita.

  Isē phira sē mata karanā *, – sussurrò, il suono attutito dalla massa di capelli biondi. Alzò il viso, puntando i suoi occhi di brace in quelli turchesi di Sheetal, e ripeté più forte: – Āpa isē phira sē karanē kī him’mata mata karō! **

[* Non farlo mai più]
[** Non osare farlo mai più!]

 La risata che fuoriuscì dalla gola della bionda fu roca e dolorosa. Immediatamente le venne versato un bicchiere d’acqua da uno dei cavalieri – quello che Sheetal notò immediatamente in lui furono i gloriosi capelli violacei e i due splendidi occhi verdi, illuminati di gentilezza.

  Grazie, si sforzò di dire.

 Bevve a piccoli sorsi. L’acqua non era fredda, ma la sensazione di sollievo che diede alla sua gola arida fu paradisiaca.

 Quando il bicchiere fu vuoto lo posò sul comodino, sentendosi subito meglio – per lo meno non provava più quel fastidioso senso di vertigine.

  Shaka, ti trovo bene, la voce le uscì ancora un po’ debole, ma parlare non le causò dolore.

 Il cavaliere di Virgo si avvicinò al letto sul quale ancora lei e Rajani erano sedute. Le posò una mano sulla testa, donandole una piccola carezza. – Non posso dire altrettanto. –

  Suvvia! Mi hai vista in condizioni peggiori. –

 Shaka sospirò. – Vero. –

  Come ti senti? La ferita? – Intervenne Rajani.

 Sheetal ci pensò un istante. – Intorpidita direi; stanca, dolorante e con un disperato bisogno di una doccia. Tutto sommato potrei stare peggio. La ferita è… guarita, credo. – Aggrottò le sopracciglia, portandosi una mano al ventre. La blusa che indossava era squarciata e incrostata di sangue, ma la pelle al di sotto era perfetta e chiara, nemmeno una cicatrice a rigarle la carnagione. – Quanto tempo è passato? –

Due giorni circa. –

 Sheetal sospirò. – Questo spiega perché mi sento così esausta. Chi debbo ringraziare per questa? – Accennò verso il proprio ventre.

  Il cavaliere dell’Ariete ti ha curata, – Shaka le indicò il ragazzo che poco prima le aveva porto l’acqua.

 Sheetal gli sorrise. – Hai la mia riconoscenza, cavaliere. –

  Dovere. –

  Le presentazioni posso attendere. Ora hai bisogno di darti una sistemata e mangiare qualcosa, non trovi? –

 Sheetal annuì verso l’amica. Sì, ne aveva davvero bisogno.

 

 

 La doccia fu per lei una mano santa. Solo la voce di Rajani la convinse ad uscirne, quando annunciò che il suo pasto era arrivato. Pranzarono assieme, e Rajani le raccontò quanto si era persa durante la convalescenza.

 Sheetal rise di gusto quando l’amica le parlò delle sue impressioni sui cavalieri e su Atena, cercando di associare ai nomi un volto tra quelli che aveva visto. Scoprì così che Milo di Scorpio era un galantuomo che aveva fatto arrossire d’imbarazzo Rajani con un baciamano, che Mu dell’Ariete era sempre gentile e pacato, che Aldebaran del Toro faceva impressione per la sua stazza, ma era in fondo un tenerone.

 Continuarono a parlare scherzosamente per ore, mentre Rajani le spazzolava i capelli o insieme cercavano una veste decente da farle indossare in un mondo di pizzi e merletti.

 Il Chrysos Synagein era stato aggiornato a quella sera stessa.

 

 

 Fu Shaka a passare a prenderla. Sheetal aveva approfittato del tempo da sola per meditare e recuperare un po’ le forze. Rajani era tornata, qualche tempo prima, nelle stanze che stava occupando. Anche lei aveva bisogno di darsi una sistemata – la veste che aveva indossato quella mattina, anche se modesta, le dava terribilmente fastidio – o almeno così aveva detto.

  Namasté Shaka. – Ancora immobile nella Padmasana, Sheetal salutò il fratello appena entrato. Gli dava le spalle, seduta a terra e rivolta verso la grande finestra della stanza.

  Namasté. –

 Lei sorrise tra sé e sé mentre si alzava in piedi. – Certo che ne è passato di tempo, fratellino, però non sei cambiato molto. Potresti anche darmi un abbraccio, sai? –

 Lo abbracciò lei di slancio, quasi prendendolo alla sprovvista. Con le forze che aveva recuperato lo strinse quanto più poteva – nonostante il metallo lucido dell’armatura di lui fosse rigido e freddo.

 Sheetal amava suo fratello. Tra di loro era sempre stata lei quella più affettuosa, quella meno distaccata; tuttavia, nonostante l’apparente freddezza di lui, la bionda sapeva che il suo affetto era contraccambiato.

 Shaka esitò un istante prima di ricambiare il gesto. Sheetal gli era mancata; lei era tutta la famiglia che aveva, e una delle poche persone al mondo che contassero davvero.

  Mai tumasē pyāra karatā hūm̐ bhā’ī, kyā tuma jānatē hō? – [Ti voglio bene fratello, lo sai vero?]

 Mai tumasē pyāra bhī bahana. – [Ti voglio bene anch’io sorella.]

 

 Rajani era già fuori dalla porta della sua stanza quando assieme passarono a prenderla. Sheetal si bloccò di colpo alla sua vista, gli occhi sgranati e il respiro mozzato in gola.

 – Quel sari… – Si avvicinò all’amica rapidamente, facendo poi correre la mano sulla seta rossa ricamata d’oro, quasi con riverenza. Sheetal sorrise all’espressione confusa di Rajani. – Ti sta a pennello. –

 – Grazie. – La rossa aggrottò le sopracciglia.

 – Shaka ha fatto bene a darlo a te. – A Sheetal venne da ridere all’espressione scioccata di Rajani. – Non lo sapevi eh? –

 – No… – Si voltò verso Shaka, meravigliata, ma il suo viso impassibile non le diede le risposte che cercava. Ma… stava forse arrossendo? Shaka? La sua carnagione chiara non poteva nascondere il pallido rossore che gli colorava le guance. Sheetal rise ancora più forte nel notarlo. Quando, due imbarazzanti minuti dopo, riuscì a tornare sobria, la ragazza donò un sorriso raggiante ai due.

 – Apparteneva a nostra madre, sai? Lei… ti somigliava, un po’. Ti sta d’incanto. –

 Rajani non trovò le parole per replicare. Aprì e chiuse la bocca, la mente in tumulto. Shaka le aveva regalato un sari meraviglioso. Shaka le aveva regalato un sari meraviglioso che apparteneva a sua madre. Arrossì profondamente quando finalmente afferrò il significato di quelle parole, sussurrando un “Dhan’yavāda *” appena udibile.

[* Grazie]

– Lei avrebbe apprezzato, – sentenziò infine Shaka. Sheetal annuì, ripensando alla dolce bellezza della madre. La sua perdita era stata una grande tragedia.

Si avviarono con passo tranquillo, avvolti in un piacevole silenzio. Fuori dalle finestre il tramonto illuminava d’arancio il paesaggio; l’aria era fresca e sapeva di salsedine.

 Sheetal rimase stupita dalla magnificenza della Tredicesima casa. Apprezzò ogni ricco dettaglio – notando come i cavalieri in armatura d’oro non stonassero affatto con l’ambiente.

 L’ingresso dei tre portò il silenzio nella sala; e, mentre Sheetal si guardava attorno curiosa, tutti poterono notare come il suo aspetto fosse cambiato da poche ore prima. Le energie le erano tornate, assieme a un po’ di colore e freschezza.

 Sheetal era alta, più di Rajani che al contrario si poteva dire piuttosto minuta. La semplice tunica bianca che indossava non valorizzava particolarmente il suo fisico, e tuttavia lei sembrava irradiare luce. Era bella e, se non per gli occhi, somigliava in modo impressionante a Shaka.

 Le presentazioni furono veloci e prive di convenevoli; tutti fremevano nell’attesa delle informazioni che la sacerdotessa avrebbe potuto fornire. Fu nuovamente Lady Saori a chiederle di presentarsi, proprio come giorni prima aveva fatto con Rajani.

– Il mio nome è Sheetal, Alta Sacerdotessa della Mahadevi sotto le forme di Lakashimi e Manasa, Maestra della Divinazione e dei Veleni nel Sacro Tempio di Varanasi. –

Si accomodarono su seggi posti lì per l’occasione, e il Chrysos Synagein poté iniziare.

– Vorrei premettere, – cominciò Sheetal, – che sono davvero spiacente di non potervi dare molti dettagli. Il mio occhio è stato offuscato per l’intera convalescenza a causa della necessità del mio corpo di guarire. Le visioni, – scosse la testa, come ad enfatizzare il punto, – erano confuse. Molte sensazioni, immagini sporadiche, voci che rammento a malapena. Ho visto alcune cose che sono già state: l’omicidio di Avani, la resurrezione di Mahishasura, persino alcuni fatti legati alla nostra infanzia. Ora che ci ripenso, ho visto Shaka più volte. – Fece una pausa, ponderando le parole. – Cose di poco conto. –

– E del futuro Sheetal? Cosa hai visto del futuro? –

– Ho visto una bambina. – Nel pronunciare quelle parole, Sheetal aprì la sua mente. L’immagine di una bimba si fece largo nei pensieri di chi, come Rajani, era in grado di leggere la mente. Poteva avere forse tre, quattro anni, piccola com’era; era graziosa, con le guance paffute e la carnagione baciata dal sole; i lineamenti erano chiaramente orientaleggianti, probabilmente indiani, incorniciati da ciocche di un biondo rame molto scuro, quasi castano chiaro. Quello che colpì Rajani furono però gli occhi: grandi, espressivi e colorati d’ambra.

L’immagine svanì rapidamente, mentre le barriere mentali di Sheetal tornavano al loro posto.

– Cosa significa? – La domanda veniva dal cavaliere dell’Ariete, Mu.

La bionda scosse la testa. – Non saprei. So che il futuro legato a quella bambina è prossimo, nient’altro. –

– Dovremmo forse cercare questa fantomatica bimba? –

– No, Milo, non ce ne sarà alcun bisogno. Alcuni futuri sono variabili, incerti; ma non questo. Sarà lei a venire da noi, in un modo o nell’altro. –

– E cosa dovremmo fare allora? Attendere immobili che il nemico ci attacchi? – La voce di Kanon di Gemini era colma d’impeto.

Rajani scosse il capo. – Il problema più grande al momento è un altro. – Prese un respiro. – Sheetal, hai visto Visala? –

La bionda sgranò gli occhi, ora colmi d’orrore. – No. –

– E’ come temevo. Spero davvero che stia bene… Non me lo perdonerei mai se le accadesse qualcosa. –

Sheetal prese un respiro profondo, chiudendo gli occhi, un’espressione di sofferenza dipinta sul volto. – Deve stare bene. Deve. –

L’altra annuì, niente affatto convinta.

– Ciò che devo fare è tornare nello stato divinatorio. Yaha lānata hai!* Sarebbe tutto molto più semplice se avessi i miei veleni. – Scosse nuovamente la testa. – Ma va bene. Sarà solo molto più estenuante. –

[*Dannazione!]

Rajani annuì ancora, la mente piena di possibilità – molte delle quali niente affatto piacevoli.

– Se è un veleno quello che ti serve, – la voce apparteneva, notò Sheetal, al cavaliere dei Pesci, – non hai che da chiedere, e ti sarà dato. – Un sorriso cupo gli incurvava le labbra lucide; aveva un’aria sinistra. – Sono alquanto curioso, sacerdotessa. Sarà forse vero che il tuo corpo resiste ad ogni veleno? O perirai anche tu, sotto il potere delle mie rose? –

Sheetal sollevò un sopracciglio. – Rose? Di solito favorisco i serpenti, ma potrebbe rivelarsi interessante. Spero solo che il veleno di cui parli sia abbastanza potente cavaliere, o sarà tutto inutile. –

La risata di Aphrodite rimbombò nella sala. – Abbastanza potente dici? Staremo a vedere. –

Rajani sorrise, risollevando il capo. – Grazie cavaliere. Ci hai risparmiato giorni di meditazione. – Sheetal annuì a sua volta verso il cavaliere della Dodicesima casa. Era pensierosa; sperava davvero che tutto sarebbe filato per il verso giusto.

 

 

Fu quella sera stessa che Rajani e Sheetal si trasferirono nella Sesta casa. Nonostante le iniziali proteste di Saori, l’imbarazzo di Rajani e l’eventuale ilarità generale, Sheetal era stata adamantina. Non si vedevano da anni, per amor di Shakti!

Shaka non aveva aperto bocca nella discussione. In fondo, l’idea di averle vicine non gli dispiaceva.

L’unica camera libera della Casa della Vergine era un ambiente luminoso e ordinato – come, d’altro canto, lo erano le altre stanze. I mobili di legno chiaro e le lenzuola pulite profumavano piacevolmente d’incenso; il letto era forse un po’ piccolo per due persone, ma avevano dormito in condizioni peggiori.

Rajani pensò che tutta la casa fosse un po’ asettica. D’altro canto, Shaka possedeva poche cose.

La parte preferita della ragazza era senza dubbio lo Sharasoju. La finestra della camera da letto si affacciava su quel piccolo angolo di paradiso – a quella vista, Rajani si era sentita mancare il fiato.

Lo aveva immaginato: bellissimo e circondato di luce quasi divina, in quell’armonia colorata, meditare pacificamente. A quel pensiero, sentì di stare arrossendo.

Si diede automaticamente della sciocca, scuotendo la testa per liberarla da quella… deliziosa immagine. Al ché, arrossì ancora di più.

Mērī dēvī ōha!*

[*Oh, mia Dea!]

 

 

 

Fatto!

Ah che bello tornare a scrivere dopo così tanto tempo. Davvero, dà un senso… liberatorio.

Allora, come vi sembra Sheetal? Simpatica la ragazza, vero?

Mi ero ripromessa di aggiungere qualche piccola annotazione a fine capitolo, ma ho già dimenticato cosa volessi scrivere. Ehm… Dunque…

Ah, okay, ci sono.

La prima cosa riguarda il personaggio di Aphrodite. Sarò sincera: a me sta veramente sulle balle. E, appurato questo, penso che l’Aphrodite che troverete in questa fanfic sarà molto… OOC. Un po’ più Albafica, per intenderci. Non lo stravolgerò totalmente, ma le differenze si noteranno.

Sono estremamente indecisa. Sì, perché credo che dovrò rimandare ciò che avevo pianificato per il prossimo capitolo a quello dopo ancora. Oh mannaggia!

Un’altra questione della quale volevo parlare – me ne sono ricordata, yuppi – riguarda le prossime date di aggiornamento. Proverò, ma non so se riuscirò, ad aggiornare una volta a settimana (scrivendo nei finesettimana, diciamo). Spero davvero di trovare il tempo! Le idee, per fortuna, non mancano.

Ora! Capisco che le descrizioni che faccio possono essere spesso un pochino astratte. Ho pensato quindi di integrare la storia con qualche… immagine, diciamo. Vi propongo qui sotto alcuni link a immagini di vari elementi, così come li ho pensati io, più o meno:

·         Questo è il “tatuaggio” sulla schiena di Rajani (certo, immaginatelo in colori molto più tenui – bianco, oro e appena un po’ di rosso): http://www.tattoodesigns123.org/wp-content/uploads/2009/10/Tiger-Tattoo-Design.jpg

·         Questo è invece il sari: http://s.chakpak.com/se_images/245068_-1_564_none/karishma-kapoor-in-red-saree-wallpaper.jpg

 

 

Dunque! Visto che ho terminato gli argomenti con i quali tediarvi, passiamo a rispondere alle recensioni:

JackoSaint: XD Ma sapete che fate morire dal ridere? No, davvero. Leggere le vostre recensioni è uno spasso! Che Shaka sia divino ormai è appurato, ya ya. Ad ogni modo grazie mille, siete un grande incoraggiamento a continuare a scrivere. ^_^

(Tra parentesi, non credo che Shura avrà una grande parte in questa fan fiction – a meno di un cambio drastico di piani. Anche se forse…)

Cry Benihime: grazie mille! Le mie ricerche le ho fatte in giro per la rete. In Italiano si trovano poche cose purtroppo, ma se spulci i siti inglesi trovi il mondo!  Se vuoi ti posso consigliare qualche sito bellino bellino, sì sì.

winnie343: Rajani ha decisamente un bel caratterino! Aspetta di vederla arrabbiata, è una furia! XD Capisco che possa essere un po’ difficile inizialmente, ma con l’andare dei capitoli le cose dovrebbero chiarirsi. Seiya è il mio… come dire… mezzo per dare spiegazioni. E’ il perfetto candidato per fare l’imbecille! Sarai contenta di sapere che Camus avrà una gran bella parte andando più in là. ;-) Aspetta e vedrai! Grazie mille comunque.

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Capitolo 5
*** La Portatrice del Vero ***


Ah che bello, nonostante tutto sono riuscita a rispettare la scadenza che mi ero prefissata!

Questo è stato un capitolo un po'... sofferto, direi.

Bèh! Vi lascio alla lettura.

Un salutone,

Bea-chan


Bleeding Sunset - Occhi di Tigre

Capitolo 5 - La portatrice del vero

Rabbia.

La donna lanciò un urlo – sentiva il sangue ribollire nelle vene, lo stomaco bruciare, il sapore dell’acido in gola.

Fuggita.

Come? Come aveva quella piccola sciocca eluso le guardie?

Qualcuno l’avrebbe pagata. Sì, qualcuno – e quella persona non sarebbe stata lei.

 

La visione cambiò rapidamente. Il volto sfigurato dall’ira di Sadhira lasciò il posto a quello di una piccola bambina dai grandi occhi d’ambra – occhi sbarrati dall’orrore.

 

Dolore. Perché? Perché lei?

Quel male lancinante le aveva paralizzato il corpo, la bocca piegata in un urlo silenzioso, il viso madido di sangue. Dagli occhi sgranati e iniettati di rosso uscivano grosse e calde lacrime; non le sentiva bruciare.

Tutto quello che riusciva a concepire era il dolore.

 

Ancora, velocemente, quell’immagine raccapricciante si dissolse.

 

Due uomini, due gemelli. Avevano la pelle baciata dal sole, i capelli del colore della pece, gli occhi scuri e carichi d’odio.

Gridavano qualcosa – ma sentirli era impossibile. Gridavano, i visi contratti dall’ira. Gridavano e, sullo sfondo, la prima delle tredici case si stagliava imponente.

 

Rajani osservò. Con la sua mente vide immagini future susseguirsi l’una all’altra; con gli occhi vide il viso di Sheetal riflettere mille emozioni – angoscia, rabbia, paura, sdegno. Calde lacrime le rigavano il viso cereo; teneva gli occhi chiusi, per aiutare la concentrazione; ma Rajani sapeva che, avesse potuto leggerli, sarebbero stati solo specchi di dolore.

Riemerse dal suo inconscio con un respiro affannato – come chi, nell’affogare, riusciva finalmente a prendere una tanto agognata boccata d’aria.

Sheetal sentiva il suo cuore martellarle freneticamente nel petto; il suo corpo era preda di violenti spasmi, gli occhi sbarrati e bagnati di lacrime.

Rajani le fu accanto in un istante. La abbracciò, forte, come faceva sempre dopo una trance – e lei si accasciò come spenta tra le sue braccia, esausta e dilaniata da quelle forti sensazioni.

Svenne.

Rajani chiuse gli occhi, prendendo un profondo respiro. Adagiò piano, dolcemente, il corpo dell’amica sull’erba morbida del giardino. Accanto, dimenticato, giaceva il calice di cristallo entro il quale Aphrodite aveva portato il veleno sino a lì – nella Sesta casa, dove Sheetal l’aveva bevuto senza esitazione.

Shaka era alle sue spalle. Rajani valutò che lui non aveva probabilmente mai assistito ad una visione della sorella.

– E’ sempre così? – La domanda venne da Mu; il ragazzo era a pochi passi da loro, e guardava insistentemente la bionda assopita a terra. Poco distante, gli altri cavalieri apparivano piuttosto sconcertati.

Rajani sorrise, sperando di apparire rassicurante. – Sì e no. Le visioni sono sempre intense, poiché Sheetal non si limita a vedere: lei sente. Però, – scosse il capo, – questa volta le sensazioni erano molto violente. –

Rajani si accomodò sull’erba, al fianco della ragazza. Incrociò le gambe in un movimento fluido, assumendo per abitudine la posizione del loto. Con gesti lenti e dolci passò le dita tra i lunghi capelli d’oro di lei, carezzandola come una madre farebbe con la figlia.

Shaka si sedette sull’erba accanto a lei; così fece anche Mu.

Si rilassò pian piano.

Che situazione piacevole, pensò Rajani. Lo Sharasoju risplendeva della luce del giorno; il vento era fresco e leggero contro la sua pelle calda, e lei sedeva in quello splendore, ormai serena, circondata da bellissimi uomini – e da Shaka. Le venne quasi da ridere.

Gli altri li avevano raggiunti a scaglioni e, chi qua, chi là, si erano anche loro seduti sull’erba fresca. Rajani chiuse gli occhi, alzò il capo verso il cielo e prese un profondo respiro.

Svegliati, pensò. Svegliati sorella mia, e goditi anche tu questo sole.

Con la mano che non stava carezzando il capo della bionda prese a stuzzicare i petali rossi di un fiore, sorridendo.

Il silenzio si protrasse qualche minuto – ma a Rajani andava bene così. Le piaceva quel suono muto.

Sheetal dischiuse infine gli occhi turchesi. Un profondo senso di pace si era impossessato del suo corpo – si accorse di essere circondata da molti cosmi sereni. Si levò a sedere, stiracchiando un po’ i muscoli intorpiditi.

– Bentornata tra noi, bella addormentata, – commentò ridacchiando l’amica.

Una smorfia si dipinse sul suo viso. – Odio le visioni così pregne di emozioni. Mi stremano. –

Ci fu una pausa.

– Conoscete quelle persone? –

Rajani annuì in risposta alla domanda di Mu.

– La donna infuriata; quella è Sadhira, la Grande Sacerdotessa. Ciò che ho percepito è stata una forte ostilità e un grande senso di vendetta. Ma anche paura. Qualcuno fuggirà e lei non potrà impedirlo. – Sheetal sospirò, scaricando il peso sulle braccia in una postura meno composta. – La bambina, quella con il viso insanguinato, è la stessa che avevo già visto. Nella mia visione… lei muore. E quel dolore, – scosse il capo, come a liberarlo da un pensiero angosciante, – è stato atroce. –

Rajani annuì. – I due uomini sono Arun e Ashwini, i miei allievi. A quanto pare avremo visite. – Un sorriso triste si delineò sulle sue labbra; chiuse gli occhi. – Prego con tutto il cuore di non essere costretta a  ucciderli, – sussurrò.

– Quindi, – la bella voce del cavaliere dei Pesci si levò nell’aria, – il mio veleno ha avuto l’effetto sperato. –

Sheetal gli sorrise. – Sì, ti ringrazio. Era perfetto. –

Aphrodite era seduto sul prato in una posa studiata – una gamba distesa, l’altra piegata verso il corpo, le braccia a circondarla. Nonostante tutto, sembrava rilassato.

Annuì elegantemente con la testa. – E’ stato un piacere. – Sorrise. – Saresti una degna avversaria, sacerdotessa. La tua resistenza è sbalorditiva. –

Sheetal non riuscì a trattenere una risata. – Ti sbagli cavaliere, non lo sarei affatto! Io non sono una guerriera. Uso in altro modo i doni che la Devi mi ha concesso. –

– No? – La domanda stupita proveniva dal cavaliere di Pegasus.

Sheetal scosse la testa. – Non siamo una casta guerriera. –

– E allora la fantomatica Sacerdotessa di Durga? – Seiya sorrise divertito.

– Seiya! –

– Che c’è? – Shun scosse la testa sconsolato, rivolgendo un’espressione spiacente verso Rajani.

– Io sono Maestra delle Armi e Capo della Guardia. Credevo questo fosse chiaro. –

Seiya rise. – Sì, credo che dopo la centesima volta che me lo sento ripetere questo sia chiaro. –

Rajani sorrise a sua volta. Non era troppo male quel ragazzo. A volte. Un po’ lento magari…

– E così hai avuto degli allievi, sei una maestra! –

Rajani sorrise verso Shun, annuendo di rimando.

– Sei così calma e pacata, l’allenamento con te deve essere stato una pacchia, ecco. – Seiya gonfiò le guance indispettito.

Sheetal scoppiò a ridere. – I gemelli non la pensano così. –

Rajani sorrise tristemente. – Già. –

Fu confortante sentire, alle sue spalle, il cosmo di Shaka avvolgerla dolcemente.

 


 

– Sarta? –

La donna annuì energicamente. – Penelope, molto moltissimo piacere! –

Sheetal guardò Rajani, insicura di aver bene compreso la situazione.

– Il piacere è nostro, signora Penelope. Il mio nome è Rajani, e questa è Sheetal. – Sorrise conciliante; in realtà, neanche lei sapeva che pesci prendere.

– Suvvia suvvia, cosa aspettiamo!? Misure misure! –

Quella furia di donna le trascinò letteralmente all’interno della camera.

Solo pochi minuti prima Medea, la cameriera, era giunta alla Sesta casa; Lady Saori le convocava urgentemente alla Tredicesima per affari importanti, apparentemente.

Già, apparentemente.

Sheetal si ritrovò in un batter d’occhio mezza nuda su una pedana. La signora, armata di metro, aveva un’aria vagamente minacciosa.

– Signora Penelope, ci spiega cosa sta accadendo? E’ questo l’affare urgente per il quale siamo state convocate? – Rajani usò un tono calmo, come parlasse con uno squilibrato mentale.

La donna non rispose, borbottando tra sé e sé numeri incomprensibili.

– Dovete scusare mia madre. –

Rajani si voltò verso la porta d’ingresso. Medea sorrideva imbarazzata. Tra le mani portava un grosso  e pesante raccoglitore di cartone.

– Medea! –

La ragazza posò il fardello su un tavolo basso.

– Lady Saori manda le sue scuse per non aver potuto adempiere al suo dovere di ospite abbastanza presto. Ad ogni modo, doveste necessitare di qualunque cosa, potete chiedere a me e mi premurerò di aiutarvi al meglio. –

Rajani sbatté le palpebre. Non sapeva se essere più scioccata o divertita dalla situazione.

– Ti ringrazio ma va bene così. Tutto questo, – e indicò la pedana sulla quale Sheetal sembrava un condannato a morte, – non è davvero necessario. –

Medea ridacchiò. – Lady Saori pensa che lo sia. –

Rajani annuì, sconsolata. Presto sarebbe toccato a lei.

– Oh che bello! Non vedo l’ora, non vedo l’ora! Vi piace lo chiffon vero? Oh, sì che vi piace. E la seta, e il raso! Organza, ci vuole dell’organza… –

Che la Devi ci protegga!

 


 

La sera tardò fin troppo ad arrivare per le due sacerdotesse – alle prese con una mostruosa sarta esaltata.

Quando ripresero la discesa verso la Sesta casa era già calato il buio. Rajani doveva ammetterlo: la vista del Tempio di Atena sormontato dalla volta stellata era estremamente suggestiva. Riusciva a sentire, in sottofondo, il rumore delle onde schiantarsi contro le pareti rocciose del promontorio. L’aria era fresca e pungente, e sapeva un poco di salsedine.

Rajani non aveva mai visto il mare – ma lo immaginò nella sua mente, maestoso e immenso. Respirò a pieni polmoni mentre scendeva i gradini della scalinata. Aveva appena passato la Settima casa, il cui custode non si trovava alla Tredicesima nonostante quegli alloggi gli spettassero in qualità di Gran Sacerdote; Dohko l’aveva trattenuta qualche minuto con le sue chiacchiere, scherzando sulla presunta solitudine di un vecchietto decrepito come lui – Rajani aveva così scoperto della veneranda età di quello che, apparentemente, avrebbe potuto essere scambiato per un diciottenne qualsiasi.

Entrò da sola nella casa della Vergine – Sheetal si era fermata alla Dodicesima; l’aveva lasciata mentre parlava amabilmente con Aphrodite.

Già percepiva l’energia serena del tempio avvolgerla.

Shaka era nello Sharasoju, lo sentiva. Lo raggiunse in silenzio, muovendosi piano.

Quando lo vide, il cuore le si strinse in petto.

Perché? Perché doveva essere così eternamente bello?

Lo trovò così, sdraiato nell’oscurità del suo giardino.

E’ forse un’impressione quella luce dorata che vedo abbracciargli il corpo? No, no, non lo è. Lui riluce perché è una stella – sì, come le stelle che lo fissano così intensamente. Sono rapite anche loro come lo sono io? Ah, miserabile!

Perché cuore? Non fermarti così. Sai che ne soffrirai ancora di più! Quando me ne andrò… Sarò dilaniata. Lui è la mia stella; la luce che desidero, oh!, così intensamente.

Te lo ricordi Raja? Ti ricordi quando se n’è andato? Oh Devi, ricordi quel dolore sordo, proprio lì, nel petto? Allora non sapevi cosa fosse; ma ora lo sai.

– Rajani. –

– Shaka. – Gli sorrise, anche se lui non poteva vederlo.

Si sdraiò lì, sull’erba accanto a lui, e quell’inebriante profumo di fior di loto e sandalo la avvolse completamente.

– Che notte splendida, – sospirò chiudendo gli occhi.

Lo era davvero: non una nuvola oscurava le stelle, e tutto il firmamento risplendeva più brillante che mai dall’alto della volta celeste. C’era quel tanto di luce che bastava a distinguere il profilo perfetto di Shaka – privarsi di quella vista le riusciva difficile, e risollevò le palpebre immediatamente.

Voltò il viso verso di lui, e lo scoprì intento a guardarla. I suoi occhi erano scuri nella notte, così profondi, e Rajani sentì il suo cuore aumentare i battiti.

Shaka tornò a guardare il cielo.

– Quella, – indicò un vasto gruppo di stelle brillanti, – è la Vergine. –

La ragazza sorrise. – Sì. E’ bellissima. – Fu poco più di un sussurro.

Calò il silenzio, ma fu piacevole. Rimasero lì, nella notte fresca, a bearsi di quel momento pacifico.

Rajani percepiva chiaramente il calore del corpo di lui.

– Mi chiedo se tutto avrà davvero un lieto fine. – Sospirò.

Shaka si girò su un fianco, verso di lei. Erano così vicini…

– Abbi fede Raja, Shakti è con te. –

La ragazza annuì, gli occhi persi in quelli di lui. Piano, con una mano quasi tremante, gli posò una carezza leggera sul viso.

– Grazie. –

Sospirò quando lui ricambiò il gesto, sfiorandola con la punta delle dita. Quello che fece dopo fu inaspettato: le circondò la vita con il braccio che non sorreggeva il suo peso e l’attirò a sé, in un abbraccio caldo e confortante. Rajani si ritrovò persa in quell’armonia di profumi e sensazioni; sentire il calore del corpo di Shaka a contatto col suo, la sua energia, così limpida, circondarla, il respiro di lui che si perdeva tra i suoi capelli… Si emozionò. E, mentre con la mano gli carezzava una spalla lasciata nuda dalla tunica, si commiserò.

Perché in quel momento si rese davvero conto di essere completamente, follemente, innamorata di Shaka.

 


 

Passeggiare per il Tempio di Atena in compagnia di Sheetal era piacevole.

Quando, quella mattina di buon’ora, erano discese fino alla Prima casa, avevano incontrato un bel sole e i sorrisi gentili dei cavalieri – bèh, di alcuni per lo meno.

Passarono per la piazza che, scoprirono, era abbastanza popolata. Da lì presero uno dei vialoni laterali: si ritrovarono in una zona semiboscosa, dove piccoli alloggi sorgevano a grappolo.

Continuando si imbatterono in molte persone – la maggior parte delle quali non si trattenne dal guardare curiosamente le due donne che passeggiavano col volto scoperto. Non sembravano servitrici, non dal loro portamento; e nemmeno guerriere, perché della maschera non c’era traccia. E dunque?

Sheetal e Rajani ignorarono gli sguardi e proseguirono, parlando amabilmente del più e del meno. Si fermarono, ad un tratto, guardando curiosamente l’arena che sorgeva sul terreno sottostante al pendio sul quale si trovavano.

Dall’alto potevano vedere due donne combattere furiosamente, un piccolo gruppo di ragazzini a guardarle con ammirazione.

Rajani notò subito la precisione dei loro gesti e la ferocia dietro agli attacchi – nonostante, e di questo era certa, non stessero combattendo al loro meglio.

– Niente male, – commentò. Sheetal annuì, sorridendo.

Le donne erano agili, scattanti e veloci. Maschere d’argento coprivano i loro volti, rendendoli impassibili ed inespressivi. Rajani aggrottò la fronte: non capiva quell’usanza.

Il combattimento era concluso, e ora le donne parlavano a quelli che dovevano essere i loro allievi.

Ripresero il loro cammino senza meta.

Mai cintita hūm̐, – esordì la rossa. [Sono preoccupata.]

Mujhē patā hai. Hama sabhī cintita hai. – [Lo so. Siamo tutti preoccupati.]

Mai unhē māra nahī karanā cāhatā, Sheetal. – [Non voglio ucciderli, Sheetal.]

Sheetal sapeva a chi si riferiva. Arun e Ashwini erano stati i suoi allievi; nonostante tutto, teneva a loro.

Saba kucha hīka hō jā'ēgā. Mai jānatā hūm̐ ki yaha hōgā. – [Andrà tutto bene. So che sarà così.]

Rajani annuì – ma la morsa che le stringeva lo stomaco non si allentò.

 


 

Rajani quasi dimenticava tutti i suoi tormenti quando li osservava: Shaka e Sheetal erano seduti l’uno accanto all’altra, immobili nella padmasana, gli occhi chiusi sul mondo. Meditavano.

Ed erano meravigliosi, insieme; una visione angelica, di colori chiari e brillanti, circondati dai loro cosmi aurei – la luce del giorno sembrava impallidire al confronto.

Gli alberi di sala dominavano sulle loro figure, le fronde appena scosse dal vento. C’era profumo di buono nell’aria; profumo di pollini e di incenso.

Rajani osservava quelle che considerava essere le due persone più importanti della sua vita; pensava: a sé stessa, all’impossibile, al passato, all’incerto futuro.

Furono delle voci a riscuoterla dai meandri della sua mente. Per la sala principale della Quinta casa passavano delle persone; avevano chiamato il nome di Shaka, ma questi non aveva risposto – benché, Rajani ne era certa, avesse sentito perfettamente il richiamo, anche a quella distanza.

– Posso fare qualcosa per voi? –

La ragazza osservò per la prima volta da vicino le donne che aveva visto solo qualche ora prima scontrarsi nell’arena. Erano giovani, avevano forse la sua età; i visi continuavano ad essere nascosti dalle maschere, anche se non indossavano più l’armatura.

Le guerriere parvero stupite di vederla. La osservarono in silenzio per qualche momento, prima di riscuotersi.

– Siamo dirette alla Tredicesima casa, dobbiamo chiedere al cavaliere di Virgo il permesso di passare. – Fu la donna dai capelli del colore del mogano a parlare; la sua voce era impassibile.

Rajani sorrise. – Shaka è in meditazione. –

La donna fece una pausa, poi scrollò le spalle. – Immagino che se avesse avuto qualcosa da ridire sul nostro passaggio si sarebbe presentato. –

L’indiana rise. – Immagino di sì. –

– Chi sei tu? – Furono le prime parole della seconda donna. Sembrava quasi… ostile.

– Il mio nome è Rajani, – la sua voce rimase pacata. Perché alimentare il fuoco con altro fuoco? – Sono Alta Sacerdotessa del Grande Tempio della Devi, in India. –

– Scusala, Shaina è fatta così. Sono Marin, cavaliere dell’Aquila. –

– Molto piacere di conoscervi. –

L’altra sbuffò.

Rajani trovava sempre più interessante la sua permanenza al Tempio di Atena. Era un’impressione sua, o c’erano un sacco di personaggi singolari?

 


 

Il tempo passò in fretta; di ora in ora i giorni volavano via, e l’ansia cresceva.

Rajani si svegliò, una mattina – e si accorse che era trascorsa più di una settimana dal suo burrascoso arrivo in Grecia.

Era presto, ancora il sole non rischiarava la vista fuori dalla finestra. Sheetal era stesa nel letto, accanto a lei, gli occhi aperti. Si guardarono.

C’era qualcosa nell’aria. Un turbamento.

Solo una manciata di secondi dopo si resero conto di un’energia familiare avvicinarsi. Rajani spalancò gli occhi e, in uno scatto felino, fu immediatamente fuori dal letto. Nemmeno si preoccupò di cambiarsi d’abito: la semplice tunica che indossava sarebbe stata sufficiente. Non c’era tempo.

Furono fuori dalla Sesta casa; presero a scendere la scalinata, forsennatamente, fino a passare la Quinta casa; un momento non c’era, e l’attimo dopo Shaka era lì, accanto a loro, e scendeva i gradini di corsa, verso quel cosmo. Verso la casa dell’Ariete.

Quando arrivarono nella piccola piazza Mu era già lì – indossava l’armatura, e la sua posa era minacciosa. Guardava intensamente in un punto. Nel buio di quella mattina non fu immediato individuare quella piccola figura ammantata di nero.

Quando i suoi occhi turchesi l’ebbero individuata, le ginocchia di Sheetal cedettero.

– Visala! –

Ed ecco che anche il quinto capitolo si è concluso.

Avevo pensato di mettere un altro paio di scene... ma poi ho cambiato idea. Compariranno, prima o poi... solo che non so quando! XD

Ed ora passiamo a rispondere ai miei meravigliosi recensori:

JackoSaint: XD Visto e considerato quanto siete "pazienti" mi vedo costretta ad aggiornare presto insomma! Per sapere cosa c'entra la bimba temo però che dobbiate attendere il prossimo capitolo; per ora il mistero si infittisce! (... Sì, me la canto e me la suono da sola... Che amarezza...)

winnie343: ma grazie mille! Camus doveva comparire per bene in questo capitolo, ma ho "tagliato" la scena in fase di scrittura. Comunque la inserirò, solo non so se nel sesto o nel settimo capitolo.

Grazie grazie grazie a tutti coloro che continuano a leggere, nonostante i ritardi immensi, la mia storiella. E se, per caso, voleste farmi un piccolo piacere... recensite, please?? *Occhioni dolci di Bea-chan*

Per ora vi lascio, ma attendete fiduciosi... il prossimo capitolo arriverà la prossima settimana!

Gea Kristh a.k.a. Bea-chan

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Capitolo 6
*** La Bambina dagli Occhi di Tigre ***


Con una settimanella di ritardo mi accingo ad aggiornare la mia storia. Sono senza speranza!
Il bello è che tra due giorni ho un bell'esame di quelli tosti, e invece di studiare sono qui... (T_T)
Eh... i drammi!
Vabbè, stendiamo un piumone pietosto.

Buona lettura,
Bea-chan

Bleeding Sunset - Occhi di Tigre
Capitolo 6 - La bambina dagli occhi di tigre


 – Visala! –

 Una risata cristallina risuonò nell’aria. Visala sorrise da sotto l’ampio cappuccio, calato sul volto per celare le sue fattezze.

 – [Che sollievo vedervi], – furono le sue prime parole mentre Rajani la raggiungeva e si inginocchiava dinanzi a lei, mettendosi così alla sua altezza – perché Visala era bassa e minuta, anche più della rossa; l’abbraccio che si scambiarono ebbe il potere di sollevare un peso dallo stomaco di entrambe.

 – [Eravamo così preoccupate,] – anche Sheetal si era accostata a loro; poggiò una mano sul capo della nuova arrivata, sorridendole.

 Il sole sorgeva lentamente, rischiarando l’ambiente.

 Visala abbassò il cappuccio, e i cavalieri la guardarono curiosi – una bambina?

 Dall’aspetto si poteva dire che avesse forse undici anni – nonostante questo, da lei emanava un’energia calma e rasserenante. Visala aveva capelli corvini raccolti disordinatamente sul capo, e lunghe ciocche sottili, sfuggite alla crocchia, le ricadevano sul viso giovane, ancora acerbo. La sua pelle era olivastra, scura nella fioca luce dell’alba.

 Una fascia di seta, nera come le vesti che indossava, le copriva gli occhi – era forse cieca?

 – [Lo ero anche io, non sapevo dove foste.] – La voce della ragazzina era, nonostante tutto, profonda. Quasi stonava con le sue fattezze bambinesche.

 Rajani aggrottò le sopracciglia. – [Come ci hai trovate?] –

 Visala accennò un piccolo sorriso; poi, con un gesto della mano, indicò qualcosa di ben nascosto alle sue spalle. Si scostò piano, e alla loro vista fu rivelata la figura di una bimba di forse tre anni che, spaventata, era avvinghiata alla gamba della mora.

 Sheetal spalancò gli occhi – perché lei aveva già visto quella bimba. Due volte.

 La bionda non fu la sola a riconoscerla.

 Rajani percepì qualcosa di strano, qualcosa che non aveva mai sentito, guardando negli occhi d’ambra della piccola. Si inginocchiò nuovamente a terra con un movimento fluido, senza interrompere il contatto visivo – oro nell’oro.

 – [Chi sei tu?] – Chiese in un sussurro.

 La bimba non rispose, non a parole comunque. Yashila, la sentì pensare Rajani.

 – Yashila, – ripeté Rajani. La bimba accennò piano con la testa, ma continuò a stringersi, quasi convulsamente, alla gamba di Visala.

 – Lei non parla. E’ venuta da me di notte, e tra le mani aveva il Sacro Vajra. – Visala parlò in greco per la prima volta, e la sua pronuncia era fortemente accentata.

 Rajani alzò gli occhi su di lei, un’espressione scioccata dipinta sul viso.

 Che quella fosse…? Tornò a guardare negli occhi di tigre della piccolina, e improvvisamente le fu chiaro: le visioni, la connessione che sentiva… Non era un caso. Non poteva esserlo.

 – [Tu dovevi trovare me, non è vero?] – Sussurrò mentre la comprensione le tingeva il volto.

 Yashila annuì piano. Nella sua mente Rajani vide l’immagine di una donna divina, il corpo dalle dieci braccia circondato da un’aura candida ed immensa; sentì chiaramente le sue parole: trova la mia bambina. Durga le era quindi comparsa? Sì, Rajani sapeva che era così.

 Yashila si scostò lentamente dalla gamba di Visala. Si portò la minuscola manina al cuore, poi l’appoggiò sul petto della ragazza. Rajani annuì.

 – Sì, è così, piccola sorella, – disse più a sé stessa che alla bambina.

 Yashila prese allora qualcosa dalla piccola sacca che aveva sulla schiena; qualcosa che, nelle sue manine, sembrava enorme.

 Il Vajra risplendette dei primi raggi del sole: completamente realizzato in oro e gemme preziose, catturava la pallida luce del mattino. Yashila glielo porse, perché quello era il compito che le era stato affidato.

 La sacerdotessa di Durga fissò con meraviglia e reverenza l’arma sacra; allungò piano la mano verso quell’oggetto apparentemente innocuo. Non appena la punta delle sue dita sfiorò il metallo istoriato, fu come se il Vajra prendesse vita: una poderosa esplosione di luce investì gli occhi di chi, stupito, fissava la scena. Durò un solo istante, ma quell’attimo eterno fu per Rajani quasi una rinascita: il suo cosmo esplose e si espanse, mentre chiudeva gli occhi, una sensazione di meravigliosa completezza a pervadere tutto il suo corpo. L’arma era parte di lei, parte di ciò che la Devi le aveva donato.

 Riprese il controllo di sé stessa immediatamente; si sollevò in piedi, il Fulmine Diamante stretto nella mano.

 Neanche si era resa conto che Sheetal a Visala si fossero allontanate, raggiungendo i cavalieri alle sue spalle. Le vide parlottare concitate con Mu e Shaka.

 Rajani sapeva cosa doveva fare; il dono di Durga non era casuale – nemmeno l’arrivo di quella bambina lo era.

 Yashila la fissava, i grandi occhi d’ambra sgranati. Era immobile. Rajani si chiese se si rendesse conto di cosa stava accadendo, poi si castigò mentalmente; sì che se ne rendeva conto. Non c’era forse passata anche lei?

 L’immagine di un’altra bambina si sovrappose allora a quella di Yashila nella sua mente: una piccola bimba dai lunghi capelli rossi e la pelle chiara, gli occhi di tigre sgranati nel fissare impaurita qualcuno stringere tra le mani il Vajra.

 – Qualsiasi cosa vediate, – disse in direzione dei cavalieri, alzando la voce, – non intervenite. –

 Prese un profondo respiro, preparandosi a quel gesto. La fine e l’inizio. Il Risveglio.

 Chiuse gli occhi e sollevò la mano che stringeva il Vajra: l’arma prese a rilucere piano, il cosmo che Rajani gli infondeva lentamente portandolo alla vita.

 Il Vajra era un’arma portentosa: nulla poteva resistere alla sua forza divina – avrebbe perforato qualsiasi ostacolo sul suo cammino senza esserne scalfito: era chiamato Fulmine Diamante.

 Rajani recitò a voce bassa le parole rituali di ringraziamento verso la Devi. Aprendo gli occhi si concentrò sulla piccola figura di fronte a lei.

 Doveva essere fatto.

 Calare l’arma su una bambina non era qualcosa che Rajani avrebbe mai pensato di essere in grado di fare; quando Yashila cadde a terra, un’espressione agonizzante dipinta sul viso, il corpo paralizzato dal dolore lancinante, Rajani rivisse con lei il ricordo di quella morte atroce.

 Sentì alle sue spalle l’agitazione dei cavalieri; urla risuonarono nell’aria, ma non se ne curò.

 Scie di lacrime brucianti rigavano il viso della bambina; il suo corpo a terra si contorceva privo di controllo, bagnandosi nella pozza scarlatta del suo stesso sangue. Gli occhi erano sgranati e rossi, il viso sporco del liquido che continuava a uscire dal foro sulla fronte.

 Rajani si sentì male a quella vista, ma si impose l’immobilità; quello era l’ordine delle cose. Nulla poté però impedirle di ricordare: e, con gli occhi della sua mente, rivide sé stessa, riversa a terra, urla agonizzanti a spezzare il silenzio di quella che era stata un’alba di sedici anni prima. Anche solo il ricordo di quel dolore era atroce.

 Lentamente, troppo lentamente, i gesti convulsi di Yashila persero forza.

 Rajani continuò a guardarla, impassibile, mentre la morte l’abbracciava. Si sentiva leggera. La voce di Sheetal raggiunse le sue orecchie; era distante, ovattata, e Rajani in quel momento non riuscì a dare un senso a quei suoni.

 – Occorre morire per poter rinascere. –

 Passò un’altra agonizzante manciata di secondi; poi Yashila si bloccò: morì.

 Rajani prese un profondo respiro. Si sentiva sollevata; quel dolore… non sarebbe più tornato.

 Partì dalla sua fronte: proprio lì, tra gli occhi, dove l’arma sacra aveva perforato di netto pelle e ossa, il sangue iniziò ad aggrumarsi lentamente; cristallizzò piano, e brillò di luce propria.

 Quando un respiro rantolante scosse il corpo di Yashila, sulla sua fronte il bindi sacerdotale risplendeva: un piccolo rubino, rosso come il sangue dal quale era nato.

 Aprì infine gli occhi d’ambra e si levò a sedere; il suo respiro era affannato, e il corpo le tremava di freddo e fatica, ma già la sua pelle aveva ripreso colore. Non aveva occhi che per Rajani.

 Benvenuta al mondo, Sorella di Sangue, – iniziò lei, la voce seria e ferma, – Figlia della Devi nel segno di Durga. –

 Yashila le si fiondò tra le braccia, e lei l’afferrò al volo, stringendola a sé con forza e affetto.

 Sheetal le fu accanto in un istante; Rajani abbassò lo sguardo sulla bimba che ancora la abbracciava, e spostò il suo peso in modo da tenerla con un solo braccio. Il sangue che ormai le ricopriva entrambe andava incrostandosi; ci voleva un bagno.

 – L’avevo visto, – le disse mentre si riavvicinavano ai cavalieri di Atena.

 La rossa annuì: ricordava la visione nella quale la bambina dagli occhi d’ambra moriva; ricordava la sua espressione di dolore.

 Gli occhi dei cavalieri erano cupi; la fissavano insistentemente, a metà tra l’essere increduli e rivoltati.

 Shaka le strinse una mano con la sua, e quel piccolo gesto ebbe il potere di darle forza. Sorrise in direzione degli altri: – Mi dispiace. Non avrei voluto farvi assistere a questo spettacolo, ma è stato inevitabile. –

 – E’ stato… raccapricciante. – Rajani annuì alle parole del cavaliere del Leone.

 – Sono d’accordo, – disse semplicemente.

 – Non ti sei scomposta più di tanto, sacerdotessa. –

 La ragazza fissò per un lungo momento gli occhi di Death Mask. – Scompormi non avrebbe ridotto il suo dolore, né l’avrebbe aiutata in qualunque modo. L’unica cosa che potessi fare era patire con lei nel ricordo del Risveglio; anche se da quell’alba sono passati più di sedici anni ormai. –

 Calò il silenzio alle parole dell’indiana, mentre i cavalieri osservavano ora con una nuova consapevolezza il bel rubino incastonato nella sua fronte.

 – Ho qualcosa che vi appartiene, – iniziò Visala dopo qualche momento. Dalla sua sacca di seta nera estrasse un sacchetto d’organza rossa e lo porse a Rajani; poi uno in velluto bianco e lo diede a Sheetal. – Mi spiace, non ho potuto portare altro. –

 Le due ragazze sapevano cosa era contenuto in quelle piccole e vecchie borse: conservavano lì i loro pochi averi, le cose a cui tenevano – gioielli tramandati da generazioni di sacerdotesse, pettini d’avorio, boccette di itra.

 Dhan'yavāda Visala.

 Ho bisogno di fare un bagno, – esordì Rajani dopo un momento di pausa, la voce di nuovo serena, – e anche la piccola sorella ne ha. – Sorrise verso Yashila. La bimba se ne stava accoccolata contro la sua spalla, gli occhi chiusi, e con la manina giocava con una ciocca di capelli rosso scuro – nella fretta, Rajani non si era fatta la sua solita treccia, e la chioma le ricadeva folta e riccioluta lungo la schiena.

 – Andrò personalmente ad informare Milady dei nuovi sviluppi; c’è da aspettarsi un aggiornamento del Chrysos Synagein il più presto possibile. –

 Rajani sospirò, ma annuì in direzione di Dohko.

 La camminata fino alla Sesta casa avvenne in silenzio. Quando la raggiunsero, Sheetal si offrì di preparare un tè, mentre Rajani si chiuse nel bagno assieme alla piccola Yashila. Quando ne uscirono, ripulite e profumate di mirra, si accomodarono nel piccolo salotto dove, attorno ad un tavolo circolare, sorseggiarono la bevanda calda, chiusi in un mutismo insistente.

 Visala inalò l’odore dolceamaro del tè; sospirò. Parlò in Hindi, poiché erano presenti solo persone che la avrebbero capita: – [Pensate che questo Tempio possa ospitare anche me?] –

 Sheetal si voltò verso Shaka, attendendo che rispondesse. Questi annuì, piano: – [Atena è una dea giusta; non permetterebbe ai nemici di nuocere ai suoi alleati.] –

 Yashila se ne stava intanto seduta accanto a Rajani. Avvolta da una maglia troppo grande per lei, lanciava occhiate curiose al biondo che, di fronte a lei, sorseggiava elegantemente dalla sua tazza. Nel notarlo Rajani si lasciò scappare un risolino; Sheetal la guardò curiosamente, e lei per tutta risposta indicò la bimba. Proprio in quel momento Yashila alzò di nuovo lo sguardo su Shaka, per poi abbassarlo in tutta fretta, trovando improvvisamente molto interessante il marmo del pavimento. Sheetal non si trattenne: scoppiò a ridere, scompigliando allegramente i capelli sulla testolina della bambina. Persino Visala si lasciò andare a una breve risata.

 Leggendo la domanda nella mente di Yashila, Rajani le rispose: – [Sei molto buffa e carina, piccola sorella.] –

 La piccola arrossì, e non si trattenne dal lanciare un’occhiata verso il bel biondino. Rajani ridacchiò ancora.

 – [Anche Shaka è molto carino, vero Yashila?] – Le chiese.

 La piccola si nascose un po’ dietro alle spalle della rossa, però annuì. Sheetal rise ancora di più nel notare il pallido rossore sulle guance del fratello.

 [Perché tieni gli occhi chiusi? Non ci vedi?] Pensò distrattamente Yashila in direzione del cavaliere. Non si aspettava una risposta – nessuno prima di Rajani aveva mai sentito i suoi pensieri; per questo rimase molto stupita quando Shaka parlò.

 – [Ci vedo. Li tengo chiusi per concentrazione.] –

 La piccola sbatté le palpebre qualche volta; quando comprese che il ragazzo le aveva risposto sorrise, deliziata. Volle quindi riprovare. [Ma come fai se hai gli occhi chiusi tutto il tempo?]

 – [Percepisco chiaramente tutto ciò che è attorno a me.] –

 Yashila piegò la testa di lato, cercando di capire. Si voltò poi a guardare Visala che, sorridendo, continuava a bere il suo tè. [Anche tu tieni gli occhi chiusi per concentrarti?]

 La bambina non sapeva se la mora avrebbe risposto; non lo aveva fatto quando l’aveva incontrata per la prima volta.

 Fu la voce di Rajani a parlarle infatti: – [No, piccola sorella. Visala non può vedere con gli occhi.] –

 La mora allora poggiò la sua tazza sul tavolino, sorridendo verso la bambina. – [Sento che sei preoccupata, Yashila. Non esserlo; io vedo molto bene con la mia mente.] –

 [Come si fa a vedere con la mente?]

 – [Sono doni, piccola sorella. Come il mio dono di poter leggere quello che pensi; doni che vanno affinati con allenamento e fatica.] –

 [Io ho qualche dono, maestra?]

 Rivolgersi così a Rajani le risultò naturale, e Yashila non si fece molte domande in merito; sentirsi chiamare in quel modo stupì però la rossa. Sulle sue labbra si aprì spontaneo un sorriso.

 – [Sì, piccola sorella. Hai molti doni.] –

 



 

 L’ennesimo Chrysos Synagein stava per avere luogo. Rajani, sospirando, si chiese la reale utilità di una riunione nella quale nessuno prendeva decisioni; ma tacque, grata dell’ospitalità di Atena e disposta, per onorarla, a sopportare quel piccolo sfoggio di ipocrisia. Lei meglio di altri comprendeva la sensazione di impotenza che tutti parevano provare di fronte a quell’insolita situazione.

 Saori Kido non parve scomporsi alla notizia dell’arrivo delle due sconosciute. Dohko l’aveva già messa a parte degli avvenimenti di quella mattina. Richiese comunque che queste si presentassero ufficialmente di fronte a lei.

 Visala non esitò, come prima di lei non lo avevano fatto le altre due, e rispose con serenità ed orgoglio: – Sono Visala, Sacerdotessa del Grande Tempio della Devi sotto il segno di Sarasvati, Maestra delle Arti e Portatrice del Vero. –

 Lady Saori annuì, poi rivolse il suo sguardo sulla bambina che, seduta sulle gambe di Rajani, osservava con occhi sgranati la magnificenza di quella sala.

 – Permettetemi, Lady Saori, di presentare Yashila, – disse la sacerdotessa, ben conscia dell’impossibilità di parola della bambina. Al cenno di capo della ragazza, Rajani continuò: – Yashila è da oggi mia allieva, e futura sacerdotessa della Devi. E’ rinata questa mattina sotto il segno di Durga. –

 – Perché è qui? –

 – La Devi le ha affidato il compito di cercarmi, e di consegnarmi una delle armi sacre. –

 – La bambina mi ha trovata nei miei alloggi. – Visala si sforzò di parlare in greco. – Non l’avevo mai vista prima; sono rimasta molto meravigliata quando mi ha mostrato il Vajra. Poi mi ha presa per mano, e io ho visto chiaramente le sue intenzioni. Ho preso alcune cose e ci siamo allontanate dai confini del Tempio. – Fece una piccola pausa, come a cercare le parole. – Erano Ilesh e Kanak di guardia, e quando ho detto loro che avevo voglia di passeggiare per contemplare la situazione non hanno dubitato le mie parole e ci hanno fatte passare. – La ragazzina sorrise sardonica. – Perché dubitare delle parole della Portatrice del Vero? In fondo io non posso mentire. –

 Rajani aggrottò la fronte. – Se tutto questo si risolverà in bene dovrò fare una chiacchierata con quei due. –

 Visala sorrise. – Non essere troppo dura. –

 – Come siete giunte fin qui? –

 Visala voltò il capo verso il Grande Sacerdote. – Yashila ci ha teletrasportate fino a un sentiero in un bosco. Da lì ha camminato a lungo, ed io l’ho seguita. Infine siamo giunte dove voi ci avete… accolte. –

 – Chiedo scusa per il mio approccio poco amichevole, sacerdotessa. Non avevo idea di chi foste. –

 Visala scosse il capo in direzione di Mu, un sorriso gentile sulle sue labbra. – Non preoccupatevi. E’ comprensibile. –

 – Che notizie porti da Varanasi? – Domandò Sheetal.

 L’espressione di Visala si incupì visibilmente. – Non sono buone notizie. Sadhira è preda della sua stessa follia; porta avanti questa inscenata del vostro tradimento… è così palese la sua menzogna! Non avreste avuto motivo di uccidere Avani in quel modo orribile, – sospirò e abbassò tristemente il capo. – I funerali si sono tenuti due giorni dopo la vostra partenza. E’ stata una cerimonia rivoltante, – con rabbia strinse i pugni, – non una persona sincera a ricordarla! Non una a cantare la sua vita! Mi sono rifiutata di presenziare; ho pregato per la sua anima, e mi sono permessa di bagnare le sue ceneri con le acque del Gange. Nessun’altro lo aveva fatto. –

 Gli occhi di Rajani mandavano scintille; Sheetal si portò una mano alla bocca, reprimendo un singhiozzo.

 – Dopo le cose sono peggiorate. Sadhira ha emanato un ordine di morte nei confronti delle traditrici e ha dispiegato parte della Guardia per cercarvi. Hanno portato il caos nell’intera Varanasi; senza risultati, chiaramente. Non hanno idea di dove ci troviamo. – Visala fece una pausa. – Nemmeno io ce l’ho, a dire il vero. –

 Il Grande Sacerdote la fissò stralunato per un momento prima di lasciarsi scappare un sorriso sarcastico. Prima che potesse rispondere Visala continuò: – Non voglio saperlo. Siamo in Grecia e questo è chiaro; altrettanto lo è che ci troviamo nel Tempio di Atena. Tanto mi basta. – Sorrise. – Affidare a me delle informazioni è rischioso. Io non posso mentire. –

 Dohko annuì, colpito da quella ragazzina.

 – Ciò che mi sfugge, – a parlare fu Camus, – è il perché la vostra Grande Sacerdotessa non abbia pensato che tu non saresti stata ingannata dal suo controllo mentale. Se quello che dicono ti te è vero, non ti si può mentire. –

 Visala annuì. – Sadhira ha abbandonato la ragione. Accanto a… quel mostro si sente invincibile. Lui alimenta i suoi poteri in modo spaventoso. Ma i doni che la Devi mi ha concesso sono assoluti: non posso mentire e non mi si può mentire. Non importa quanto loro tentino di occludere la mia mente: io vedrò sempre la verità nelle parole e negli intenti. –

 – Tu l’hai visto Visala? –

 – Mahishasura? Oh, sì. – Visala rispose alla domanda di Sheetal. – Sadhira è stata abile, bisogna dargliene atto. Ha intessuto una trama molto fitta nelle loro menti.  Non si chiedono nemmeno chi sia quel demone! E’ proprio lì, davanti ai loro occhi… ma loro non vedono. –

 Ci fu un attimo di silenzio.

 – Rajani, – la mora catturò l’attenzione della sacerdotessa, – qui, davanti a queste persone, tu devi fare una promessa. –

 La rossa guardò stupita la compagna, ma la esortò a continuare. – Promettimi che, quando arriverà il momento, tu non avrai pietà per quell’essere; promettimi che le future generazioni non vivranno mai l’orrore del suo dominio. – Prese un respiro. – Promettimi che non fermerai la tua mano come Durga fece nei tempi remoti. –

 Rajani la guardò seria. – Io compio il volere della Devi, – esordì. Sorrise, e quel sorriso aveva qualcosa di sinistro, – ed Ella non concepisce pietà alcuna per coloro che trasgrediscono le Sue leggi. Prometto di combatterlo finché nel mio corpo avrò la forza di farlo; prometto di ucciderlo o per sua mano essere uccisa, – strinse con rabbia un pugno, – e che Durga guidi la mia mano. –

 Visala continuò a tenere il capo voltato verso di lei; poi l’abbassò, e sussurrò piano: – [Che Shakti ti protegga, Sacerdotessa della Tigre.] –

 Sheetal, accanto a lei, le poggiò una mano sul capo. – Andrà tutto bene, vedrai. –

 – Non dimenticate che io ho concesso il mio appoggio per la vostra situazione. – Saori Kido, per la prima volta, rivolse loro un sorriso. – Non sarete sole. –

 – Non lo dimentichiamo. Affatto. Però… – Rajani sospirò. – Alla fine so che sarò io a combattere con lui. Così è scritto. Durga nacque dalla luce dei Deva perché adempiesse a quel compito; e lei sola può farlo. –

 – Ma tu non sei Durga. –

 – Ma io sono la sua mano in Terra. Durga compie il suo volere per mio tramite. – Rajani sorrise verso Dohko. – Non preoccupatevi per me, io so come cavarmela. Vorrei solo avere le armi sacre con me; ma il Fulmine Diamante è qui e tanto mi basterà. –

 – E ora aspettiamo. – Sheetal catturò l’attenzione di tutti.

 – Cosa? – Domandò qualcuno.

 – Il futuro, ovviamente. – La bionda sorrise. – La mia visione parla chiaro: Arun e Ashwini giungeranno fin qui, a noi il compito di accoglierli. –

 – Non uccideteli, – la voce di Rajani era triste ed autoritaria al tempo stesso. – Se moriranno sarà per mano mia. –

 Nessuno osò replicare.

 



 

 Visala trovò alloggio alla Tredicesima casa – nella Sesta, purtroppo, non c’era altro spazio per accoglierla. Yashila si rifiutò invece di essere separata da Rajani, e quella notte dormì beatamente accoccolata tra lei e Sheetal.

 Il suo primo incontro con il piccolo Kiki fu esilarante: lei non parlava e lui sapeva a malapena due parole di Hindi; nonostante tutto, nell’incomprensibile linguaggio dei bambini, riuscirono a capirsi e a stringere amicizia da subito.

 Nonostante la sua incredibile timidezza, soprattutto nei confronti degli adulti, Yashila fece molte nuove conoscenze al Tempio. C’era Mu, che era sempre gentile e riusciva a sentire quello che pensava, anche se non parlava molto bene la sua lingua; poi c’erano due che erano uguali ed erano belli, e lei adorava toccare i loro capelli lunghi; un altro si chiamava Milo e ogni volta che la vedeva la riempiva di attenzioni, anche se all’inizio le faceva un po’ paura.

 Imparò così le prime parole di greco, con l’aiuto di Kiki e della valanga di espressioni che i due gemelli le rivolgevano ogni volta che lei si metteva a giocare con le loro ciocche di capelli. Però non la trattavano mai male, quindi lei continuava.

 A Yashila i capelli lunghi piacevano tanto. C’erano quelli della sua maestra che erano bellissimi, anche se li portava sempre in una treccia, e lei li avrebbe voluti così. Anche quelli di Mu erano stupendi, però aveva timore a toccarglieli; non che il maestro di Kiki fosse cattivo, però sembrava quasi un angelo e lei si sentiva a disagio con quella persona così lucente.

 I capelli più belli di tutti erano quelli di Shaka. Anche Sheetal aveva i capelli che sembravano fatti d’oro, però quelli del ragazzo le piacevano di più; ma non glieli avrebbe mai toccati, quindi si accontentava di quelli della ragazza.

 Con questi pensieri nella testa Yashila guardò la sua maestra preparare la cena. A quasi una settimana dal loro arrivo al Grande Tempio, Visala e Yashila avevano preso l’abitudine di consumare i pasti nella Sesta casa.

 A cucinare era solitamente Rajani – l’unica che sapesse preparare qualcosa di più di una tazza di riso senza far esplodere la cucina.

 Quella sera Sheetal tardò ad arrivare. Quando lo fece la sua espressione era strana, ed un sorriso le ornava il bel viso, ma a nessuno volle raccontare dove fosse stata.

 


 

 Il suo incontro con il cavaliere della Dodicesima casa era stato proficuo, e Sheetal si sentiva soddisfatta. Aphrodite aveva insistito per regalarle una delle sue rose e lei, dopo un attimo di esitazione, aveva accettato. Il ragazzo era stato molto carino: le aveva porto una rosa rossa priva di spine, dal profumo soave e inebriante. L’aveva annusata con cautela: piombare nello stato divinatorio in quella situazione non sarebbe stato opportuno; nulla era però accaduto, e Sheetal pensò che probabilmente il quantitativo di veleno di un’unica rosa non era sufficiente ad alterare la sua coscienza.

 Scese con calma i gradini del Tempio, il fiore appuntato nella crocchia di capelli che Aphrodite le aveva scherzosamente fatto. Quel ragazzo era più di quello che appariva, su questo non c’era alcun dubbio.

 Iniziò a sentire la musica non appena entrò nella casa dell’Acquario. Che melodia meravigliosa! Così dolce e carica di passione… Chiunque stesse suonando quel pianoforte aveva molto talento.

 Sheetal nemmeno si rese conto di essersi fermata ad ascoltare. Inconsciamente si avvicinò alla fonte di quella melodia dal ritmo a tratti lento, a tratti sostenuto; ne rimase affascinata in maniera indelebile. Possibile che la sentisse risuonare nella sua anima?

 Dietro ad una porta aperta per metà scorse infine l’artista di quella musica così bella e soave: lo vide suonare un lucido pianoforte a coda, nero come la pece, con mani agili e affusolate; aveva la schiena dritta e sedeva con una compostezza innata mentre, con gli occhi socchiusi, lasciava le dita correre sui tasti d’avorio. Teneva i capelli legati in una coda bassa, e piccoli occhiali da lettura gli conferivano un’aria da intellettuale che non stonava completamente con la sua figura.

 Sheetal non trovò mai un uomo tanto elegante quanto Camus lo era quella sera.

 Bruscamente la melodia si interruppe. Il cavaliere dell’Acquario si voltò velocemente nella sua direzione.

 – Mi dispiace molto averti disturbato, cavaliere, non era mia intenzione. – Cercò le parole. – La tua musica… è meravigliosa, davvero. L’ho sentita qui, – Sheetal si portò una mano al petto e gli sorrise.

 – Grazie, – rispose laconicamente lui.

 – L’hai scritta tu? –

 Lui annuì, sfilandosi gli occhiali. – Sublime, – commentò. –Non ti disturbo oltre, cavaliere, arrivederci. –

 Camus le indirizzò un cenno con la testa; rimase qualche momento immobile, ascoltando i passi di lei allontanarsi, prima di riprendere a suonare.



Bene!
Questa sarà l'ultima volta che inserirò le risposte alle recensioni a fine capitolo. Penso proprio che utilizzerò la nuova casella di messaggi integrata nel sito prossimamente.

Grazie mille a:
ashar: Mi sento lusingata, davvero! Grazieeeeeeeeee!!! Spero che anche questo capitolo sia stato di tuo gradimento!
winnie343: Già! Povero Seiya! Lo maltratto sempre! (XD) Sono contenta che le mie protagoniste ti piacciano. Purtroppo alcuni capitoli "di transizione" sono necessari a definire per bene l'ambiente... un male necessario, diciamo. :-)

Alla prossima,
Gea Kristh a.k.a. Bea-chan

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Capitolo 7
*** L'Angelo dell'Indulgenza e della Guarigione ***


Ed ecco il nuovo capitolo!

Non era previsto che aggiornassi oggi; in realtà avrei voluto aspettare le vacanze di Natale in modo da non dovermi preoccupare per gli esami, però ieri sera sono stata colta dallo spirito creativo e, al solito, non ho saputo resistere.

Questo capitolo è interamente incentrato sui rapporti personali che vengono a svilupparsi tra i vari personaggi, originali e non. Sapete… è strano come io stia trascurando i miei personaggi preferiti in favore di quelli che non mi sono mai piaciuti molto. Certo, li ho plasmati a mio gusto… però è strano. Mi è venuto spontaneo.

Ma bando alle ciance! Vi lascio ora alla lettura. ^_^

[Hindi]

Bleeding Sunset - Occhi di Tigre

Capitolo 7 - L'angelo dell'Indulgenza e della Guarigione

L’aria era opprimente all’interno della Quarta casa. Visala poteva sentire la tensione, come un fischio insistente nelle orecchie; c’era sofferenza e tanto, tanto dolore.

Avanzò di un passo sul lastricato marmoreo del tempio; quasi le mancava il fiato in gola. Un altro passo, poi un altro ancora.

Infine le vide: il disgusto che provò durò un solo istante, presto sostituito dal dolore. Soffriva, Visala, perché la sofferenza stessa impregnava quelle mura. Sentì il cuore quasi spezzarsi sotto il peso di quelle emozioni così forti, così negative. Se avesse potuto piangere, calde lacrime avrebbero rigato il suo viso di bambina.

Death Mask l’aveva sentita arrivare, ma non parlò. La guardò mentre, immobile, sollevava una mano, quasi a voler carezzare l’aria. La vide prendere un respiro profondo; sentì che il suo cosmo era turbato. Sorrise amaramente.

– Quanto dolore, – fu il suo sussurro spezzato; Visala si voltò verso di lui. Non aveva paura di quell’uomo – lei sapeva.

– Dolore? – Fu la domanda sprezzante di lui. – Se tu potessi vedere l’orrore di questo posto, ragazzina, non parleresti così. Se tu potessi vedere il mostro che l’ha creato, non proveresti sofferenza. – La sua voce era cupa, e rimbombò in modo sinistro nel camerone.

Visala gli si avvicinò. Non abbassò il capo; lei non aveva paura, perché nella sua mente poteva vedere cose che gli occhi ignoravano.

– Io ti vedo, – rispose semplicemente, con la sua voce profonda che tanto stonava col suo viso di bambina.

Death Mask, per la prima volta dopo anni, si sentì a disagio; provò l’intenso desiderio di distogliere lo sguardo dal viso bendato di quella ragazzina, ma si impose la calma. C’era qualcosa, in lei; qualcosa di diverso.

– Quale è il tuo nome, cavaliere? – Gli domandò, nella sua pronuncia fortemente accentata e con tono serio.

Le rispose: – Death Mask. – Non c’era bisogno di spiegazioni, pensò.

Si stupì, nel vederla scuotere la testa. – Il tuo vero nome. –

Si irrigidì; poi sospirò. A che pro mentire? Lei l’avrebbe saputo. – Non lo so. Non me lo ricordo. –

Un sorriso gentile si aprì sul viso giovane di Visala; un sorriso che parve quasi illuminare i suoi lineamenti  immaturi, e dare colore alla pelle scura delle sue guance.

– Allora io ti chiamerò Haziel. –

 


 

– Le Poète est semblable au prince des nuées

Qui hante la tempête e se rit de l'archer;

Exilé sul le sol au milieu des huées,

Ses ailes de géant l'empêchent de marcher. *–

Era divenuta quasi un’abitudine, ormai, fermarsi all’Undicesima casa quando, la sera, terminava i suoi studi sui veleni delle rose di Aphrodite presso la Dodicesima. Sheetal non sapeva esattamente come fosse successo; come Camus avesse abbassato le algide mura che custodivano il suo io assieme a lei.

Aveva scoperto in lui un personaggio che dire interessante sarebbe stato riduttivo: era appassionato di musica classica, di letteratura, di arte; sapeva tenere conversazioni di filosofia ed aveva una mente brillante ed acuta. I suoi occhi non lo nascondevano: c’era quella luce in essi, quella luce vispa ed appassionata, mentre con la sua voce tenorile recitava a memoria i bellissimi versi di Baudelaire.

Sheetal sapeva parlare Francese, seppur non fosse una delle sue lingue preferite. Non poteva però fare a meno di rimanere incantata dal modo in cui Camus pronunciava quelle parole: sembravano carezzare il suo cuore; potevano quei versi essere così sensuali, se erano le sue labbra a recitarli?

La bionda sorrise. – L’albatro. Spesso mi sento così. Non sono adatta a vivere tra la gente. –

Lui si limitò ad annuire, mentre con la mano si portava alle labbra un calice di vino rosso.

– Quando ero bambina, – iniziò lei, – spesso scendevo nel cuore di Varanasi, dove vive e muore la gente comune; – sorrise amaramente, – è una città povera, abitata da persone semplici che arrancano per vivere sulla soglia della decenza. – Fece una pausa. – Allora non comprendevo davvero il significato degli sguardi che le persone mi rivolgevano. Ho sempre suscitato una certa soggezione nella mia gente, per via del mio aspetto; questo accadeva in modo particolare quando ero piccola. Ci ho messo davvero molto tempo a capire che io li spaventavo. – Sorrise, – da quel momento ho compreso anche che, sacerdotessa o meno, non avrei mai potuto vivere un’esistenza comune. Sorrido alle persone, ma non sono adatta alla vita sociale; con il tempo loro si sono abituati alla mia presenza, ma nessuno mi rivolge mai la parola. Mi ammirano, ma mi temono. Mi odiano, anche, nel loro intimo, perché rappresento qualcosa che non possono comprendere appieno. In un certo senso sono come il poeta descritto da Baudelaire: anelo e allo stesso tempo rifuggo una vita normale. –

Camus aveva ascoltato attentamente quelle parole; sì, anche a lui era capitato di provare quella sensazione di non appartenenza alla sua gente. Osservò il liquido rosso vorticare nel calice che ancora stringeva.

– E’ un sentimento comune a chi sa di appartenere ad un mondo diverso da quello nel quale le persone comuni vivono. –

Camus non era certo un uomo di molte parole, ma, a dispetto della sua composta freddezza, Sheetal lo trovava affascinante; forse era la novità: mai aveva conosciuto qualcuno di così elegante e colto – escluso suo fratello, naturalmente. Ed era bello. Molto bello.  

– Camus, grazie per l’ospitalità, ma devo andare. – Si alzò in piedi, e altrettanto fece lui. La scortò alla porta, augurandole poi la buonanotte con un sorriso appena accennato sulle labbra.

Sheetal gli rispose raggiante: – Buonanotte, Camus. Domani dovrai suonarmi ancora il Claire de Lune, sappilo. –

Si diresse verso la Sesta casa, l’immagine di quel mezzo sorriso impressa nella mente.

 

Il sole calava lentamente, tingendo d’amaranto lo Sharasoju.

Seduta nella posizione del loto sull’erba fresca, Rajani parlava a voce bassa in direzione della sua piccola discepola.

– [L’energia di Shakti è in te; puoi sentirla fluire, calda e placida, all’interno del tuo corpo.] –

Yashila era confusa. Non capiva.

– [Piccola sorella, non devi concentrarti sul tuo corpo, ma sul tuo io. Chiudi gli occhi. Devi essere in pace, perché le forti emozioni ti portano allo squilibrio; respira piano, e concentrati su te stessa. Non pensare a me, io non sono che una voce che ti guida.] –

La vide eseguire timorosa i suoi comandi. Yashila serrò le palpebre e cercò di rilassarsi come poteva, ma Rajani poteva sentire il tumulto dei suoi pensieri.

– [Non pensare], – le disse allora.

Sapeva che non era semplice, non per una bimba così piccola. Ma il dono di Durga era in lei: poteva farlo.

Ci volle un po’ perché Yashila si acquietasse del tutto. Rajani scandagliò la sua mente, sentì il suo respiro lento; sussurrò piano nella sua mente: l’energia che senti è tua, ne puoi disporre come vuoi. Devi imparare a controllarla, a manipolarla. Ora mi devi bloccare, piccola sorella; la tua mente non deve essere penetrata da nessuno, se tu non lo desideri.

Rajani non poteva indicarle come fare. Yashila doveva essere maestra di sé stessa, poiché i meccanismi della mente erano unici e solo lei poteva trovare la via.

Lo fece.

Rajani sentì lo scudo innalzarsi sui pensieri della bambina; un velo debole di protezione, solo un accenno di quello che sarebbe stato dopo anni di allenamento, ma pur sempre uno scudo.

– [Sei stata brava], – le sussurrò dopo appena pochi secondi. La bimba spalancò gli occhioni d’ambra, e la barriera mentale crollò. Si sentiva stanca.

La vista del sorriso caldo di Rajani e della sua espressione di approvazione furono il regalo più bello che Yashila potesse desiderare.

La rossa alzò il viso, salutando Sheetal che, con passo lento, si avvicinava a loro. La luce del giorno già era appassita attorno a loro, e l’aria si era fatta pungente; il profumo dei fiori arrivava inebriante alle sue narici. Rajani non poté fare a meno di voltare lo sguardo verso Shaka.

Era rimasto immobile per ore, in meditazione, poco distante da loro. Rajani aveva avuto timore di disturbarlo, durante la sua lezione alla piccola Yashila, ma lui stesso l’aveva rassicurata: non lo infastidiva la loro presenza. La bambina non aveva potuto frenarsi dal lanciargli occhiate ammirate; non sembrava umano; non sembrava neppure reale.

Sotto il suo sguardo d’ambra, Shaka si levò in piedi in un movimento pieno di grazia.

– Si cena? – Chiese allegramente Sheetal, allontanandola dai suoi pensieri. Nemmeno si era resa conto che la bionda aveva preso Yashila tra le braccia, stringendola a sé. Era sempre un piacere per gli occhi vedere quelle due insieme: Sheetal era piena di vitalità ed amava giocare con la bimba. In quel momento, con somma delizia della piccola, la stava solleticando con una ciocca dei suoi lunghi capelli d’oro.

Rajani non trattenne una risata. – Si cena, – confermò.

 


 

Death Mask non avrebbe mai pensato di potersi intrattenere conversando con una bambina. No, si disse. Visala non era una bambina. Poteva averne l’aspetto, ma nulla in lei era infantile se non il corpo.

La sua presenza non era fastidiosa né piacevole. Visala lo metteva a disagio, ma allo stesso tempo lo incuriosiva – forse, pensò, proprio perché lo metteva a disagio.

– Perché la benda? Mette soggezione. –

Visala non rispose subito, ponderando le parole. – Le cicatrici che sono sotto la benda ne mettono di più. –

Non si aspettava una risposta del genere. La pelle lasciata scoperta dal tessuto nero era liscia e perfetta, e faticò ad immaginare qualcosa che potesse deturparne l’armonia. Si ritrovò a sorridere amaramente a quel pensiero: proprio lui, che di atrocità ne aveva viste troppe e commesse ancora di più?

– Posso…? –

Lei scrollò le spalle. Il nodo che teneva ferma la benda, dietro alla sua testa, era stretto, ma lei lo sciolse velocemente per abitudine. Lasciando cadere le braccia lungo i fianchi, scoprì quella parte del suo viso che poche persone avevano mai visto.

Death Mask si ritrovò a trattenere il respiro. Con occhi sgranati osservò la fitta trama di cicatrici che le deturpavano la pelle. Era una vista orribile, e, marginalmente, nella sua testa, si chiese perché quell’immagine lo disturbasse tanto. Aveva visto cose peggiori senza battere ciglio.

Però… Visala era pura.

Death Mask capì in quel momento l’attrattiva che quella bambina aveva su di lui: lei conosceva il dolore, e, nonostante l’avesse provato, atroce, sulla sua pelle e nella sua mente, era rimasta immacolata nell’anima. Visala rappresentava tutto ciò che lui non sarebbe mai potuto essere; era una realtà che non poteva comprendere.

– Cosa ti è accaduto? – Sentiva la gola secca, e la voce gli uscì rauca.

Con le dita sfiorò una delle numerose cicatrici, proprio su una delle sue palpebre. Lei non si scostò; non si mosse nemmeno, mentre rispondeva serenamente: – Non lo so. Non rammento nulla di ciò che è successo prima dell’incidente; il mio primo ricordo è quello del dolore. –

Mentre si riannodava la benda, con gesti rapidi, Visala percepiva l’inquietudine di lui. – Non essere turbato, Haziel. Sono diventata cieca, ma ora vedo cose che prima non avrei potuto nemmeno intuire. –

Death Mask non si preoccupò di mettere in chiaro che no, lui non era affatto turbato; aveva imparato, in quei giorni, che mentire a Visala era impossibile.

– E cosa vedi? –

– La verità. –

 


 

– Pensi che le tue rose possano crescere con un clima secco come quello indiano? –

– Tesoro, potrei far crescere le mie rose anche nel Sahara, – Aphrodite rispose sorridendo alla bionda. Questa ridacchiò.

Scendevano i gradini, tenendosi a braccetto. Accanto a loro, Visala e Rajani li osservavano divertite.

Si erano incrociati per puro caso fuori della Sesta casa: Sheetal e il cavaliere dei Pesci diretti alla piazza per una passeggiata; Rajani alla Prima per recuperare la piccola Yashila – che aveva passato la mattina in compagnia di Kiki; Visala alla Quarta casa perché, per qualche strana ragione, trovava piacevole parlare con il suo custode.

 A Sheetal piaceva passare il tempo con Aphrodite; non aveva mai conosciuto una persona come lui: era un vero narcisista, ma aveva anche un gran senso dell’umorismo, e la sua lingua tagliente non risparmiava nessuno. In quelle settimane più volte l’aveva intrattenuta nel suo meraviglioso roseto e, se dapprima l’aveva trovato semplicemente divertente, Sheetal era presto arrivata a considerare un amico quel cavaliere così inusuale.

– Se grazie al tuo distillato evito di riempirmi casa con i miei serpenti, Rajani ti farà una statua. –

La rossa scosse la testa, divertita; in fondo Sheetal non aveva tutti i torti. – Sheetal, siamo sincere, vuoi? Sono orripilanti. –

La bionda mise su un finto broncio. – Non capisci niente. Sono animali maestosi. –

Rajani rise. – No. Una tigre è maestosa. Un serpente… striscia. –

Visala sbuffò, divertita. – Nessuno dei due. Il cigno è maestoso. –

– Se io dicessi che sono solo animali disgustosi? – Intervenne Aphrodite, un’espressione vagamente schifata dipinta sui bei lineamenti del suo viso.

– Non dirlo, – gli rispose sorridendo Sheetal.

Una voce bloccò sul nascere le parole che Rajani stava per dire. – Io voto con la piccoletta! Vince il cigno! –

Si voltarono curiosi verso le figure che salivano rapide i gradini di marmo. A parlare altri non era stato che Hyoga.

– I cavalieri di bronzo, – li salutò cordialmente Rajani. Sheetal sorrise loro; Aphrodite li ignorò tutti, tranne Shun al quale rivolse un occhiolino malizioso, facendolo diventare rosso d’imbarazzo.

Assieme a Seiya, Hyoga, Shiryu e Shun era un ragazzo dall’aspetto piuttosto burbero. Il cavaliere di Andromeda lo presentò come suo fratello Ikki. Seppure la somiglianza tra i due fosse pressoché inesistente, Rajani evitò di fare commenti e si presentò a sua volta.

– Ma tu chi sei? –

Visala sorrise verso il ragazzo castano che le aveva fatto la domanda. – Visala, Sacerdotessa di Sarasvati. –

– Non sei un po’ piccola? –

– Sono Sacerdotessa della Devi da anni, – gli rispose semplicemente lei.

– Scusalo, Seiya non ha tatto. – Shun si presentò, e con lui gli altri.

A Ikki la somiglianza di Sheetal con il cavaliere della Vergine non sfuggì. Era una delle donne più belle che avesse mai visto, con quell’espressione da bambina dipinta sui lineamenti fini; la pelle lattea pareva illuminata d’oro sotto la coltre dei suoi capelli che, raccolti in una bassa coda, le ricadevano sulla spalla; gli occhi, di un intenso turchese, brillavano di un fuoco ammaliante e vispo, e, tra essi, il rubino incastonato nella sua fronte riluceva sotto i raggi del sole.

Sheetal non aveva ancora abbandonato il suo finto broncio. – Ma perché nessuno vede la bellezza dei serpenti? Sono così dolci. –

Liberò il suo braccio da quello di Aphrodite e si voltò verso l’amica di sempre. Ikki quasi trattenne il fiato quando la vista della sua schiena, lasciata nuda dal sari di seta celeste, gli si mostrò; il tilak sacerdotale era realizzato in colori tenui – rosa pallido, appena visibile, bianco, oro e argento: un grosso fiore di loto abbracciato dalle spire di un serpente aureo.

Rajani sollevò un sopracciglio verso l’amica. – Sì, con te. Il tuo amico cobra non è stato così gentile e dolce con me. –

Sheetal sgranò gli occhi. – Ma sei tu che l’hai spaventato, poverino! –

Rajani sbuffò. – Sì, poverino. –

– Su, non litigate, – Shun provò a fare da paciere. Non gli piaceva che le persone discutessero.

– Shun caro, non ti curare di loro. Discorrono di quisquiglie. – Aphrodite si affiancò al giovane, circondandogli le spalle con un braccio e stringendoselo contro. Non aveva indossato l’armatura d’oro, e una maglia nera, piuttosto aderente, gli fasciava il torace.

Se avesse potuto, Shun sarebbe andato in autocombustione.

– Aphrodite, sei terribile. Non vedi che lo imbarazzi? – Lo rimarcò Sheetal, sorridendo ironica.

– Sei solo gelosa perché non mi stringo a te, – le fece un occhiolino il cavaliere. Lei quasi scoppiò a ridere.

– Togli le mani di dosso a mio fratello, – gli intimò Ikki in un sussurro.

– Vuoi che le metta addosso a te? –

Shun provò a placare un po’ gli animi, ma tutto ciò che uscì dalle sue labbra fu un balbettio indistinto.

– Aphrodite! Via le mani da Shun. – Sheetal si mise le mani sui fianchi, in una posa fintamente severa.

– Ma è così carino… – Passò le sue dita tra i capelli del ragazzo.

– Aphrodite. –

Lui sbuffò, lasciando andare il povero Shun che, più rosso che mai, si allontanò di alcuni passi dal custode della Dodicesima casa.

– Sei terribile, l’hai traumatizzato. –

– Suvvia, non esagerare. – Aphrodite le porse nuovamente il braccio, che lei accettò sbuffando.

Il rossore sulle guance di Shun andava via via scemando, ma ancora non riusciva a dire due parole coerenti.

Visala gli si avvicinò, divertita. – Ti rivelo un segreto, – gli disse. – Aphrodite non è omosessuale, stava solo scherzando. Puoi anche stare tranquillo. –

Dire che i cavalieri di bronzo la stessero guardando con tanto d’occhi era riduttivo. Shun prese un respiro profondo, rivolgendole un’occhiata grata. Neanche voleva sapere il motivo per cui lei era a conoscenza del fatto.

Aphrodite aggrottò la fronte. – Sei una guastafeste. Una guastafeste carina, ma pur sempre una guastafeste! –

 

Quel pomeriggio, Rajani trovò Yashila presa ad osservare Kiki che faceva levitare tutto ciò che gli capitasse a tiro. Quando la bambina stessa si ritrovò ad osservare il mondo dall’altezza di tre metri, spalancò gli occhi e fissò terrorizzata la sua maestra.

Rajani sospirò e, con una lieve pressione della sua mente, portò la piccola direttamente tra le sue braccia.

Mu, aggrottando la fronte, lanciò un’occhiataccia al suo allievo. – Mi spiace, – le disse.

Lei scosse la testa, un sorriso gentile sulle labbra. – Figurati. Anzi, dovrei ringraziarti. E’ anche merito di Kiki se Yashila sta cominciando ad aprirsi. – Scompigliò appena, con la mano libera, i capelli del bambino, – Grazie Kiki. –

Il bimbo arrossì fino alla punta dei capelli.

Yashila, rigirando tra le mani una ciocca dei suoi capelli, pensò. Cercò di capire: Kiki l’aveva fatta volare. Lei aveva paura di volare? Si disse che no, non aveva avuto troppa paura. Però non se l’era aspettato. Allora, decise, anche lei avrebbe fatto volare Kiki: era solo giusto, no?

Fece proprio come le aveva detto la maestra qualche giorno prima: cercò dentro sé stessa quell’energia calda, la fece sua, la piegò al suo volere.

– Ma cosa…! – Kiki non si spiegò il perché, improvvisamente, si trovasse a testa in giù a svariata distanza dal terreno.

– Yashila! – Rajani fissò stupita la sua piccola allieva; non sapeva se essere indignata per il suo comportamento, o fiera per quello che era appena riuscita a fare. Nel dubbio, rimise a posto il povero Kiki e lanciò un’occhiata di rimprovero alla bambina.

– Mi dispiace Mu, – iniziò, ma lui scosse il capo, un sorriso ironico sulle labbra. – E’ solo giusto, no? – Ripeté il pensiero che la piccola aveva formulato prima della sua birichinata.

Rajani si ritrovò suo malgrado a ridere della situazione.

– E’ molto dotata. –

La rossa annuì. – E’ parte del patrimonio di Durga. Tra qualche mese non avrà problemi a controllare questi aspetti della telecinesi. – Le carezzo la testolina, al ché Yashila sollevò i suoi occhioni d’ambra su di lei e le rivolse un sorriso raggiante.

Già. Tra qualche mese. Almeno… se tutto fosse andato per il meglio.

 



 

– Perché Haziel? – Fu la domanda che Death Mask le rivolse una sera mentre, seduti sui gradini fuori dalla Quarta casa, osservavano il cielo – qualcosa che il cavaliere non avrebbe mai pensato di poter fare.

La risposta che lei gli diede non fu ciò che si aspettava. In realtà, nemmeno lui sapeva che cosa si aspettava.

– Haziel è il nome dell’angelo dell’indulgenza e della guarigione. –

Quella sera Visala si addormentò lì, sui gradini del Grande Tempio.

Quella sera, un sempre più meravigliato Death Mask si ritrovò a prenderla in braccio e a farla stendere sul proprio divano, attendo a non disturbare il suo sonno.

 

 

 

* I versi sono tratti da “L’albatro” di Charles Baudelaire

 

Salve a tutti gente! Ancora una volta, pur di non studiare, mi sono messa a scrivere. E l’esame della settimana prossima? … Dettagli!!

In questo capitolo abbiamo visto lo sbocciare di un nuovo rapporto. Death Mask è tremendamente OOC, lo so… ma già che c’ero! Tanto ormai… XD

Mi piace pensare che DM possa aver preso coscienza della sua anima impura dopo essere tornato in vita. Il suo ruolo in Hades non mi aveva soddisfatta molto.

Sin da quando ho immaginato Visala, molti mesi fa, ho pensato che avrebbe legato con Death Mask. La scelta del nome “Haziel” non è stata semplice, anche perché è legato alla tradizione ebraica; come significato però era semplicemente perfetto, e mi sono dovuta arrendere all’evidenza.

Più in là mi piacerebbe approfondire il passato di Visala, e l’eredità che lei si porta alle spalle, ma penso che lo farò tramite i miei Missing Moments – proprio come ho fatto per il suo Risveglio.

Allora, che ne pensate di questo Camus interessato all’arte? E del mio ironico Aphrodite? Siate spietati!

Il prossimo capitolo sarà decisamente più movimentato; ci saranno visite direttamente dall’India!!!

 

Grazie a tutti coloro che seguono la mia storia, in particolare a quelle persone che continuano ad aiutarmi lasciando recensioni.

Alla prossima,

Gea Kristh a.k.a. Bea-chan

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Capitolo 8
*** La Furia di Durga ***


Io ho capito una cosa: scrivo soltanto quando non dovrei. Oggi, per esempio, io dovrei essere a studiare come una forsennata per l'esame di domani... e invece no! Sono qui, a pubblicare l'ottavo capitolo della mia fanfic. Sono un disastro, lo ammetto.

Bhè, che dire...

Questo capitolo era in realtà già pianificato da diversi mesi, quindi scriverlo è stato piuttosto semplice per me - nonostante, me ne rendo conto, ci abbia messo un'eternità. Per questo mi scuso davvero.

Bhè, non indugio oltre e vi lascio alla lettura.

^_^

[Hindi]

Bleeding Sunset - Occhi di Tigre

Capitolo 8 - La Furia di Durga

Accadde una mattina, inaspettatamente.

Yashila pronunciò quelle parole con voce rauca e timorosa, piano, tanto che Shaka dubitò di averle davvero udite:

Dhan'yavāda, – disse; poi ripeté, con più forza, sollevando gli occhi ancora bagnati di lacrime, – Dhan'yavāda. – [Grazie.]

Shaka non aprì gli occhi, ma posò un’ultima carezza sulla testolina della bimba, finalmente calma. Il cavaliere della Vergine non poteva dirsi un uomo facilmente mosso dai sentimenti; tuttavia, sentire i singhiozzi affranti di Yashila, poco prima, lo aveva turbato. La tristezza e la paura che aveva percepito in lei erano penetrati fin nella sua anima, talmente erano forti.

La porta si aprì piano, ma i passi che seguirono furono più che affrettati. Rajani si precipitò ad abbracciare la piccola, che alla sua vista sgranò gli occhi e riprese a singhiozzare sommessamente.

[Ho avuto paura.] La sentì pensare.

– [Piccola sorella, sono qui, sono qui. Non piangere, sono qui.] –

Yashila si asciugò gli occhi, stropicciandoseli forte con i pugni chiusi; tirò su col naso e fissò i grandi occhi d’ambra in quelli preoccupati della sua maestra.

[Ho sognato tante cose brutte. Ho visto cose cattive.]

– Cosa hai visto, Yashila? – Dentro di sé, Rajani pregò che non fosse stato altro che un incubo a turbare il sonno della bambina.

[Non lo so. Non me lo ricordo più.]

Annuì, sospirando. Le scompigliò i capelli, poi la incitò ad andarsi a lavare e vestire.

Quando la piccola si fu allontanata, Rajani non poté fare a meno di alzare lo sguardo sull’uomo, immobile accanto a lei.

– Sheetal non riesce quasi più a dormire, tanto le visioni la tormentano. Ora questo. L’attesa si fa dilaniante, non potremo rimanere immobili ancora a lungo. –

Lui annuì, soppesando le parole. – Quanto ancora possono impiegare a scoprire il luogo in cui vi siete rifugiate? Non è un mistero la parentela mia e di Sheetal; Sadhira lo sa, non ci metterà ancora molto a fare la connessione, sempre che non l’abbia già fatto. –

Annuì. Si sentiva stanca; stanca dentro, nell’anima; stremata da quell’attesa, da quella pace fittizia intrisa di tensione.

Sempre più, col passare dei giorni, avvertiva la preoccupazione come una morsa allo stomaco. Anche nei rari momenti di quiete la tensione non le dava pace; la notte, dormire si faceva sempre più difficile.

Fu solo quando braccia calde la avvolsero che Rajani venne riscossa dai suoi pensieri. Quel profumo di sandalo e fior di loto le abbracciò i sensi; sentì il cuore aumentare i battiti, e la testa farsi più leggera.

Sospirò, imponendosi la calma, mentre insicura poggiava la fronte sul petto di lui.

Erano così rari i gesti d’affetto di Shaka; così rari e, per questo, ancora più preziosi.

– Non sei sola, Raja. – Le sussurrò piano, e il suo respiro caldo le solleticò il collo. Inspirò, tremante, mentre alzava gli occhi, immergendoli in quelli incredibilmente azzurri di lui. Rajani non ricordava di essere mai stata così vicina a Shaka: poteva chiaramente vedere le screziature celesti nelle sue iridi blu, le ciglia scure incorniciargli gli occhi, la luce riflessa sulle labbra appena umide, così invitanti…

Si riscosse immediatamente da quei pensieri, castigandosi mentalmente. Nonostante tutto, non poté fare a meno di prendere un respiro tremante. Aveva la gola secca.

– Non sei sola, – ripeté lui, mentre posava le labbra sulla sua guancia arrossata, proprio accanto all’orecchio; lo sentì inspirare profondamente, poi sollevare una mano dalla sua vita, solo per posarle una carezza sulla testa.

Rajani si sentì paralizzata. Con occhi sgranati osservò quei fili d’oro che erano i capelli di Shaka scivolargli sul viso, coprirgli gli occhi socchiusi. Fu un gesto quasi inconscio quello di scostarglieli lentamente, appena sfiorando la sua pelle con la punta delle dita.

Sospirando gli circondò il collo con le braccia, sollevandosi sulle punte dei piedi; lo strinse a sé con forza, trovando conforto in quel contatto caldo. Poggiò il viso nell’incavo del collo di lui, respirando a pieni polmoni il suo profumo inebriante; avvertendo, sotto la barriera sottile della sua pelle, il sangue scorrere e i battiti del suo cuore accelerare.

Shaka non esitò nel ricambiare la stretta, e anzi la abbracciò con forza, avvolgendo il corpo minuto di lei col proprio. Sotto le mani sentiva la pelle fresca e morbida della schiena di lei, lasciata nuda dal sari che indossava; i capelli sciolti di Raja gli solleticavano piacevolmente le nocche, e provò l’intenso desiderio di carezzare quella massa vellutata di fili scuri; risalì con una mano lungo la sua spina dorsale– la sentì rabbrividire sotto quella carezza, e sorrise inconsciamente; le andò a stringere possessivamente la nuca, intrecciando le dita in quei capelli setosi.

Raja non seppe bene per quanto rimasero in quella posizione; perse ogni cognizione del tempo, mentre sperava con tutta sé stessa che quel contatto non avesse mai fine, che tutto il resto del mondo sparisse – assieme alle sue preoccupazioni.

Si allontanarono solo quando udirono distintamente dei passi avvicinarsi, e anche allora lo fecero con riluttanza.

Non voleva, non voleva separarsi da lui; il suo cuore piangeva mentre il calore del corpo di Shaka si allontanava da lei, abbandonandola alla sensazione di gelo che l’aveva pervasa.

Sheetal entrò nella stanza gioviale come suo solito. Era incredibile come, con la sua sola presenza, riuscisse ad illuminare tutto. D’altro canto lei era così: splendente, un raggio di sole di rara bellezza.

– Ho forse interrotto qualcosa? – L’espressione innocentemente malandrina sul suo viso era palese; Rajani si lasciò andare a una breve risata, scaricando la tensione dalle spalle, e annuì giocosamente.

– Sì, ci hai interrotti; perché non te ne torni nella tua tana, serpente velenoso che non sei altro? –

Lei mise su un finto broncio. – Mi manderesti via senza colazione? –

Rajani scosse la testa, ridacchiando. – Perché poi ti sto ancora a sentire è un dilemma. Su, andiamo di là che mamma Raja prepara la pappa. –

 



 

– Non so cosa stia accadendo a Varanasi, ma la situazione è grave; ormai continuamente percepisco il futuro farsi più oscuro. E tuttavia Lakashimi non mi permette di vedere oltre. – La frustrazione era chiara sul viso pallido di Sheetal; ora che il sorriso non le inondava il volto di luce, Rajani si rese veramente conto del colorito cereo e delle profonde occhiaie dell’amica.

– Potremmo mandare qualcuno ad indagare, – propose Dohko.

– Potreste, ma non avrebbe molto senso. Noi e Shaka siamo qui gli unici a sapere come poter accedere al tempio, e per ovvie ragioni non possiamo tornare. Non così, per lo meno. –

Il Grande Sacerdote soppesò silenziosamente le parole di Visala, annuendo poi in segno d’assenso.

– Potremmo indagare in città; magari avremo fortuna. –

Sheetal sospirò. – Alzi la mano chi parla Hindi, prego. –

Calò il silenzio nella sala. – Appunto. –

– Io non capisco cosa stiamo aspettando. Attacchiamo! – Seiya batté un pugno contro il bracciolo dello scranno sul quale sedeva, un’espressione infuriata dipinta sul viso.

– Per la centesima volta, Seiya, non possiamo combattere una divinità ostile senza nemmeno avere idea di come sconfiggerla. –

Il cavaliere di Pegasus sbuffò. – Sì che possiamo, – rispose.

– Forse davvero non mi sono spiegata quando ho parlato di Mahishasura; o sei tu ad essere incredibilmente ingenuo, Seiya? Questo non è un nemico semplice da sconfiggere; per di più, ci sono in ballo le vite delle mie compagne, e non le rischierò solo perché un ragazzino non ha saputo portare pazienza! –

– Mi duole ammetterlo, ma probabilmente non abbiamo altra scelta che aspettare, al momento. Non passerà molto tempo ancora prima che la mia visione si avveri: Arun e Ashwini non si faranno attendere, vedrete; spero solo che non si portino dietro tutta la Guardia al gran completo. –

Rajani annuì. Nella sua mente l’immagine dei suoi allievi gemelli apparve più vivida che mai; voleva loro bene, e pregò con tutta sé stessa di non dover togliere loro la vita; sarebbe stato troppo.

– Quello che mi chiedo è: perché mai solo loro due? Se davvero vi vogliono morte, allora non ha senso impiegare solo due uomini. –

– Sadhira vuole che io li uccida, ecco perché, – Rajani alzò gli occhi verso Mu, – quella cagna bastarda vuole che io perda la ragione; non ha idea di cosa potrebbe accadere, povera stolta. –

Sheetal poggiò una mano su quella dell’amica. – Tu non lo farai Raja, io lo so. Li ami come fratelli, non li ucciderai. –

– Se il blocco mentale di Sadhira sarà per me impenetrabile, allora potrei non avere scelta. –

Sheetal sospirò. – Io l’ho visto, Raja. So che Arun e Ashwini non moriranno nel prossimo futuro. –

La rossa aggrottò le sopracciglia. – Cosa hai visto? –

– Ci sono cose del futuro che non vanno rivelate, dovresti saperlo. –

– Cosa mi nascondi? –

L’unica risposta che ottenne fu un sorriso enigmatico.

 


 

– Haziel, non senti anche tu questo turbamento? –

Visala alzò lo sguardo al cielo che, denso di nubi, formava una cappa scura sul Santuario. L’uomo accanto a lei scosse la testa, in segno di diniego.

– Spero che sia solo una mia impressione, allora. –

Diede le spalle alla scalinata, incamminandosi verso l’ingresso della Quarta casa. Fece in tutto tre passi, prima di bloccarsi; questa volta, lo avvertì anche Death Mask.

Due energie estranee erano penetrate all’interno del Tempio. Lui non sapeva a chi potessero appartenere, ma Visala sì: Arun e Ashwini, le guardie gemelle, erano infine arrivate.

 

 

– [Traditrice! Lo so che sei qui, esci fuori!] – Arun gridò. Lui e suo fratello si ergevano fieri nel mezzo della grande piazza, ai piedi delle Tredici case.

Il primo ad arrivare fu Mu dell’Ariete, serio e pacato. Non disse nulla, ma non tolse gli occhi dai due stranieri; quelli lo ignorarono: c’era una sola persona per la quale erano venuti – la traditrice del Tempio della Devi, colei che un tempo avevano amato e chiamato maestra.

Giunsero in molti nella piazza: i cavalieri d’oro vestiti delle loro armature, i soldati semplici, gli allievi. La tensione crebbe con ogni respiro.

Visala fissò da lontano i due gemelli ignorare completamente la folla; c’era qualcosa di molto strano in quel comportamento. In territorio nemico, come parevano non accorgersi di altro che non fosse l’obiettivo della loro missione? Certo, erano sempre stati impulsivi; tuttavia, Visala non li avrebbe mai definiti stupidi, tantomeno sprovveduti.

– [Traditrice del tuo stesso sangue! Assassina!] –

Tra le mani stringevano lunghe lance dalla punta acuminata; Visala sapeva che sarebbero state intrise di veleno.

Guardare Arun e Ashwini, insieme, era affascinante; distinguerli risultava impossibile a chiunque non li conoscesse davvero. Entrambi tipicamente indiani, con pelle ambrata e occhi così scuri da parere neri, i gemelli erano l’uno il riflesso dell’altro: alti, dal fisico imponente, i lineamenti duri e le labbra carnose. Portavano i lunghi capelli neri legati in una coda alta sul capo, e questi scendevano in una cascata di morbidi riccioli lungo le loro schiene; Visala ammise che erano davvero attraenti.

– [Arun, Ashwini, che piacere rivedervi, ] – Sheetal si fece largo tra le persone, un’espressione conciliante dipinta in viso. Si sentiva agitata, ed era tesa, ma non lo lasciò trasparire.

– [Dov’è? Dov’è lei?] – La voce di Ashwini era trasformata dalla cieca rabbia. Due paia di minacciosi occhi scuri la fissarono con odio.

Rajani osservò la scena in silenzio, dalle retrovie. Accanto a lei, Shaka le poggiò una mano sulla spalla.

– [Io non credo, per la vostra incolumità, che affrontare Rajani sia una buona idea.] –

– [Taci! Noi, che siamo punitori ed esecutori  della volontà divina, non cederemo il passo davanti ad una sporca traditrice!]–

Ogni traccia di emozione abbandonò gli occhi d’ambra della Sacerdotessa di Durga; così, immobile, sembrava più una statua che una persona.

– [Sciocchi che non siete altro! Ma non vedere quello che Sadhira vi ha fatto?] –

– [Quello che Sadhira ha fatto,] – Arun avanzò di un passo verso la bionda, minaccioso, – [è stato assegnarci una missione; uccideremo la traditrice, così che la pace possa tornare a Varanasi!] –

L’energia di Rajani ribolliva all’interno del suo corpo; era furiosa, e ad ogni parola il suo spirito gridava vendetta.

Sheetal scosse il capo; ragionare con quei due era inutile. – [Anche aveste ragione, come pensate di poterla uccidere? Non riuscireste nemmeno ad avvicinarvi a lei]. –

– [La luce di Shakti non è con i tradit…] –

Arun non terminò mai la sua affermazione.

In un lampo, troppo veloce per essere vista, Rajani si trovò accovacciata a terra, alle spalle dei suoi due vecchi allievi; tra le mani stringeva una coppia di bichwa lordi di sangue – quegli stessi pugnali che, solo istanti prima, si trovavano alle cintole dei gemelli.

La folla parve trattenere il fiato. Il silenzio venne spezzato solo dal rantolo strozzato di Ashwini. Le lance caddero con un suono sordo a terra.

Le loro game cedettero, e crollarono in ginocchio, mentre una ragnatela di profondi tagli sottili si apriva sulla loro pelle.

Arun osservò con occhi sgranati rivoli di sangue bagnare la pelle scura di Ashwini. Non si rese veramente conto del dolore finché non abbassò lo sguardo sul proprio corpo ferito.

– [Finite quello che stavate dicendo, sciocchi], – Rajani si alzò in piedi. Il clangore dei pugnali che cadevano a terra fu l’unico suono a vibrare nell’aria.

– [Io ho un nome.] – La sua voce era bassa, ma parve rimbombare nel silenzio.

Sheetal non l’aveva mai vista così arrabbiata, e questo la spaventò. Il cosmo di Rajani era immenso e rabbioso; aveva abbandonato ogni freno, e la sua energia era una tempesta attorno a lei.

– [Io sono Rajani, Alta Sacerdotessa della Tigre nel segno di Durga, e non sono una traditrice!] –

Camminò con passi misurati, gli occhi privi di qualsivoglia emozione.

Quando lo afferrò per il colletto, Arun avvertì tutta la forza di quelle esili braccia spingerlo verso l’alto. Lo sollevò senza sforzo apparente, portandolo alla sua stessa altezza, e lo fissò, occhi negli occhi, con quello sguardo vuoto.

– [Durga non mi abbandona mai!] –

Gemette dal dolore quando lei lo scaglio a terra; la perdita di sangue gli fece girare la testa.

Ashwini avrebbe voluto fare qualcosa, qualsiasi cosa, ma il suo corpo era immobile contro la sua volontà. Una forza indicibile lo bloccava e lui sapeva, senza ombra di dubbio, che si trattava di Rajani; se fosse stato lucido, probabilmente sarebbe stato spaventato.

Si sentì sbalzare a terra dalla stessa, invisibile forza; accanto a lui, suo fratello era immobile.

Rajani prese un respiro profondo; nell’aria c’era odore di sangue e salsedine. Troppo sangue.

Lentamente si avvicinò ai due, e con ogni passo aumentò la pressione mentale sui loro corpi, tanto che, quando li raggiunse, quasi non riuscivano a respirare. Con occhi sbarrati la osservarono posizionarsi in mezzo a loro; lei li guardò, dall’alto verso il basso, e i suoi occhi erano ora colmi di tristezza e rabbia.

Non allentò la pressione; l’avesse fatto, sarebbero morti dissanguati.

– Questo farà male, – sussurrò più a sé stessa che a loro.

Con violenza penetrò le loro menti, abbattendo ogni difesa; li sentì gridare di dolore, ma non si lasciò distrarre, e andò oltre: al di là del conscio, di ogni pensiero razionale, fino a quel blocco innaturale creato da Sadhira. Con forza lo aprì, senza riserve, e non si accorse che le urla di entrambi, svenuti dal dolore, si erano spente.

Ritornando alla realtà sospirò. Un rivolo di sudore le colò dalla fronte madida. Era stanca.

Avvertì due braccia fresche ed esili avvolgerla, e le strinse a sé, conscia della presenza dell’amica di sempre alle sue spalle.

Tuttavia non poteva rilassarsi, non ad opera incompiuta. Non dopo tutta quella fatica.

– Credo di aver bisogno del tuo aiuto, cavaliere, – disse in direzione di Mu.

Lui annuì, avvicinandosi.

– Non appena allenterò la pressione sui loro corpi, il sangue ricomincerà a scorrere, – si guardò intorno, rendendosi conto di quanto già ne avessero perso. Sospirò, – non posso lasciarli morire così. Anche se sono due idioti. –

– Quello che hai fatto è impressionante. –

Scosse il capo, noncurante. – Occupati di Arun, – indicò l’uomo sulla sinistra, – ed io penserò ad Ashwini. –

Lasciar andare la pressione che esercitava sui loro corpi era come rilassare un muscolo; Rajani si chinò istantaneamente sul gemello, e impose le mani su di lui. Non ebbe bisogno di alzare gli occhi per sapere che Mu stava operando allo stesso modo sull’altro.

Il lavoro non fu semplice, perché erano coperti di tagli niente affatto superficiali.

Rajani avvertì per tutto il tempo la presenza di Sheetal e Shaka alle proprie spalle, e questo la confortò.

Per la prima volta in anni, sentì forte il bisogno di piangere.

 


 

– Non si sono ancora ripresi? –

La bionda le porse una tazza di tè fumante.

Rajani si lasciò andare contro lo schienale della poltrona nella quale era seduta, scuotendo la testa. Osservò i due uomini, inerti nei letti della stanza.

Soffiò piano sulla tazza, prima di prendere un sorso della deliziosa bevanda. Un tè dolce e bollente aveva sempre avuto il potere di rilassarla, e Sheetal lo sapeva.

– Tutto si è risolto per il meglio, Raja. Io lo sapevo. –

Non poté fare a meno di scoppiare a ridere. Forse era la tensione, che finalmente aveva abbandonato le sue spalle, forse era semplicemente Sheetal: però si sentiva bene, leggera.

– So che non è stato facile, ma ce l’hai fatta Raja. Tu ce la fai sempre. –

La rossa sorrise alle parole dell’amica. Lei era sempre così fiduciosa… Avrebbe desiderato avere anche solo la metà di quell’ottimismo.

Un respiro affannato la riscosse dai suoi pensieri. Posò gli occhi su Ashwini che, svegliatosi, si guardava intorno allarmato. Quando le sue iridi scure incrociarono quelle ambrate di Rajani, la sua bocca si aprì, ma non ne uscì alcun suono.

Sheetal gli versò un bicchiere d’acqua e glielo porse, le labbra piegate in un sorriso gentile.

Arun si alzò a sedere di scatto, gemendo per il dolore subito dopo. Si guardò attorno spaesato: vide dapprima suo fratello, intento a bere nel letto accanto al suo; poi Sheetal, che lo osservava sorridendo sorniona; infine vide lei, la sua adorata maestra, immobile e seria nella sua compostezza.

Gli bastò scambiare uno sguardo d’intesa col fratello, perché tra loro non c’era bisogno di parole. Si alzarono in piedi, incuranti dei muscoli indolenziti, e avanzarono a piccoli passi verso la figura impassibile di Rajani. Non emisero un solo suono, mentre si inginocchiavano davanti a lei.

Ashwini chiuse gli occhi. Non meritavano il suo perdono; non dopo quello che avevano fatto. Però, in cuor suo, pregò che lei potesse ancora guardarli con quegli occhi colmi di affetto.

Rajani sospirò. Sentiva le lacrime pizzicarle gli occhi, ma si impose la calma. Non poté fare a meno, però, di scivolare dalla poltrona al pavimento,  portandosi alla loro stessa altezza.

I gemelli rimasero immobili, anche quando avvertirono le braccia di lei avvolgerli. La sentirono prendere un respiro tremante ed abbracciarli con forza.

Li strinse a sé, finché anche loro non ricambiarono quel contatto.

Rajani non seppe quanto rimasero in quella posizione; si rese conto, però, che quell’odore di pelle e cannella sapeva di casa, e tanto le bastò.




Ed eccoci giunti alla fine di un ennesimo capitolo!

Allora... Come vi sembrano i miei gemellini? Arun e Ashwini mi piacciono, e penso che avranno un ruolo primario nel futuro di questa fanfic. Vorrei anche approfondire il loro passato, soprattutto il modo in cui sono divenuti guardie del Tempio della Devi - e di come Rajani sia stata per loro una maestra, ma anche una sorella. Sarebbe un peccato non raccontare una storia affascinante come la loro, e penso che lo farò nei miei Missing Moments.

Bhè, c'è da sperare che non mi ci voglia un altro mese per scrivere il prossimo capitolo! Tutta colpa dell'università, ecco. *UFFI*

Ringrazio ancora una volta tutti i miei lettori, e per una volta mi vorrei sbilanciare, chiedendo un parere anche a coloro che non mi hanno mai lasciato recensioni: cosa pensate della storia?

Fatemi sapere, siete tutti di grande aiuto!

Alla prossima,

Gea Kristh a.k.a. Bea-chan

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Capitolo 9
*** L'Oscuro Abbraccio della Morte ***


CVD. Come Volevasi Dimostrare.
A tre giorni dal mio prossimo esame eccomi di nuovo qui. La cosa sta cominciando a essere controproducente... (>_<)

Questo capitolo è stato piuttosto ostico da scrivere, forse a causa dell'atmosfera cupa della quale è pregno. Ma ammettiamolo: la sessione di esami è così stressante che scrivere qualcosa di allegro è praticamente IMPOSSIBILE.

Me tapina... (T_T)

Vabbè, bando alle ciance!

Buona lettura,
Gea Kristh

[Hindi]

Bleeding Sunset - Occhi di Tigre

Capitolo 9 - L'Oscuro Abbraccio della Morte

 Arun e Ashwini furono veloci nel farsi una doccia. Quando uscirono dalla stanza, tutti e tre insieme, trovarono il piccolo salottino piuttosto affollato: Sheetal versava il tè, Shaka era seduto compostamente su uno dei due ampi divani, Camus sull’altro accanto ad un apparentemente scocciato Death Mask; Visala era appollaiata a terra, su di un cuscino, e canticchiava sottovoce una melodia intonata. Tutti i cavalieri d’oro erano presenti: chi in piedi, chi seduto, e nessuno di loro aveva abbandonato l’armatura.

 Rajani si domandò se considerassero i nuovi arrivati come potenziali nemici. Era possibile – anche comprensibile, si disse – ma, lei sapeva, non necessario. La tensione le sembrò quasi palpabile, ma non si scompose.

 Andò a sedersi accanto a Shaka, e i gemelli la seguirono sul comodo divano.

 Sheetal porse una tazza di tè a Camus, che la ringraziò con un cenno del capo, poi una al fratello, a Visala ed infine a lei; aveva un sorriso gentile e rilassato sul viso, e Rajani capì che, nonostante le apparenze, anche lei avvertiva l’atmosfera pregna di tensione che si era creta.

 Aphrodite, appollaiato elegantemente su un bracciolo del divano accanto a Death Mask, sbuffò sonoramente.

 – Ci muoviamo? – Chiese guardandosi le unghie con interesse.

 I gemelli non compresero cosa avesse detto, ma il cavaliere ebbe successo nel catturare la loro attenzione. Quando il silenzio si prolungò, Sheetal decise di intervenire; presentò brevemente i cavalieri alle due guardie, spiegando loro come fossero andate le cose.

 – [Puoi tradurre per noi?] – Le domandò Arun, e lei annuì. L’uomo alzò allora lo sguardo in direzione delle persone che affollavano la stanza: li scrutò intensamente, uno ad uno; infine, chinò il capo. – [Grazie. Vi siete presi cura delle nostre Signore quando noi abbiamo fallito; per questo, siamo riconoscenti.] –

 Rajani sbuffò, ma sorrise alle parole sincere di quel testone. Sheetal fece come le era stato chiesto, e tradusse brevemente dall’hindi al greco.

 – Quello che conta davvero, – mormorò Visala, – è rimanere uniti ora che ci siamo ricongiunti. – Ripeté la frase nella sua lingua madre, ed i gemelli annuirono sospirando.

 Forse Rajani li aveva perdonati; forse anche Sheetal e Visala lo avevano fatto; loro, però, non avrebbero avuto pace fino al giorno in cui sarebbero stati in grado di espiare la loro colpa.

 – Non perdiamoci in convenevoli, – cambiò discorso Rajani. – Se siamo qui, è per avere informazioni da oriente. – Lanciò uno sguardo interrogativo ai suoi allievi. – [Come vanno le cose al Tempio?] –

 Ashwini sospirò e si sedette più comodamente. – [Sadhira tiene le sue macchinazioni per sé; noi ci limitavamo ad eseguire gli ordini.] – Lanciò un’occhiata a Sheetal, che tradusse immediatamente in greco. Quell’impedimento linguistico era quantomeno fastidioso.

 – [Ho sentito delle voci,] – cominciò Arun, aggrottando la fronte, – [voci dell’arrivo di una vecchia conoscenza. Di chi si tratti, però, io non lo so.] –

 Rajani scosse la testa. – Dobbiamo mettere a punto una strategia di attacco. Attendere non ha più alcun senso ormai. – Nella sua mente, intanto, rifletteva: aveva un brutto presentimento.

 – [Io… Ancora fatico a credere che Sadhira sia l’artefice di tutto questo.] –

 Alzò gli occhi su Ashwini; lui si guardava le mani aperte, un’espressione accigliata sul volto.

 – [L’evidenza dei fatti non mente. Eppure… Questa immagine di lei poco si concilia con il mio ricordo di Sadhira; è sempre stata una Sacerdotessa dall’animo nobile e giusto.] –

 Per un attimo calò il silenzio. Fu Visala ad interromperlo: – [Il potere corrompe l’animo più nobile; la paura di perderlo porta alla follia. Se Sadhira ha mai posseduto un’indole giusta, allora l’ha dimenticata: da anni ormai in lei covava il seme della rabbia… e della gelosia.] –

 Sheetal non parlò, e Visala tradusse da sola quelle affermazioni. Il viso della bionda era cereo; il suo sguardo fisso nel vuoto.

 – Io… – La ragazza voltò il capo verso la Sacerdotessa di Sarasvati. – Io non ho mai desiderato questo. – Il suo fu poco più che un sussurro.

 Visala sorrise. – Lo so. –

 – Tuttavia, – intervenne Rajani, accigliata, – indorare la pillola non serve. Sheetal, tu sai che, finita questa storia, sarai eletta Grande Sacerdotessa. –

 Se possibile, il viso della bionda impallidì ancora. Chiuse gli occhi, prendendo un respiro tremante.

 Ignorare la verità delle cose era inutile. Però…

 Era divenuta Sacerdotessa di Lakashimi a sette anni; poi Sacerdotessa di Manasa a undici. Sheetal sapeva che quel giorno sarebbe arrivato, presto o tardi: il giorno in cui l’avrebbero messa di fronte all’evidenza di quel miracolo. Lei era destinata a grandi cose; non era forse questo che le era stato detto, anni addietro?

 Sorrise flebilmente, riaprendo gli occhi. Annuì.

 – [Parlatemi della sicurezza del Tempio,] – Rajani si rivolse nuovamente ai gemelli. La tensione si allentò, e Sheetal tornò a tradurre – sebbene sapesse di avere la voce incrinata.

 – [Tutta la guardia è stata dispiegata; noi esclusi, si tratta di trentuno soldati,] – iniziò serio Arun.

 Ashwini continuò: – [Una squadra di cinque uomini viene impiegata tutti i giorni per le ricerche a Varanasi. Sadhira sa, ormai, dove vi trovate, ma Visala è ancora un’incognita per lei.] –

 – [Una squadra da cinque uomini viene impiegata in ogni torrione; io e Ash solitamente ci occupavamo di fare la ronda sulle mura, e presumo che il nostro posto sia stato preso da altri. I restanti sei sono la scorta personale di Sadhira.] –

 Rajani socchiuse gli occhi. – E’ fin troppo facile… –

 – [Dhara ha…] –  Le parole di Ashwini vennero ben presto troncate dall’occhiataccia del fratello.

 Rajani sollevò un sopracciglio alla menzione del nome della Sacerdotessa di Kalì. Arun sbuffò.

 – [Lei ha… preso il vostro posto, come Capo della Guardia,] – disse.

 La ragazza non poté fare a meno di sorridere sarcasticamente. – Dhara? –

 Loro annuirono.

 – E voi glielo avete lasciato fare? – La sua espressione era alquanto divertita.

 – Ah! Finalmente ce l’ha fatta a soffiarti il posto! – Esclamò Sheetal, ritrovata la sua consueta allegria, e Rajani non riuscì a trattenersi dallo scoppiare a ridere; Visala scuoteva il capo, ma anche lei sorrideva.

 Arun sbuffò, distogliendo lo sguardo dalla sua maestra. Aveva le guance imporporate, e suo fratello non poté fare a meno di farglielo sarcasticamente notare– rimediando, per altro, un calcio sugli stinchi.

 Raja strinse gli occhi, puntandoli sui suoi allievi. – [Vi occuperete voi di lei. Confido nel fatto che non arriverà a me. Arun,] – lui si ricompose immediatamente, guardando serio la sua maestra, – [conosco i tuoi sentimenti per lei, e so che per te non sarà facile; ma attento: se Dhara arrivasse ad intralciarmi non mi farò scrupoli. Non posso preoccuparmi anche per lei.] –

 Non aveva intenzione di fare del male a una sua compagna; seppure non scorresse buon sangue tra loro, non avrebbe mai volutamente arrecato danno ad una persona innocente. Non poteva però permettere che Dhara interferisse con la missione: se mai si fosse reso necessario, lei l’avrebbe fermata – e non sarebbe stato piacevole.

 Contava su di loro, per questo. I gemelli le erano fedeli, e sapeva che entrambi avrebbero fatto di tutto per tenere al sicuro la Sacerdotessa di Kalì: anche se, per farlo, avrebbero dovuto usare la violenza.

 Annuirono, e il sorriso tornò sulle labbra di Rajani.

 – Sta calando la sera, è ora di tornare ognuno ai propri alloggi. Immagino che voi possiate rimanere qui per la notte, – guardò interrogativamente Dohko, che annuì.

 – [La mia stanza è proprio qui accanto. Se avete bisogno di qualsiasi cosa, venite a chiamarmi.] – I gemelli annuirono verso Visala, che sorrise gentile.

 – [Maestra, dove si trova la vostra?] –

 Prima che potesse rispondere, intervenne Sheetal: – [Io e Raja alloggiamo nella casa di mio fratello.] –

 Ashwini impallidì vistosamente sotto lo sguardo divertito della bionda. Rajani sospirò.

 Shaka, impassibile ed apparentemente estraneo alla conversazione, sorseggiava elegantemente il  suo tè.

 – [Voi… Voi… Nella casa di un uomo?] –

 Arun dissimulò una risata in un colpo di tosse, già pregustando la rivincita sul gemello per la scena di poco prima.

 – [Shaka è stato così gentile da offrirci ospitalità per questo periodo. Non vedo dove sia il problema.] –

 All’occhiataccia della sua maestra, Ashwini inghiottì le parole che stava per pronunciare. Insomma! Possibile che lui fosse il solo, lì in mezzo, a ritenere sconvolgente che una giovane donna vivesse nella casa di un uomo al quale non era legata?

 Il silenzio venne interrotto dallo sbuffo di Death Mask; Visala gli stava sussurrando qualcosa all’orecchio, e lui pareva piuttosto scocciato.

 Borbottando qualcosa di poco gentile sulle “assurde seghe mentali della gente”, si alzò e uscì dalla stanza, decretando ufficialmente la fine di quell’incontro.

 


 

 Meditava.

 Da giorni ormai Sheetal avvertiva il bisogno di solitudine. Doveva stare con sé stessa, per fare chiarezza nel suo io e nelle confuse immagini che Lakashimi le inviava.

 Durante la notte le visioni non le lasciavano tregua, e si sentiva sempre più spossata; sempre più stanca, fisicamente e mentalmente.

 Da quanti anni ormai non si rifugiava nella foresta per ricercare in solitudine di carpire il futuro?

 Il suolo era caldo e solido sotto di lei, un contatto saldo con il mondo cosciente; la brezza le scompigliava i capelli, e poteva sentire l’acqua scorrere non lontano da lei. Era in pace.

 Lentamente scivolò nel suo inconscio, liberando la mente da ogni pensiero. Perse di vista il mondo sensoriale, e si limitò ad essere.

 La Kundalini scorreva in lei, su, fino al Sahashrara, e avvertì lo Yoga: l’Unione. Poteva vederla: l’energia universale, in lei, in ogni cosa.

 Fu allora che la visione si manifestò.

 

 Sangue nero. Bagnava la terra, e la pelle di un uomo.

 Chi?

 Un conato, che lo scosse violentemente; il sangue, nero di morte, gli rigò il mento.

 Chi sei?

 Occhi blu. Occhi vitrei. Occhi ciechi. Occhi consapevoli di una fine ormai certa.

 No!

 Mani candide, marmoree; nere venature ne deturpavano la bellezza.

 No! No!

 Il suo viso: regale e quieto. Calmo anche nella morte.

 

 Sheetal riemerse da quella visione con un respiro affannato ed un urlo mozzato in gola. Avvertiva il cuore batterle forte in petto. Piangeva.

 Singhiozzi disperati la scossero. Si strinse, convulsamente, e le sue stesse unghie le solcarono le braccia.

 Non era giusto. No! Lei… Lei non l’avrebbe permesso. Mai.

 


 

 – Avevo una sorella, un tempo. – I suoi occhi rimasero puntati verso il cielo stellato. Ricordava.

 Visala non parlò. Ormai lo conosceva: sarebbe stato lui a decidere se continuare.

 – Era… Era un angelo. Non dimenticherò mai il suo sorriso. –

 Death Mask deglutì. Poteva ancora vederla, se chiudeva gli occhi: dolce, timida, con quei suoi grandi occhi castani, così piena di vita e di amore.

 – Lei… è morta prima ancora di compiere dieci anni. –

 Visala poggiò piano una mano su quella chiusa a pugno di lui; Death Mask allentò la stretta, poi distese completamente le dita. Si stupì, quando lei gliela strinse, palmo contro palmo. Spostò lo sguardo su di lei, poi sulle loro mani congiunte; il contrasto tra le piccole dita di Visala e le sue, lunghe e forti, era alienante. Deglutì ancora; sentiva la gola secca.

 – Tu le somigli, – riuscì a dire, infine.

 Visala gli sorrise. Avvertiva in lui il dolore sordo, antico, di una ferita ancora sanguinante.

 – Haziel, – lo richiamò piano, e lui alzò il viso per guardarla; i suoi occhi erano vacui. – Avrei tanto voluto conoscerla. –

 Chiuse gli occhi e prese un respiro profondo. Annuì, semplicemente, perché non credeva di riuscire a parlare, ormai.

 Il suo abbraccio fu caldo e sincero, e Death Mask, per un momento, ebbe quasi l’impressione di stringere a sé una bambina diversa; una bambina dolce,timida, con grandi occhi castani in grado di ricordargli sempre, in ogni momento, che l’amore era vita, e che la vita era gioia.

 E lei era vita.

 Lo era davvero.

 


 

 Ad Aphrodite i suoi occhi rossi di pianto non sfuggirono, mentre le consegnava la boccetta. Aggrottò la fronte: non capiva.

 – Non mi dirai a cosa ti serve, vero? –

 Sheetal sospirò, sorridendo stancamente. Si rigirò l’ampolla tra le mani, osservando il veleno rossastro danzare contro il vetro lucido.

 – Ci sono cose che devo conoscere. –

 Aphrodite attese invano una spiegazione che, lo sapeva, non sarebbe arrivata.

 – Perché? – Chiese infine.

 Sheetal lo guardò, e lui parve quasi avvertire il peso della stanchezza racchiusa in quegli occhi turchesi.

 – Perché cercare di cambiare gli eventi è il mio dovere. –

 


 

 – Sheetal, – la voce di suo fratello la riscosse. Si stupì di trovarlo accanto a lei: non lo aveva sentito arrivare.

 – Shaka. –

 L’aria era calda, quella sera. In lontananza le parve di udire il rombo dei tuoni – il cielo era coperto di nubi, una cappa grigia e colma di pioggia.

 – Sei stanca. –

 La sua era un’affermazione, e Sheetal non replicò.

 Lo era. Lo era davvero.

 Sollevò il viso, osservando le cime degli alberi gemelli danzare al vento.

 Shaka ascoltò: lei non parlava, ma il suo silenzio era colmo di parole non dette. La sua energia la circondava, flebile, ma non immobile: la avvertiva, turbata e triste.

 – Ci sono cose, – sussurrò infine Sheetal, – cose che non posso rivelare. – Si voltò, guardandolo in volto. – Per il bene di tutti. –

 – Vorrei che non dovessi sopportare questo fardello da sola. –

 Sheetal sorrise, poggiando una lieve carezza sul viso del fratello.

 – [Ti voglio bene Shaka.] –

 Lui non rispose, ma la abbracciò, in un gesto che valeva più di mille parole.




Ohibò. Che dire!
Ringrazio veramente tanto i miei recensori - è un grandissimo aiuto il vostro. Mi tenete su!
Spero davvero che il capitolo sia di vostro gradimento.

Un salutone e alla prossima!
Gea




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Capitolo 10
*** Ragione e Sentimento ***


Non posso credere che sia passato tutto questo tempo dal mio ultimo aggiornamento! 

Probabilmente i miei (già pochi) lettori ormai si saranno dimenticati di me, sigh... * Gea va a fare i cerchietti nell'angolino *

Ad ogni modo eccomi qui, ancora. Da dire ho poco, quindi vi lascio alla lettura, sperando vivamente che il nuovo capitolo vi piaccia.

Gea Kristh

P.S. 
Non avevo e non ho intenzione di abbandonare questa storia. 
Non so quando aggiornerò, perché devo ancora scrivere il prossimo capitolo; fatto sta che aggiornerò, e questo l'importante.

^_^




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Peroriamo la causa delle recensioni!
Cliccate la piccola scritta blu qua sopra, e aiutate anche voi a salvare un povero autore disagiato dalla depressione!



[Hindi]

Bleeding Sunset - Occhi di Tigre

Capitolo 10 - Ragione e Sentimento

 Quella mattina pareva che il cielo volesse riversare in terra fredde lacrime di dolore e rabbia. Il temporale non dava tregua al Tempio da ore, ma Rajani poteva appena udirne i suoni, attutiti dagli spessi muri della Tredicesima Casa.

 – Il Tempio della Mahadevi si trova direttamente sopra la città di Varanasi, ed è strutturato su tre livelli, – cominciò sbrigativa. Davanti a lei si trovava un ampio foglio, dove prese ad abbozzare uno schizzo del Gange, della città e del promontorio.

 – Dalla città, – indicò sul foglio Sheetal, accanto a lei, – è possibile risalire fin qui. – Disegnò con la mano il percorso, fermandosi ai piedi del promontorio. Rajani segnò quel punto con il pennarello.

 – Questo, – lo picchiettò con l’indice, – è uno dei pochi punti di accesso al Tempio, e sicuramente il più agevole. Un manipolo di guardie lo presidia giorno e notte. –

 – Si tratta dell’anticamera del Tempio; del primo livello, per così dire. – Continuò la bionda. – Qui si radunano i fedeli in preghiera. Il Tempio vero e proprio è qui, in cima, ma non è visibile se non una volta superata l’anticamera. –

 – Da qui in poi, la foresta si estende per qualche chilometro, fino ai piedi delle mura, che circondano completamente la struttura. Esiste un solo portone d’ingresso, – Rajani lo segnò sulla mappa, – e loro si aspettano probabilmente che tenteremo di sfondare la sicurezza da qui. –

 – Come pensate di procedere? –

 Rajani alzò gli occhi su Dohko, proteso, come gli altri, dal suo scranno per meglio visionare l’abbozzo di mappa. Posò nuovamente gli occhi sul foglio, riflettendo.

 – La parete rocciosa è impervia, ma non impossibile da scalare, – arrivò la voce di Visala, pregna del forte accento indiano. La giovane sacerdotessa era l’unica, oltre a Shaka, ad essere ordinatamente seduta al suo posto.

 Rajani scosse la testa. – Saremmo troppo visibili dalle mura. Non voglio che abbiano il tempo di spostare le armi. –

 – Esiste un’altra via. –

 Le tre sacerdotesse si voltarono all’unisono verso Shaka. Il volto del Cavaliere della Vergine era impassibile, quasi non fosse stato lui a parlare.

 – Quella via è preclusa a chiunque non appartenga alla casta sacerdotale della Devi, – sussurrò Sheetal, gli occhi sgranati dallo stupore.

 Rajani, però, rifletteva, gli occhi d’ambra puntati sulla mappa, mentre tra le mani rigirava quel pennarello nero. Fu proprio lei a interrompere il silenzio calato sulla Sala.

 – Che Durga mi perdoni, – sussurrò, – ma la via attraverso la roccia è la nostra migliore possibilità di entrare nel Tempio inosservati. –

– È sacrilego! – Echeggiò la voce profonda di Visala, e, come a darle ragione, rimbombò nell’aria il sordo fragore di un tuono.

 Rajani sospirò nel silenzio improvviso. – Lo so, – affermò, – e sono pronta a pagarne le conseguenze. – Si lasciò andare contro lo schienale della sedia, e guardò diritta verso la sacerdotessa di Sarasvati. – Il Vajra non è un’arma adatta al combattimento ravvicinato, sorella, e Mahishasura ha la capacità di brandire le Sacre Armi. Dovesse arrivarci lui, prima di me, le speranze che io possa ucciderlo diverrebbero pressoché nulle. – Fece una pausa, pensierosa. – Se devo scegliere, preferisco essere uccisa per aver trasgredito ad una legge della Mahadevi, piuttosto che lasciare il Tempio in mano a quel demonio. –

 – È dunque questa la tua scelta? – Sussurrò Sheetal, gli occhi pieni di terrore.

 – Sì, – disse solo Rajani, un sorriso appena accennato sulle labbra.

Sheetal sospirò, chinando il capo in segno di condiscendenza. – E sia. Che venga ricordato del mio assenso, e che la mano della Devi cali su di me per prima, qualora tu sia ritenuta colpevole di tradimento, sorella mia. –

 Il sorriso si spense sulla labbra di Rajani nell’udire quel voto, e chiuse brevemente gli occhi, scuotendo la testa.

 – La Devi ascolta le tue parole, Sacerdotessa, e ascolterà le mie: mai si dica che io, Sacerdotessa di Sarasvati, non abbia concesso il mio assenso, di fronte alla necessità assoluta, di infrangere il mio voto d’ubbidienza ai dogmi divini; io vi vedo, sorelle, e accetto la responsabilità delle azioni presenti e future, per il bene del nostro popolo. –

 – La Devi ascolta le tue parole, – sussurrò, ancora, Sheetal.

 Si scambiarono uno sguardo solenne, le tre Sacerdotesse della Devi, e, per quanto addolorata Rajani fosse di quelle parole, chinò il capo in segno d’assenso. Prendendo un profondo respiro, continuò, rivolgendosi nuovamente alla sala piena di Cavalieri.

 – Nascosta, tra le acque del Gange, esiste una bocca di roccia. Essa è invisibile al nudo occhio umano, ma è ben riconoscibile da chi usa gli occhi della mente. Le Caverne sono un luogo sacro, e nessun uomo, o donna che non fosse una Sacerdotessa della Devi, ne ha mai respirato l’aria. Lì, direttamente sotto il Tempio, si trova il centro del potere della Devi in Terra, gelosamente protetto da poteri arcani che solo una Sacerdotessa può sollevare, e non senza sforzo. Io stessa mi sono recata in quei luoghi solo tre volte nella vita: la prima, quando divenni Sacerdotessa della Tigre; la seconda, quando scelsi per me i miei nuovi allievi; l’ultima, anni fa, quando per la prima volta riuscii ad estendere la mia coscienza fino a controllare tutte le otto Armi Sacre assieme, seppure per un momento solo.

 – Le Caverne si diramano sotto al promontorio, e sono per la maggior parte coperte dell’Acqua Sacra del Gange. Risalendole, se se ne districa il labirinto, si può accedere al cuore stesso del Grande Tempio della Mahadevi, all’interno delle sue mura principali.

 – Da lì, se saremo attenti, accedere al livello ultimo del Tempio, al Palazzo dei Riti, non sarà troppo complesso. È lì che si trova la Sala delle Armi. –

 Visala parlò, spezzando il momentaneo silenzio. – Suonerò per voi, nelle Caverne, e la Maledizione delle Acque verrà sollevata, – sorrise, e per un attimo quel viso parve davvero appartenere ad una bambina. – Non posso combattere, ma posso proteggervi. Anche dovessi dare fondo alle note conosciute, la mia musica verrà ascoltata, e il Fiume ci lascerà passare. –

 – E sia, – affermò, senza nascondere una nota d’apprensione nella voce.

 – Cinque Cavalieri d’Oro, – parlò per la prima volta Lady Saori, con la voce solenne di una divinità. – Cinque Cavalieri d’Oro, cinque Cavalieri di Bronzo. Tanto è quanto posso concedere. –

 Rajani si voltò nella sua direzione, stupita. Non si sarebbe mai aspettata un simile dispiego di forze, e si sentì sollevata, come liberata da un peso. Si accorse di non essere l’unica ad essere rimata scioccata alle parole della giovane reincarnazione di Atena: molti dei suoi stessi Cavalieri non potevano credere alle proprie orecchie.

 – Non vi pare di lasciare il Grande Tempio troppo sguarnito, milady? – Domandò Dohko, una nota di incertezza a colorargli la voce.

 Saori volse taglienti occhi nella sua direzione, ordinandogli mentalmente di tacere. – Così ho deciso, così è giusto, – affermò solamente. Poi fissò le iridi chiare su Rajani, in attesa.

 La Sacerdotessa di Durga poggiò il capo sulle mani intrecciate, pensosamente, poi prese parola. – Questa è un’offerta davvero gentile da parte vostra, forse fin troppo, e ve ne sono estremamente grata, – chinò il capo rispettosamente nei confronti della ragazza, e Lady Saori ricambiò il gesto, sorridendo gentile.

 Rajani si guardò attorno, incrociando gli occhi determinati dei presenti; capì veramente, in quel momento, che nessuno di loro si sarebbe tirato indietro, anche avendo la consapevolezza del rischio che avrebbero corso. Percepì l’energia di Shaka, al suo fianco, abbracciarla rassicurante, e per un solo istante chiuse gli occhi, beandosi in quel cosmo caldo e sereno.

 – Seiya, Shun, Hyoga, Shiryu, Ikki. – I cinque cavalieri si misero in ascolto immediatamente, in risposta alla voce della loro dea. – Ve la sentite? – Domandò lei, gentile.

 Seiya sorrise, Shun e Shiryu annuirono, Hyoga e Ikki si limitarono ad un secco “Sì”.

 – Shaka, – parlò ancora lei, – sei libero di andare, se desideri farlo. –

 Il Cavaliere della Vergine annuì. – Vi ringrazio, milady. –

 – Sacerdotessa di Durga, dimmi, chi ritieni, tra i miei Cavalieri d’Oro, più adatto a questa missione? –

 Rajani scosse il capo. – Non mi permetterei mai di imporre la mia volontà in una tale decisione, decretando forse la morte di alcuni di loro. No, preferirei davvero che fosse di spontanea volontà, e non per senso del dovere, che scegliessero di rischiare la vita per questa causa. –

 – Verrò, se mi sarà concesso, – fu, a sorpresa, Deathmask a parlare. In molti lo fissarono stupiti; Visala sorrise semplicemente, a metà tra gratitudine e tristezza.

 – E sia. Chi altri lo desidera? – Domandò Saori, osservando attentamente i custodi delle dodici case.

 – Vorrei andare, – Aphrodite accavallò le gambe, coperte dall’oro dell’armatura dei Pesci.

 – Ti è concesso, – affermò ancora la reincarnazione di Atena. – Chi altri? –

 – Io, milady, – affermò Mu, e lei annuì.

 Camus alzò semplicemente una mano, e Sheetal si sentì gelare il sangue nelle vene. Scosse violentemente il capo, ma non servì, perché già Lady Saori aveva accordato il suo permesso. Sentì lo sguardo penetrante di Rajani su di sé, ma lo ignorò.

 – Saranno dunque i Cavalieri dell’Ariete, del Cancro, della Vergine, dell’Acquario e dei Pesci ad accompagnarvi. Siete soddisfatta, Sacerdotessa? –

 La rossa annuì, ma aveva la testa altrove – alla reazione di Sheetal, all’orrore dipinto su quel viso angelico. Si chiese cosa il futuro avrebbe riservato loro, cosa sua sorella avesse visto, e perché non l’avesse rivelato.

 Venne riscossa dalla mano di Shaka sulla propria spalla. Si voltò a guardarlo, e per la prima volta sentì la mente del Cavaliere dischiudersi dinanzi a lei.

 Era un luogo pacifico, la mente di Shaka, un luogo pregno di serenità e calore. Vi lesse pensieri fatti di sensazioni, e anche senza udire la sua voce si sentì rassicurata, e sorrise, grata. Percepì il tumulto delle proprie emozioni calmarsi, e si sentì in pace per la prima volte in ore.

 Shaka non richiuse la propria mente, e questo le fece pensare che l’avesse aperta per lei sola; la conferma le arrivò, indirettamente, dai volti impassibili dei presenti in sala, ignari dello scambio appena avvenuto. “Dhan’yavāda,” soffiò nella mente di lui, piano, e lo vide accennare un sorriso.

[Grazie]

 – Ci divideremo in squadre, – tornò a parlare Rajani, catturando nuovamente l’attenzione generale. La sua voce era ferma e decisa, mentre nella sua mente vagliava tutte le ipotesi. – Ci teletrasporteremo a scaglioni, appena fuori dalla città; se terremo un basso profilo, nessuno si accorgerà di noi. – Alzò gli occhi sui presenti. – A patto di nascondere quelle armature, si intende. Nella notte vi si potrebbe veder arrivare da chilometri di distanza. – Vide Mu e Camus annuire, così continuò. – Il primo gruppo scenderà al porto, reperendo le barche, e risalirà il fiume, fin qui, – indicò un punto fuori dalla città, in corrispondenza di un’ansa del Gange, – dove si incontrerà con il secondo gruppo. Assieme accederanno alle Caverne. Un terzo gruppo attenderà fuori dalla città alta, sulla via per accedere al Tempio. Dovrà prestare particolare attenzione, poiché quell’area pullulerà di guardie. Il terzo gruppo sarà il nostro diversivo: attenderanno un’ora, prima di fare irruzione nell’anticamera del Tempio. Intanto, i primi due gruppi saranno entrati. –

 Fissò la mappa, intensamente; pensò alle possibili pecche in quel piano, a tutto ciò che sarebbe potuto andare storto, e a come evitarlo.

 Sheetal osservò l’amica di sempre stringere gli occhi, concentrata in quella partita di scacchi con sé stessa. Le sue iridi d’ambra erano in tumulto, ma il suo viso era impassibile.

 Infine, Rajani alzò gli occhi. – Il terzo gruppo sarà composto dai Cavalieri di Bronzo, guidati da Arun e Ashwini. I gemelli conoscono bene la città, e sanno come evitare di essere visti, per cui devo chiedervi di ascoltarli. –

 Seiya era sul punto di protestare, ma venne prontamente fermato da Shun. Shiryu annuì, e Rajani tornò a guardare la mappa. – Visala è ancora ricercata in città, quindi guiderà il secondo gruppo. Deathmask, –  lo guardò negli occhi, – ti affido la sua incolumità. Per favore, fa che nulla le accada. –  Lui annuì.

 – Sarà Mu a portarvi, se è d’accordo. –

 – Nessun problema. –

 Rajani annuì. – Camus, Shaka, andate con loro. Io reperirò le barche, –  osservò un attimo i presenti, – e Aphrodite verrà con me, assieme a Yashila. –

 – E’ solo una bambina! – Protestò il Cavaliere dei Pesci, i grandi occhi azzurri sgranati.

 – Il volere di Durga deve essere compiuto, – affermò solo lei, chiudendo gli occhi. Lo sapeva, Rajani, che Yashila era solo una bambina, virtualmente indifesa. Lo sapeva, ma non poteva andare contro il volere della Devi, che gliel’aveva mandata proprio in quel momento di crisi.

 – Io teletrasporterò il mio gruppo e quello dei Cavalieri di Bronzo; in città, ci divideremo. Partiremo al calare del sole, domani. A Varanasi, sarà notte fonda. –

 – Credo tu stia dimenticando qualcuno, Sorella Tigre, – Sheetal fissò insistentemente Rajani, che sospirò.

 – [Vorrei che tu rimanessi qui,] – le confessò, in Hindi.

 – [Vorrei che tu mi lasciassi fare le mie scelte.] –

 Poiché Rajani sembrava non aver intenzione di rispondere, la bionda continuò, – [Raja, io devo venire. È importante.] –

 Fu tentata di impedirglielo, di dirle che no, non poteva venire. Ma sarebbe stato giusto? Una parte della sua mente le disse che non lo era, l’altra che non importava se lo fosse o meno. Sheetal doveva rimanere al sicuro.

 – [Non permetterò che tu venga sul campo di battaglia.] –

 – [Non te lo sto chiedendo, Sacerdotessa di Durga.] –

 Rajani si irrigidì. – [Rimarrai con Visala, allora. Nelle Caverne.] –

 – [No.] –

 – Sheetal… –

 – [Io sono doppiamente tua pari!] – Esclamò allora la bionda, infervorata, e Rajani dovette tacere. Era vero, non poteva impedirle di fare ciò che desiderava. Non senza rivendicare il Diritto di Durga, per lo meno.

 – [Non farlo,] – arrivò la voce bassa di Visala, – [ti odierebbe.] –

 – [Sarei disposta a farmi odiare, purché rimanesse al sicuro.] –

 – [Ho i miei motivi, Raja. Non è solo una questione di orgoglio,] – arrivò il sussurro di Sheetal. Rajani chiuse gli occhi, e si seppe sconfitta.

 Sospirò. – Sheetal, tu andrai con il gruppo di Visala. –  

 Rajani non lo sapeva, ma, quel mattino, il destino di molti fu deciso; o forse sì, lo sapeva, ma non se ne rese pienamente conto, allora.

 

 

 

 Terminata la riunione, Rajani si ritrovò a scendere i gradini di marmo del Grande Tempio, la mente in tumulto. Era diretta all’arena, dove sapeva avrebbe trovato i gemelli. Doveva parlare loro, spiegargli cosa era stato deciso, e perché. Gli avrebbe presentato personalmente i Cavalieri di Bronzo, che camminavano silenziosi alle sue spalle, e pregò che l’evidente barriera linguistica non impedisse loro di dare il meglio in missione.

 Quando infine raggiunsero il terreno sabbioso dello stadio dei combattimenti, bagnato da quella pioggia, impietosa, che solo da pochi minuti aveva smesso di cadere, Rajani osservò i suoi discepoli scontrarsi violentemente l’uno con l’altro. Combattevano a mani nude, i corpi sudati che risplendevano al pallido sole, i capelli bagnati attaccati alla pelle del viso e delle spalle, i muscoli tesi e scattanti.

 – [Siete lenti,] – commentò solo, atona, mentre si faceva loro incontro.

 Arun sollevò gli occhi, ma non abbassò la guardia, parando l’ennesimo colpo di Ashwini e sferrando un pugno che prese il gemello in pieno stomaco. Questi cadde, ma portò con sé anche l’altro, e si ritrovarono entrambi a terra, pieni di sabbia.

 Fu allora che Rajani scoppiò a ridere, sentendo la tensione abbandonarle le spalle. Fece loro cenno di avvicinarsi, e i gemelli eseguirono - non senza una smorfia disegnata in viso, però.

 – [Questi alle mie spalle sono i Cavalieri di Bronzo di Atena,] – li indicò Rajani, – [e verranno con noi, a Varanasi. Loro saranno i vostri compagni di squadra, ho pensato fosse bene presentarveli prima di domani.] –

 Arun annuì, e Ashwini li salutò cordialmente con un “Namasté” a fior di labbra.

 – Seiya, Shun, Ikki, Hyoga e Shiryu, questi sono i miei allievi, Arun e Ashwini. So che sarà difficile comprendervi, ma vi prego di fare uno sforzo e di non agire in modo impulsivo. – Si rivolse poi ai gemelli, ripetendo in Hindi le stesse raccomandazioni.

 – [Venite, vi spiegherò meglio i dettagli del piano sulla strada del ritorno.] – Li osservò divertita. – [D’altro canto, avete disperato bisogno di una doccia. O sbaglio?] –

 Ridacchiò sommessamente quando Arun borbottò qualcosa di simile ad un “no”, lanciando occhiate di fuoco al gemello.

 

 

 

 

 Il sole calò in fretta quella sera, o forse questa fu solo l’impressione di Rajani che, persa ogni cognizione del tempo, si ritrovò in meditazione nello Sharasoju.

 Il temporale mattutino aveva lasciato posto ad una pallida giornata, e ad una notte serena. L’aria era piacevolmente fresca contro la sua pelle; il cielo, rischiarato da una luna particolarmente luminosa, era terso, le pesanti nubi solo un ricordo.

 Rajani lasciò che il vento le scompigliasse i capelli e che portasse via, con sé, la tensione di quel giorno. Sentì i pensieri e le preoccupazioni scivolarle addosso e abbandonarla, mentre si rilassava in quella posizione così familiare.

 Poco più che un paio d’ore erano trascorse, quando sentì passi felpati avvicinarsi a lei. Non ebbe bisogno di voltarsi, né di aprire gli occhi, per sapere a chi appartenessero.

 Namasté, – sussurrò, e la sua voce spezzò il silenzio della notte.

 Namasté.

 Lo avvertì accomodarsi al proprio fianco, percepì il suo calore, e socchiuse gli occhi, per il puro piacere di guardarlo.

 Shaka era seduto accanto a lei, tanto vicino da toccarla, quasi. Nonostante le palpebre abbassate di lui, Rajani si sentì osservata, e non poté impedirsi di arrossire. Distolse lo sguardo, imbarazzata.

 Fu lui, inaspettatamente, a farle voltare il capo, in un gesto simile ad una calda carezza, e Rajani si ritrovò ad annegare nell’azzurro intenso dei suoi occhi.

 Il respiro le si mozzò in gola, e smise di pensare. Era vicino. Quando le labbra di lui sfiorarono in un bacio appena accennato la sua fronte, Rajani si sentì morire e rinascere. Sospirò, abbassando le palpebre, solo per riaprirle un momento dopo.

 Si guardarono negli occhi a lungo, intensamente, la fronte di lui poggiata su quella di lei, e Rajani non avrebbe sognato di essere in nessun’altro luogo al mondo.

 Le dita di Shaka le carezzarono riverenti la guancia, e lei desiderò ardentemente chiudere gli occhi, per poter assaporare quella dolce sensazione a fondo; ma quelle iridi azzurre… la tenevano prigioniera, impedendole di privarsi della loro vista fosse anche per un momento solo.

 I loro respiri lenti si mescolavano, nella notte, e nonostante la temperatura Rajani non sentì freddo; quando la mano di lui scese a carezzarle la pelle del collo, non fu per il vento che rabbrividì.

 Lasciò andare un respiro tremante, e sollevò lentamente una mano, passandola con dolcezza sulla pelle candida della guancia di lui. Vide le sue palpebre tremare, per un istante, e si concesse un sorriso.

 In quel momento era felice, assolutamente e completamente felice; non c’era nessuna guerra, nessun demone, nessun complotto. C’erano loro: c’era lei e, soprattutto, c’era lui. Nient’altro importava.

 – Ti amo, – gli disse, semplicemente perché era la verità.

 Shaka non rispose, ma lo vide rabbrividire e chiudere gli occhi, e tanto le bastò. Quando lui l’abbracciò, stringendola al suo corpo, si sentì pervasa dal calore più dolce, e lo strinse a sua volta, beandosi di quel contatto.

 Si appartenevano.

 Non ci fu bisogno di altre parole, quella notte.

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Capitolo 11
*** Rituale di Sangue ***


Per mesi e mesi questo capitolo è rimasto in parte scritto nel mio computer. Non so perché non riuscissi ad andare avanti, soprattutto considerato che non ho mai avuto dubbi su ciò che avrei dovuto scrivere, ma tant'è...
L'ispirazione sembra essere tornata tutta assieme. Per puro caso ho riaperto il documento con il capitolo incompiuto, e ho sentito che potevo continuare, che potevo andare avanti. Non solo: nemmeno una settimana fa ho iniziato a scrivere una nuova storia originale, la cui idea mi ha colpita tutto insieme - mentre ero sotto la doccia, a dire il vero! XD
Mi scuso tantissimo con i miei lettori per aver atteso così tanto per aggiornare, ma, dico davvero, la voglia di scrivere mi aveva abbandonata. Ora spero che non lo faccia più.

Buona lettura e grazie a tutti,
Gea Kristh


[Hindi]

Bleeding Sunset - Occhi di Tigre
Capitolo 11 - Rituale di Sangue

 – Temi la morte? –

 La voce di Shaka ruppe il silenzio di quel mite primo pomeriggio. Rajani non si voltò nella sua direzione, mentre continuava a spazzolarsi morbidamente i capelli.

 – No, – rispose, dopo una pausa, – temo il futuro, qualora non riuscissi nel mio intento. –

 Avvertì il calore della mano di lui su una spalla, e sospirò, confortata da quel gesto.

 Poche ore… Questo aveva. Poche ore, ed il destino di molti sarebbe stato rivelato.

 Non si accorse di essersi bloccata fin quando Shaka, con gesti gentili, non prese la spazzola dalle sue mani; Rajani si sentì arrossire, quando lui cominciò a passarla con attenzione tra i suoi capelli.

 – Andrà tutto bene, – sussurrò, così vicino al suo orecchio che Rajani si sentì rabbrividire; il fiato di Shaka le solleticava il collo latteo, e lei trattenne il respiro, mentre il cuore le martellava forte in petto.

 Un bacio. Uno solo, proprio lì, dove il suo battito pulsava, impazzito, contro la sottile barriera della sua pelle; Rajani avvertì un brivido correrle lungo la spina dorsale, e chiuse gli occhi. Tutti i suoi muscoli, dapprima tesi dal nervosismo, si erano sciolti, e lei poggiò la schiena sul petto di lui, lasciandosi abbracciare da quel dolce calore.

 

 

 Le ore passarono, lente ed inesorabili. Infine, il momento dei preparativi giunse. Ne fu grata: l’immobilità la uccideva, ed avrebbe accolto calorosamente l’adrenalina in circolo nelle sue vene.

 Con un gesto secco Rajani assicurò le cinghie dei pugnali alle cosce. I pantaloni, di morbida pelle scamosciata, le cingevano in uno stretto abbraccio i fianchi e le gambe; sul busto, il corpetto le lasciava completamente nuda la schiena, come da lei stessa richiesto alla sarta – la tigre di Durga non sarebbe stata contenuta, non quella notte.

 Rajani lo poteva sentire – il tilak, impresso sulla propria pelle, pulsava di vita propria; era come se la tigre stesse tornando lentamente alla vita, preparando gli artigli per la battaglia imminente.

 Sheetal, alle sue spalle, era più silenziosa del solito, mentre le raccoglieva i capelli sul capo, in un’acconciatura abbastanza stretta da non sciogliersi nemmeno nel mezzo della lotta.

 Non parlò. D’altro canto, l’ora delle parole era passata – il sole stava calando: era giunto il momento. Quella notte, in gioco c’era il destino di Varanasi – il destino dell’India intera.

 Il Vajra riposava inerte sul suo cuscino di seta; gli ultimi raggi di sole ne colpivano i rubini, creando un perverso gioco di luci e di ombre rosse in quella piccola stanza altrimenti candida. Sembrava quasi un presagio, pensò Rajani, un presagio raccapricciante di morte e di sangue.

 La tigre, che era parte di lei come il suo corpo stesso, danzava immobile sulla sua pelle. Lei voleva essere liberata – si sentiva intrappolata, in quei confini di carne e di sangue; voleva la battaglia, voleva la vittoria. Rajani lo poteva sentire: il rombo del suo ruggito, basso e roco, era lì, dietro ogni suo pensiero, e rimbombava assordante negli antri più profondi della sua mente.

 Visala entrò nella stanza, silenziosa come uno spirito – era cerea, ma Rajani scelse di non commentare quel pallore. Le porse invece un pugnale, immerso nel suo fodero, e la ragazza lo accettò con un cenno del capo. Rajani pregò che mai avesse causa di estrarlo.

 L’abbigliamento della giovane Sacerdotessa di Sarasvati non era dissimile dal suo: stretti pantaloni di pelle ed una maglia che le lasciava nuda la schiena. I capelli corvini, raccolti sul capo come sua consuetudine, non potevano celare il tilak del cigno, che pareva rifulgere d’argento nell’improvvisa penombra.

 Una scelta comune, una scelta d’orgoglio e di rabbia: ecco cos’era stata quella di denudarsi la schiena per l’imminente battaglia. Accusate di tradimento, costrette all’esilio dalla loro terra natia, avrebbero portato con onore i segni della benevolenza della Devi – una benevolenza che mai, mai avevano avvertito così viva.

 Sheetal stessa si era raccolta i capelli dorati in uno stretto chignon; i suoi lineamenti per la prima volta le erano apparsi duri – o, forse, era la rabbia nei suoi occhi a farla apparire come una guerriera dinnanzi a Rajani.

 Per un istante, un istante soltanto, mentre immergeva le sue iridi d’ambra in quelle turchesi di colei che aveva sempre considerato una sorella, fu certa di udire i sonagli del serpente risuonare nell’aria – e Rajani non pensò nemmeno per un istante di averlo immaginato.

 Fu in religioso silenzio che uscirono infine dalla Sesta Casa.

 Il peso dolce del Vajra era confortevole alla sua cintola – o forse era il suo calore, che pareva penetrarle la carne ed immergersi più giù, in profondità, nei celati anfratti in cui la sua stessa anima fremeva.

 Fu una discesa lenta, perché tra le mani Sheetal portava un pesante vassoio: sopra, disposte ordinatamente, sedevano piccole tazze ed una brocca d’argento. Non aveva detto loro nulla riguardo il suo contenuto, ma Rajani poteva ben immaginare cosa vi fosse all’interno – se non per esperienza, avrebbe trovato rivelatrici le bende attorno al polso destro della donna che era al contempo Sacerdotessa di Lakashimi e Sacerdotessa di Manasa.

 Il cielo già si tingeva di arancio, quando infine l’ultimo dei gradini fu alle loro spalle.

 Davanti alle mura della Casa dell’Ariete, una piccola folla era radunata.  La piccola Yashila fu la prima ad accorgersi della loro presenza, e si fece loro incontro a grandi passi. Rajani le sorrise, chinandosi alla sua altezza per poterla guardare in quegli occhi di tigre, così simili ai suoi.

 – [Mia piccola sorella,] – le mormorò piano, – [questa notte... questa notte torniamo a casa nostra.] –

 Yashila non rispose, ma un sorriso sghembo si aprì sulle sue labbra. Aveva capito. Aveva capito tutto.

 Alzando lo sguardo, fu con sicurezza che incontrò gli occhi scuri dei gemelli. Passò in rassegna ognuno dei presenti, e fu soddisfatta da ciò che vide: forza, coraggio e dedizione.

 Shaka la stava guardando – non con gli occhi, no, ma Rajani avvertiva la sua attenzione su di sé come una calda carezza. Era bello, con l’armatura della Vergine a catturare gli ultimi sparsi raggi di sole, e quell’aria di magnificenza a circondarlo del suo mantello; poteva vedere, al suo collo, la catenina che lei gli aveva donato tanto tempo prima: la ruota del dharma, il simbolo del Buddha – e, per lei, da sempre il simbolo del suo amore per lui.

 - Prima della partenza, c’è ancora qualcosa che dobbiamo fare, - parlò Visala, e la sua voce profonda sembrò rimbombare nell’aria chiusa di quella serata.

 Sheetal annuì, solenne. Si inginocchiò a terra, così fluida ed aggraziata che Rajani dovette sorridere: nemmeno la tensione pareva intaccarla.

 Il vassoio toccò terra con un suono sordo. Fu meticolosa, nel riempire ognuna di quelle piccole tazze d’argento con il liquido rosa contenuto nella brocca – Sheetal sentiva gli sguardi dei presenti su di sé, ma non ne ebbe cura.

 Andava fatto.

 Si risollevò, infine, il vassoio ancora una volta tra le mani. Furono le sue sorelle le prime alle quali lo porse. Rajani prese la tazzina a lei più prossima, chinando il capo in segno di ringraziamento; vide Visala fare lo stesso.

 Ad ognuno di coloro che sarebbero partiti in missione venne presentata una tazzina, ed ognuno di questi accettò – invero, molti non compresero la natura del dono.

 – Cos’è? – Chiese infine Death Mask. Sheetal misurò le parole da dire, ma fu battuta sul tempo.

 Fu la serafica Visala a parlare: – Non porre domande alle quali non desideri ricevere una risposta. –

 Lui si limitò ad una smorfia, ma non commentò oltre.

 – Bevete, – ordinò infine Sheetal, e loro lo fecero.

 Rajani avvertì il liquido scivolare giù per la gola, e, nonostante sapesse cosa attendersi, dovette sforzarsi per non storcere il naso. Il sapore metallico del sangue le permeò la bocca, riportandole alla mente altri tempi, tempi passati, in cui, allieva, aveva spesso assaggiato il sapore del suo stesso sangue.

 Con una punta di ilarità Sheetal osservò le reazioni attorno a lei, ma si impose di rimanere seria – anche quando Death Mask si lanciò in una serie di imprechi non meglio identificati, fulminandola con lo sguardo.

 – Perdonatemi se il mio dono vi ha arrecato fastidio, non era mio desiderio. Consideratelo un piccolo prezzo da pagare, per i benefici delle sue proprietà, – si scusò, una volta placati gli animi. – Non vi salverà la vita, non da solo, ma rallenterà qualsiasi veleno abbastanza a lungo perché io possa sperare di curarvi, in caso di bisogno. Non avrò morti sulla coscienza, non se posso evitarlo. –

 Fu Aphrodite il primo a rivolgerle un cenno col capo, con un mezzo sorriso sulle labbra piene. Lo ricambiò, ringraziandolo mentalmente per la comprensione.

 – Un piccolo prezzo davvero, – assentì anche Camus. I suoi occhi, fissi in quelli di lei, sembravano leggerle l’anima, e Sheetal si trovò ad arrossire e distogliere lo sguardo suo malgrado. Si maledì mentalmente: non poteva perdere la concentrazione, non in un momento così critico. Prese un respiro, chiuse gli occhi, e si impose la calma.

 – Sacerdotessa di Durga, – pronunciò, voltandosi verso l’amica; Rajani le rivolse un cenno d’assenso, e le si fece incontro. – Porgimi le mani. –

 Le presentò i palmi, rivolti al cielo rosso come in segno di preghiera. Si fissarono, per un momento, a pochi passi l’una dall’altra, e non ci fu bisogno di parole. Sheetal estrasse il pugnale dal fodero ancorato alla sua coscia, ed avanzò verso di lei.

 Quando la punta affilata della lama affondò nella sua carne, ed il sangue le riempì i palmi, Rajani non emise alcun suono. Indurì gli occhi, fissi davanti a lei, senza mai chinare il capo.

 Surakṣā. Protezione.

 Sheetal l’incise con riverenza e minuzia su un palmo, poi sull’altro. La lama, dal filo perfetto, scorreva fluidamente sulla pelle della Sacerdotessa di Durga, tagliando in profondità; il sangue gocciava a terra, copioso, sporcando d’amaranto il marmo bianco del tempio. Quando infine terminò la sua opera, Sheetal esalò un profondo respiro, e sorrise. Baciò la lama, poi la fronte dell’amica immobile. E, sotto gli occhi di quel tramonto greco, la Devi rispose all’appello: i tagli si chiusero, la pelle assorbì il sangue – quella parola, però, sarebbe rimasta incisa in lei, impressa nel suo spirito grazie alla benedizione di Lakashimi.

 Dhan'yavāda, – mormorò, puntando i suoi occhi di tigre in quelli turchesi della bionda.

[Grazie]

 Sheetal sorrise, e lei dovette ricambiarla. Le strinse forte la mano, grata davvero di non essere sola.

 Spostò lo sguardo su Visala, che già le si faceva incontro, altera ed impassibile. Tra le mani, la giovane Sacerdotessa di Sarasvati aveva un pugnale, che le offrì silenziosamente; Rajani l’accettò, e non per errore lo afferrò dalla lama: non esitò nello stringerla tra le dita, con forza, anche quando avvertì l’acciaio penetrare la barriera della pelle – per la seconda volta, quella sera, sangue fresco macchiò il candido pavimento del tempio di Atena.

 – Porgimi le braccia, – richiese la mora, e la sua voce era profonda e cupa, più di quanto non lo fosse mai stata.

 Rajani eseguì l’ordine, lasciando che il pugnale insanguinato cadesse a terra. Con le dita Visala raccolse il fluido amaranto dalle sue mani, e con estenuante lentezza dipinse lungo i suoi avambracci: Majabūra, Forza, e Bhāvanā, Spirito. Le porse infine la mano destra, quella che aveva utilizzato per scrivere, e Rajani si chinò per posare un bacio sulla punta delle sue dita.

 Come era accaduto solo pochi minuti prima, la sua pelle assorbì il sangue, che parve ribollire e poi svanire, lasciando in sua vece solo pallide scie. Le mani della rossa, di nuovo intatte, strinsero con forza quelle della mora. – Dhan'yavāda, – le disse.

 I Rakta anuṣṭhāna, i rituali di sangue, erano stati compiuti. Non era più sola, nemmeno nella sua stessa pelle: sentiva i flussi delle loro energie, i flussi delle energie delle sue sorelle, intrecciarsi al proprio – e finché fosse durato, finché avesse camminato nella luce non più di Durga solamente, ma di Lakashimi, e di Manasa, e di Sarasvati, allora non avrebbe potuto temere per il futuro – il caldo tepore della luce divina glielo impediva.

 Quello era il Legame, uno dei grandi doni della Devi alle sue Sacerdotesse.

 Rajani alzò lo sguardo al cielo, e respirò a pieni polmoni. Il sole era calato.

 – Il momento della resa dei conti è infine giunto. Andiamo. –

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