Bleeding Sunset - Occhi di Tigre di Gea_Kristh (/viewuser.php?uid=3475)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Namasté ***
Capitolo 2: *** Recovery ***
Capitolo 3: *** Fuga dal Tempio ***
Capitolo 4: *** Bellezza Letale ***
Capitolo 5: *** La Portatrice del Vero ***
Capitolo 6: *** La Bambina dagli Occhi di Tigre ***
Capitolo 7: *** L'Angelo dell'Indulgenza e della Guarigione ***
Capitolo 8: *** La Furia di Durga ***
Capitolo 9: *** L'Oscuro Abbraccio della Morte ***
Capitolo 10: *** Ragione e Sentimento ***
Capitolo 11: *** Rituale di Sangue ***
Capitolo 1 *** Namasté ***
Ciao a tutti!
L'idea per questa fanfic mi è
venuta mesi fa e, dopo mille indecisioni, finalmente, mi sono decisa a
scriverla.
Vedete, io adoro Shaka. Ma proprio alla
follia, eh. Mi piacciono tutti i Gold Saints, per carità -
decisamente meglio di quelle mezze seghe dei Bronze! - però
per quel biondino ho proprio un grande debole. Non è da
stupirsi, quindi, se la storia sarà principalmente
incentrata su di lui, ma... non solo.
Non so se aggiornerò
regolarmente, perché, per la verità, non so esattamente come si
evolveranno le cose.
-
Go with the flow, Gea! -
La fanfic parte dal presupposto che, dopo
Hades, tutti i Gold Saints tornino alla vita - a dilettare noi donzelle!
Non mi resta che augurarvi una buona
lettura e raccomandarmi di lasciare una recensionina-ina-ina.
Baci baciottoli,
Gea
Kristh
- Namasté
Shakamuni. -
Alzò
lo sguardo sulla figura di fronte a lui. Rajani gli sorrideva, le mani
congiunte davanti al petto e la testa appena china.
- Namasté
Raja. -
Ricambiò
il gesto, rendendosi marginalmente conto di stare sorridendo a sua
volta.
Shaka
tornò ad ammirare la vista della valle: dall'alto del
pendio, baciata dal sole
nascente, l'acqua del Gange sembrava una colata d'oro in terra; e
lì, sulle
montagne che incorniciavano quel dono divino, il tempio giaceva
immobile.
- E'
una vista meravigliosa, non trovi?-
Lo
era. E Shaka, cavaliere di Virgo, sapeva che gli sarebbe mancata una
volta
lontano da quella che era la sua terra. Molte cose, in
realtà, gli sarebbero
mancate; molte persone, anche.
- E
così parti. Te ne vai.-
Rajani...
Piccola, bella, Rajani. La sua voce quasi tremava, nel sussurrare
quelle
parole; come se, pronunciandole, le rendesse più vere.
- E'
il mio dovere. Sono un cavaliere di Atena. -
Lei
chinò il capo, gli occhi di brace puntati a terra. E Shaka,
osservandola, non
poté non pensare quanto quella creatura fosse bella:
preziosa, come un gioiello
raro. L'affetto che provava per lei gli strinse il cuore nel vederla
così
triste, così affranta. Per lui. Perché quello
poteva essere un addio.
-
Tornerò Raja, te lo prometto.-
Allora
lo guardò; e il mare dorato che erano i suoi occhi brillava
di lacrime
trattenute. Shaka sorrise; non pensò, quando con la mano
carezzò piano una
guancia arrossata.
-
Attenderò il momento in cui potrò rivederti
ancora, Shaka. Non dimenticarti di
me, io non lo farò.-
Sorrise,
e con gesti aggraziati sfilò dal proprio collo una catenina
d'oro; la ruota del
dharma brillò alla luce del sole. Shaka guardò
curioso il piccolo ciondolo.
Quando lei gli si avvicinò di un passo il cuore gli
sobbalzò in petto. Che
strana sensazione quella! Rimase immobile mentre lei si alzava sulle
punte dei
piedi e gli circondava il collo con le braccia. Che profumo
meraviglioso,
pensò; lavanda, e qualcosa che era puramente donna,
puramente lei. Sentì
qualcosa di morbido, vellutato, sfiorargli appena una guancia; che
l'avesse
solo immaginato?
Troppo
in fretta quel momento ebbe fine. Raja fece un passo indietro, le gote
imporporate, e Shaka sentì il freddo della catenina sulla
pelle del collo.
- E'
il mio regalo per te. Così, forse, potrai ricordarmi anche
quando sarai
dall'altra parte del mondo.-
- Mi
mancherai Rajani, prenditi cura di te. - Fu tentato di abbracciarla, ma
non lo
fece. Però le sorrise dolcemente, e per lei quel sorriso
valse più di qualsiasi
gioiello.
- Namasté,
Shaka. Mi mancherai.-
- Namasté.-
Si
svegliò, il viso della ragazza ancora impresso nella mente.
Perché quel sogno?
Perché adesso, dopo oltre cinque anni?
Namasté.
La
sua voce gli risuonò nelle orecchie mentre si sollevava dal
giaciglio che era
il suo letto. Shaka sospirò, poi se ne sorprese. Quei gesti,
così... umani, non
gli appartenevano da tempo.
Portò
la mente al dolce peso della catenina al suo collo; nonostante tutto,
ancora la
portava.
Ricordò
la prima volta che, ancora bambino, aveva visto Rajani. Gli era
sembrata una
visione angelica mentre, col tramonto negli occhi, cantava in riva alle
acque
del Gange; il vento la carezzava e i lunghi capelli sciolti si
arricciavano
come lingue di fuoco vivo alle sue spalle. L'aveva colpito la sua pelle
diafana, così simile alla sua e così diversa da
quella di tutti gli altri.
Lei
si era girata e gli aveva sorriso; e quel sorriso, quegli occhi, gli
erano
entrati nel cuore: Shaka sapeva che mai ne sarebbero usciti.
Quel
giorno il Santuario celebrava l'anniversario della fine della Guerra Sacra. Festeggiavano la
pace, e la gloria di Atena.
Tutti i dodici cavalieri d'oro erano richiesti alla Tredicesima casa
per il
ballo che si sarebbe tenuto quella sera.
Un
anno era trascorso in fretta; il Santuario, riportato allo splendore,
pullulava
di vita.
Shaka
non s'ingannò: non sarebbe durata, quella pace. Non durava
mai.
Ciononostante
si preparò a quello sfoggio di ipocrisia come tutti gli
altri. Indossò
l'armatura della Vergine e si pettinò i lunghi capelli d'oro
con un pettine
d'osso – uno dei pochi beni materiali che possedeva. Era un
dono di Sheetal, e
pertanto lo teneva caro.
Uscì
dalla sua casa, preparandosi a risalire fino alla Tredicesima.
-
Non mangi nulla? - Si voltò verso la timida voce del
cavaliere di Andromeda.
Gli
occhi chiusi non gli permettevano di vedere il suo viso gentile, ma
Shaka non
aveva bisogno della vista per sapere esattamente cosa lo circondasse.
Quando
il silenzio si protrasse Shun abbassò il viso imbarazzato;
fu Milo di Scorpio
ad intervenire, mollando una pacca sulla spalla del giovane che lo fece
sbilanciare e quasi cadere a faccia avanti.
- Non
sia mai che il nostro santone preferito mangi carne! - Rise
sonoramente,
attirando gli sguardi di parecchi in sala. Come se il bel greco non
ottenesse
già abbastanza attenzione solo respirando.
- Tu
sei matto amico! - Ed ecco arrivare il ragazzino più
irritante dell'anno. Ma
come faceva Shaina a sopportarlo? Santa, santa ragazza...
-
Seiya, - lo riprese pacatamente Shiryu. Quello scrollò solo
le spalle, tornando
ad abbuffarsi di tartine.
-
Scusatelo. Qualcuno dovrebbe insegnare a quel ragazzo come
comportarsi... -
-
Sarebbe come cercare di insegnare a un salice la recitazione in versi,
- furono
le prime parole di Shaka quella sera. Milo sghignazzò.
- Se
volete scusarmi. - Shaka non attese risposta e si diresse verso la
balconata;
l'aria quella notte era tersa e fresca, un vero piacere sulla pelle.
Avvertì la
presenza di Mu avvicinarsi ancora prima di sentirne i passi.
- La
tua inquietudine è quasi palpabile nell'aria, -
affermò il cavaliere
dell'ariete. E attese. In silenzio.
Era
vero, pensò Shaka. La sensazione di preoccupazione che
l'aveva colto quella
mattina ancora non accennava a sparire. C'era qualcosa nell'aria... Un
senso di
pericolo, quasi. Nella notte non avvertiva cosmi ostili, eppure...
Eppure.
- Tu
non l'avverti, Mu? Qualcosa sta per accadere, è nell'aria. -
Il
suo interlocutore gli si fece affianco, osservandolo. Shaka se ne stava
immobile, gli occhi chiusi sul mondo e la brezza leggera trai capelli
dorati. E
quell'alone di inquietudine non lo abbandonava. Mu scosse la testa; non
avvertiva
nulla, nell'aria attorno a loro.
-
Qualcosa sta per accadere, - ripeté Shaka, come a rafforzare
la propria
convinzione.
Tempio
della Devi, India
-
Sheetal! Sheetal! Ti prego amica mia, rispondimi! -
Non
doveva andare così. Non doveva succedere.
Tra
le lacrime, tutto ciò che Rajani riusciva a vedere era il
rosso del sangue che
le impregnava le mani. L’amica di una vita, esanime tra le
sue braccia, moriva,
colpita da una lancia al ventre. Sentiva le loro
voci urlare, raggiungerla.
Rajani sapeva che
l’ombra della foresta nella
notte non l’avrebbe protetta ancora a lungo. Ogni istante gli
inseguitori si
facevano più vicini; portavano la morte, e non avrebbero
esitato un solo
momento ad uccidere quella che era stata una loro compagna, una loro
amica. Non
l’avevano fatto, con Sheetal.
Si
sentiva esausta. Coperta da sudore e sangue, nell’afosa notte
indiana, il suo
solo desiderio era quello di lasciarsi andare, di permettere alle sue
ultime
forze di abbandonarla e di accasciarsi a terra, nell’oblio.
Ma Rajani sapeva di
non poterlo fare, perché avrebbe significato la morte per
quella che
considerava una sorella.
Respirò a fondo,
deglutì – e il gesto le causò
dolore, poiché la sua bocca era arida. Sapeva cosa doveva
fare. Era riuscita a
trasportare l’amica sin fuori i confini del tempio, doveva
solo racimolare
quelle misere energie che ancora aveva in corpo. Anche se faceva male,
anche se
ci avrebbe rimesso la vita; poiché non fare nulla avrebbe
portato la certezza di morire.
Un
ultimo sforzo, Raja. Un ultimo, piccolo
sforzo.
Chiuse gli occhi di tigre,
rivolse una
preghiera alla Devi e si teletrasportò.
Grande
Tempio, Atene
Una
perturbazione. Un’energia sconosciuta in avvicinamento.
Mu
dell’Ariete alzò lo sguardo al cielo, percependo
chiaramente quel cosmo farsi
sempre più chiaro e, al contempo, sempre più
debole. No, si corresse. Due
cosmi, entrambi così flebili, morenti.
- Bèh
amico mio, credo proprio che, dopo tutto, avremo visite. –
Quando
si voltò verso il viso, solitamente
imperturbabile, del cavaliere della vergine, si stupì di
trovarvi dipinta un’espressione
turbata. La sua mano stringeva forte il ciondolo d’oro dal
quale Mu non l’aveva
mai visto separarsi. Cosa stava accadendo?
Senza una parola Shaka si
voltò e, evitando a
passo svelto coloro che erano accorsi in balcone dopo aver percepito
l’energia
avvicinarsi, uscì.
-
Cosa gli prende? – Aldebaran espresse ad alta voce la domanda
che tutti si chiedevano.
Mu
scosse la testa, confuso.
Fuori dalla Tredicesima
Shaka era immobile.
Sentiva gli altri avvicinarglisi alle spalle, ma la sua attenzione era
rivolta
ad altro. Quei due cosmi… Lui li conosceva. Non aveva dubbi,
non poteva
sbagliare. Anche dopo anni.
La
mano di Mu si poggiò salda sulla sua spalla, ma non si
voltò verso l’amico. Gli
occhi, sebbene chiusi, scrutavano il cielo notturno, carico di stelle.
I due
cosmi aleggiavano nell’aria, inconsistenti. Perché
non erano ancora arrivate? Il cuore gli palpitò
forte nel petto.
Eccole,
pensò.
Istanti dopo, due figure
comparvero sulla
pavimentazione bianca. I cavalieri di Atena impiegarono qualche secondo
a
distinguere le due ragazze nella notte: l’una riversa a
terra, immobile; l’altra
genuflessa, affannata.
L’odore
metallico del sangue si levò nell’aria.
Rajani non sapeva dove
fosse. Sapeva di non
trovarsi più sulle sponde del Gange, perché
l’aria era fresca e solleticava
piacevolmente la sua pelle accaldata. Alzò lentamente gli
occhi, ma distinguere
le persone che si trovavano davanti a lei le risultava impossibile: la
sua
vista era appannata, e la sua mente confusa. Luccichii dorati
riflettevano la
luce delle stelle. Oro?
Poi,
nel silenzio, una voce: - Rajani… -
E la
ragazza, per la prima volta da troppo tempo, seppe che tutto si sarebbe
risolto.
Era
Shaka. |
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Capitolo 2 *** Recovery ***
Ed ecco il secondo capitolo!
Mi rammarica molto
annunciare che, con molta probabilità, il terzo
arriverà alla fine di questo mese. Lo so, è un
sacco di tempo, ma purtroppo domani pomeriggio partirò per
le vacanze e non sarò di ritorno prima di tre-quattro
settimane. Mi dedicherò alla scrittura, comunque, in modo da
poter pubblicare subito, appena tornata.
Ora! Prima di
lasciarvi alla lettura vorrei ringraziare molto chi ha letto il primo
capitolo ed in particolar modo chi lo ha recensito. Davvero, siete
troppo gentili!
Solitamente
rispondo ai recensori a fine capitolo, ma oggi farò
un'eccezione:
JackoSaint: Fede giusto?
Ti ringrazio infinitamente per la mail, non sai quanto mi abbia fatto
piacere! Davvero, non mi disturba affatto. E puoi benissimo chiamarmi
Bea-chan, è un soprannome al quale sono particolarmente
affezionata. Eh sì, Shaka è assolutissimamente un
grande. Quello della mia storia è un po' OOC (un po'
tanto...), però ho dovuto
farlo così. Sai, mi piace pensare anche al suo lato umano.
Ringrazio ancora tantissimo sia te che tua sorella (Giorgia, giusto?).
Grazie davvero ad entrambe. E non preoccuparti Giorgia, Miluccio
comparirà di certo in questa storia! E' uno dei miei
personaggi preferiti, non potrebbe mai
mancare! Spero che anche questo capitolo vi piaccia ^_^
data81:
grazie mille! Apprezzo anche che tu abbia fatto abbastanza attenzione
da notare quei dettagli. In realtà ci sono motivazioni a
tutto: per quanto riguarda il teletrasporto lo scoprirai in questo
capitolo - la spiegazione avevo pianificato di metterla nel terzo,
però la tua recensione mi ha spinta ad affrettare un po' i
tempi; Shaka che guarda il Gange è invece assolutamente - e
volontariamente - fuori dagli schemi. Vedi... Quella scena era un po'
l'addio di Shaka alla sua terra. Lui voleva imprimersi nella memoria
l'immagine del tramonto, così da poterla ricordare quando
fosse stato lontano. Come avrai notato l'ho fatto un po' OOC - ebbene
sì, sono colpevolissima!
LeiaSwan:
ciao! Spero davvero che questo capitolo riesca a catturare la tua
attenzione come ha fatto il primo! Grazie mille per la recensione ;)
ashar:
grazie mille anche a te! Sono contenta di sapere che non sono l'unica
ad adorare il caro Shaka!
Cry
Benihime: grazie grazie grazie grazie grazie grazie grazie grazie grazie grazie grazie!!! Non sai quanto mi
faccia piacere! Sei della vergine? Wow. Io invece sono del cancro...
diciamo che preferisco molto di più Shaka a DeathMask. Sai
com'è, non amo molto gli psicolabili - vabbè, lo
ammetto, un po' mi sta simpatico anche Deathy... ma solo quello delle
fanfics!
Buona lettura!
Gea Kristh a.k.a. Bea-chan
Grande
Tempio, Atene
- Shaka… Devi
aiutare Sheetal… Lei è… - La
voce di Rajani tremava, appena udibile alle orecchie del cavaliere di
Atena.
Gli occhi di lei erano vacui e sembravano non riuscire a mettere a
fuoco ciò
che la circondava.
Shaka si avvicinò
velocemente alle due, appena
in tempo per afferrare la ragazza che, esausta, svenne. La
adagiò piano a
terra, rivolgendo la sua attenzione all’altra.
Mu guardò per un
istante la scena come fosse
in trance, chiedendosi per la centesima volta in due minuti cosa stesse
accadendo. Si riscosse, comunque, alle parole della ragazza.
L’emorragia della
giovane ferita andava fermata.
- Puoi curarla? –
Le parole di Shaka erano
impregnate di, Mu ne era certo, angoscia. Il cavaliere
dell’Ariete annuì,
chinandosi sulla figura della ragazza, senza riuscire a scorgerne i
lineamenti
a causa della fioca luce.
A tastoni cercò
la ferita sul corpo di lei. Lo
squarcio sul ventre era profondo, ma la ragazza nemmeno si mosse quando
lui lo
toccò. Brutto segno. Mu concentrò il suo cosmo
nelle mani, dalle quali scaturì
una fievole luce di guarigione. Pregò Atena che non fosse
troppo tardi.
I minuti passarono, e con
essi il
chiacchiericcio degli spettatori alla scena si levò, sempre
più assordante.
- Shaka, chi sono queste due
ragazze? – La
voce di Saori Kido sembrò far tacere tutti quanti. Il biondo
sollevò la testa
in direzione della reincarnazione della sua dea. Esitò prima
di rispondere.
- Rajani e Sheetal sono
sacerdotesse del Sacro
Tempio della Devi, in India. – Altre spiegazioni avrebbero
dovuto attendere
finché le ragazze non fossero state in condizioni migliori,
decise, riportando
la sua attenzione sulle mani di Mu.
Rajani tornò
lentamente cosciente. Un basso
vociare le arrivò alle orecchie, ma distinguere le parole le
era impossibile.
Era stanca, e confusa. Dove si trovava? Su un letto, certamente.
Tuttavia, e di
questo era certa, non si trattava del giaciglio su cui, da anni, tutte
le albe
si svegliava. Il cuscino profumava di fresco, il materasso era morbido,
il
lenzuolo come seta sulla pelle.
Poi, improvvisamente, gli
avvenimenti di
quella notte le tornarono alla mente. Sgranò gli occhi e
scattò a sedere,
inaspettatamente più che sveglia. Un gemito di dolore le
uscì spontaneo dalle
labbra. I suoi muscoli erano intorpiditi; chissà quanto
aveva dormito.
Si guardò
lentamente attorno. La stanza era
illuminata a giorno dalla luce che entrava dalle grandi finestre, e
resa ancora
più luminosa dai toni lattei delle pareti e della mobilia.
Un posto gradevole,
riposante, ma Rajani non vi si soffermò più del
necessario; aveva ben altro per
la testa.
Si trovava al Santuario di
Atene, questo era
chiaro. Sentire Shaka non le aveva lasciato dubbi. Ma come ci era
arrivata? Ricordava
il teletrasporto; ricordava di essersi affidata nelle mani della Devi.
L’aveva
condotta lei al cospetto di Atena? Scosse la testa, accorgendosi solo
in quel
momento del dolore sordo alle tempie.
Sheetal. Sheetal! Il cuore
prese a batterle
forsennatamente nel petto. Non poteva perderla, non lei. Non quella che
era
un’amica, una confidente, una sorella. Non aveva le forze per
reggersi in
piedi, ma ci provò comunque. Rimanere lì, ferma,
era impensabile. L’angoscia le
attanagliò la bocca dello stomaco.
Poggiò con
fermezza i piedi
nudi a terra, rabbrividendo a
contatto col pavimento di marmo. Prese un respiro, ignorò un
giramento di testa
e si sollevò. Finendo per cadere rovinosamente a terra.
Sbuffò. E
ora che diamine faccio? Pensò. Cercò di
fare leva sulle braccia, riuscendo
solo a capitolare ancora una volta a terra, sbattendo per altro su una
sponda
del letto. Con la testa. Soffocò un gemito di dolore,
portandosi una mano alla
parte offesa. Bene. Perfetto. Fantastico.
Le voci che sentiva
provenire, probabilmente,
dalla stanza affianco tacquero all’improvviso. Udì
il rumore di passi, poi la
porta della camera si aprì, e lei ebbe un tuffo al cuore.
Shaka era magnificente,
proprio come lo
ricordava. Gli anni non avevano cambiato quell’aria regale - quasi divina, pensò, e che la Devi mi perdoni - che lo
contraddistingueva. Si ritrovò a osservare rapita i lunghi
capelli biondi che,
come una cascata d’oro, lambivano la sua figura;
carezzò con lo sguardo d’ambra
la sua pelle, diafana e perfetta – così simile
alla propria; i lineamenti, poi,
tanto fini; e pensò che fosse bellissimo, semplicemente
stupendo. Desiderò
poter vedere i suoi occhi, quelle pozze d’acqua cristallina,
ma, pensò,
probabilmente sarebbe stato un po’ troppo per il suo povero
cuoricino.
Ignorando il proprio respiro
mozzato, Rajani
sorrise. Shaka era lì! Avrebbe voluto abbracciarlo, dirgli
quanto le era
mancato. Peccato che non riuscisse nemmeno ad alzarsi.
- Ehm… Una mano?
–
Una risata dalle spalle del
biondo la fece
accorgere che non erano soli. Nemmeno si era resa conto che altri due
uomini
fossero entrati dalla porta. Tutta colpa di Shaka, ecco.
Quello che aveva riso se ne
stava appoggiato
allo stipite della porta, l’espressione divertita ancora
dipinta sul volto. Era
bello, senza dubbio, alto, con la pelle abbronzata e lunghi capelli
ribelli; i
suoi occhi, di un blu oltremare, ridevano con lui. A Rajani quel tipo
stette
subito simpatico. Una persona con una risata tanto spontanea non poteva
non
piacerle.
L’altro era
rimasto in silenzio e la guardava
gentile con quelle iridi di un verde impossibile, cristalline come
gemme di
peridoto. I suoi capelli erano una cascata di fili di un meraviglioso
– quanto
insolito – lilla,
raccolti in una coda
su una spalla. Nonostante tutto, nulla in lui era femminile. Anzi.
Mica
stupida la dea Atena, eh.
Rajani sorrise ai due
sconosciuti, rivolgendo
loro un semplice cenno con il capo. Mentalmente, controllò
che le proprie
barriere fossero innalzate e solide; sarebbe stato sconveniente se
qualcuno
avesse letto i suoi pensieri. Quasi si mise a ridere all’idea
della faccia che
avrebbe fatto Shaka avesse potuto sentirla.
Il biondo la
aiutò ad alzarsi, facendola
subito sedere sul letto.
- Sheetal… - Si
interruppe, cercando le
parole. – Sta bene, vero? –
Shaka sospirò,
sedendosi accanto a lei. – E’
stabile. Mu, - e fece un cenno verso l’uomo dai capelli
violetti, - ha curato i
danni maggiori; tuttavia le serve tempo per ristabilirsi. Ancora non si
è
svegliata. –
Rajani abbassò lo
sguardo sulle proprie mani
che, nervosamente, stropicciavano l’orlo della tunica che
indossava. Una strana
agitazione la pervase.
- Mi dispiace Shaka, non
sono riuscita a
impedirlo. Io, - un singhiozzo la scosse, - ci ho provato, davvero. Ma
loro
erano in troppi, e poi Arun l’ha colpita alle spalle e
io… - Scosse la testa;
sentiva di stare per andare in iperventilazione, ma si impose la calma.
Percepiva il cosmo di Shaka circondarla, ed era un’energia
serena, immensa e
calda – le ricordava il sole nelle luminose giornate estive,
e la luce che
batteva la terra polverosa delle sponde del Gange.
Il corpo di Shaka emanava un
piacevole profumo
di fior di loto e sandalo – odori che le erano familiari, e
questo la aiutò.
Calmandosi, sospirò.
- Puoi dirmi cosa
è successo Rajani? – La voce
del cavaliere della Vergine era gentile. Aveva posato una mano sulla
spalla
della giovane, che tremava quasi impercettibilmente. Rivedere due delle
persone
a cui più era legato nella sua vita certo lo riempiva di
gioia – gli erano
mancate. Tuttavia le condizioni della loro riunione avrebbero potuto
essere
migliori.
La rossa annuì.
Parlò piano, quasi
sussurrando: – Se Shakti mi ha condotta qui un motivo deve
esserci. Farò la
volontà della Devi. – Alzò gli occhi
sul suo amico d’infanzia. Non sapeva da
dove cominciare; la situazione le sembrava irreale.
- Atena ha convocato un
Chrysos Synagein, una
riunione, per quando una di voi si fosse ripresa. Te la senti?-
Rajani annuì,
sollevata quantomeno di non
dover ripetere la storia più volte.
- Rajani, giusto?
– Quando lei, in risposta,
annuì, il ragazzo continuò: - Il mio nome
è Mu, cavaliere d’oro dell’Ariete.
Rajani,
sai dirmi come siete state in grado di teletrasportarvi
all’interno del Tempio?
Non avrebbe dovuto essere possibile. –
La ragazza scosse la testa.
– Non saprei. Io
non ho consciamente deciso di
arrivare qui. Quando ho abbandonato l’India… Non
ero lucida. Se sono qui, è
opera di Shakti. La Devi ha ascoltato le mie preghiere.-
- Sei una telecineta?
–
Rajani annuì,
piano, e rispose al sorriso
gentile che Mu le rivolse.
- Avvertirò Lady
Saori del tuo risveglio; la
riunione si terrà in serata. –
Rajani aspettò
che la porta si richiudesse
alle spalle di Mu e dell’altro cavaliere – del
quale non conosceva il nome.
Shaka, al suo fianco, era perfettamente immobile.
- Non sei più
tornato… - Rajani ascoltò la sua
voce parlare, flebile, quasi non appartenesse a lei. Non ce
l’aveva con Shaka,
no. Lei, sacerdotessa della Devi, più di chiunque altro
comprendeva le sue
ragioni. Tuttavia… Cinque anni erano un lungo tempo da
passare separati dalle
persone amate.
- Lo so. – Con
un gesto inaspettato Shaka
passò una mano tra i capelli di lei, tra quelle ciocche di
un rosso così scuro
da sembrare, al buio, nero; le si avvicinò, quel tanto che
bastava per cogliere
il profumo di mirra e vaniglia che si irradiava dalla sua pelle. Un
profumo che
lo portava indietro negli anni e lontano nello spazio, dove gli occhi
di lei si
infuocavano del tramonto, ardendo mentre osservavano il giorno morire.
Le guance di Rajani si
imporporarono dall’imbarazzo.
Doveva essere un disastro, pensò. Indossava ancora gli abiti
della notte
precedente, sporchi di terra e sudore – il suo corpo non si
trovava in
condizioni migliori.
Mai come in quel momento
desiderò abbracciarlo
forte e non lasciarlo più andare. Si trattenne, comunque
– non credeva Shaka
avrebbe gradito. Il pensiero la fece sorridere mentre ricambiava il suo
gesto,
carezzando con dita incerte la cascata di fili d’oro che si
riversava sulle spalle
e sul torace del ragazzo. I capelli del biondo erano sottili e setosi,
freschi
e lucenti. Presto si ritrovò a sfiorare con la punta delle
dita le guance
diafane di lui; posò una leggera carezza col dorso delle
dita sulla sua pelle.
- Mi sei mancato.
– Disse semplicemente, con
sincerità e affetto.
La risposta di Shaka
riuscì a colpirla, e a
far perdere un battito al suo – già palpitante
– cuore. Sì, perché il ragazzo
dischiuse con logorante lentezza le palpebre, ed immerse
l’incredibile azzurro
delle sue iridi nell’ambra che erano quelle di lei
– intensamente,
profondamente, intimamente. A Rajani il respiro quasi si
mozzò in gola. Il
ricordo di quel colore non gli faceva veramente giustizia, e si
castigò mentalmente;
le ciglia scure servivano solo a risaltare ancora di più
quell’impossibile
tonalità di azzurro – tanto bella, si disse, da
far impallidire l’oceano. Quegli
occhi dovevano appartenere ad un angelo.
- Anche tu. –
Sussurrò con voce bassa. Poi le
baciò la testa, con dolcezza, e Rajani sentì le
guance andare a fuoco.
Quando Shaka, lentamente,
richiuse gli occhi,
la ragazza riprese a respirare normalmente – quasi.
Sheetal
dormiva tranquilla. La ferita era pulita e bendata, il danno non tanto
grave
quanto lo era solo ore prima. Mu la osservava – i suoi
pensieri vorticavano
assordanti nella sua mente.
Era una ragazza…
angelica, per mancanza di un’espressione
migliore: lunghi capelli biondo chiaro, lineamenti dolci, pelle lattea.
A Mu la
somiglianza non sfuggiva affatto.
Shaka di Virgo doveva loro
delle spiegazioni.
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Capitolo 3 *** Fuga dal Tempio ***
Prima
del
previsto eccomi qui, dopo aver illegalmente scroccato la rete a qualche
povero
abitante di Fisterre! Aggiorno con il terzo capitolo che, devo dire,
è stato
alquanto sofferto. Trovo che stare in vacanza aiuti la mia ispirazione
– quel
tarlo che, quando ti prende, non puoi far altro che ascoltare o
impazzire.
Questo
capitolo
è il frutto di tanta ricerca e studio. La religione induista
è complessa, il
suo pantheon variegato. Un dio può essere venerato in alcune
parti dell’India e
in altre no; oppure può assumere una miriade di forme
diverse, e le versioni
cambiano a seconda delle fonti – spesso contraddittorie.
Credo che delle
spiegazioni saranno d’obbligo, ma per questo vi rimando a
fine capitolo – così
come per i ringraziamenti.
Ora
vi lascio
alla lettura!
Bea-chan
Rajani
uscì dalla sua stanza, ignorando la stanchezza che ancora le
impregnava le ossa
- sentendosi tutto sommato meglio dopo essersi goduta un bagno caldo e
aver
indossato abiti puliti.
Il sari
in seta era molto fine – cerimoniale,
pensò - di un rosso scuro
ricamato d’oro; glielo aveva portato Medea, la stessa
domestica che poi le
aveva preparato il bagno. Gentile concessione della dea Atena? Non lo
sapeva,
ma di certo ne aveva approfittato. Sarebbe stato bello avere le sue
cose; i churi, le collane, gli
orecchini
decorati di gemme. Non li aveva, e si sarebbe accontentata –
felice di ciò che
le veniva dato nonostante la situazione delicata.
Rajani non si riteneva
particolarmente
vanitosa; tuttavia le piaceva, di tanto in tanto, farsi bella. E quel
sari! Uno
dei più belli che avesse mai indossato.
Si
era arrangiata i lunghi capelli ancora umidi in una treccia morbida,
fermata da
uno dei nastri di cui l’armadio era pieno – no,
davvero, chi mai avrebbe
indossato quelle oscenità barocche? Alcuni di quegli abiti
non sarebbero stati
bene nemmeno ad una bomboniera!
Aveva eseguito tutto con
movimenti lenti,
godendosi i momenti di pace; quelli erano gesti familiari, abituali, e,
in
qualche modo, l’avevano confortata.
Sulla sua fronte il bindi catturava la luce: un piccolo
rubino, come incastonato nella
pelle, era circondato dall’oro di una fiamma stilizzata.
Medea aveva insistito per
aiutarla a
sistemarsi. A Rajani quella ragazzina stava simpatica: sorrideva molto,
era
sempre gentile e sembrava disposta a compiacerla in ogni modo
possibile.
L’Indiana rappresentava per lei una novità, lo
stacco dalla monotonia della sua
vita alla Tredicesima; trovava quantomeno affascinanti i suoi modi
posati, il
suo strano accento e i lineamenti chiaramente medio-orientali. Per non
parlare
dei disegni sul suo corpo!
Rajani le aveva mostrato,
timidamente, il tilak che le
copriva gran parte della schiena;
Medea l’aveva trovato stupefacente e meraviglioso. Una vera
opera d’arte, aveva
commentato, ammirando il disegno, realizzato in toni chiari –
bianco, oro ed
appena un accenno di rosso -, di una tigre sinuosa e magnificente, i
lunghi
artigli e le zanne sfoderate in una posa minacciosa; delicata,
nonostante
tutto, certamente più di qualsiasi tatuaggio avesse mai
visto – ma altrettanto
permanente.
La
coda dell’animale sacro si arricciava sulla spalla destra
della ragazza; una
zampa le abbracciava il fianco sinistro. Rajani le aveva detto che era
il segno
della sua dea, e, al contempo, il simbolo della sua devozione. Anche se
Medea
non era certa di aver afferrato il concetto, quel bindi
era abbastanza esotico da affascinarla.
Medea le aveva passato il
kajal attorno agli
occhi con attenzione, poi le aveva fatto scegliere tra boccette di itra, profumi. Si era meravigliata di
aver trovato essenze così tipicamente orientali in Grecia,
ma non commentò.
Rajani non era abituata allo
sfarzo. Ciò che
aveva le era stato donato – di quello che non aveva, invece,
faceva a meno
senza problemi. Che la dea Atena le avesse mandato una delle sue
domestiche le
faceva piacere, davvero; tuttavia non avrebbe potuto sopportarlo a
lungo
termine – aveva bisogni dei suoi spazi.
Si era
alzata e
congedata da
Medea, ringraziandola di cuore.
Rajani
si accostò alla porta della stanza
accanto alla propria. Lì, Shaka le aveva detto, riposava
Sheetal.
Bussò
alla porta. Non dovette attendere molto, perché una manciata
di secondi dopo
sull’uscio si stagliava il ragazzo che aveva visto quando si
era svegliata –
quello del quale non conosceva il nome.
-
Namasté, - lo salutò con un sorriso.
Il
cavaliere la guardò un attimo, sbattendo le palpebre,
un’espressione stupita
dipinta sul bel viso; a Rajani venne quasi da ridere. Sì,
pensò, doveva aver
avuto proprio un brutto aspetto quella mattina!
-
Salve, - rispose finalmente lui, e si scostò per lasciarla
entrare.
Quando vide Sheetal, a
Rajani si strinse il
cuore. Sapeva che sarebbe stata bene, che le serviva solo tempo per
recuperare,
ma… che dolore guardarla giacere così immobile, e
sapere che lei ne era la
causa!
-
Dovete essere molto legate. –
La
voce del ragazzo la riscosse dai suoi pensieri. Si voltò
verso di lui per
trovarlo intento a fissarla, uno sguardo di palese dispiacere misto a
curiosità
nelle sue iridi blu.
- Io
e Sheetal ci conosciamo da molto tempo. Lei è molto
più che mia amica; è mia
sorella. – Poi sorrise, e i suoi occhi si rischiararono.
– Perdona le mie
cattive maniere: non mi sono presentata. Il mio nome è
Rajani. –
-
Milo di Scorpio, Cavaliere di Atena, al tuo servizio. – E,
incredibilmente, si
chinò facendole un perfetto baciamano. Rajani
sentì il viso andare a fuoco e
Milo sghignazzò, divertito.
La
ragazza, a sua volta, si trattenne dallo scoppiare a ridere. Quel
cavaliere
aveva davvero una risata stupenda; così contagiosa!
-
Allora dimmi, Cavaliere di Scorpio, - si interruppe un attimo, - dove
mi trovo?
–
Milo
la guardò stupito, ma si riscosse in fretta. Certo,
pensò, nella fretta degli
eventi nessuno si era premurato di darle spiegazioni su una cosa seppur
così
importante.
- Come avrai intuito sei al
Santuario di
Atena. – Quando lei annuì, continuò: -
Il Tempio è composto da dodici case,
appartenenti ognuna ad uno dei cavalieri d’oro posti in sua
difesa, e da una
tredicesima casa, dove il Grande Sacerdote e la dea Atena soggiornano.
E’ qui
che ti trovi, in una delle stanze degli ospiti di Lady Saori.
–
- Ospiti? – La
voce di Rajani appariva
piuttosto dubbiosa, e a ragione. Ospiti in un luogo sacro?
Milo si trattenne dallo
scoppiare nuovamente a
ridere. – Sì, non ha assolutamente senso. Ma ehi!
Lady Saori comanda. –
Rajani annuì
ancora, un sorriso divertito sulle
labbra, e tornò a guardare la figura dormiente di Sheetal.
- E’ strano.
– Esordì nuovamente Milo. –
Credevo che in India la gente avesse la pelle scura, e che Shaka fosse
l’eccezione. Ma ecco che mi ritrovo davanti altre due
Indiane… e sono entrambe
più pallide di me! –
Lei ridacchiò.
– Tranquillo Cavaliere, non
sbagli. La tua è solo sfortuna, presumo, perché
io, Sheetal e Shaka siamo gli
unici Indiani che conosco ad avere la pelle bianca. E ne conosco tanti!
–
I silenzi tra lei e Milo
erano confortevoli.
Lontana migliaia di chilometri da casa, Rajani non avrebbe mai creduto
di
potersi sentire così a proprio agio – Shaka non
contava; lui era casa.
Fu proprio Shaka a venirla a
chiamare per il
Chrysos Synagein. Quando i suoi occhi si posarono su di lui, a Rajani
sfuggì
ogni pensiero coerente dalla mente: vestito della sacra armatura della
Vergine
sembrava ancor più un dio sceso in terra. Come poteva
qualcuno emanare tanta
bellezza?
Il tilak
rosso sulla sua fronte, parzialmente nascosto dalla frangia bionda,
risaltava
incredibilmente agli occhi in quell’armonia di colori aurei
che era la sua
visione.
Rajani si ritrovò
a sollevare lentamente una
mano – si accorse di aver trattenuto il respiro,
costringendosi ad esalare
piano il fiato tremante. La punta delle sue dita entrò in
contatto con il
metallo lucido; lasciò scorrere le mani in una carezza
appena accennata, e
sorridere le venne spontaneo.
Shaka aveva sempre avuto un
fascino
particolare, una bellezza mistica; ma mai come in quel momento si era
accorta
della profondità dell’affetto che la legava a lui.
- Namasté Shaka,
- lo salutò, e la sua voce
era ferma.
Lui dischiuse gli occhi
allora, perché
desiderava ardentemente guardarla.
Ciò che vide gli causò un tuffo al cuore.
- Namasté Raja, -
rispose piano, utilizzando
quel diminutivo con tono quasi dolce.
Il profumo di patchouli gli
inebriava i sensi;
i suoi pensieri erano in tumulto. Rajani era bella, lo era sempre stata.
Quella vista gli
ricordò la sua terra, la sua
gente; gli ricordò il passato, le giornate assolate, i
tramonti insanguinati
sul Gange – negli occhi d’ambra di lei rivisse anni
impregnati di mille
emozioni e sensazioni.
- Ti dona, - le disse,
riferendosi al sari.
Era riduttivo: quei colori sembravano essere stati fatti solo per
essere
indossati da lei; risaltavano la pelle chiara, il rosso scuro dei suoi
capelli,
i suoi occhi che rilucevano come topazi.
Rajani arrossì
appena e gli regalò il più
bello dei sorrisi: - Grazie - .
Shaka si voltò
verso la porta, dischiudendola.
Quando lei gli passò affianco, uscendo sul corridoio, le
palpebre di lui erano
nuovamente calate sugli occhi.
La sala principale della
Tredicesima casa era
magnificente. Alte colonne d’oro erano disposte a semicerchio
di fronte ad un
trono; sulle sommità sedevano statue maestose, raffiguranti
i dodici segni
dello zodiaco. In corrispondenza di ognuna scranni d’oro
erano occupati dai
cavalieri di Atena.
Rajani riconobbe
immediatamente Milo. Il
cavaliere di Scorpio si alzò in piedi, proprio come tutti
gli altri, quando lei
entrò. L’unica a non scomodarsi, notò
la sacerdotessa, fu la ragazzina seduta
sul trono centrale. Era quella la reincarnazione della dea Atena?
- Benvenuta al Grande Tempio
di Atene,
straniera. Il mio nome è Dohko, Cavaliere della Bilancia e
Grande Sacerdote di
Atena. – A parlare era stato un ragazzo che,
dall’aspetto, poteva avere forse
la sua età; Rajani non si lasciò però
ingannare: lei vedeva, con gli
occhi della sua mente, che quel cavaliere era più
di ciò che sembrava.
Dohko continuò,
indicandole la ragazza seduta
sul trono con un cenno della mano. – Costei è Lady
Saori, la dea Atena. –
La giovane non si mosse
neppure, ma Rajani non
se ne curò. Chinò
cortesemente il capo nella
sua direzione e tacque. Non si sarebbe inchinata – quella non
era la sua dea.
Dohko, con un ampio gesto
del braccio, indicò
gli altri presenti, - I Cavalieri d’Oro della dea Atena. Mu
dell’Ariete. – Rajani
riconobbe allora il ragazzo che aveva visto quella mattina;
nell’armatura
lucida, con i capelli tirati indietro e un sorriso conciliante sulle
labbra, il
cavaliere le apparve quasi… etereo.
Ricordò di aver già notato come quei suoi occhi
fossero eccezionalmente belli;
gemme di peridoto che risplendevano come di luce propria.
Ancora, il Grande Sacerdote
continuò: -
Aldebaran del Toro, – e Rajani si ritrovò ad
osservare un orso grizzly
rivolgerle un sorrisone. La ragazza sbatté le palpebre
qualche volta, cercando
di dare un senso a quella vista. Si riscosse, comunque, e rispose a
quell’inaspettato gesto gentile. Aveva la netta sensazione
che quell’Aldebaran
le sarebbe stato simpatico.
- Saga e Kanon dei Gemelli.
– Ah che fantasia, si
ritrovò a pensare. I
due uomini che le avevano rivolto un cenno del capo erano
pressoché identici:
chiaramente due gemelli. Strano,
pensò. Come potevano esserci due cavalieri per una sola
armatura?
- Deathmask del Cancro.
– Il cavaliere nemmeno
si curò di guardarla in faccia, come se gli avvenimenti
all’interno di quella
sala gli fossero estranei. Rajani, in compenso, non perse
l’occasione di
studiarlo. C’era qualcosa in lui che non la convinceva
– un’aura strana a
circondarlo; non necessariamente malvagia, si disse, ma certamente diversa.
- Aiolia del Leone.
– Altro cenno del capo al
quale lei rispose cortesemente. Rajani osservò curiosamente
la sua figura:
quella zazzera di ricci capelli biondastri, quegli occhi blu, quella
postura
perfettamente eretta; notò quasi con ironia come quel
ragazzo fosse rigido. La
considerava forse una nemica per la sua dea? Forse era così
– Rajani sapeva di
doversi fidare della propria intuizione.
- Credo, - la voce di Dohko
la ridestò dai
suoi pensieri, - che tu già conosca Shaka della Vergine.
– Sul volto giovane
del cavaliere della Bilancia era dipinto un sorriso divertito.
Rajani alzò gli
occhi sul biondo, che ancora
le era affianco; poi tornò a guardare il Gran Sacerdote,
aspettando che
continuasse.
- Milo dello Scorpione.
– Il cavaliere in
questione le rivolse un sorriso smagliante che lei si
ritrovò a ricambiare,
divertita.
- Aiolos del Sagittario.
– La somiglianza con
il cavaliere del Leone era lampante. Nonostante questo, la postura di
Aiolos
era più rilassata.
- Shura del Capricorno.
– La fissava. Non le
rivolse alcun cenno, non si mosse nemmeno, eppure i suoi occhi non si
scollarono da lei nemmeno per un istante. Rajani era abituata agli
sguardi
altrui; non si fece molti scrupoli e ricambiò lo sguardo,
almeno finché Dohko
non annunciò l’undicesimo cavaliere.
- Camus
dell’Acquario. – La prima parola che
venne in mente a Rajani fu: raffinato. Tutto in lui, a partire dal modo
in cui
stava in piedi, gridava eleganza. Camus era bello, uno degli uomini
più belli
che lei avesse mai visto - d’altro canto, guardandosi
attorno, Rajani si rese
conto che la dea Atena aveva gusti eccelsi.
- E Aphrodite dei Pesci.
– Quest’ultimo le
rivolse un cenno aggraziato del capo. Rajani si fermò un
attimo ad osservare
quell’uomo che trasudava bellezza ad ogni respiro; una
bellezza androgina, delicata
ed ammirevole; nonostante tutto, a Rajani quel fascino
sembrò quasi sinistro.
- Infine, sono oggi qui
presenti, in via del
tutto eccezionale, quattro dei cavalieri di bronzo: Seiya di Pegasus,
Shun di
Andromeda, Hyoga di Cygnus e Shiryu di Dragon. –
Rajani guardò
nella direzione indicatale da
Dohko e li vide; nemmeno aveva fatto caso a loro, in tutto
quell’oro! I quattro
non indossavano alcuna armatura e se ne stavano un po’ in
disparte, in piedi
davanti a sedie di legno chiaramente
aggiunte lì per l’occasione. Erano giovani,
più di lei e certamente più dei
cavalieri d’oro, e Rajani li studiò con
curiosità.
Che
strana ragazza, Rajani sentì pensare.
Cercò di individuarne la fonte,
stupendosi quando identificò il timbro mentale del cavaliere
di Pegasus. Lui la
stava guardando con un grosso sorriso sulle labbra. Così
bella, sembra una bambola.
Rajani si trattenne dallo
scoppiare a ridere.
Quel ragazzo aveva disperatamente bisogno di imparare a ergere barriere
mentali! Vide con la coda dell’occhio Mu scuotere la testa,
chiaramente
divertito.
- Ti ringrazio, cavaliere,
ma posso
assicurarti che non lo sono. – Rajani si rivolse a Seiya, che
sgranò gli occhi.
- Cosa? – Chiese
lui, chiaramente scioccato.
Rajani gli sorrise.
– Una bambola. Non sono
una bambola. –
Mu ridacchiò
all’espressione imbarazzata del
cavaliere di bronzo; Shiryu e Hyoga scossero il capo, sconsolati; Shun
le
sorrise a mo’ di scusa per il comportamento incorreggibile
del compagno; Shaka
nemmeno gli prestò attenzione. Dohko, dall’alto
della sua posizione di Gran
Sacerdote, rideva senza ritegno.
- Ora basta. – La
voce di Saori catturò
l’attenzione di tutti. La ragazzina puntò gli
occhi ametista sulla sacerdotessa:
- Chi sei, straniera? –
E lei rispose, senza timore.
- Io sono Rajani, Alta
Sacerdotessa di Durga,
Maestra delle Armi e Capitano della Guardia del Sacro Tempio della
Devi. – Fece
una pausa, poi continuò. – Vi ringrazio dea Atena
della vostra ospitalità, e di
avermi concesso, per intercessione della Mahadevi, di giungere qui in
primo luogo.
–
Gli sguardi di tutti erano
catturati da quella
piccola ragazza – piccola, sì, ma con una
regalità innata. Sotto gli occhi dei
presenti dimostrava una fierezza ed una compostezza ammirevoli; non
sembrava a
disagio, e, se trovarsi di fronte alla reincarnazione di una
divinità la
intimoriva, non lo dimostrava affatto.
Lady Saori annuì,
seria. – Siedi pure,
Sacerdotessa. –
Quando lei si
accomodò sulla sedia che Dohko le
aveva intanto indicato, tutti i cavalieri presenti la imitarono. Il suo
seggio
era comodo, posto tra lo scranno di Shaka e quello di Aiolia.
- Posso immaginare vogliate
sapere cosa mi
abbia spinta a fuggire dal Tempio. – Il suo tono era velato
di rabbia e
tristezza; ciò bastò a catturare completamente
l’attenzione dei presenti.
Così, si disse Rajani, ci siamo.
- Due notti addietro, -
iniziò, - io e Sheetal
eravamo in meditazione, quando qualcosa di molto insolito è
avvenuto: una
visione spontanea. Accade di rado, - Rajani scosse la testa, come ad
enfatizzare il punto, - che Lakashimi si intrometta negli affari
mortali ma, -
Be’…
forse non proprio di tutti aveva
catturato l’attenzione.
- Scusate,
sembrerò inopportuno, - si
intromise Seiya, un po’ imbarazzato. Lo
sei, non lo sembri, avrebbero dovuto dirgli gli sguardi degli
altri
cavalieri. – Io però non ci ho capito nulla.
Lakamishi? E chi è? E se il Tempio
è di ‘sta Devi, che c’entra Purga? Che
poi, chi è Purga? E… - La voce del
cavaliere di bronzo andò a scemare; forse si era accorto
delle occhiate
stralunate che tutti gli stavano rivolgendo – o,
più probabilmente, non si
ricordava cos’altro avrebbe dovuto chiedere.
Rajani si portò
una mano alla bocca,
soffocando una risatina. Shaka, dal canto suo, non era divertito;
avesse avuto
gli occhi aperti l’avrebbe incenerito con lo sguardo. O gli
avrebbe tolto i
cinque sensi – ci fece seriamente un pensierino, ma si
trattenne.
- Lakashimi
e Durga, - iniziò,
calcando il tono
sui nomi, - sono forme della Devi.
–
- Ah. – Ci
pensò un attimo. – E che vuol dire?
–
Rajani lo guardò
incredula. – La Mahadevi,
la Grande Dea, si manifesta in
forme differenti; opposte, a volte, come possono sembrarlo Lakashimi e
Durga.
La Devi è madre generosa e sanguinaria assassina;
è un’asceta, una moglie
devota, una guerriera feroce, benevola e terrifica. La Devi
è Shakti. –
Prima ancora che Seiya
potesse porgere la
domanda, la sacerdotessa si affrettò a dire: - Shakti
è l’energia divina femminile.
–
Seiya, a dire il vero, non
aveva ben capito;
si ripromise però di fare qualche ricerca. Quindi
annuì, facendo tirare un
sospiro di sollievo a tutti i presenti.
- Come dicevo, - riprese il
racconto Rajani, -
due notti fa Sheetal fu colpita da una visione spontanea. Io ero con
lei e ho
potuto vedere nella sua mente ciò che sarebbe stato.
–
La tensione nella sala
crebbe nuovamente; lei
sospirò e continuò. – A mente fredda
posso riportare quelle immagini alla
memoria, anche se non ne ho piacere. – Fece una pausa.
– Sangue. Ricordo tanto
sangue; permeava la terra, e il suo odore acre si levava
nell’aria. Il corpo
era dilaniato, - Rajani scosse la testa, gli occhi oscurati da
un’ombra, -
irriconoscibile. Non seppi immediatamente di chi si trattava.
C’era così tanto
sangue. –
Sentì il bisogno
di prendere un respiro
profondo; di ricordare al suo corpo che l’aria era pulita,
che la stanza non
era imbrattata di rosso, che la morte non si trovava lì.
- Poi vidi lei.
– Il capo di Rajani si sollevò, e nei suoi occhi
c’era ora rabbia; una furia
profonda e dolorosa. Si rivolse a Shaka: - Sadhira ha tradito. La
Grande
Sacerdotessa ha tradito. –
- Sadhira? – La
voce di Shaka era stupita. Non
si aspettava un risvolto simile, questo era evidente.
Rajani annuì,
chinando il capo. – L’ho vista
con i miei occhi. Non volevo crederci, non volevo, ma ieri il corpo
è stato
ritrovato. – Alzò gli occhi. – Avani.
Avani è morta. –
- Una delle sacerdotesse?
– Domandò Dohko; lei
annuì in risposta.
- La Sacerdotessa di
Annapurna. Ora che ci
penso è chiaro; logico che sia stata lei il sacrificio:
Annapurna è la Devi del
nutrimento. Sadhira ha resuscitato il corpo di Mahishasura. –
Shaka scosse la testa,
confuso. – Perché? –
- So solo ciò che
ho visto. E l’ho vista,
Shaka: ho visto lei e ho visto lui.
Mahishasura vive. –
- Scusate… - La
voce di Seiya interruppe
nuovamente la conversazione. – Ma chi è
Mahishacoso? –
Rajani scosse la testa;
però doveva
ammetterlo: quel ragazzo sapeva spezzare la tensione.
- Mahishasura è
il demone bufalo. – Quando
vide che il ragazzo continuava a guardarla interrogativo, Rajani
continuò. - La
leggenda narra che in tempi remoti Mahishasura avesse pregato Brahma
così
intensamente che il Deva gli concesse il potere di non poter essere
sconfitto
da alcun essere maschile, fosse questi divino o meno. Mahishasura
voleva i tre
mondi, e li ottenne. Il suo dominio non conobbe confini:
entrò nei Cieli, e
sconfisse gli dei. – Rajani si assicurò che Seiya
la seguisse, poi continuò. –
La Trimurti creò allora Durga. Ella… -
Fu bruscamente interrotta
dalla voce del
cavaliere di bronzo. – Quella
Durga?
–
Rajani gli sorrise, contenta
almeno che stesse
seguendo. – Sì. Proprio quella Durga di cui io
sono sacerdotessa. Posso
continuare? – Lui annuì.
- Durga nacque dalla luce
della Trimurti: la
sua forma era di una bellezza accecante, e la sua forza inaudita. Ogni
divinità
le donò la sua arma più potente,
poiché Mahishasura poteva essere sconfitto
solo da una donna. Lui fu stolto: tentò di sposarla; non
credeva certo che una
donna avrebbe potuto sfidarlo, ma lei lo fece. E lo sconfisse, al
decimo giorno
della luna piena, dopo aver decimato il suo esercito. Durga ebbe
pietà: non lo
uccise. Lo imprigionò, comunque, in una statua di bufalo. Ed
era lì che il suo
spirito giaceva, almeno fino a qualche giorno fa. –
Seiya annuì, in
segno di aver capito.
- Sadhira è la
Grande Sacerdotessa del Tempio,
ma è anche la Sacerdotessa di Kamakshi: detiene le arti del
controllo della
mente e dei sensi. Direi che Mahishasura l’ha plagiata, che
il suo spirito è
puro; mentirei, però, perché Sadhira non
può essere controllata. Lei ha
tradito: lo spirito del demone l’ha cercata, e lei lo ha
ascoltato di sua
volontà. Ha intenzionalmente sacrificato una sua compagna
per resuscitarne il
corpo. - La rabbia di Rajani traspariva dal suo tono; fu Shaka a
placarla: la
abbracciò con il suo cosmo.
- Il giorno seguente alla
notte della visione
tutti gli abitanti del Tempio sono accorsi alle urla di una delle
guardie.
Nella Sala delle Armi il corpo di Avani è stato ritrovato in
un lago di sangue.
Nel petto aveva conficcato il Tridente Sacro. –
Successe allora qualcosa che
stupì i presenti:
Shaka aprì gli occhi. La guardò a lungo, senza
proferire parola.
- Questo non è
possibile, - disse infine.
Rajani annuì.
– Eppure lo è stato, - sussurrò.
Si rivolse agli altri: - Le armi sacre sono di fattura divina. Furono
quelle le
armi donate a Durga dalle divinità, e possono dunque essere
prese solamente dalla
Sacerdotessa di Durga, o da un dio. –
- Ma tu
sei la Sacerdotessa di Durga. – Osservò Dohko.
Rajani annuì.
– Per l’appunto. Io sono Maestra
delle Armi, e solo io avrei potuto prendere il Tridente di Shiva.
– Li guardò
negli occhi, uno per uno. – L’omicidio di una
compagna è un reato del quale ancora
non mi sono macchiata. –
Dopo una breve pausa,
continuò: - Mahishasura
ha colpito Avani. La sua natura semi-divina è la chiave:
l’ho visto. – Rajani
sospirò. – Purtroppo gli abitanti del Tempio non
hanno voluto credere alle
parole mie e di Sheetal: Sadhira è Maestra del Controllo.
–
- Ha plagiato le altre
sacerdotesse? – Le
chiese uno dei gemelli. Saga, se non sbagliava. Una luce strana
brillava nei
suoi occhi blu.
- Tutte, tranne una. Visala
è Alta Sacerdotessa
di Sarasvati, Portatrice del Vero. Lei non può mentire, e,
per contro, non le
si può mentire: riconosce la verità nelle parole
e negli intenti. Visala ha
creduto a me e Sheetal, ed è a lei che dobbiamo la
libertà. -
- Va’ avanti, - la
incitò Dohko.
- Sadhira ha ordinato il
nostro arresto per
Alto Tradimento. L’unica cosa sensata da fare era fuggire.
Visala ci ha
ospitate fino a notte fonda. L’energia del Tempio di
Sarasvati ha celato me e
Sheetal; a nessuno è passata per la mente l’idea
che Visala potesse essere
“complice di due omicide”. A dire il vero, mi
chiedo in primo luogo come
abbiano fatto a credere che Sheetal potesse essere
un’assassina. Sadhira non
dovrebbe avere tanto potere. Non dovrebbe. –
Sospirò. – Cercare di raggiungere
i confini del Tempio è stata un’impresa. Le
guardie ci hanno individuate non
appena fuori dall’influsso di Sarasvati. Una patetica caccia
alle streghe. Quel
che è successo dopo è stata colpa mia. La Devi mi
perdoni, ma io sono Capo della
Guardia del Tempio. Be’,
lo ero. Non credevo davvero che ci avrebbero attaccate per uccidere.
L’hanno
fatto. Anzi. L’ha fatto Arun. – I suoi pugni erano
convulsamente serrati. –
Arun è stato mio allievo. Questo errore mi ha quasi uccisa. -
Shaka posò una
delle sue mani su quelle di
lei, che si calmò quasi istantaneamente. Rajani gli rivolse
un sorriso grato.
- Non è colpa
tua. Nonostante sia uno sciocco ottuso,
Arun ha un buon cuore. Sii arrabbiata con Sadhira, piuttosto.
–
- Oh, ma lo sono.
– Una luce quasi feroce le
illuminava gli occhi d’ambra.
- Lo hai ucciso? –
La domanda veniva da Camus.
Rajani scosse la testa in
segno di diniego. –
Arun sarà anche uno stolto a volte, ma non è
sciocco abbastanza da sfidarmi in
un corpo a corpo. Nessuno nella Guardia lo è. Una lancia.
Una lancia che ha
preso Sheetal in pieno. –
- E per fortuna che aveva
ottima mira! –
Esclamò Seiya allora.
- Oh, la traiettoria era
perfetta. Mi avrebbe
presa dritta tra le scapole, perché ero di spalle. Ed
è stata questa la mia
colpa: non credevo avrebbero attaccato. – Scosse ancora il
capo. – Sheetal si è
messa in mezzo. Certo, ripensandoci quanto ha fatto è
perfettamente logico. Ero
io l’obiettivo, perché io, con il mio
teletrasporto, ero la nostra libertà. –
Sospirò. – Il confine era lì, a poca
distanza, e l’abbiamo raggiunto prima che
le guardie raggiungessero noi. Quello che è successo dopo
è sfocato nella mia
memoria. Credo di aver inconsciamente cercato un cosmo familiare; non
so
nemmeno quanto tempo abbia passato in quello spazio interdimensionale.
Ho
pregato la Devi, e lei deve aver risposto. Sono infine giunta qui.
–
Il silenzio scese sulla
sala. Lady Saori si
alzò infine in piedi. – Attenderemo il risveglio
della tua compagna prima di
prendere decisioni, - dichiarò solenne. Poi
guardò Mu, come a dire: come sta la
ragazza?
- E’ stabile. La
ferita all’addome è quasi
completamente guarita. – Poi aggiunse, in tono più
cupo: - Mi sarei aspettato
che si fosse già svegliata. Eppure non accenna nemmeno a
muoversi. –
- E’ il veleno, -
intervenne Rajani,
catturando l’attenzione generale. – La lancia era
molto probabilmente
avvelenata. Il modo migliore per uccidere la Sacerdotessa di Durga
è non
combatterla affatto. –
- Sheetal è
immune ai veleni, - a parlare fu
Shaka. – Maestra dei Veleni al Tempio della Devi,
Sacerdotessa di Manasa tanto
quanto di Lakashimi. –
Rajani annuì,
come a confermare la veridicità
delle parole del cavaliere. – Arun ha con ogni
probabilità preso una delle
miscele divinatorie dal laboratorio di Sheetal: veleni potenti,
mescolati
assieme per essere istantaneamente letali. Sheetal li usa per entrare
nello
stato di coscienza alterata nel quale le visioni si manifestano. Quella
lancia
mi avrebbe uccisa sul colpo. – Rajani parlò con la
furia nella voce. – Sadhira
pagherà per le sue colpe. Lo giuro, pagherà.
–
Nella sua mente rivide
l’espressione di Arun,
quegli occhi scuri carichi d’odio per una donna che chiamava
Maestra.
La
voce di Mu riportò l’attenzione di Rajani ai
presenti nella sala – non aveva
ascoltato la domanda, ma udì perfettamente la risposta. Il
viso del cavaliere
della Vergine era imperturbabile mentre affermava: - Sheetal
è mia sorella. –
Sheetal
meditava, immobile nella Padmasana,
la
posizione del loto.
Sette
ore erano ormai trascorse da quando si era seduta ai piedi di
quell’albero – ma
lei non se ne curava; la sua coscienza non prestava attenzione alle
cose
terrene: Lakashimi le stava mostrando il futuro.
Sheetal
era giovane; una sacerdotessa poco più
che bambina. Di lei il popolo diceva fosse uno spirito divino, inviato
da
Shakti in Terra perché facesse la sua volontà. La
amavano e la temevano, poiché
lei era bellissima e terribile.
Sheetal
sapeva che la sua presenza suscitava
soggezione, anche fino a incutere timore nelle persone. Per questo
motivo amava
sorridere – mettere a proprio agio coloro che la
circondavano. Era solo umana,
ed era giovane.
Chiusa
nella sua meditazione nulla in lei era
umano.
Le
guardie osservavano con fascinazione e paura quella ragazzina immobile,
circondata dell’alone dorato che era il suo cosmo; ed erano
così rapiti da
tanta potenza che inizialmente non notarono il movimento innaturale
dell’erba
attorno a lei. Quando finalmente videro la vipera era troppo tardi:
già i denti
velenosi affondavano nella sua carne.
Sheetal
spalancò gli occhi, allora,
riprendendo contatto con la realtà. Abbassò lo
sguardo ceruleo e la vide, lì,
davanti a lei, con quegli occhietti che la fissavano come a dire:
svegliati.
Tutto
era successo così in fretta che le guardie ebbero appena il
tempo di trattenere
il fiato. Poi lei allungò piano la mano, come in invito
verso quel piccolo
serpente mortale, e la trance venne spezzata.
-
Sacerdotessa! – Urlò Kanak, ma lei lo
ignorò.
La
vipera non staccò gli occhi da quelli turchesi di lei;
strisciò sulla mano
tesa, quasi… docile.
E
allora le guardie compresero, perché il veleno di quel
serpente già avrebbe
dovuto averla uccisa.
-
Io ti vedo, - sussurrò lei alla vipera, e la
sua voce non era roca, neanche dopo ore di meditazione immobile.
Sheetal
non aveva paura, perché Lakashimi le
aveva mostrato ciò che sarebbe stato.
Si
alzò in piedi in un movimento fluido, la
vipera quasi deferente sul palmo della sua mano. Sentiva il veleno in
circolo,
ma non era una brutta sensazione.
-
Io sono Sacerdotessa del Loto; Sacerdotessa
di Lakashimi. – Pronunciò chiaramente.
-
E sono Sacerdotessa del Serpente;
Sacerdotessa di Manasa. –
Ed
eccomi
dunque arrivata alla conclusione di questo mega-capitolone!
In
questo
momento mi trovo a Fisterre, in España. Devo dire che le
vacanze aiutano
positivamente il mio estro creativo… prova ne è
questo capitolo!
Ma
veniamo a
noi. Come detto precedentemente, ho aggiunto del mio alla religione
induista.
Mi spiego: prima di tutto, non tutte le divinità chiamate in
causa sono
effettivamente forme della Devi – Manasa non lo è,
per esempio; ne compariranno
altre prima della fine della storia e, per dovere di cronaca, vi
avvertirò man
mano. In secondo luogo ho apportato una “leggera”
modifica alla leggenda di
Mahishasura: nella tradizione egli viene infatti ucciso da Durga, non
imprigionato.
Oltre
a questo,
tutto dovrebbe essere abbastanza preciso. Non sapete che faticaccia
capirci
qualcosa! E’ davvero una religione complessa – ma,
bisogna ammetterlo,
affascinante.
Se
vi vengono
dubbi, o pensate che la storia diventi troppo complessa, non
preoccupatevi:
peggiorerà!!!
E
il bello è
che neanche scherzo. Pensate solo che ho considerato circa una
quindicina di
sacerdotesse, una decina di guardie e vari personaggi accessori.
Ovviamente,
poi, mica posso lasciare soli soletti i personaggi
“classici”: ne succederanno
delle belle!
Okay,
ora posso
fiondarmi nei ringraziamenti.
Grazie
a tutti
coloro che leggono e leggeranno questa mia storia, ed in particolar
modo grazie
ai recensori: vi sono immensamente grata.
charm_strange: sì, tutti
tutti i Gold sono tornati in vita come hai potuto vedere; non ci posso
far
nulla, mi piacciono troppo! Grazie mille comunque!
data81: non
preoccuparti, non l’ho presa come una critica! Spero che la
storia continui a
piacerti e ti ringrazio. Alla prossima!
JackoSaint: XD Ma
graaaazie! Devo ammettere che l’anime mi ha condizionata
molto, quindi io Milo
me lo immagino con i capelli scuri; comunque il discorso non
cambia… Atena ha
capito tutto! Ad ogni modo nei capitoli a venire lascerò
spazio a molti
personaggi. Ho in mente delle caratterizzazioni un pochino diverse dal
“normale”,
forse OOC – ma se non facessi cose fuori dagli schemi non
sarei io. Un bacione
ad entrambe, alla prossima!
Cry
Benihime:
ma certo che puoi chiamarmi Bea-chan - è il mio
soprannome preferito! Eh sì, immagino le
battutine… Ma essere del segno di
Shaka mette in paro. Spero che anche questo capitolo sia di tuo
gradimento.
Ciao ciao!!!
ashar: be’, alla
fine sono riuscita ad aggiornare prima del previsto! Grazie mille, alla
prossima!
winnie343: Shaka è
fantastico, su questo non ci sono dubbi. Grazie mille, spero che anche
questo
capitolo ti sia piaciuto. ^_^
|
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Capitolo 4 *** Bellezza Letale ***
E’
forse possibile che sia passato tutto questo tempo dal
mio ultimo aggiornamento?! TT_TT
Mi
sento repressa, ecco. Sì, perché tra
università,
impegni incombenti vari, progetti per la conquista del mondo e una
serata fuori
ogni tanto io… non ho tempoooo!
*Me
va a fare i cerchietti nell’angolino*
Ecco.
Ad
ogni modo! Eccomi di nuovo qui, che vi porto il quarto
capitolo di questa ficcy-fiction.
Finalmente
mi sono potuta cimentare con un po’ di Hindi!
Non vedevo l’ora! Se qualcuno lì fuori parla Hindi
e capisce che ho scritto
terribili strafalcioni, per favore tenga i commenti per sé.
U_U
Chiaramente
sto scherzando. Io non capisco un’acca di
lingua indiana, però sono un’esperta di Google
Traduttore (XD), e credo di
averci preso – perché ho fatto più di
un controllo utilizzando la traduzione
sia da Italiano che da Inglese. Per facilitare la lettura ho poi
preferito
mettere i segni fonetici piuttosto che quei simboli astrusi.
Io
vi lascio per ora. Ci risentiamo nelle note di fine
capitolo!
Buona
lettura a tutti,
Bea-chan
La visione era ormai
sfocata. Sentiva voci in
lontananza, sensazioni nell’aria, respiri appena accennati;
eppure, lentamente,
stava tornando cosciente di sé.
No, è troppo presto! Devo vedere! Tentò in un
disperato istante di rimanere
preda della visione.
Sheetal sapeva che di
lì a poco si sarebbe
svegliata: già percepiva la sua mente riprendere contatto
con il corpo – il
torpore negli arti immobili, la stanchezza
permeata sin nelle ossa, il dolore all’addome.
Aprire gli occhi non fu
piacevole. La luce era
intensa – troppo perché calde lacrime non le
rigassero il viso – e passò quella
che le parve essere un’eternità prima che
riuscisse a dischiuderli nuovamente.
Sheetal era confusa. Non si
trovava nel suo
letto; non si trovava al Tempio della Devi.
La memoria le
tornò a scaglioni ma, nonostante
avesse ricordato la fuga, Sheetal non riuscì a riconoscere
il luogo in cui si
trovava.
Il dove,
decise riflettendoci, non le interessava molto. Qualsiasi posto era
migliore
del Tempio, e il solo fatto di trovarsi in un luogo sconosciuto
significava che
Rajani era riuscita a portarle in salvo. Ma Rajani dov’era? E
quanto tempo era
passato da quella fatidica notte?
Sola
e senza risposte, Sheetal fece l’unica cosa che le paresse
sensata: attese.
–
Milady, non crede forse che sarebbe opportuno per le nostre ospiti
indossare la
maschera tradizionale? – La voce di Aiolia spezzò
il silenzio all’interno della
sala.
Due giorni erano trascorsi
dal Chrysos
Synagein e Lady Saori si era infine decisa a indirne un secondo.
Attendere il
risveglio dell’altra sacerdotessa si era rivelato logorante;
la tensione era
palpabile nell’aria stessa – quasi come se tutti
non attendessero altro che un
attacco nemico imminente.
La riunione non era stata
fino a quel momento
molto proficua, tutt’altro, ma anche solo il pensiero di non
starsene con le
mani in mano aveva aiutato i cavalieri a risollevare gli animi.
Rajani sollevò lo
sguardo sul greco che aveva
appena parlato. La domanda l’aveva lasciata alquanto
sconcertata; non aveva
idea di cosa parlasse. Aggrottò le sopracciglia, rivolgendo
poi lo sguardo
interrogativo a Shaka.
Il cavaliere della Vergine
appariva rilassato
e imperturbabile come suo solito. Percepì chiaramente gli
occhi di Rajani su di
sé, ma non si mosse.
Quando il silenzio si
protrasse alcuni
secondi, Rajani decise infine di vociare i suoi dubbi: - Se non sono
troppo
indiscreta, e visto che mi ritrovo ad essere soggetto di questa
richiesta,
qualcuno potrebbe gentilmente spiegarmi di cosa si tratta? –
Dohko sospirò. – E’ tradizione e
legge, –
cominciò, –
che le donne del Tempio indossino una maschera
per celare il proprio volto agli uomini. La maschera rappresenta il
loro onore
di guerriere; pertanto colei che mostrasse il proprio viso nudo ad un
uomo
sarebbe posta innanzi a una scelta: amare quell’uomo oppure
ucciderlo, per
poter riscattare l’onore perduto. Ad ogni modo, se mi
è concesso, vorrei
esprimere il mio dissenso: le nostre ospiti non sono affatto
sacerdotesse della
dea Atena, e pertanto non dovrebbero essere obbligate a seguirne le
regole. –
Rajani piegò la
testa di lato, un’espressione
confusa dipinta sul viso. – Non capisco. La vostra tradizione
è bizzarra. Ad
ogni modo non ho intenzione di nascondere il mio volto dietro ad una
maschera
per me priva di significato. Il mio onore non giace in un oggetto;
piuttosto,
potrei dire che si trova nei doni che la Devi mi ha concesso.
– Sorrise, lo
sguardo rivolto verso il cavaliere del Leone. Prima ancora che questi
potesse
aprire bocca per replicare, la ragazza riprese a parlare, un sorriso
quasi
divertito a piegarle la bocca.
–
D’altro canto, in questa sala ci sono sedici uomini; sedici
cavalieri che hanno
visto il mio viso nudo. Se anche io iniziassi a vestire una maschera da
questo
stesso momento, cosa che ribadisco non ho intenzione di fare, quali
scelte mi
si porrebbero davanti? – Fece una pausa, come a pensarci su.
– Dovrei forse
uccidervi tutti, cavalieri? Non
credo
che Milady ne sarebbe troppo felice. –
Mentre Dohko tratteneva a
stento una risata e
altri cavalieri nascondevano sorrisi divertiti, Aiolia
sbuffò rumorosamente.
–
Credi forse di poterci uccidere tutti quanti? – La domanda
proveniva da un
Seiya piuttosto indispettito.
–
Non saprei, cavaliere. Posso sempre provarci. –
Il sorriso sarcastico non
aveva abbandonato le
labbra della ragazza. Perché poi provocare quel Seiya la
divertisse tanto era
un mistero.
–
Hai idea di chi hai di fronte? O sei solo una folle? – Seiya
pareva
infervorato. Solo l’intervento di Shun e Shiryu gli
impedì di alzarsi in piedi.
Hyoga pareva piuttosto indifferente alla situazione. Come tutti gli
altri,
anche lui aveva colto l’ironia nelle parole
dell’indiana. Lo stava provocando,
e il siparietto se non altro era servito ad allentare un po’
la tensione.
I cavalieri d’oro
si scambiavano intanto
sguardi tra il divertito e l’esasperato. Mu aveva appena un
sorriso accennato
sulle labbra mentre guardava ogni genere di espressione passare sul
viso del
cavaliere di Pegasus; Dohko aveva fatto crollare ogni pretesa di
serietà e
sghignazzava senza ritegno; persino Camus sorrideva un poco.
Rajani rimase impassibile.
– E tu, cavaliere?
Tu sai chi hai di fronte? –
–
Ora basta per l’amor del cielo! – La voce
squillante di Saori riportò una
parvenza d’ordine nella sala. La giovane sospirò.
– Non posso imporre la legge
del Santuario alle nostre ospiti. Questo è quanto.
–
–
Milady, questa donna ha appena insultato l’ordine dei
cavalieri! –
–
Insultato? No, affatto. Seiya, io non ho mai detto che i cavalieri
della dea
Atena non hanno valore. Perché dovrei farlo? Sarebbe una
palese menzogna. Tu
travisi le mie parole; nemmeno ho mai insinuato di essere
effettivamente in
grado di uccidervi tutti quanti. –
–
Ah no? Bèh, a me è sembrato il contrario!
–
Rajani si lasciò
scappare una risatina. –
Noto. –
–
Questo è un affare serio! Se ti senti
tanto sicura di te stessa perché non dimostri il tuo di
valore? –
Quella sfida, se
così poteva essere definita,
ebbe il potere di farla divenire improvvisamente seria.
Un’ombra scura passò
nei suoi occhi d’ambra, puntati intensamente in quelli del
cavaliere. – No. –
–
Come? – Seiya parve spiazzato dalla risposta secca che,
chiaramente, non si
aspettava.
–
Io combatto per la mia dea, cavaliere, non per la gloria personale. Di
quella
non me ne faccio niente. –
Seiya sbuffò
rumorosamente, ma parve
tranquillizzarsi un po’. Stava per replicare, quando qualcosa
gli fece morire
le parole in gola: un cosmo di grandi dimensioni parve esplodere e
placarsi
tutto in un istante.
A Rajani bastò
quell’istante per scattare in
piedi, gli occhi sbarrati e una sola parola in gola: - Sheetal!
–
Sheetal li
percepì arrivare. Molte persone,
molti passi – affrettati, rumorosi. Tra tutti
riuscì chiaramente a discernere
Rajani – il suo cosmo era in tumulto, forte e caldo e
agitato. Sheetal sorrise,
perché Rajani era salva e stava bene. Percepì,
stranamente, l’energia che
riconobbe subito appartenere a Shaka.
Il sorriso si
accentuò sulle labbra della
bionda. Interessante,
pensò.
Fu così che la
trovarono quando di colpo
Rajani spalancò la porta: immobile nella posizione del loto,
sul letto, i
lunghi capelli che le coprivano le spalle e le braccia come un velo
d’oro e un
sorriso a ornarle il volto pacifico. Era una visione quasi angelica,
nonostante
l’aspetto poco curato dovuto ai lunghi giorni di sonno
ininterrotto.
La somiglianza con Shaka era
impressionante,
notarono in molti. Solo quando lei aprì gli occhi e li
guardò uno per uno,
senza smettere di sorridere, tutti poterono ammirare i suoi occhi blu
screziati
di verdemare, così diversi da quelli del fratello.
Circondati da ciglia lunghe,
di quel turchese così intenso e vivo, risaltavano
incredibilmente su quel viso
pallido – forse troppo, dopo oltre due giorni senza cibo.
Con gli occhi puntati in
quelli d’ambra
dell’amica di una vita – che, intanto, la fissava
come paralizzata – e le
labbra ancora distese in un sorriso, Sheetal non si curò
della stanchezza
intensa che le pervadeva tutto il corpo. Sollevare le braccia le
costò fatica,
ma lo fece, e Rajani vi si fiondò senza più
esitazioni. Abbracciandola stretta,
gli occhi ora umidi, la rossa affondò il viso
nell’incavo del collo di quella
che considerava una sorella – se non di sangue, almeno di
vita.
–
Isē
phira sē mata karanā
*, – sussurrò, il suono attutito
dalla massa di capelli biondi. Alzò il
viso, puntando i suoi occhi di brace in quelli turchesi di Sheetal, e
ripeté
più forte: – Āpa isē phira sē karanē kī him’mata mata
karō! **–
[* Non farlo mai più]
[** Non osare farlo mai più!]
La risata che
fuoriuscì dalla gola della
bionda fu roca e dolorosa. Immediatamente le venne versato un bicchiere
d’acqua
da uno dei cavalieri – quello che Sheetal notò
immediatamente in lui furono i
gloriosi capelli violacei e i due splendidi occhi verdi, illuminati di
gentilezza.
–
Grazie, – si
sforzò di dire.
Bevve a piccoli sorsi.
L’acqua non era fredda,
ma la sensazione di sollievo che diede alla sua gola arida fu
paradisiaca.
Quando il bicchiere fu vuoto
lo posò sul
comodino, sentendosi subito meglio – per lo meno non provava
più quel
fastidioso senso di vertigine.
–
Shaka, ti trovo bene, –
la voce le uscì ancora un po’ debole, ma parlare
non le causò dolore.
Il cavaliere di Virgo si
avvicinò al letto sul
quale ancora lei e Rajani erano sedute. Le posò una mano
sulla testa, donandole
una piccola carezza. – Non posso dire altrettanto. –
–
Suvvia! Mi hai vista in condizioni peggiori. –
Shaka sospirò.
– Vero. –
–
Come ti senti? La
ferita? – Intervenne Rajani.
Sheetal ci pensò
un istante. – Intorpidita
direi; stanca, dolorante e con un disperato bisogno di una doccia.
Tutto
sommato potrei stare peggio. La ferita è…
guarita, credo. – Aggrottò le
sopracciglia, portandosi una mano al ventre. La blusa che indossava era
squarciata e incrostata di sangue, ma la pelle al di sotto era perfetta
e
chiara, nemmeno una cicatrice a rigarle la carnagione. –
Quanto tempo è passato?
–
– Due giorni circa.
–
Sheetal sospirò.
– Questo spiega perché mi
sento così esausta. Chi debbo ringraziare per questa?
– Accennò verso il
proprio ventre.
–
Il cavaliere
dell’Ariete ti ha curata, – Shaka le
indicò il ragazzo che poco prima le aveva
porto l’acqua.
Sheetal gli sorrise.
– Hai la mia
riconoscenza, cavaliere. –
–
Dovere. –
–
Le presentazioni
posso attendere. Ora hai bisogno di darti una sistemata e mangiare
qualcosa, non
trovi? –
Sheetal annuì
verso l’amica. Sì, ne aveva
davvero bisogno.
La doccia fu per lei una
mano santa. Solo la
voce di Rajani la convinse ad uscirne, quando annunciò che
il suo pasto era
arrivato. Pranzarono assieme, e Rajani le raccontò quanto si
era persa durante
la convalescenza.
Sheetal rise di gusto quando
l’amica le parlò
delle sue impressioni sui cavalieri e su Atena, cercando di associare
ai nomi
un volto tra quelli che aveva visto. Scoprì così
che Milo di Scorpio era un
galantuomo che aveva fatto arrossire d’imbarazzo Rajani con
un baciamano, che
Mu dell’Ariete era sempre gentile e pacato, che Aldebaran del
Toro faceva
impressione per la sua stazza, ma era in fondo un tenerone.
Continuarono a parlare
scherzosamente per ore,
mentre Rajani le spazzolava i capelli o insieme cercavano una veste
decente da
farle indossare in un mondo di pizzi e merletti.
Il Chrysos Synagein era
stato aggiornato a
quella sera stessa.
Fu Shaka a passare a
prenderla. Sheetal aveva
approfittato del tempo da sola per meditare e recuperare un
po’ le forze.
Rajani era tornata, qualche tempo prima, nelle stanze che stava
occupando.
Anche lei aveva bisogno di darsi una sistemata – la veste che
aveva indossato
quella mattina, anche se modesta, le dava terribilmente fastidio
– o almeno
così aveva detto.
–
Namasté Shaka. – Ancora immobile nella Padmasana,
Sheetal salutò il fratello appena entrato. Gli dava le
spalle, seduta a terra e
rivolta verso la grande finestra della stanza.
–
Namasté. –
Lei sorrise tra
sé e sé mentre si alzava in
piedi. – Certo che ne è passato di tempo,
fratellino, però non sei cambiato
molto. Potresti anche darmi un abbraccio, sai? –
Lo abbracciò lei
di slancio, quasi prendendolo
alla sprovvista. Con le forze che aveva recuperato lo strinse quanto
più poteva
– nonostante il metallo lucido dell’armatura di lui
fosse rigido e freddo.
Sheetal amava suo fratello.
Tra di loro era
sempre stata lei quella più affettuosa, quella meno
distaccata; tuttavia,
nonostante l’apparente freddezza di lui, la bionda sapeva che
il suo affetto
era contraccambiato.
Shaka esitò un
istante prima di ricambiare il
gesto. Sheetal gli era mancata; lei era tutta la famiglia che aveva, e
una
delle poche persone al mondo che contassero davvero.
–
Maiṁ
tumasē pyāra karatā hūm̐
bhā’ī, kyā tuma jānatē hō?
– [Ti voglio bene fratello, lo sai vero?]
–
Maiṁ
tumasē pyāra bhī bahana.
– [Ti voglio bene anch’io sorella.]
Rajani
era già fuori dalla porta della sua
stanza quando assieme passarono a prenderla. Sheetal si
bloccò di colpo alla
sua vista, gli occhi sgranati e il respiro mozzato in gola.
–
Quel sari…
– Si avvicinò all’amica rapidamente,
facendo poi correre la mano sulla seta
rossa ricamata d’oro, quasi con riverenza. Sheetal sorrise
all’espressione
confusa di Rajani. – Ti sta a pennello. –
–
Grazie. – La rossa aggrottò le sopracciglia.
–
Shaka ha fatto bene a darlo a te. – A
Sheetal venne da ridere all’espressione scioccata di Rajani.
– Non lo sapevi
eh? –
–
No… – Si voltò verso Shaka,
meravigliata, ma
il suo viso impassibile non le diede le risposte che cercava.
Ma… stava forse
arrossendo? Shaka? La sua carnagione chiara non poteva nascondere il
pallido
rossore che gli colorava le guance. Sheetal rise ancora più
forte nel notarlo.
Quando, due imbarazzanti minuti dopo, riuscì a tornare
sobria, la ragazza donò
un sorriso raggiante ai due.
–
Apparteneva a nostra madre, sai? Lei… ti
somigliava, un po’. Ti sta d’incanto. –
Rajani
non trovò le parole per replicare. Aprì
e chiuse la bocca, la mente in tumulto. Shaka le aveva regalato un sari meraviglioso. Shaka le aveva
regalato un sari meraviglioso che
apparteneva a sua madre. Arrossì profondamente quando
finalmente afferrò il
significato di quelle parole, sussurrando un “Dhan’yavāda
*” appena udibile.
[* Grazie]
–
Lei avrebbe apprezzato, – sentenziò infine Shaka.
Sheetal annuì, ripensando alla
dolce bellezza della madre. La sua perdita era stata una grande
tragedia.
Si
avviarono con passo tranquillo, avvolti in un piacevole silenzio. Fuori
dalle
finestre il tramonto illuminava d’arancio il paesaggio;
l’aria era fresca e
sapeva di salsedine.
Sheetal
rimase stupita dalla magnificenza
della Tredicesima casa. Apprezzò ogni ricco dettaglio
– notando come i
cavalieri in armatura d’oro non stonassero affatto con
l’ambiente.
L’ingresso
dei tre portò il silenzio nella
sala; e, mentre Sheetal si guardava attorno curiosa, tutti poterono
notare come
il suo aspetto fosse cambiato da poche ore prima. Le energie le erano
tornate,
assieme a un po’ di colore e freschezza.
Sheetal
era alta, più di Rajani che al
contrario si poteva dire piuttosto minuta. La semplice tunica bianca
che
indossava non valorizzava particolarmente il suo fisico, e tuttavia lei
sembrava irradiare luce. Era bella e, se non per gli occhi, somigliava
in modo
impressionante a Shaka.
Le
presentazioni furono veloci e prive di
convenevoli; tutti fremevano nell’attesa delle informazioni
che la sacerdotessa
avrebbe potuto fornire. Fu nuovamente Lady Saori a chiederle di
presentarsi,
proprio come giorni prima aveva fatto con Rajani.
–
Il mio nome è Sheetal, Alta Sacerdotessa della Mahadevi
sotto le forme di
Lakashimi e Manasa, Maestra della Divinazione e dei Veleni nel Sacro
Tempio di
Varanasi. –
Si
accomodarono su seggi posti lì per l’occasione, e
il Chrysos Synagein poté
iniziare.
–
Vorrei premettere, – cominciò Sheetal, –
che sono davvero spiacente di non
potervi dare molti dettagli. Il mio occhio è stato offuscato
per l’intera
convalescenza a causa della necessità del mio corpo di
guarire. Le visioni, –
scosse la testa, come ad enfatizzare il punto, – erano
confuse. Molte
sensazioni, immagini sporadiche, voci che rammento a malapena. Ho visto
alcune
cose che sono già state: l’omicidio di Avani, la
resurrezione di Mahishasura,
persino alcuni fatti legati alla nostra infanzia. Ora che ci ripenso,
ho visto
Shaka più volte. – Fece una pausa, ponderando le
parole. – Cose di poco conto.
–
– E
del futuro Sheetal? Cosa hai visto del futuro? –
–
Ho visto una bambina. – Nel pronunciare quelle parole,
Sheetal aprì la sua
mente. L’immagine di una bimba si fece largo nei pensieri di
chi, come Rajani,
era in grado di leggere la mente. Poteva avere forse tre, quattro anni,
piccola
com’era; era graziosa, con le guance paffute e la carnagione
baciata dal sole;
i lineamenti erano chiaramente orientaleggianti, probabilmente indiani,
incorniciati da ciocche di un biondo rame molto scuro, quasi castano
chiaro.
Quello che colpì Rajani furono però gli occhi:
grandi, espressivi e colorati
d’ambra.
L’immagine
svanì rapidamente, mentre le barriere mentali di Sheetal
tornavano al loro
posto.
–
Cosa significa? – La domanda veniva dal cavaliere
dell’Ariete, Mu.
La
bionda scosse la testa. – Non saprei. So che il futuro legato
a quella bambina
è prossimo, nient’altro. –
–
Dovremmo forse cercare questa fantomatica bimba? –
– No,
Milo, non ce ne sarà alcun bisogno. Alcuni futuri sono
variabili, incerti; ma
non questo. Sarà lei a venire da noi, in un modo o
nell’altro. –
– E
cosa dovremmo fare allora? Attendere immobili che il nemico ci
attacchi? – La
voce di Kanon di Gemini era colma d’impeto.
Rajani
scosse il capo. – Il problema più grande al
momento è un altro. – Prese un
respiro. – Sheetal, hai visto Visala? –
La
bionda sgranò gli occhi, ora colmi d’orrore.
– No. –
–
E’ come temevo. Spero davvero che stia bene… Non
me lo perdonerei mai se le
accadesse qualcosa. –
Sheetal
prese un respiro profondo, chiudendo gli occhi,
un’espressione di sofferenza
dipinta sul volto. – Deve stare bene. Deve.
–
L’altra
annuì, niente affatto convinta.
–
Ciò che devo fare è tornare nello stato
divinatorio. Yaha lānata hai!*
Sarebbe tutto molto
più
semplice se avessi i miei veleni. – Scosse nuovamente la
testa. – Ma va bene.
Sarà solo molto più estenuante. –
[*Dannazione!]
Rajani
annuì ancora, la mente piena di possibilità
– molte delle quali niente affatto
piacevoli.
–
Se è un veleno quello che ti serve, – la voce
apparteneva, notò Sheetal, al
cavaliere dei Pesci, – non hai che da chiedere, e ti
sarà dato. – Un sorriso
cupo gli incurvava le labbra lucide; aveva un’aria sinistra.
– Sono alquanto
curioso, sacerdotessa. Sarà forse vero che il tuo corpo
resiste ad ogni veleno?
O perirai anche tu, sotto il potere delle mie rose? –
Sheetal
sollevò un sopracciglio. – Rose? Di solito
favorisco i serpenti, ma potrebbe
rivelarsi interessante. Spero solo che il veleno di cui parli sia
abbastanza
potente cavaliere, o sarà tutto inutile. –
La
risata di Aphrodite rimbombò nella sala. –
Abbastanza potente dici? Staremo a
vedere. –
Rajani
sorrise, risollevando il capo. – Grazie cavaliere. Ci hai
risparmiato giorni di
meditazione. – Sheetal annuì a sua volta verso il
cavaliere della Dodicesima
casa. Era pensierosa; sperava davvero che tutto sarebbe filato per il
verso
giusto.
Fu
quella sera stessa che Rajani e Sheetal si trasferirono nella Sesta
casa.
Nonostante le iniziali proteste di Saori, l’imbarazzo di
Rajani e l’eventuale
ilarità generale, Sheetal era stata adamantina. Non si
vedevano da anni, per
amor di Shakti!
Shaka
non aveva aperto bocca nella discussione. In fondo, l’idea di
averle vicine non
gli dispiaceva.
L’unica
camera libera della Casa della Vergine era un ambiente luminoso e
ordinato –
come, d’altro canto, lo erano le altre stanze. I mobili di
legno chiaro e le
lenzuola pulite profumavano piacevolmente d’incenso; il letto
era forse un po’
piccolo per due persone, ma avevano dormito in condizioni peggiori.
Rajani
pensò che tutta la casa fosse un po’ asettica.
D’altro canto, Shaka possedeva
poche cose.
La
parte preferita della ragazza era senza dubbio lo Sharasoju. La
finestra della
camera da letto si affacciava su quel piccolo angolo di paradiso
– a quella
vista, Rajani si era sentita mancare il fiato.
Lo
aveva immaginato: bellissimo e circondato di luce quasi divina, in
quell’armonia colorata, meditare pacificamente. A quel
pensiero, sentì di stare
arrossendo.
Si
diede automaticamente della sciocca, scuotendo la testa per liberarla
da
quella… deliziosa immagine. Al ché,
arrossì ancora di più.
Mērī dēvī ōha!*
[*Oh, mia Dea!]
Fatto!
Ah che bello
tornare a scrivere dopo così tanto tempo. Davvero,
dà un senso… liberatorio.
Allora, come
vi sembra Sheetal? Simpatica la ragazza, vero?
Mi ero
ripromessa di aggiungere qualche piccola annotazione a fine capitolo,
ma ho già
dimenticato cosa volessi scrivere. Ehm… Dunque…
Ah, okay, ci
sono.
La prima cosa
riguarda il personaggio di Aphrodite. Sarò sincera: a me sta
veramente sulle
balle. E, appurato questo, penso che l’Aphrodite che
troverete in questa fanfic
sarà molto… OOC. Un po’ più
Albafica, per intenderci. Non lo stravolgerò
totalmente, ma le differenze si noteranno.
Sono
estremamente indecisa. Sì, perché credo che
dovrò rimandare ciò che avevo
pianificato per il prossimo capitolo a quello dopo ancora. Oh mannaggia!
Un’altra
questione della quale volevo parlare – me ne sono ricordata,
yuppi – riguarda
le prossime date di aggiornamento. Proverò, ma non so se
riuscirò, ad
aggiornare una volta a settimana (scrivendo nei finesettimana,
diciamo). Spero
davvero di trovare il tempo! Le idee, per fortuna, non mancano.
Ora!
Capisco
che le descrizioni che faccio possono essere spesso un pochino
astratte. Ho
pensato quindi di integrare la storia con qualche… immagine,
diciamo. Vi
propongo qui sotto alcuni link a immagini di vari elementi,
così come li ho pensati
io, più o meno:
·
Questo è il
“tatuaggio” sulla schiena di Rajani (certo,
immaginatelo in colori molto più tenui – bianco,
oro e appena un po’ di rosso):
http://www.tattoodesigns123.org/wp-content/uploads/2009/10/Tiger-Tattoo-Design.jpg
·
Questo è invece il
sari:
http://s.chakpak.com/se_images/245068_-1_564_none/karishma-kapoor-in-red-saree-wallpaper.jpg
Dunque! Visto
che ho terminato gli argomenti con i quali tediarvi, passiamo a
rispondere alle
recensioni:
JackoSaint: XD Ma sapete che fate
morire dal ridere? No, davvero. Leggere
le vostre recensioni è uno spasso! Che Shaka sia divino
ormai è appurato, ya
ya. Ad ogni modo grazie mille, siete un grande incoraggiamento a
continuare a
scrivere. ^_^
(Tra
parentesi, non credo che Shura avrà una grande parte in
questa fan fiction – a
meno di un cambio drastico di piani. Anche se forse…)
Cry
Benihime:
grazie mille! Le mie ricerche le ho fatte in giro per la rete.
In Italiano si trovano poche cose purtroppo, ma se spulci i siti
inglesi trovi
il mondo! Se vuoi
ti posso consigliare
qualche sito bellino bellino, sì sì.
winnie343: Rajani ha decisamente un
bel caratterino! Aspetta di vederla
arrabbiata, è una furia! XD Capisco che possa essere un
po’ difficile
inizialmente, ma con l’andare dei capitoli le cose dovrebbero
chiarirsi. Seiya
è il mio… come dire… mezzo per dare
spiegazioni. E’ il perfetto candidato per
fare l’imbecille! Sarai contenta di sapere che Camus
avrà una gran bella parte
andando più in là. ;-) Aspetta e vedrai! Grazie
mille comunque.
|
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Capitolo 5 *** La Portatrice del Vero ***
Ah che
bello, nonostante tutto sono riuscita a rispettare la scadenza che mi
ero prefissata!
Questo
è stato un capitolo un po'... sofferto, direi.
Bèh!
Vi lascio alla lettura.
Un
salutone,
Bea-chan
Rabbia.
La donna lanciò un urlo –
sentiva il sangue
ribollire nelle vene, lo stomaco bruciare, il sapore
dell’acido in gola.
Fuggita.
Come? Come aveva quella piccola sciocca
eluso le guardie?
Qualcuno l’avrebbe pagata. Sì,
qualcuno – e
quella persona non sarebbe stata lei.
La
visione cambiò rapidamente. Il volto sfigurato
dall’ira di Sadhira lasciò il
posto a quello di una piccola bambina dai grandi occhi
d’ambra – occhi sbarrati
dall’orrore.
Dolore. Perché? Perché lei?
Quel male lancinante le aveva paralizzato il
corpo, la bocca piegata in un urlo silenzioso, il viso madido di
sangue. Dagli
occhi sgranati e iniettati di rosso uscivano grosse e calde lacrime;
non le
sentiva bruciare.
Tutto quello che riusciva a concepire era il
dolore.
Ancora,
velocemente, quell’immagine raccapricciante si dissolse.
Due uomini, due gemelli. Avevano la pelle baciata
dal sole, i capelli del colore della pece, gli occhi scuri e carichi
d’odio.
Gridavano qualcosa – ma sentirli era
impossibile. Gridavano, i visi contratti dall’ira. Gridavano
e, sullo sfondo,
la prima delle tredici case si stagliava imponente.
Rajani
osservò. Con la sua mente vide immagini future susseguirsi
l’una all’altra; con
gli occhi vide il viso di Sheetal riflettere mille emozioni –
angoscia, rabbia,
paura, sdegno. Calde lacrime le rigavano il viso cereo; teneva gli
occhi chiusi,
per aiutare la concentrazione; ma Rajani sapeva che, avesse potuto
leggerli,
sarebbero stati solo specchi di dolore.
Riemerse
dal suo inconscio con un respiro affannato – come chi,
nell’affogare, riusciva
finalmente a prendere una tanto agognata boccata d’aria.
Sheetal
sentiva il suo cuore martellarle freneticamente nel petto; il suo corpo
era
preda di violenti spasmi, gli occhi sbarrati e bagnati di lacrime.
Rajani
le fu accanto in un istante. La abbracciò, forte, come
faceva sempre dopo una
trance – e lei si accasciò come spenta tra le sue
braccia, esausta e dilaniata
da quelle forti sensazioni.
Svenne.
Rajani
chiuse gli occhi, prendendo un profondo respiro. Adagiò
piano, dolcemente, il
corpo dell’amica sull’erba morbida del giardino.
Accanto, dimenticato, giaceva
il calice di cristallo entro il quale Aphrodite aveva portato il veleno
sino a
lì – nella Sesta casa, dove Sheetal
l’aveva bevuto senza esitazione.
Shaka
era alle sue spalle. Rajani valutò che lui non aveva
probabilmente mai
assistito ad una visione della sorella.
–
E’
sempre così? – La domanda venne da Mu; il ragazzo
era a pochi passi da loro, e
guardava insistentemente la bionda assopita a terra. Poco distante, gli
altri
cavalieri apparivano piuttosto sconcertati.
Rajani
sorrise, sperando di apparire rassicurante. – Sì e
no. Le visioni sono sempre
intense, poiché Sheetal non si limita a vedere:
lei sente. Però,
– scosse il capo, –
questa volta le sensazioni erano molto violente. –
Rajani
si accomodò sull’erba, al fianco della ragazza.
Incrociò le gambe in un
movimento fluido, assumendo per abitudine la posizione del loto. Con
gesti
lenti e dolci passò le dita tra i lunghi capelli
d’oro di lei, carezzandola
come una madre farebbe con la figlia.
Shaka
si sedette sull’erba accanto a lei; così fece
anche Mu.
Si
rilassò pian piano.
Che situazione piacevole,
pensò Rajani.
Lo Sharasoju risplendeva della luce del giorno; il vento era fresco e
leggero
contro la sua pelle calda, e lei sedeva in quello splendore, ormai
serena,
circondata da bellissimi uomini – e da Shaka. Le venne quasi
da ridere.
Gli
altri li avevano raggiunti a scaglioni e, chi qua, chi là,
si erano anche loro
seduti sull’erba fresca. Rajani chiuse gli occhi,
alzò il capo verso il cielo e
prese un profondo respiro.
Svegliati, pensò. Svegliati sorella mia, e goditi anche tu questo
sole.
Con
la mano che non stava carezzando il capo della bionda prese a
stuzzicare i
petali rossi di un fiore, sorridendo.
Il
silenzio si protrasse qualche minuto – ma a Rajani andava
bene così. Le piaceva
quel suono muto.
Sheetal
dischiuse infine gli occhi turchesi. Un profondo senso di pace si era
impossessato del suo corpo – si accorse di essere circondata
da molti cosmi
sereni. Si levò a sedere, stiracchiando un po’ i
muscoli intorpiditi.
–
Bentornata tra noi, bella addormentata, – commentò
ridacchiando l’amica.
Una
smorfia si dipinse sul suo viso. – Odio le visioni
così pregne di emozioni. Mi
stremano. –
Ci
fu una pausa.
–
Conoscete quelle persone? –
Rajani
annuì in risposta alla domanda di Mu.
–
La
donna infuriata; quella è Sadhira, la Grande Sacerdotessa.
Ciò che ho percepito
è stata una forte ostilità e un grande senso di
vendetta. Ma anche paura.
Qualcuno fuggirà e lei non potrà impedirlo.
– Sheetal sospirò, scaricando il
peso sulle braccia in una postura meno composta. – La
bambina, quella con il
viso insanguinato, è la stessa che avevo già
visto. Nella mia visione… lei
muore. E quel dolore, – scosse il capo, come a liberarlo da
un pensiero
angosciante, – è stato atroce. –
Rajani
annuì. – I due uomini sono Arun e Ashwini, i miei
allievi. A quanto pare avremo
visite. – Un sorriso triste si delineò sulle sue
labbra; chiuse gli occhi. – Prego
con tutto il cuore di non essere costretta a
ucciderli, – sussurrò.
–
Quindi, – la bella voce del cavaliere dei Pesci si
levò nell’aria, – il mio
veleno ha avuto l’effetto sperato. –
Sheetal
gli sorrise. – Sì, ti ringrazio. Era perfetto.
–
Aphrodite
era seduto sul prato in una posa studiata – una gamba
distesa, l’altra piegata
verso il corpo, le braccia a circondarla. Nonostante tutto, sembrava
rilassato.
Annuì
elegantemente con la testa. – E’ stato un piacere.
– Sorrise. – Saresti una
degna avversaria, sacerdotessa. La tua resistenza è
sbalorditiva. –
Sheetal
non riuscì a trattenere una risata. – Ti sbagli
cavaliere, non lo sarei
affatto! Io non sono una guerriera. Uso in altro modo i doni che la
Devi mi ha
concesso. –
–
No? – La domanda stupita proveniva dal cavaliere di Pegasus.
Sheetal
scosse la testa. – Non siamo una casta guerriera. –
–
E
allora la fantomatica Sacerdotessa di Durga? – Seiya sorrise
divertito.
–
Seiya! –
–
Che c’è? – Shun scosse la testa
sconsolato, rivolgendo un’espressione spiacente
verso Rajani.
–
Io
sono Maestra delle Armi e Capo della Guardia. Credevo questo fosse
chiaro. –
Seiya
rise. – Sì, credo che dopo la centesima volta che
me lo sento ripetere questo
sia chiaro. –
Rajani
sorrise a sua volta. Non era troppo
male quel ragazzo. A volte. Un po’ lento magari…
–
E
così hai avuto degli allievi, sei una maestra! –
Rajani
sorrise verso Shun, annuendo di rimando.
–
Sei così calma e pacata, l’allenamento con te deve
essere stato una pacchia,
ecco. – Seiya gonfiò le guance indispettito.
Sheetal
scoppiò a ridere. – I gemelli non la pensano
così. –
Rajani
sorrise tristemente. – Già. –
Fu
confortante sentire, alle sue spalle, il cosmo di Shaka avvolgerla
dolcemente.
–
Sarta? –
La
donna annuì energicamente. – Penelope, molto
moltissimo piacere! –
Sheetal
guardò Rajani, insicura di aver bene compreso la situazione.
–
Il
piacere è nostro, signora Penelope. Il mio nome è
Rajani, e questa è Sheetal. –
Sorrise conciliante; in realtà, neanche lei sapeva che pesci
prendere.
–
Suvvia suvvia, cosa aspettiamo!? Misure misure! –
Quella
furia di donna le trascinò letteralmente
all’interno della camera.
Solo
pochi minuti prima Medea, la cameriera, era giunta alla Sesta casa;
Lady Saori
le convocava urgentemente alla Tredicesima per affari importanti,
apparentemente.
Già,
apparentemente.
Sheetal
si ritrovò in un batter d’occhio mezza nuda su una
pedana. La signora, armata
di metro, aveva un’aria vagamente minacciosa.
–
Signora Penelope, ci spiega cosa sta accadendo? E’ questo
l’affare urgente per
il quale siamo state convocate? – Rajani usò un
tono calmo, come parlasse con
uno squilibrato mentale.
La
donna non rispose, borbottando tra sé e sé numeri
incomprensibili.
–
Dovete scusare mia madre. –
Rajani
si voltò verso la porta d’ingresso. Medea
sorrideva imbarazzata. Tra le mani
portava un grosso e
pesante raccoglitore
di cartone.
–
Medea! –
La
ragazza posò il fardello su un tavolo basso.
–
Lady Saori manda le sue scuse per non aver potuto adempiere al suo
dovere di
ospite abbastanza presto. Ad ogni modo, doveste necessitare di
qualunque cosa,
potete chiedere a me e mi premurerò di aiutarvi al meglio.
–
Rajani
sbatté le palpebre. Non sapeva se essere più
scioccata o divertita dalla
situazione.
–
Ti
ringrazio ma va bene così. Tutto questo, – e
indicò la pedana sulla quale
Sheetal sembrava un condannato a morte, – non è
davvero necessario. –
Medea
ridacchiò. – Lady Saori pensa che lo sia.
–
Rajani
annuì, sconsolata. Presto sarebbe toccato a lei.
–
Oh
che bello! Non vedo l’ora, non vedo l’ora! Vi piace
lo chiffon vero? Oh, sì che
vi piace. E la seta, e il raso! Organza, ci vuole
dell’organza… –
Che la Devi ci protegga!
La
sera tardò fin troppo ad arrivare per le due sacerdotesse
– alle prese con una
mostruosa sarta esaltata.
Quando
ripresero la discesa verso la Sesta casa era già calato il
buio. Rajani doveva
ammetterlo: la vista del Tempio di Atena sormontato dalla volta
stellata era
estremamente suggestiva. Riusciva a sentire, in sottofondo, il rumore
delle
onde schiantarsi contro le pareti rocciose del promontorio.
L’aria era fresca e
pungente, e sapeva un poco di salsedine.
Rajani
non aveva mai visto il mare – ma lo immaginò nella
sua mente, maestoso e
immenso. Respirò a pieni polmoni mentre scendeva i gradini
della scalinata.
Aveva appena passato la Settima casa, il cui custode non si trovava
alla
Tredicesima nonostante quegli alloggi gli spettassero in
qualità di Gran
Sacerdote; Dohko l’aveva trattenuta qualche minuto con le sue
chiacchiere,
scherzando sulla presunta solitudine di un vecchietto decrepito come
lui –
Rajani aveva così scoperto della veneranda età di
quello che, apparentemente,
avrebbe potuto essere scambiato per un diciottenne qualsiasi.
Entrò
da sola nella casa della Vergine – Sheetal si era fermata
alla Dodicesima;
l’aveva lasciata mentre parlava amabilmente con Aphrodite.
Già
percepiva l’energia serena del tempio avvolgerla.
Shaka
era nello Sharasoju, lo sentiva. Lo raggiunse in silenzio, muovendosi
piano.
Quando
lo vide, il cuore le si strinse in petto.
Perché?
Perché doveva essere così eternamente bello?
Lo
trovò così, sdraiato
nell’oscurità del suo giardino.
E’ forse un’impressione quella
luce dorata
che vedo abbracciargli il corpo? No, no, non lo è. Lui
riluce perché è una
stella – sì, come le stelle che lo fissano
così intensamente. Sono rapite anche
loro come lo sono io? Ah, miserabile!
Perché cuore? Non fermarti
così. Sai che ne
soffrirai ancora di più! Quando me ne
andrò… Sarò dilaniata. Lui
è la mia
stella; la luce che desidero, oh!, così intensamente.
Te lo ricordi Raja? Ti ricordi quando se
n’è
andato? Oh Devi, ricordi quel dolore sordo, proprio lì, nel
petto? Allora non
sapevi cosa fosse; ma ora lo sai.
–
Rajani. –
–
Shaka. – Gli sorrise, anche se lui non poteva vederlo.
Si
sdraiò lì, sull’erba accanto a lui, e
quell’inebriante profumo di fior di loto
e sandalo la avvolse completamente.
–
Che notte splendida, – sospirò chiudendo gli occhi.
Lo
era davvero: non una nuvola oscurava le stelle, e tutto il firmamento
risplendeva più brillante che mai dall’alto della
volta celeste. C’era quel
tanto di luce che bastava a distinguere il profilo perfetto di Shaka
– privarsi
di quella vista le riusciva difficile, e risollevò le
palpebre immediatamente.
Voltò
il viso verso di lui, e lo scoprì intento a guardarla. I
suoi occhi erano scuri
nella notte, così profondi, e Rajani sentì il suo
cuore aumentare i battiti.
Shaka
tornò a guardare il cielo.
–
Quella, – indicò un vasto gruppo di stelle
brillanti, – è la Vergine. –
La
ragazza sorrise. – Sì. E’ bellissima.
– Fu poco più di un sussurro.
Calò
il silenzio, ma fu piacevole. Rimasero lì, nella notte
fresca, a bearsi di quel
momento pacifico.
Rajani
percepiva chiaramente il calore del corpo di lui.
–
Mi
chiedo se tutto avrà davvero un lieto fine. –
Sospirò.
Shaka
si girò su un fianco, verso di lei. Erano così
vicini…
–
Abbi fede Raja, Shakti è con te. –
La
ragazza annuì, gli occhi persi in quelli di lui. Piano, con
una mano quasi
tremante, gli posò una carezza leggera sul viso.
–
Grazie. –
Sospirò
quando lui ricambiò il gesto, sfiorandola con la punta delle
dita. Quello che
fece dopo fu inaspettato: le circondò la vita con il braccio
che non sorreggeva
il suo peso e l’attirò a sé, in un
abbraccio caldo e confortante. Rajani si
ritrovò persa in quell’armonia di profumi e
sensazioni; sentire il calore del
corpo di Shaka a contatto col suo, la sua energia, così
limpida, circondarla,
il respiro di lui che si perdeva tra i suoi capelli… Si
emozionò. E, mentre con
la mano gli carezzava una spalla lasciata nuda dalla tunica, si
commiserò.
Perché
in quel momento si rese davvero conto di essere completamente,
follemente,
innamorata di Shaka.
Passeggiare
per il Tempio di Atena in compagnia di Sheetal era piacevole.
Quando,
quella mattina di buon’ora, erano discese fino alla Prima
casa, avevano
incontrato un bel sole e i sorrisi gentili dei cavalieri –
bèh, di alcuni per
lo meno.
Passarono
per la piazza che, scoprirono, era abbastanza popolata. Da
lì presero uno dei
vialoni laterali: si ritrovarono in una zona semiboscosa, dove piccoli
alloggi
sorgevano a grappolo.
Continuando
si imbatterono in molte persone – la maggior parte delle
quali non si trattenne
dal guardare curiosamente le due donne che passeggiavano col volto
scoperto.
Non sembravano servitrici, non dal loro portamento; e nemmeno
guerriere, perché
della maschera non c’era traccia. E dunque?
Sheetal
e Rajani ignorarono gli sguardi e proseguirono, parlando amabilmente
del più e
del meno. Si fermarono, ad un tratto, guardando curiosamente
l’arena che
sorgeva sul terreno sottostante al pendio sul quale si trovavano.
Dall’alto
potevano vedere due donne combattere furiosamente, un piccolo gruppo di
ragazzini a guardarle con ammirazione.
Rajani
notò subito la precisione dei loro gesti e la ferocia dietro
agli attacchi –
nonostante, e di questo era certa, non stessero combattendo al loro
meglio.
–
Niente male, – commentò. Sheetal annuì,
sorridendo.
Le
donne erano agili, scattanti e veloci. Maschere d’argento
coprivano i loro
volti, rendendoli impassibili ed inespressivi. Rajani
aggrottò la fronte: non
capiva quell’usanza.
Il
combattimento era concluso, e ora le donne parlavano a quelli che
dovevano
essere i loro allievi.
Ripresero
il loro cammino senza meta.
–
Maiṁ
cintita hūm̐,
– esordì
la rossa. [Sono preoccupata.]
–
Mujhē patā hai.
Hama sabhī
cintita haiṁ. – [Lo so. Siamo
tutti preoccupati.]
–
Maiṁ
unhēṁ
māra nahīṁ karanā cāhatā,
Sheetal. –
[Non voglio ucciderli, Sheetal.]
Sheetal
sapeva a chi si riferiva. Arun e Ashwini erano stati i suoi allievi;
nonostante
tutto, teneva a loro.
–
Saba
kucha ṭhīka
hō jā'ēgā. Maiṁ jānatā hūm̐
ki yaha hōgā.
– [Andrà
tutto bene. So che sarà così.]
Rajani
annuì – ma la morsa che le stringeva lo stomaco
non si allentò.
Rajani
quasi dimenticava tutti i suoi tormenti quando li osservava: Shaka e
Sheetal
erano seduti l’uno accanto all’altra, immobili
nella padmasana, gli occhi chiusi
sul mondo. Meditavano.
Ed
erano meravigliosi, insieme; una visione angelica, di colori chiari e
brillanti, circondati dai loro cosmi aurei – la luce del
giorno sembrava
impallidire al confronto.
Gli
alberi di sala dominavano sulle loro figure, le fronde appena scosse
dal vento.
C’era profumo di buono nell’aria; profumo di
pollini e di incenso.
Rajani
osservava quelle che considerava essere le due persone più
importanti della sua
vita; pensava: a sé stessa, all’impossibile, al
passato, all’incerto futuro.
Furono
delle voci a riscuoterla dai meandri della sua mente. Per la sala
principale
della Quinta casa passavano delle persone; avevano chiamato il nome di
Shaka,
ma questi non aveva risposto – benché, Rajani ne
era certa, avesse sentito
perfettamente il richiamo, anche a quella distanza.
–
Posso fare qualcosa per voi? –
La
ragazza osservò per la prima volta da vicino le donne che
aveva visto solo
qualche ora prima scontrarsi nell’arena. Erano giovani,
avevano forse la sua
età; i visi continuavano ad essere nascosti dalle maschere,
anche se non
indossavano più l’armatura.
Le
guerriere parvero stupite di vederla. La osservarono in silenzio per
qualche
momento, prima di riscuotersi.
–
Siamo dirette alla Tredicesima casa, dobbiamo chiedere al cavaliere di
Virgo il
permesso di passare. – Fu la donna dai capelli del colore del
mogano a parlare;
la sua voce era impassibile.
Rajani
sorrise. – Shaka è in meditazione. –
La
donna fece una pausa, poi scrollò le spalle. –
Immagino che se avesse avuto
qualcosa da ridire sul nostro passaggio si sarebbe presentato.
–
L’indiana
rise. – Immagino di sì. –
–
Chi
sei tu? – Furono le prime parole della seconda donna.
Sembrava quasi… ostile.
–
Il
mio nome è Rajani, – la sua voce rimase pacata.
Perché alimentare il fuoco con
altro fuoco? – Sono Alta Sacerdotessa del Grande Tempio della
Devi, in India. –
–
Scusala, Shaina è fatta così. Sono Marin,
cavaliere dell’Aquila. –
–
Molto piacere di conoscervi. –
L’altra
sbuffò.
Rajani
trovava sempre più interessante la sua permanenza al Tempio
di Atena. Era un’impressione
sua, o c’erano un sacco di personaggi singolari?
Il
tempo passò in fretta; di ora in ora i giorni volavano via,
e l’ansia cresceva.
Rajani
si svegliò, una mattina – e si accorse che era
trascorsa più di una settimana
dal suo burrascoso arrivo in Grecia.
Era
presto, ancora il sole non rischiarava la vista fuori dalla finestra.
Sheetal
era stesa nel letto, accanto a lei, gli occhi aperti. Si guardarono.
C’era
qualcosa nell’aria. Un turbamento.
Solo
una manciata di secondi dopo si resero conto di un’energia
familiare
avvicinarsi. Rajani spalancò gli occhi e, in uno scatto
felino, fu
immediatamente fuori dal letto. Nemmeno si preoccupò di
cambiarsi d’abito: la
semplice tunica che indossava sarebbe stata sufficiente. Non
c’era tempo.
Furono
fuori dalla Sesta casa; presero a scendere la scalinata,
forsennatamente, fino
a passare la Quinta casa; un momento non c’era, e
l’attimo dopo Shaka era lì,
accanto a loro, e scendeva i gradini di corsa, verso quel cosmo. Verso
la casa
dell’Ariete.
Quando
arrivarono nella piccola piazza Mu era già lì
– indossava l’armatura, e la sua
posa era minacciosa. Guardava intensamente in un punto. Nel buio di
quella
mattina non fu immediato individuare quella piccola figura ammantata di
nero.
Quando
i suoi occhi turchesi l’ebbero individuata, le ginocchia di
Sheetal cedettero.
–
Visala! –
Ed ecco
che anche il quinto capitolo si è concluso.
Avevo
pensato di mettere un altro paio di scene... ma poi ho cambiato idea.
Compariranno, prima o poi... solo che non so quando! XD
Ed ora
passiamo a rispondere ai miei meravigliosi recensori:
JackoSaint: XD Visto
e considerato quanto siete "pazienti" mi vedo costretta ad aggiornare
presto insomma! Per sapere cosa c'entra la bimba temo però
che dobbiate attendere il prossimo capitolo; per ora il mistero si
infittisce! (... Sì, me la canto e me la suono da sola...
Che amarezza...)
winnie343: ma grazie
mille! Camus doveva comparire per bene in questo capitolo, ma ho
"tagliato" la scena in fase di scrittura. Comunque la
inserirò, solo non so se nel sesto o nel settimo capitolo.
Grazie
grazie grazie a tutti coloro che continuano a leggere, nonostante i
ritardi immensi, la mia storiella. E se, per caso, voleste farmi un
piccolo piacere... recensite, please?? *Occhioni dolci di Bea-chan*
Per ora
vi lascio, ma attendete fiduciosi... il prossimo capitolo
arriverà la prossima settimana!
Gea Kristh a.k.a. Bea-chan |
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Capitolo 6 *** La Bambina dagli Occhi di Tigre ***
Con una settimanella di
ritardo mi accingo ad aggiornare la mia storia. Sono senza speranza!
Il bello
è che tra due giorni ho un bell'esame di quelli tosti, e
invece di studiare sono qui... (T_T)
Eh... i drammi!
Vabbè,
stendiamo un piumone pietosto.
Buona lettura,
Bea-chan
– Visala!
–
Una risata cristallina
risuonò nell’aria.
Visala sorrise da sotto l’ampio cappuccio, calato sul volto
per celare le sue
fattezze.
– [Che sollievo
vedervi], – furono le sue
prime parole mentre Rajani la raggiungeva e si inginocchiava dinanzi a
lei,
mettendosi così alla sua altezza –
perché Visala era bassa e minuta, anche più
della rossa; l’abbraccio che si scambiarono ebbe il potere di
sollevare un peso
dallo stomaco di entrambe.
– [Eravamo
così preoccupate,] – anche Sheetal
si era accostata a loro; poggiò una mano sul capo della
nuova arrivata,
sorridendole.
Il sole sorgeva lentamente,
rischiarando
l’ambiente.
Visala abbassò il
cappuccio, e i cavalieri la
guardarono curiosi – una bambina?
Dall’aspetto si
poteva dire che avesse forse
undici anni – nonostante questo, da lei emanava
un’energia calma e
rasserenante. Visala aveva capelli corvini raccolti disordinatamente
sul capo,
e lunghe ciocche sottili, sfuggite alla crocchia, le ricadevano sul
viso
giovane, ancora acerbo. La sua pelle era olivastra, scura nella fioca
luce
dell’alba.
Una fascia di seta, nera
come le vesti che
indossava, le copriva gli occhi – era forse cieca?
– [Lo ero anche
io, non sapevo dove foste.] –
La voce della ragazzina era, nonostante tutto, profonda. Quasi stonava
con le
sue fattezze bambinesche.
Rajani aggrottò
le sopracciglia. – [Come ci
hai trovate?] –
Visala accennò un
piccolo sorriso; poi, con un
gesto della mano, indicò qualcosa di ben nascosto alle sue
spalle. Si scostò
piano, e alla loro vista fu rivelata la figura di una bimba di forse
tre anni
che, spaventata, era avvinghiata alla gamba della mora.
Sheetal spalancò
gli occhi – perché lei aveva
già visto quella bimba. Due volte.
La bionda non fu la sola a
riconoscerla.
Rajani percepì
qualcosa di strano, qualcosa
che non aveva mai sentito, guardando negli occhi d’ambra
della piccola. Si
inginocchiò nuovamente a terra con un movimento fluido,
senza interrompere il
contatto visivo – oro nell’oro.
– [Chi sei tu?]
– Chiese in un sussurro.
La bimba non rispose, non a
parole comunque. Yashila, la
sentì pensare Rajani.
– Yashila,
– ripeté Rajani. La bimba accennò
piano con la testa, ma continuò a stringersi, quasi
convulsamente, alla gamba
di Visala.
– Lei non parla.
E’ venuta da me di notte, e
tra le mani aveva il Sacro Vajra.
–
Visala parlò in greco per la prima volta, e la sua pronuncia
era fortemente
accentata.
Rajani alzò gli
occhi su di lei,
un’espressione scioccata dipinta sul viso.
Che quella
fosse…? Tornò a guardare negli occhi
di tigre della piccolina, e improvvisamente le fu chiaro: le visioni,
la
connessione che sentiva… Non era un caso. Non poteva esserlo.
– [Tu dovevi
trovare me, non è vero?] –
Sussurrò mentre la comprensione le tingeva il volto.
Yashila annuì
piano. Nella sua mente Rajani
vide l’immagine di una donna divina, il corpo dalle dieci
braccia circondato da
un’aura candida ed immensa; sentì chiaramente le
sue parole: trova la mia bambina.
Durga le era
quindi comparsa? Sì, Rajani sapeva che era così.
Yashila si scostò
lentamente dalla gamba di
Visala. Si portò la minuscola manina al cuore, poi
l’appoggiò sul petto della
ragazza. Rajani annuì.
– Sì,
è così, piccola sorella, – disse
più a
sé stessa che alla bambina.
Yashila prese allora
qualcosa dalla piccola
sacca che aveva sulla schiena; qualcosa che, nelle sue manine, sembrava
enorme.
Il Vajra risplendette dei
primi raggi del
sole: completamente realizzato in oro e gemme preziose, catturava la
pallida
luce del mattino. Yashila glielo porse, perché quello era il
compito che le era
stato affidato.
La sacerdotessa di Durga
fissò con meraviglia
e reverenza l’arma sacra; allungò piano la mano
verso quell’oggetto
apparentemente innocuo. Non appena la punta delle sue dita
sfiorò il metallo
istoriato, fu come se il Vajra
prendesse vita: una poderosa esplosione di luce investì gli
occhi di chi,
stupito, fissava la scena. Durò un solo istante, ma
quell’attimo eterno fu per
Rajani quasi una rinascita: il suo cosmo esplose e si espanse, mentre
chiudeva
gli occhi, una sensazione di meravigliosa completezza a pervadere tutto
il suo
corpo. L’arma era parte
di lei, parte
di ciò che la Devi le aveva donato.
Riprese il controllo di
sé stessa
immediatamente; si sollevò in piedi, il Fulmine
Diamante stretto nella mano.
Neanche si era resa conto
che Sheetal a Visala
si fossero allontanate, raggiungendo i cavalieri alle sue spalle. Le
vide
parlottare concitate con Mu e Shaka.
Rajani sapeva cosa doveva
fare; il dono di
Durga non era casuale – nemmeno l’arrivo di quella
bambina lo era.
Yashila la fissava, i grandi
occhi d’ambra
sgranati. Era immobile. Rajani si chiese se si rendesse conto di cosa
stava
accadendo, poi si castigò mentalmente; sì che se
ne rendeva conto. Non c’era
forse passata anche lei?
L’immagine di
un’altra bambina si sovrappose
allora a quella di Yashila nella sua mente: una piccola bimba dai
lunghi
capelli rossi e la pelle chiara, gli occhi di tigre sgranati nel
fissare
impaurita qualcuno stringere tra le mani il Vajra.
– Qualsiasi cosa
vediate, – disse in direzione
dei cavalieri, alzando la voce, – non intervenite. –
Prese un profondo respiro,
preparandosi a quel
gesto. La fine e l’inizio. Il Risveglio.
Chiuse gli occhi e
sollevò la mano che
stringeva il Vajra:
l’arma prese a
rilucere piano, il cosmo che Rajani gli infondeva lentamente portandolo
alla
vita.
Il Vajra
era un’arma portentosa: nulla poteva resistere alla sua forza
divina – avrebbe
perforato qualsiasi ostacolo sul suo cammino senza esserne scalfito:
era
chiamato Fulmine Diamante.
Rajani recitò a
voce bassa le parole rituali
di ringraziamento verso la Devi. Aprendo gli occhi si
concentrò sulla piccola
figura di fronte a lei.
Doveva essere fatto.
Calare l’arma su
una bambina non era qualcosa
che Rajani avrebbe mai pensato di essere in grado di fare; quando
Yashila cadde
a terra, un’espressione agonizzante dipinta sul viso, il
corpo paralizzato dal
dolore lancinante, Rajani rivisse con lei il ricordo di quella morte
atroce.
Sentì alle sue
spalle l’agitazione dei
cavalieri; urla risuonarono nell’aria, ma non se ne
curò.
Scie di lacrime brucianti
rigavano il viso
della bambina; il suo corpo a terra si contorceva privo di controllo,
bagnandosi nella pozza scarlatta del suo stesso sangue. Gli occhi erano
sgranati
e rossi, il viso sporco del liquido che continuava a uscire dal foro
sulla
fronte.
Rajani si sentì
male a quella vista, ma si
impose l’immobilità; quello era l’ordine
delle cose. Nulla poté però impedirle
di ricordare: e, con gli occhi della sua mente, rivide sé
stessa, riversa a
terra, urla agonizzanti a spezzare il silenzio di quella che era stata
un’alba
di sedici anni prima. Anche solo il ricordo di quel dolore era atroce.
Lentamente, troppo
lentamente, i gesti convulsi di Yashila persero forza.
Rajani continuò a
guardarla, impassibile, mentre la morte l’abbracciava. Si
sentiva leggera. La
voce di Sheetal raggiunse le sue orecchie; era distante, ovattata, e
Rajani in
quel momento non riuscì a dare un senso a quei suoni.
– Occorre morire
per
poter rinascere. –
Passò
un’altra
agonizzante manciata di secondi; poi Yashila si bloccò:
morì.
Rajani prese un
profondo respiro. Si sentiva sollevata; quel dolore… non
sarebbe più tornato.
Partì dalla sua
fronte: proprio lì, tra gli
occhi, dove l’arma sacra aveva perforato di netto pelle e
ossa, il sangue
iniziò ad aggrumarsi lentamente; cristallizzò
piano, e brillò di luce propria.
Quando un respiro rantolante
scosse il corpo
di Yashila, sulla sua fronte il bindi sacerdotale risplendeva: un
piccolo
rubino, rosso come il sangue dal quale era nato.
Aprì infine gli
occhi d’ambra e si levò a
sedere; il suo respiro era affannato, e il corpo le tremava di freddo e
fatica,
ma già la sua pelle aveva ripreso colore. Non aveva occhi
che per Rajani.
– Benvenuta
al mondo, Sorella di Sangue, – iniziò
lei, la voce seria e ferma, – Figlia
della Devi nel segno di Durga. –
Yashila le si
fiondò tra le braccia, e lei
l’afferrò al volo, stringendola a sé
con forza e affetto.
Sheetal le fu accanto in un
istante; Rajani
abbassò lo sguardo sulla bimba che ancora la abbracciava, e
spostò il suo peso in
modo da tenerla con un solo braccio. Il sangue che ormai le ricopriva
entrambe
andava incrostandosi; ci voleva un bagno.
–
L’avevo visto, – le disse mentre si
riavvicinavano ai cavalieri di Atena.
La rossa annuì:
ricordava la visione nella
quale la bambina dagli occhi d’ambra moriva; ricordava la sua
espressione di
dolore.
Gli occhi dei cavalieri
erano cupi; la
fissavano insistentemente, a metà tra l’essere
increduli e rivoltati.
Shaka le strinse una mano
con la sua, e quel
piccolo gesto ebbe il potere di darle forza. Sorrise in direzione degli
altri:
– Mi dispiace. Non avrei voluto farvi assistere a questo
spettacolo, ma è stato
inevitabile. –
– E’
stato… raccapricciante. – Rajani annuì
alle parole del cavaliere del Leone.
– Sono
d’accordo, – disse semplicemente.
– Non ti sei
scomposta più di tanto,
sacerdotessa. –
La ragazza fissò
per un lungo momento gli
occhi di Death Mask. – Scompormi non avrebbe ridotto il suo
dolore, né
l’avrebbe aiutata in qualunque modo. L’unica cosa
che potessi fare era patire
con lei nel ricordo del Risveglio; anche se da quell’alba
sono passati più di
sedici anni ormai. –
Calò il silenzio
alle parole dell’indiana,
mentre i cavalieri osservavano ora con una nuova consapevolezza il bel
rubino
incastonato nella sua fronte.
– Ho qualcosa che
vi appartiene, – iniziò
Visala dopo qualche momento. Dalla sua sacca di seta nera estrasse un
sacchetto
d’organza rossa e lo porse a Rajani; poi uno in velluto
bianco e lo diede a
Sheetal. – Mi spiace, non ho potuto portare altro. –
Le due ragazze sapevano cosa
era contenuto in
quelle piccole e vecchie borse: conservavano lì i loro pochi
averi, le cose a
cui tenevano – gioielli tramandati da generazioni di
sacerdotesse, pettini d’avorio,
boccette di itra.
–
Dhan'yavāda Visala. –
–
Ho bisogno di fare un bagno, –
esordì Rajani dopo
un momento di pausa, la voce di nuovo serena, – e anche la
piccola sorella ne
ha. – Sorrise verso Yashila. La bimba se ne stava accoccolata
contro la sua
spalla, gli occhi chiusi, e con la manina giocava con una ciocca di
capelli
rosso scuro – nella fretta, Rajani non si era fatta la sua
solita treccia, e la
chioma le ricadeva folta e riccioluta lungo la schiena.
–
Andrò personalmente ad informare Milady dei nuovi sviluppi;
c’è da aspettarsi
un aggiornamento del Chrysos Synagein il più presto
possibile. –
Rajani
sospirò, ma annuì in direzione di Dohko.
La
camminata fino alla Sesta casa avvenne in silenzio. Quando la
raggiunsero,
Sheetal si offrì di preparare un tè, mentre
Rajani si chiuse nel bagno assieme
alla piccola Yashila. Quando ne uscirono, ripulite e profumate di
mirra, si
accomodarono nel piccolo salotto dove, attorno ad un tavolo circolare,
sorseggiarono la bevanda calda, chiusi in un mutismo insistente.
Visala
inalò l’odore dolceamaro del tè;
sospirò. Parlò in Hindi, poiché erano
presenti
solo persone che la avrebbero capita: – [Pensate che questo
Tempio possa
ospitare anche me?] –
Sheetal
si voltò verso Shaka, attendendo che rispondesse. Questi
annuì, piano: – [Atena
è una dea giusta; non permetterebbe ai nemici di nuocere ai
suoi alleati.] –
Yashila
se ne stava intanto seduta accanto a Rajani. Avvolta da una maglia
troppo grande
per lei, lanciava occhiate curiose al biondo che, di fronte a lei,
sorseggiava
elegantemente dalla sua tazza. Nel notarlo Rajani si lasciò
scappare un
risolino; Sheetal la guardò curiosamente, e lei per tutta
risposta indicò la
bimba. Proprio in quel momento Yashila alzò di nuovo lo
sguardo su Shaka, per
poi abbassarlo in tutta fretta, trovando improvvisamente molto
interessante il
marmo del pavimento. Sheetal non si trattenne: scoppiò a
ridere, scompigliando
allegramente i capelli sulla testolina della bambina. Persino Visala si
lasciò
andare a una breve risata.
Leggendo
la domanda nella mente di Yashila, Rajani le rispose: – [Sei
molto buffa e
carina, piccola sorella.] –
La
piccola arrossì, e non si trattenne dal lanciare
un’occhiata verso il bel
biondino. Rajani ridacchiò ancora.
–
[Anche Shaka è molto carino, vero Yashila?] – Le
chiese.
La
piccola si nascose un po’ dietro alle spalle della rossa,
però annuì. Sheetal
rise ancora di più nel notare il pallido rossore sulle
guance del fratello.
[Perché
tieni gli occhi chiusi? Non ci vedi?]
Pensò distrattamente Yashila in direzione del cavaliere. Non
si aspettava una
risposta – nessuno prima di Rajani aveva mai sentito i suoi
pensieri; per
questo rimase molto stupita quando Shaka parlò.
–
[Ci vedo. Li tengo chiusi per concentrazione.] –
La
piccola sbatté le palpebre qualche volta; quando comprese
che il ragazzo le
aveva risposto sorrise, deliziata. Volle quindi riprovare. [Ma come fai se hai gli occhi chiusi tutto il
tempo?]
–
[Percepisco chiaramente tutto ciò che è attorno a
me.] –
Yashila
piegò la testa di lato, cercando di capire. Si
voltò poi a guardare Visala che,
sorridendo, continuava a bere il suo tè. [Anche
tu tieni gli occhi chiusi per concentrarti?]
La
bambina non sapeva se la mora avrebbe risposto; non lo aveva fatto
quando l’aveva
incontrata per la prima volta.
Fu
la voce di Rajani a parlarle infatti: – [No, piccola sorella.
Visala non può
vedere con gli occhi.] –
La
mora allora poggiò la sua tazza sul tavolino, sorridendo
verso la bambina. –
[Sento che sei preoccupata, Yashila. Non esserlo; io vedo molto bene
con la mia
mente.] –
[Come
si fa a vedere con la mente?]
–
[Sono doni, piccola sorella. Come il mio dono di poter leggere quello
che
pensi; doni che vanno affinati con allenamento e fatica.] –
[Io
ho qualche dono, maestra?]
Rivolgersi
così a Rajani le risultò naturale, e Yashila non
si fece molte domande in
merito; sentirsi chiamare in quel modo stupì però
la rossa. Sulle sue labbra si
aprì spontaneo un sorriso.
–
[Sì, piccola sorella. Hai molti doni.] –
L’ennesimo
Chrysos Synagein stava per avere luogo. Rajani, sospirando, si chiese
la reale
utilità di una riunione nella quale nessuno prendeva
decisioni; ma tacque,
grata dell’ospitalità di Atena e disposta, per
onorarla, a sopportare quel
piccolo sfoggio di ipocrisia. Lei meglio di altri comprendeva la
sensazione di
impotenza che tutti parevano provare di fronte a
quell’insolita situazione.
Saori
Kido non parve scomporsi alla notizia dell’arrivo delle due
sconosciute. Dohko
l’aveva già messa a parte degli avvenimenti di
quella mattina. Richiese
comunque che queste si presentassero ufficialmente di fronte a lei.
Visala
non esitò, come prima di lei non lo avevano fatto le altre
due, e rispose con
serenità ed orgoglio: – Sono Visala, Sacerdotessa
del Grande Tempio della Devi
sotto il segno di Sarasvati, Maestra delle Arti e Portatrice del Vero.
–
Lady
Saori annuì, poi rivolse il suo sguardo sulla bambina che,
seduta sulle gambe
di Rajani, osservava con occhi sgranati la magnificenza di quella sala.
–
Permettetemi, Lady Saori, di presentare Yashila, – disse la
sacerdotessa, ben
conscia dell’impossibilità di parola della
bambina. Al cenno di capo della
ragazza, Rajani continuò: – Yashila è
da oggi mia allieva, e futura
sacerdotessa della Devi. E’ rinata questa mattina sotto il
segno di Durga. –
–
Perché è qui? –
–
La Devi le ha affidato il compito di cercarmi, e di consegnarmi una
delle armi
sacre. –
–
La bambina mi ha trovata nei miei alloggi. – Visala si
sforzò di parlare in
greco. – Non l’avevo mai vista prima; sono rimasta
molto meravigliata quando mi
ha mostrato il Vajra. Poi mi ha
presa
per mano, e io ho visto chiaramente le sue intenzioni. Ho preso alcune
cose e
ci siamo allontanate dai confini del Tempio. – Fece una
piccola pausa, come a
cercare le parole. – Erano Ilesh e Kanak di guardia, e quando
ho detto loro che
avevo voglia di passeggiare per contemplare la situazione non hanno
dubitato le
mie parole e ci hanno fatte passare. – La ragazzina sorrise
sardonica. – Perché
dubitare delle parole della Portatrice del Vero? In fondo io non posso
mentire.
–
Rajani
aggrottò la fronte. – Se tutto questo si
risolverà in bene dovrò fare una
chiacchierata con quei due. –
Visala
sorrise. – Non essere troppo dura. –
–
Come siete giunte fin qui? –
Visala
voltò il capo verso il Grande Sacerdote. – Yashila
ci ha teletrasportate fino a
un sentiero in un bosco. Da lì ha camminato a lungo, ed io
l’ho seguita. Infine
siamo giunte dove voi ci avete… accolte. –
–
Chiedo scusa per il mio approccio poco amichevole, sacerdotessa. Non
avevo idea
di chi foste. –
Visala
scosse il capo in direzione di Mu, un sorriso gentile sulle sue labbra.
– Non
preoccupatevi. E’ comprensibile. –
–
Che notizie porti da Varanasi? – Domandò Sheetal.
L’espressione
di Visala si incupì visibilmente. – Non sono buone
notizie. Sadhira è preda
della sua stessa follia; porta avanti questa inscenata del vostro
tradimento… è
così palese la sua menzogna! Non avreste avuto motivo di
uccidere Avani in quel
modo orribile, – sospirò e abbassò
tristemente il capo. – I funerali si sono
tenuti due giorni dopo la vostra partenza. E’ stata una
cerimonia rivoltante, –
con rabbia strinse i pugni, – non una persona sincera a
ricordarla! Non una a cantare
la sua vita! Mi sono rifiutata di presenziare; ho pregato per la sua
anima, e
mi sono permessa di bagnare le sue ceneri con le acque del Gange.
Nessun’altro
lo aveva fatto. –
Gli
occhi di Rajani mandavano scintille; Sheetal si portò una
mano alla bocca,
reprimendo un singhiozzo.
–
Dopo le cose sono peggiorate. Sadhira ha emanato un ordine di morte nei
confronti delle traditrici e ha dispiegato parte della Guardia per
cercarvi.
Hanno portato il caos nell’intera Varanasi; senza risultati,
chiaramente. Non
hanno idea di dove ci troviamo. – Visala fece una pausa.
– Nemmeno io ce l’ho,
a dire il vero. –
Il
Grande Sacerdote la fissò stralunato per un momento prima di
lasciarsi scappare
un sorriso sarcastico. Prima che potesse rispondere Visala
continuò: – Non
voglio saperlo. Siamo in Grecia e questo è chiaro;
altrettanto lo è che ci
troviamo nel Tempio di Atena. Tanto mi basta. – Sorrise.
– Affidare a me delle
informazioni è rischioso. Io non posso mentire. –
Dohko
annuì, colpito da quella ragazzina.
–
Ciò che mi sfugge, – a parlare fu Camus,
– è il perché la vostra Grande
Sacerdotessa
non abbia pensato che tu non saresti stata ingannata dal suo controllo
mentale.
Se quello che dicono ti te è vero, non ti si può
mentire. –
Visala
annuì. – Sadhira ha abbandonato la ragione.
Accanto a… quel mostro si sente
invincibile. Lui alimenta i suoi poteri in modo spaventoso. Ma i doni
che la
Devi mi ha concesso sono assoluti: non posso mentire e non mi si
può mentire.
Non importa quanto loro tentino di occludere la mia mente: io
vedrò sempre la
verità nelle parole e negli intenti. –
–
Tu l’hai visto Visala? –
–
Mahishasura? Oh, sì. – Visala rispose alla domanda
di Sheetal. – Sadhira è
stata abile, bisogna dargliene atto. Ha intessuto una trama molto fitta
nelle
loro menti. Non si
chiedono nemmeno chi
sia quel demone! E’ proprio lì, davanti ai loro
occhi… ma loro non vedono. –
Ci
fu un attimo di silenzio.
–
Rajani, – la mora catturò l’attenzione
della sacerdotessa, – qui, davanti a
queste persone, tu devi fare una promessa. –
La
rossa guardò stupita la compagna, ma la esortò a
continuare. – Promettimi che, quando
arriverà il momento, tu non avrai pietà per
quell’essere; promettimi che le
future generazioni non vivranno mai l’orrore del suo dominio.
– Prese un
respiro. – Promettimi che non fermerai la tua mano come Durga
fece nei tempi
remoti. –
Rajani
la guardò seria. – Io compio il volere della Devi,
– esordì. Sorrise, e quel
sorriso aveva qualcosa di sinistro, – ed Ella non concepisce
pietà alcuna per
coloro che trasgrediscono le Sue leggi. Prometto di combatterlo
finché nel mio
corpo avrò la forza di farlo; prometto di ucciderlo o per
sua mano essere
uccisa, – strinse con rabbia un pugno, – e che
Durga guidi la mia mano. –
Visala
continuò a tenere il capo voltato verso di lei; poi
l’abbassò, e sussurrò
piano: – [Che Shakti ti protegga, Sacerdotessa della Tigre.]
–
Sheetal,
accanto a lei, le poggiò una mano sul capo. –
Andrà tutto bene, vedrai. –
–
Non dimenticate che io ho concesso il mio appoggio per la vostra
situazione. –
Saori Kido, per la prima volta, rivolse loro un sorriso. –
Non sarete sole. –
–
Non lo dimentichiamo. Affatto. Però… –
Rajani sospirò. – Alla fine so che sarò
io a combattere con lui. Così è scritto. Durga
nacque dalla luce dei Deva
perché adempiesse a quel compito; e lei sola può
farlo. –
–
Ma tu non sei Durga. –
–
Ma io sono la sua mano in Terra. Durga compie il suo volere per mio
tramite. –
Rajani sorrise verso Dohko. – Non preoccupatevi per me, io so
come cavarmela. Vorrei
solo avere le armi sacre con me; ma il Fulmine Diamante è
qui e tanto mi
basterà. –
–
E ora aspettiamo. – Sheetal catturò
l’attenzione di tutti.
–
Cosa? – Domandò qualcuno.
–
Il futuro, ovviamente. – La bionda sorrise. – La
mia visione parla chiaro: Arun
e Ashwini giungeranno fin qui, a noi il compito di accoglierli.
–
–
Non uccideteli, – la voce di Rajani era triste ed autoritaria
al tempo stesso.
– Se moriranno sarà per mano mia. –
Nessuno
osò replicare.
Visala
trovò alloggio alla Tredicesima casa – nella
Sesta, purtroppo, non c’era altro
spazio per accoglierla. Yashila si rifiutò invece di essere
separata da Rajani,
e quella notte dormì beatamente accoccolata tra lei e
Sheetal.
Il
suo primo incontro con il piccolo Kiki fu esilarante: lei non parlava e
lui
sapeva a malapena due parole di Hindi; nonostante tutto,
nell’incomprensibile
linguaggio dei bambini, riuscirono a capirsi e a stringere amicizia da
subito.
Nonostante
la sua incredibile timidezza, soprattutto nei confronti degli adulti,
Yashila
fece molte nuove conoscenze al Tempio. C’era Mu, che era
sempre gentile e
riusciva a sentire quello che pensava, anche se non parlava molto bene
la sua
lingua; poi c’erano due che erano uguali ed erano belli, e
lei adorava toccare
i loro capelli lunghi; un altro si chiamava Milo e ogni volta che la
vedeva la
riempiva di attenzioni, anche se all’inizio le faceva un
po’ paura.
Imparò
così le prime parole di greco, con l’aiuto di Kiki
e della valanga di espressioni
che i due gemelli le rivolgevano ogni volta che lei si metteva a
giocare con le
loro ciocche di capelli. Però non la trattavano mai male,
quindi lei
continuava.
A
Yashila i capelli lunghi piacevano tanto. C’erano quelli
della sua maestra che
erano bellissimi, anche se li portava sempre in una treccia, e lei li
avrebbe
voluti così. Anche quelli di Mu erano stupendi,
però aveva timore a
toccarglieli; non che il maestro di Kiki fosse cattivo, però
sembrava quasi un
angelo e lei si sentiva a disagio con quella persona così
lucente.
I
capelli più belli di tutti erano quelli di Shaka. Anche
Sheetal aveva i capelli
che sembravano fatti d’oro, però quelli del
ragazzo le piacevano di più; ma non
glieli avrebbe mai toccati, quindi si accontentava di quelli della
ragazza.
Con
questi pensieri nella testa Yashila guardò la sua maestra
preparare la cena. A
quasi una settimana dal loro arrivo al Grande Tempio, Visala e Yashila
avevano
preso l’abitudine di consumare i pasti nella Sesta casa.
A
cucinare era solitamente Rajani – l’unica che
sapesse preparare qualcosa di più
di una tazza di riso senza far esplodere la cucina.
Quella
sera Sheetal tardò ad arrivare. Quando lo fece la sua
espressione era strana, ed
un sorriso le ornava il bel viso, ma a nessuno volle raccontare dove
fosse
stata.
Il
suo incontro con il cavaliere della Dodicesima casa era stato proficuo,
e
Sheetal si sentiva soddisfatta. Aphrodite aveva insistito per regalarle
una
delle sue rose e lei, dopo un attimo di esitazione, aveva accettato. Il
ragazzo
era stato molto carino: le aveva porto una rosa rossa priva di spine,
dal
profumo soave e inebriante. L’aveva annusata con cautela:
piombare nello stato
divinatorio in quella situazione non sarebbe stato opportuno; nulla era
però
accaduto, e Sheetal pensò che probabilmente il quantitativo
di veleno di
un’unica rosa non era sufficiente ad alterare la sua
coscienza.
Scese
con calma i gradini del Tempio, il fiore appuntato nella crocchia di
capelli
che Aphrodite le aveva scherzosamente fatto. Quel ragazzo era
più di quello che
appariva, su questo non c’era alcun dubbio.
Iniziò
a sentire la musica non appena entrò nella casa
dell’Acquario. Che melodia
meravigliosa! Così dolce e carica di passione…
Chiunque stesse suonando quel
pianoforte aveva molto talento.
Sheetal
nemmeno si rese conto di essersi fermata ad ascoltare. Inconsciamente
si
avvicinò alla fonte di quella melodia dal ritmo a tratti
lento, a tratti
sostenuto; ne rimase affascinata in maniera indelebile. Possibile che
la
sentisse risuonare nella sua anima?
Dietro
ad una porta aperta per metà scorse infine
l’artista di quella musica così
bella e soave: lo vide suonare un lucido pianoforte a coda, nero come
la pece,
con mani agili e affusolate; aveva la schiena dritta e sedeva con una
compostezza innata mentre, con gli occhi socchiusi, lasciava le dita
correre
sui tasti d’avorio. Teneva i capelli legati in una coda
bassa, e piccoli
occhiali da lettura gli conferivano un’aria da intellettuale
che non stonava
completamente con la sua figura.
Sheetal
non trovò mai un uomo tanto elegante quanto Camus lo era
quella sera.
Bruscamente
la melodia si interruppe. Il cavaliere dell’Acquario si
voltò velocemente nella
sua direzione.
–
Mi dispiace molto averti disturbato, cavaliere, non era mia intenzione.
– Cercò
le parole. – La tua musica… è
meravigliosa, davvero. L’ho sentita qui, –
Sheetal si portò una mano al petto e gli sorrise.
–
Grazie, – rispose laconicamente lui.
–
L’hai scritta tu? –
Lui
annuì, sfilandosi gli occhiali. – Sublime,
– commentò. –Non ti disturbo oltre,
cavaliere, arrivederci. –
Camus
le indirizzò un cenno con la testa; rimase qualche momento
immobile, ascoltando
i passi di lei allontanarsi, prima di riprendere a suonare.
Bene!
Questa sarà l'ultima volta che inserirò le
risposte alle recensioni a fine capitolo. Penso proprio che
utilizzerò la nuova casella di messaggi integrata nel sito
prossimamente.
Grazie mille a:
ashar: Mi sento lusingata,
davvero! Grazieeeeeeeeee!!! Spero che anche questo capitolo sia stato
di tuo gradimento!
winnie343: Già! Povero
Seiya! Lo maltratto sempre! (XD) Sono contenta che le mie protagoniste
ti piacciano. Purtroppo alcuni capitoli "di transizione" sono necessari
a definire per bene l'ambiente... un male necessario, diciamo. :-)
Alla prossima,
Gea
Kristh
a.k.a. Bea-chan
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Capitolo 7 *** L'Angelo dell'Indulgenza e della Guarigione ***
Ed
ecco il nuovo capitolo!
Non
era previsto che aggiornassi oggi; in realtà avrei
voluto aspettare le vacanze di Natale in modo da non dovermi
preoccupare per
gli esami, però ieri sera sono stata colta dallo spirito
creativo e, al solito,
non ho saputo resistere.
Questo
capitolo è interamente incentrato sui rapporti personali
che vengono a svilupparsi tra i vari personaggi, originali e non.
Sapete… è
strano come io stia trascurando i miei personaggi preferiti in favore
di quelli
che non mi sono mai piaciuti molto. Certo, li ho plasmati a mio
gusto… però è
strano. Mi è venuto spontaneo.
Ma
bando alle ciance! Vi lascio ora alla lettura. ^_^
[Hindi]
L’aria
era opprimente all’interno della Quarta casa. Visala poteva
sentire la
tensione, come un fischio insistente nelle orecchie; c’era
sofferenza e tanto,
tanto dolore.
Avanzò
di un passo sul lastricato marmoreo del tempio; quasi le mancava il
fiato in
gola. Un altro passo, poi un altro ancora.
Infine
le vide: il disgusto che provò durò un solo
istante, presto sostituito dal
dolore. Soffriva, Visala, perché la sofferenza stessa
impregnava quelle mura.
Sentì il cuore quasi spezzarsi sotto il peso di quelle
emozioni così forti,
così negative. Se avesse potuto piangere, calde lacrime
avrebbero rigato il suo
viso di bambina.
Death
Mask l’aveva sentita arrivare, ma non parlò. La
guardò mentre, immobile,
sollevava una mano, quasi a voler carezzare l’aria. La vide
prendere un respiro
profondo; sentì che il suo cosmo era turbato. Sorrise
amaramente.
–
Quanto dolore, – fu il suo sussurro spezzato; Visala si
voltò verso di lui. Non
aveva paura di quell’uomo – lei sapeva.
–
Dolore? – Fu la domanda sprezzante di lui. – Se tu
potessi vedere l’orrore di
questo posto, ragazzina, non parleresti così. Se tu potessi
vedere il mostro
che l’ha creato, non proveresti sofferenza. – La
sua voce era cupa, e rimbombò
in modo sinistro nel camerone.
Visala
gli si avvicinò. Non abbassò il capo; lei non
aveva paura, perché nella sua
mente poteva vedere cose che gli
occhi ignoravano.
–
Io
ti vedo, – rispose semplicemente, con la sua voce profonda
che tanto stonava
col suo viso di bambina.
Death
Mask, per la prima volta dopo anni, si sentì a disagio;
provò l’intenso
desiderio di distogliere lo sguardo dal viso bendato di quella
ragazzina, ma si
impose la calma. C’era qualcosa,
in
lei; qualcosa di diverso.
–
Quale è il tuo nome, cavaliere? – Gli
domandò, nella sua pronuncia fortemente
accentata e con tono serio.
Le
rispose: – Death Mask. – Non c’era
bisogno di spiegazioni, pensò.
Si
stupì, nel vederla scuotere la testa. – Il tuo vero nome. –
Si
irrigidì; poi sospirò. A che pro mentire? Lei
l’avrebbe saputo. – Non lo so.
Non me lo ricordo. –
Un
sorriso gentile si aprì sul viso giovane di Visala; un
sorriso che parve quasi
illuminare i suoi lineamenti immaturi,
e
dare colore alla pelle scura delle sue guance.
–
Allora io ti chiamerò Haziel. –
–
Le
Poète est semblable au prince des nuées
Qui
hante la tempête e se rit de l'archer;
Exilé sul le sol au
milieu des
huées,
Ses ailes de géant
l'empêchent de
marcher. *–
Era
divenuta quasi un’abitudine, ormai, fermarsi
all’Undicesima casa quando, la
sera, terminava i suoi studi sui veleni delle rose di Aphrodite presso
la
Dodicesima. Sheetal non sapeva esattamente come
fosse successo; come Camus avesse abbassato le algide mura che
custodivano il
suo io assieme a lei.
Aveva
scoperto in lui un personaggio che dire interessante sarebbe stato
riduttivo:
era appassionato di musica classica, di letteratura, di arte; sapeva
tenere
conversazioni di filosofia ed aveva una mente brillante ed acuta. I
suoi occhi
non lo nascondevano: c’era quella luce in essi, quella luce
vispa ed
appassionata, mentre con la sua voce tenorile recitava a memoria i
bellissimi
versi di Baudelaire.
Sheetal
sapeva parlare Francese, seppur non fosse una delle sue lingue
preferite. Non
poteva però fare a meno di rimanere incantata dal modo in
cui Camus pronunciava
quelle parole: sembravano carezzare il suo cuore; potevano quei versi
essere così
sensuali, se erano le sue labbra a recitarli?
La
bionda sorrise. – L’albatro. Spesso mi sento
così. Non sono adatta a vivere tra
la gente. –
Lui
si limitò ad annuire, mentre con la mano si portava alle
labbra un calice di
vino rosso.
–
Quando ero bambina, – iniziò lei, –
spesso scendevo nel cuore di Varanasi, dove
vive e muore la gente comune; – sorrise amaramente,
– è una città povera,
abitata da persone semplici che arrancano per vivere sulla soglia della
decenza. – Fece una pausa. – Allora non comprendevo
davvero il significato
degli sguardi che le persone mi rivolgevano. Ho sempre suscitato una
certa
soggezione nella mia gente, per via del mio aspetto; questo accadeva in
modo
particolare quando ero piccola. Ci ho messo davvero molto tempo a
capire che io
li spaventavo. – Sorrise, – da quel momento ho
compreso anche che, sacerdotessa
o meno, non avrei mai potuto vivere un’esistenza comune.
Sorrido alle persone,
ma non sono adatta alla vita sociale; con il tempo loro si sono
abituati alla
mia presenza, ma nessuno mi rivolge mai la parola. Mi ammirano, ma mi
temono.
Mi odiano, anche, nel loro intimo, perché rappresento
qualcosa che non possono
comprendere appieno. In un certo senso sono come il poeta descritto da
Baudelaire: anelo e allo stesso tempo rifuggo una vita normale.
–
Camus
aveva ascoltato attentamente quelle parole; sì, anche a lui
era capitato di
provare quella sensazione di non appartenenza alla sua gente.
Osservò il
liquido rosso vorticare nel calice che ancora stringeva.
–
E’
un sentimento comune a chi sa di appartenere ad un mondo diverso da
quello nel
quale le persone comuni vivono. –
Camus
non era certo un uomo di molte parole, ma, a dispetto della sua
composta
freddezza, Sheetal lo trovava affascinante; forse era la
novità: mai aveva
conosciuto qualcuno di così elegante e colto –
escluso suo fratello,
naturalmente. Ed era bello. Molto bello.
–
Camus, grazie per l’ospitalità, ma devo andare.
– Si alzò in piedi, e
altrettanto fece lui. La scortò alla porta, augurandole poi
la buonanotte con
un sorriso appena accennato sulle labbra.
Sheetal
gli rispose raggiante: – Buonanotte, Camus. Domani dovrai
suonarmi ancora il
Claire de Lune, sappilo. –
Si
diresse verso la Sesta casa, l’immagine di quel mezzo sorriso
impressa nella
mente.
Il
sole calava lentamente, tingendo d’amaranto lo Sharasoju.
Seduta
nella posizione del loto sull’erba fresca, Rajani parlava a
voce bassa in
direzione della sua piccola discepola.
–
[L’energia
di Shakti è in te; puoi sentirla fluire, calda e placida,
all’interno del tuo
corpo.] –
Yashila
era confusa. Non capiva.
–
[Piccola
sorella, non devi concentrarti sul tuo corpo, ma sul tuo io. Chiudi gli
occhi.
Devi essere in pace, perché le forti emozioni ti portano
allo squilibrio;
respira piano, e concentrati su te stessa. Non pensare a me, io non
sono che
una voce che ti guida.] –
La
vide eseguire timorosa i suoi comandi. Yashila serrò le
palpebre e cercò di
rilassarsi come poteva, ma Rajani poteva sentire il tumulto dei suoi
pensieri.
–
[Non
pensare], – le disse allora.
Sapeva
che non era semplice, non per una bimba così piccola. Ma il
dono di Durga era
in lei: poteva farlo.
Ci
volle un po’ perché Yashila si acquietasse del
tutto. Rajani scandagliò la sua
mente, sentì il suo respiro lento; sussurrò piano
nella sua mente: l’energia che
senti è tua, ne puoi disporre
come vuoi. Devi imparare a controllarla, a manipolarla. Ora mi devi
bloccare,
piccola sorella; la tua mente non deve essere penetrata da nessuno, se
tu non
lo desideri.
Rajani
non poteva indicarle come fare. Yashila doveva essere maestra di
sé stessa,
poiché i meccanismi della mente erano unici e solo lei
poteva trovare la via.
Lo
fece.
Rajani
sentì lo scudo innalzarsi sui pensieri della bambina; un
velo debole di
protezione, solo un accenno di quello che sarebbe stato dopo anni di
allenamento, ma pur sempre uno scudo.
–
[Sei stata brava], – le sussurrò dopo appena pochi
secondi. La bimba spalancò
gli occhioni d’ambra, e la barriera mentale
crollò. Si sentiva stanca.
La
vista del sorriso caldo di Rajani e della sua espressione di
approvazione
furono il regalo più bello che Yashila potesse desiderare.
La
rossa alzò il viso, salutando Sheetal che, con passo lento,
si avvicinava a
loro. La luce del giorno già era appassita attorno a loro, e
l’aria si era
fatta pungente; il profumo dei fiori arrivava inebriante alle sue
narici.
Rajani non poté fare a meno di voltare lo sguardo verso
Shaka.
Era
rimasto immobile per ore, in meditazione, poco distante da loro. Rajani
aveva
avuto timore di disturbarlo, durante la sua lezione alla piccola
Yashila, ma
lui stesso l’aveva rassicurata: non lo infastidiva la loro
presenza. La bambina
non aveva potuto frenarsi dal lanciargli occhiate ammirate; non
sembrava umano;
non sembrava neppure reale.
Sotto
il suo sguardo d’ambra, Shaka si levò in piedi in
un movimento pieno di grazia.
–
Si
cena? – Chiese allegramente Sheetal, allontanandola dai suoi
pensieri. Nemmeno
si era resa conto che la bionda aveva preso Yashila tra le braccia,
stringendola a sé. Era sempre un piacere per gli occhi
vedere quelle due
insieme: Sheetal era piena di vitalità ed amava giocare con
la bimba. In quel
momento, con somma delizia della piccola, la stava solleticando con una
ciocca
dei suoi lunghi capelli d’oro.
Rajani
non trattenne una risata. – Si cena, –
confermò.
Death
Mask non avrebbe mai pensato di potersi intrattenere conversando con
una
bambina. No, si disse. Visala non
era
una bambina. Poteva averne l’aspetto, ma nulla in lei era
infantile se non il
corpo.
La
sua presenza non era fastidiosa né piacevole. Visala lo
metteva a disagio, ma
allo stesso tempo lo incuriosiva – forse, pensò,
proprio perché lo metteva a
disagio.
–
Perché la benda? Mette soggezione. –
Visala
non rispose subito, ponderando le parole. – Le cicatrici che
sono sotto la
benda ne mettono di più. –
Non
si aspettava una risposta del genere. La pelle lasciata scoperta dal
tessuto
nero era liscia e perfetta, e faticò ad immaginare qualcosa
che potesse
deturparne l’armonia. Si ritrovò a sorridere
amaramente a quel pensiero:
proprio lui, che di atrocità ne aveva viste troppe e
commesse ancora di più?
–
Posso…? –
Lei
scrollò le spalle. Il nodo che teneva ferma la benda, dietro
alla sua testa,
era stretto, ma lei lo sciolse velocemente per abitudine. Lasciando
cadere le
braccia lungo i fianchi, scoprì quella parte del suo viso
che poche persone
avevano mai visto.
Death
Mask si ritrovò a trattenere il respiro. Con occhi sgranati
osservò la fitta
trama di cicatrici che le deturpavano la pelle. Era una vista orribile,
e,
marginalmente, nella sua testa, si chiese perché
quell’immagine lo disturbasse
tanto. Aveva visto cose peggiori senza battere ciglio.
Però…
Visala era pura.
Death
Mask capì in quel momento l’attrattiva che quella
bambina aveva su di lui: lei
conosceva il dolore, e, nonostante l’avesse provato, atroce,
sulla sua pelle e
nella sua mente, era rimasta immacolata nell’anima. Visala
rappresentava tutto
ciò che lui non sarebbe mai potuto essere; era una
realtà che non poteva
comprendere.
–
Cosa ti è accaduto? – Sentiva la gola secca, e la
voce gli uscì rauca.
Con
le dita sfiorò una delle numerose cicatrici, proprio su una
delle sue palpebre.
Lei non si scostò; non si mosse nemmeno, mentre rispondeva
serenamente: – Non
lo so. Non rammento nulla di ciò che è successo
prima dell’incidente; il mio
primo ricordo è quello del dolore. –
Mentre
si riannodava la benda, con gesti rapidi, Visala percepiva
l’inquietudine di
lui. – Non essere turbato, Haziel. Sono diventata cieca, ma
ora vedo cose che
prima non avrei potuto nemmeno intuire. –
Death
Mask non si preoccupò di mettere in chiaro che no, lui non
era affatto turbato;
aveva imparato, in quei giorni, che mentire a Visala era impossibile.
–
E
cosa vedi? –
–
La
verità. –
–
Pensi che le tue rose possano crescere con un clima secco come quello
indiano?
–
–
Tesoro, potrei far crescere le mie rose anche nel Sahara, –
Aphrodite rispose
sorridendo alla bionda. Questa ridacchiò.
Scendevano
i gradini, tenendosi a braccetto. Accanto a loro, Visala e Rajani li
osservavano divertite.
Si
erano incrociati per puro caso fuori della Sesta casa: Sheetal e il
cavaliere
dei Pesci diretti alla piazza per una passeggiata; Rajani alla Prima
per
recuperare la piccola Yashila – che aveva passato la mattina
in compagnia di
Kiki; Visala alla Quarta casa perché, per qualche strana
ragione, trovava
piacevole parlare con il suo custode.
A Sheetal piaceva passare il
tempo con
Aphrodite; non aveva mai conosciuto una persona come lui: era un vero
narcisista, ma aveva anche un gran senso dell’umorismo, e la
sua lingua
tagliente non risparmiava nessuno. In quelle settimane più
volte l’aveva
intrattenuta nel suo meraviglioso roseto e, se dapprima
l’aveva trovato
semplicemente divertente, Sheetal era presto arrivata a considerare un
amico
quel cavaliere così inusuale.
–
Se
grazie al tuo distillato evito di riempirmi casa con i miei serpenti,
Rajani ti
farà una statua. –
La
rossa scosse la testa, divertita; in fondo Sheetal non aveva tutti i
torti. –
Sheetal, siamo sincere, vuoi? Sono orripilanti. –
La
bionda mise su un finto broncio. – Non capisci niente. Sono
animali maestosi. –
Rajani
rise. – No. Una tigre è maestosa. Un
serpente… striscia. –
Visala
sbuffò, divertita. – Nessuno dei due. Il cigno
è maestoso. –
–
Se
io dicessi che sono solo animali disgustosi? – Intervenne
Aphrodite,
un’espressione vagamente schifata dipinta sui bei lineamenti
del suo viso.
–
Non dirlo, – gli rispose sorridendo Sheetal.
Una
voce bloccò sul nascere le parole che Rajani stava per dire.
– Io voto con la
piccoletta! Vince il cigno! –
Si
voltarono curiosi verso le figure che salivano rapide i gradini di
marmo. A
parlare altri non era stato che Hyoga.
–
I
cavalieri di bronzo, – li salutò cordialmente
Rajani. Sheetal sorrise loro;
Aphrodite li ignorò tutti, tranne Shun al quale rivolse un
occhiolino malizioso,
facendolo diventare rosso d’imbarazzo.
Assieme
a Seiya, Hyoga, Shiryu e Shun era un ragazzo dall’aspetto
piuttosto burbero. Il
cavaliere di Andromeda lo presentò come suo fratello Ikki.
Seppure la
somiglianza tra i due fosse pressoché inesistente, Rajani
evitò di fare
commenti e si presentò a sua volta.
–
Ma
tu chi sei? –
Visala
sorrise verso il ragazzo castano che le aveva fatto la domanda.
– Visala,
Sacerdotessa di Sarasvati. –
–
Non sei un po’ piccola? –
–
Sono
Sacerdotessa della Devi da anni, – gli rispose semplicemente
lei.
–
Scusalo, Seiya non ha tatto. – Shun si presentò, e
con lui gli altri.
A
Ikki la somiglianza di Sheetal con il cavaliere della Vergine non
sfuggì. Era
una delle donne più belle che avesse mai visto, con
quell’espressione da
bambina dipinta sui lineamenti fini; la pelle lattea pareva illuminata
d’oro sotto
la coltre dei suoi capelli che, raccolti in una bassa coda, le
ricadevano sulla
spalla; gli occhi, di un intenso turchese, brillavano di un fuoco
ammaliante e
vispo, e, tra essi, il rubino incastonato nella sua fronte riluceva
sotto i
raggi del sole.
Sheetal
non aveva ancora abbandonato il suo finto broncio. – Ma
perché nessuno vede la
bellezza dei serpenti? Sono così dolci. –
Liberò
il suo braccio da quello di Aphrodite e si voltò verso
l’amica di sempre. Ikki
quasi trattenne il fiato quando la vista della sua schiena, lasciata
nuda dal sari di seta celeste, gli
si mostrò; il tilak
sacerdotale era realizzato in
colori tenui – rosa pallido, appena visibile, bianco, oro e
argento: un grosso
fiore di loto abbracciato dalle spire di un serpente aureo.
Rajani
sollevò un sopracciglio verso l’amica. –
Sì, con te. Il tuo amico cobra non è
stato così gentile e dolce con me. –
Sheetal
sgranò gli occhi. – Ma sei tu che l’hai
spaventato, poverino! –
Rajani
sbuffò. – Sì, poverino. –
–
Su, non litigate, – Shun provò a fare da paciere.
Non gli piaceva che le
persone discutessero.
–
Shun caro, non ti curare di loro. Discorrono di quisquiglie.
– Aphrodite si
affiancò al giovane, circondandogli le spalle con un braccio
e stringendoselo
contro. Non aveva indossato l’armatura d’oro, e una
maglia nera, piuttosto
aderente, gli fasciava il torace.
Se
avesse potuto, Shun sarebbe andato in autocombustione.
–
Aphrodite, sei terribile. Non vedi che lo imbarazzi? – Lo
rimarcò Sheetal,
sorridendo ironica.
–
Sei solo gelosa perché non mi stringo a te, – le
fece un occhiolino il cavaliere.
Lei quasi scoppiò a ridere.
–
Togli le mani di dosso a mio fratello, – gli
intimò Ikki in un sussurro.
–
Vuoi che le metta addosso a te? –
Shun
provò a placare un po’ gli animi, ma tutto
ciò che uscì dalle sue labbra fu un
balbettio indistinto.
–
Aphrodite!
Via le mani da Shun. – Sheetal si mise le mani sui fianchi,
in una posa
fintamente severa.
–
Ma
è così carino… –
Passò le sue dita tra i capelli del ragazzo.
–
Aphrodite. –
Lui
sbuffò, lasciando andare il povero Shun che, più
rosso che mai, si allontanò di
alcuni passi dal custode della Dodicesima casa.
–
Sei terribile, l’hai traumatizzato. –
–
Suvvia, non esagerare. – Aphrodite le porse nuovamente il
braccio, che lei
accettò sbuffando.
Il
rossore sulle guance di Shun andava via via scemando, ma ancora non
riusciva a
dire due parole coerenti.
Visala
gli si avvicinò, divertita. – Ti rivelo un
segreto, – gli disse. – Aphrodite
non è omosessuale, stava solo scherzando. Puoi anche stare
tranquillo. –
Dire
che i cavalieri di bronzo la stessero guardando con tanto
d’occhi era
riduttivo. Shun prese un respiro profondo, rivolgendole
un’occhiata grata.
Neanche voleva sapere il motivo per cui lei era a conoscenza del fatto.
Aphrodite
aggrottò la fronte. – Sei una guastafeste. Una
guastafeste carina, ma pur sempre
una guastafeste! –
Quel
pomeriggio, Rajani trovò Yashila presa ad osservare Kiki che
faceva levitare
tutto ciò che gli capitasse a tiro. Quando la bambina stessa
si ritrovò ad
osservare il mondo dall’altezza di tre metri,
spalancò gli occhi e fissò terrorizzata
la sua maestra.
Rajani
sospirò e, con una lieve pressione della sua mente,
portò la piccola
direttamente tra le sue braccia.
Mu,
aggrottando la fronte, lanciò un’occhiataccia al
suo allievo. – Mi spiace, – le
disse.
Lei
scosse la testa, un sorriso gentile sulle labbra. – Figurati.
Anzi, dovrei
ringraziarti. E’ anche merito di Kiki se Yashila sta
cominciando ad aprirsi. –
Scompigliò appena, con la mano libera, i capelli del
bambino, – Grazie Kiki. –
Il
bimbo arrossì fino alla punta dei capelli.
Yashila,
rigirando tra le mani una ciocca dei suoi capelli, pensò.
Cercò di capire: Kiki
l’aveva fatta volare. Lei aveva paura di volare? Si disse che
no, non aveva
avuto troppa paura. Però non se l’era aspettato.
Allora, decise, anche lei
avrebbe fatto volare Kiki: era solo giusto, no?
Fece
proprio come le aveva detto la maestra qualche giorno prima:
cercò dentro sé
stessa quell’energia calda, la fece sua, la piegò
al suo volere.
–
Ma
cosa…! – Kiki non si spiegò il
perché, improvvisamente, si trovasse a testa in
giù a svariata distanza dal terreno.
–
Yashila! – Rajani fissò stupita la sua piccola
allieva; non sapeva se essere
indignata per il suo comportamento, o fiera per quello che era appena
riuscita
a fare. Nel dubbio, rimise a posto il povero Kiki e lanciò
un’occhiata di
rimprovero alla bambina.
–
Mi
dispiace Mu, – iniziò, ma lui scosse il capo, un
sorriso ironico sulle labbra.
– E’ solo giusto, no? – Ripeté
il pensiero che la piccola aveva formulato prima
della sua birichinata.
Rajani
si ritrovò suo malgrado a ridere della situazione.
–
E’
molto dotata. –
La
rossa annuì. – E’ parte del patrimonio
di Durga. Tra qualche mese non avrà
problemi a controllare questi aspetti della telecinesi. – Le
carezzo la
testolina, al ché Yashila sollevò i suoi occhioni
d’ambra su di lei e le
rivolse un sorriso raggiante.
Già.
Tra qualche mese. Almeno… se tutto fosse andato per il
meglio.
–
Perché Haziel? – Fu la domanda che Death Mask le
rivolse una sera mentre,
seduti sui gradini fuori dalla Quarta casa, osservavano il cielo
– qualcosa che
il cavaliere non avrebbe mai pensato di poter fare.
La
risposta che lei gli diede non fu ciò che si aspettava. In
realtà, nemmeno lui sapeva
che cosa si aspettava.
–
Haziel è il nome dell’angelo
dell’indulgenza e della guarigione. –
Quella
sera Visala si addormentò lì, sui gradini del
Grande Tempio.
Quella
sera, un sempre più meravigliato Death Mask si
ritrovò a prenderla in braccio e
a farla stendere sul proprio divano, attendo a non disturbare il suo
sonno.
*
I
versi sono tratti da “L’albatro” di
Charles Baudelaire
Salve
a tutti gente! Ancora una volta, pur di non studiare,
mi sono messa a scrivere. E l’esame della settimana prossima?
… Dettagli!!
In
questo capitolo abbiamo visto lo sbocciare di un nuovo
rapporto. Death Mask è tremendamente OOC, lo so…
ma già che c’ero! Tanto ormai…
XD
Mi
piace pensare che DM possa aver preso coscienza della
sua anima impura dopo essere tornato in vita. Il suo ruolo in Hades non
mi
aveva soddisfatta molto.
Sin
da quando ho immaginato Visala, molti mesi fa, ho
pensato che avrebbe legato con Death Mask. La scelta del nome
“Haziel” non è
stata semplice, anche perché è legato alla
tradizione ebraica; come significato
però era semplicemente perfetto, e mi sono dovuta arrendere
all’evidenza.
Più
in là mi piacerebbe approfondire il passato di
Visala, e l’eredità che lei si porta alle spalle,
ma penso che lo farò tramite
i miei Missing Moments – proprio come ho fatto per il suo
Risveglio.
Allora,
che ne pensate di questo Camus interessato all’arte?
E del mio ironico Aphrodite? Siate spietati!
Il
prossimo capitolo sarà decisamente più
movimentato; ci
saranno visite direttamente dall’India!!!
Grazie
a tutti coloro che seguono la mia storia, in
particolare a quelle persone che continuano ad aiutarmi lasciando
recensioni.
Alla
prossima,
Gea Kristh a.k.a. Bea-chan
|
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Capitolo 8 *** La Furia di Durga ***
Io ho capito una cosa: scrivo soltanto
quando non dovrei. Oggi, per esempio, io dovrei essere a studiare come
una forsennata per l'esame di domani... e invece no! Sono qui, a
pubblicare l'ottavo capitolo della mia fanfic. Sono un disastro, lo
ammetto.
Bhè, che dire...
Questo capitolo era in realtà
già pianificato da diversi mesi, quindi scriverlo
è stato piuttosto semplice per me - nonostante, me ne rendo
conto, ci abbia messo un'eternità. Per questo mi scuso
davvero.
Bhè, non indugio oltre e vi
lascio alla lettura.
^_^
[Hindi]
Accadde
una mattina, inaspettatamente.
Yashila
pronunciò quelle parole con voce rauca e timorosa, piano,
tanto che Shaka
dubitò di averle davvero udite:
–
Dhan'yavāda,
– disse; poi ripeté, con
più forza, sollevando gli occhi ancora bagnati
di lacrime, – Dhan'yavāda. –
[Grazie.]
Shaka
non aprì gli occhi, ma posò un’ultima
carezza sulla testolina della bimba,
finalmente calma. Il cavaliere della Vergine non poteva dirsi un uomo
facilmente mosso dai sentimenti; tuttavia, sentire i singhiozzi
affranti di
Yashila, poco prima, lo aveva turbato. La tristezza e la paura che
aveva
percepito in lei erano penetrati fin nella sua anima, talmente erano
forti.
La
porta si aprì piano, ma i passi che seguirono furono
più che affrettati. Rajani
si precipitò ad abbracciare la piccola, che alla sua vista
sgranò gli occhi e
riprese a singhiozzare sommessamente.
[Ho avuto paura.] La sentì
pensare.
–
[Piccola sorella, sono qui, sono qui. Non piangere, sono qui.]
–
Yashila
si asciugò gli occhi, stropicciandoseli forte con i pugni
chiusi; tirò su col
naso e fissò i grandi occhi d’ambra in quelli
preoccupati della sua maestra.
[Ho sognato tante cose brutte. Ho visto cose
cattive.]
–
Cosa
hai visto, Yashila? – Dentro di sé, Rajani
pregò che non fosse stato altro che
un incubo a turbare il sonno della bambina.
[Non lo so. Non me lo ricordo più.]
Annuì,
sospirando. Le scompigliò i capelli, poi la
incitò ad andarsi a lavare e
vestire.
Quando
la piccola si fu allontanata, Rajani non poté fare a meno di
alzare lo sguardo
sull’uomo, immobile accanto a lei.
–
Sheetal non riesce quasi più a dormire, tanto le visioni la
tormentano. Ora
questo. L’attesa si fa dilaniante, non potremo rimanere
immobili ancora a
lungo. –
Lui
annuì, soppesando le parole. – Quanto ancora
possono impiegare a scoprire il
luogo in cui vi siete rifugiate? Non è un mistero la
parentela mia e di
Sheetal; Sadhira lo sa, non ci metterà ancora molto a fare
la connessione,
sempre che non l’abbia già fatto. –
Annuì.
Si sentiva stanca; stanca dentro, nell’anima; stremata da
quell’attesa, da
quella pace fittizia intrisa di tensione.
Sempre
più, col passare dei giorni, avvertiva la preoccupazione
come una morsa allo
stomaco. Anche nei rari momenti di quiete la tensione non le dava pace;
la
notte, dormire si faceva sempre più difficile.
Fu
solo quando braccia calde la avvolsero che Rajani venne riscossa dai
suoi
pensieri. Quel profumo di sandalo e fior di loto le
abbracciò i sensi; sentì il
cuore aumentare i battiti, e la testa farsi più leggera.
Sospirò,
imponendosi la calma, mentre insicura poggiava la fronte sul petto di
lui.
Erano
così rari i gesti d’affetto di Shaka;
così rari e, per questo, ancora più
preziosi.
–
Non sei sola, Raja. – Le sussurrò piano, e il suo
respiro caldo le solleticò il
collo. Inspirò, tremante, mentre alzava gli occhi,
immergendoli in quelli
incredibilmente azzurri di lui. Rajani non ricordava di essere mai
stata così
vicina a Shaka: poteva chiaramente vedere le screziature celesti nelle
sue
iridi blu, le ciglia scure incorniciargli gli occhi, la luce riflessa
sulle
labbra appena umide, così invitanti…
Si
riscosse immediatamente da quei pensieri, castigandosi mentalmente.
Nonostante
tutto, non poté fare a meno di prendere un respiro tremante.
Aveva la gola
secca.
–
Non sei sola, – ripeté lui, mentre posava le
labbra sulla sua guancia
arrossata, proprio accanto all’orecchio; lo sentì
inspirare profondamente, poi
sollevare una mano dalla sua vita, solo per posarle una carezza sulla
testa.
Rajani
si sentì paralizzata. Con occhi sgranati osservò
quei fili d’oro che erano i
capelli di Shaka scivolargli sul viso, coprirgli gli occhi socchiusi.
Fu un
gesto quasi inconscio quello di scostarglieli lentamente, appena
sfiorando la
sua pelle con la punta delle dita.
Sospirando
gli circondò il collo con le braccia, sollevandosi sulle
punte dei piedi; lo
strinse a sé con forza, trovando conforto in quel contatto
caldo. Poggiò il
viso nell’incavo del collo di lui, respirando a pieni polmoni
il suo profumo
inebriante; avvertendo, sotto la barriera sottile della sua pelle, il
sangue
scorrere e i battiti del suo cuore accelerare.
Shaka
non esitò nel ricambiare la stretta, e anzi la
abbracciò con forza, avvolgendo
il corpo minuto di lei col proprio. Sotto le mani sentiva la pelle
fresca e
morbida della schiena di lei, lasciata nuda dal sari
che indossava; i capelli sciolti di Raja gli solleticavano
piacevolmente le nocche, e provò l’intenso
desiderio di carezzare quella massa
vellutata di fili scuri; risalì con una mano lungo la sua
spina dorsale– la
sentì rabbrividire sotto quella carezza, e sorrise
inconsciamente; le andò a
stringere possessivamente la nuca, intrecciando le dita in quei capelli
setosi.
Raja
non seppe bene per quanto rimasero in quella posizione; perse ogni
cognizione
del tempo, mentre sperava con tutta sé stessa che quel
contatto non avesse mai
fine, che tutto il resto del mondo sparisse – assieme alle
sue preoccupazioni.
Si
allontanarono
solo quando udirono distintamente dei passi avvicinarsi, e anche allora
lo
fecero con riluttanza.
Non
voleva, non voleva separarsi da lui; il suo cuore piangeva mentre il
calore del
corpo di Shaka si allontanava da lei, abbandonandola alla sensazione di
gelo
che l’aveva pervasa.
Sheetal
entrò nella stanza gioviale come suo solito. Era incredibile
come, con la sua
sola presenza, riuscisse ad illuminare tutto. D’altro canto
lei era così:
splendente, un raggio di sole di rara bellezza.
–
Ho
forse interrotto qualcosa? – L’espressione
innocentemente malandrina sul suo
viso era palese; Rajani si lasciò andare a una breve risata,
scaricando la
tensione dalle spalle, e annuì giocosamente.
–
Sì, ci hai interrotti; perché non te ne torni
nella tua tana, serpente velenoso
che non sei altro? –
Lei
mise su un finto broncio. – Mi manderesti via senza
colazione? –
Rajani
scosse la testa, ridacchiando. – Perché poi ti sto
ancora a sentire è un
dilemma. Su, andiamo di là che mamma Raja prepara la pappa.
–
–
Non so cosa stia accadendo a Varanasi, ma la situazione è
grave; ormai
continuamente percepisco il futuro farsi più oscuro. E
tuttavia Lakashimi non
mi permette di vedere oltre. – La frustrazione era chiara sul
viso pallido di
Sheetal; ora che il sorriso non le inondava il volto di luce, Rajani si
rese
veramente conto del colorito cereo e delle profonde occhiaie
dell’amica.
–
Potremmo mandare qualcuno ad indagare, – propose Dohko.
–
Potreste, ma non avrebbe molto senso. Noi e Shaka siamo qui gli unici a
sapere
come poter accedere al tempio, e per ovvie ragioni non possiamo
tornare. Non
così, per lo meno. –
Il
Grande Sacerdote soppesò silenziosamente le parole di
Visala, annuendo poi in
segno d’assenso.
–
Potremmo indagare in città; magari avremo fortuna.
–
Sheetal
sospirò. – Alzi la mano chi parla Hindi, prego.
–
Calò
il silenzio nella sala. – Appunto. –
–
Io
non capisco cosa stiamo aspettando. Attacchiamo! – Seiya
batté un pugno contro
il bracciolo dello scranno sul quale sedeva, un’espressione
infuriata dipinta
sul viso.
–
Per la centesima volta, Seiya, non possiamo combattere una
divinità ostile
senza nemmeno avere idea di come sconfiggerla. –
Il
cavaliere di Pegasus sbuffò. – Sì che
possiamo, – rispose.
–
Forse davvero non mi sono spiegata quando ho parlato di Mahishasura; o
sei tu
ad essere incredibilmente ingenuo, Seiya? Questo non è un
nemico semplice da
sconfiggere; per di più, ci sono in ballo le vite delle mie
compagne, e non le
rischierò solo perché un ragazzino non ha saputo
portare pazienza! –
–
Mi
duole ammetterlo, ma probabilmente non abbiamo altra scelta che
aspettare, al
momento. Non passerà molto tempo ancora prima che la mia
visione si avveri:
Arun e Ashwini non si faranno attendere, vedrete; spero solo che non si
portino
dietro tutta la Guardia al gran completo. –
Rajani
annuì. Nella sua mente l’immagine dei suoi allievi
gemelli apparve più vivida
che mai; voleva loro bene, e pregò con tutta sé
stessa di non dover togliere
loro la vita; sarebbe stato troppo.
–
Quello che mi chiedo è: perché mai solo loro due?
Se davvero vi vogliono morte,
allora non ha senso impiegare solo due uomini. –
–
Sadhira vuole che io li uccida, ecco perché, –
Rajani alzò gli occhi verso Mu, –
quella cagna bastarda vuole che io perda la ragione; non ha idea di
cosa potrebbe
accadere, povera stolta. –
Sheetal
poggiò una mano su quella dell’amica. –
Tu non lo farai Raja, io lo so. Li ami
come fratelli, non li ucciderai. –
–
Se
il blocco mentale di Sadhira sarà per me impenetrabile,
allora potrei non avere
scelta. –
Sheetal
sospirò. – Io l’ho visto, Raja. So che
Arun e Ashwini non moriranno nel
prossimo futuro. –
La
rossa aggrottò le sopracciglia. – Cosa hai visto?
–
–
Ci
sono cose del futuro che non vanno rivelate, dovresti saperlo.
–
–
Cosa mi nascondi? –
L’unica
risposta che ottenne fu un sorriso enigmatico.
–
Haziel, non senti anche tu questo turbamento? –
Visala
alzò lo sguardo al cielo che, denso di nubi, formava una
cappa scura sul
Santuario. L’uomo accanto a lei scosse la testa, in segno di
diniego.
–
Spero
che sia solo una mia impressione, allora. –
Diede
le spalle alla scalinata, incamminandosi verso l’ingresso
della Quarta casa.
Fece in tutto tre passi, prima di bloccarsi; questa volta, lo
avvertì anche
Death Mask.
Due
energie estranee erano penetrate all’interno del Tempio. Lui
non sapeva a chi
potessero appartenere, ma Visala sì: Arun e Ashwini, le
guardie gemelle, erano
infine arrivate.
–
[Traditrice!
Lo so che sei qui, esci fuori!] – Arun gridò. Lui
e suo fratello si ergevano
fieri nel mezzo della grande piazza, ai piedi delle Tredici case.
Il
primo ad arrivare fu Mu dell’Ariete, serio e pacato. Non
disse nulla, ma non
tolse gli occhi dai due stranieri; quelli lo ignorarono:
c’era una sola persona
per la quale erano venuti – la traditrice del Tempio della
Devi, colei che un
tempo avevano amato e chiamato maestra.
Giunsero
in molti nella piazza: i cavalieri d’oro vestiti delle loro
armature, i soldati
semplici, gli allievi. La tensione crebbe con ogni respiro.
Visala
fissò da lontano i due gemelli ignorare completamente la
folla; c’era qualcosa
di molto strano in quel comportamento. In territorio nemico, come
parevano non accorgersi
di altro che non fosse l’obiettivo della loro missione?
Certo, erano sempre
stati impulsivi; tuttavia, Visala non li avrebbe mai definiti stupidi,
tantomeno sprovveduti.
–
[Traditrice del tuo stesso sangue! Assassina!] –
Tra
le mani stringevano lunghe lance dalla punta acuminata; Visala sapeva
che
sarebbero state intrise di veleno.
Guardare
Arun e Ashwini, insieme, era affascinante; distinguerli risultava
impossibile a
chiunque non li conoscesse davvero. Entrambi tipicamente indiani, con
pelle
ambrata e occhi così scuri da parere neri, i gemelli erano
l’uno il riflesso
dell’altro: alti, dal fisico imponente, i lineamenti duri e
le labbra carnose.
Portavano i lunghi capelli neri legati in una coda alta sul capo, e
questi
scendevano in una cascata di morbidi riccioli lungo le loro schiene;
Visala
ammise che erano davvero attraenti.
–
[Arun, Ashwini, che piacere rivedervi, ] – Sheetal si fece
largo tra le
persone, un’espressione conciliante dipinta in viso. Si
sentiva agitata, ed era
tesa, ma non lo lasciò trasparire.
–
[Dov’è? Dov’è lei?]
– La voce di Ashwini era trasformata dalla cieca rabbia. Due
paia di minacciosi occhi scuri la fissarono con odio.
Rajani
osservò la scena in silenzio, dalle retrovie. Accanto a lei,
Shaka le poggiò
una mano sulla spalla.
–
[Io non credo, per la vostra incolumità, che affrontare
Rajani sia una buona
idea.] –
–
[Taci!
Noi, che siamo punitori ed esecutori della
volontà divina, non cederemo il passo
davanti ad una sporca traditrice!]–
Ogni
traccia di emozione abbandonò gli occhi d’ambra
della Sacerdotessa di Durga;
così, immobile, sembrava più una statua che una
persona.
–
[Sciocchi che non siete altro! Ma non vedere quello che Sadhira vi ha
fatto?] –
–
[Quello che Sadhira ha fatto,] – Arun avanzò di un
passo verso la bionda,
minaccioso, – [è stato assegnarci una missione;
uccideremo la traditrice, così
che la pace possa tornare a Varanasi!] –
L’energia
di Rajani ribolliva all’interno del suo corpo; era furiosa, e
ad ogni parola il
suo spirito gridava vendetta.
Sheetal
scosse il capo; ragionare con quei due era inutile. – [Anche
aveste ragione,
come pensate di poterla uccidere? Non riuscireste nemmeno ad
avvicinarvi a
lei]. –
–
[La luce di Shakti non è con i tradit…]
–
Arun
non terminò mai la sua affermazione.
In
un lampo, troppo veloce per essere vista, Rajani si trovò
accovacciata a terra,
alle spalle dei suoi due vecchi allievi; tra le mani stringeva una
coppia di bichwa lordi di sangue
– quegli stessi
pugnali che, solo istanti prima, si trovavano alle cintole dei gemelli.
La
folla parve trattenere il fiato. Il silenzio venne spezzato solo dal
rantolo strozzato
di Ashwini. Le lance caddero con un suono sordo a terra.
Le
loro game cedettero, e crollarono in ginocchio, mentre una ragnatela di
profondi
tagli sottili si apriva sulla loro pelle.
Arun
osservò con occhi sgranati rivoli di sangue bagnare la pelle
scura di Ashwini.
Non si rese veramente conto del dolore finché non
abbassò lo sguardo sul
proprio corpo ferito.
–
[Finite quello che stavate dicendo, sciocchi], – Rajani si
alzò in piedi. Il
clangore dei pugnali che cadevano a terra fu l’unico suono a
vibrare nell’aria.
–
[Io ho un nome.] – La sua voce era bassa, ma parve rimbombare
nel silenzio.
Sheetal
non l’aveva mai vista così arrabbiata, e questo la
spaventò. Il cosmo di Rajani
era immenso e rabbioso; aveva abbandonato ogni freno, e la sua energia
era una
tempesta attorno a lei.
–
[Io sono Rajani, Alta Sacerdotessa della Tigre nel segno di Durga, e
non sono
una traditrice!] –
Camminò
con passi misurati, gli occhi privi di qualsivoglia emozione.
Quando
lo afferrò per il colletto, Arun avvertì tutta la
forza di quelle esili braccia
spingerlo verso l’alto. Lo sollevò senza sforzo
apparente, portandolo alla sua
stessa altezza, e lo fissò, occhi negli occhi, con quello
sguardo vuoto.
–
[Durga non mi abbandona mai!] –
Gemette
dal dolore quando lei lo scaglio a terra; la perdita di sangue gli fece
girare
la testa.
Ashwini
avrebbe voluto fare qualcosa, qualsiasi cosa, ma il suo corpo era
immobile
contro la sua volontà. Una forza indicibile lo bloccava e
lui sapeva, senza
ombra di dubbio, che si trattava di Rajani; se fosse stato lucido,
probabilmente sarebbe stato spaventato.
Si
sentì sbalzare a terra dalla stessa, invisibile forza;
accanto a lui, suo
fratello era immobile.
Rajani
prese un respiro profondo; nell’aria c’era odore di
sangue e salsedine. Troppo
sangue.
Lentamente
si avvicinò ai due, e con ogni passo aumentò la
pressione mentale sui loro
corpi, tanto che, quando li raggiunse, quasi non riuscivano a
respirare. Con
occhi sbarrati la osservarono posizionarsi in mezzo a loro; lei li
guardò,
dall’alto verso il basso, e i suoi occhi erano ora colmi di
tristezza e rabbia.
Non
allentò la pressione; l’avesse fatto, sarebbero
morti dissanguati.
–
Questo farà male, – sussurrò
più a sé stessa che a loro.
Con
violenza penetrò le loro menti, abbattendo ogni difesa; li
sentì gridare di
dolore, ma non si lasciò distrarre, e andò oltre:
al di là del conscio, di ogni
pensiero razionale, fino a quel blocco innaturale creato da Sadhira.
Con forza
lo aprì, senza riserve, e non si accorse che le urla di
entrambi, svenuti dal
dolore, si erano spente.
Ritornando
alla realtà sospirò. Un rivolo di sudore le
colò dalla fronte madida. Era
stanca.
Avvertì
due braccia fresche ed esili avvolgerla, e le strinse a sé,
conscia della
presenza dell’amica di sempre alle sue spalle.
Tuttavia
non poteva rilassarsi, non ad opera incompiuta. Non dopo tutta quella
fatica.
–
Credo di aver bisogno del tuo aiuto, cavaliere, – disse in
direzione di Mu.
Lui
annuì,
avvicinandosi.
–
Non appena allenterò la pressione sui loro corpi, il sangue
ricomincerà a
scorrere, – si guardò intorno, rendendosi conto di
quanto già ne avessero
perso. Sospirò, – non posso lasciarli morire
così. Anche se sono due idioti. –
–
Quello che hai fatto è impressionante. –
Scosse
il capo, noncurante. – Occupati di Arun, –
indicò l’uomo sulla sinistra, – ed
io penserò ad Ashwini. –
Lasciar
andare la pressione che esercitava sui loro corpi era come rilassare un
muscolo; Rajani si chinò istantaneamente sul gemello, e
impose le mani su di
lui. Non ebbe bisogno di alzare gli occhi per sapere che Mu stava
operando allo
stesso modo sull’altro.
Il
lavoro non fu semplice, perché erano coperti di tagli niente
affatto
superficiali.
Rajani
avvertì per tutto il tempo la presenza di Sheetal e Shaka
alle proprie spalle,
e questo la confortò.
Per
la prima volta in anni, sentì forte il bisogno di piangere.
–
Non si sono ancora ripresi? –
La
bionda le porse una tazza di tè fumante.
Rajani
si lasciò andare contro lo schienale della poltrona nella
quale era seduta,
scuotendo la testa. Osservò i due uomini, inerti nei letti
della stanza.
Soffiò
piano sulla tazza, prima di prendere un sorso della deliziosa bevanda.
Un tè
dolce e bollente aveva sempre avuto il potere di rilassarla, e Sheetal
lo
sapeva.
–
Tutto si è risolto per il meglio, Raja. Io lo sapevo.
–
Non
poté fare a meno di scoppiare a ridere. Forse era la
tensione, che finalmente
aveva abbandonato le sue spalle, forse era semplicemente Sheetal:
però si
sentiva bene, leggera.
–
So
che non è stato facile, ma ce l’hai fatta Raja. Tu
ce la fai sempre. –
La
rossa sorrise alle parole dell’amica. Lei era sempre
così fiduciosa… Avrebbe
desiderato avere anche solo la metà di
quell’ottimismo.
Un
respiro affannato la riscosse dai suoi pensieri. Posò gli
occhi su Ashwini che,
svegliatosi, si guardava intorno allarmato. Quando le sue iridi scure
incrociarono quelle ambrate di Rajani, la sua bocca si aprì,
ma non ne uscì
alcun suono.
Sheetal
gli versò un bicchiere d’acqua e glielo porse, le
labbra piegate in un sorriso
gentile.
Arun
si alzò a sedere di scatto, gemendo per il dolore subito
dopo. Si guardò
attorno spaesato: vide dapprima suo fratello, intento a bere nel letto
accanto
al suo; poi Sheetal, che lo osservava sorridendo sorniona; infine vide lei, la sua adorata maestra, immobile e
seria nella sua compostezza.
Gli
bastò scambiare uno sguardo d’intesa col fratello,
perché tra loro non c’era
bisogno di parole. Si alzarono in piedi, incuranti dei muscoli
indolenziti, e
avanzarono a piccoli passi verso la figura impassibile di Rajani. Non
emisero
un solo suono, mentre si inginocchiavano davanti a lei.
Ashwini
chiuse gli occhi. Non meritavano il suo perdono; non dopo quello che
avevano
fatto. Però, in cuor suo, pregò che lei potesse
ancora guardarli con quegli
occhi colmi di affetto.
Rajani
sospirò. Sentiva le lacrime pizzicarle gli occhi, ma si
impose la calma. Non
poté fare a meno, però, di scivolare dalla
poltrona al pavimento, portandosi
alla loro stessa altezza.
I
gemelli rimasero immobili, anche quando avvertirono le braccia di lei
avvolgerli. La sentirono prendere un respiro tremante ed abbracciarli
con
forza.
Li
strinse a sé, finché anche loro non ricambiarono
quel contatto.
Rajani
non seppe quanto rimasero in quella posizione; si rese conto,
però, che
quell’odore di pelle e cannella sapeva di casa, e tanto le
bastò.
Ed eccoci giunti alla fine di
un ennesimo capitolo!
Allora...
Come vi sembrano i miei gemellini? Arun e Ashwini mi piacciono, e penso
che avranno un ruolo primario nel futuro di questa fanfic. Vorrei anche
approfondire il loro passato, soprattutto il modo in cui sono divenuti
guardie del Tempio della Devi - e di come Rajani sia stata per loro una
maestra, ma anche una sorella. Sarebbe un peccato non raccontare una
storia affascinante come la loro, e penso che lo farò nei
miei Missing Moments.
Bhè,
c'è da sperare che non mi ci voglia un altro mese per
scrivere il prossimo capitolo! Tutta colpa dell'università,
ecco. *UFFI*
Ringrazio
ancora una volta tutti i miei lettori, e per una volta mi vorrei
sbilanciare, chiedendo un parere anche a coloro che non mi hanno mai
lasciato recensioni: cosa pensate della storia?
Fatemi
sapere, siete tutti di grande aiuto!
Alla
prossima,
Gea Kristh
a.k.a. Bea-chan |
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Capitolo 9 *** L'Oscuro Abbraccio della Morte ***
CVD. Come Volevasi
Dimostrare.
A tre giorni dal
mio prossimo esame eccomi di nuovo qui. La cosa sta cominciando a
essere controproducente... (>_<)
Questo capitolo
è stato piuttosto ostico da scrivere, forse a causa
dell'atmosfera cupa della quale è pregno. Ma ammettiamolo:
la sessione di esami è così stressante che
scrivere qualcosa di allegro è praticamente
IMPOSSIBILE.
Me tapina... (T_T)
Vabbè,
bando alle ciance!
Buona lettura,
Gea
Kristh
[Hindi]
Arun
e Ashwini furono veloci nel farsi una doccia. Quando uscirono dalla
stanza,
tutti e tre insieme, trovarono il piccolo salottino piuttosto
affollato:
Sheetal versava il tè, Shaka era seduto compostamente su uno
dei due ampi
divani, Camus sull’altro accanto ad un apparentemente
scocciato Death Mask;
Visala era appollaiata a terra, su di un cuscino, e canticchiava
sottovoce una
melodia intonata. Tutti i cavalieri d’oro erano presenti: chi
in piedi, chi
seduto, e nessuno di loro aveva abbandonato l’armatura.
Rajani
si domandò se considerassero i nuovi arrivati come
potenziali nemici. Era
possibile – anche comprensibile, si disse – ma, lei
sapeva, non necessario. La
tensione le sembrò quasi palpabile, ma non si scompose.
Andò
a sedersi accanto a Shaka, e i gemelli la seguirono sul comodo divano.
Sheetal
porse una tazza di tè a Camus, che la ringraziò
con un cenno del capo, poi una
al fratello, a Visala ed infine a lei; aveva un sorriso gentile e
rilassato sul
viso, e Rajani capì che, nonostante le apparenze, anche lei
avvertiva
l’atmosfera pregna di tensione che si era creta.
Aphrodite,
appollaiato elegantemente su un bracciolo del divano accanto a Death
Mask,
sbuffò sonoramente.
–
Ci
muoviamo? – Chiese guardandosi le unghie con interesse.
I
gemelli non compresero cosa avesse detto, ma il cavaliere ebbe successo
nel
catturare la loro attenzione. Quando il silenzio si
prolungò, Sheetal decise di
intervenire; presentò brevemente i cavalieri alle due
guardie, spiegando loro
come fossero andate le cose.
–
[Puoi tradurre per noi?] – Le domandò Arun, e lei
annuì. L’uomo alzò allora lo
sguardo in direzione delle persone che affollavano la stanza: li
scrutò
intensamente, uno ad uno; infine, chinò il capo. –
[Grazie. Vi siete presi cura
delle nostre Signore quando noi abbiamo fallito; per questo, siamo
riconoscenti.] –
Rajani
sbuffò, ma sorrise alle parole sincere di quel testone.
Sheetal fece come le
era stato chiesto, e tradusse brevemente dall’hindi al greco.
–
Quello che conta davvero, – mormorò Visala,
– è rimanere uniti ora che ci siamo
ricongiunti. – Ripeté la frase nella sua lingua
madre, ed i gemelli annuirono
sospirando.
Forse
Rajani li aveva perdonati; forse anche Sheetal e Visala lo avevano
fatto; loro,
però, non avrebbero avuto pace fino al giorno in cui
sarebbero stati in grado
di espiare la loro colpa.
–
Non perdiamoci in convenevoli, – cambiò discorso
Rajani. – Se siamo qui, è per
avere informazioni da oriente. – Lanciò uno
sguardo interrogativo ai suoi
allievi. – [Come vanno le cose al Tempio?] –
Ashwini
sospirò e si sedette più comodamente. –
[Sadhira tiene le sue macchinazioni per
sé; noi ci limitavamo ad eseguire gli ordini.] –
Lanciò un’occhiata a Sheetal,
che tradusse immediatamente in greco. Quell’impedimento
linguistico era
quantomeno fastidioso.
–
[Ho sentito delle voci,] – cominciò Arun,
aggrottando la fronte, – [voci
dell’arrivo di una vecchia conoscenza. Di chi si tratti,
però, io non lo so.] –
Rajani
scosse la testa. – Dobbiamo mettere a punto una strategia di
attacco. Attendere
non ha più alcun senso ormai. – Nella sua mente,
intanto, rifletteva: aveva un
brutto presentimento.
–
[Io… Ancora fatico a credere che Sadhira sia
l’artefice di tutto questo.] –
Alzò
gli occhi su Ashwini; lui si guardava le mani aperte,
un’espressione accigliata
sul volto.
–
[L’evidenza dei fatti non mente. Eppure… Questa
immagine di lei poco si
concilia con il mio ricordo di Sadhira; è sempre stata una
Sacerdotessa
dall’animo nobile e giusto.] –
Per
un attimo calò il silenzio. Fu Visala ad interromperlo:
– [Il potere corrompe
l’animo più nobile; la paura di perderlo porta
alla follia. Se Sadhira ha mai
posseduto un’indole giusta, allora l’ha
dimenticata: da anni ormai in lei
covava il seme della rabbia… e della gelosia.] –
Sheetal
non parlò, e Visala tradusse da sola quelle affermazioni. Il
viso della bionda
era cereo; il suo sguardo fisso nel vuoto.
–
Io… – La ragazza voltò il capo verso la
Sacerdotessa di Sarasvati. – Io non ho
mai desiderato questo. – Il suo fu poco più che un
sussurro.
Visala
sorrise. – Lo so. –
–
Tuttavia, – intervenne Rajani, accigliata, –
indorare la pillola non serve.
Sheetal, tu sai che, finita questa storia, sarai eletta Grande
Sacerdotessa. –
Se
possibile, il viso della bionda impallidì ancora. Chiuse gli
occhi, prendendo
un respiro tremante.
Ignorare
la verità delle cose era inutile.
Però…
Era
divenuta Sacerdotessa di Lakashimi a sette anni; poi Sacerdotessa di
Manasa a
undici. Sheetal sapeva che quel giorno sarebbe arrivato, presto o
tardi: il
giorno in cui l’avrebbero messa di fronte
all’evidenza di quel miracolo. Lei
era destinata a grandi cose; non era
forse questo che le era stato detto, anni addietro?
Sorrise
flebilmente, riaprendo gli occhi. Annuì.
–
[Parlatemi della sicurezza del Tempio,] – Rajani si rivolse
nuovamente ai
gemelli. La tensione si allentò, e Sheetal tornò
a tradurre – sebbene sapesse
di avere la voce incrinata.
–
[Tutta la guardia è stata dispiegata; noi esclusi, si tratta
di trentuno
soldati,] – iniziò serio Arun.
Ashwini
continuò: – [Una squadra di cinque uomini viene
impiegata tutti i giorni per le
ricerche a Varanasi. Sadhira sa, ormai, dove vi trovate, ma Visala
è ancora
un’incognita per lei.] –
–
[Una squadra da cinque uomini viene impiegata in ogni torrione; io e
Ash
solitamente ci occupavamo di fare la ronda sulle mura, e presumo che il
nostro
posto sia stato preso da altri. I restanti sei sono la scorta personale
di
Sadhira.] –
Rajani
socchiuse gli occhi. – E’ fin troppo
facile… –
–
[Dhara
ha…] – Le
parole di Ashwini vennero ben
presto troncate dall’occhiataccia del fratello.
Rajani
sollevò un sopracciglio alla menzione del nome della
Sacerdotessa di Kalì. Arun
sbuffò.
–
[Lei ha… preso il vostro posto, come Capo della Guardia,]
– disse.
La
ragazza non poté fare a meno di sorridere sarcasticamente.
– Dhara? –
Loro
annuirono.
–
E
voi glielo avete lasciato fare? – La sua espressione era
alquanto divertita.
–
Ah! Finalmente ce l’ha fatta a soffiarti il posto!
– Esclamò Sheetal, ritrovata
la sua consueta allegria, e Rajani non riuscì a trattenersi
dallo scoppiare a
ridere; Visala scuoteva il capo, ma anche lei sorrideva.
Arun
sbuffò, distogliendo lo sguardo dalla sua maestra. Aveva le
guance imporporate,
e suo fratello non poté fare a meno di farglielo
sarcasticamente notare–
rimediando, per altro, un calcio sugli stinchi.
Raja
strinse gli occhi, puntandoli sui suoi allievi. – [Vi
occuperete voi di lei.
Confido nel fatto che non arriverà a me. Arun,] –
lui si ricompose
immediatamente, guardando serio la sua maestra, – [conosco i
tuoi sentimenti
per lei, e so che per te non sarà facile; ma attento: se
Dhara arrivasse ad
intralciarmi non mi farò scrupoli. Non posso preoccuparmi
anche per lei.] –
Non
aveva intenzione di fare del male a una sua compagna; seppure non
scorresse
buon sangue tra loro, non avrebbe mai volutamente arrecato danno ad una
persona
innocente. Non poteva però permettere che Dhara interferisse
con la missione:
se mai si fosse reso necessario, lei l’avrebbe fermata
– e non sarebbe stato
piacevole.
Contava
su di loro, per questo. I gemelli le erano fedeli, e sapeva che
entrambi avrebbero
fatto di tutto per tenere al sicuro la Sacerdotessa di Kalì:
anche se, per
farlo, avrebbero dovuto usare la violenza.
Annuirono,
e il sorriso tornò sulle labbra di Rajani.
–
Sta calando la sera, è ora di tornare ognuno ai propri
alloggi. Immagino che
voi possiate rimanere qui per la notte, – guardò
interrogativamente Dohko, che
annuì.
–
[La mia stanza è proprio qui accanto. Se avete bisogno di
qualsiasi cosa,
venite a chiamarmi.] – I gemelli annuirono verso Visala, che
sorrise gentile.
–
[Maestra,
dove si trova la vostra?] –
Prima
che potesse rispondere, intervenne Sheetal: – [Io e Raja
alloggiamo nella casa
di mio fratello.] –
Ashwini
impallidì vistosamente sotto lo sguardo divertito della
bionda. Rajani sospirò.
Shaka,
impassibile ed apparentemente estraneo alla conversazione, sorseggiava
elegantemente il suo
tè.
–
[Voi… Voi… Nella casa di un uomo?] –
Arun
dissimulò una risata in un colpo di tosse, già
pregustando la rivincita sul
gemello per la scena di poco prima.
–
[Shaka è stato così gentile da offrirci
ospitalità per questo periodo. Non vedo
dove sia il problema.] –
All’occhiataccia
della sua maestra, Ashwini inghiottì le parole che stava per
pronunciare.
Insomma! Possibile che lui fosse il solo, lì in mezzo, a
ritenere sconvolgente
che una giovane donna vivesse nella casa di un uomo al quale non era
legata?
Il
silenzio venne interrotto dallo sbuffo di Death Mask; Visala gli stava
sussurrando qualcosa all’orecchio, e lui pareva piuttosto
scocciato.
Borbottando
qualcosa di poco gentile sulle “assurde seghe mentali della
gente”, si alzò e
uscì dalla stanza, decretando ufficialmente la fine di
quell’incontro.
Meditava.
Da
giorni ormai Sheetal avvertiva il bisogno di solitudine. Doveva
stare con sé stessa, per fare chiarezza nel suo io e nelle
confuse immagini che Lakashimi le inviava.
Durante
la notte le visioni non le lasciavano tregua, e si sentiva sempre
più spossata;
sempre più stanca, fisicamente e mentalmente.
Da
quanti anni ormai non si rifugiava nella foresta per ricercare in
solitudine di
carpire il futuro?
Il
suolo era caldo e solido sotto di lei, un contatto saldo con il mondo
cosciente; la brezza le scompigliava i capelli, e poteva sentire
l’acqua
scorrere non lontano da lei. Era in pace.
Lentamente
scivolò nel suo inconscio, liberando la mente da ogni
pensiero. Perse di vista
il mondo sensoriale, e si limitò ad essere.
La
Kundalini scorreva in lei, su, fino
al Sahashrara,
e avvertì lo Yoga:
l’Unione. Poteva vederla:
l’energia universale, in lei,
in ogni cosa.
Fu
allora che la visione si manifestò.
Sangue nero. Bagnava la terra, e la pelle
di
un uomo.
Chi?
Un conato, che lo scosse violentemente;
il
sangue, nero di morte, gli rigò il mento.
Chi
sei?
Occhi blu. Occhi vitrei. Occhi ciechi.
Occhi
consapevoli di una fine ormai certa.
No!
Mani candide, marmoree; nere venature ne
deturpavano la bellezza.
No!
No!
Il suo viso: regale e quieto. Calmo anche
nella morte.
Sheetal
riemerse da quella visione con un respiro affannato ed un urlo mozzato
in gola.
Avvertiva il cuore batterle forte in petto. Piangeva.
Singhiozzi
disperati la scossero. Si strinse, convulsamente, e le sue stesse
unghie le
solcarono le braccia.
Non
era giusto. No! Lei… Lei non l’avrebbe permesso.
Mai.
–
Avevo una sorella, un tempo. – I suoi occhi rimasero puntati
verso il cielo
stellato. Ricordava.
Visala
non parlò. Ormai lo conosceva: sarebbe stato lui a decidere
se continuare.
–
Era…
Era un angelo. Non dimenticherò mai il suo sorriso.
–
Death
Mask deglutì. Poteva ancora vederla, se chiudeva gli occhi:
dolce, timida, con
quei suoi grandi occhi castani, così piena di vita e di
amore.
–
Lei… è morta prima ancora di compiere dieci anni.
–
Visala
poggiò piano una mano su quella chiusa a pugno di lui; Death
Mask allentò la
stretta, poi distese completamente le dita. Si stupì, quando
lei gliela
strinse, palmo contro palmo. Spostò lo sguardo su di lei,
poi sulle loro mani
congiunte; il contrasto tra le piccole dita di Visala e le sue, lunghe
e forti,
era alienante. Deglutì ancora; sentiva la gola secca.
–
Tu
le somigli, – riuscì a dire, infine.
Visala
gli sorrise. Avvertiva in lui il dolore sordo, antico, di una ferita
ancora
sanguinante.
–
Haziel, – lo richiamò piano, e lui alzò
il viso per guardarla; i suoi occhi
erano vacui. – Avrei tanto voluto conoscerla. –
Chiuse
gli occhi e prese un respiro profondo. Annuì, semplicemente,
perché non credeva
di riuscire a parlare, ormai.
Il
suo abbraccio fu caldo e sincero, e Death Mask, per un momento, ebbe
quasi
l’impressione di stringere a sé una bambina
diversa; una bambina dolce,timida,
con grandi occhi castani in grado di ricordargli sempre, in ogni
momento, che
l’amore era vita, e che la vita era gioia.
E
lei era vita.
Lo
era davvero.
Ad
Aphrodite i suoi occhi rossi di pianto non sfuggirono, mentre le
consegnava la
boccetta. Aggrottò la fronte: non capiva.
–
Non mi dirai a cosa ti serve, vero? –
Sheetal
sospirò, sorridendo stancamente. Si rigirò
l’ampolla tra le mani, osservando il
veleno rossastro danzare contro il vetro lucido.
–
Ci
sono cose che devo conoscere. –
Aphrodite
attese invano una spiegazione che, lo sapeva, non sarebbe arrivata.
–
Perché? – Chiese infine.
Sheetal
lo guardò, e lui parve quasi avvertire il peso della
stanchezza racchiusa in
quegli occhi turchesi.
–
Perché
cercare di cambiare gli eventi è il mio dovere. –
–
Sheetal, – la voce di suo fratello la riscosse. Si
stupì di trovarlo accanto a
lei: non lo aveva sentito arrivare.
–
Shaka. –
L’aria
era calda, quella sera. In lontananza le parve di udire il rombo dei
tuoni – il
cielo era coperto di nubi, una cappa grigia e colma di pioggia.
–
Sei stanca. –
La
sua era un’affermazione, e Sheetal non replicò.
Lo
era. Lo era davvero.
Sollevò
il viso, osservando le cime degli alberi gemelli danzare al vento.
Shaka
ascoltò: lei non parlava, ma il suo silenzio era colmo di
parole non dette. La
sua energia la circondava, flebile, ma non immobile: la avvertiva,
turbata e
triste.
–
Ci
sono cose, – sussurrò infine Sheetal, –
cose che non posso rivelare. – Si
voltò, guardandolo in volto. – Per il bene di
tutti. –
–
Vorrei che non dovessi sopportare questo fardello da sola. –
Sheetal
sorrise, poggiando una lieve carezza sul viso del fratello.
–
[Ti
voglio bene Shaka.] –
Lui
non rispose, ma la abbracciò, in un gesto che valeva
più di mille parole.
Ohibò. Che dire!
Ringrazio veramente
tanto i miei recensori - è un grandissimo aiuto il vostro.
Mi tenete su!
Spero davvero che il
capitolo sia di vostro gradimento.
Un salutone e alla
prossima!
Gea
Angolino Della
Pubblicità:
Se vi piace questa storia, allora leggete Bleeding
Sunset- Missing Moments, per saperne di più sul
passato dei miei OC - e non solo...!
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Capitolo 10 *** Ragione e Sentimento ***
Non posso
credere che sia passato tutto questo tempo dal mio ultimo
aggiornamento!
Probabilmente
i miei (già pochi) lettori ormai si saranno dimenticati di
me, sigh... * Gea va a
fare i cerchietti nell'angolino *
Ad ogni
modo eccomi qui, ancora. Da dire ho poco, quindi vi lascio alla
lettura, sperando vivamente che il nuovo capitolo vi piaccia.
Gea Kristh
P.S.
Non avevo e non ho
intenzione di abbandonare questa storia.
Non so quando
aggiornerò, perché devo ancora scrivere il
prossimo capitolo; fatto sta che aggiornerò, e questo
l'importante.
^_^
Angolino Della Pubblicità:
Se vi piace questa storia, allora leggete Bleeding Sunset- Missing Moments, per saperne di più sul passato dei miei OC - e non solo...!
Peroriamo
la causa delle recensioni!
Cliccate la piccola scritta blu
qua sopra, e aiutate anche voi a salvare un povero autore disagiato
dalla depressione!
[Hindi]
Quella mattina pareva che il
cielo volesse
riversare in terra fredde lacrime di dolore e rabbia. Il temporale non
dava
tregua al Tempio da ore, ma Rajani poteva appena udirne i suoni,
attutiti dagli
spessi muri della Tredicesima Casa.
– Il Tempio della
Mahadevi si trova direttamente
sopra la città di Varanasi, ed è strutturato su
tre livelli, – cominciò
sbrigativa. Davanti a lei si trovava un ampio foglio, dove prese ad
abbozzare
uno schizzo del Gange, della città e del promontorio.
– Dalla
città, – indicò sul foglio Sheetal,
accanto a lei, – è possibile risalire fin qui.
– Disegnò con la mano il
percorso, fermandosi ai piedi del promontorio. Rajani segnò
quel punto con il
pennarello.
– Questo,
– lo picchiettò con l’indice,
– è
uno dei pochi punti di accesso al Tempio, e sicuramente il
più agevole. Un
manipolo di guardie lo presidia giorno e notte. –
– Si tratta
dell’anticamera del Tempio; del
primo livello, per così dire. –
Continuò la bionda. – Qui si radunano i fedeli
in preghiera. Il Tempio vero e proprio è qui, in cima, ma
non è visibile se non
una volta superata l’anticamera. –
– Da qui in poi,
la foresta si estende per
qualche chilometro, fino ai piedi delle mura, che circondano
completamente la
struttura. Esiste un solo portone d’ingresso, –
Rajani lo segnò sulla mappa, –
e loro si aspettano probabilmente che tenteremo di sfondare la
sicurezza da
qui. –
– Come pensate di
procedere? –
Rajani alzò gli
occhi su Dohko, proteso, come
gli altri, dal suo scranno per meglio visionare l’abbozzo di
mappa. Posò
nuovamente gli occhi sul foglio, riflettendo.
– La parete
rocciosa è impervia, ma non
impossibile da scalare, – arrivò la voce di
Visala, pregna del forte accento
indiano. La giovane sacerdotessa era l’unica, oltre a Shaka,
ad essere ordinatamente
seduta al suo posto.
Rajani scosse la testa.
– Saremmo troppo
visibili dalle mura. Non voglio che abbiano il tempo di spostare le
armi. –
– Esiste
un’altra via. –
Le tre sacerdotesse si
voltarono all’unisono
verso Shaka. Il volto del Cavaliere della Vergine era impassibile,
quasi non
fosse stato lui a parlare.
– Quella via
è preclusa a chiunque non
appartenga alla casta sacerdotale della Devi, –
sussurrò Sheetal, gli occhi
sgranati dallo stupore.
Rajani, però,
rifletteva, gli occhi d’ambra
puntati sulla mappa, mentre tra le mani rigirava quel pennarello nero.
Fu
proprio lei a interrompere il silenzio calato sulla Sala.
– Che Durga mi
perdoni, – sussurrò, – ma la
via attraverso la roccia è la nostra migliore
possibilità di entrare nel Tempio
inosservati. –
–
È sacrilego! – Echeggiò la voce
profonda di Visala, e, come a darle ragione, rimbombò
nell’aria il sordo fragore
di un tuono.
Rajani sospirò
nel silenzio improvviso. – Lo
so, – affermò, – e sono pronta a pagarne
le conseguenze. – Si lasciò andare
contro lo schienale della sedia, e guardò diritta verso la
sacerdotessa di
Sarasvati. – Il Vajra non è un’arma
adatta al combattimento ravvicinato,
sorella, e Mahishasura ha la capacità di brandire le Sacre
Armi. Dovesse
arrivarci lui, prima di me, le speranze che io possa ucciderlo
diverrebbero
pressoché nulle. – Fece una pausa, pensierosa.
– Se devo scegliere, preferisco
essere uccisa per aver trasgredito ad una legge della Mahadevi,
piuttosto che
lasciare il Tempio in mano a quel demonio. –
– È
dunque questa la tua scelta? – Sussurrò
Sheetal, gli occhi pieni di terrore.
– Sì,
– disse solo Rajani, un sorriso appena
accennato sulle labbra.
Sheetal
sospirò, chinando il capo
in segno di condiscendenza. – E sia. Che venga ricordato del
mio assenso, e che
la mano della Devi cali su di me per prima, qualora tu sia ritenuta
colpevole
di tradimento, sorella mia. –
Il sorriso si spense sulla
labbra di Rajani
nell’udire quel voto, e chiuse brevemente gli occhi,
scuotendo la testa.
– La Devi ascolta
le tue parole, Sacerdotessa,
e ascolterà le mie: mai si dica che io, Sacerdotessa di
Sarasvati, non abbia
concesso il mio assenso, di fronte alla necessità assoluta,
di infrangere il
mio voto d’ubbidienza ai dogmi divini; io vi vedo,
sorelle, e accetto la
responsabilità delle azioni presenti e future, per il bene
del nostro popolo. –
– La Devi ascolta
le tue parole, – sussurrò,
ancora, Sheetal.
Si scambiarono uno sguardo
solenne, le tre
Sacerdotesse della Devi, e, per quanto addolorata Rajani fosse di
quelle
parole, chinò il capo in segno d’assenso.
Prendendo un profondo respiro,
continuò, rivolgendosi nuovamente alla sala piena di
Cavalieri.
– Nascosta, tra le
acque del Gange, esiste una
bocca di roccia. Essa è invisibile al nudo occhio umano, ma
è ben riconoscibile
da chi usa gli occhi della mente. Le Caverne sono un luogo sacro, e
nessun uomo,
o donna che non fosse una Sacerdotessa della Devi, ne ha mai respirato
l’aria.
Lì, direttamente sotto il Tempio, si trova il centro del
potere della Devi in
Terra, gelosamente protetto da poteri arcani che solo una Sacerdotessa
può
sollevare, e non senza sforzo. Io stessa mi sono recata in quei luoghi
solo tre
volte nella vita: la prima, quando divenni Sacerdotessa della Tigre; la
seconda, quando scelsi per me i miei nuovi allievi; l’ultima,
anni fa, quando
per la prima volta riuscii ad estendere la mia coscienza fino
a controllare tutte
le otto Armi Sacre assieme, seppure per un momento solo.
– Le Caverne si
diramano sotto al promontorio,
e sono per la maggior parte coperte dell’Acqua Sacra del
Gange. Risalendole, se
se ne districa il labirinto, si può accedere al cuore stesso
del Grande Tempio
della Mahadevi, all’interno delle sue mura principali.
– Da
lì, se saremo attenti, accedere al
livello ultimo del Tempio, al Palazzo dei Riti, non sarà
troppo complesso. È lì
che si trova la Sala delle Armi. –
Visala parlò,
spezzando il momentaneo
silenzio. – Suonerò per voi, nelle Caverne, e la
Maledizione delle Acque verrà
sollevata, – sorrise, e per un attimo quel viso parve davvero
appartenere ad
una bambina. – Non posso combattere, ma posso proteggervi.
Anche dovessi dare
fondo alle note conosciute, la mia musica verrà ascoltata, e
il Fiume ci
lascerà passare. –
– E sia,
– affermò, senza nascondere una nota
d’apprensione nella voce.
– Cinque Cavalieri
d’Oro, – parlò per la prima
volta Lady Saori, con la voce solenne di una divinità.
– Cinque Cavalieri
d’Oro, cinque Cavalieri di Bronzo. Tanto è quanto
posso concedere. –
Rajani si voltò
nella sua direzione, stupita.
Non si sarebbe mai aspettata un simile dispiego di forze, e si
sentì sollevata,
come liberata da un peso. Si accorse di non essere l’unica ad
essere rimata
scioccata alle parole della giovane reincarnazione di Atena: molti dei
suoi
stessi Cavalieri non potevano credere alle proprie orecchie.
– Non vi pare di
lasciare il Grande Tempio
troppo sguarnito, milady? – Domandò Dohko, una
nota di incertezza a colorargli
la voce.
Saori volse taglienti occhi
nella sua direzione,
ordinandogli mentalmente di tacere. – Così ho
deciso, così è giusto, –
affermò
solamente. Poi fissò le iridi chiare su Rajani, in attesa.
La Sacerdotessa di Durga
poggiò il capo sulle
mani intrecciate, pensosamente, poi prese parola. – Questa
è un’offerta davvero
gentile da parte vostra, forse fin troppo, e ve ne sono estremamente
grata, –
chinò il capo rispettosamente nei confronti della ragazza, e
Lady Saori
ricambiò il gesto, sorridendo gentile.
Rajani si guardò
attorno, incrociando gli
occhi determinati dei presenti; capì veramente, in quel
momento, che nessuno di
loro si sarebbe tirato indietro, anche avendo la consapevolezza del
rischio che
avrebbero corso. Percepì l’energia di Shaka, al
suo fianco, abbracciarla
rassicurante, e per un solo istante chiuse gli occhi, beandosi in quel
cosmo
caldo e sereno.
– Seiya, Shun,
Hyoga, Shiryu, Ikki. – I cinque
cavalieri si misero in ascolto immediatamente, in risposta alla voce
della loro
dea. – Ve la sentite? – Domandò lei,
gentile.
Seiya sorrise, Shun e Shiryu
annuirono, Hyoga
e Ikki si limitarono ad un secco “Sì”.
– Shaka,
– parlò ancora lei, – sei libero di
andare, se desideri farlo. –
Il Cavaliere della Vergine
annuì. – Vi
ringrazio, milady. –
– Sacerdotessa di
Durga, dimmi, chi ritieni,
tra i miei Cavalieri d’Oro, più adatto a questa
missione? –
Rajani scosse il capo.
– Non mi permetterei
mai di imporre la mia volontà in una tale decisione,
decretando forse la morte
di alcuni di loro. No, preferirei davvero che fosse di spontanea volontà, e non per senso del dovere, che scegliessero di rischiare la vita per questa
causa. –
–
Verrò, se mi sarà concesso, – fu, a
sorpresa, Deathmask a parlare. In molti lo fissarono stupiti; Visala
sorrise
semplicemente, a metà tra gratitudine e tristezza.
– E sia. Chi altri
lo desidera? – Domandò
Saori, osservando attentamente i custodi delle dodici case.
– Vorrei andare,
– Aphrodite accavallò le
gambe, coperte dall’oro dell’armatura dei Pesci.
– Ti è
concesso, – affermò ancora la
reincarnazione di Atena. – Chi altri? –
– Io, milady,
– affermò Mu, e lei annuì.
Camus alzò
semplicemente una mano, e Sheetal
si sentì gelare il sangue nelle vene. Scosse violentemente
il capo, ma non
servì, perché già Lady Saori aveva
accordato il suo permesso. Sentì lo sguardo
penetrante di Rajani su di sé, ma lo ignorò.
– Saranno dunque i
Cavalieri dell’Ariete, del
Cancro, della Vergine, dell’Acquario e dei Pesci ad
accompagnarvi. Siete
soddisfatta, Sacerdotessa? –
La rossa annuì,
ma aveva la testa altrove –
alla reazione di Sheetal, all’orrore dipinto su quel viso
angelico. Si chiese
cosa il futuro avrebbe riservato loro, cosa sua sorella avesse visto, e
perché
non l’avesse rivelato.
Venne riscossa dalla mano di
Shaka sulla
propria spalla. Si voltò a guardarlo, e per la prima volta
sentì la mente del
Cavaliere dischiudersi dinanzi a lei.
Era un luogo pacifico, la
mente di Shaka, un
luogo pregno di serenità e calore. Vi lesse pensieri fatti
di sensazioni, e
anche senza udire la sua voce si sentì rassicurata, e
sorrise, grata. Percepì
il tumulto delle proprie emozioni calmarsi, e si sentì in
pace per la prima
volte in ore.
Shaka non richiuse la
propria mente, e questo
le fece pensare che l’avesse aperta per lei sola; la conferma
le arrivò,
indirettamente, dai volti impassibili dei presenti in sala, ignari
dello
scambio appena avvenuto. “Dhan’yavāda,”
soffiò nella mente di lui, piano, e lo vide accennare un
sorriso.
[Grazie]
– Ci divideremo in
squadre, – tornò a parlare
Rajani, catturando nuovamente l’attenzione generale. La sua
voce era ferma e
decisa, mentre nella sua mente vagliava tutte le ipotesi. –
Ci
teletrasporteremo a scaglioni, appena fuori dalla città; se
terremo un basso
profilo, nessuno si accorgerà di noi. –
Alzò gli occhi sui presenti. – A patto
di nascondere quelle armature, si intende. Nella notte vi si potrebbe
veder
arrivare da chilometri di distanza. – Vide Mu e Camus
annuire, così continuò. –
Il primo gruppo scenderà al porto, reperendo le barche, e
risalirà il fiume,
fin qui, – indicò un punto fuori dalla
città, in corrispondenza di un’ansa del
Gange, – dove si incontrerà con il secondo gruppo.
Assieme accederanno alle
Caverne. Un terzo gruppo attenderà fuori dalla
città alta, sulla via per
accedere al Tempio. Dovrà prestare particolare attenzione,
poiché quell’area
pullulerà di guardie. Il terzo gruppo sarà il
nostro diversivo: attenderanno
un’ora, prima di fare irruzione nell’anticamera del
Tempio. Intanto, i primi
due gruppi saranno entrati. –
Fissò la mappa,
intensamente; pensò alle
possibili pecche in quel piano, a tutto ciò che sarebbe
potuto andare storto, e
a come evitarlo.
Sheetal osservò
l’amica di sempre stringere
gli occhi, concentrata in quella partita di scacchi con sé
stessa. Le sue iridi
d’ambra erano in tumulto, ma il suo viso era impassibile.
Infine, Rajani
alzò gli occhi. – Il terzo
gruppo sarà composto dai Cavalieri di Bronzo, guidati da
Arun e Ashwini. I
gemelli conoscono bene la città, e sanno come evitare di
essere visti, per cui
devo chiedervi di ascoltarli. –
Seiya era sul punto di
protestare, ma venne
prontamente fermato da Shun. Shiryu annuì, e Rajani
tornò a guardare la mappa.
– Visala è ancora ricercata in città,
quindi guiderà il secondo gruppo.
Deathmask, – lo
guardò negli occhi, – ti
affido la sua incolumità. Per favore, fa che nulla le
accada. – Lui
annuì.
– Sarà
Mu a portarvi, se è d’accordo. –
– Nessun problema.
–
Rajani annuì.
– Camus, Shaka, andate con loro.
Io reperirò le barche, –
osservò un
attimo i presenti, – e Aphrodite verrà con me,
assieme a Yashila. –
– E’
solo una bambina! – Protestò il Cavaliere
dei Pesci, i grandi occhi azzurri sgranati.
– Il volere di
Durga deve essere compiuto, –
affermò solo lei, chiudendo gli occhi. Lo sapeva, Rajani,
che Yashila era solo
una bambina, virtualmente indifesa. Lo sapeva, ma non poteva andare
contro il
volere della Devi, che gliel’aveva mandata proprio in quel
momento di crisi.
– Io
teletrasporterò il mio gruppo e quello
dei Cavalieri di Bronzo; in città, ci divideremo. Partiremo
al calare del sole,
domani. A Varanasi, sarà notte fonda. –
– Credo tu stia
dimenticando qualcuno, Sorella
Tigre, – Sheetal fissò insistentemente Rajani, che
sospirò.
– [Vorrei che tu
rimanessi qui,] – le
confessò, in Hindi.
– [Vorrei che tu
mi lasciassi fare le mie
scelte.] –
Poiché Rajani
sembrava non aver intenzione di
rispondere, la bionda continuò, – [Raja, io devo
venire. È importante.] –
Fu tentata di impedirglielo,
di dirle che no,
non poteva venire. Ma sarebbe stato giusto? Una parte della sua mente
le disse
che non lo era, l’altra che non importava se lo fosse o meno.
Sheetal doveva
rimanere al sicuro.
– [Non
permetterò che tu venga sul campo di
battaglia.] –
– [Non te lo sto
chiedendo, Sacerdotessa di
Durga.] –
Rajani si
irrigidì. – [Rimarrai con Visala, allora.
Nelle Caverne.] –
– [No.] –
–
Sheetal… –
– [Io sono
doppiamente tua pari!] – Esclamò
allora la bionda, infervorata, e Rajani dovette tacere. Era vero, non
poteva
impedirle di fare ciò che desiderava. Non senza rivendicare
il Diritto di
Durga, per lo meno.
– [Non farlo,]
– arrivò la voce bassa di
Visala, – [ti odierebbe.] –
– [Sarei disposta
a farmi odiare, purché
rimanesse al sicuro.] –
– [Ho i miei
motivi, Raja. Non è solo una
questione di orgoglio,] – arrivò il sussurro di
Sheetal. Rajani chiuse gli
occhi, e si seppe sconfitta.
Sospirò.
– Sheetal, tu andrai con il gruppo di
Visala. –
Rajani non lo sapeva, ma,
quel mattino, il
destino di molti fu deciso; o forse sì, lo sapeva, ma non se
ne rese pienamente
conto, allora.
Terminata la riunione,
Rajani si ritrovò a
scendere i gradini di marmo del Grande Tempio, la mente in tumulto. Era
diretta
all’arena, dove sapeva avrebbe trovato i gemelli. Doveva
parlare loro,
spiegargli cosa era stato deciso, e perché. Gli avrebbe
presentato
personalmente i Cavalieri di Bronzo, che camminavano silenziosi alle
sue
spalle, e pregò che l’evidente barriera
linguistica non impedisse loro di dare
il meglio in missione.
Quando infine raggiunsero il
terreno sabbioso dello
stadio dei combattimenti, bagnato da quella pioggia, impietosa, che
solo da
pochi minuti aveva smesso di cadere, Rajani osservò i suoi
discepoli scontrarsi
violentemente l’uno con l’altro. Combattevano a
mani nude, i corpi sudati che
risplendevano al pallido sole, i capelli bagnati attaccati alla pelle
del viso
e delle spalle, i muscoli tesi e scattanti.
– [Siete lenti,]
– commentò solo, atona,
mentre si faceva loro incontro.
Arun sollevò gli
occhi, ma non abbassò la
guardia, parando l’ennesimo colpo di Ashwini e sferrando un
pugno che prese il
gemello in pieno stomaco. Questi cadde, ma portò con
sé anche l’altro, e si
ritrovarono entrambi a terra, pieni di sabbia.
Fu allora che Rajani
scoppiò a ridere,
sentendo la tensione abbandonarle le spalle. Fece loro cenno di
avvicinarsi, e
i gemelli eseguirono - non senza una smorfia disegnata in viso,
però.
– [Questi alle mie
spalle sono i Cavalieri di
Bronzo di Atena,] – li indicò Rajani, –
[e verranno con noi, a Varanasi. Loro
saranno i vostri compagni di squadra, ho pensato fosse bene
presentarveli prima
di domani.] –
Arun annuì, e
Ashwini li salutò cordialmente
con un “Namasté”
a fior di labbra.
– Seiya, Shun,
Ikki, Hyoga e Shiryu, questi
sono i miei allievi, Arun e Ashwini. So che sarà difficile
comprendervi, ma vi
prego di fare uno sforzo e di non agire in modo impulsivo. –
Si rivolse poi ai
gemelli, ripetendo in Hindi le stesse raccomandazioni.
– [Venite, vi
spiegherò meglio i dettagli del
piano sulla strada del ritorno.] – Li osservò
divertita. – [D’altro canto,
avete disperato bisogno di una doccia. O sbaglio?] –
Ridacchiò
sommessamente quando Arun borbottò
qualcosa di simile ad un “no”, lanciando occhiate
di fuoco al gemello.
Il sole calò in
fretta quella sera, o forse
questa fu solo l’impressione di Rajani che, persa ogni
cognizione del tempo, si
ritrovò in meditazione nello Sharasoju.
Il temporale mattutino aveva
lasciato posto ad
una pallida giornata, e ad una notte serena. L’aria era
piacevolmente fresca
contro la sua pelle; il cielo, rischiarato da una luna particolarmente
luminosa, era terso, le pesanti nubi solo un ricordo.
Rajani lasciò che
il vento le scompigliasse i
capelli e che portasse via, con sé, la tensione di quel
giorno. Sentì i
pensieri e le preoccupazioni scivolarle addosso e abbandonarla, mentre
si
rilassava in quella posizione così familiare.
Poco più che un
paio d’ore erano trascorse,
quando sentì passi felpati avvicinarsi a lei. Non ebbe
bisogno di voltarsi, né
di aprire gli occhi, per sapere a chi appartenessero.
– Namasté,
– sussurrò, e la sua voce spezzò il
silenzio della notte.
– Namasté.
–
Lo avvertì
accomodarsi al proprio fianco, percepì
il suo calore, e socchiuse gli occhi, per il puro piacere di guardarlo.
Shaka era seduto accanto a
lei, tanto vicino da
toccarla, quasi. Nonostante le palpebre abbassate di lui, Rajani si
sentì
osservata, e non poté impedirsi di arrossire. Distolse lo
sguardo, imbarazzata.
Fu lui, inaspettatamente, a
farle voltare il
capo, in un gesto simile ad una calda carezza, e Rajani si
ritrovò ad annegare
nell’azzurro intenso dei suoi occhi.
Il respiro le si
mozzò in gola, e smise di
pensare. Era vicino. Quando le
labbra
di lui sfiorarono in un bacio appena accennato la sua fronte, Rajani si
sentì
morire e rinascere. Sospirò, abbassando le palpebre, solo
per riaprirle un
momento dopo.
Si guardarono negli occhi a
lungo,
intensamente, la fronte di lui poggiata su quella di lei, e Rajani non
avrebbe sognato
di essere in nessun’altro luogo al mondo.
Le dita di Shaka le
carezzarono riverenti la
guancia, e lei desiderò ardentemente chiudere gli occhi, per
poter assaporare
quella dolce sensazione a fondo; ma quelle iridi azzurre… la
tenevano
prigioniera, impedendole di privarsi della loro vista fosse anche per
un
momento solo.
I loro respiri lenti si
mescolavano, nella
notte, e nonostante la temperatura Rajani non sentì freddo;
quando la mano di
lui scese a carezzarle la pelle del collo, non fu per il vento che
rabbrividì.
Lasciò andare un
respiro tremante, e sollevò
lentamente una mano, passandola con dolcezza sulla pelle candida della
guancia
di lui. Vide le sue palpebre tremare, per un istante, e si concesse un
sorriso.
In quel momento era felice,
assolutamente e
completamente felice; non c’era nessuna guerra, nessun
demone, nessun
complotto. C’erano loro: c’era lei e, soprattutto,
c’era lui. Nient’altro
importava.
– Ti amo,
– gli disse, semplicemente perché
era la verità.
Shaka non rispose, ma lo
vide rabbrividire e
chiudere gli occhi, e tanto le bastò. Quando lui
l’abbracciò, stringendola al
suo corpo, si sentì pervasa dal calore più dolce,
e lo strinse a sua volta,
beandosi di quel contatto.
Si appartenevano.
Non
ci fu bisogno di altre
parole, quella notte.
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Capitolo 11 *** Rituale di Sangue ***
Per mesi e mesi questo
capitolo è rimasto in parte scritto nel mio computer. Non so
perché non riuscissi ad andare avanti, soprattutto
considerato che non ho mai avuto dubbi su ciò che avrei
dovuto scrivere, ma tant'è...
L'ispirazione sembra
essere tornata tutta assieme. Per puro caso ho riaperto il documento
con il capitolo incompiuto, e ho sentito che potevo continuare, che
potevo andare avanti. Non solo: nemmeno una settimana fa ho iniziato a
scrivere una nuova storia originale, la cui idea mi ha colpita tutto
insieme - mentre ero sotto la doccia, a dire il vero! XD
Mi scuso tantissimo
con i miei lettori per aver atteso così tanto per
aggiornare, ma, dico davvero, la voglia di scrivere mi aveva
abbandonata. Ora spero che non lo faccia più.
Buona lettura e
grazie a tutti,
Gea
Kristh
[Hindi]
– Temi la morte?
–
La voce di Shaka ruppe il
silenzio di quel
mite primo pomeriggio. Rajani non si voltò nella sua
direzione, mentre
continuava a spazzolarsi morbidamente i capelli.
– No, –
rispose, dopo una pausa, – temo il
futuro, qualora non riuscissi nel mio intento. –
Avvertì il calore
della mano di lui su una
spalla, e sospirò, confortata da quel gesto.
Poche ore… Questo
aveva. Poche ore, ed il
destino di molti sarebbe stato rivelato.
Non si accorse di essersi
bloccata fin quando
Shaka, con gesti gentili, non prese la spazzola dalle sue mani; Rajani
si sentì
arrossire, quando lui cominciò a passarla con attenzione tra
i suoi capelli.
– Andrà
tutto bene, – sussurrò, così vicino al
suo orecchio che Rajani si sentì rabbrividire; il fiato di
Shaka le solleticava
il collo latteo, e lei trattenne il respiro, mentre il cuore le
martellava
forte in petto.
Un bacio. Uno solo, proprio
lì, dove il suo
battito pulsava, impazzito, contro la sottile barriera della sua pelle;
Rajani
avvertì un brivido correrle lungo la spina dorsale, e chiuse
gli occhi. Tutti i
suoi muscoli, dapprima tesi dal nervosismo, si erano sciolti, e lei
poggiò la
schiena sul petto di lui, lasciandosi abbracciare da quel dolce calore.
Le ore passarono, lente ed
inesorabili.
Infine, il momento dei preparativi giunse. Ne fu grata:
l’immobilità la
uccideva, ed avrebbe accolto calorosamente l’adrenalina in
circolo nelle sue
vene.
Con un gesto secco Rajani
assicurò le cinghie
dei pugnali alle cosce. I pantaloni, di morbida pelle scamosciata, le
cingevano
in uno stretto abbraccio i fianchi e le gambe; sul busto, il corpetto
le
lasciava completamente nuda la schiena, come da lei stessa richiesto
alla sarta
– la tigre di Durga non sarebbe stata contenuta, non quella
notte.
Rajani lo poteva sentire
– il tilak, impresso
sulla propria pelle,
pulsava di vita propria; era come se la tigre stesse tornando
lentamente alla
vita, preparando gli artigli per la battaglia imminente.
Sheetal, alle sue spalle,
era più silenziosa
del solito, mentre le raccoglieva i capelli sul capo, in
un’acconciatura
abbastanza stretta da non sciogliersi nemmeno nel mezzo della lotta.
Non parlò.
D’altro canto, l’ora delle parole
era passata – il sole stava calando: era giunto il momento.
Quella notte, in
gioco c’era il destino di Varanasi – il destino
dell’India intera.
Il Vajra riposava inerte sul
suo cuscino di
seta; gli ultimi raggi di sole ne colpivano i rubini, creando un
perverso gioco
di luci e di ombre rosse in quella piccola stanza altrimenti candida.
Sembrava
quasi un presagio, pensò Rajani, un presagio raccapricciante
di morte e di
sangue.
La tigre, che era parte di
lei come il suo
corpo stesso, danzava immobile sulla sua pelle. Lei voleva
essere liberata – si sentiva intrappolata, in quei confini
di carne e di sangue; voleva la battaglia, voleva la vittoria. Rajani
lo poteva
sentire: il rombo del suo ruggito, basso e roco, era lì,
dietro ogni suo
pensiero, e rimbombava assordante negli antri più profondi
della sua mente.
Visala entrò
nella stanza, silenziosa come uno
spirito – era cerea, ma Rajani scelse di non commentare quel
pallore. Le porse
invece un pugnale, immerso nel suo fodero, e la ragazza lo
accettò con un cenno
del capo. Rajani pregò che mai avesse causa di estrarlo.
L’abbigliamento
della giovane Sacerdotessa di
Sarasvati non era dissimile dal suo: stretti pantaloni di pelle ed una
maglia
che le lasciava nuda la schiena. I capelli corvini, raccolti sul capo
come sua
consuetudine, non potevano celare il tilak
del cigno, che pareva rifulgere d’argento
nell’improvvisa penombra.
Una scelta comune, una
scelta d’orgoglio e di
rabbia: ecco cos’era stata quella di denudarsi la schiena per
l’imminente
battaglia. Accusate di tradimento, costrette all’esilio dalla
loro terra natia,
avrebbero portato con onore i segni della benevolenza della Devi
– una
benevolenza che mai, mai avevano avvertito così viva.
Sheetal stessa si era
raccolta i capelli
dorati in uno stretto chignon; i suoi lineamenti per la prima volta le
erano
apparsi duri – o, forse, era la rabbia nei suoi occhi a farla
apparire come una
guerriera dinnanzi a Rajani.
Per un istante, un istante
soltanto, mentre
immergeva le sue iridi d’ambra in quelle turchesi di colei
che aveva sempre
considerato una sorella, fu certa di udire i sonagli del serpente
risuonare
nell’aria – e Rajani non pensò nemmeno
per un istante di averlo immaginato.
Fu in religioso silenzio che
uscirono infine
dalla Sesta Casa.
Il peso dolce del Vajra era
confortevole alla
sua cintola – o forse era il suo calore, che pareva
penetrarle la carne ed
immergersi più giù, in profondità, nei
celati anfratti in cui la sua stessa
anima fremeva.
Fu una discesa lenta,
perché tra le mani
Sheetal portava un pesante vassoio: sopra, disposte ordinatamente,
sedevano
piccole tazze ed una brocca d’argento. Non aveva detto loro
nulla riguardo il
suo contenuto, ma Rajani poteva ben immaginare cosa vi fosse
all’interno – se
non per esperienza, avrebbe trovato rivelatrici le bende attorno al
polso
destro della donna che era al contempo Sacerdotessa di Lakashimi e
Sacerdotessa
di Manasa.
Il cielo già si
tingeva di arancio, quando
infine l’ultimo dei gradini fu alle loro spalle.
Davanti alle mura della Casa
dell’Ariete, una
piccola folla era radunata. La
piccola
Yashila fu la prima ad accorgersi della loro presenza, e si fece loro
incontro
a grandi passi. Rajani le sorrise, chinandosi alla sua altezza per
poterla
guardare in quegli occhi di tigre, così simili ai suoi.
– [Mia piccola
sorella,] – le mormorò piano, –
[questa notte... questa notte torniamo a casa nostra.] –
Yashila non rispose, ma un
sorriso sghembo si
aprì sulle sue labbra. Aveva capito. Aveva capito tutto.
Alzando lo sguardo, fu con
sicurezza che
incontrò gli occhi scuri dei gemelli. Passò in
rassegna ognuno dei presenti, e
fu soddisfatta da ciò che vide: forza, coraggio e dedizione.
Shaka la stava guardando
– non con gli occhi,
no, ma Rajani avvertiva la sua attenzione su di sé come una
calda carezza. Era
bello, con l’armatura della Vergine a catturare gli ultimi
sparsi raggi di
sole, e quell’aria di magnificenza a circondarlo del suo
mantello; poteva vedere,
al suo collo, la catenina che lei gli aveva donato tanto tempo prima:
la ruota
del dharma, il simbolo del Buddha – e, per lei, da sempre il
simbolo del suo
amore per lui.
- Prima della partenza,
c’è ancora qualcosa
che dobbiamo fare, - parlò Visala, e la sua voce profonda
sembrò rimbombare
nell’aria chiusa di quella serata.
Sheetal annuì,
solenne. Si inginocchiò a
terra, così fluida ed aggraziata che Rajani dovette
sorridere: nemmeno la
tensione pareva intaccarla.
Il vassoio toccò
terra con un suono sordo. Fu
meticolosa, nel riempire ognuna di quelle piccole tazze
d’argento con il
liquido rosa contenuto nella brocca – Sheetal sentiva gli
sguardi dei presenti
su di sé, ma non ne ebbe cura.
Andava fatto.
Si risollevò,
infine, il vassoio ancora una
volta tra le mani. Furono le sue sorelle le prime alle quali lo porse.
Rajani
prese la tazzina a lei più prossima, chinando il capo in
segno di
ringraziamento; vide Visala fare lo stesso.
Ad ognuno di coloro che
sarebbero partiti in
missione venne presentata una tazzina, ed ognuno di questi
accettò – invero,
molti non compresero la natura del dono.
–
Cos’è? – Chiese infine Death Mask.
Sheetal misurò
le parole da dire, ma fu battuta sul tempo.
Fu la serafica Visala a
parlare: – Non porre
domande alle quali non desideri ricevere una risposta. –
Lui si limitò ad
una smorfia, ma non commentò
oltre.
– Bevete,
– ordinò infine Sheetal, e loro lo
fecero.
Rajani avvertì il
liquido scivolare giù per la
gola, e, nonostante sapesse cosa attendersi, dovette sforzarsi per non
storcere
il naso. Il sapore metallico del sangue le permeò la bocca,
riportandole alla
mente altri tempi, tempi passati, in cui, allieva, aveva spesso
assaggiato il
sapore del suo stesso sangue.
Con una punta di
ilarità Sheetal osservò le
reazioni attorno a lei, ma si impose di rimanere seria –
anche quando Death
Mask si lanciò in una serie di imprechi non meglio
identificati, fulminandola
con lo sguardo.
– Perdonatemi se
il mio dono vi ha arrecato
fastidio, non era mio desiderio. Consideratelo un piccolo prezzo da
pagare, per
i benefici delle sue proprietà, – si
scusò, una volta placati gli animi. – Non
vi salverà la vita, non da solo, ma rallenterà
qualsiasi veleno abbastanza a
lungo perché io possa sperare di curarvi, in caso di
bisogno. Non avrò morti
sulla coscienza, non se posso evitarlo. –
Fu Aphrodite il primo a
rivolgerle un cenno
col capo, con un mezzo sorriso sulle labbra piene. Lo
ricambiò, ringraziandolo mentalmente
per la comprensione.
– Un piccolo
prezzo davvero, – assentì anche
Camus. I suoi occhi, fissi in quelli di lei, sembravano leggerle
l’anima, e
Sheetal si trovò ad arrossire e distogliere lo sguardo suo
malgrado. Si maledì
mentalmente: non poteva perdere la concentrazione, non in un momento
così
critico. Prese un respiro, chiuse gli occhi, e si impose la calma.
– Sacerdotessa di
Durga, – pronunciò,
voltandosi verso l’amica; Rajani le rivolse un cenno
d’assenso, e le si fece
incontro. – Porgimi le mani. –
Le presentò i
palmi, rivolti al cielo rosso
come in segno di preghiera. Si fissarono, per un momento, a pochi passi
l’una
dall’altra, e non ci fu bisogno di parole. Sheetal estrasse
il pugnale dal
fodero ancorato alla sua coscia, ed avanzò verso di lei.
Quando la punta affilata
della lama affondò
nella sua carne, ed il sangue le riempì i palmi, Rajani non
emise alcun suono.
Indurì gli occhi, fissi davanti a lei, senza mai chinare il
capo.
Surakṣā.
Protezione.
Sheetal l’incise
con riverenza e minuzia su un
palmo, poi sull’altro. La lama, dal filo perfetto, scorreva
fluidamente sulla
pelle della Sacerdotessa di Durga, tagliando in profondità;
il sangue gocciava
a terra, copioso, sporcando d’amaranto il marmo bianco del
tempio. Quando
infine terminò la sua opera, Sheetal esalò un
profondo respiro, e sorrise.
Baciò la lama, poi la fronte dell’amica immobile.
E, sotto gli occhi di quel
tramonto greco, la Devi rispose all’appello: i tagli si
chiusero, la pelle
assorbì il sangue – quella parola,
però, sarebbe rimasta incisa in lei,
impressa nel suo spirito grazie alla benedizione di Lakashimi.
– Dhan'yavāda,
– mormorò, puntando i suoi occhi di tigre in
quelli turchesi della bionda.
[Grazie]
Sheetal sorrise, e lei
dovette ricambiarla. Le
strinse forte la mano, grata davvero di non essere sola.
Spostò lo sguardo
su Visala, che già le si
faceva incontro, altera ed impassibile. Tra le mani, la giovane
Sacerdotessa di
Sarasvati aveva un pugnale, che le offrì silenziosamente;
Rajani l’accettò, e
non per errore lo afferrò dalla lama: non esitò
nello stringerla tra le dita,
con forza, anche quando avvertì l’acciaio
penetrare la barriera della pelle –
per la seconda volta, quella sera, sangue fresco macchiò il
candido pavimento
del tempio di Atena.
– Porgimi le
braccia, – richiese la mora, e la
sua voce era profonda e cupa, più di quanto non lo fosse mai
stata.
Rajani eseguì
l’ordine, lasciando che il
pugnale insanguinato cadesse a terra. Con le dita Visala raccolse il
fluido
amaranto dalle sue mani, e con estenuante lentezza dipinse lungo i suoi
avambracci: Majabūra, Forza, e Bhāvanā, Spirito. Le porse infine la
mano destra, quella che aveva utilizzato per scrivere, e Rajani si
chinò per posare
un bacio sulla punta delle sue dita.
Come era accaduto solo pochi
minuti prima, la
sua pelle assorbì il sangue, che parve ribollire e poi
svanire, lasciando in
sua vece solo pallide scie. Le mani della rossa, di nuovo intatte,
strinsero con
forza quelle della mora. – Dhan'yavāda,
– le disse.
I Rakta
anuṣṭhāna, i rituali di sangue, erano stati compiuti. Non era
più sola,
nemmeno nella sua stessa pelle: sentiva i flussi delle loro energie, i
flussi
delle energie delle sue sorelle, intrecciarsi al proprio – e
finché fosse
durato, finché avesse camminato nella luce non
più di Durga solamente, ma di Lakashimi,
e di Manasa, e di Sarasvati, allora non avrebbe potuto temere per il
futuro – il
caldo tepore della luce divina glielo impediva.
Quello era il Legame, uno
dei grandi doni
della Devi alle sue Sacerdotesse.
Rajani alzò lo
sguardo al cielo, e respirò a
pieni polmoni. Il sole era calato.
– Il momento della
resa dei conti è infine
giunto. Andiamo. – |
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