Il ritorno del signore oscuro.

di Laitalee
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sono tornato.... mio malgrado. ***
Capitolo 2: *** dal diario di Tom: In viaggio ***
Capitolo 3: *** In viaggio ***
Capitolo 4: *** In giro per la citta ***
Capitolo 5: *** Lucius Malfoy ***
Capitolo 6: *** Fenrir Greyback ***
Capitolo 7: *** Potter..... ***
Capitolo 8: *** Love will tear us apart ***
Capitolo 9: *** Bellatrix ***
Capitolo 10: *** Anticaglie ***
Capitolo 11: *** Irrequietudine ***
Capitolo 12: *** Dal diario di Tom: Silente. ***
Capitolo 13: *** Un nuovo inizio. ***
Capitolo 14: *** Viaggio a Praga - Cross over con Dampyr - parte I ***
Capitolo 15: *** Viaggio a Praga - Cross over con Dampyr - seconda parte ***
Capitolo 16: *** Viaggio a Praga - Cross over con Dampyr - Fine ***
Capitolo 17: *** Il segreto di Reyes ***
Capitolo 18: *** L'altro libraio - Draco Malfoy ***
Capitolo 19: *** L'altro libraio - Draco Malfoy parte seconda ***
Capitolo 20: *** L'altro libraio - Draco Malfoy ultima parte ***
Capitolo 21: *** 31 dicembre - dal diario di Tom ***
Capitolo 22: *** Un cimelio dall'oscuro passato ***
Capitolo 23: *** Jack O'Lantern ***
Capitolo 24: *** Jack O'Lantern Fine ***
Capitolo 25: *** Spiriti nella neve ***
Capitolo 26: *** Fantasmi babbani ***



Capitolo 1
*** Sono tornato.... mio malgrado. ***



Sono tornato, si, per la seconda volta. Stavolta però non c'entro nulla. Mi hanno riportato in vita dei seguaci, e devo ammettere che hanno fatto un lavoro anche migliore del mio. Mi hanno ridato un volto umano, ho il mio naso, i miei capelli, i miei occhi. Ho l'aspetto che avrei avuto attorno ai quaranta, se non avessi spezzato la mia anima per farne Horcrux. Hanno esumato il mio cadavere dal cimitero dov'ero stato sepolto, vicino a mio padre, ironia del destino. Hanno tirato fuori quello che rimaneva di me, dopo 5 anni dalla battaglia finale di Hogwarts, ed inizialmente mi hanno trasformato in un Infero. Hanno rimpolpato le mie ossa, con calma, dedizione, pazienza, e quando il mio corpo era stato restaurato abbastanza hanno evocato la mia anima. Mi sono “risvegliato” su un altare, nudo, gridando di dolore, mentre un paio di maghi e di streghe brandivano i frammenti dei miei Horcrux e cantilenavano incantesimi... mi sono sentito invadere dal dolore e dal piacere, mentre rientravo nel mio corpo, e poi sono svenuto per giorni. Mi sono ripreso solo per la fame, praticamente, e mi sono trovato circondato in un istante da volti adoranti, pronti a soddisfare ogni mia esigenza... ma ricordo pochissimo di quei primi giorni, se non le cure della gente che mi circondava, mormorando un nome che ricordavo a mala pena. Quello che ricordo era il dolore che sentivo. Non fisico, no, piuttosto una terribile sensazione di nostalgia. Era come se mi avessero portato via da casa, per catapultarmi in un luogo lontano e pieno di dolore. Credo di aver pianto come mai prima di allora, in quelle prime notti, senza nessuno che ascoltava le mie lacrime, senza nessuno a battermi su una spalla. All'orfanotrofio c'era un ragazzino che mi consolava sempre, quando piangevo. Si chiamava Harry, che coincidenza. Se lo portò via la tisi, quando avevamo otto anni. La stessa estate cominciai ad usare i miei poteri per far male, tre mesi dopo che avevo perso il solo amico che ho mai avuto in vita mia. E quelle notti lo ricordai, per la prima volta da decenni, e lo piansi, come se fosse appena morto.

Lentamente cominciai a recuperare tutti i miei ricordi, ed anche una sensazione di tristezza che non avevo mai provato in vita mia... Credo che abbiano davvero fatto un lavoro anche migliore del mio, per la mia seconda resurrezione, ma non posso dire di esserne contento. Credo che abbiano recuperato la mia anima, nella sua integrità. Con tutto quello che ciò comporta, in termini di coscienza e consapevolezza. Un conto è essere un assassino senza che questo comporti grandi rimorsi. Un altro è esserlo con la piena consapevolezza del male compiuto, in tutti i dettagli. È da allora che non sono più sicuro di ciò che sto facendo, che vogliono che io compia. Ora che sono tornato, i miei seguaci sembrano anche più determinati di prima ad aiutarmi a riconquistare il potere, ma sono io a non esser più sicuro di volerlo. Mi è stata data un'altra occasione e non sono sicuro di voler ripercorrere la medesima strada. Ma se loro si accorgono dei miei dubbi, che mi faranno? Nessuno è più in pericolo di un comandante dubbioso davanti ad un esercito di fanatici...

Sono passate settimane, prima di scoprire quanti erano a conoscenza del mio ritorno. Poco più di mezza dozzina. Li ho uccisi tutti, senza alcuno scrupolo, come un tempo. Non volevo che ci fossero altri a conoscenza del mio ritorno, colmi di aspettativa su quello che avrei dovuto fare, secondo loro. Non voglio più tornare ad esser quello che ero prima. Il sogno è spezzato, l'ambizione è morta con la mia vita precedente.

Ho fatto un test. Sono stato a Diagon Alley, ho camminato tra i maghi che mi temevano. Nessuno mi ha riconosciuto. Sono tornato anonimo, con il mio vero volto. Mi sono scoperto persino attraente, a giudicare dalle occhiate ammirate delle streghe che incrociavano il mio sguardo, che cercavano il mio sorriso.
Ho anche pranzato a due passi dal mio nemico di un tempo, Potter, già. Mi ha guardato senza riconoscermi. Mi ha chiesto il posacenere, posato sul mio tavolo e lo ha preso dalle mie mani, mi ha guardato, senza immaginare nemmeno lontanamente chi aveva davanti. Avrei potuto ucciderlo in quell'istante, ma non aveva più alcun senso. Non mi importa più se vive o muore, l'ho compreso guardandolo. Mi ha persino fatto pena: lo guardavano tutti, sorridendogli, facendo complimenti, tutti che si ricordano che cosa ha fatto. E lui che si vergognava di tanta celebrità. Poveretto. Da bravo orfano non sa accettare di esser amato. Non riesce a far pace con il fatto di suscitare amore, gli sembra sempre superfluo, immeritato. Mi ha fatto pena, ed ho capito che stavo provando pena per il riflesso di me stesso nei suoi occhi. È stato più di quanto potessi sopportare, me ne sono andato. Lontano.
Ho attraversato l'oceano per trovarmi un posto nuovo, una vita nuova, un luogo dove il mio nome non avesse alcun significato.

Curioso. Ho cercato di farmi un nome temibile, al punto che nessuno osava più pronunciarlo. Ho cercato di dimenticare il mio nome vero. Ed ora voglio un nome che non dica più nulla a nessuno. Ho cercato l'amore, ed ho trovato il desiderio. Ho cercato di imparare ad amare, per vedere se aveva davvero un senso, ed ho scoperto dolori più grandi dell'incapacità di amare. Mi hanno battuto perché sapevano soffrire? O perché trovavano un senso nel soffrire per amore? Io non lo so. So solo che cercare la pace di fronte al mare del mio faro, mi sta dando un senso più profondo di quello che ho mai trovato nell'ambizione di potere che mi ha divorato per tanti anni. Cerco la pace. Aspetto che questa nuova vita che mi è stata data mi insegni a star bene con me stesso, più di quanto sia riuscita l'ambizione della mia vita precedente.

Che gli dei mi aiutino, visto che maghi ed uomini non sanno farlo.
Di fronte al mare in tempesta che cerca di abbattere il faro in cui abito, sull'altra sponda dell'oceano, mi ritrovo uguale a me stesso, eppure diverso. So che la mia strada è sgombra dalle aspettative di un tempo, ma non ho ancora scoperto cosa sto cercando. Aspetto che il mare plachi la tempesta che sento dentro, per trovare la risposta celata in piena vista, il bisogno che mi dica, ecco, questo è quello che voglio.

Lord Voldemort è morto e sepolto. Tom Orvoloson Riddle è dimenticato. Non sono più colui che non può esser nominato. Sono colui che ancora non ha nome, come una pietra, un albero, esisto. E questo basta, per ora. Forse.

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Capitolo 2
*** dal diario di Tom: In viaggio ***


Erano sette, coloro che malaccortamente mi riportarono in vita. Quattro uomini e tre donne. Li ho uccisi tutti. Non avevo altra scelta, se volevo andarmene da lì vivo, senza il fardello della loro missione da realizzare sulle spalle.

Erano fanatici, tutti più giovani dei mangiamorte che avevano combattuto con me l'ultima volta. Avevano creato il mio mito a Durmstrang, dicendosi che gli inglesi erano stati dei deboli e degli inetti e che se fossero stati loro a seguirmi avrei vinto sicuramente.

Erano animati dal sacro fuoco della devozione cieca, del fanatismo alla causa, più che a me, e diventavano sempre più inquieti e minacciosi nel vedermi temporeggiare, esitare.

Una di loro in particolare, Anjanka. La padrona di casa, colei che aveva voluto fortemente il mio ritorno, che aveva convinto gli altri ad esumare di nascosto il mio cadavere e far la fatica di provare a riportarmi in vita, rintracciando i frammenti di Horcrux distrutti, sperimentando rituali magici che nemmeno io avrei osato tentare, evocando demoni e spiriti per riportarmi indietro e riprovare a conquistare il potere con me alla guida. Che bisogno avevano poi di me, mi sono chiesto, se erano tanto determinati? Ma tant'è, guidati da lei ce la fecero.

Una grandissima strega, bisogna riconoscerglielo. Capace, potente. Completamente pazza. E molto bella. Alta, dai lineamenti nobili, alteri, lunghissimi capelli neri, occhi di ghiaccio, un corpo molto sensuale. Dopo qualche settimana dal mio ritorno, quando avevo recuperato le forze e la memoria, s'infilò nel mio letto, una notte. La prima di tante. Non me ne stupii.... mi succedeva di frequente che qualche mia seguace mi seducesse, anche nel passato. Ai tempi del mio primo ritorno, pur con il viso deforme, Bellatrix si era infilata spesso nel mio letto, lasciando il marito consapevole del tradimento a soffrire, senza potersi ribellare. Il fascino del potere va spesso oltre l'aspetto esteriore. Le ho sempre accolte, praticando con loro non mero sesso ma magia sessuale, volta ad accumulare potere.

Non lo feci con Anjanka, non ci riuscii. In realtà bramavo un contatto umano più intenso della devozione timorosa degli altri, sentivo la necessità di qualcosa di più, anche se non ero in grado di definire che cosa. Avevo bisogno di rassicurazione, di calore umano, di una forma di affetto, in qualche modo.

Quando quella notte la sentii svegliarmi, le labbra calde che baciavano il mio viso, le mie labbra, le sue mani impazienti che esploravano il mio corpo, che carezzavano la mia pelle, non ci pensai nemmeno un istante. La ricambia con gratitudine, con una passione bruciante, presi possesso delle sue labbra e del suo corpo con vorace bisogno, senza pensare a nulla, furiosamente, gridando di passione, trascinato dalla lussuria più cieca, guidato solo dall'istinto, più e più volte. Fu una cosa incredibile. Non so se fosse per il bisogno disperato che avevo di un contatto umano o perché il mio corpo rinnovato reagiva meglio e più intensamente agli stimoli, ma ciò che provai quella notte non lo avevo mai provato prima. Orgasmi brucianti, devastanti, in grado di annichilirmi totalmente.

Mi persi nel suo corpo, nelle sue braccia, fino a svenire sfinito con il viso posato sul suo seno, lei che mi carezzava i capelli mormorando parole dolci che nemmeno sentivo.

Fu la prima di molte notti, in quel modo, anche se la forza dei sensi non fu mai più così devastante. Anche perché cominciava ad inquietarmi.

Parlava costantemente, facendo progetti per il futuro, per quando avremmo riconquistato il potere, per quello che avremmo fatto ai babbani per asservirli, alle altre razze magiche, progettava di farmi da compagna, di darmi persino un figlio per iniziare una stirpe di dominatori del mondo magico... io la ascoltavo senza commentare, maturando la consapevolezza che non me ne importava più nulla. Non ero interessato a quei deliri di onnipotenza. Li riconoscevo come parte del mio passato, ma non mi coinvolgevano più. Non mi riguardavano. Non volevo più provarci, a ritornare al potere. Tutto il mio odio verso i babbani, tutta la mia ambizione sembravano appartenere ad un'altra persona, non a me.

Fu a causa sua che cominciai a rendermi conto che se volevo andarmene vivo dal suo castello, senza di loro e senza seguire il progetto che avevano per me, dovevo ucciderli tutti. Esitavo, prendevo tempo, rispondevo evasivamente alle continue domande di lei, ma vedevo i loro sguardi farsi sempre più inquieti, preoccupati. Li sentivo mormorare, chiedersi se non avevano sbagliato qualcosa nell'incantesimo che mi aveva riportato in vita. Percepii l'idea di uccidermi e riprovare... per vedere se riuscivano meglio, stavolta. Fu la goccia che fece traboccare il vaso.

Li riunii tutti, come se volessi finalmente partire con il loro progetto. Mi guardavano sospettosi, inizialmente, finché non cominciai a parlare. Delirai sulla stirpe, sulla tradizione, finché non si rilassarono. Ed allora li uccisi. Quattro con un incantesimo deflagrante, gli altri con l'Avada, prima che potessero reagire. Hanno a mala pena avuto il tempo di reagire, tentando maldestramente di disarmarmi. Solo Anjanka ha tentato di rispondere al mio Avada con un altro Avada. Lo sguardo di puro odio che aveva negli occhi, un attimo prima che la uccidessi, mi tolse ogni rimorso.

Ho ucciso decine di persone, ho ucciso mio padre ed i suoi genitori che non ero nemmeno maggiorenne. Un tempo lo facevo freddamente, senza emozioni particolari. Ma quando spensi la luce negli occhi di Anjanka, l'ultima del gruppo, restai immobile a guardarmi attorno, a fissare tutti quei cadaveri con il cuore in gola, sconvolto dalla mia stessa ferocia. Li avevo uccisi senza dar loro possibilità di scampo, rendendomi conto della determinazione con cui lo facevo, del mio potere non solo intatto ma persino più forte. Avevo sentito una parte antica di me gioire del potere, della capacità di uccidere con un solo gesto tutte quelle persone ed uscirne indenne. Ma un'altra parte ne fu orripilata. Quella più recente.

Mi accucciai, sconvolto, a guardare quello che avevo fatto. Pur avendolo maturato per giorni, avendo progettato tutto nei dettagli, cosa fare, dove andare, mi ritrovai a fissare tutti i morti che avevo fatto chiedendomi perché. Per cosa? Ne valeva la pena? Non sarebbe stato meglio lasciarmi uccidere.... magari avrebbero fallito ed io avrei potuto riposare tranquillo. Ma il mio istinto di sopravvivenza, sempre più forte di qualunque mio ragionamento, mi fece rialzare e seguire il piano, roboticamente, senza un pensiero logico a parte la volontà cieca di fuggire da lì.

Radunai pochi abiti da babbano, qualche strumento magico indispensabile, la bacchetta nuova che avevano fatto fare per me, visto che la mia era stata spezzata al mio funerale, tutti i soldi che riuscii a trovare e me ne andai via, dando fuoco al castello, per cancellare ogni traccia. Girai le spalle a quel rogo e mi inoltrai nella foresta.

Arrivai ad un villaggio babbano, nel cuore della Russia occidentale. Presi il primo treno che trovai, scoprendo solo sopra che avevo preso la transiberiana diretta in Cina.

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Capitolo 3
*** In viaggio ***


Sul treno verso la Cina mi ritrovai ad avere un deja vù.... avevo gia viaggiato, su quel treno, più di cinquant'anni prima

Ho sempre amato viaggiare. Il primo viaggio lo feci un paio d'anni dopo aver finito Hogwarts... girai il mondo, letteralmente. Sparii dall'Inghilterra per una decina d'anni, andai in cerca di adepti, di potere, di magia oscura ovunque la trovassi. Viaggiai tra i babbani e tra i maghi, pieno di rabbia, di ambizione.

Ma vi furono luoghi che mi conquistarono.

La Cina, il Giappone, con le loro tradizioni antichissime, con maghi di incredibile potere e scuole di magia come non mi immaginavo nemmeno esistessero. Mi fermai un paio d'anni in Cina, imparando la lingua e gli incantesimi più potenti.

Andai in India, e rimasi freddo di fronte ad una spiritualità tanto aperta e tollerante... ma trovai anche là tracce di magia oscura e dimenticata, di cui feci presto ad appropriarmi.

Imparai la magia nera dagli sciamani africani, esplorai l'Egitto in cerca di vecchie pergamene, scesi in tombe etrusche e greche a caccia di saperi antichi e dimenticati.

Girai l'America dal Sud al Nord, esplorando le foreste, inseguendo spiriti e demoni ancestrali. Conobbi sciamani di tutti i popoli, dal polo sud al polo nord.

Credo che nessun mago prima e dopo di me abbia girato e cercato tanto. Cercavo qualcosa che mi rendesse immortale, lo confesso. E la sola magia che mi soddisfacesse rimase quella degli Horcrux. Ma non perché non ce ne fossero di migliori. In realtà trovai in tutte le culture modi per diventare immortali, più o meno efficaci. Pensai addirittura di farmi vampirizzare, per un po', ma conclusi che l'immortalità post mortem ed il rischio di esser battuto tanto facilmente da una croce e da un raggio di sole non mi attirava.

Gli Horcrux.. soddisfacevano la mia sete di crudeltà. L'idea che gli omicidi che commettevo potevano servire a farmi diventare immortale appagava la mia sete di vendetta verso il mondo, il mio odio, la rabbia che mi portavo dentro. Tornare in Inghilterra carico di quel potere, di quell'odio, di quelle conoscenze, accrebbe il mio desiderio di prendere il potere su coloro che più di tutti mi avevano umiliato. Volevo prendere il sopravvento sul mondo magico inglese per potermi manifestare ai babbani e sottometterli, tutti, per punirli di avermi trattato come un reietto, come un rifiuto della società. Perché ero orfano, e perché ero diverso.

La società degli anni trenta e quaranta in cui ero cresciuto era ferocissima verso gli emarginati... ed esser mago e orfano significava non esser altro che un diverso da lasciarsi dietro, senza possibilità di redenzione. Ed io non la volevo, non volevo redenzione, volevo affossarli tutti, volevo vendicarmi, sterminare tutti quelli che mi avevano sottovalutato e dimostrare a loro chi ero veramente, quale errore avevano fatto a credermi solo un reietto, un inutile rifiuto della società, un mostro. Fu così che divenni un mostro anche peggiore. Un demone, nemmeno più umano.

Ed ora mi ritrovavo sullo stesso treno del mio primo viaggio, a cinquant'anni e più di distanza, a guardare il mondo con occhi totalmente nuovi. Nessun odio a mordermi, a muovermi, nessuna rabbia. Ero vuoto, totalmente. Nessuna emozione, completamente apatico, emotivamente azzerato dalla rinascita e da quello che avevo dovuto fare per fuggire e riguadagnarmi la libertà. Non mi era poi difficile far pace con tutti i morti che avevo lasciato dietro di me, ci ero abituato, in qualche modo... era come un dazio da pagare per lasciarmi alle spalle la mia vita precedente. Uccidere da assuefazione, dopo un po' non ti rendi più conto di quanto sia devastante, per cui non mi sentivo particolarmente appesantito dalla colpa.

Ad annichilirmi era la sensazione di vuoto che provavo verso me stesso. Non sentivo più nulla, ambizioni, desideri, emozioni. Nulla. Quando scoprii di essermi guadagnato anche un compagno di viaggio restai freddo... eppure fu determinante, per il resto della mia nuova vita.

Un elfo. Cletus, si chiamava, era di servizio al castello di Anyanka. Quando avevo dato fuoco alla villa, la famiglia di elfi era fuggita, tradizione vuole che quando i membri di una famiglia magica muovono tutti, gli elfi che li servono tornano liberi, per cui Cletus era libero, di fatto... ma scelse di seguirmi.

Era quello cui Anyanka aveva deputato le mie cure. Mi portava la colazione, mi serviva, mi seguiva... ed era uno strano elfo, me ne ero già accorto. Mi guardava con una sorta di ironica benevolenza, quando lasciavo in giro la roba, mi decorava il cibo con ghirigori a forma di serpente, mi lasciava biglietti per informarsi dei miei gusti in fatto di cibo e mi chiedeva piccole cose. Pensavo lo facesse per diventare semplicemente un servitore migliore, ma scoprii dopo che mi stava studiando più attentamente dei suoi padroni e mi aveva capito meglio di loro. I ghirigori che scambiavo per serpenti erano punti interrogativi. Aveva intuito i miei dubbi e cercava di farmelo sapere. Mi aveva sentito piangere, quelle prime notti, e non capiva che avessi da piangere se ero come dicevano il più grande e pericoloso mago oscuro del mondo. Come gli animali, aveva interpretato correttamente il mio linguaggio corporale, ed aveva capito che non ero affatto felice di esser tornato... e non volevo farlo capire agli altri.

Non rimase per nulla scosso quando uccisi i suoi padroni, e quando si fece vedere, in treno, mi ringraziò per aver liberato lui e la sua famiglia da padroni così cattivi. Cercai di cacciarlo, ma lui si mise a ridere.

Cletus è un elfo libero, Signore.. non potete ordinarmi nulla.” disse. “Voglio seguirvi nel vostro viaggio perché mi va di farlo.. e non potete impedirmelo.” concluse incrociando le braccia e guardandomi con aria di sfida.

Restai a guardarlo, stupito. Riflettei.. ricordavo il ruolo che avevano avuto gli elfi nella battaglia finale di Hogwarts... e dai racconti dei nuovi seguaci avevo compreso di avere molto sottovalutato la magia e le caratteristiche di questa razza magica.. pensai che potevo capire meglio i miei errori del passato se me lo portavo dietro e decisi che tutto sommato non mi cambiava nulla, se questo elfo voleva seguirmi a tutti i costi.

Quanto mi sbagliavo...

Cominciò a prendersi cura di me a modo suo, lanciandomi occhiate ironiche, commentando la mia attitudine al disordine, permettendosi spiritosaggini che non si sarebbe mai permesso se fosse stato il mio servo. Trattandomi come un suo pari. Anzi, pretendendo che io lo trattassi come un mio pari.

Pian piano all'irritazione subentrò il divertimento. Era come avere un grillo parlante, una scimmia curiosa e dispettosa, capace di parlare e di indispettirsi. Era capace di sparire per giorni, se rispondevo male, per poi farsi vedere con aria offesa e facendomi dispetti. Non sono mai riuscito a capire completamente perché si sia attaccato tanto a me, se non pensando che mi trovava tutto sommato divertente.. aveva una strana indole avventuriera, quell'elfo. Si spaventava per i botti, i tuoni, i rumori forti, ma era capace di affrontare le bestie feroci come fossero gattoni. Quando arrivammo in Cina, scoprendo che parlavo mandarino, mi guardò ammirato, annuendo come se avesse avuto conferma di essersi scelto davvero il compagno di viaggio giusto.

Scendemmo dal treno in Mongolia. Volevo rivedere la steppa, bermi i cieli infiniti, il deserto silenzioso, la solitudine del nomadismo... avevo una vecchissima conoscenza da andare a trovare, uno sciamano di 200 anni.. e scoprii che era morto, lasciando il suo posto ad un giovanotto che mi guardò con sospetto, quando gli dissi di averlo conosciuto tanti anni prima. Mi resi conto che il mio aspetto era troppo giovanile, per poter esser credibile.. e compresi che non avrei mai più potuto entrare direttamente in contatto con persone del mio passato. Da una parte non mi avrebbero riconosciuto, dall'altra non avrei potuto spiegare il mio aspetto, ancora così tanto giovanile.. e tutto sommato era una buona cosa. Avevo la possibilità di guardarmi da lontano, ripercorrere la stessa strada e vedere le stesse cose con occhi nuovi.

Ripartii quasi subito, diretto in India. E stavolta il buddismo mi toccò profondamente. Mi trovai a pregare in un tempio, inondando il mio volto di lacrime di fronte a mille altri in preghiera, tanti in lacrime come me... e pregai, fino a quando la preghiera stessa non mi consolò, in qualche modo, non so come.

Uscii da quel tempio antichissimo respirando aria nuova. Una fiammella di emozione mi si era riaccesa dentro, e me la tenni stretta, riscaldandomi come potevo ad essa, senza sapere che cosa fosse.

Forse fu quella sera che risi per la prima volta, trovando il piatto decorato da Cletus. Aveva preparato un semplice piatto di riso al curry e con la salsa ci aveva disegnato sopra un OHM. Mi fece ridere, non so perché. Il piccolo elfo apparve con la faccia sbalordita di fronte a me, mi guardò esterrefatto e poi rise anche lui.

Cletus non credeva che eri capace di ridere, Signore!” mi disse. Batté le mani, soddisfatto, e da allora l'OHM è diventato una strana specie di codice, tra me e lui.. me lo lascia disegnato sul piatto, in un angolo, quando mi vede triste, e riesce sempre a strapparmi un sorriso. Da allora il piccolo elfo si prese come compito supplementare quello di farmi ridere, il più spesso possibile.

Non so quante volte gli ho visto fare giochetti e piccoli dispetti ai babbani, nelle situazioni più strane, solo per farmi ridere nei momenti meno opportuni. Senza capire come, senza sapere perché, quella creatura è diventata il mio primo amico, da quando era morto il mio compagno di orfanotrofio in poi.

Abbiamo rifatto insieme il giro del mondo.. sono tornato con lui nei luoghi che avevo visitato decine di anni prima, riguardando tutto con occhi totalmente diversi.. e quella fiammella che avevo acceso in quel tempio ha continuato ad ardermi dentro, a crescere, fino a diventare un fuoco capace di scaldarmi.

Quando arrivammo a Nantucket e vidi il faro... non fu difficile decidere di fermarmi. Era perfetto. La solitudine del mare, un impegno semplice ed ordinario, l'anonimato babbano.. e la lontananza dall'Inghilterra, a cui non riuscivo a pensare di tornare.

Ma fu Cletus a farmi decidere. Quando salimmo sul faro fece una cosa che non dimenticherò mai. Si mise a guardare il mare, ridendo come un matto. Indicava qualcosa di lontano, che ancora non vedevo. La vista degli elfi è più acuta di quella umana, e dovetti aspettare qualche minuto, prima di vederle. Le balene. Non so quante, un branco intero, che nuotavano e spruzzavano alti soffi di acqua, e si tuffavano a ripetizione, come se stessero giocando. Restammo a guardarle, per ore, con il piccolo elfo che schiamazzava ammirato. Non aveva mai visto dei cetacei, in vita sua, e ne fu estasiato, per qualche misteriosa ragione. Quando presi accordi per fermarmi, convincendo con mezzi magici il responsabile del faro che ero la persona più adatta, per la prima volta da che ci conoscevamo, il piccolo elfo mi buttò le braccia al collo e mi ringraziò, come se avessi fatto un favore a lui, a fermarmi lì. Ebbe modo di cambiare idea alla prima tempesta, quando le onde ed i tuoni si scatenarono in una furia mai vista attorno al faro, ma credo che le giornate di luce e di grandi cieli che si trasformano davanti ai nostri occhi lo ripaghino abbondantemente delle notti passate rifugiato a tremare sotto il mio letto.

Spesso, quando per calmarmi mi siedo in veranda a guardare il cielo ed il mare, lasciandomi annichilire dalla loro immensità, permettendo allo spazio che essi rappresentano di dare nuove e minori proporzioni a tutti i sentimenti fin troppo dirompenti che ho reimparato a provare, lo scopro accanto a me, seduto per terra, che guarda il panorama sognante. Quando si accorge che lo sto guardando, mi ricambia lo sguardo, si ricompone e mi guarda un po' meravigliato es un po' offeso, come se non mi rendessi conto che è là fuori, lo spettacolo migliore, non certo lui. Ma io non ho il coraggio di spiegargli che lo guardo perché mi fa tenerezza. Perché quel piccolo elfo è stato il primo vero affetto che ho trovato in vita mia, e poter condividere con lui quei panorami è la cosa più bella che conosco.

cara new_francysmile, grazie per le tue recensioni! e grazie anche a Kira90... credo che Voldemort non riuscirebbe mai in vita sua ad andare da Harry a chiedere scusa.. credo che non gli passi nemmeno per la testa un'idea simile! anche se sta facendo un lungo percorso per cambiare e trovare un altro se stesso, sono dell'idea che il suo passato voglia sopratutto dimenticarlo, più che riscattarlo..  ma non si può mai dire, vedremo se succederà ancora altro nei prossimi capitoli! non ho progetti stabili su come e dove deve andare questa storia, man mano che mi vengono in mente pezzi di storia li scrivo, per cui non so sinceramente che cosa può succedere ancora... come voi, aspetto di vedere cosa succederà a questa nuova versione di voldemort! =) 

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Capitolo 4
*** In giro per la citta ***


visto quanto è stata gradita la storia ho pensato di provare a continuarla... ed ancora non so dove andrà a parare e se continuerà a lungo...ma grazie a tutti per le bellissime recensioni, è stato commovente leggerle! =)

Girava per casa, senza meta, finché non si decise a fare un giro a Lantern Square, così si chiamava l'omologo locale di Diagon Alley, per distrarsi un po'.
Il quartiere dei maghi di Nantucket era diverso da quello londinese: più ampio, per cominciare, ed aveva un aspetto più selvaggio, più marinaresco. Stranamente i maghi erano meno pittoreschi, in qualche modo assomigliano di più ai babbani del luogo.
Voldemort aveva già notato diverse volte di quanto fossero diversi i maghi americani rispetto a quelli inglesi, sono meno tradizionalisti, e la cosa un tempo lo infastidiva, ma ora non più. Anzi, quasi lo rilassava.
I negozi avevano comunque le stranezze tipiche del mondo magico: il mago si fermò a lungo davanti alla vetrina di un rigattiere che vende roba vecchia i cui incantesimi stavano cominciando a impazzire: teiere autoriscaldanti che rifiutavano l'acqua, tazzine che litigano con i cucchiaini, cravatte che si annodavano da sole ma solo a fiocco, scatole portagioielli che facevano sparire i gioielli per rimpiazzarli con sassi di fiume, portacappelli che trasformavano i cappelli in parrucche... il mago guardò a lungo divertito un baule che si apriva e si richiudeva, mostrando sempre un contenuto diverso, bagagli appartenuti a maghi di diverse epoche e di diversi luoghi del mondo, prima di decidere di comprarlo e vedere che cosa riusciva a tirarne fuori.
Girò ancora per il quartiere, ammirando il negozio di animali dove vendevano puffole colorate, barbagianni, creature magiche di ogni genere, meditando se comprarsi un gufo o un barbagianni, ed optando per quest'ultimo dopo averne visto uno particolarmente maestoso.
La libreria ovviamente attirò più di tutti la sua attenzione. I libri sugli scaffali erano tantissimi, era anche più fornita dell'omologa inglese, fornita di libri che nell'altra non vengono venduti, di magia piuttosto oscura... ma il mago li ignorò. Si fermò d'un tratto davanti ad uno scaffale... pieno di sue biografie.
Restò di ghiaccio. Per quanto fosse ovvio che lo avrebbero fatto, mai avrebbe pensato che qualcuno potesse scrivere di lui, oltre alla storia, per altro molto malamente rimaneggiata, che ne ha scritto Potter con quella scrittrice babbana.
Contò i volumi, ben 14. Li sfogliò, molti dicevano solo sciocchezze che incensavano Potter, e vistose inesattezze su di lui. Li scartò con fastidio, ma un paio...
Li portò alla cassa, ed il commesso li commentò mentre glieli faceva pagare.
"Ottimi libri, sa? Descrivono bene che razza di uomo doveva essere... un pazzo maniaco, ma peccato, così tanto potere in mano ad un tizio così fuori di testa!"
Voldemort guardò il commesso, con la tentazione di fargli rimangiare le parole a suon di crucio... ma qualcosa si mosse in lui e si trovò a sorridere.
"Già... chissà che sarebbe diventato, se non avesse voluto conquistare il mondo, eh?"
"Veramente! dicono fosse potentissimo! ma lei che è inglese, ne sa magari anche più di me... "
"Io? No, ero in giro per il mondo sia la prima volta che salì al potere che quando è tornato... ne so solo per sentito dire."
Sorrise, guardando la propria foto in copertina di uno dei libri. Era sorprendente come non lo riconoscesse più nessuno, da quando il suo volto era tornato integro.
"Meno male, buon per lei! buona lettura allora, signor.. signor?" chiese il commesso.
Lord Voldemort alza lo sguardo. "Crowley! Tom Crowley!" rispose, senza nemmeno pensarci.

Tornato a casa, si mise in veranda a leggere, con un tazzone di te accanto, la vista piena sul mare ed il pacchetto di erba pipa accanto.
Cominciò a leggere il primo, che praticamente conteneva le stesse cose raccontate da Potter, ma con un tono più giornalistico. Niente di speciale. Fu il secondo a lasciarlo di stucco. Scritto evidentemente da un mangiamorte che doveva conoscerlo anche piuttosto bene, da come ne parlava e da cosa raccontava. Particolari inediti, che nessuno a parte pochissime persone potevano sapere. L'autore si firmava Larry Williams, ma non ci sono mai stati mangiamorte con quel nome... era evidentemente uno pseudonimo. Lesse avidamente, fino ad un episodio che lo folgorò. Perché coloro che vi avevano assistito erano tutti morti, alla battaglia finale di Hogwarts o pochissimo dopo. Il solo sopravvissuto era il solito, infingardo, viscido Lucius Malfoy.
Folgorato, Voldemort rilesse dei passaggi, riconoscendo lo stile di scrittura, l'intercalare, la punteggiatura... sì, non poteva che esser lui, l'amico di un tempo. il traditore. Forse il peggiore, anche più di Piton, di cui aveva scoperto il tradimento al suo ritorno in vita. Ma almeno era stato un nemico all'altezza, un traditore di razza. Malfoy si era solo dimostrato un subdolo opportunista, pronto a stare sempre e solo dalla parte dei vincitori...
Voldemort restò di sasso, e poi si senti invadere da una furia omicida. Quel bastardo aveva raccontato la sua infanzia, la sua vita... tutto quello che sapeva di lui. E ne sapeva veramente tanto, persino più di quanto Voldemort stesso sospettasse.
Si alzò furibondo, sbattendo il libro per terra, andò al balcone a guardare il mare, il cielo, cercando di calmarsi.
Non aveva cercato che pochissimi dei vecchi mangiamorte, da quando era tornato.
Dolohov, il vecchio, era morto. Il giovane era un fanatico nostalgico che era meglio evitare, si sarebbe aspettato anche lui che tornasse alla carica per conquistare il potere nel mondo magico, e non voleva più farlo. I Rookwood ancora vivi erano ad Azkaban, come molti altri.
Lucius Malfoy era sempre allo stesso posto, sorprendente. Arrogante, arroccato nella sua villa, ricchissimo, sempre immanicato come un mafioso. Voldemort lo aveva evitato di proposito, era uno dei pochissimi sopravvissuti tra i mangiamorte a poterlo riconoscere guardandolo in viso, visto che si erano conosciuti proprio quando il Signore Oscuro aveva ancora quella faccia. Ne aveva viste delle foto sulla Gazzetta del Profeta, identico, anche se palesemente invecchiato. Aveva deciso di non andarlo a cercare, sotto sotto pensava che avrebbe persino potuto venderlo al ministero, per salvaguardare la propria posizione... visto che la moglie lo aveva tradito per salvare il figlio. Quel ragazzetto, che ora occupava un posto al ministero, sempre obbediente ai voleri del padre, sposato per interesse ad una fanciulla di origini nobilissime, come lui.
Voldemort si era stupito di provare un enorme fastidio a leggere la notizia del matrimonio del ragazzo, della loro perpetua arroganza legata alla stirpe, alla tradizione. Un tempo lontano ci credeva, era la sola cosa che contasse, per lui, ora, proiettata su quel viscido opportunista, lo disgustava. Si rese conto, leggendo articoli su quello che riteneva un amico, che non era mai stato altro che un laido voltagabbana, pronto a stare dalla parte del potere, e non un vero seguace della causa.
Ma quale causa, poi?
Ogni volta che ci ripensava, Voldemort si sentiva svuotato. Niente pareva avere più senso, nulla.
Ma ora... vedersi mettere così in piazza da quel figlio di puttana lo faceva ribollire. Che diritto aveva di farlo?
Si girò nuovamente a guardare il libro, accartocciato per terra. Lo risollevò, lo rilesse, cercando di andare oltre le notizie, interpretando il tono, la volontà con cui era stato scritto. Quello che trovò era anche peggio, c'era un tono quasi di pietà, commiserativo. Come dire, poveretto, era tanto cattivo perché lo avevano maltrattato da piccolo. Era uno sfigato che cercava un posto nel mondo che non aveva, e pensava di poterselo guadagnare con la sopraffazione, mentre la nobiltà è altro.
Scagliò nuovamente il libro lontano, direttamente nel camino acceso, stavolta. Lo guardò bruciare, pensando di andare a far fare la stessa fine anche a quel pezzente arrogante del suo ex amico.
Se lo ricordava, le prime volte che lo aveva conosciuto. Pieno di adulazione, ossequiente... erano diventati amici, quanto poteva esserlo all'epoca Lord Voldemort con un qualunque essere umano, visto che non riusciva più a provare altro che disprezzo per l'umanità, da lungo tempo, da quando si era visto dividere l'esistenza tra il rispetto dei maghi a Hogwarts, per le sue indiscutibili capacità magiche, ed il disprezzo ancora più evidente dei suoi compagni di orfanotrofio, che anno dopo anno lo vedevano tornare sempre più diverso da loro.

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Capitolo 5
*** Lucius Malfoy ***


Lord Voldemort guardò il libro bruciare nel camino, furente. Lucius Malfoy.... se lo ricordava bene, fin dai primi loro incontri. Altero, sprezzante, affascinante. Strano a dirsi, ma lo aveva sedotto, in qualche modo, con i suoi modi da vecchia nobiltà inglese, il tono sempre basso e calmo di parlare, gli sguardi carichi di sottintesi, il senso di superiorità che emanava. Lo invidiava, in una certa misura. Lucius aveva per nascita ciò che Voldemort non aveva ed era convinto gli spettasse in misura anche maggiore, visto il suo potere, viste le sue ascendenze. Adorava intimorirlo, i primi tempi. Dimostrargli quanto potere detenesse era un modo per vendicarsi per la palese differenza di casta tra loro due. Quando aveva visto finalmente la giusta misura di timore e rispetto negli occhi del mago, aveva smesso di infierire, ma lo aveva sempre tenuto d'occhio.
Non riusciva a fidarsi. Non solo di lui, non si fidava di nessuno di loro.
Forse solo di Severus, per qualche momento. L'odio che percepiva nel mago verso il mondo era troppo spiccato, troppo tenace per non esser vero. Un velenoso misantropo, con pochissima compassione verso il resto dell'umanità, questo era Severus, e lo capiva meglio.
Lucius era invece una specie di enigma. Adorava essere al centro dell'attenzione, sapeva sedurre, essere amabile... se lo ricordava nelle riunioni dei mangiamorte, mettersi in mostra per dimostrargli che era meglio degli altri, sorridere con superiorità agli altri mangiamorte, sorridere amabile e fasullo a lui.
Sapeva che gli mentiva il più delle volte, lo sapeva benissimo.
Non c'era un solo pensiero, una sola emozione di quegli uomini e quelle donne che gli sfuggisse, e quanto aveva adorato giocarci. Nessun marito osava opporsi al fatto che lui ne seducesse le mogli. E le donne si contendevano i suoi sguardi gelidi, il suo tocco indifferente, i suoi rari favori sessuali. Non era interessato al sesso, all'epoca, se non come mezzo magico, per evocare ancora più potere quando era necessario. Manipolava le menti e le emozioni di quel gruppo di seguaci per il solo piacere di farlo.
Sia la prima volta che era tornato, che la seconda, era rimasto freddo di fronte ai propri seguaci, nessuna emozione lo aveva toccato. La prima volta solo la rabbia, perché nessuno di loro lo aveva cercato, pur avendo loro detto che non sarebbe stato battuto nemmeno dalla morte. La seconda volta, leggere la storia di Potter, farsi raccontare cos'era successo da coloro che incautamente lo avevano riportato in vita, non lo aveva toccato. Scoprire il tradimento di Severus lo aveva lasciato freddo, in un certo modo se lo aspettava, lo aveva messo in conto, che ci potevano esser traditori tra i suoi seguaci. Aveva solo sempre pensato che lo temessero troppo per osare veramente farlo, ma non che non lo avrebbero pensato o desiderato.
Ma il tradimento postumo di Malfoy era troppo. Troppo subdolo, troppo infame per perdonarlo. La decisione era già presa.
Si vestì, preparò di nuovo una borsa da viaggio, creò una passaporta e si materializzò poco lontano da Diagon Alley.
Prese alloggio in un albergo babbano, dove poteva passare maggiormente inosservato, poi andò alla libreria magica, a cercare se vi fossero altri libri dello stesso “autore” che non fossero giunti al di là dell'oceano. Non ve n'erano altri, per la fortuna di Malfoy.
Il passo successivo fu attendere la notte. Si materializzò poco lontano dalla Malfoy Manor, dal lato sud, dove era celato l'accesso segreto, da cui entrava ed usciva ai tempi della guerra magica. Le misure di sicurezza rinnovate non potevano fermarlo e rise quando vide il nuovo guardiano della porta. Un serpente, un cobra velenosissimo, incantato per sembrare una decorazione, ma vivo e vegeto. Doveva davvero esser convinto di non correre più alcun pericolo da parte sua, se aveva osato mettere semplicemente un serpente a guardia di quell'entrata. Mormorò alcune parole in serpentese, allungò la mano verso l'animale e questo scivolò sul suo braccio, docile, salutandolo con piccoli tocchi della lingua che lo saggiava, e gli rispose ringraziandolo per averlo liberato. Lord Voldemort lasciò che il serpente gli si arrotolasse dolcemente attorno al collo, quindi aprì la porta e si nascose in uno dei corridoi segreti della Manor, sbirciando al suo interno attraverso i numerosi spioncini che la traforavano. Vide infine la famiglia riunita per una cena, a quanto pareva Draco aveva avuto un nuovo rampollo per proseguire la stirpe...
Li guardò con irritazione crescente inorgoglirsi per la loro razza, la loro famiglia che cresceva, il nome che proseguiva... e la tentazione di entrare ed ucciderli tutti era sempre più forte, sempre più pressante, ma non era quello che voleva veramente.
Non era lì per il resto della famiglia, era lì per lui, per Lucius.
Attese, tenendo faticosamente a bada l'impazienza, la rabbia, carezzando distrattamente il cobra che si scaldava contro il suo corpo, avvolto al collo, finchè la giovane coppia non si decise a tornare a casa e Narcissa andò a dormire, lasciando Lucius, come al solito, nello studio, a leggere e bere l'ultimo bicchiere di vino elfico, come d'abitudine.
Si materializzò davanti all'amico di un tempo, godendosi lo sgomento che lo colse a vederlo. Era come se vedesse un fantasma e non era tanto lontano dalla realtà.
"T-tu..."
Biascicò. dopo un tempo infinito, artigliando i braccioli della poltrona, pallidissimo.
"Io, si. In carne ed ossa, nel caso avessi il dubbio" rispose asciutto.
"Ma non... non è possibile.... sei morto... morto!"
"No." Si sedette di fronte all'altro, fece apparire un bicchiere e si versò un sorso di vino. "Non più. Sono vivo e vegeto."
"M-mio signore..." cominciò a dire, con il sudore che imperlava la fronte pallida, scorrendo anche lungo i capelli ormai quasi più bianchi che biondi.
Lord Voldemort alzò uno sguardo feroce sull'uomo, interrompendo qualunque cosa che potesse dire.
"Non mi chiamare così, Lucius. Non sono più il Signore Oscuro a cui hai giurato fedeltà, visto sopratutto quanto poco conta la tua fedeltà..."
"Sig... io... " il mago si passò una mano sul volto, guardandosi attorno, come in cerca di aiuto. Era convinto di dover morire, e si vedeva chiaramente. "La mia f... io credevo foste morto per sempre..."
"Lo pensavo anche io, Lucius..." disse assaporando il vino "Non sono tornato di mia spontanea volontà in vita, questa volta"
"I russi..." disse il mago, alzando lo sguardo timoroso sul Signore Oscuro, in quel momento più tenebroso che mai. "Ma so che sono morti, tempo fa..." restò senza fiato, a guardare Voldemort, con un lampo di comprensione negli occhi.
Voldemort annuì, senza aggiungere altro. Lo fissava, gelido, lasciandolo torturarsi dalla paura, dal dubbio, godendosi il suo disagio. Quanto era familiare e piacevole quella sensazione di potere, di dominio, su un mago così potente ed un uomo così arrogante come Lucius.... fin troppo, decise.
"Non sono tornato per riprovarci, Lucius." disse, osservando l'altro respirare profondamente alle sue parole. "Non sono più interessato a quello, no." Tacque, pensieroso. "Non sarei nemmeno venuto a cercarti, se non fosse stato per questo."
Estrasse la copia del libro che aveva ricomprato nel pomeriggio, prima di andare alla Manor, e la posò sulla scrivania presso la quale sedeva l'amico, che impallidì ancora di più. I suoi occhi saettavano dalla copertina al mago oscuro seduto di fronte a lui, e le mani cominciarono a tremargli.
"Io.. non volevo offenderti.. pensavo fossi morto..."
"Lo hai già detto, Lucius... cosa pensavi, dimmi, allora? Di farti i soldi sbertucciandomi? E senza nemmeno rimetterci la faccia, visto che non hai nemmeno avuto il coraggio di metterci il tuo nome."
Il mago biondo pareva respirare a fatica, si guardava attorno smarrito, senza sapere che dire.
Guardandolo Voldemort sentì sbollire la propria rabbia omicida. Bastava la sua sola presenza a far morire di paura quell'uomo, e ne provava talmente tanto orrore che la voglia di ucciderlo lentamente si assopì. Poteva quasi capirlo. Aveva vissuto nella paura, e quando lui era morto, aveva cercato di liberarsi del passato, raccontandolo.. e cercando una giustificazione per essersi asservito ad un uomo così crudele, così tirannico come era stato lui stesso. Ora lo capiva. Portò una mano al collo, a carezzare ancora il serpente, che si mosse sotto la sua mano per incontrarla e scaldarsi ad essa.
Il silenzio si protrasse a lungo, finchè Lucius ebbe il coraggio di fare la sola domanda che gli stava a cuore.
"Mi vuoi uccidere?"
Voldemort lo guardò intensamente, prima di rispondere.
"No. Non più. Non sono tornato per riprovarci.. e nemmeno per cercare vendetta. Altrimenti sarei tornato da te prima."
Il mago sospirò, accasciandosi sulla sedia. Sembrava così vecchio... molto più vecchio di lui, cui la seconda resurrezione aveva dato un aspetto ingannevolmente giovanile.
"Da quando..."
"Da un paio d'anni, circa." rispose, senza lasciargli terminare la domanda.
Malfoy allungò una mano, a prendere il bicchiere, ma tremava ancora tanto che quasi lo lasciò cadere.
"Ma non stai in Inghilterra... " chiese, dopo esser riuscito a bere un sorso.
"No. E non ho intenzione di dirti dove sto. Voglio solo avvertirti, Lucius. Non incrociare mai più la mia strada, nemmeno sotto falso nome." Lo fissò, glaciale. "Sei rimasto solo tu a poter riconoscere la mia faccia, gli altri sono morti. Vedi di sopravvivere a questa informazione. Se dovessimo mai incrociarci di nuovo, non ci siamo mai conosciuti, prima." Alzò la bacchetta, pronunciando a mente un incantesimo.
Una Traccia. Se il vecchio mangiamorte avesse mai osato pronunciare il suo nome, o scriverlo o altro, lo avrebbe saputo immediatamente. Il mago impallidì, senza sapere che cosa aveva fatto, ma comprese immediatamente.
"Non temere... nessuno saprà mai nulla di questo incontro. O che sei vivo. Nessuno, puoi credermi."
Lord Voldemort annuì, alzandosi.
"Non ho bisogno di crederti, Lucius. Lo so."
Pronunciò alcune parole in serpentese, mentre si toglieva il serpente dal collo, dicendogli di uccidere il mago, se lo avesse sentito pronunciare il proprio nome.... e lo posò sulla poltrona su cui era seduto.
Tornò a dare un'altra occhiata al mago, ancora seduto e tremante, quindi sparì in uno sbuffo di fumo, con un sonoro pop.

Riapparve in strada, guardò un'ultima volta nella sua vita Malfoy Manor, e non ci tornò mai più.
Tornato in albergo, a tarda notte, osservò a lungo le strade che si svuotavano, ripensando all'incontro. Aveva davvero pensato di ucciderlo... e non lo aveva fatto. Una volta lo avrebbe fatto senza nemneno pensarci, senza lasciare il tempo all'altro di parlare, a parte le urla che avrebbe emesso sotto i suoi Cruciatus. Era davvero cambiato, e stava diventando qualcos'altro. Non sapeva ancora cosa, ma la strada era ancora lunga, per saperlo. Ed ora voleva solo tornare a casa.
Al faro.


Onestamente non so se continuerà la storia... non ho idea, perchè nasce in maniera piuttosto spontanea... ma mi fa molto piacere vedere quanto sia apprrezzata. non sono solo io ad amare VOldemort, per quanto strano possa sembrare allora! Grazie mille per tutte le bellissime e sentitissime recensioni, mi hanno veramente commosso. se ci saranno altre avventure di Voldemort, lo saprete immediatamente! intanto se volete potete aggiungermi su facebook... il pg è lì che vive e si muove... =)

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Capitolo 6
*** Fenrir Greyback ***


Arrivo nel mio locale preferito che è quasi deserto... come di solito, vista l'ora in cui arrivo. Si tratta di un semplice pub per marinai, sul porto. Mi siedo al mio posto favorito, in fondo, un po' riparato. Da lì posso guardare tutto il locale senza esser troppo notato. Mi faccio portare la cena, patate, hamburger, una media scura.. la prima della serata. Ho il mio migliore amico, con me. Un libro. Uno a caso, estratto dalla mia fin troppo fornita biblioteca. Passo la serata a leggere ed a guardare la gente.
è il mio modo per esorcizzare la solitudine che mi sono autoimposto.
I soliti ragazzini. Hanno faccende losche di droghe e ragazze, credono di sembrare dei duri, ma sono solo ridicoli... quando i veri duri del quartiere entrano nel locale e li guardano ridacchiano si azzittiscono e dopo poco scappano a casa, dalla mamma che gli stira le magliette ed i jeans a vita bassissima.
I duri del quartiere sono tre, hanno accumulato insieme un paio di ergastoli, tra piccole rapine, minacce, furti, qualche scazzottata... hanno tutti facce uguali, piene di solchi. Si fingono amici, fino a quando uno di loro non ammazzerà l'altro.. ed allora le loro strade si separeranno, cercando altri temporanei alleati. Guardano le coppie che entrano, con un misto di invidia e desiderio.
Come me... osservo da settimane quella coppietta. Vengono tutti i venerdì, mangiano insieme le patatine, poi vanno al cinema e poi tornano qua a commentare il film. Non smettono mai di guardarsi negli occhi. Avranno 23/25 anni, al massimo. Stanno progettando la casa, il matrimonio.. o la convivenza, visto che non sembrano aver molti soldi. Lei ha le unghie rifatte, ma non va dal parrucchiere da parecchio. Lui ha le mani rosicate dall'olio motore e la faccia troppo abbronzata, per esser novembre.
Due settimane fa avevano litigato... li ho guardati tenersi il broncio tutta la serata, finché lui non ha ceduto. L'ha guardata con un mezzo sorrisetto, le ha fatto una strana smorfia, un segnale nel codice segreto delle coppie, sicuramente, lei è scoppiata a ridere e si sono baciati. Hanno passato il resto della serata a sbaciucchiarsi, dimenticandosi del cinema, delle patatine... di noi che li guardavamo, chi con affetto, chi con invidia.
È arrivato il solito gruppetto... tutti ben vestiti, vengono ad ostentare i loro soldi ai vicini di casa che qua passano le serate, mentre loro si limitano a radunarsi per andare a ballare. Non ordinano mai nulla, occupano solo spazio, urlano nei loro cellulari, si guardano attorno come se vedessero quello che credono di non poter diventare mai. Restano qua un'oretta, e poi fuggono a far vedere che la vita vera è altrove, sulle loro macchine prese a prestito da genitori troppo assenti per accorgersi di loro. Almeno finché qualcuno di loro non ci morirà o ci ammazzerà un amico, un passante, con quella macchina... ed allora paparino risolverà tutto sganciando la sola cosa che non gli costa nulla, tanti bei soldoni...
Un paio di vecchi giocano a carte, come sempre... a volte sospetto che sia la stessa partita, da anni, tanto giocano al rallentatore, e mi coglie il timore che se dovessero finirla, spariremmo tutti in uno sbuffo di fumo...
un mendicante passa più volte davanti al vetro.. almeno, sembra un mendicante, vestito di stracci, malconcio, pieno di cicatrici...
ha un'aria vagamente familiare. Stasera entra nel locale, mi si siede davanti e mi scruta, sogghignando.
Ne sono certo, ho già visto quegli occhi, ma è lui a svelarmi il mistero.
“Guarda guarda...” mormora con voce roca, osservandomi. “Sei cambiato...” annuisce, osservandomi per bene. Lo guardo senza capire.
“Ci conosciamo?”
Annuisce, lentamente,
“Eccome se ci conosciamo... hai ritrovato la tua faccia, vesti da babbano, frequenti i babbani... ma certe cose non cambiano, come l'odore, caro il mio Lord Voldemort... “
Pronuncia il mio nome con un ghigno, quasi con soddisfazione. Resto di ghiaccio a guardarlo ed in un lampo lo riconosco,
“Fenrir Greyback...” mormoro. “Sei invecchiato... “ sogghigno.
“Tu invece sembri ringiovanito.” afferma e mi guarda, sbilenco e strafottente. “Strano, visto che dovresti esser morto.”
“Già... gli strani effetti della resurrezione, immagino.” rispondo.
“E sei tornato per passare le serate al pub come un babbano qualsiasi?” mi chiede, dubbioso.
“A quanto pare... sempre meglio che farmi ammazzare stupidamente da una torma di ragazzini in una scuola, mi pare.”
Ridacchia. Si guarda attorno, guarda con desiderio il mio piatto semivuoto. Glielo allungo e ne ordino un altro. Li divora entrambi, avidamente, continuando a guardarmi e scolandosi la birra scura che gli ho fatto portare. Lo osservo a mia volta: è invecchiato parecchio e male, è addirittura incredibile che un licantropo sia sopravvissuto tanto a lungo... di solito muoiono prima dei 50, divorati dalla maledizione o uccisi da qualche umano, quando non dai loro stessi compagni. Ma Fenrir è il più feroce e combattivo lycan d'Inghilterra... ed è bravissimo a sopravvivere, anche se non in perfetta forma, si vede.. Ha almeno 60 anni e ne dimostra 75, è magro come uno stecco, stempiato, malconcio. Ha talmente tante cicatrici in viso che sembra attraversato da una ragnatela. Qualcosa di ferino gli è rimasto attaccato anche nella sua versione umana. Mangia voracemente, beve e poi soddisfatto si ferma a guardarmi.
“E così ora fai finta di esser babbano?”
Lo guardo a lungo, prima di rispondergli.
“A quanto pare” dico. “La cosa ti disturba?”
“Proprio non me ne potrebbe fottere di meno... potrei ricattarti, per non svelare chi sei... ma probabilmente troverebbero il mio cadavere in un fosso, domattina... senza segni addosso. E visto come vivo, sarei solo il solito accattone morto di freddo.”
Annuisco, senza dir nulla.
“Già... le vecchie abitudino sono dure a morire, eh, Tom?”
Ridacchia, si passa una mano sulla faccia devastata.
“Nah.. non voglio niente da te, mago. Volevo solo un pasto caldo, per una sera... e vedere di chi era st'odore familiare che sentivo per Nantucket, ultimamente.”
Si guarda attorno, come se non lo interessassi più. Ma lo sento che ha ancora qualcosa da chiedere... attendo e dopo qualche minuto, puntuale, la domanda.
La stessa che mi pongo io da anni a questa parte, da quando mi hanno riportato in vita.
“Che sei tornato a fare?”
Sorrido, prima di rispondergli... e rispondo a me stesso, sostanzialmente.
“Sono tornato a fare il guardiano del faro.” ed è la sola risposta che so darmi.
Il licantropo ride, prima sommessamente, poi sgangheratamente. Lo lascio ridere. Fino a che si placa, con gli sguardi di tutti gli altri avventori addosso. Arriva anche Sam, il barista a guardarci storto.
“Tom.. questo accattone ti infastidisce?” chiede sospettoso.
“No, Sam... è una vecchia conoscenza.... ed è solo di passaggio, vero?”
“Si si... sono solo di passaggio.” risponde Fenrir smettendo di ridere ed asciugandosi le lacrime che gli scorrono lungo il viso. “Ho visto il mio amico nel pub e sono entrato a scroccargli una cena, vero, Tom?”
Sam ci scruta dubbioso e poi se ne va... e torniamo a guardarci negli occhi, io ed il licantropo. A lungo, come se dovessimo decidere cosa fare l'uno dell'altro. Il suo sguardo va al mio polso sinistro, più volte.. lo capisco, cerca di capire se si vede l'impugnatura della bacchetta.. se ce l'ho vuol dire che sono ancora lo stesso mago che gira armato, come un tempo.. se non ce l'ho, magari ha la possibilità di uscire vivo da quell'incontro. Lo lascio nel dubbio. A dire il vero, ormai la mia bacchetta staziona più spesso sul mio comodino che addosso a me.... anche per la semplice ragione che spesso non mi serve, per fare le magie più semplici. E stasera è a casa.. ma non ne ho bisogno.
Guardandolo mi rendo conto che non ha intenzione di tradirmi. Cerca solo un rifugio per la notte e qualche pasto caldo, come un tempo. È un reietto e lo sarà per sempre, peggio di me... perché la sua maledizione non ha redenzione, purtroppo per lui.
“Andiamocene.” dico dopo un tempo interminabile.
Usciamo dal locale e camminiamo in silenzio verso il faro. Gli offro una stanza, ma la rifiuta, orgoglioso come sempre. Accetta solo i soldi, e la parola che gli do che se andrà a nome mio nel locale dove ci siamo trovati un pasto caldo lo troverà sempre. Sono certo che non ci tornerà mai più in mia assenza. Lo conosco troppo bene, il più selvaggio ed orgoglioso capobranco lycan dell'Inghilterra.
Mi accenna che ha dovuto scappare per non farsi uccidere, dopo la mia caduta... ma non mi dice nient'altro... e quando arriviamo allo svincolo, che da una parte porta al faro e dall'altra alla foresta, mi saluta...
Lo rivedo il giorno dopo. Sul traghetto che porta la gente in continente. Mi saluta con la mano, per l'ultima volta.

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Capitolo 7
*** Potter..... ***


questa storia si sta scrivendo a grande velocità, quasi da sola... grazie di nuovo a tutte per le recensioni, sono molto gradite! e mi fa piacere che questo nuovo Tom Riddle vi stia simpatico come a me.. =)

 

Il guaio di Nantucket è che si tratta di un porto turistico, in certi periodi dell'anno... ed oltre agli americani, ogni tanto arrivano turisti anche dall'Inghilterra. Sono quasi sempre babbani, i maghi non fanno turismo negli stessi posti dei babbani.. non per particolare razzismo, no, malgrado quello che si potrebbe pensare, detto da me.. Semplicemente perchè molti non sanno vivere tra i babbani, non sanno smettere di usare la magia o anche semplicemente vestirsi da babbani. Io sono cresciuto diviso a metà tra l'orfanotrofio e la scuola magica di Hogwarts, per cui in effetti conosco entrambi i mondi... li ho frequentati entrambi, anche se ora mi sto isolando da essi. Ed è per questo che tornare a vivere da babbano non mi è stato granchè difficile. Ci sono tantissime cose babbane che conosco, dalla radio, al cinema, all'elettricità, alla televisione, perfino.. e poi ho viaggiato abbastanza da aver imparato ad adattarmi in tutte le situazioni, a mimetizzarmi... per questa ragione qua a Nantucket nessun babbano ha mai notato in me particolari stranezze magiche, ed i pochissimi maghi che ci abitano non hanno mai notato in me particolarità troppo bizzarramente babbane, a parte la mia attitudine a vivere maggiormente da babbano che da mago..
In America si nota di meno, devo dire, di quanto verrebbe notata in Inghilterra. Qua non esiste una sola grande scuola come Hogwarts, ci sono piccole scuole, e non sono collegi, i ragazzini tornano a casa negli week end, ed in alcune semplicemente ci vanno quotidianamente con la metropolvere... molti maghi vivono alla babbana e qui i purosangue quasi non esistono, sono un vezzo del vecchio continente... per cui non  c'è poi una divisione così netta tra i due mondi. Addirittura a scuola i ragazzini usano penne e stilografiche invece delle piume, ed è raro che usino pergamena, preferendo la carta.... insomma, vivono in modo molto più ibrido, i due mondi... e stranamente mi ci sono mimetizzato meglio. Mi ci trovo meglio, posso continuare ad oscillare tra i due confini, senza venir troppo notato dai babbani e nemmeno dai maghi. Frequento il pub babbano sul porto, ed anche quello magico a Lantern Square. E da nessuna parte mi guardano come se fossi strano, se ci vado vestito sempre allo stesso modo, con i jeans, la camicia a scacchi ed il giaccone da marinaio.
Ho fatto amicizia sia con Sam, al porto, che con Jones e Peggy, i proprietari del piccolo pub magico, proprietari tra l'altro di un'elfa che pare molto interessata a Cletus.. Cletus stesso è diventato molto celebre, a Lantern Square, decisamente più di me, visto che ci va a far la spesa magica al posto mio. Sopratutto è celebre il suo terrore dei temporali, visto che è sua abitudine, allo scoppio del primo tuono, saltare in braccio al primo umano che gli capita a tiro, preferibilmente il sottoscritto, ma il primo mago di passaggio va altrettanto bene, se io non sono raggiungibile.
Una sera questa sua abitudine mi ha quasi salvato la vita..
Nantucket è un porto turistico, dicevo. E ben pochi maghi ci vengono... ma alcuni, certamente. È stato così che mi sono trovato davanti Harry Potter e famigliola, l'anno scorso. Lo avevo già reincontrato... feci un piccolo test, prima di venire negli States, andai a Diagon Alley, mi feci una camminata tra i maghi.. volevo vedere se ero davvero tornato così anonimo. Nessuno mi riconobbe, nessuno mi notava... girai per i negozi, senza che nessuno facesse caso a me. Arrivò l'ora di pranzo e lui venne a mangiare proprio a due passi da me, al bar. Ci guardammo un paio di volte negli occhi, mi chiese il posacenere e glielo misi in mano, sfiorandolo. Non diede cenno di interesse, nei miei confronti, non mi riconobbe.
Ma trovarmelo così, sul molo davanti a casa mi diede un sincero colpo al cuore... era con la moglie, in cui riconobbi la piccola Weasley, dai capelli rossi. Avevano un pupetto di un anno in braccio e Ginny era palesemente incinta di un altro. Si stringevano, per scaldarsi contro il vento che arrivava freddo dal mare, e guardavano il faro, sorridendo. Ero al molo, con Homer, il vecchio pescatore che viene tutte le mattine a pescare da queste parti, a tirare su le nasse delle aragoste, impigliate come al solito, e non mi notarono.
Mi calcai il berretto in testa, la visiera sugli occhi, e salii al faro, portandomi dietro una rete piena di pesce, cercando di non farmi notare... ma mi vide e venne a chiedermi se il faro era visitabile.
"No, mi spiace... c'è il museo al porto, se desidera." risposi, accentuando la cadenza nantuckettese.
Mi ringraziò, mi degnò a mala pena di uno sguardo, e se ne andò.
Tirai un sospiro di sollievo.. sapevo che non poteva riconoscermi, ma mi irritava che fosse casualmente arrivato fin lì.
Cletus venne a salutarmi e quando vide il giovane mago andarsene, mi guardò significativamente.
"Nessuno sa chi sei, Signore... nemmeno lui può indovinarlo." mi disse, indovinando i miei pensieri, come sempre.
Avevo un appuntamento con un amico a Lantern Square, la sera, ma rimandai... non volevo rischiare di trovarlo, di nuovo. Me ne rimasi rintanato al faro un paio di giorni, aspettando che da bravo turista se ne andasse verso posti più caratteristici, finchè il mio amico tornò a reclamare la nostra serata di backgammon... e mi feci convincere ad andare a trovare Jones, pensando che fossero ormai ripartiti.
Eravamo intenti a giocare da un'oretta, quando entrò Potter, con la moglie. Si misero a poca distanza da noi, proprio di fronte a me... mantenni il sangue freddo e feci finta di nulla, continuando a giocare.... ma lui sentendomi parlare si girò a guardarmi, e mi riconobbe come il guardiano del faro. Mi sorrise e mi fece un cenno, a cui risposi appena.
Il mio accento non è più riconoscibile come un tempo.. sono cresciuto all'ombra del Big Ben, e per tutta l'infanzia ho parlato con profondo accento cockney, con il tempo l'ho ripulito fino a parlare Atlantic English, quell'inglese colto e senza accenti che si parla tra una sponda e l'altra dell'atlantico, ma vivendo da anni a Nantucket avevo finito con lo sporcare volontariamente l'accento con i toni dei locali... e lo accentuai, quella sera, parlando pochissimo, temendo riconoscesse la mia voce, assurdamente... mi trovai più spesso del dovuto a guardarlo, cercando la cicatrice sulla fronte, combattuto da mille emozioni diverse. Persi parecchie partite di seguito, per l'ilarità del mio compagno, che raramente riusciva a battermi per più di un paio di volte di fila, perchè ero palesemente sovrappensiero... alla fine si girò anche Potter a guardarmi, incuriosito e perplesso. Smisi di osservarlo, ma mi resi conto che mi studiava... si toccò la fronte perplesso e mi sentii gelare. Per fortuna venne riconosciuto da parecchi avventori, che lo distrassero per un pò, salutandolo e facendogli i complimeti per avermi sconfitto, con un'assurda ilarità che mi montava in corpo e che facevo fatica a trattenere, finchè non tornò a guardarmi, perplesso, chiedendosi probabilmente perchè gli sembrassi tanto familiare... lo vidi che stava per avvicinarsi a parlarmi, quando in cielo esplose un tuono fortissimo.
Fu allora che accaddero due cose che probabilmente salvarono più di ogni altro la mia nuova identità. Dalla cucina uscì a precipizio Cletus, terrorizzato, e mi si aggrappò al collo con tutta la forza che aveva, squittendo.
"Tuoni!" gridava "Paura, Signore! Paura!" cercando di infilarsi con la testa dentro la mia giacca. Mi sbattè quasi per terra, con tutta la sedia e mentre ritrovavo l'equilibrio e lo abbracciavo mi misi a ridere, involontariamente.
"Cletus!" esclamai "è solo il solito temporale, dai!" dissi, mentre lo stringevo e lo coccolavo, come se fosse un bambino di otto anni, di cui ha effettivamente le dimensioni. Lo sentivo aggrapparsi al mio corpo, strettamente, con le braccia e le gambe, tra l'ilarità generale che accompagnava di solito queste scene. Peggy si girò a guardarmi, ridendo.
"Tom, non hai fatto un favore al tuo elfo, venendo ad abitare a Nantucket, decisamente!" rise.
Sentendo quel nome Potter si girò a guardarmi, stupito. Ma io mi trovai a ridere più forte, dando pacche rassicuranti sulla schiena del piccolo elfo, mormorando sciocchezze per consolarlo... ed allora sentii la voce di Cletus, bassissima nel mio orecchio.
"Ora non può pensare che sei tu, Signore... tu non avresti mai consolato Cletus, se eri come prima... e non ridevi, prima." Ridacchiava, facendo finta di singhiozzare forte... me lo strinsi al collo, meravigliato. La sagacia di quell'elfo non smetteva mai di stupirmi.
Potter guardò la scena sogghignando e poi si girò, richiamato dalla moglie. E non mi rivolse più uno sguardo per tutta la serata. Cletus mi rimase abbracciato, mentre il temporale si scatenava e mi ritrovai a portarlo a casa in braccio, come fosse un bambino. Arrivati al faro scese dalle mie braccia, mi guardò sorridendo e disse:"Visto? Nemmeno lui può capire chi sei, Signore!" giusto un attimo prima che esplodesse un altro tuono in cielo, mandandolo a rintanarsi tra le mie gambe, sospirando e mormorando quelli che sicuramente erano improperi nella lingua degli elfi.
Andammo a dormire, io sul letto e lui sotto, come sempre quando c'erano temporali.... ed io guardai il soffitto a lungo, sentendomi stranamente al sicuro. Era la seconda volta che incrociavo la strada di Potter e in un angolo della mia mente era esistito ancora il timore di esser riconosciuto, ma quella era la prova definitiva.
Mi sentivo strano, comunque. Trovarmi davanti colui che mi aveva ucciso ben due volte di fila mi aveva riportato a galla infiniti ricordi...  sopratutto della battaglia di Hogwarts. Quel giorno era molto confuso nella mia memoria, me ne tornavano sprazzi angosciosi solo in sogno, la notte... sopratutto la sfida finale tra me e lui era celata da un'ombra che preferivo non dissipare. Non amavo rivedermi in quella situazione, consapevole della quantità di errori e stupidaggini assurde che avevo commesso... e sopratutto non amavo rivedere l'uomo che ero stato, da quando avevo ritrovato il mio corpo deformato e contorto, fino all'epilogo. Ero stato ancora meno umano di quanto lo fossi prima della distruzione davanti alla culla di Harry...
Riflettevo, cercando di capire che cosa provavo.. ma a parte una sorta di distacco, come se fosse successo a qualcun'altro, non sentivo nulla. Avevo avuto timore che potesse riconoscermi, solo perchè avrebbe significato far sapere al mondo che ero tornato, fuggire, quando la sola cosa che volevo era l'oblio, l'anonimato. Niente altro che quello. Non sentivo sensi di colpa, per quello che ero stato, mi prendevo la piena responsabilità delle mie scelte.. e non cercavo alcuna forma di redenzione, o di perdono. Volevo solo lasciarmi tutto alle spalle, anche se piccoli sprazzi tornavano a cercarmi, come quella volta che incontrai Fenrir.. o quando andai ad affrontare Lucius. Ma non volevo più aver a che fare con il mio passato. Ero stato sconfitto, battuto, ucciso... e con quella vita era morto tutto quello che ero stato.
Me ne resi conto quella notte. Ero un uomo nuovo, con un destino nuovo. Ero libero da me stesso e dal mio passato.
Forse non ero ancora completamente in pace con me stesso, forse non lo sarò mai. Ma non ha importanza. La mia strada è nuova, è solo mia. Posso percorrerla liberamente, almeno questo.

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Capitolo 8
*** Love will tear us apart ***


 

L'amore certo... è con quello che dicono di avermi sconfitto. L'ho letto in tutti i libri, i saggi, i romanzi, gli articoli che hanno scritto sulla mia sconfitta. Io ancora ne dubito, onestamente. Io so bene com'è andata la battaglia finale, e non ho visto esplosioni d'affetto, ma errori tattici e tradimenti. E non basati sull'amore ma sull'opportunità del momento. Anche quello di Narcissa Malfoy, che mi ha taciuto la sopravvivenza di Potter, era un modo per schierarsi dalla parte del vincitore. Se quel ragazzino mi era sopravvissuto di nuovo allora non avevo speranze di vittoria. Tutto qua, ha pensato solo questo. E non crediate che non sappia che amava suo figlio, ma io so di quale amore si trattava, ero lì, li ho visto i Malfoy insieme. Draco era un possesso, un bene da gestire correttamente. Non un figlio. Non una persona da amare. Lo nutrivano di abiti e galeoni e senso di superiorità, ma non c'entrava un accidente l'amore. Come faccio a saperlo? Sono stato infelice tutta la mia infanzia ed adolescenza, so riconoscerne le tracce sul viso delle persone, tutto qua. Mi è bastato guardare Draco in faccia un paio di volte, quando pensava che nessuno lo guardasse per capirlo, osservare come guardava i genitori, per comprendere. Le ho già viste quelle facce, ad Hogwarts. Serpeverde è piena di gente con quello sguardo negli occhi. Sono riuscito ad irretirli perché nel mio desiderio di dominio c'era la vendetta verso genitori che chiedevano troppo. Quest'orfano rabbioso offriva più potere, più autostima di tutti i discorsi di quei padri aridi e boriosi che si aspettavano troppo da figli inetti o banalmente nella media. Altro che amor familiare... quante palle che raccontano sotto questo nome. E vogliono far credere al mondo che io sia stato battuto dal fatto di non saper amare. Ma che ne sanno. Che ne sanno del fatto che io non abbia mai amato. Anche prima, certo.

Una volta ho amato, nella mia adolescenza. Mi sono innamorato di... ah, chi lo sa se lei ha mai avuto il coraggio di confessarlo, di aver amato niente meno che Tom Orvoloson Riddle, da ragazzina. Non ci credo, no, non avrebbero scritto tutte quelle stronzate se lo avessero saputo.

Di chi parlo? Di Minerva McGrannitt, naturalmente. Me ne sono innamorato a tredici anni, ma voi non immaginate che bella era a quell'età.

Aveva un anno più di me, e non mi guardava di striscio, ovviamente. Ma l'anno successivo si accorse di me... ero cresciuto di 15 centimetri, non avevo ancora ucciso i miei parenti e cominciavo a sperimentare il potere della seduzione... la incantai. Non letteralmente, non sarebbe stato facile nemmeno allora, con una strega della sua bravura. Era eccezionale, veramente. Ed aveva uno sguardo dolcissimo, molto lontano dalla severità che ebbe per il resto della sua vita adulta. La sedussi, e me ne innamorai ancora di più. Ma non glielo dissi mai, questo fu il problema. Non ebbi mai il coraggio di farlo, sapevo di amarla ma non volevo darle il potere di ricattarmi con questo. E la feci soffrire orribilmente, soffrendone a mia volta. Decisi io di lasciarla. Le avevo imposto la segretezza sul nostro rapporto, non era il caso di far sapere che il più bravo dei serpeverde stava con la miglior grifondoro.

Ci spezzammo il cuore a vicenda, ed io non lo risanai mai più. Me lo impedii. Volevo ricordare quanto faceva male amare, per non ricaderci mai più. Ci riuscii. Ebbi molte amanti, ma non ne amai nessuna.

Finché... con il mio terzo ritorno tutto è cambiato, mio malgrado.

Mi sono ritrovato a chiedermi che avevano così ostinatamente da straparlare dell'amore, coloro che mi avevano vinto. Li ho letti, li ho studiati nelle foto delle loro opere, nelle interviste che hanno dato ai giornali, alla mia morte.... e li ho trovati affranti, feriti, devastati da tutte quelle morti. Il loro amore era la capacità di soffrire per coloro che avevano perduto? Per quello mi avevano battuto? Ma che senso aveva? Sapevano combattere e soffrire per coloro che amavano.. che senso ha? Io ho combattuto strenuamente per ambizione, rabbia, desiderio di vendetta, e se sono stato sconfitto è stato per una serie di errori di valutazione, non per mancanza d'amore. O perché non fossi capace di soffrire. Quello lo so fare splendidamente bene da quando ho memoria. Non esiste giorno nella mia mente in cui questa consapevolezza non sia presente.

 

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Amore... ho provato a cercarlo, lo confesso. Quando ero in giro per il mondo con Cletus mi sono accorto che le donne mi notavano per il mio aspetto, e la cosa non smetteva di sembrarmi buffa. Non ho mai badato al mio aspetto, accorgermi di esser considerato attraente mi fa ridere a crepapalle, per quanto sia vero. Assomiglio a mio padre, che era universalmente considerato un bell'uomo. Molte donne mi hanno fatto capire che gli assomiglio molto, in questo. Ma mi sono sempre tenuto a distanza, fino a quella volta in Messico...

Ero in cerca di ricordi, seguivo distrattamente una compagnia di turisti new age, guidati da una svitata che parlava di energie della terra e intonava mantra inneggianti all'amore universale, con la compagnia che la seguiva estasiata. Una delle donne che la seguiva mi guardava già da tempo, da quando avevo incrociato la loro strada due giorni prima, nella capitale. Eravamo alle piramidi a gradoni di (:::) e mi osservava, mentre cercavo di tenermi in disparte ed osservavo il paesaggio... ero già stato lì decenni prima, avevo trovato un vecchio scrigno contenente polvere magica 800 anni prima, ormai del tutto priva di potere e di valore. La loro maestra mistica sosteneva di sentire immense energie, ed io sorridevo, pensando che la sola fonte di energia magica presente ero io, ormai. La guardavo, carica di braccialetti, vestita come una vecchia hippy, che guardava tutto con occhi luccicanti, mentre lei invece osservava me, che me ne stavo in un angolo, a guardare altrove. Mi si avvicinò, chiedendomi se avevo un accendino. Si chiamava.... no, che senso ha dirvelo? Era Lei, semplicemente. Mi infilai una mano in tasca, materializzai un accendino e glielo porsi. Chiacchierammo del più e del meno, e risi, mentre mi spiegava che era al seguito del gruppetto per via di un'amica con fibrillazioni mistiche, che lei assolutamente non condivideva. Era bellissima. Mora, occhi neri, una risata contagiosa. Finimmo a letto la sera stessa, mentre la comitiva andava a percepire le energie delle stelle. Abbandonò il gruppo e l'amica la settimana dopo, venendo a cercarmi nello stesso albergo, dove mi ero fermato per pura pigrizia.

Ero a corto di stimoli e ritrovarmela davanti fu una bella sorpresa. Non mi accorsi nemmeno di quello che mi stava succedendo, lo ammetto. Era passato talmente tanto tempo da quando mi ero innamorato di Minerva che non mi ricordavo nemmeno che sensazioni dava. Mi lasciai andare, curioso, eccitato, persino felice... era come una bambina, per me.. lei non lo sapeva, ma la differenza di età era enorme, lei era appena trentenne, io ne ho più di ottanta, anche se non li dimostro affatto. I suoi entusiasmi, la sua gioia di vivere era contagiosa, esaltante, e talvolta faticosa. Cominciò a chiedermi del mio passato e dovevo fare i salti mortali per inventarmi un passato ragionevole.. inventai di essere un giornalista free lance, di viaggiare per cercare storie, di essere in crisi creativa, per cui non scrivevo... e la difficoltà maggiore era nasconderle la mia magia. Finché...

Pensavo davvero mi amasse per quello che le dicevo di essere. Una sera mi beccò ad usare la bacchetta per prendere un libro dal tavolo. Un semplice, banale incantesimo di appello. Mi guardò con occhi che brillavano.

Lo sapevo che eri un mago. Lo avevo capito da subito.”

Restai di sasso. La guardai sbalordito. Cercai di spiegare, ma troncò ogni spiegazione con una frase che non avrei mai voluto sentirle dire.

So chi sei, ne avevo il dubbio, ma ora l'ho capito. Sei Lord Voldemort. Non puoi essere che lui.”

Aveva un'espressione febbricitante, fanatica.

Come puoi saperlo? Voldemort è morto, io non sono...”

Sei tu. Lo so. Mio padre era un tuo seguace, mi fece vedere delle tue foto da ragazzo... e non mi posso sbagliare, sopratutto perché ho riconosciuto la tua magia... il tuo potere è inequivocabile...”

La guardai... e qualcosa mi si spezzò dentro, quella notte, qualcosa che non è ancora guarito.

Sei una strega...” mormorai....

Annuì, sorridendomi.

Si. Mio signore... sei tornato.. aspettavo ti rivelassi a me, ma non lo hai fatto ed ho pensato avessi qualche piano, per quello ho atteso e non ho detto nulla... poi ho capito che non volevi altro che una compagna... ed io ora posso essere la compagna del Signore Oscuro!”

Mi sedetti... e compresi. Non mi aveva mai amato realmente. Era innamorata della mia fama. Del mio nome. Di chi ero stato, ma di me? Non sapeva nulla, non voleva accettare nulla.

Sentii qualcosa stringermisi dentro, come in una morsa. Scossi la testa, incredulo. Mi venne accanto, convinta che io fossi sollevato che avesse scoperto chi ero.

Io voglio stare con te, voglio che mi insegni le arti oscure... sii il mio maestro...”

La fissai... le carezzai il viso, mi persi negli occhi che credevo avessero così spesso ricambiato il mio amore.... e vi vidi solo il mio riflesso. Compresi che non avevo visto altro che quello, nei suoi occhi, quello che volevo assolutamente trovarci, ma che non c'era mai stato. Ero io ad averci proiettato qualcosa che desideravo, che bramavo. Che non sapevo di star cercando.... e che ero pronto a dare. Lei mi fissava, bramosa, ed io le carezzai il viso... senza pronunciare una parola l'ipnotizzai, e mentre le lacrime cominciavano a scorrermi sul viso, le feci dimenticare tutti i mesi che avevamo passato insieme.... il suo sguardo si svuotò, ed io fissai per l'ultima volta il mio riflesso nelle sue iridi spente. La condussi a letto, e di nuovo fuggii nella notte, verso il primo treno disponibile. Per la prima volta da quando ero tornato, accarezzai l'idea di riabbracciare la vita di prima, di tornare ad essere solo un mezzo demone, incapace di provare altro che odio, perché mi faceva sentire protetto, sicuro... non fragile ed inutile come mi sentivo su quel treno, come non facevo che sentirmi da un anno e mezzo, da quando ero tornato mio malgrado alla vita. Ma non ci riuscivo, stavolta qualcosa mi tratteneva, e mi lasciai trasportare dal treno verso la destinazione successiva.

Portava a Portland, nel Maine. Fu sul vagone che trovai una copia sdrucita di Moby Dick... e la storia di Ismaele mi fece venir voglia di vedere da dove era partito, Nantucket... avevo voglia di perdermi anche io, avrei tanto voluto potermi smarrire in mare, per sempre... quando vidi il faro ne rimasi colpito. Pensai che in mancanza di navi su cui potermi imbarcare potevo passare il tempo a guardare il mare, sperando che la ferita che mi sentivo in petto si rimarginasse con il tempo.

Lo ha fatto. La cicatrice non si vede, ma io la sento, come una scorza sul mio cuore. Mi ha corazzato, forse... perché non mi guardo più attorno con lo stesso bisogno di prima, la ricerca disperata ed inconsapevole di qualcuno che mi ami.... non ho più cercato gli occhi di una donna. Ho lasciato che mi cercassero, ma non mi sono fatto trovare, per così dire. Ho paura, si è vero. Sono terrorizzato all'idea di reinnamorarmi... e scoprire che sono solo proiezioni. Che quello che cerco non sono capace di trovarlo, perché non so che aspetto abbia.

Alla fine qualcosa di quello che dicevano i miei nemici l'ho capito... amare è qualcosa che ti rende più forte, meglio dell'odio. Ti rende capace di accettare la sofferenza, ti rende resistente in una maniera che l'odio non sa fare. Quando odi cerchi vendetta, quando ami vorresti solo poter amare. Ma non sono più capace di cercarlo, non so che faccia abbia... mi sono corazzato contro il rischio di soffrire di nuovo inutilmente..... ma non riesco a smettere di sperare di trovare quello che non cerco.

 

§§§§§§§§§§§§§§§

 

L'amore mi ha fatto a pezzi....

Pensavo di aver smesso persino di sperare. Di non volerci più ricadere... che la mia corazza fosse abbastanza salda da non rischiare più ferite, ma non è così. Le ferite si rimarginano, le cicatrici ti ispessiscono l'anima... ma poi si ammorbidiscono e tu ti abitui a sentire di nuovo... e riscopri il desiderio, senza accorgerti di provarlo, finché non incroci di nuovo uno sguardo gentile, una donna che ti guarda senza altro che dolcezza negli occhi. Ha gli occhi verdi, i capelli rossi... sa che sono un mago, ma non immagina chi io sia e mi crede, se le dico che semplicemente non voglio aver a che fare con le arti magiche se non lo stretto indispensabile. È una strega anche lei, ma la miglior magia che sa fare è quella di farmi sentire bene, quando vado al suo negozio a comprare le scorte di erbe magiche per Cletus... è lui che me l'ha fatta conoscere e sospetto che sperasse di vederci insieme... non so ancora che succederà. Non ci sono altro che sguardi, sorrisi e serate a guardare le stelle, al faro... e la gioia di una compagnia che non mi chiede nulla. Sa chi era Voldemort, e ne ha la stessa repulsione che provo io... se sapesse chi sono... non voglio pensarci. Ma non lo saprà mai. Quella vita è finita... ed il faro, il mare di fronte ad esso, mi hanno ridato la speranza di poter ricominciare. Forse.

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Capitolo 9
*** Bellatrix ***


Non mi sono dimenticato di te.... tu che sei stata la mia alleata più forte, la mia seguace più devota... Bellatrix. Ti sogno, talvolta... nelle notti più nere, torni a visitarmi. Il tuo volto è sempre stravolto dalla rabbia, mi accusi di aver tradito la causa, di aver vanificato la tua morte.
Non so darti torto, Bellatrix.
E' così, sopratutto ora che osservo il mondo dall'alto del Faro di Nantucket.
Ma non lo rimpiango, sai? Ora che ho visto anche io l'altra parte del velo, penso che non ci fosse altra via che abbandonare la strada che ho seguito per decenni, e tentarne un'altra.
Non l'ho mai confessato ad anima viva. Ma io ricordo l'altra parte del velo. So cosa mi attende, dopo la morte, per quello non ne ho più paura. Prima non lo sapevo, ma ora si. Per certi versi, non vedo l'ora di tornarvi. Venir riportato in vita è stata la violenza gratuita più feroce che mi abbiano fatto, dopo quella di avermi lasciato orfano. Mi sento perpetuamente di passaggio e non posso farci nulla. Sono sempre stato estraneo alla vita, ed ora lo sono sempre di più. Partecipo come un giocatore di riserva. Sono sullo sfondo, dopo aver cercato per tutta una vita di essere il protagonista, convinto che fosse il solo ruolo che mi spettava, che mi fosse stato levato, ma dovesse esser mio. Non ne sono più convinto, ora.
La morte iniziatica... è parte del percorso magico, ma io ho sperimentato la morte veramente. Sono sopravvissuto a me stesso, mio malgrado. Ed ora solo tu, Bellatrix, vieni ancora nei miei sogni a ricordarmi chi ero. So cosa vuoi dirmi. Ma non è un tradimento, no, è una trasformazione, necessaria, indispensabile.
Ora, solo ora io ho trovato un'altra faccia di me stesso... e malgrado sia così diversa da ciò che ero, mi rendo conto che essa esisteva già allora in me, sopita, dormiente. Ha potuto emergere solo ora che ho spazzato via la precedente, e non ci crederai, ma sto molto meglio con me stesso ora, di quanto non ci stessi prima.
Ti ricordi, Bellatrix? Quando ti infilavi nel mio letto fuggivo subito dopo la fine del rapporto. Non volevo permetterti di pensare di aver conquistato nemmeno un barlume di intimità con me. Non ero capace di dartene. Ed ora che nella mia vita è entrata una compagna, mi ritrovo ad amare quel momento di intimità che c'è dopo aver fatto l'amore, quando il corpo appagato lascia spazio alla comunione delle anime. Lei mi crede passionale ed ardente, visto quante volte giochiamo al gioco dell'amore. La verità è che adoro arrivare al dopo... alla pace dei sensi, alla comunione dello spirito, che non avevo mai conosciuto prima.
Ora, solo ora, adoro essere solo un uomo, semplice, nudo spiritualmente, prima che fisicamente.
Il tuo fantasma nella mia memoria non è una minaccia, Bellatrix, è un avvertimento. Mi rammenti ciò che sono stato e non voglio mai più essere. La tua presenza mi mantiene sempre vigile, un passo indietro. Ti devo persino ringraziare per questo, incredibile ma vero. Mi eviti di dimenticare che cosa sono stato, di perdere le tracce della mia nuova strada.
Ed a te, mia Dea dai capelli rossi... devo il piacere di vivere, anche contro il ricordo di cosa ho lasciato oltre il velo. Sei il solo motivo per cui resto da questa parte della soglia di pietra, la sola cosa che mi fa tenere alla vita. Mi hai fatto capire per cosa sono stato riportato in vita, per quale ragione mi hanno accidentalmente restituito più anima di quanta ne abbia mai posseduta in tutte le mie esistenze. Non ha importanza quanto tempo mi rimane, prima di tornare oltre il velo, ora non penso più sia troppo. Ora non ho più voglia di saltare dal faro nelle acque gelide dell'Atlantico, per tornare a casa, oltre il velo. Voglio restare, godermi ogni attimo con te.

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Capitolo 10
*** Anticaglie ***


Anticaglie.

 

Aveva sempre avuto una passione per le anticaglie. Reperti del passato pieni di memorie, carichi di emozioni, di storie da narrare. Gli oggetti magici, talvolta erano in grado di farlo.

Erano passati mesi da quando aveva comprato dal rigattiere quel vecchio baule magico, il cui incantesimo protettivo era andato in palla, finendo con l'occultare il contenuto agli stessi proprietari. Doveva esser passato molte volte di proprietario in proprietario, ed ogni volta si era mangiato il contenuto che gli era stato affidato appena veniva chiuso il coperchio, per non restituirlo più. Evidentemente prima che qualcuno decidesse di rivenderlo segnalando il difetto era passato molto tempo ed aveva finito con il viaggiare di mano in mano, per parecchie epoche, ingoiando contenuti di vario genere... Per fortuna, ora cominciava man mano a restituire il maltolto, e con esso le storie che narrava.

I primi oggetti ad emergere, e con esso i ricordi, furono alcuni indumenti da studente per Hogwarts... con il logo di grifondoro, riconobbe Tom, da ragazza. Una studentessa attorno ai tredici anni, a giudicare dalla taglia. Un piccolo diario emerse tra i libri spiegazzati, ed il mago vi lesse le speranze ed i primi turbamenti amorosi, scoprendo che si trattava di una fanciulla del 1938, gli stessi anni in cui era a scuola anche lui. Chissà quanto doveva essersi disperata di non aver potuto recuperare il piccolo diario, pensò, scorrendone le pagine, fino a trovarne il nome.. Sobbalzò di sorpresa, leggendolo. Niente meno che Minerva McGrannitt. Sorrise, leggendo le sue prime confidenze sulla scuola, sui compagni... si sorprese a cercarsi, in quelle pagine, ma non si degnavano di uno sguardo, all'epoca... lei era al terzo anno, lui al secondo, molto difficilmente si incrociavano. Estrasse dal baule tutto il bagaglio, senza trovare altro di interessante.

Richiuse il coperchio, e lo riaprì, per scoprire nuovi tesori... e trovò almeno un centinaio di libri, ammassati alla rinfusa. Sorrise di contentezza, sperando di trovare qualche testo interessante, ma la delusione si dipinse a tinte sempre più intense sul suo viso man mano che estraeva i volumi e ne leggeva i titoli. Una sterminata collezione di romanzi d'amore, che andava dalla seconda metà del 1800 fino agli anni sessanta del secolo successivo. Ne sfogliò qualcuno, sperando che magari fossero almeno ben scritti, o celassero qualche autore interessante, ma erano della peggior specie, dozzinali e ripetitivi... ma chi accidenti poteva aver accumulato una collezione del genere? Aprì diverse copertine, dove campeggiava sempre lo stesso ex libris, rappresentato dal disegno di una cerbiatta, finché non trovò un appunto sull'acquisto di un calderone nuovo la cui grafia contorta era inconfondibile, per lui... Severus Piton! Era la collezione segreta di quel vecchio misantropo... il mago rise fino alle lacrime, quando in un altro graffito sui libri ebbe ulteriore conferma dell'identità del proprietario di quella collezione. Terminò di estrarre tutti i libri, pensando di rivenderli al rigattiere, anche se l'idea di mandarli tutti a Potter come cimelio lo solleticava parecchio...

La successiva apertura del bagaglio rivelò una serie di abiti femminili elegantissimi, apparentemente dei primi anni dell'800... avvolti da una puzza di putrefazione oltre il sopportabile. Bastò spostare un soprabito per comprenderne il motivo. Il corpo ormai mummificato di un piccolo elfo, per altro estremamente giovane, viste le dimensioni minute, era ranicchiato in un angolo. La sua padrona evidentemente aveva ritenuto che il modo migliore di farlo viaggiare fosse insieme agli abiti, ed il piccoletto era stato obbligato ad obbedire. Il mago rinchiuse il coperchio, senza estrarre nulla, toccato dalla terribile fine di quell'esserino.

L'apertura successiva si dimostrò molto più interessante. Trovò una serie di piatti, stovigile, tazze, e di diari scritti con scrittura fine, appartenenti ad un mago che aveva viaggiato per gli States durante gli anni della frontiera americana... raccontava dell'incontro con i popoli autoctoni, con i loro uomini medicina, osservati con l'occhio attento e rispettoso del mago ricercatore, e descriveva le battaglie contro i babbani con sdegno, sottolineando come essi non provassero nemmeno a cercare di conoscere questo popolo le cui conoscenze magiche erano strabilianti. Tom lesse avidamente quei diari, aveva anch'egli viaggiato in lungo ed in largo per il mondo, per imparare la magia ovunque ve ne fosse, e conosceva bene lo sciamanesimo. Per quanto per certi versi potesse sembrare arcaica e primitiva, era una forma di magia che manipolava energie enormi, e ci voleva una gran preparazione per impararla. Sorrise quando scoprì il nome del mago... era un Weasley, lontano parente dei rossi che avevano spalleggiato Potter contro di lui, ed era manifestamente anti babbano, a differenza dei suoi discendenti.

Al termine delle letture chiuse nuovamente il coperchio e quando lo riaprì trovò abbigliamento da montagna ed attrezzatura da roccia della fine dell'ottocento. Pareva ben poco di interessante, se non fosse stato per un libro sulla cabala che trovò al fondo del baule. Era appartenuto a niente meno che Aleister Crowley, grandissimo mago oltre che appassionato rocciatore. La data risaliva ad uno dei primi viaggi in Tibet dell'arcimago, quando ancora stava imparando l'Arte in seno alla Golden Dawn. Il libro era ricco di commenti, alcuni di mano del mago ed altri di McGregor Mathers, un vero cimelio di indicibile valore, per Tom. Lo depose con cura sulla propria scrivania, sorridendo.

Ancora un'apertura... ad emergere furono decine di flaconi di pozioni, dai colori più diversi. Le etichette erano ormai scolorite e si intuivano date risalenti ad almeno un secolo prima. Il mago estrasse la bacchetta per analizzarle senza aprirle e si rivelarono per la maggior parte pozioni d'amore ed afrodisiaci, molti dei quali per altro inefficienti per la mancanza dell'ingrediente attivatore, ovvero capelli o altro della persona interessata. Solo una bottiglietta si rivelò diversa... conteneva una dose da cavallo della pozione mortale più temuta e difficile del mondo magico. Un plico di lettere svelò l'arcano sul contenuto così bizzarro. Era appartenuto ad un viaggiatore di commercio, un rappresentante, vendeva pozioni d'amore alle signorine di buona famiglia, e talvolta vendeva anche il veleno alle stesse donne, quando l'oggetto del loro amore smetteva di far finta di amarle e le abbandonava. Una di queste lettere era scritta in una grafia molto esitante e infantile, e si lamentava che la pozione non funzionava più... era firmata con le sole iniziali, MG, e chiedeva una dose di veleno, alla successiva spedizione. Era datata giugno 1925 e la firma era circondata da un ghirigoro simile ad un serpentello... Il mago la lesse un paio di volte, mentre strane domande gli percorrevano la mente, prima di posarla insieme alle altre.

L'ultima apertura fu un'altra strana sorpresa. Giocattoli, una quantità incredibile di giocattoli a molla di tutti i generi. Bamboline che camminavano, chiamavano mamma, ballavano, soldatini di piombo che facevano qualche passo, e poi trottole, yoyo, macchinine, libri di favole, matite colorate, pastelli, album da disegno... ed una lettera di accompagnamento che lo lasciò letteralmente di sasso. Era stata scritta nel 1931, spiegava che i giocattoli andavano distribuiti tra tutti i bambini dell'orfanotrofio a cui erano stati spediti, e che la donazione doveva restare anonima. Era firmata Tom Riddle Sr.

Il mago rinchiuse il baule, seduto per terra, accanto ad esso restò a guardare i giocattoli che ticchettavano, saltavano, ballavano e camminavano in giro, lo sguardo perso e la lettera stretta in mano. Lo sapeva. Quel maledetto babbano sapeva che lui era in quell'orfanotrofio? O i doni di giocattoli erano il solito tentativo delle famiglie borghesi dell'epoca di pulirsi la coscienza in occasione del natale? Non riusciva ad capirlo.

Decise che tormentarsi per cercare di indovinarlo non avrebbe avuto alcun senso. Con pochi colpi di bacchetta ordinò i trofei in diverse scatole e poi ci scrisse sopra il contenuto ed il prezzo. Presto sarebbero tornato dal rigattiere, e quegli oggetti, tranne poche cose, come i diari del vecchio Weasley ed il libro di cabala di Crowley, avrebbero ricominciato a girare per il mondo.

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Capitolo 11
*** Irrequietudine ***


Erano settimane che girava per il faro come una bestia in gabbia. Solo certe notti riusciva a dormire serenamente, quando il mare mostrava tutta la sua forza, in tempeste particolarmente irruente. Allora, soltanto, trovava pace, come se il fatto che il cielo mostrasse tanta furia gli desse la quiete che cercava. In qualche modo sentiva di potersi rilassare, quando era il cielo a esibire l'irrequietudine che sentiva dentro.
Quel posto al faro lo aveva voluto per trovar pace, e per certi versi gli era riuscito... dopotutto gli piaceva ancora guardare il mare, la sera, quando il sole tramontava e la notte sembrava ingoiarsi tutto, ma c'era ancora qualcosa che lo tormentava. Si rendeva conto che una situazione così solitaria gli lasciava troppo tempo da passare con se stesso. E non si era abbastanza simpatico, per passare tutto quel tempo in propria compagnia.
Guardava il proprio baule da viaggio con intenso desiderio, certi giorni... aveva voglia di fare i bagagli e ripartire, ricominciare da capo altrove, azzerare di nuovo tutto e vedere cosa sarebbe saltato fuori da un'altra parte... un suo conoscente, un licantropo di nome Derek era partito per un lungo viaggio in moto, in quei giorni, solitario, alla ricerca di se stesso, e lo aveva solleticato l'idea di far la stessa cosa, per un po'.
Poi gli passava davanti Cletus, impegnato a risolvere i guai che il piccolo Ken, uno dei due fantasmi che aveva incontrato al faro, particolarmente dispettoso, organizzava a loro discapito... e sorridendo accantonava l'idea. Si era affezionato, a quella stramba situazione, era una specie di buffa famiglia, quella che si era costruito... persino il Capitano Stewartson gli sarebbe mancato, anche se si faceva vedere solo quando c'erano guai alla lampada. Senza contare l'accoglienza benevola dei maghi di Nantucket. Lo avevano accolto senza troppe domande, accontentandosi della storia che aveva raccontato, di esser una specie di apolide, senza patria, senza famiglia, in giro per il mondo solo per trovare un posto dove stare... ed alla fine lo aveva trovato, doveva ammetterlo con se stesso. Ma qualcosa gli si agitava ancora dentro. Non sapeva trovar pace in se stesso, se ne rendeva perfettamente conto. I suoi fantasmi personali erano tornati a tormentarlo, alcuni li aveva superati, come quando aveva incontrato di nuovo Potter o addirittura Fenrir Greyback, anche lui esule dall'altra parte del pianeta per fuggire al loro passato sanguinoso.
Eppure...
La compagnia femminile non gli mancava, era persino riuscito ad innamorarsi, anche se non si era ancora dichiarato alla bella strega con cui usciva ultimamente, Nena, malgrado fosse ben lontano dall'aver capito esattamente cosa fosse l'amore. Ma non erano tormenti di natura sentimentale a farlo sentire così irrequieto.
No.
Uno scopo. Qualcosa da fare che non fosse solo accendere e spegnere quel dannato faro. Qualcosa che avesse a che fare con il solo percorso che non aveva mai abbandonato.
La Magia, l'Arte.
Non era più ricerca di potere, certo. Diamine, da quando era tornato in vita per la seconda volta, si era reso conto di esser diventato persino più potente di prima, come se la sua anima reintegrata avesse posseduto poteri che i brandelli che gli erano rimasti in precedenza non riuscivano a contenere. Ora gran parte della magia più elementare poteva attuarla senza nemmeno la bacchetta, addirittura i suoi poteri di telepatia e telecinesi si erano ampliati al punto che aveva dovuto rafforzare le proprie schermature mentali, per evitare che interferissero con la sua quotidianità, altrimenti rischiava di portarsi gli oggetti alle mani in qualunque momento semplicemente guardandoli intensamente, o di leggere le menti delle persone che incontrava senza sforzo, con un semplice sguardo più profondo. La disciplina che praticava in gioventù per allenarsi era tornata ad essere pratica quotidiana, meditava, faceva esercizi di rilassamento, di concentrazione... insomma, stava ricominciando a sentirsi di nuovo un mago in piena attività, cosa che aveva trascurato per molto tempo. Ma non era in cerca di altro potere, non avrebbe saputo che farsene, ora come ora.
Aveva cercato di fuggire da se stesso in tutto il mondo, ed era quello che aveva finito con il ritrovare, nella quiete del faro. Se stesso, quello che era, un mago.
Ciò nonostante, non era ancora in pace.

segue....

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Capitolo 12
*** Dal diario di Tom: Silente. ***


Oh Nera Signora... che accogliesti i brandelli della mia anima tormentata per farne di nuovo un'insieme da rappezzare e curare... Madre dei viventi, che accogli coloro che tornano a te dopo i tormenti della vita e li consoli... Divoratrice dei mortali, a cui fui strappato ingiustamente da maghi ignoranti e crudeli.. torna a prendermi. Ti prego, torna a prendermi. Non mi lasciare ancora a lungo in questo crudele tormento... vieni a lenire il mio dolore, portami di nuovo dove tutto questo acquista un senso, dove le mie ferite vengono curate, dove posso scegliere se dissiparmi nel silenzio o provare a ricominciare altrove senza la memoria del dolore inflitto e provato. Levami questo involucro che ormai contiene solo ricordi ed è svuotato di ogni speranza.

Io... mi ricordo dov'ero prima. Per quello non cerco più l'immortalità. So cosa mi attende e non ne ho più paura. Non credete a chi vi parla di paradiso ed inferno, di punizione e premio per i buoni, non è così. Quello che incontrate di là... dovrei essere uno scrittore molto migliore di quello che sono per riuscire a parlarne. Forse dovrei essere un poeta, o un mistico, o un filosofo, ma non sono nessuna di queste cose.

Sono un mago, ed a mala pena un uomo.

Posso solo dire che quello che ho incontrato dall'altra parte sono stato io stesso. Nella mia interezza, mi sono per la prima volta in vita mia guardato completamente, luce e buio, senza illusioni, senza convinzioni, senza altro che uno sguardo imparziale. Ho visto me stesso, completamente, nudo ed integro, per quello che sono stato.

Posso dire che è stato terribile.

Ma non crediate che sia così perchè sono stato un uomo cattivo... e che se siete buoni, vedere voi stessi vi piacerà, perchè non è così. Vedere se stessi in quel modo fa male a chiunque, credetemi, lo so. L'ho visto. Mi è stato spiegato. Perchè vedete, quello è il primo passo per esser guariti. bisogna vedere la propria Ombra. Ognuno di noi ha un'ombra, anche l'uomo più buono.. e per molti che si credono buoni può anche esser più doloroso di quanto lo è stato per me, incontrare la propria Ombra, se si è vissuti a lungo coltivando l'illusione di non averne. Almeno io sapevo che c'era molto di oscuro in me... ci avevo sguazzato, nella mia tenebra, l'avevo lasciata uscire, l'avevo fatta giocare... quello a cui non ero minimamente preparato non era la mia ombra, no... era la mia parte più fragile, il bambino che ero stato. Capirlo, guardarlo e provare compassione per quello che avevo vissuto, questo è stato doloroso.

Ognuno di noi si ferisce, in questa vita, e quello che c'è oltre è guarigione. Un lungo e doloroso processo di guarigione e cura, tanto più lungo e doloroso quante più sono le ferite che ci si porta dalla vita. Serve a guarire.. ed a trovar la voglia di ripartire con un altro giro di giostra. Ma come funziona oltre non lo so. Mi hanno strappato da quel posto e riportato qui che ero a mala pena agli inizi del mio percorso. Ma ci sono guaritori, e compagni di viaggio, oltre, con cui si condivide la cura... e sono i personaggi più strani. Ti vengono ad accogliere, appena varchi la soglia e ti aiutano a rimettere insieme i cocci dopo che hai visto te stesso.

Io sono stato aiutato da Silente... proprio lui, già.

E' venuto da me, come fece una volta in orfanotrofio.

Me lo ricordo come se fosse successo oggi, sapete? Quell'uomo alto, che aveva negli occhi e nel modo di muoversi qualcosa che non avevo mai visto in nessun altro. Ciò che mi disse è stato il ricordo alla base del mio patronus per gran parte della mia adolescenza. Ero un mago.... era la ragione per cui ero diverso da tutti gli altri. E c'era un posto dove quelli come me erano normali. E mi avrebbero accolto tra di loro, come un loro pari.

Non mi importava eccellere, inizialmente, fu solo dopo esserci arrivato che mi resi conto di esser migliore di tutti gli altri. Pian piano mi accorsi di quanto erano estesi i miei poteri, studiando, esercitandomi. Se ne rese conto anche Silente, e lo vidi preoccuparsene, progressivamente. Io esultavo.

Si è detto che lo temessi. Non è vero, non l'ho mai temuto. Sapevo ciò di cui era capace, e quando sono arrivato al suo livello non l'ho mai sfidato direttamente per puro e semplice rispetto. Potete anche non credermi, ma io stimavo quel vecchio mago, anche se si divertiva ad insultarmi chiamandomi con il mio nome babbano. Oh, si, sappiatelo. Era un deliberato insulto e lo faceva apposta. Non era un santo, il vostro Silente. Mi comprese rapidamente, a scuola... sapevo che mi teneva d'occhio, ed io tenevo d'occhio lui. Posso dire che è stato una delle motivazioni per eccellere, il suo sguardo. La vivevo come una sfida, volevo dimostrare a quell'uomo, che faceva tanta mostra della sua dolcezza e bontà, che potevo essere bravo quanto lui malgrado la mia freddezza e sostanziale amoralità.

Era una sfida tra arroganti, e lo eravamo entrambi, per motivi ed in modi diversi.

Silente sapeva perfettamente di essere uno dei più grandi maghi mai esistiti e sapeva benissimo che non era ancora arrivato nessuno in gradi di rivaleggiare con lui, finchè non conobbe me e mi vide evolvere, sotto i suoi occhi. Era impressionato dalle mie capacità. Ci sono sempre stati studenti brillanti a Hogwarts, ma nessuno, a parte lui, come me, nella nostra epoca. Lumacorno mi aveva accolto nel suo Lumaclub, come amava chiamarlo, ma in realtà era proprio con Silente che avevo il rapporto più stretto, anche se ci parlavamo solo stretto indispensabile. Lumacorno era solo un vanesio opportunista, un arrampicatore sociale con pochi meriti, si aggrappava ai ragazzi di talento che incontrava per mantenere il prestigio che il suo potere non bastava a garantirgli. Era possibile sfruttarlo, cosa che Silente non permetteva.

E di nuovo, fu lui a venirmi incontro, quando varcai la Soglia, ad Hogwarts, ucciso dalla mia stessa bacchetta e dalla cecità del mio odio. Eravamo in una specie di atrio nebbioso, che divenne la stazione di King's Cross, man mano che mi abituavo al posto e riuscivo a mettere a fuoco l'ambiente, ma ci vollero quelle che mi parvero ore, perchè ciò accadesse. Al vederlo fui sopraffatto dall'orrore e dalla rabbia.

Urlai, gridai come un ossesso, cercai di usare ancora la mia bacchetta. Lo aggredii a parole, non potendo usare altro. Lui lasciò che vomitassi tutto il mio odio, attese fino a che smisi, stremato.

Fu allora che mi resi conto di esser morto.

Ero integro, mi guardai, mi toccai il viso, come avevo fatto quando Codaliscia aveva ricostruito il mio corpo e lo ritrovai intatto. Naso, capelli, pelle rosea e non più bluastra e scagliosa.

"Ho perso, vero?" chiesi in un bisbiglio.

"Si, Tom, hai perso." mi rispose. E per la prima volta, nel pronunciare il mio nome, non vi colsi alcuno scherno. Lo usò in maniera neutra, solo per darmi un nome.

Mi portai le mani al viso, cercando di trattenere le lacrime... di rabbia, di delusione, di dolore. Sentii un gemito prorompere dal mio petto, mi piegai su me stesso, straziato da un dolore inenarrabile.

"Ho fallito..." mi sentii mormorare, con voce irriconoscibile. "Ho fallito, ho fallito, ho fallito... è stato tutto inutile! Inutile..."

Fui nuovamente preso dalla collera, piansi, gridai, non so per quanto tempo. L'atmosfera attorno a me divenne nera, come la notte, fantasmi mi giravano attorno come Dissennatori, stringendomi in una morsa fredda e divoratrice. Vidi i Dissennatori nella loro forma reale, quella che hanno nell'altro mondo, e compresi che in realtà non esistono... sono nostre proiezioni, sono le nostre paure più grandi, siamo noi a nutrirli. E si nutrirono di me. Mi divorarono, facendomi vedere di nuovo tutta la mia vita, nei suoi momenti più angosciosi. L'orfanotrofio e tutto l'orrore di abbandono e rifiuto di me stesso che ci avevo vissuto, gli anni della ricerca del potere, in cui man mano mi svuotai di umanità, la prima ascesa al potere, quando cominciai io stesso a nutrirmi del terrore che incutevo, al pari di un Dissennatore. La mia prima sconfitta e tutti gli anni ad attendere di poter ritornare, e poi quel breve barlume di illusione che era terminato a Hogwarts. Mi rividi con chiarezza, come se fossi spettatore di me stesso, mi guardai per la prima volta da fuori ed ebbi orrore di me stesso, di quello che avevo scelto di diventare. Vidi le persone che avevo incontrato e per la prima volta in vita mia mi accorsi che qualcuno aveva persino cercato di amarmi, in qualche momento della mia vita. Qualche ragazza, a scuola, qualche amico... i primi che avevo allontanato. Persino Silente, in qualche momento, mi aveva guardato con sincero affetto. Ed io non lo avevo compreso.

Non so quanto tempo passò. Oltre il velo il tempo non esiste, è un concetto che esiste solo di qua. Mi ritrovai nuovamente a King's Cross, sdraiato per terra a braccia aperte, con l'anziano mago seduto sul pavimento accanto a me, e mi guardava paziente. Ero ansimante, il volto bagnato di lacrime.

"Cosa faccio ora? Che cosa mi aspetta?" chiesi con un filo di voce.

"Quello che sceglierai, Tom. Come di là, sei tu a scegliere. Puoi restare qua a guardare quello che sei stato ancora, oppure puoi scegliere di andare oltre, e provare a liberarti del dolore che hai vissuto." mi disse, semplicemente.

Mi girai a guardarlo, perplesso.

"Non ci sono punizioni?" Chiesi. Le suore cattoliche mi avevano riempito la testa dell'idea di punizione, e malgrado per tutta la vita non ci avessi creduto, ora quasi me la aspettavo.

"Se le vuoi, ci sono anche quelle.... ma mi pare che la tua vita terrena ti abbia punito abbastanza, non credi?" Mi disse Silente sorridendo. Ed in quel sorriso riconobbi l'affetto, per la prima volta. "Puoi restare a guardarla, di nuovo e di nuovo, se lo desideri. Questa mi pare già una punizione sufficiente..."

Scossi la testa, debolmente.

"No..." mormorai. "Non ne posso più di me stesso. Ma quali altre scelte posso fare?" Cominciai a tirarmi su, aiutato dal mago. Mi sentivo esausto, eppure non provavo dolore fisico... era come se il mio corpo ci fosse, ma non provavo più nulla. Tutto il dolore che sentivo era emotivo, ed era più intenso di quanto avessi mai sentito in tutta la mia vita. Mi bruciava, mi pesava, mi annichiliva. Mi appoggiai a Silente, come se non fossi in grado di reggermi in piedi, e Silente mi resse senza sforzo, come se non pesassi nulla.

"Questo è solo un punto di passaggio, Tom." mi spiegò. "Questo è il luogo dove lo spirito e la materia si incontrano, è la sfera dell'illuminazione. Qui sei al centro del tuo petto, Tom, puoi scegliere il resto della tua strada. Se tornare subito indietro, e rischiare di fare un altro giro di ruota senza comprendere gli errori fatti oppure provare a proseguire, bruciando ogni cosa e ricominciando in altro modo."

Il luogo in cui eravamo cominciò a trasformarsi. Luci dorate e rosate brillarono in quello che pareva un cielo, mentre una sensazione di calore e di luce cominciò ad invadere il mio cuore e la mia mente. Di fronte a noi vidi un albero, e legato perfettamente in mezzo vi era un uomo, capovolto, a cui un corvo stava beccando via un occhio. Eppure l'uomo rideva, esultante, come se non sentisse dolore. Riconobbi immediatamente quello che vedevo e compresi. Dovevo sacrificare me stesso, quello che ero, dimenticarlo, ed allora avrei potuto ricominciare altrove. Abbandonare me stesso, tutto quello per cui avevo combattuto e creduto. Non fu facile. Per quanti errori avessi commesso, mi era costato tutto quello che avevo, immensi sacrifici, dolori, fatiche... non ero disposto a lasciare andare tutto quello che avevo fatto come se nulla fosse. Ma non volevo assolutamente rivivere di nuovo tutto quel dolore, solo allora comprendevo che era troppo, ingiusto, immeritato, per me e per tutti coloro che mi avevano avvicinato e lo avevano subito.

Fu allora che avvenne.

Il dolore si alleggerì, Silente accanto a me divenne un bambino, sorridente, mi prese per mano, mi guidò accanto all'albero, dove guardai con attenzione il viso dell'uomo legato, riconoscendomici. Ero io, e l'esultanza che il mio volto dimostrava era qualcosa che non avevo mai provato. Provai un desiderio struggente di sentire quell'esultanza, di provare un barlume della gioia che paradossalmente provava l'uomo accecato dal corvo... e sorrisi al bambino, che ora aveva il mio viso. Di fronte a noi si aprì una specie di tunnel, ed una figura femminile cominciò a venirci incontro. Mi parve di riconoscerla, mi era vagamente familiare... stavo per andarle incontro, per scoprire chi era, quando con uno strappo doloroso e fortissimo, fui catapultato nel mio corpo mortale, su un altare, nudo, circondato da maghi che agitavano talismani, pezzi dei miei horcrux e salmodiavano formule arcane e potentissime.

Mi avevano riportato in vita, proprio quando avevo deciso che non volevo rifare gli stessi errori, quando ero pronto per sacrificare il mio ego e andare oltre, verso la guarigione.

Ero di nuovo qua, con tutto me stesso, contro la mia stessa volontà.

Non sarò mai in grado di suicidarmi, lo so... e non andrò mai in cerca di qualcuno che lo faccia per me. Sono troppo dominato dal mio istinto di autoconservazione, per lasciarmi morire o uccidere. Ma questo non toglie che da quando sono tornato la vita mi pesi come un macigno. Purtroppo, anche se sto cercando di viverla in modo diverso da prima, migliore, più consapevole, certe volte non posso fare a meno di sperare che la Nera Signora si sbrighi a venirmi a prendere...

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Capitolo 13
*** Un nuovo inizio. ***


Un giorno, caldo, estivo ma ventoso, tornò a farsi un giro nel quartiere magico di Nantucket. C'era il mercato, che attirava venditori da tutta la costa del Massachussets, da Boston a Salem, e Tom vagava tra le bancarelle, osservando vagamente interessato la profusione di mercanzia bizzarra che veniva esposta e scambiata. I negozi erano tutti aperti, la gente passava dal mercato alle vetrine, comparando i prezzi, chiacchierando.... Vi erano anche molti turisti magici, arrivati per il week end, attirati dal mercato e dal bel tempo che regnava sull'isola, rendendola più bella che mai. La luce sembrava talmente intensa, colorata leggermente di ottarino, il colore della magia che solo i maghi possono percepire, da rendere tutto più tridimensionale, più reale, in qualche modo... il chiacchiericcio della gente era stranamente sommesso, come se nessuno osasse disturbare la bella giornata facendo chiasso. Il profumo di salsedine ricordava a tutti la vicinanza con il mare, e parecchi banchi vendevano pesce fritto e patatine, riempiendo col profumo di cibo l'atmosfera già satura di odori.

Tom si sedette su una panchina a guardare i passanti, un lieve sorriso sulle labbra, divertito dal gioco intimo di immaginare le storie di ognuno, lasciando le briglie sciolte alla propria telepatia, per verificare se le sue congetture erano azzeccate o meno, quando vide passare il rigattiere, quello da cui aveva comperato il baule che gli aveva riservato tutte quelle sorprese.

Era preoccupato, non guardava dove andava e pareva molto agitato. Si sedette sulla sua stessa panchina, senza quasi notarlo. Tom restò in silenzio, senza turbare il flusso dei pensieri dell'altro, talmente tumultuosi che stava per chiudere la propria mente, per non esserne disturbato, quando lo sentì chiaramente pensare che avrebbe dovuto vendere il proprio negozio, se non trovava qualcuno che lo aiutasse a pagare quelle dannate tasse arretrate. Doveva trovare un modo... forse un socio, qualcuno che fosse interessato a rilevare una parte del negozio, a cui magari lasciare un po' di lavoro, visto che ormai diventava vecchio e non aveva nessuno a cui lasciarlo, di lì a non molto...

Tom si girò a guardare il negoziante. Era anziano, ed effettivamente non doveva aver ancora molti anni di lavoro, davanti. Continuò ad ascoltarne i pensieri... l'uomo stava considerando che pagare quelle tasse avrebbe voluto dire restare sul lastrico, senza la possibilità di tenere il negozio e con nessuna prospettiva di pensione, visto che tutti i suoi risparmi sarebbero finiti in quella maledetta tassa.

Richard, amico mio...” lo richiamò Tom alla realtà “La vedo preoccupato...”

Aveva passato molto tempo a parlare con il mago, quando lo andava a trovare in negozio, poiché erano entrambi appassionati lettori e collezionisti di libri rari ed antichi, e gli aveva spesso trovato delle rarità estremamente interessanti. Erano diventati amici, in qualche modo, e spesso ormai Tom passava al negozio semplicemente per andarlo a trovare e far due chiacchiere.

L'anziano negoziante sobbalzò, sorpreso.

Tom!” piegò le labbra in un amaro sorriso che non raggiunse gli occhi. “Perdoni, non l'avevo nemmeno vista...” sospirò, grattandosi i folti capelli bianchi. “È vero.. sono molto preoccupato.”

Gli raccontò succintamente ciò che Tom aveva già letto dalla sua mente, ed il guardiano del faro ascoltò con interesse, annuendo comprensivo. Un'idea, quasi solo un'intuizione cominciava a prender corpo nella sua testa. Nei suoi viaggi aveva recuperato sempre molti tesori, tanti dei quali erano rimasti dove lì aveva lasciati, ben custoditi dai suoi incantesimi, fin dai tempi della sua ascesa al potere. Oggetti magici antichi e moderni di inestimabile valore, gioielli, libri antichi e potenti... insomma, nascosto in giro per il mondo, l'ex Signore Oscuro aveva un cospicuo tesoro a cui aveva raramente attinto, dal suo ritorno, solo per quel poco che gli era stato necessario per viaggiare senza particolari lussi. Era tuttavia in grado di mettere insieme molti soldi, in poco tempo, molto di più della somma di cui aveva bisogno l'anziano rigattiere a dire il vero... ma non era necessario che l'altro lo sapesse. Parlò a lungo con il mago, cercando di rassicurarlo che avrebbe trovato certamente un modo per uscire dai suoi guai.. e che talvolta gli aiuti arrivano dalla fonte più inattesa, e poi tornò al faro, con il cuore più leggero. Un'idea gli cresceva nella mente... ed una speranza gli crebbe nel petto. Macinò pro e contro per qualche giorno, e poi tornò al negozio, una mattina, di lunedì.

Richard, credo di avere una buona notizia per lei, se la vuol sentire...” esordì sorridendo.

Inventò li per lì di aver dei soldi da parte, circa la metà della somma di cui l'altro aveva bisogno... e si propose come socio.

L'anziano mago accolse la prospettiva con gioia, quasi si commosse, all'idea di aver trovato il modo di risolvere i suoi affanni, sollevato che il possibile socio fosse almeno una persona colta, dotata dei suoi stessi gusti ed interessi. Si accigliò solo all'idea di Tom di organizzare un settore per i libri antichi più ampio di quello di cui disponeva attualmente, ma decise di acconsentire, quando Tom promise che se ne sarebbe occupato personalmente, affiancandolo nella gestione del negozio... il che avrebbe significato dividersi gli stressanti orari di lavoro, che il canuto commerciante cominciava a trovare pesanti e faticosi, ormai. Senza contare che questo avrebbe concesso a Tom di potersi distrarre da se stesso, per occuparsi di quella che poteva considerare un'altra delle sue grandi passioni.. i libri.

L'accordo fu discusso in lunghe serate di chiacchiere, al pub magico di Nantucket, con la supervisione di Jones, il proprietario, che pareva averli adottati entrambi e si prodigava in consigli e suggerimenti. Decisero di allargare il negozio per potervi aggiungere il lato bibliotecario, e Tom si prese una settimana per andare a svuotare uno dei suoi nascondigli dal tesoro che conteneva, prevalentemente gioielli magici, che vendette anonimamente a New York, presso l'asta nel quartiere magico nascosto a Central Park, e riportò non solo i soldi necessari all'investimento, ma anche una cospicua riserva di libri magici ed oggetti antichi per il negozio, sostenendo che facevano parte di un'eredità.

Pochi giorni dopo la ratifica della nuova società, i due maghi chiusero il negozio ed a suon di bacchette si divertirono a rinnovarlo, allargandolo di parecchio per contenere il lato dedicato ai libri antichi, e rinnovando il lato per l'antiquariato. Non ci misero molto ed il locale pareva brillare di luce propria, quando terminarono. Ora non restava che organizzare l'inaugurazione...

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Capitolo 14
*** Viaggio a Praga - Cross over con Dampyr - parte I ***


Praga la magica... mi accolse sotto la pioggia scrosciate la prima volta che la vidi, più di cinquant'anni fa. Fu una delle mie prime mete, dopo aver lasciato Londra ed Hogwarts, quando partii per le mie ricerche sulla magia oscura in tutto il mondo. È rinomata per essere uno dei vertici del triangolo di magia bianca, con Lione e Torino, la quale fa capo all'altro triangolo di magia nera, che comprende Londra e San Francisco, ed intendevo visitarle tutte quante. Girai per i vicoletti, sopratutto di notte, armato di rilevatori magici, per trovare le tracce degli antichi maghi e alchimisti che avevano abitato per quelle strade, volevo vedere il luogo ove era stato creato il Golem, e fu una visita estremamente produttiva, conclusa tuttavia in maniera piuttosto imprevista.
Ne venni letteralmente scacciato, da un'entità che non mi sarei mai aspettato di trovare e che non sarei mai stato in gradi di affrontare. Un angelo, Camael, il protettore di Praga, quando cominciai ad effettuare esperimenti che avrebbero alterato l'equilibrio magico della città, si manifestò e mi ingiunse di andarmene con le buone, o ne sarei stato esiliato con le cattive.
Non me lo feci dire due volte, sinceramente. Volai a Lione, dove rimasi ben più a lungo, senza dare troppo nell'occhio, poi mi diressi a Torino, e da lì a San Francisco, per poi proseguire verso altre mete, troppo estese da narrare in questa sede. Pensavo che non avrei mai più messo piede a Praga e non avrei mai incontrato di nuovo Camael, ma mi sbagliavo, come è accaduto sovente, nella mia vita.
Ci tornai dopo il mio secondo ritorno, mentre vagabondavo per il mondo in cerca di un luogo dove stare, pensando che questa volta, se non mi mettevo a far strani incantesimi, non avrei avuto motivo di incappare ancora in Camael, ma lo incontrai di nuovo, in circostanze stranissime.
Ricordo che uscivo da un pub, dove ero andato a cenare, quella sera, e come al solito pioveva. É una città che acquista fascino sotto la pioggia, per cui, malgrado l'acqua e l'ora tarda, mi lasciai vagabondare per il centro, osservando le luci dei lampioni riflettersi sulla Moldava battuta dalla pioggia, senza pensare a nulla, notando a mala pena i rari passanti che cercavano di ripararsi.
Fu lei a notarmi. La vidi venirmi incontro, e quando fummo a poca distanza, mi guardò sbalordita, per chiedermi qualcosa in una lingua slava che non conoscevo. La guardai perplesso, perché sembrava riconoscermi, e le sondai delicatamente la mente per capire chi fosse, e come potesse riconoscermi, visto che da quando avevo ritrovato il mio volto ero tornato anonimo, e quello che vidi nella sua mente bastò a lasciarmi di stucco. Era una vampira. Molto bella, anche se estremamente androgina, con cortissimi capelli biondi, occhi trasparenti e fisico statuario. Misi mano alla mia bacchetta, pronto a difendermi, se si fosse azzardata ad aggredirmi, e dissi, in inglese: “Non capisco quello che dici”.
“Tu non sei Harlan...” fu il suo commento, in un inglese molto fluido, anche se fortemente accentato. “Ma gli assomigli come una goccia d'acqua!”
Mi guardava sbalordita e cercò di girarmi attorno, come se volesse osservarmi con attenzione.
“Davvero?” commentai, asciutto.
“Incredibile... sembrate fratelli! Sei più magro e forse un pelo più basso di lui, ma...” Allungò la mano per toccarmi, e d'istinto gliela afferrai. In un lampo la ragazza percepì la mia reale natura, e mi guardò ancora più stupefatta.
“Un mago? Tu saresti un mago? Ma non è possibile... tu devi incontrare Harlan!” esclamò.
“E chi sarebbe questo Harlan, sentiamo... un vampiro come te?”
Ribattei duramente, estraendo la bacchetta, pronto a combattere.
“Mi spiace ma non ho nessuna intenzione di diventare la vostra cena di stasera!”
La ragazza mi lasciò di stucco, alzando le mani e sorridendo.
“Stai tranquillo, ora che ti ho visto meglio, non ho intenzione di berti, per stasera... ma Harlan non è un mago... è...” esitò “un mio amico. E ti assomiglia come una goccia d'acqua!”
“Non vedo perché dovrei incontrare qualcuno solo perché gli somiglio.” commentai, diffidente. Non era il primo vampiro che incontravo e sapevo benissimo quanto fossero pericolosi, per certi versi più dei licantropi, visti i poteri ipnotici di molti di loro, senza parlare della loro costante sete di sangue. Erano predatori, laddove i licantropi spesso erano solo vittime di una tragica maledizione.
La ragazza incrociò le braccia, inclinando la testa da un lato, quasi stesse studiandomi. Non potei fare a meno di pensare che era bellissima, e se non fosse stata una vampira probabilmente il pensiero di esser stato abbordato per strada in quella maniera mi avrebbe lusingato. Rimase a guardarmi dubbiosa, poi allungò la mano e si presentò.
“Mi chiamo Tesla” mi disse “non sono una vampira come le altre... non hai nulla da temere da me, te l'ho detto. Come ti chiami?”
Esitai... scrutai nei suoi occhi e decisi che potevo provare a fidarmi, per una volta. Rinfoderai la bacchetta ed allungai la mano, schermando la mia mente da eventuali intrusioni.
“Tom” risposi, dandole la mano. Ed allora, quasi avesse deciso lei di mostrarmelo, vidi il volto della persona di cui mi parlava e restai di sasso. Quell'uomo mi somigliava veramente tantissimo. Lei rise quando vide la mia espressione.
“Che ti prende?” chiese.
“Io... credo di aver visto il tuo amico..” mi sfiorai la fronte “stavi pensando a lui e... santo cielo, è vero, siamo quasi identici!”
“Infatti. E credo sia una coincidenza molto significativa che voi due vi somigliate, visto quanto siete entrambi diversi...”
La guardai interrogativo.
“È un mago anche lui?”
“No, non direi... ma è speciale. Credo che valga la pena di fartelo incontrare. Ti fidi di questa vampira abbastanza da venire con me, ora?”
Sospirai, poi feci un sorrisetto.
“Ma sì. Non ho di meglio da fare, stasera... vediamo, fammi conoscere il tuo amico!”

Fece una telefonata, ricordo, e venimmo raggiunti da Harlan Draka in un pub aperto tutta la notte.
Fu una serata stranissima.
Quando mi trovai di fronte Harlan scoppiai a ridere.
“Mio Dio...” esclamai “Ma è vero, sei identico a me!”
L'uomo, più basso di me di pochi centimetri, ma decisamente più muscoloso, mi guardò perplesso, osservandomi attentamente.
“Peste... semmai sei tu che assomigli a me!” Rise a sua volta.
Ci mettemmo a studiarci reciprocamente, cercando somiglianze e differenze, davanti ad uno specchio nel locale. All'epoca avevo i capelli più lunghi di ora, avevamo quasi lo stesso taglio, e quella sera, somma coincidenza, avevamo praticamente la stessa giacca, un pesante giaccone da marinaio color blu notte. Un uomo d'azione ed un topo di biblioteca, ma quasi con la stessa faccia, a parte la sua mascella più quadrata ed il mio naso più prominente. Stessi occhi, stesso sguardo di chi ha visto troppo e non ha piacere a ricordarlo. Nulla da stupirsi che persino Tesla, da lontano mi avesse preso per lui.
Ci stringemmo la mano e prendemmo un paio di birre.
“La tua amica dice che sei speciale...” chiesi, dopo aver brindato all'incontro.
“Anche tu, a quanto mi ha detto” rispose, sorridendomi.
“Già... sono un mago”
“E non un mago qualunque” disse una voce alle mie spalle.
“Caleb!” lo salutò il Dampyr. “Questo è Caleb Lost, un mio caro amico”
“Sì. Ci conosciamo.” risposi asciutto.
“Certo... Lord Voldemort.” Mi si sedette accanto, scrutandomi. “Ma ora so che non ti fai più chiamare così, vero?”
“No, infatti”
“Un momento... Quel Lord Voldemort?” Chiese Tesla, fissandomi con gli occhi spalancati. “Sei leggendario anche tra i vampiri.. ma dovresti esser morto!”
Ricambiai lo sguardo, imbarazzato. Era la prima volta, da quando ero tornato, che qualcuno mi identificava e non sapevo che raccontare. Bevvi un sorso di birra, per prendere tempo.
“Sono io, sì. E per strano che possa sembrare, sono stato riportato in vita. Contro la mia volontà, aggiungerei.”
Per la prima volta dal mio secondo ritorno, mi trovai a raccontare la mia storia, o almeno, il seguito di essa, che nessuno conosceva ancora, senza nascondere nulla, nemmeno i sette omicidi che avevo commesso per fuggire. Sarebbe stato inutile negarli, Camael, o Caleb, come lo conoscevano i suoi amici, avrebbe facilmente potuto leggerli nella mia mente.
Curiosamente non ne furono particolarmente stupiti, e non percepii alcuna condanna dall'angelo. Spiegai che non avevo nessuna intenzione di tornare ad essere quello che ero stato, che mi stavo cercando un altro posto nel mondo, e pensavo sarei stato scacciato nuovamente da Praga, ma Caleb guardò in profondità nella mia anima, trovandovi più speranza di quanto ne avessi io stesso per me.
“Lo vedo” mi disse. “Sento che hai di nuovo un'anima umana, completa, malgrado quello che hai fatto. È da quando sei arrivato a Praga che ti percepisco, e non hai fatto nulla per la quale potessi incappare di nuovo nei miei avvertimenti, anzi, percepisco molto smarrimento in te... Stai cercando qualcosa.”
Annuii, incerto. Non avevo ancora compreso che cosa stavo cercando e mi sentivo perso, senza scopo. La mia sola compagnia era Cletus, e giravo senza meta per l'Europa, alla ricerca di un senso alla mia vita che non sapevo più darmi. Sviai il discorso sulla strana combriccola di un umano, una vampira senza maestro ed un angelo, e mi sentii raccontare una storia anche più strana della mia.
Scoprii allora l'esistenza di una creatura che credevo appartenesse solo alla mitologia, il figlio di un vampiro maestro e di un'umana. Un Dampyr, il solo in grado di uccidere i maestri, grazie al suo sangue. Mancava solo un compagno, al gruppo, e lo avrei conosciuto presto, quando mi proposero di andarli a trovare al Teatro dei Passi Perduti, Emil Kurjak, ex combattente cetnico, conosciuto da Harlan ai tempi in cui stava ancora scoprendo quello che era realmente. Ricordo che risate si fece, la prima volta che vide me ed Harlan insieme, ed anche la sua prolungata diffidenza nei miei confronti, quando seppe la mia storia.
Venni ospitato al Teatro dei Passi Perduti, e vi restai per diverse settimane, ospite di Harlan e dei suoi amici, senza finir coinvolto nella loro caccia ai vampiri ed ai demoni solo per una curiosa coincidenza. Ruppi la bacchetta, nella più stupida delle maniere, lasciandoci cader sopra la mia valigia, e ci volle molto tempo per rimpiazzarla, e fu allora che con Caleb ritrovai l'allenamento e la disciplina per praticare la magia anche senza di essa. Quando tornai in possesso di una bacchetta, mi resi conto che ormai mi era quasi superflua, ed avevo nel frattempo finito con il guadagnarmi la loro amicizia.
Decisi di ripartire dopo sei mesi in loro compagnia, perché mi sentivo scalpitare dall'inquietudine, e non volevo restare in Europa troppo a lungo. Qualcosa di profondo mi chiamava altrove, forse solo la mia irrequietudine e l'incapacità di bastare a me stesso. Senza contare che mi sentivo assurdamente fuori luogo, tra loro, in mezzo a tutto il cameratismo che li vedevo condividere. Tuttavia, restammo in contatto, durante tutti i miei vagabondaggi, e quando aprii la libreria con Richard, ricevetti una lettera molto spiritosa di Harlan, che mi dava il benvenuto nel club dei librai.
Per questa ragione, e non per altro, mi ha invitato di recente a Praga, per un convegno tra librai antiquari, a cui lui stesso, malgrado la sua libreria sia piccolissima e niente meno che una copertura per il suo lavoro reale di Dampyr, avrebbe partecipato. L'occasione era ghiotta, visto che ci sarebbero stati anche diversi contatti e la possibilità di acquistare libri rari, tramite scambi con i colleghi. Non me lo feci ripeter due volte, senza contare che era parecchio che non tornavo più in Europa, e cominciavo a sentir la mancanza del vecchio continente.
Forse, visto quello che accadde, avrei fatto meglio a restarmene a casa.

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Capitolo 15
*** Viaggio a Praga - Cross over con Dampyr - seconda parte ***


Stavolta arrivai con il sole, anche se faceva fresco. L'autunno alle porte stava già facendo sentire le sue gelide dita, e ringraziai di essermi attrezzato a dovere, quando scesi dall'aereo. Harlan mi aspettava al Teatro, dove giunsi a piedi, lasciandomi smarrire nella nebbia che lo celava a sguardi indiscreti. Mi mostrò un paio di libri di cabala che cercavo da tempo e poi mi disse che aveva bisogno del mio aiuto per trovare e distruggere un oggetto estremamente pericoloso, l'anello magico di Cornelio Agrippa.. diceva la leggenda che il mago avesse imprigionato un demone molto antico e potente in quell'anello, che obbediva agli ordini di chi lo portava e donava un potere praticamente immenso.

Ne avevo sentito parlare spesso, durante gli anni, e lo avevo anche cercato inutilmente, ai tempi della mia corsa al potere, perché secondo la leggenda era stato nascosto in una delle case di Lione dove Agrippa aveva vissuto, nel 1500, ma non ero mai riuscito a trovarlo.

Harlan mi spiegò che l'anello era nascosto in un castello diroccato, in un paesino fuori Praga, rinomato per esser stato luogo di una terrificante caccia alle streghe medievale, che era costata la vita a veri maghi e vere streghe... ad Hogwarts si insegna che praticamente tutte le vittime dell'inquisizione erano babbani, perché i maghi riescirono a salvarsi, ma non fu così ovunque... e quel paesino era stato il teatro di uno dei massacri di streghe più sanguinosi della storia, anche per la comunità magica. Con il mio aiuto, contava di rintracciare il luogo in cui Agrippa aveva nascosto l'anello prima di fuggire e distruggerlo, per evitare che cadesse in mani sbagliate.

Accettai. Mi parve una cosa buona da fare, era sicuramente interessante e magari avrei potuto... ah, detesto dirlo, mi ripugna il termine, ma era quello che pensavo. Redimermi, in qualche modo. Sarebbe stato un passo verso una qualche forma di redenzione da tutto quello che avevo commesso nella mia vita. Dalla lunga e sanguinosa ascesa al potere che mi aveva due volte portato alla sconfitta ai sette omicidi che mi pesavano ancora addosso dal mio secondo ritorno, coloro che avevo dovuto uccidere per fuggire e rifarmi una seconda vita. Forse, aiutando Harlan mi sarei in qualche modo pulito la coscienza.

Un altro errore di valutazione.

Partimmo di buon mattino, io, lui Tesla, intabarrata come sempre quando doveva viaggiare di giorno, ed il suo buon amico Kurjak. Scherzavamo, in auto, ridevamo chiacchierando del più e del meno. Sembrava e doveva essere poco più di una scampagnata, nei progetti, non era previsto incontrassimo vampiri. Se ci fossero stati guardiani magici al nascondiglio dell'oggetto, non pensavo avrei avuto alcuna difficoltà a superarli. Non sono il più grande mago oscuro del secolo solo per dire, dopotutto. La giornata era chiara, luminosa e calda, di quelle che ogni tanto il continente regala a queste terre fredde, e ci godevamo la giornata, pensando quasi più a cosa avremmo fatto al ritorno, entro un paio di giorni al massimo che a quello che ci attendeva.

L'atmosfera cominciò a mutare quando arrivammo al paesello. Quattro case, una chiesa dall'aspetto tetro e le rovine di una torre medievale, a poca distanza dal centro dell'abitato. Entrammo nel bar della piazza, per un caffè e per chiedere la strada.

I volti degli avventori erano torvi, ricordo, ci guardarono con diffidenza appena mettemmo piede nel locale, sembrava più una vecchia locanda che un bar moderno, come invece voleva far credere di essere. Il barista ci guardò storto, quando chiedemmo la strada per il torrione, e percepii chiaramente l'atmosfera attorno a noi farsi più tetra e guardinga. Udivo i loro bisbigli, attorno a noi, ci guardavano come se fossimo nemici, e me ne stupii. Mi guardai attorno, e malgrado non capissi perfettamente la lingua, i pensieri erano abbastanza chiari, lessi paura, al sentir nominare la torre. Lessi diffidenza, morte, addirittura.

“Questa gente ha ancora paura delle streghe” commentò Kurjak quando uscimmo dal pub.

“Incredibile ma vero” dissi, “sembra che i roghi li abbiano spenti l'altro ieri, non trecento anni fa.... Questo posto mi inquieta, ragazzi”

“Inquieta anche me, Tom... ci sono energie oscure, in questo luogo, anche se non percepisco la presenza di un Maestro. Ma ci sono i residui di una forza estremamente tenebrosa e pericolosa.” aggiunse Harlan, guardandosi attorno.

“Che simpatico posticino... vediamo di sbrigarci, allora, almeno non ci resteremo più dello stretto necessario!” concluse Kurjak.

Raggiungemmo in pochi minuti il torrione, la strada era poco più di una mulattiera, piena di rovi ed abbandonata. Vi erano tracce scarse di passaggio umano e la torre era palesemente abbandonata a se stessa, vittima per altro di graffitari che l'avevano deturpata con scritte sconce ed addirittura blasfeme... trovammo le tracce di quelli che parevano rituali magici, candele, incenso, segni magici tracciati sui muri...

“Non c'è magia vera e propria...” mormorai, girando attorno al torrione con la bacchetta in mano, mentre profferivo silenziosi incantesimi per rilevare la presenza di magia. “Ci sono venuti babbani, qua, a fare quella misera parodia della magia che è il satanismo acido... rilevo solo festini a base alcolica e ragazzini che declamano frasi senza senso. Harlan, tu che ne pensi?”

Il Dampyr toccò una parete esterna, dubbioso, chiuse gli occhi cercando tracce di presenza vampirica, ma lo vidi scuotere la testa.

“Niente, a parte forse il passaggio in tempi molto remoti di un Maestro, ma troppo dilavati dal tempo per esser determinanti. Potremmo anche aver fatto un buco nell'acqua, a questo punto.... magari l'anello non si trova qui.”

“Hey, venite a vedere questo!”

Era la voce di Tesla, dall'interno del torrione, nella sola stanza più o meno integra della costruzione. Era poco più di un quadrato di pietra, una specie di altare posto al centro della stanzetta, e sul lato a nord recava inciso un sigillo di protezione, piuttosto scrostato. Era antico, non come i graffiti all'esterno, fatti con lo spray, ed all'interno effettivamente non c'era segno di intrusioni, come se i ragazzini che si erano divertiti a venire a provare il senso del brivido schiamazzando nomi di demoni non avessero osato entrare all'interno. Qua l'energia magica la sentivo, e chiaramente. Forte, pulita, estremamente oscura. Molto familiare, oimè, vicina a quella stessa che avevo praticato per molti anni io stesso. Il Dampyr toccò quella specie di altare di pietra ed emise un gemito, alzando immediatamente la mano. Se la portò alla testa, barcollando un attimo ed in un lampo lo sorreggemmo.

“Che succede fratello?” chiese sollecito Kurjak, mentre lo aiutavamo a sedersi per terra, lontano dall'altare.

“Qui la traccia è più forte, un vampiro. Non un maestro, però, o lo sentirei, ma un non-morto, ed anche piùttosto potente. Tom, lo hai sentito tutto questo potere?”

Annuii, stringendo le labbra.

“Sì, amico... parecchio, anche. Dovremo liberarci del vampiro, prima di cercare l'anello. Ma non è solo quello che mi preoccupa. Ci sono tracce evidenti di evocazioni, in questo luogo. Non vorrei ci fosse qualche guardiano.”

“Ci occuperemo anche di quello” commentò asciutto Kurjak, aiutando Harlan a rialzarsi.

Tesla mi battè una mano sulla spalla, e la intuii sorridere dietro al passamontagna che la celava.

“Paura, maghetto? L'ebbrezza della caccia deve esser nuova per te...”

La guardai in tralice, con un mezzo sorrisetto.

“Ti piacerebbe... ho visto i miei bei demoni anch'io, anche se di solito ero io ad evocarli, invece di cercare quelli evocati da altri! Piuttosto, che facciamo ora? Forse sarebbe meglio tornare stanotte, a cercare di stanare quel vampiro, se è ancora qui...”

“Infatti” mi rispose Harlan, ormai ripresosi, mentre tornavamo all'auto. “Ci troviamo un posto dove passare il tempo e cercare informazioni e torniamo stasera, con tutta l'attrezzatura del caso.”

 

Tornammo al paesello, e prendemmo tempo in una locanda poco fuori dal centro, aspettando l'imbrunire. Ricordo che mi ero portato un paio di testi magici comprati di recente alla fiera, non particolarmente preziosi, ma piuttosto interessanti, e passai quelle poche ore che ci separavano dalla cena a leggere, seduto al bar, mentre cercavo di non sentire Harlan e Kurjak perdersi in un'altra lunghissima discussione di sport. Tesla si era dileguata, per non attirare troppi sguardi con il suo abbigliamento, e fu allora che cominciai a percepire con più chiarezza i pensieri dei paesani nei nostri confronti.

Due ragazzi, un bue alto, bianchiccio, con i capelli rasati e l'aria ottusa ed un ragazzino magro, moro e diffidente, con l'aria malevola ci osservavano e tenevano d'occhio in specifico le mie letture. Le copertine dei libri avevano subito la moda di alcuni editori fanatici che riempivano le copertine di simboli, quasi a voler sottolineare quanto il contenuto fosse magico ed esoterico, anche quando si trattava di banali almanacchi, e questi due libretti, per altro semplici testi di paganesimo e misticismo, erano decorati di sigilli e pentacoli come libri di magia delle favole. Mi misi oziosamente a scrutare nelle menti dei due ragazzi, e quello che vi trovai non mi piacque affatto. Erano parte del gruppetto che aveva celebrato rituali pseudo magici al torrione, con altri tre, e vidi chiaramente il ricordo di un evento spaventoso, l'apparizione di quello che doveva essere il vampiro guardiano della torre, il quale li aveva aggrediti e ne aveva catturati tre. Il duo superstite era stato accusato inizialmente di omicidio, ma visto che i corpi non erano stati ritrovati e c'erano stati avvistamenti dei tre scomparsi nelle città vicine, e dai loro ricordi era palese che si fossero drogati in abbondanza prima del presunto rituale, la polizia aveva ritenuto che i ragazzi fossero solo scappati di casa, e non che fossero stati uccisi. Ma percepivo chiaramente che ne avevano parlato in paese, a tutti, spaventando a morte i paesani, memori delle leggende sulla torre.

I bisbigli che scambiavano non li capivo perfettamente, ma i pensieri che rimbalzavano dalle loro menti erano chiari, ci avevano presi per pseudo satanisti come loro, e la loro ostilità era come un'onda di cattivo odore, per me. Chiusi i miei libri, riponendoli in borsa, e quando tornò Tesla, libera grazie al tramonto del sole dal suo abbigliamento diurno, raccontai sottovoce quello che avevo sentito agli altri.

“Pare interessante... forse potremmo farci raccontare la storia da qualcuno” Propose Kurjak.

“Già... magari il barista ne sa qualcosa?”

Harlan andò ad attaccare bottone al barista, spacciandosi per scrittore ed esperto di folklore in cerca di storie interessanti, ma non ottenne molto, a parte di aumentare gli sguardi diffidenti verso di noi e l'ondata di ostilità che percepivo.

Mangiammo qualcosa e poi ci affrettammo a ritornare alla torre, dopo che i miei due amici ebbero discretamente prelevato le armi dall'auto.

Ci fermammo all'esterno, davanti a quel puerile tentativo di altare blasfemo che quei ragazzetti avevano eretto, cercando tracce, ed estratta la bacchetta mi accinsi a fare esami più approfonditi all'aura magica del luogo. Harlan faceva altrettanto, mentre gli altri due perlustravano le rovine.

Giulia grazie delle tue bellissime recensioni! Mi fanno sempre molto piacere, sei una delle mie lettrici più acute... grazie mille. So di aver scelto per il crossover un personaggio non molto conosciuto, ma ho in mente di scriverne altri e con qualcuno un pò più celebre, vedremo come funziona... =)

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Capitolo 16
*** Viaggio a Praga - Cross over con Dampyr - Fine ***


Fui aggredito dal vampiro, emerse dalla parete di fronte alla pietra che i ragazzi avevano eletti ad altare. Vi era una specie di nicchia, nascosta da una specie di paravento d'edera, e dentro era nascosto questo essere che pareva un mix tra il mago cattivo dei fumetti ed un frate zombie. Vestito di un saio nero sdrucito, emerse in tutta la sua bruttezza, denti e zanne sguainati, mi aggredì mentre passavo davanti alla sua nicchia, quasi avesse sentito che mi avvicinavo. Sentii le sue unghie affondare nel mio petto e feci appena in tempo a urlare uno schiantesimo, lanciandomi all'indietro, quando Tesla giunse in mio aiuto, afferrando il vampiro che il mio incantesimo aveva allontanato da me. Ne emersero altri tre, i giovani che avevo visto nella mente dei loro amichetti, e ci aggredirono. Mentre Tesla si azzuffava con il più vecchio, gli altri tre si gettarono su di noi, ed uno venne distrutto praticamente subito, quando cercò di mordere Harlan ed ebbe un assaggio del veleno per vampiri contenuto nel suo sangue. Kurjak seccò il proprio con un colpo di pistola in fronte, rapidissimo, e malgrado i miei incantesimi non avessero il potere di uccidere quello che mi attaccava, visto che erano già morti, le pistole dei miei due amici potevano, caricate con i proiettili trattati con sangue di Dampyr, e le creature si dissolsero davanti ai nostri occhi, in un lampo. Raggiungemmo Tesla, che ancora si batteva con il più antico del gruppo e vidi per la prima volta il Dampyr in azione. Liberò la propria natura semi demoniaca ed aggredì il vampiro insieme a Tes, combatterono fino a stringerlo in un angolo. Allora il mio amico si avventò sul collo del mostro e lo morse, uccidendolo. Il sangue è conoscenza, per un Dampyr e bevendolo scoprì che vi era effettivamente un guardiano all'interno della torre, a custodire l'anello che cercavamo. Occorreva evocarlo e sconfiggerlo, se volevamo trovare quello che stavamo cercando.
Liberi da questo problema, entrammo all'interno della torre e mi apprestai a evocare il guardiano, tracciando un cerchio protettivo attorno ai miei amici ed un altro attorno a me solo. Volevo vedermela io con la creatura, ero impaziente di usare la mia magia per un buon fine, per una volta.
Il demone si fece vedere immediatamente, in tutta la sua puzza di zolfo, con coda e corna. Cominciammo a combattere a suon di incantesimi, lanciandoci contro lampi colorati di scariche magiche. Diamine, era divertente, pensai, ma un po' meno per i testimoni che assistevano... spaccammo praticamente la torre in due parti, abbattendo una parete, ed in una nicchia scoprii il nascondiglio dell'anello. Me lo feci volare tra le mani, mentre tenevo a bada il demone, e lo infilai al dito, abbattendo ancora un'altra parete della torre, e scoprimmo così di avere altro pubblico.
Dalla boscaglia dietro di noi emersero i paesani, che ci avevano seguito, evidentemente. Urlavano, brandivano fiaccole, come nel peggior film horror sul mostro di Frankenstein. Avevano visto tutto, e credevano avessimo ucciso i ragazzi, spariti mesi prima.
Mi ritrovai letteralmente tra due fuochi. I miei amici erano bloccati dentro il cerchio ed io ero ancora nel mio, per affrontare il demone, ma davanti a noi c'era tutta la marmaglia urlante. Il demone si scagliò sui paesani, ed incurante della mia incolumità lo affrontai uscendo dal cerchio, inferocito.
Sentivo l'anello accrescere il mio potere oltre misura e mi ritrovai a torreggiare sul demone, come se fossi cresciuto di statura per poterlo sovrastare. Riuscii ad aprire il cerchio dei miei tre alleati, perché potessero allontanare la folla, ma ne vennero aggrediti a suon di insulti e minacce, mentre cercavano solo di difendere quella marmaglia ignorante.
Il demone scagliava incantesimi sulla folla, che io riuscivo a deviare, fortunatamente, in un brillar di lampi magici che coloravano la notte di ottarino, poi Kurjak mi si affiancò, scaricando tutto un caricatore nello stomaco del demone, ed io riuscii ad averne la meglio, con un Avada che illuminò il buio con un lampo verdastro, più potente del solito. La creatura cadde di schianto per terra e si dissolse lentamente in una melma giallastra e maleodorante, davanti ai cittadini atterriti. Ma questo non bastò a placare la folla, che ci urlava contro, convinti che fossimo la causa dell'arrivo del demone. Erano maledettamente tanti, e presero Harlan e Kurjak, mentre Tesla li teneva a bada grazie alle sue forze da vampira. Si rivelò nella sua forma demoniaca e ciò li fece inferocire ancora di più.
Era troppo per me. Le urla della folla erano identiche a quelle che troppo spesso avevo sentito nella mia vita, quando ero ragazzino.
Mostri! Demoni! Streghe!
Non ci vidi più dalla furia. L'adrenalina che mi scorreva nelle vene dalla battaglia con il demone non mi faceva ragionare e l'ebbrezza del potere generato dall'anello mi accecavano, così scagliai cruciatus a ripetizione sulla folla, lasciando gente per terra, e riuscii a liberare i miei amici. La marmaglia si disperse, Tesla riuscì a soccorrere i nostri amici, mentre io, furioso, maledivo selvaggiamente i fuggitivi. Li inseguii, animato da una furia incontrollabile, e praticamente li presi tutti, circa una ventina. Li radunai in uno spiazzo tra gli alberi, e torturai con godimento i ragazzetti che avevano capitanato la crociata contro di noi.
Il potere dell'anello mi cantava dentro, ero intossicato, ubriaco di magia. Mi sentivo come al culmine della mia potenza, quando a capo di un gruppo di mangiamorte andavo a massacrare babbani per tutta l'isola di Albione.
Quando ridussi quei maledetti contadini ignoranti ad una massa informe di individui balbettanti e terrorizzati, incrociai lo sguardo di Tesla, che mi aveva raggiunto. Dietro di lei stavano arrivando trafelati i suoi alleati, e mi guardavano esterrefatti, mentre sul viso della vampira aleggiava un sorrisetto divertito. Mi fermai, ansante, rendendomi conto che avevo sulle labbra l'anatema che uccide, pronto a partire verso quei babbani terrorizzati. Dentro di me una voce urlava “UCCIDILI! TUTTI, ANCHE LORO! ORA!” ma una parte di me che era rimasta indietro, non saprei spiegarlo meglio, si fece avanti, e disse NO. Ripresi il controllo di me stesso, faticosamente, combattendo con la volontà assassina che mi urlava dentro ed invece di ucciderli, feci un incantesimo di memoria a tutti i babbani, cancellando loro i ricordi di tutta quella serata di delirio. Li posi sotto imperio, tutti e venti, con una facilità aumentata dal potere dell'anello, li obbligai a tornare alle loro case ed a non tornare mai più alla torre, sopratutto di notte.
Quindi crollai sulle ginocchia, svuotato, respirando pesantemente, con una tempesta nell'anima, tagliato in due tra la sensazione folle e bellissima di ebbrezza che la magia mi aveva dato e l'orrore per quello che avevo sentito riemergere in me, senza osar alzare lo sguardo sui miei amici che si avvicinavano.
“E bravo Lord Voldemort!” esclamò Tesla. “Era così che ti descrivevano ai tempi, sai? Complimenti vivissimi, non credevo fosse vero!”
Harlan mi posò una mano su una spalla, guardandomi con un'espressione di compassione in viso.
“Tom...” mormorò.
Tremavo, e non osavo fissarlo negli occhi. Lui e Kurjak mi aiutarono a rimettermi in piedi e ci dirigemmo alla macchina. Mi ci caricarono di peso, e tornammo a Praga. Mi addormentai, durante il viaggio, e mi svegliai solo quando scendemmo per arrivare a piedi al Teatro. Non dissi nulla, lasciai che fossero gli altri a raccontare l'accaduto, ed io mi infilai sotto la doccia, dove rimasi per almeno mezzora. Fu lì che mi accorsi di non riuscire più a sfilare l'anello dal dito. Era come bloccato, anche se non mi stringeva la carne, ma non riuscivo a sfilarlo. Non arrivava alla nocca, malgrado mi stesse giusto. Tornai sotto, infine, quando mi sentii pronto ad affrontare gli altri e sopratutto Caleb.
“Eccoti.” mi disse l'angelo, quando mi vide arrivare.
“Già... eccomi.” Sospirai. “Io... non so come spiegare...” partii.
“Non c'è bisogno che tu lo faccia, Tom” mi interruppe. “La situazione è chiara. Ma non è successo nulla di irreparabile, per fortuna, anzi, mi pare che si sia risolta brillantemente. Hai solo commesso un errore, amico mio...” Indicò la mia mano. “Ora non riesci a toglierlo, vero?”
Alzai la sinistra, dove l'onice dell'anello spiccava sul candore della mia pelle.
“Infatti.”
“Dovrai tenerlo, ora. Agrippa vi incarcerò un demone di quarto livello, ma solo ponendo una maledizione sull'anello. Chiunque lo avesse indossato sarebbe divenuto custode e guardiano dell'anello, rischiando purtroppo di venirne posseduto e trasformato in demone a sua volta. Quello che hai affrontato e sconfitto era l'ultimo ad averlo indossato, con una mente troppo debole per reggere il confronto con ciò che era incarcerato nel gioiello.”
Guardai Caleb sbalordito.
“Vuoi dire che quel coso era umano, una volta? E che rischio di fare la stessa fine?”
Mi passai la destra sul volto, osservando la sinistra ingioiellata.
“Esatto Tom... ma tu sei molto più potente di quel custode, per cui il rischio è doppio, così come è doppia la tua possibilità di salvezza. Se lascerai che esso prevalga su di te, diverrai un demone molto peggiore di quello che hai sconfitto, mentre se riuscirai a dominarlo, potresti persino trovare il modo di levarti l'anello. Solo, da ora in poi dovrai stare molto più attento a quello che fai. Hai avuto un assaggio di quanto aumenti i tuoi poteri, e di quanto si alimenti della tua rabbia, quando hai torturato e dominato i paesani che vi hanno aggrediti, ma hai anche visto quanto tu sia in grado di dominarti, quando hai deciso di non ucciderli tutti.”
Mi sedetti, cadendo quasi di schianto su una poltrona. Harlan, silenziosamente, mi mise in mano un bicchiere di whiskey, che ingollai senza nemmeno sentirne il sapore.
“Mio Dio...” mormorai. Alzai lo sguardo sui miei amici, smarrito. “Non è possibile, ci deve essere un modo per levarmi questa cosa.”
“Sicuramente c'è, Tom.” disse Harlan, sedendosi accanto a me e posandomi una mano su una spalla. “Non sarai solo, la cercheremo insieme.”
Lo fissai, commosso dalla fiducia che mi riservava. Nei suoi occhi lessi la certezza che non avrei permesso al mio lato oscuro di prevalere su di me, certezza che nemmeno io avevo su me stesso. Tornai a fissar Caleb, incerto.
“Harlan ha ragione, Tom. Ti aiuteremo, stanne certo, e non temere. So quali dubbi ti rodono, ma saprai portare questo fardello senza lasciartene divorare.”
Annuii, come potevo ribattere alle parole di un essere di luce?
Passammo la serata a parlarne, e mi fermai ancora una settimana per approfondire la situazione, leggendo con Harlan e Caleb tutto quello che la biblioteca del Teatro custodiva sull'anello, ma senza trovare nulla che ci aiutasse nell'immediato. Le informazioni sul demone custodito in esso erano scarne, e pochi erano gli indizi sulla sua natura e sull'incantesimo usato da Agrippa per incarcerarvelo, ma Caleb era fiducioso, si diceva sicuro che prima o poi avremmo trovato il modo di levarmelo.
Infine decisi di partire, tanto ci saremmo sicuramente tenuti in contatto ed io dovevo ormai tornare alle mie solite incombenze, tra il faro e la libreria. Tuttavia quando misi di nuovo piede al faro, mi resi conto che qualcosa era cambiato in me, forse per sempre.
Quello che avevo fatto ai babbani che ci avevano aggredito non era stato dettato dal demone che ormai mi portavo dietro, era stata la mia reazione spontanea agli avvenimenti della serata. Sapevo perfettamente che lo avrei fatto anche senza l'anello. Il mio lato oscuro, che pensavo ormai assopito, se non addirittura morto da tempo, era più vivo che mai, e bastava solo la situazione giusta per risvegliarlo. Ma ora più che mai dovevo stare attento.....

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Capitolo 17
*** Il segreto di Reyes ***


PREMESSA: questo capitolo nasce dalla storia del Lord ma parallelamente ad essa, all'interno di un gioco di ruolo in cui il mio lord si muove e vive la vita che è narrata in questi capitoli. La Reyes del racconto è una vampira di grande potenza, generata da Vlad Tepes Drakul in persona, interpretata da una mia grandissima amica, a cui tributo in questo capitolo tutto il grande affetto che provo per lei.
La distesa acquatica era liscia, di fronte agli occhi dell'uomo, ritto sul molo a fissare l'orizzonte. Stringeva gli occhi, dello stesso colore screziato e luminoso del mare, in lontananza, una mano levata a riparali dal sole accecante. Erano giorni che attendeva, ma quella nave sembrava non arrivare mai. Ringhiò sommesso, maledicendo il timore della donna che attendeva, terrorizzata dagli aerei. Si appoggiò ad un palo che delimitava il molo, chiudendosi il pesante giubbotto da marinaio addosso, per ripararsi dal vento gelido che soffiava costantemente dall'oceano, in quella parte dell'isola. Nella lettera non gli aveva detto quando sarebbe arrivata, solo che ci avrebbe messo circa una ventina di giorni. Ed erano esattamente diciotto giorni che egli andava inutilmente a scrutare l'orizzonte, pur sapendo, i primi giorni, che non sarebbe arrivata, e sentendo crescere l'ansia ed il senso d'attesa, ogni giorno che passava. Sospirò, per l'ennesima volta, diviso tra frustrazione e desiderio, e si girò per tornare in porto, e poi al negozio, dove le solite incombenze lo attendevano.

"Tom!" lo salutò con voce venata da una leggera ironia Ernest, il pescatore che ogni mattina andava a tirar su le nasse su quel molo. "Nemmeno questa mattina è arrivata la tua bella?"

"Pare di no, Ernie! Ma io sono paziente..."

"Certo che ci vuole una bella fantasia per decidere di venir dall'Europa via mare! Senza contare i rischi... il mare è sempre più pericoloso dell'aria." Commentò l'anziano marinaio, fermo di fronte a Tom, estraendo una scatolina contenente tabacco e cartine e cominciando a farsi una sigaretta.

L'altro annuì, corrugando la fronte. Lo aveva detto anche lui alla donna, quando si erano sentiti, settimane prima. Poteva prendere l'aereo, sarebbero state solo poche ore di volo, invece di giorni in mare. Oppure avrebbe potuto andarla a prendere lui, con la magia... lei sapeva chi lui fosse, conosceva i suoi poteri, e non era certo un problema, per colui che era stato il più potente e pericoloso mago oscuro del secolo andare a prendere la donna che amava e portarla in salvo al faro. Ma Reyes non aveva voluto. Era una donna, nonché una vampira, di altri tempi, affezionata ad un certo modo di vivere e di viaggiare, malgrado la modernità che ormai aveva trasformato il mondo. Il mago aveva fatto pace con tutta la modernità dei babbani, da quando si era rifatto una vita, aveva imparato ad usare mezzi babbani moderni come computer, telefoni, auto, aveva viaggiato tra i babbani senza farsi riconoscere, viveva come un babbano, a cominciare dai vestiti e dal modo di esprimersi, ma non aveva rinunciato alla magia.. anzi, la praticava quanto prima, seppure con altri scopi. Cercava ancora il potere, ma ciò che lo spingeva ancora era il desiderio di conoscenza, la sete di imparare tutto quello che prima aveva tralasciato... la sua mente acuta e insaziabile non aveva perso stimoli e lo studio della magia ancora lo affascinava, sopratutto ora che era libero da ambizioni di sorta.

Ma vi erano cose che restavano sempre e comunque fuori dalla portata di ciò che era possibile fare con la magia.. e l'amore era indubbiamente una di quelle. Il mago conosceva mille pozioni per indurre il desiderio, la passione, l'ossessione, ma nessuna che inducesse il vero amore. Né ve ne erano che cancellassero l'amore, una volta che si fosse risvegliato nel cuore di un uomo.

Si era innamorato circa un anno prima della regina dei vampiri, ed avevano avuto una breve storia travagliatissima, quando lei aveva rotto con il licantropo ed ex mercenario per i mangiamorte Fenrir Greyback, lui l'aveva consolata ed accudita, come una bambina, e lei gli si era aggrappata... si era lasciata consolare, affezionandosi a lui, forse amandolo un po', anche ma in maniera del tutto diversa da come lui amava lei. La storia si era trascinata per qualche tempo, finché non si era spenta nel silenzio, mentre fantasmi passati si rannuvolavano tra loro. Il mago nemmeno ora capiva perché era finita, sapeva solo che erano tornati indietro, a quando si limitavano a flirtare, a trattarsi da affettuosi amici, senza risvolti di alcun tipo... ma sapeva bene, in cuor suo, di amarla come prima. Se non di più. Era altresì consapevole di non poterla riavere, avendo visto e percepito nei pensieri di lei il ritorno del licantropo, e stavolta non voleva più immischiarsi. Se lui non poteva essere altro che un amico, per la regina dei vampiri, si sarebbe limitato a quello, per male che potesse fargli.

Il mago si portò una mano al petto, immerso in quelle riflessioni, a mala pena consapevole delle chiacchiere sul tempo e sulla pesca del marinaio, finché questi non si interruppe a guardarlo, sorridendo.

"Non è solo un'amica che stai aspettando, eh, vecchio mio?"

Il mago si riscosse, guardando l'amico babbano con un sorriso, sorpreso di esser stato tanto trasparente.

"Ti sbagli Ernie... è solo un'amica... purtroppo." concluse, con una smorfia di amarezza in viso.

L'amico gli diede una pacca su una spalla, comprensivo.

"Ragazzo mio... è inutile che ti dica quanti pesci ci sono nel mare, se tu vai inseguendo solo la balena bianca, vero? Stai solo attento a non fartene divorare..."

"Già..."

Tom si riscosse, guardando l'ora. Era tempo di andare ad aprire il negozio, per cui salutò l'amico e si diresse a passo svelto all'Arcana Cabana. Per almeno un paio d'ore si perse nelle solite occupazioni, tra cui quella di rimettere a posto gli oggetti che avevano la malsana abitudine di muoversi, scambiandosi visite sugli scaffali, per farsi trovare addormentati alla rinfusa la mattina dopo. I più gioviali erano un gruppo di forchette d'argento, appartenute ad una strega molto celebre nella bella società del settecento, la quale adorava organizzare danze e ricevimenti, le cui forchette si comportavano alla stessa maniera, facendo visite di cortesia a tutti gli altri oggetti del negozio. Ritrovarle la mattina era sempre un'impresa, visto poi la loro tendenza a dividersi, ognuna in visita a categorie merceologiche diverse. Meno problematici erano i libri, abituati a dormire sugli scaffali, giusto ogni tanto qualcuno scendeva a raccontare il proprio contenuto agli altri e lo si poteva trovare addormentato e spalancato in mezzo al negozio, da dove aveva declamato ad alta voce la propria storia, ma solitamente erano assai ordinati.

Quella mattinata scorse via rapidamente e l'ora di pranzo arrivò prima che il mago potesse chiedersi che ora era, accompagnata dal socio, Richard Murray, che come al solito veniva a dargli il cambio per il pomeriggio. Mangiarono insieme al pub magico, raccontandosi le novità e passandosi le consegne, come al solito, ed anche l'anziano libraio si accorse delle rughe di preoccupazione disegnate sempre più profondamente sulla fronte dell'amico.

"Tom... smettila di tormentarti. Arriverà presto, vedrai... certo è strano anche per una vampira scegliere una barca a vela, per attraversare l'oceano, ma sai come sono questi vampiri. Sopratutto quando hanno una certa età, sono come tutti gli umani, affezionati a quello che conobbero da giovani." lo guardò in tralice, sorridendo.

Tom annuì, pensando che era particolarmente vero per lei, visto quanto adorava le loro anticaglie... aveva un animo fresco e fanciullesco, ma i suoi gusti, in fatto di vestiti e di un certo stile, appartenevano senza ombra di dubbio ad altri tempi. Sorrise, intenerendosi al ricordo dei modi formali della donna, quando le aveva presentato il proprio socio, degli atteggiamenti regali che aveva quando andavano in giro, capaci di incutere involontario rispetto in chiunque la incontrasse. La sua mente sfuggì di nuovo al suo controllo, divagando tra i ricordi dei loro incontri più divertenti ed intimi, delle loro chiacchierate, delle prime volte che si erano baciati, e di nuovo si disegnò l'amarezza sul suo viso.

"Hai ragione Richard..." disse quando riemerse dai propri pensieri, "Arriverà, è inutile starci a pensare."

Si salutarono, ed il mago tornò al faro, ad occuparsi della manutenzione lampada e della pesca per casa, insieme al piccolo elfo che amava il mare quanto lui, senza potersi impedire di lanciare occhiate verso l'orizzonte, sperando di veder spuntare una vela bianca, prima o poi, invece dei fumaioli delle navi da crociera o della forma sgraziata dei pescherecci.

Al tramonto salì sulla lampada a controllare che tutto fosse a posto per l'accensione, ed infine scese a ritirarsi nello studio, a leggere un po', ascoltando musica e scribacchiando, prima di andare a letto, quando fu colto di sorpresa dal campanello di casa che squillava. Andò ad aprire, precedendo Cletus, accigliato per l'ora e rimase sbalordito, quando si trovò di fronte la donna che tanto aveva atteso, seminuda, l'ampio abito strappato e semidistrutto, bagnata fradicia, graffiata e molto, molto arrabbiata.

"R-Reyes? Ma che diavolo è successo?"

"Siamo naufragati!" Esplose. "La nave è stata colta da una burrasca due giorni fa, a poche miglia da qua, ed è finita in acqua con tutto l'equipaggio! Ovviamente gli umani sono morti tutti... mangiati dagli squali che pensavano di banchettare anche con me!" Ringhiò la donna, mostrandogli una gamba su cui il segno di un morso stava rapidamente rimarginandosi. "Detesto il sangue di pesce... Ma vuoi farmi entrare o devo mordere anche te per potermi fare una doccia?"

Il mago aveva disegnato in volto un misto di sgomento e di dolore, ma a quelle parole scoppiò a ridere. Certo la regina dei vampiri non poteva venir fermata da qualche squalo... malgrado la sua innegabile dolcezza, era un temibile predatore, da far arretrare tigri e squali, senz'ombra di dubbio.

"Tesoro, avanti... ma mi sa che dovrai accontentarti dei miei vestiti, per coprirti, perché non ho nulla di adatto da darti."

La donna non lo ascoltò nemmeno, inoltrandosi nella casa che conosceva tanto bene e infilandosi nella doccia.

Le preparò dei vestiti nella camera degli ospiti, poi disse a Cletus di preparare da mangiare e da bere ed andò ad attenderla in salotto, aggiungendo legna al fuoco nel camino, già acceso contro il precoce freddo che avvolgeva Nantucket.

La sentì cristonare contro l'effetto della salsedine sui suoi lunghissimi e bellissimi capelli rossi per un po', prima di vederla riemergere avvolta da un accappatoio, la testa avvolta da un asciugamano a mò di turbante, a reclamare un bloody mary degno di questo nome. Si sedette sulla sua poltrona preferita, di fronte al camino, e si rilassò solo dopo aver scolato almeno metà del drink. Allungò le bellissime gambe a scaldarle al fuoco ed il mago si perse a guardarle, prima di accorgersi dello sguardo divertito con cui ella lo fissava.

"Ti ho fatto una domanda, Tom... e non mi hai ancora risposto"

"Ah, si?" Sorrise, per nulla imbarazzato. "Se vuoi la risposta me la dovrai ripetere, tesoro... ma prima copri quelle gambe, altrimenti non riuscirai a ottenere nulla di sensato da me!" Rise. Il suo arrivo lo aveva finalmente rilassato, si sentiva leggero, come se avesse bevuto e persino il fatto che avesse fatto naufragio e fosse praticamente arrivata a nuoto, sopravvivendo al disastro solo perché era già morta ed era una vampira estremamente potente era passato in secondo piano.

"Ce l'hai?" Ripeté la vampira.

L'uomo annui, alzandosi dal divano.

"Ma certo che ce l'ho... sono settimane che ti aspetta."

Prese un piccolo scrigno dalla propria scrivania e lo porse alla vampira, che lo aprì con occhi luccicanti. Ne guardò il contenuto con un sorriso raggiante, alzando poi il viso verso il mago, che le si era seduto accanto.

"Oddio, Tom.. non so come ringraziarti!"

"Eh, io un'idea l'avrei..." Rise il mago, mentre visualizzava esattamente il genere di ringraziamento che avrebbe preferito, ma scacciò la visione con una scrollata di spalle. "Ma basterà semplicemente che ne resti un po' quando avremo finito di usarla... non è facile reperirne, e quella è la sola che ho. Piuttosto non ho capito perché hai voluto venirla a prendere qui affrontando un viaggio così lungo e pericoloso quando avrei potuto portartela io con la solita passaporta."

La donna chiuse lo scrigno, carezzandone pensierosa il coperchio, prima di rispondere.

"Non volevo che... lui lo sapesse. Mi ucciderebbe se scoprisse quello che voglio fare e non sono nemmeno io sicura di volerlo fare, sai?" Alzò lo sguardo su di lui, le iridi verdi velate da un po' di malinconia.

Il mago si avvicinò a lei, e con un gesto gentile coprì con un plaid le gambe che la donna infreddolita aveva raccolto sotto di sé, eliminando dalla vista una notevole distrazione.

"Non capisco nemmeno io perché vuoi farlo, sai? Voglio dire... è una cosa bizzarra, dopo tutto questo tempo..."

Reyes si strinse nelle spalle, tornando a guardare assorta il piccolo scrigno.

"Hai ragione, ma... ne ho sempre sentito la mancanza. Da quando sono... diventata quello che sono, per quanto mi piaccia essere quello che sono, io..." Si morse un labbro, turbata. "E poi è una specie di anniversario, per me. Il prossimo Halloween saranno esattamente..." Alzò lo sguardo al mago, ed un sorrisino si dipinse sul suo volto. "Sarà un anno zero, come dici tu, quando si compiono i decenni."

Il mago sorrise. Non conosceva esattamente l'età della vampira, non gliel'aveva mai chiesta e per l'affetto che provava per lei, non era nemmeno andato a cercarla sui libri che raccontavano la sua storia e quella della sua stirpe. Sapeva che ammontava a parecchio, ma preferiva non saperla, se a lei non faceva piacere dirlo. Si chiese solo se il decennio era riferito all'età di nascita o a quella della trasformazione, ma ritenne inopportuno chiederlo, per cui si avvicinò semplicemente alla donna per abbracciarla.

"Posso capire, allora... ma non rischi di soffrirne ancora di più, dopo? Voglio dire... quando sarai riuscita a farlo, non ne sentirai ancora di più la mancanza?"

La donna posò la testa sulla spalla del mago, stringendo la scatolina tra le mani.

"Forse, Tom... ma sono stanca di rimpiangerlo. Voglio tornare a provarlo, per una volta. Solo per una volta, tanto di più non si può fare, e voglio farlo qui, lontano da Vlad che potrebbe pensare che non ami quello che sono diventata e non ami più lui. Lo prenderebbe come qualcosa di personale, come un rifiuto, mentre io voglio solo..." si fermò, con la voce che si spezzava, ed un vago sentore di nodo in gola che le si formava in petto. "Voglio solo ricordare ancora cosa si prova con il cuore che batte in petto, Tom. Voglio ricordarmi la mia umanità, non voglio diventare come quei vecchi parrucconi insensibili che popolano la corte, tutti convinti che esser morti e incapaci di amare sia meglio della vita, del sole che ti batte in viso. Che questo li renda migliori delle persone che ammazzano per nutrirsi. Lo sai che..." Si fermò, alzando la testa a guardarlo negli occhi, ed il mago si lasciò annegare in quel verde liquido, ascoltandola. "Sono anni che non uccido più nessuno? Mi limito a bere senza mai uccidere il donatore, tanto più che di ragazzi che mi vengono a cercare per l'ebbrezza di farsi mordere ce ne sono molti più delle mie esigenze... sono tutti convinti che sia chissà cosa di erotico, mentre per me è solo un modo per nutrirmi, ne più ne meno che farsi un piatto di pastasciutta per loro."

La donna sospirò, rannicchiandosi contro il corpo del mago.

"Voglio che sia una cosa mia, privata... e sei il solo a cui posso raccontarlo. Anche..." Si interruppe, mordendosi il labbro, esitante.

"Non capirebbe, lo so" Concluse il mago per lei. La strinse a sé. "Per lui la licantropia è diventata motivo di orgoglio, anche se lo fa soffrire, ma è fiero di se stesso e di quello che è. Ed è vivo, in ogni caso."

"Esatto. Lui lo sa cosa vuol dire sentirsi il cuore in petto, io invece..." Posò una mano sul centro del torace del mago, percependone il battito intensificarsi al tocco, emozionarsi.

"Scusami, Tom... io ti sto di nuovo usando come muro del pianto..."

"Non ti azzardare. Non devi scusarti, Rey. Se avessi saputo che volevi fare una cosa del genere e non ti fossi rivolta a me mi sarei offeso mortalmente." Sorrise. "E poi almeno io sono un esperto del settore. Visto che so come funziona, potrai farlo in piena sicurezza." E potrò consolarti, quando gli effetti verranno meno... concluse mentalmente, senza dirlo, per non aggiungere dolore a quello che vedeva negli occhi della donna.

"Quando vuoi farlo? Proprio ad Halloween?"

Reyes annuì.

"Se per te non è un problema..."

"Nessun problema, ti posso assicurare."

 

Mancava ormai solo qualche giorno ad Halloween, e la costa del Massachusetts era stata riempita di festoni colorati, ogni vetrina era piena di zucche e streghe e gatti neri, tanto che alcuni maghi vecchio stampo, abituati al cappello ed alla veste da mago circolavano anche nel mondo babbano, godendosi l'anonimato che la festa donava loro. Il mago e la vampira, invece giocavano a fare i babbani, girando la sera, dopo il tramonto, per locali e strade piene di ragazzini festanti, che anche in anticipo sulla festa cominciavano ad andare in giro travestiti. Il mago era diviso tra la gioia di avere al suo fianco la vampira e la preoccupazione per la tensione che vedeva disegnarsi sempre di più sul suo volto, giorno dopo giorno.

La sera prima del giorno decisivo il mago condusse la vampira a ballare, deciso a non farle pensare a nulla, e poi quando tornarono a casa, pronti per la prova, il mago la fece sedere in salotto e la fissò negli occhi, serio come non era mai stato con lei.

"Sei sicura?" chiese. "Non sarà una cosa definitiva, durerà solo qualche giorno... malgrado la sua potenza, la pietra filosofale non può ridarti la vita, il sangue vampirico riprenderà il sopravvento e tu tornerai quella che sei ora..."

La donna rispose al suo sguardo, altrettanto seria.

"Più che mai, Tom... voglio risentire la vita in me. Voglio sentire il mio cuore, voglio respirare... voglio sentire il sole dell'alba sul mio viso. Fosse anche solo per rimpiangerlo di nuovo e dolorosamente per altri infiniti anni, voglio provarlo di nuovo."

Il mago la guardò a lungo... era toccato da tanto desiderio, era ciò che amava di più in lei, la profonda umanità che le era rimasta. Quello che davvero la rendeva diversa da ogni altra vampira. Aveva sperato di poterle fare cambiare idea, perché immaginava che tornare vampira l'avrebbe fatta soffrire ancora di più, ma la decisione negli occhi di lei era più forte dei suoi dubbi e decise di assecondarla. Se non altro, sarebbe stato con lei, avrebbero condiviso questo strano percorso... ed avrebbe potuto consolarla quando il sangue di Vlad l'avrebbe uccisa la seconda volta, riportandola ad essere una vampira.

Il mago si alzò, ed aprì la porta del suo laboratorio magico, dove da giorni da un alambicco magico si distillava l'elisir estratto dalla pietra filosofale, contenuta nella scatoletta che Reyes aveva voluto vedere giorni prima.

"E' pronta, tesoro..." mormorò il mago, tornando con un bicchierino.

La donna lo prese in mano, guardò la pozione di color zafferano e restò indecisa qualche momento, persa in pensieri troppo lontani per poterli esprimere a parole... poi senza lasciarsi fermare da altre considerazioni, bevve, tutto in un sorso. Guardò il mago oscuro di fronte a lei, con gli occhi lucidi, un barlume di timore negli occhi.

"Farà male?" chiese, un attimo prima di sentire una fitta di dolore al petto. Posò con mani tremanti il bicchierino, per portarsele subito al seno, abbassò gli occhi, mentre il suo corpo riprendeva a vivere. Un lampo di dolore la attraversò, mentre tutte le funzioni vitali tornavano ad agire dentro di lei. Emise un gemito roco, mentre si sdraiava sul divano, attraversata da una sensazione fortissima di piacere e dolore, analoga a quella che aveva vissuto lo stesso mago quando era stato riportato in vita, anni prima. Spalancò gli occhi, guardando Tom, senza parlare, la bocca aperta ad aspirare ampie boccate di aria. L'uomo le si sedette accanto, il viso stravolto dalla preoccupazione, tendendo le mani, ma ella alzò le proprie, mentre respirava a fatica, gemendo.

"No..." disse con voce roca. "Non mi toccar.." s'interruppe, emettendo un gemito, prendendosi la gola. Divenne pallidissima, ed il mago restò a guardarla, angosciato, mentre la donna chiudeva gli occhi, ansimando. Il suo corpo fu scosso da violenti brividi, mentre la vita tornava ad impossessarsi delle sue membra, e dopo quello che parve un tempo interminabile, riaprì gli occhi, pieni di lacrime... e sorrise.

"Tom... sono di nuovo viva..." gli prese le mani e se le premette al seno, dove il mago sentì nuovamente pulsare il cuore, potente, rapido sotto la sua mano. Sorrise, gli occhi che si velavano di lacrime di commozione.

"Mio Dio, Rey..." mormorò, incapace di dire altro.

La donna allungò una mano tremante a toccargli il viso, cercò di alzarsi ma ricadde, debole come un neonato.

"Portami fuori, ti prego... voglio sentire il vento" Disse, a voce bassissima.

Il mago si alzò in un lampo, prese un pesante mantello e aiutandola ad alzarsi ve la avvolse, e la condusse in terrazza. La donna guardò il cielo, come se lo vedesse per la prima volta, lasciando che lacrime di commozione le scorressero sul viso.

"Voglio vedere l'alba, Tom... resta con me, ti prego..."

"Non vado da nessuna parte, amore mio.. sono qui, con te."

La fece sedere sulla sdraio, la avvolse in un caldo plaid e si sdraiò accanto a lei, dopo aver chiamato l'elfo per far portare da mangiare.

"Devi nutrirti, ora..." Tremava a sua volta, colmo di un'emozione intensissima, incapace di identificarla. Il viso di lei si era trasformato, pur restando bella come sempre, era colorato di rosa, ed era più dolce, più giovane, come se fosse tornata poco più che una ragazzina. Come se avesse ritrovato un'innocenza che tutti quegli anni da vampira avevano cancellato dal suo viso. Il mago la strinse a se, mentre la donna guardava il cielo notturno schiarirsi lentamente sopra di loro, e lentamente sorseggiava il brodo ristretto che il mago le aveva fatto portare. Il sole sorse, lentamente, colorando il cielo con strisce di colore cangiante, dal rosa al fucsia all'azzurro più intenso. I due restarono abbracciati, senza parole a guardarlo trasformarsi di fronte a loro, troppo emozionati per parlare, fino a quando il sole caldo si alzò sulla baia di Nantucket. Solo allora la donna cominciò a sentire la stanchezza e si fece portare dal mago nella sua camera, dove dormì, mentre il mago andava ad occuparsi dell'Arcana Cabana. La mattina sembrava non passare mai, per il mago, che corse a casa trafelato, senza pranzare come al solito con il socio, per trovare Reyes in terrazza, che mangiava a quattro palmenti un sontuoso pranzo preparato con tutte le cure dall'elfo.

Mangiarono insieme, ridendo come ragazzini e dopo pranzo uscirono per andare alle giostre di Halloween, piene di ragazzini travestiti, e la donna sembrava esser davvero tornata una bimba. Rideva, voleva salire su tutte le giostre, si gustava il cibo e la tachicardia per le corse che infliggeva al mago come se non le avesse mai vissute, guardava ogni cosa stupita dai colori, dalla luce, dal freddo e dal caldo degli oggetti e della pelle dell'amico. La sera non voleva quasi andare a letto, e la mattina dopo, malgrado fosse festa, si svegliò prestissimo, precedendo persino il mattutino elfo nella preparazione della colazione.

Trascinò di nuovo in giro il mago, voracemente affamata di vita, fino a sera, quando con il tramonto, l'effetto dell'elisir cominciò a diminuire.

Era quasi mezzanotte, quando il sangue di Vlad riprese il sopravvento sulla Pietra Filosofale.

La donna si portò le mani al petto durante la cena, ed alzò sul mago uno sguardo pieno di dolore.

"Tom..." Mormorò. "Sta finendo..."

"No! Doveva durare almeno sei giorni, secondo i miei calcoli..." Gli occhi del mago si incupirono, mentre la afferrava prima che la donna cadesse a terra, per gli spasmi di dolore. "No..." Mormorò, osservando il colore che scompariva dalle guance della donna. Ella gli carezzò il viso, respirando a fatica.

"Non fa nulla... è stato meraviglioso lo stesso..." disse, mentre quel rapido assaggio di vita la abbandonava. Rimase immobile tra le sue braccia per qualche istante, a fissarlo, poi ricadde, abbandonata. Il mago, seduto per terra, folle di terrore, guardò il corpo della donna afflosciarsi tra le sue braccia, privo di vita, ed ebbe per lunghi istanti il terrore di non vederla tornare, mentre il pensiero di averla uccisa per sempre attraversava la sua mente.

"Torna, Reyes... torna, amor mio." ripeteva, senza accorgersi di averle di nuovo dato l'epiteto che usava quando stavano insieme per la seconda volta in due giorni. Sentì le lacrime scorrergli sul viso, mentre la stringeva a se, incapace di pensare ad altro che al rischio di non sentirla tornare, quando all'improvviso il corpo che stringeva si irrigidì, e le mani della donna si stringevano sulle sue spalle. Volse il viso a guardarla, e vide che la pelle aveva ripreso quella strana luminescenza traslucida dei vampiri, che gli occhi si erano rifatti profondi ed ipnotici e la vita sovrannaturale dei vampiri era tornata in lei. Le carezzò il viso e le labbra, mentre la donna faceva un debole sorriso.

"E' finito... è finito tutto."

Il mago annuì, incapace di parlare.

"Sei tornata vampira... mi dispiace, Rey..."

"Non fa nulla, Tom... è stato meraviglioso lo stesso..." Chiuse gli occhi, si strinse a lui, posando la fronte alla sua spalla. Sospirò, lo avrebbe fatto se avesse potuto respirare, e rimasero abbracciati, seduti sul pavimento, per un tempo incalcolabile, finché la vampira mormorò qualcosa contro il petto di Tom.

"Cosa?" chiese il mago.

"Grazie" Ripeté la vampira. "Dopo cento anni da vampira, per un giorno, sono tornata viva... grazie a te."

Tom le posò un bacio in fronte, commosso oltre ogni dire, e la sollevò tra le braccia. Sembrava diventata più leggera, quasi svuotata, la posò sul divano e si sedette sul tavolino di fronte a lei, fissandola. Si portò le sue mani, di nuovo gelide, alle labbra e le tenne strette a scaldarsi, mentre la vampira si guardava attorno, annuendo.

"Ora sto bene, Tom... sto bene, non preoccuparti per me." disse, senza guardarlo negli occhi. "Ho solo bisogno di bere e di dormire e poi sarò come al solito."

Il mago annuì, andò a prepararle un bicchiere di sangue puro e glielo portò, senza dire una parola, sapendo quanto fossero inutili, in certi momenti. Glielo mise sul tavolino e poi si sedette sulla poltrona, senza dir nulla, guardandola bere e poi chiudere gli occhi. Attese che si addormentasse, poi la portò in camera e chiuse la porta, dopo averla posata sul letto e coperta.

La mattina dopo, la donna era già partita, quando si alzò. Gli aveva lasciato la colazione pronta e un biglietto.

“Grazie.”

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Capitolo 18
*** L'altro libraio - Draco Malfoy ***


Erano ormai mesi che lavorava alla libreria con Richard, e Tom non smetteva di congratularsi con se stesso per l'idea. Era veramente un toccasana occuparsi di quel posto, lo pensava tutte le mattina quando alzava la serranda ed entrava a riordinare i ninnoli magici che avevano l'abitudine di spostarsi durante la notte. Si divertiva, si rilassava ad occuparsi di quegli oggetti e la caccia ai libri gli dava enormi soddisfazioni. Passare ore a frugare in minuscole librerie d'usato, smarrire il senso del tempo in mercatini delle pulci dedicati ai libri, acquistare enormi biblioteche private senza qualità solo per poter mettere le mani su un singolo libro di valore inestimabile e totalmente sconosciuto ai proprietari, spesso eredi senza gusto o competenze, lo faceva tornare ai tempi di scuola, quando la sua unica preoccupazione era lo studio e poteva dimenticarsi di se stesso nell'enorme biblioteca di Hogwarts. Persino il lavoro di riparazione degli incantesimi posti sugli oggetti magici usati che vendevano, compito che Richard svolgeva in maniera ormai affrettata ed infastidita, lo metteva di buon umore. Si divertiva a cercare di riparare questi oggetti, alle volte occorreva letteralmente parlamentare con oggetti i cui incantesimi erano così antichi da averli dotati di una personalità, che non ne volevano sapere assolutamente di tornare alle funzioni originarie, protestavano, esprimevano le proprie opinioni con forza e convinzione, come il set di soldatini affezionati ormai al bridge ed al minuetto, del tutto restii a tornare a simulare piccole guerre come un tempo, che aveva inutilmente cercato di riparare settimane prima.
Inoltre aveva finalmente ricominciato a viaggiare. Era uno zingaro, sotto sotto, adorava trovarsi in giro per il mondo con il borsone in spalla. La ricerca delle fiere magiche dell'usato lo aveva condotto in lungo ed in largo nel nuovo continente, nei quartieri magici di quasi tutte le grandi città e non disdegnava nemmeno le fiere babbane, se per caso c'era notizia del decesso di qualche celebre mago senza eredi nei dintorni del luogo ove si svolgeva la fiera. Capitava sovente, infatti, che venissero messi all'asta i beni del mago dai babbani, senza sapere di star vendendo oggettistica magica, così che con un po' di fortuna e di attenzione era possibile scoprire piccoli tesori. Tom aveva ormai sempre una valigia pronta, nella casa vicino al faro, per poter partire in qualsiasi momento, sulle tracce di una fiera o di un mercatino in giro per il mondo, ed ormai, grazie a questo atteggiamento, gli affari stavano veramente andando a gonfie vele. Tanto che quando seppe di un mercato di libri della durata di una settimana a Dublino, il mago decise di partire.
Era stato a Dublino, una vita prima, e se la ricordava a mala pena, ma abbastanza da trovarla trasformata, almeno nelle parti più periferiche. Fu solo quando arrivò al centro della città che tornò a riconoscere le viuzze. Il mercatino che cercava si era rivelato deludente, un'accozzaglia di carabattole senza valore, e nessun libro che valesse la pena di riportare a casa, così Tom aveva deciso di passare gli ultimi due giorni ad oziare nella capitale, godendosi l'estate indiana, la birra e la musica irlandese, prima di tornare a Nantucket, con la speranza per altro di trovare magari qualcosa di interessante a Owl Lane, il quartiere magico dublinese. Era stato nell'ufficio del turismo magico, poco prima, dove si era procurato una guida ai luoghi magici caratteristici, con una dettagliata mappa del quartiere magico ed una breve descrizione della sua storia. Era intenzionato a farci un giro, ma una strana pigrizia lo stava avvolgendo, come un manto di tranquillità, sollecitata dal non aver nulla da fare per il negozio. Per questo era entrato in quel pub, attratto dalla musica che ne usciva ed ora esitava ad andarsene, e decise di prendersela calma, rilassandosi in compagnia di una pinta di birra scura, il cui sapore in patria era impareggiabile, ed ascoltando tre ragazzi che suonavano musica folk, in un angolo del locale. Il mago si sentiva in pace con il mondo, guardando la gente passare fuori dalle finestre del pub e osservando il cielo scorrere mutevole sulle loro teste.
Osservava oziosamente la strada, quando vide dall'altra parte un'insegna che lo incuriosì: Akasha. Era una libreria esoterica, a quello che pareva dalle scritte sulle vetrine, e stranamente gli sembrava familiare. Estrasse dalla tasca del giaccone da marinaio la brochure turistica e vi rintracciò il nome della libreria. Era famosa a quanto pareva per esser la prima libreria magica con un settore aperto ai babbani, provvista di libri autorizzati dal ministero per fare il minor danno possibile in mano ai babbani. Non diceva nulla del proprietario, ma pareva essere una delle attrazioni del posto, ed i maghi potevano usarla per passare nel quartiere magico grazie all'accesso nascosto nel settore dedicato ai libri di astrologia. Incuriosito, il mago decise di muoversi, e terminata la birra, attraversò la strada per entrare nella libreria.
Il lato babbano era divertente ed innocuo, decise. Vi erano esposti i libri di alcuni famosi maghi, ed altri scritti da babbani convinti di aver scoperto grandi segreti magici e spirituali, che Tom aveva letto con un sorriso quando aveva cominciato ad occuparsi dell'Arcana Cabana, perciò, dopo un rapido sguardo agli scaffali, si diresse deciso al settore astrologia per entrare nell'altra parte.
Tornò spesso a ripensare a quel momento, nelle settimane successive, talvolta maledicendo quell'impulso... ma altre si disse che forse era stata una delle esperienze più importanti della sua nuova vita.
La libreria era semivuota da entrambe le parti, quel giorno, e solo un commesso presidiava il lato babbano, mentre nel lato magico non vi era nessuno, quando Tom vi mise piede. Si mise a girare per gli scaffali, scorrendo titoli noti e meno noti di autori locali, perdendo come sempre gli capitava il senso del tempo e del luogo, immerso nella lettura di paragrafi da un libro e da un altro, prendendo talvolta un volume da portare in cassa, terminato il lungo giro. Ne aveva racimolati ben sei, quando finalmente si decise ad uscire da quella piccola libreria, prima di lasciarci un patrimonio. Era effettivamente fornitissima, faceva ampiamente onore alla sua fama di avere praticamente di tutto, ma non poteva portarsi indietro tutti quei libri, onestamente, o avrebbe dovuto abbandonare il suo bagaglio a favore dei volumi che avrebbe voluto acquistare. Si diresse quindi al bancone, dove era arrivato a sedersi su uno sgabello un giovane biondo, con lunghi capelli sciolti sulle spalle e stava leggendo una rivista, in attesa di clienti. Il mago posò i libri accanto al registratore di cassa, sorridendo, e disse: “Devo veramente farvi i complimenti... sono anch'io un libraio, ma la vostra libreria è fornitissima, molto più della mia!”
Il ragazzo di fronte a lui alzò il viso di scatto ed il mago poté vedere che non era così giovane come sembrava, ma sopratutto si rese conto di conoscerlo, e molto bene. Gli occhi color acciaio erano di famiglia, non ci si poteva confondere, così come l'abitudine di portare i capelli lunghi e sciolti sulle spalle. Il viso affilato era quello di Narcissa, ma lo sguardo era quello di Lucius. Draco Malfoy, approssimativamente trentenne o poco più, impossibile dirlo grazie alla virtù tutta Malfoy di sembrare più giovani della loro reale età anagrafica, era di fronte a lui, e lo guardava con una strana espressione negli occhi.
Tom si sentì gelare. Aveva frequentato la Malfoy Manor per oltre un anno, quando era tornato in vita, in attesa di riuscire ad uccidere Potter, e Draco non solo conosceva il suo viso, conosceva benissimo la sua voce. Poteva aver ritrovato naso e capelli, i suoi occhi erano tornati del blu originario, ma la voce era rimasta identica, come l'altezza, il portamento, le spalle. Restarono a fissarsi, indecisi, il giovane a studiare quell'uomo che gli ricordava una parte tanto dolorosa della sua vita e l'adulto a fissare un passato a cui aveva smesso di pensare. Il silenzio cominciò a farsi pesante, senza che nessuno dei due facesse una mossa, poi Draco prese i libri, senza guardarli.
“Grazie” Disse Draco, senza espressione nella voce, “è un piacere incontrare un collega... dove ha aperto la sua libreria? Magari la conosco.”
“N-Nantucket.” Rispose asciutto, la bocca arida articolava le parole a fatica.
“Nantucket? Si trova negli States, vero? Ma lei non ha un accento americano...”
Tom si maledì per aver abbandonato la cadenza nantuckettese appena messo piede a terra, ed annuì, sperando che quello che sentiva sulle guance non fosse colpevole rossore. Aveva lo stomaco in subbuglio, non si era mai sentito così, nemmeno quando si era trovato davanti Potter e la moglie al faro. Harry non lo aveva mai riconosciuto, ma in effetti quando si erano incontrati avevano pensato più a cercare di uccidersi che a parlarsi, per cui era quasi ovvio che l'altro non lo riconoscesse, ma con Draco aveva parlato spesso, aveva vissuto nella sua casa, si conoscevano. Se Fenrir lo aveva riconosciuto grazie all'odore, Draco poteva riconoscerlo per mille altri dettagli. Tom cercò di tranquillizzarsi, pensando che lo davano tutti per morto, ormai, e che aveva un aspetto fin troppo giovanile, rispetto alla sua età reale, per cui nessuno, a parte il padre del ragazzo che aveva di fronte poteva riconoscerlo, ma non riusciva a rilassarsi. Sostenne lo sguardo indagatore del giovane Malfoy, senza osare distogliere lo sguardo.
“Ho viaggiato molto.” Rispose, sorridendo freddamente.
“Mi ricorda qualcuno, sa? Forse ci siamo già incontrati altre volte?”
“No, impossibile. È la prima volta che vengo in Irlanda.”
“Ah, ma io non sono irlandese. Sono inglese. Magari ci siamo visti altrove.” Draco incrociò le braccia, stringendo gli occhi, concentrato sul viso dell'uomo. Gli metteva i brividi e non sapeva capire perché. C'era qualcosa in lui che lo riempiva di orrore gelido, ma non riusciva ad identificarne la ragione. Non gli era mai capitato di provare tanta istintiva repulsione per una persona, a parte... Voldemort. Bastò al giovane formulare quel nome nella sua mente, per sentirsi aprire un vuoto nel petto, come un pugno. Spalancò la bocca, guardando il mago che aveva di fronte. Non era possibile che fosse lui, ne era certo. Era morto, lo aveva visto morire con i suoi occhi, aveva assistito al suo funerale. Aveva passato anni a cercare di dimenticarselo, anni a lottare per riguadagnarsi una dignità ed un nome, anni a dimostrare che era cambiato e non era più, non era mai stato veramente un mangiamorte. La voce di quell'uomo lo aveva perseguitato nei suoi sogni, se la ricordava con chiarezza, ed ora... chi era costui?
“Chi.. Chi sei tu?” Chiese, con la voce strozzata nella gola.
L'ex Signore Oscuro fece istintivamente un passo indietro, rendendosi conto di esser stato riconosciuto. Trattenne il fiato, un attimo, poi rispose.
“Richard. Mi chiamo Richard Murray.”

.....segue.



//Prima di continuare a pubblicare la storia, vi consiglio di leggere anche questa fanfic, che scrissi tempo addietro, che spiega come sia possibile aver trovato Draco Malfoy ad occuparsi di una libreria mezza magica e mezza babbana a Dublino...

http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?s
id=538040&i=1

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Capitolo 19
*** L'altro libraio - Draco Malfoy parte seconda ***


secondo cap “Non ti credo.” Draco si appoggiò al bancone, avvicinandosi al mago che si ritraeva. “Tu sei lui. Sei v-Voldemort.”
“Ti sbagli. È impossibile.” Alzò una mano in segno di diniego. “Voldemort è morto.” Cercò di sorridere, ma ne uscì una strana smorfia.
“No, non mi posso sbagliare. Sei tu.” Draco era atterrito, guardava l'altro con occhi spalancati, pallido in volto, ormai aggrappato al bancone come se dovesse svenirvi sopra. Ne era certo, non poteva sbagliarsi. Lo sguardo, le espressioni, non poteva dimenticarsele. Quel volto mostruoso che lo aveva terrorizzato per anni, nei suoi sogni, lo aveva inciso nella memoria, e malgrado la deformità con cui lo aveva conosciuto, certi tratti erano rimasti identici. E quella voce... era lui, non aveva dubbi. “Com'è possibile.. come hai fatto?”
“No, ti sbagli, Draco...” gli si mozzò il fiato in gola, mentre si rendeva conto di aver pronunciato un nome che non avrebbe dovuto conoscere. Restò immobile, guardando il giovane Malfoy alzarsi di scatto, portarsi le mani alla bocca e fissarlo sbalordito. Arretrò dietro il bancone, fino a toccare lo scaffale alle sue spalle, e rimase inchiodato a fissarlo. Tom reagì d'istinto, estrasse velocemente la bacchetta dalla manica e con un solo rapido gesto sigillò tutte le entrate della libreria. Non era entrato nessuno dopo di lui, nel lato magico, ed erano soli. Non sapeva cosa voleva fare, ma non poteva permettersi di avere altri testimoni di questo riconoscimento.
“Draco, ascolta, io...” cominciò, senza sapere bene cosa avrebbe detto.
“Bastardo...” Mormorò l'altro. “Maledetto fottuto bastardo, assassino!” Terminò quasi in un grido, lasciando cadere le braccia. “Che vuoi fare, ora, uccidermi?”
“No Draco.. non voglio ucciderti, io non sono la stessa persona, devi credermi.” disse alzando una mano aperta verso di lui. Nell'altra stringeva ancora la bacchetta, e con lentezza la abbassò, a dimostrare di non aver cattive intenzioni.
“Come no? Pensi che potrei sbagliarmi? Lo sai da quanto tempo sogno la tua voce, maledetto?” lo aggredì. “Sono quindici anni che hai devastato la mia esistenza, TU! Non mi posso sbagliare. Non so che hai fatto alla faccia, ma la tua voce non la dimenticherò finché campo!”
“Lo so, ma non sono più la stessa persona di una volta, Draco...” Cercò di spiegargli.
“NO! Tu non sai nulla, maledetto! Non sai niente! Non me ne frega un cazzo di chi sei, tanto non ha nessuna importanza! Tu hai rovinato la mia vita! La vita dei miei genitori! La vita di chiunque!” gli urlò in faccia, estraendo la bacchetta dalla tasca della giacca. “AVADA K...” cominciò a gridare, ma Tom velocissimo alzò nuovamente la bacchetta e lo bloccò con un incantesimo immobilizzante.
Si ritrovò a fissare il ragazzo, che malgrado la paralisi lo guardava accecato di odio, consapevole che se avesse terminato l'incantesimo lo avrebbe sicuramente ucciso. Sapeva riconoscere la volontà omicida negli occhi di un avversario, e quel ragazzo che non era riuscito ad uccidere Silente per difendere la sua famiglia, era ora diventato un adulto in grado di ucciderlo senza esitare. Tom ansimò, il fiato corto, cercando di riprendere il respiro, guardando il ragazzo. Alzò la bacchetta verso il soffitto, sbalordito da tanto odio. Mai prima di allora aveva incontrato una propria vittima, e Draco poteva ben dirsi una sua vittima, anche se era sopravvissuto. Era vero, gli aveva devastato l'esistenza, come a tutti quelli che avevano osato incrociare la sua strada. Aveva ripensato alle proprie azioni, mille volte, pensando a quanto male era andata la sua vita, ma non si era mai pienamente reso conto dell'effetto che aveva avuto sulla vita degli altri. Allungò una mano a togliere la bacchetta dalle mani del ragazzo, la posò sul bancone di fronte a sé e modificò l'incantesimo per lasciargli la possibilità di parlare. Il ragazzo riprese il controllo del proprio viso e chiuse la bocca, guardandolo con odio.
“Che aspetti ad uccidermi? O vuoi torturarmi, prima? Non ti temo, bastardo... è passato il tempo in cui mi facevi paura sai?” disse, e poi gli sputò in faccia.
Tom non fece in tempo a ritrarsi, e prese il getto di saliva in viso. Fu come se fosse velenoso. La rabbia lo aggredì feroce e con un gesto della bacchetta mandò l'altro a sbattere violentemente contro la parete, dove rimase appoggiato, il viso deformato dal dolore.
“Tutto qua quello che sai fare?” Ringhiò.
“Io non voglio farti nulla, cazzo! Non ho intenzione di ucciderti, Draco! Come devo dirtelo? Lo avrei già fatto, se avessi voluto! Non sono più il Signore Oscuro!” gridò, pulendosi il volto con una manica.
“Ah, no? E cosa saresti, sentiamo, un libraio?” il ragazzo rise, incredulo.
“Si, sono un banale libraio. Uno stupido, anonimo libraio! Non mi passa più nemmeno per l'anticamera del cervello di conquistare il mondo magico, sto solo cercando di rifarmi una vita!”
“Ah, ma davvero? E con che diritto? E tutti quelli a cui l'hai devastata cosa dovrebbero fare, applaudirti ora, perché sei diventato buono? Ma chi vuoi che ti creda?” il giovane rise, incontrollabilmente. “Lo sai che quasi nessuno tra noi è riuscito a rifarsi una vita serenamente? Lo sai che sei rimasto negli incubi di tutti? Hermione, mia moglie, si sogna la battaglia tutte le volte che è sotto stress, mi sveglia urlando, ed io sveglio lei, quando mi risogno la notte in cui mi mandasti a cercare di uccidere Silente... uno dei miei migliori amici è morto, la notte della battaglia ad Hogwarts, e l'altro è diventato quasi pazzo, è finito al San Mungo per depressione, grazie a te. I miei...” il ragazzo strinse gli occhi che si andavano riempiendo di lacrime. Suo padre era morto ad Azkaban, e sua madre era morta di dolore pochi anni dopo. Aveva dovuto tirarsi su le maniche dal nulla, visto che tutti i loro beni erano stati confiscati, e solo di recente aveva ritrovato la tranquillità, quando si era ritrovato davanti Hermione Granger e si erano innamorati e sposati, con reciproca sorpresa. Credeva che tutto andasse bene, fino a quel momento, quando il peggior incubo della sua vita si era materializzato davanti ai suoi occhi, ed aveva anche il coraggio di dirgli che non era più il mostro di una volta. “Che diritto hai TU di volerti rifare una vita, sentiamo?”
Tom si lasciò vomitare addosso tutto quel veleno, senza reagire. La domanda di Draco rimase tra loro, più pesante di una condanna. Se l'era posta lui stesso, molte volte, ma senza darsi risposte soddisfacenti. Ed ora di fronte al ragazzo nessuna delle risposte parziali che aveva trovato aveva minimamente significato. Si passò una mano sul viso, abbassando lo sguardo di fronte al dolore terribile che emanava da lui. Essere legilimante significava sopratutto essere in grado di percepire le emozioni delle persone che aveva di fronte e solo una mente ben allenata e preparata poteva evitare di venirne travolta. Ma ora non era pronto a difendersi, la propria emozione lo tradiva, lasciandolo scoperto a farsi invadere dalle immagini provenienti da Draco. Se ne lasciò permeare, vedendo e sentendo tutto il dolore che si era portato dentro, tutta la rabbia, tutto l'odio non solo per lui ma anche per se stesso, il senso di colpa per essersi unito ai mangiamorte ed aver fatto cose orribili. Era così simile a quello che aveva sentito Tom stesso in questi anni dal suo ritorno che ne fu annientato. Senza rendersi conto di quello che stava dicendo, senza alzare il viso su Draco, Tom mormorò: “Perdono... io... non immaginavo.”
Aspirò pesantemente l'aria, immediatamente consapevole di esser ridicolo a chiedere perdono per qualcosa che era oltre qualunque possibilità di redenzione. Non meritava nessun perdono, tutta la sua vita era stata solo un infinito fallimento, una lunga sequela di orrori, senza motivo oltre al dolore che aveva provato lui stesso. Aveva cercato di vendicarsi dei torti che pensava di aver subito, questo era il vero motivo di tutta la sua ambizione, di tutto il suo odio. Ed ora, di fronte a Draco, aveva esatte, chiare le proporzioni dell'inutilità dei suoi sforzi. Gli tolse l'incantesimo bloccante ed il ragazzo ricadde a sedere sulla sedia dietro il bancone, i muscolo anchilosati e stanchi. Lo fissò, a lungo, incredulo, poi cominciò a ridere. Rideva a crepapelle, senza riuscire a smettere.
“Perdono? Mi stai chiedendo PERDONO?” Gridò.
Tom annuì, stancamente. Si appoggiò con le mani al bancone, lo sguardo basso, incredulo egli stesso.
“Non è possibile, lo so...” mormorò. “Non si può perdonare quello che ho fatto. Pensavo fosse giusto, pensavo fosse la cosa migliore da fare, e non mi sono reso conto di quanto male facevo. Pensa pure che sia ridicolo, ma non capivo... non sapevo quello che stavo facendo, a te, agli altri mangiamorte, a me stesso, a coloro che mi combattevano. Pensavo solo fosse giusto farlo.”
Draco lo guardò a lungo, senza dir nulla, mentre l'altro parlava. Alla fine solo una parola uscì dalle sue labbra.
“Perché?”
Tom, gli occhi che pungevano stranamente, come se qualcosa combattesse per uscire, si ritrovò a pensare alla propria infanzia. Aprì la bocca un paio di volte, cercando di spiegare, ma qualunque cosa avesse detto sarebbe stata inadeguata a far capire quello che aveva provato. Non poteva, come non poteva far capire a Draco quanto realmente gli dispiacesse aver fatto quello che aveva fatto. Così decise di spiegarglielo nella sola maniera possibile. Alzò lo sguardo su di lui, uno sguardo che pochi avevano potuto sostenere e sopravvivere, ai tempi della guerra magica. Entrò nella mente del ragazzo ed invece di estirparvi dei ricordi, per la prima volta in tutta la sua vita, si aprì totalmente ad un altro essere umano e gli mostrò chi era stato, e perché aveva fatto tutto quello che aveva fatto. Draco vide i lunghi anni all'orfanotrofio, le angherie, la consapevolezza di esser diverso, la totale mancanza di affetti, la solitudine infinita, la paura, l'odio, il bisogno di rivalsa... come Tom aveva visto tutto il dolore di Draco, così ora Draco vide quello di Tom. Chiuse gli occhi, incapace di sostenere altro, e scoppiò in lacrime.
“Non è giusto...” mormorò, tra le lacrime, e lo ripeté mille e mille volte, e Tom non seppe per chi dei due lo stesse dicendo. Abbassò lo sguardo sul bancone e rimase a guardarne le modanature per un tempo infinito, attendendo che l'altro si calmasse.
Draco, il ragazzo viziato e  troppo amato che era stato nell'adolescenza, per la prima volta in vita sua vide Tom Orvoloson Riddle come un orfano rifiutato da tutti, dal mondo babbano e dal mondo magico e comprese. Per quanto la sua vita fosse stata devastata dall'incontro con il Signore Oscuro, Draco aveva potuto almeno contare su una psiche irrobustita dall'amore che aveva ricevuto. Aveva davvero potuto pensare di rifarsi un'esistenza, ne aveva le capacità affettive, psicologiche. Colui che non poteva esser nominato, invece, era stato una parodia di uomo per tutta la sua vita. Non aveva idea di come fosse tornato a vivere, ma vi era veramente del pentimento, un barlume di umanità risvegliato nell'individuo che aveva davanti. E doveva soffrire orribilmente, ora che poteva vedersi come lo vedevano gli altri. Alzò infine lo sguardo su di lui e lo guardò con sincera compassione. Non avrebbe saputo perdonarlo completamente, troppo aveva sofferto per causa sua, ma poteva almeno capirlo.
Segue

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Capitolo 20
*** L'altro libraio - Draco Malfoy ultima parte ***


Quell'occhiata entrò nella memoria di Tom e vi rimase per tutta la sua esistenza. In ogni momento della sua vita successiva, se chiudeva gli occhi e tornava a quel giorno, rivedeva quegli occhi chiari, bagnati di lacrime, guardarlo compassionevoli, uno sguardo spaventosamente simile a quello che gli aveva rivolto Silente nell'aldilà, quando lo aveva accolto dopo la sconfitta di Hogwarts. Scoprì di non poter sopportare quello sguardo. Poteva sopportare l'odio che vi aveva scorto all'inizio, ma non quello. L'odio lo conosceva, e si rese conto in quel momento di provarlo per se stesso con la stessa intensità. Ma non riusciva a provare compassione per se stesso, non poteva perdonarsi.
Prese la decisione in un istante, istintivamente. Gli fece un incantesimo di memoria, cancellò quell'incontro dalla mente del ragazzo, e mentre l'altro restava momentaneamente imbambolato a guardare il nulla, rimandò i libri sugli scaffali con un gesto, dissolse i sigilli all'entrata della libreria e fuggì, il cuore colmo di una disperazione senza possibilità di redenzione. Tornò in albergo e fece i bagagli, materializzandosi al faro, dall'altra parte dell'oceano, nel cuore della notte.
Andò sulla terrazza più alta del faro, a guardare il mare. Rimase lì al freddo tutta la notte, la mente in tumulto, a osservare il mare avventarsi sugli scogli sotto di lui, le mani che artigliavano la ringhiera. Tutto dentro di lui urlava, un grido disperato di orrore. Respirava a fatica, ansimando, ed ogni respiro lo chiamava verso l'abisso, a por fine a tutta quella sofferenza con un volo verso gli scogli. Eppure restava aggrappato a quella ringhiera, i muscoli tesi allo spasimo, incapace di fare il salto ed incapace di tornare dentro, al caldo ed alla sua vita, che gli pareva ora assurdamente priva di senso. Come poteva aver pensato di rifarsi una vita, come poteva credere di potersi lasciare tutto alle spalle e ricominciare? Lo avevano ucciso, ed era giusto così, non era giusto che un uomo come lui vivesse. Non ne aveva il diritto.
Arrivò l'alba a osservare quel piccolo umano sull'orlo dell'abisso. Il sole indifferente si alzò a sfiorargli il viso e Cletus lo trovò, mentre andava a fare il giro di controllo alla lampada, che ancora era immobile a guardare il mare, stravolto. Il piccolo elfo lo chiamò un paio di volte, senza ottenere risposta, senza capire che gli fosse successo. Poi fece la sola cosa che gli venne in mente di fare, la sola che era capace di fare per gli uomini, da quando era nato.
Gli prese una mano, dolcemente, sorrise, e guardandolo disse: “Vieni dentro, Tom... prendi freddo. Ti preparo la colazione, ora.”
Il mago sentì il calore della mano sulla propria e guardò il piccolo elfo senza vederlo. Ma gli strinse la mano, e finalmente qualcosa in lui si sciolse. Si lasciò cadere seduto accanto a lui, lo abbracciò e per la prima volta nella sua vita adulta si abbandonò alle lacrime in presenza di un altro essere vivente. Pianse disperatamente, singhiozzando, mentre il piccolo elfo, pur senza capire, lo stringeva e gli dava pacche affettuose sulle spalle. Lo lasciò piangere finché voleva, poi quando sentì il corpo del mago sciogliersi di stanchezza contro il suo, svuotato e sfinito, materializzò entrambi in salotto, vicino al divano. Si sedette accanto al mago, che si abbandonò per terra ad occhi chiusi, e rimase lì a tenergli entrambe le mani tra le proprie, appoggiandogli la testa contro il petto.
Il mago si addormentò, senza accorgersene, per svegliarsi ore dopo, sul divano, coperto da un plaid, spogliato dei vestiti per il viaggio. Il piccolo elfo era accanto a lui, leggeva un fumetto, e sul tavolo di fronte era posato un vassoio autoriscaldante, su cui era posata una caraffa di cioccolata calda ed i biscotti di Cletus.
Fu lo sguardo di Cletus a dargli una spiegazione sul perché non si era gettato nel vuoto, la notte prima. Non poteva farlo. Cletus sapeva perfettamente chi era stato, era cresciuto in una famiglia di maghi oscuri, conosceva perfettamente la sua storia. Eppure gli voleva bene lo stesso, per quello che era adesso. Che avesse senso o meno, l'affetto di quel piccolo elfo lo aveva tenuto ancorato a quella ringhiera, impedendogli di buttarsi di sotto. Il mago, con voce rotta, gli raccontò che cosa gli era successo, e l'elfo ascoltò attento.
“Ma ora non sei più Voldemort. Sei Tom, e basta. Facci pace con Voldemort, e sii Tom. È a Tom che Cletus e tutti i tuoi amici vogliono bene. Voldemort è morto e lo hai ucciso tu” disse, posandogli il lungo indice nodoso sul cuore. “non Harry Potter. Lui ha ucciso il corpo di Voldemort, ma tu ne hai ucciso il resto, quando ti ho conosciuto. Tu sei Tom ed hai una libreria ed un faro di cui occuparti.” annuì, sicuro, e poi lo nutrì come se fosse un bambino, e quando fu soddisfatto di quanto aveva mangiato gli ordinò di dormire ancora. Il mago, incapace di ribattere, si lasciò cullare, e poco prima di sprofondare di nuovo nel sonno, lo sentì mormorare una canzoncina per bambini. Sorrise, giusto un attimo prima di addormentarsi. Qualunque fosse la ragione per cui era tornato in vita, qualsiasi fossero gli orrori del suo passato, per quanto non riuscisse ad affrontarli, Cletus aveva ragione.
Come al solito.

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Capitolo 21
*** 31 dicembre - dal diario di Tom ***


Fa freddo, stanotte.
Chissà quant'era fredda quella notte. Ottantaquattro anni fa. Lei andò all'ospedale, senza documenti, senza quasi un nome. Non disse nulla, a parte il nome della creatura che aveva messo al mondo, quello che avrebbero scritto sul suo atto di nascita, insieme alla dicitura "orfano", di lì a qualche ora.
Tom, come suo padre.
Orvoloson, come suo nonno.
Riddle.
Come fai a ricordarti del tuo compleanno con piacere, se è lo stesso giorno in cui sei finito in orfanotrofio?

Risparmiatevi gli auguri. Non so che farmene.
Tom.

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Capitolo 22
*** Un cimelio dall'oscuro passato ***


Ho cancellato alcuni capitoli della storia che erano finiti in un vicolo chiuso, nel quale non sapevo più dove andare... e dato che ho lasciato bloccata la storia per troppo tempo, ho deciso di eliminarli e proseguire per altre strade. Godetevi pertanto il nuovo capitolo e spero nessuno rimanga troppo deluso se ho cancellato un ramo secco della trama. Buona lettura!


Così come Diagon Alley, esistono molti luoghi al mondo che sono celati ai più... sono luoghi dove i maghi vivono e lavorano senza nascondersi, e che i babbani non possono trovare e nemmeno vedere. O meglio, li vedono diversi da come sono realmente.

Uno di questi luoghi è un paesino francese, locato in Bretagna, chiamato Bouche-de-Nimue, dedicata alla fata che eresse la tomba di Merlino. In questo paese abitano la maggior parte dei maghi del nord della Francia, e viene parlato un dialetto locale che nemmeno i francesi capiscono, derivato da una mescolanza di gaelico e bretone che non ha eguali in europa. Si tratta di una lingua molto antica e di grande potenza magica, che viene talvolta trascritta solo in caratteri runici, ed i manufatti magici prodotti in questo paese e con le iscrizioni in questa lingua sono considerati estremamente potenti. Il paese è arroccato su una collina, resa magicamente indisegnabile e che per i babbani è sormontata solo da un vecchio rudere medievale semi distrutto ed estremamente pericoloso... l'immagine che vedete è tratta da un quadro disegnato prima dell'incantesimo che ha reso il paese invisibile.
.
C'è un solo modo per arrivarvi.. che siate maghi e che sappiate dove si trova.
Il guardiano del faro ci è andato per una ragione precisa... in questo paesino è custodito un cimelio che pensava smarrito per sempre, addirittura era convinto fosse stato distrutto dopo la sconfitta del Signore Oscuro a Hogwarts, ma non è così, evidentemente. In quel paese infatti è aperto un rigattiere molto particolare, che non si fa scrupolo di vendere anche oggetti intrisi di storie macabre e magia oscura, al pari di Magie Sinister, a Notturn Alley. In questo negozio, da qualche giorno, è in vendita la bacchetta di Lord Voldemort.
L'arrampicata al paesino è lunga e faticosa, e trovare il rigattiere piuttosto arduo... è quasi mezzogiorno quando Tom si ferma di fronte al negozio. Una minuscola vetrinetta, dove sono posate solo due cose: un calice scuro ed uno specchio nero, queste sono le sole cose esposte. Una porta di legno, con una maniglia di ottone lucidissimo, con la scritta in caratteri runici che riporta il nome del proprietario. Maleisus, Malevolo in gallese... il mago lo legge con un ghigno, pensando che potrebbe essere un nome profetico, ma si trova davanti entrando un ometto che pare smentire il significato del cognome. Un piccolo mago scarno, dagli occhiali cerchiati di tartaruga, con un sorriso timido stampato sul volto, si inchina quasi vedendolo entrare, e poi chiede qualcosa nel dialetto locale.
«Sono spiacente» risponde Tom in francese. «Non capisco... potremmo parlare in francese?»
«Ma certamente, signore!» risponde l'omarino con sussiego «Chiedevo in che modo posso aiutarla...»
Tom prende fiato un attimo e decide che non vale la pena di girarci tanto attorno.
«Ho sentito dire che avete la bacchetta di Colui Che Non Deve Esser Nominato.»
Il mago sorride ancora di più, ed annuisce.
«Avete sentito bene! È arrivata fino a me in maniera piuttosto curiosa, sapete? Il Prescelto in persona l'ha tolta al corpo di Lei-Sa-Chi dopo averlo sconfitto ed aver ripreso la Bacchetta di Sambuco, e poi l'ha donata al Ministero Inglese, perchè venisse custodita in un loro speciale ufficio per i reperti pericolosi... ma alla fine non sapevano che farsene e visto che tutto sommato non è altro che una bacchetta, quando hanno deciso di risanare le casse dello stato hanno pensato bene di venderla all'asta.. il buffo è che nessuno voleva comprarla, per timore di passare da nostalgico ex mangiamorte, per cui... alla fine sono riuscito a comprarla io per una cifra irrisoria.»
Mentre si perde in chiacchiere, si arrampica su una sedia, per andare a pescare una scatola lunga e stretta, molto simile a quelle di Olivander, in cima ad uno scaffale. Con calma e cautela la apre, scostando i lembi di stoffa che coprono l'oggetto ivi riposto. Tom si scopre a sentire il cuore in gola, mentre rivede la sua vecchia bacchetta. Solo grazie al suo grande esercizio di autocontrollo resta esteriormente impassibile, mentre nella sua mente e nel suo cuore scoppia il tumulto. Non vedeva quella bacchetta da secoli, da una vita, letteralmente. Il piccolo mago indossa dei guanti di cotone bianco e la estrae, posandola sul bancone di fronte al mago.
«Siete un collezionista, signor... »
«Crowley.» risponde automaticamente. «Tom Crowley, libraio e antiquario in Nantucket.» Estrae il proprio biglietto da visita, dove naturalmente il suo vero cognome non appare. «Un mio cliente americano, un mago molto influente... mi ha chiesto di verificare se è quella vera e di acquistarla, nel caso..» Dice, sciorinando la storia che aveva preparato. L'altro sembra berla, perchè annuisce, sempre sorridendo.
«È quella vera.. eccole il documento di autenticità, rilasciato dal Ministero Inglese.» Dice, mettendogli in mano un papiro che descrive l'oggetto e le circostanze del rinvenimento.
Leggere le circostanze della propria morte scritte in freddo burocratese mette al mago strani brividi, come se un'oca stesse camminando sulla sua tomba. Il piccolo mago prende delicatamente in mano la bacchetta, facendola girare per mostrarla e poi gira l'impugnatura verso Tom.
«Potete controllare voi stesso, se volete... »
Tom la riconosce senza toccarla... un piccolo graffio sul lato dell'impugnatura, arrotondato dall'abitudine a strofinarci il pollice sopra, una coppia di buchi della corteccia che gli ricordavano degli occhi, una certa sfumatura più scura in un punto preciso del corpo della bacchetta.. potrebbe riconoscerla solo lui, ed è certo: è la sua. Ma alza le mani, non osa toccarla in pubblico. Sa che reazione avrebbe in mano sua, e lo renderebbe immediatamente riconoscibile. Anche il più ignorante dei maghi sa in che maniera reagisce una bacchetta in mano al proprietario... e nessuno ha mai battuto la sua bacchetta, è ancora sua, del tutto.
«Preferisco di no, la ringrazio... ma direi che è indubitabilmente l'originale, ne ho letto mille descrizioni. Tuttavia non voglio toccarla. Sa, ha una storia... inquietante.»
«Si, capisco... e concordo. È senza dubbio preferibile non toccarla a mani nude, sa... da una strana sensazione, come di freddo e di viscido.»
Il piccolo mago rabbrividisce, perdendo per un attimo il sorriso, mentre ripone la bacchetta. Si accordano sul prezzo. Esorbitante, ma Tom ha deciso di riaverla. Sa che se non lo facesse quella bacchetta arriverebbe tra le mani di un collezionista e magari di un nostalgico.  E per qualche strana ragione, che non ha ancora indagato, non vuole che la sua bacchetta finisca in altre mani. Paga senza batter ciglio ed esce il più rapidamente possibile, tagliando corto le chiacchiere del negoziante.
 

Il giorno dopo è al faro, in cucina. Apre la scatola e la gira, facendo cadere la bacchetta sul tavolo. Si siede a guardarla, la fissa a lungo, prima di prenderla finalmente in mano. Chiude gli occhi, percependo il calore tra le dita del potere che affluisce nell'oggetto, la muove leggermente, traendone scintille verdi. La dirige verso una bottiglia posata sul tavolo, che si trasforma istantaneamente in un serpentello. Lo fissa un attimo e poi lo ritrasforma nella bottiglia.
Posa la bacchetta, con le mani tremanti. L'emozione che ha provato è stata fortissima. Riconoscimento, non v'è altra definizione possibile. Dentro di lui qualcosa si è mosso. Qualcosa, o qualcuno, per meglio dire, che sta cercando di dimenticare di esser stato, ma che è sempre presente. Ed ora che l'ha riconosciuto, non sa che fare. Distruggere la bacchetta, come aveva pensato inizialmete gli pare assurdo, ora.
Così come non può cancellare il passato e distruggere il ricordo di quello che è stato, non può distruggere la bacchetta. Ma non riesce a pensare cosa farne, perciò resta a lungo a guardare l'oggetto  posato sul tavolo, la mente affollata di mille pensieri ed il cuore di tormentose emozioni. Infine chiude di nuovo la bacchetta nella scatola, la porta nel proprio studio, protetto da incantesimi anti rilevazione persino dal più potente dei maghi, e chiude la scatola in uno scrigno dove ha custodito i segreti più innominabili, tra cui alcuni dei suoi diari del tempo in cui era il Signore Oscuro.  
Resterà lì, pensa. Chiusa in un angolo, con i peggiori ricordi del suo passato tenebroso.
Di certe cose non ci si può liberare, ma solo imparare a conviverci. 

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Capitolo 23
*** Jack O'Lantern ***


Jack O'Lantern


A volte i clienti del negozio lo facevano diventare matto... pretendevano avesse in negozio cose di cui avevano solo sentito parlare e di cui avevano una vaga descrizione, e si offendevano mortalmente se non era così sagace ed inventivo da capire da solo quello di cui stavano parlando. Era un'ora che cercava di farsi spiegare da quell'anziana fattucchiera che cosa stesse cercando, e quello che era cominciato come una sorta di indovinello era diventato una specie di caccia al tesoro e stava per concludersi con un omicidio colposo preterintenzionale. Tom cercava di mantenere la calma, di fronte alla vecchietta che insisteva che dovevano avere quel coso rotondo che serviva per fare le cose che faceva lei, senza fornire descrizioni più specifiche e comprensibili degli strani gesti che compiva per aria, ruotando qualcosa che pareva una manovella ed avvitando forse qualcos'altro. Ma non si riusciva a farle spiegar meglio che cosa volesse, straparlava che ne aveva uno da ragazza, che le era utilissimo in casa, sopratutto con i cosi che infestavano il giardino, che sua mamma lo usava sempre, ma che da quando si era rotto il suo non era più riuscita a trovarlo, ma che loro che erano antiquari dovevano per forza averlo!

«Quel coso, suvvia, possibile che non sappiate di cosa parlo?» insisteva la vecchietta, rivolgendosi sopratutto a Richard. I due maghi si guardarono smarriti: avevano cercato di indovinare in tutti i modi, ed ora stavano cercando di convincere la vecchietta a fare almeno un disegno di quello che aveva in mente, ma non c'era verso, la donnina si ostinava a dire che dovevano sapere di cosa si trattasse. Tom cominciava veramente a perdere la pazienza, là dove invece il suo socio pareva conservarla ancora. Quando Richard infine si allontanò per servire un altro cliente, lui guardò duramente la strega negli occhi e con durezza le disse: «Signora! Mi pare evidente che non possiamo sapere cosa lei abbia in mente, per cui o si decide a trovare un nome a quello che sta cercando, o la invito a tornare a casa e farsi venire un'idea molto più chiara di quello che ha in mente, ma qui non abbiamo più tempo da perdere dietro ai suoi farneticamenti!»

La donna lo guardò prima sbalordita, poi indispettita.
«Giovanotto...» cominciò con voce glaciale. «Prima o poi avrà anche lei la mia età! Ma prima di allora, che possa incontrare Jack Lantern, così imparerà a trattare le signore anziane!» Concluse, agitando un dito, poi si cacciò una mano rugosa in tasca, ne trasse un pizzico di polvere e la buttò addosso al mago, che starnutì. Poi si erse in tutta la sua scarsa altezza e si girò sui tacchi, uscendo dal negozio a grandi passi.

Il mago sbuffò, infastidito, spolverandosi quello che pareva semplice talco dalla manica e dai capelli. Aveva spesso sentito la maledizione dello spirito di Halloween, ed era sempre stata considerata niente più che una blatera da vecchi, poiché non si conoscevano casi accertati in cui avesse funzionato. Stando alla leggenda, chi la riceveva avrebbe dovuto ricevere la visita dello spirito, che gli avrebbe fatto incontrare i fantasmi di tutti coloro che tra i propri amici erano morti, che avrebbero dovuto mostrargli la verità su chi era e che stava facendo... ma quando mai, si disse il mago. Era una maledizione da burletta, buona solo per spaventare i bambini.

Non ci pensò più, per tutta la settimana che precedeva Halloween ebbero fin troppo da fare, per ricordarsi di quella vecchietta.

La notte di Halloween finalmente i due maghi si concessero una cenetta insieme, nel ristorante del quartiere magico, e poi assistettero allo spettacolo celebrativo, al rito magico di commemorazione dei morti e bevvero anche il bicchiere della staffa, proprio alla salute del vecchio Jack, e fu allora che Tom rammentò la maledizione. Ne sorrise, mentre tornava al faro. Fece il solito giro, riflettendo sulla leggenda, senza prenderla troppo sul serio, secondo cui lo spirito portava l'anima dei morti avanti ed indietro tra il mondo dei vivi ed il mondo dei morti. Non era così religioso da credere a quelle leggende, ed aveva sempre considerato la mitologia come un semplice modo di approcciare il mondo e le dinamiche della magia in epoche in cui questa non era stata sufficientemente esplorata.

Al momento di andare a letto, aveva infine dimenticato tutto.


Durante la notte, nella stanza da letto del mago si materializzò uno spirito alto, magrissimo... aveva una strana luminescenza attorno alla testa, che traspariva dal cappuccio con cui l'aveva coperta. Il mago dormiva profondamente, mentre questo spirito altissimo si aggirava nella stanza, osservando gli oggetti sparsi in giro. Tornò al letto, a guardare l'uomo addormentato, fissandolo da vicino. La strana luminescenza illuminava il volto del mago di una luce arancione, calda... ed una lunga mano bianca passava a poca altezza dal mago, come se lo stesse accarezzando senza mai toccarlo. Lo spirito annuì, e con un lungo dito lunghissimo allontanò il cappuccio, svelando quella che pareva una zucca scavata ed intagliata per sembrare un teschio. E lo sembrava realmente: non era solo la classica zucca, ma era stata scavata e intagliata, fino a sembrare una testa corrosa dalla putredine, un volto deformato dalla morte in un ghigno beffardo. Al suo interno vi era una luce, che traspariva dalla bocca, dal naso, dagli occhi, e pareva dipingere un'espressione maligna su quello strano volto. Una voce ultraterrena, raschiante e roca uscì dal buco ove era la bocca, pronunciando il nome del mago.

TOM.

Il tono era basso, ma chiaro come se non avesse bisogno di esser pronunciato. Anzi, quando il mago si svegliò e si trovò a fissare il volto ultraterreno che lo fissava, pensò di averlo sentito solo in testa. Ed il secondo pensiero che ebbe fu che Jack non era affatto divertente come quello che facevano i ragazzini con le zucche.

BEN SVEGLIATO. MI HANNO MANDATO A FARTI UNA VISITA.

Questa volta Tom ne era certo. Non lo aveva sentito. Era la telepatia più chiara che avesse mai sperimentato in vita sua. Si allontanò dal volto sovrannaturale, arretrando sul letto, artigliando le coperte, in un irrazionale moto fanciullesco di protezione, come se le coperte potessero in qualche modo proteggerlo da quello che doveva evidentemente esser un incubo.

NON SONO UN INCUBO, SPIACENTE.

La risposta lo lasciò a bocca aperta. Non aveva mai temuto nulla, in vita sua, ma scoprì di aver paura. Onestamente, con tutto il cuore. Non ebbe nemmeno il tempo di chiedersi come fosse possibile, che ottenne la risposta.

MI HA MANDATO QUELLA DONNA. UNA VECCHIETTA, UNA DELLE MIE POCHE SEGUACI SOPRAVVISSUTE. STAVA CERCANDO UNA LAVATRICE, MA LEI RICORDA ANCORA QUELLE DEI SUOI TEMPI.. SAI, QUANDO AVEVA VENT'ANNI, NEL 1812, ERANO FATTE IN MANIERA DIVERSA. PECCATO NON GLIEL'ABBIATE TROVATA.

Voleva chiedere chi era, ma non fu necessario spiccicar parola nemmeno questa volta.

MI CHIAMANO IN TANTI NOMI... BARON SAMEDI', JACK LANTERN, MORTE, ADE... MA CHE IMPORTA? SONO QUA PER FARTI VEDERE UNA COSA. VIENI.

Il mago avrebbe voluto resistere, prendere la bacchetta, mandare via quel.. quell'incubo, ma scese ubbidiente dal letto, senza potersi opporre. In compenso riuscì a recuperare il fiato.

Dove vuoi portarmi?” chiese.

DEVI VEDERE UNA COSA, TOM. O TI DEVO CHIAMARE VOLDEMORT?

T-Tom, va bene Tom...” era atterrito. Sì, era terrorizzato. Lo spirito era in piedi davanti al letto, coperto da un mantello drappeggiato su spalle che parevano innaturalmente scarne, e quando il mago si alzò era di tutta la testa più basso dello spirito, malgrado non fosse affatto di piccola statura. Tremava di freddo e di paura.

Sto per morire?”

NO. MA STAI PER INCONTRARE UN PO' DI PERSONE CHE HANNO GIA' FATTO IL SALTO, TOM. E MOLTI ME LI HAI MANDATI TU DI PERSONA. TE LI RICORDERAI, SCOMMETTO...

Lo spirito alzò una mano scarna ed una nebbia parve infiltrarsi nella stanza da sotto le finestre e dalla porta. Tutto scomparve, attorno a loro, e si trovarono su una specie di altura, nella notte, circondati solo di nebbia. Questa pareva agitarsi, muoversi, strane forme sembravano consolidarsi nelle spire di fumo denso, come se cercassero di trovare una forma stabile, ma si dissipavano dopo pochissimo. Volti spettrali, deformi, mani adunche, parti di corpi devastati e divorati. Lo spirito convocò una spira di nebbia, che pian piano, passando attraverso una trasformazione successiva, parve prendere finalmente una forma stabile, pur se trasparente. Il mago rabbrividì e perse il fiato. Stava fissando se stesso, identico. Lo stesso volto, gli stessi lineamenti. Il viso spettrale parve colorarsi, e solo allora apparve la differenza. Gli occhi, che il mago aveva blu, erano castani.

P-padre...” mormorò il mago. “Tu sei mio... padre.”

Il fantasma annuì, senza ancora profferir parola.

Io ti... ti...”

Mi hai ucciso, sì. Sono stato il primo, ricordi?” Una specie di sorriso si dipinse sul volto ectoplasmatico. “Scommetto che gli altri non ti sono piaciuti altrettanto, vero?”

Tom ansimava, incapace di rispondere. Era vero. Uccidendo gli altri non aveva mai più riprovato l'ondata di emozione che gli aveva scatenato uccidere suo padre. Era stato esaltante, spaventoso e bellissimo. Una sensazione di potere, paura, rabbia, liberazione... qualcosa che non aveva mai più ritrovato negli omicidi successivi. Erano stati emozionanti, ma nessuno come il primo.

Lo spirito lo fissò a lungo, sembrava quasi studiarlo.

Hai gli occhi di tua madre... non era cattiva, sai? Non l'ho mai amata, e ne ho avuto orrore quando ho scoperto cosa mi aveva fatto. Ma non era cattiva. Era solo infelice. Avrei dovuto venirti a cercare, quando sei nato... ma sarebbe stato uno scandalo troppo grande. Mi spiace...” disse, prima di cominciare a dissolversi. Le ultime parole parvero solo sussurrate, ma si incisero nella mente del mago, indelebilmente.

AVANTI, VENITE... TOCCA A VOI, ORA...

Dalla nebbia emersero altri volti, altre persone. Pian piano, in fila, Tom rivide tutti coloro che aveva ucciso, arrivando ai genitori di Harry Potter ed a quel ragazzo, Cedric Diggory. Lo guardarono, con commiserazione, senza dire nulla. Ed infine emerse anche Severus Piton. Gli altri lo guardavano, silenziosamente. Solo Piton infine fece un passo in avanti, arrivando di fronte al suo ex Signore.

Ne è valsa la pena. Ora che vi vedo, so che è valsa la pena morire per sconfiggervi, Mio Sig...” si interruppe, ed uno dei rari sorrisi del Maestro di Pozioni si dipinse sul volto dell'ectoplasma. “Tom. Certe abitudini non muoiono, a quanto pare.”

Severus...” Mormorò il mago, allungando una mano verso il professore.

Non ditemi che siete dispiaciuto, Tom. Non vi crederei. Avete fatto quello che pensavate giusto, ed avete sancito il vostro destino. Ne è valsa la pena, credete. La vostra sconfitta, la fine della vostra tirannia, sono stati un premio, per una vita come la mia. La vostra morte è stata la mia vittoria.”

Il mago fantasma fece un passo indietro, e sparì, portandosi via tutti gli altri spiriti.

Tom si strinse le braccia al petto, a malapena coperto dalla tshirt che usava per dormire, rabbrividendo. Aveva indosso quella ed un paio di pantaloni da pigiama, e gli pareva di gelare, letteralmente, eppure non vedeva l'alito rapprendersi nell'aria. Non era vero freddo quello che sentiva, era chiaro. Sentiva una morsa di ghiaccio nel cuore, come se una mano fredda stesse stringendo qualcosa di molto intimo e privato dentro di lui, una parte che non era nemmeno del tutto cosciente di avere. I rimorsi per il suo passato lo strozzarono, agghiacciandolo, tutte quelle morti, quelle facce, il sorriso che avevano tutti mentre Piton parlava... come se tutti avessero trovato nella sua sconfitta la pace che cercavano, la vendetta.

Il mago si passò una mano ghiacciata sul volto, poi si girò timidamente a guardare il teschio luccicante di Jack.

NON ABBIAMO ANCORA FINITO, SAI?


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Capitolo 24
*** Jack O'Lantern Fine ***


“Perché? Perché devo vedere queste persone? Che cosa mi vuoi dire, che sono stato un assassino? Credi che non me lo ricordi?”

NO. VOGLIO CHE TU VEDA ALTRO IN QUESTE MORTI, TOM. MI HANNO MANDATO AD INSEGNARTI ALTRO CHE IL RIMORSO. QUELLO MI PARE CHE TU LO STIA IMPARANDO PER CONTO TUO, NON È VERO?

Lo spirito si girò, voltandogli le spalle. Gli fece un cenno con la mano, per invitarlo a seguirlo, ma Tom non avrebbe potuto disobbedirgli. Si incamminarono lungo la discesa, e parve che la nebbia si dissipasse. Ora di fronte a loro si ergevano le rovine di una grande villa signorile. Non fu difficile per il mago riconoscerla. Era quella da cui era fuggito, quando era tornato in vita. Ben sette spiriti si alzarono da quelle rovine, avvicinandosi alla coppia. Ma una sola osò avvicinarsi, uno spirito femminile.

“Anya.” mormorò Tom.

“Mio Signore...” la voce roca della donna aveva ancora un tono sensuale, come Tom lo ricordava. “Non me lo aspettavo, sapete? Non avrei mai pensato che sareste fuggito, che poteste desiderare una vita diversa... che delusione. Non vi avremmo riportato in vita, se avessimo pensato che potevate tornare diverso... rabbonito! Ma io dico che sotto sotto... siete stato solo un pavido. Siete fuggito da noi per fuggire a voi stesso. Avete paura di ammettere che siete ancora lo stesso. Che non siete cambiato, che vi è piaciuto ucciderci. Abbiamo riportato in vita la parte peggiore.. quella pavida, umana!”

Rise. Cominciò a ridere, irrefrenabilmente, di fronte a Tom che sentiva le lacrime scorrergli sul viso. La sola cosa che lo aveva tenuto aggrappato alla vita, fino ad ora, era che la sua vita avesse un senso diverso. Che quelle morti iniziali potessero non significare un altro fallimento. Sapeva che erano mangiamorte, che se li avesse guidati sarebbe ricominciato tutto. Aveva voluto credere che ucciderli e fuggire fosse stato il prezzo da pagare per un nuovo inizio, ma forse non era vero... forse era solo un'altra sconfitta, la prova che non era cambiato, che non poteva cambiare.

“Basta!” gridò, alzando una mano ed attraversando il volto ectoplasmatico della donna, come se potesse schiaffeggiarla. L'attraversò, e la donna non smise di ridere. Anzi, rise più forte, sparendo tra le rovine, seguita dalle ombre silenziose degli altri sei.

“Basta...” mormorò il mago, il viso solcato dalle lacrime, rivolgendosi verso lo scheletro ammantato, il teschio ghignante che pareva guardarlo ancora più beffardo. “Ti prego, riportami indietro..” tremava, non si era mai sentito così impotente. Si sentiva svuotato, come se la sua magia fosse scomparsa totalmente.

TOM... ABBIAMO ANCORA COSì TANTO DA VEDERE! CORAGGIO.

“Ti prego... non posso vedere altro.” Prese fiato. “E poi ora... non ho più ucciso nessuno. Sono...”

Stava per dire di essere una brava persona, ma non era vero, lo sapeva. La cosa che più lo spaventava era la consapevolezza di conservare ancora dentro di sé un nucleo intatto di odio verso il mondo, di fastidio ed insofferenza verso l'umanità intera che spesso sfociava in malumori devastanti. Non odiava più solo i babbani, il suo fastidio si era traghettato intatto verso tutto il resto dell'umanità, maghi e non maghi. Lo teneva a bada, ma sapeva che era lì, bruciante, tutte le volte che si trovava in mezzo alla folla, ogni volta che toccava con mano i pregiudizi, l'ignoranza, la superficialità, l'indifferenza. Solo che stavolta non la vedeva solo nei babbani ma anche nei maghi. Ed era sempre più restio a mescolarsi tra la gente. Ora che non riusciva a dimenticare Reyes, che non riusciva più ad innamorarsi, si sentiva sempre più isolato dal mondo, lontano, pieno di rabbia e di dolore. Ed aveva paura di sprofondare di nuovo nell'odio, nella rabbia che aveva coltivato prima della sua sconfitta, fino a ricominciare ad uccidere come un tempo.

DOBBIAMO CONTINUARE, TOM. HAI VISTO IL PASSATO, ORA VEDRAI IL TUO PRESENTE.

Attorno a loro si materializzò un cimitero. Lo riconobbe, era celeberrimo. Pere Lachaise, a Parigi. Ed una tomba che aveva visto solo nelle foto dei giornali, il giorno del funerale. La tomba che conteneva la salma della sua ex moglie. La Diva.

La donna emerse dalla fredda pietra, algida e bellissima, ancora più di quanto fosse in vita. Solo l'espressione era dura, feroce, più di quanto l'avesse mai vista. L'ombra alzò il viso ed una mano, indicandolo con l'indice, teatralmente. Nella morte, quanto lo era stata in vita.

“Tu!” Esclamò. “Mi hai ingannata... non mi hai mai amata veramente. Non eri capace di amare! Io, io sì ti ho amato! Quanto la mia vita, quanto la mia stessa anima! Ma tu! Non tu... freddo, incapace di amare, bugiardo!”

Il mago scuoteva la testa. Cercò di rispondere, aprendo e chiudendo la bocca. Dentro di sé sapeva che non era vero, che ne era stato innamorato... forse non l'aveva amata altrettanto, forse lei lo aveva amato di più, ma non era stato totalmente freddo. Ma non riusciva ad esprimerlo, così come non ne era stato capace quando era in vita, quando stavano insieme. Quello, tra le molte cose, aveva ucciso il loro matrimonio. I suoi silenzi, le sue amarezze. Quello aveva ucciso tutti i suoi amori, anche quando aveva imparato ad esprimerli, il buio che si portava dentro annichiliva tutti i suoi rapporti. Non sarebbe mai stato capace di amare davvero, non avrebbe mai potuto redimersi. Tutte quelle morti non potevano che dirgli quello. Era condannato, era un mostro destinato alla solitudine, se solo riusciva a evitare di tornare ad essere un assassino come prima.

Cadde sulle ginocchia, cominciando a piangere calde lacrime, singhiozzando, quasi gridando di dolore. Non vedeva speranze, non vedeva futuro. Tutto quello che aveva fatto era inutile, poteva solo far male a se ed agli altri. Forse la sola cosa sensata sarebbe stata che Jack lo portasse via, subito. Immediatamente.

Forse era per quello che era arrivato? Era quella la ragione per cui non esistevano testimonianze sul funzionamento della maledizione di Halloween? Perché erano tutti morti. Non si sopravviveva alla visita di Jack. Prese fiato, posando le mani sulle cosce. Alzò il viso tormentato verso lo spirito.

“Sei venuto a prendermi? Sei qui a portarmi via, non è vero?”

Per un attimo il pensiero gli parve buffo. Condannato a morte non per i suoi veri peccati, ma per non aver saputo trovare una lavatrice d'antiquariato ad una vecchia rincitrullita. Sulla maschera di Jack la luce cambiò tonalità, per un attimo Tom pensò sorridesse.

NO TOM. NON SONO QUI PER PORTARTI VIA. NON ANCORA, ALMENO.

Il mago abbassò la testa... in parte sollevato, in parte affranto.

“Cosa vuoi ancora da me? Perché mi stai mostrando tutto questo?”
LO CAPIRAI, TOM. DOPO QUESTO.

Lo spazio attorno a loro cambiò ancora. Era sempre un cimitero, ma era diverso, questa volta. Non sapeva dove potevano essere, ma le tombe erano di più attorno a loro. Sembrava un cimitero militare, lapidi ordinate in mezzo all'erba, a perdita d'occhio. Alcune erano semplici croci, altre avevano una foto e qualche scritta. Lo spirito lo precedette, camminando tra le lapidi. Ogni tanto si fermava, indicandogliele. Tom si alzò a fatica e cominciò a leggere le lapidi. I nomi che lesse lo lasciarono agghiacciato.

Michael Jim Raven. Helena Esmen. Raiden des Chateaubriandt. Lily Addams, Derek Gutierrez, Richard Murray, Cletus Crowley Riddle. Tanti altri. Tanti nomi, tante parole in ricordo, tanti quanti erano gli affetti più recenti del mago, da quando era tornato. Tom rabbrividì, leggendo i nomi, senza fiato. Tutte sue vittime? Alla fine avrebbe ucciso anche loro? Avrebbero avuto anche loro qualcosa da rinfacciargli? Lesse le lapidi, su cui c'erano scritte. Tante memorie, tante parole affettuose.

Mentre camminava tra le lapidi, vide una figura camminare tra esse. Una figura familiare, femminile, seguita da un altro paio, poco dietro. Tre figure ammantate, vestite di nero. Si avvicinarono, sentirono le due più arretrate parlare tra loro, mentre la prima camminava decisa, portando fiori tra le braccia.

“Possibile che ogni anno dobbiamo seguirla in questo calvario? Quando la smetterà di rimpiangerli?” disse una familiare voce femminile.

“È il suo modo di restare umana... è la sua maniera di mantenere un ricordo. Bisogna comprenderla.” disse l'altra, maschile.

“Sì, ma è una rottura! Tutta la corte le ride dietro, per questa debolezza!”

“Non le ridono dietro... la rispettano per questo. Anzi, qualcuno l'invidia.”
“Tu, forse? Il grande Jason rimpiange la propria umanità?”
“No, Helena... compiango chi l'ha persa tanto da non comprenderla.”

Il mago li riconobbe. Helena Kemp e Jason Kovacs, i consiglieri della regina dei vampiri. Allora la figura che camminava poteva esser solo lei. La inseguì, fino a raggiungerla. Reyes Bloodsworth camminava spedita tra le tombe, fermandosi a posare i fiori ed a mormorare qualcosa a ciascuno. Si fermò sulla tomba di Fenrir Greyback, mormorando qualcosa mentre accarezzava la foto. Appariva molto più vecchio di quanto il mago lo ricordasse, e solo allora si rese conto che tutte le foto sulle lapidi ritraevano dei vecchi. La seguì, mentre arrivava all'ultima. La vide sedersi, posare un mazzo di rose nere, carezzare una foto che non riconosceva e sorridere.

“Tuo nipote è diventato padre, sai?” diceva. “Ad Hogwarts gli hanno fatto festa, quando lo ha detto. Tutti i suoi allievi gli hanno fatto i complimenti. Una coppia di gemelli. Hanno tutti i tuoi occhi, Tom. Blu come il mare.”

Il mago si sedette, invisibile, accanto alla vampira, commosso nel vederle luccicare delle lacrime negli occhi.

“Ormai non puoi vederli, ma io si. Vedrò i tuoi bis- nipoti crescere e diventare grandi maghi, come te. Onorati, amati. Sono brave persone, sai? Hai lasciato dietro di te tanta luce, anche se credevi di non esserne capace. Spero che tu e tua moglie, ovunque siate, possiate vederli, come li vedo io. Vorrei che foste ancora qui, vorrei che foste ancora qui con me, tutti quanti...”

Il mago guardò le lacrime scorrere sul viso della vampira, straziato. Allungò una mano per asciugargliele, ma il suo tocco era evanescente, e non ottenne alcun effetto. Guardò la foto sulla lapide, riconoscendosi, infine. Era lui, il volto attraversato da rughe. La scritta era semplice, elementare.

Tom Crowley Riddle, amato marito, padre affettuoso, amico sincero.


Tom si svegliò di soprassalto. Sudato, ansimante, si portò una mano al petto. Era stato solo un sogno? Nessuno meglio di lui sapeva che anche i sogni potevano essere reali. Si guardò attorno e tutto era uguale come sempre, nella sua stanza. Nulla era cambiato. Tranne quella zucca intagliata, sul comodino. Non era una zucca vera, era fatta di marzapane. Un biglietto era appoggiato di fronte ad essa, e nella calligrafia un po' infantile di Cletus era scritto:

“Felice Halloween, Tom! La colazione ti aspetta in cucina, io sono a fare la spesa, ma torno prima di pranzo. C.”

Il mago si alzò, prese in mano il dolce e lo osservò, incuriosito. Il volto sogghignante era identico allo spirito del suo sogno. Non avrebbe saputo dire se era stato solo un sogno oppure no, ma non era il tipo da sottovalutare una maledizione fatta da una vecchia fattucchiera. Tornò in negozio, cercando tra le anticaglie una vecchia lavatrice dell'ottocento e poi fece recapitare dal gufo una foto della stessa alla vecchietta, con un biglietto.

“Era forse questa che cercava?” vi aveva scritto.

Non ottenne risposta, ma due giorni dopo la donna tornò in negozio, felice.

“Finalmente avete capito quello che cercavo, eh?” chiese, sorridendo.

“Già. Pare di si, madama.” Rispose Tom.

“Allora è servito incontrare Jack, vero?” chiese ammiccando.

Il mago rimase a bocca aperta.

“Bravo ragazzo... ed ora almeno ha un'idea della direzione in cui sta camminando, vero?”

“S-si.... credo di aver capito.”

“Bene. Il mio ragazzo fa sempre un buon lavoro, quando lo mando in giro.”

“Il mio ragazzo?”

“Il mio cagnolino fedele... il più bravo di tutti.”

La vecchia fece sparire la lavatrice con un colpo di bacchetta. Si inchinò al mago, e sorridendo gli diede una pacca su un braccio.

“Ci rivedremo, Tom... quando sarai pronto per incontrare Ecate, ci rivedremo.”

Sparì in uno sbuffo di fumo, lasciando il mago basito a guardare il vuoto.



//I nomi che avete letto sono amici del gdr a cui partecipo... ed in questa storia ho voluto omaggiarli tutti, anche la storia dell'ex moglie arriva dal gdr e non è narrata qui. Felice Halloween!

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Capitolo 25
*** Spiriti nella neve ***


La neve è finalmente caduta sul faro, dandogli uno strano fascino, freddo e ancestrale. Il mago si fa un giro sugli scogli, strizzandosi addosso il lungo cappotto nero, prendendosi il vento gelato in viso, prima di rientrare nel tepore della casa. Sale fino alla lampada, andando a guardare il mare e le nubi gelide chiedendosi quanta neve porteranno, ancora, ed è da là che vede la nave passare. Un vascello fantasma, come ne passano parecchi attorno a Nantucket. Questa non è molto celebre, ma il mago la riconosce ugualmente. Era niente altro che una baleniera, affondata al largo dell'isola proprio la notte di Natale, circa duecento anni prima. E' stato il capitano fantasma che con lui condivide la gestione del faro a raccontargliene la storia, descrivendo le quaranta famiglie della costa che tornavano a radunarsi ogni anno alla chiesa dei balenieri sull'isola per celebrare la messa a suffragio delle loro anime. La baleniera era sulla via del ritorno dopo un viaggio che era durato quasi tre anni e mezzo, ma proprio di fronte al porto era giunto un uragano che aveva letteralmente strappato le vele e l'alberatura dalla nave, mentre le onde, come mani crudeli, avevano spezzato lo scafo trasportandolo sotto il mare. Tutto sotto gli occhi della gente dell'isola, che dal porto assisteva impotente alla tragedia. 
Da quando il capitano era morto, ne vedeva tornare ogni anno il fantasma, e l'equipaggio tornare a casa, ogni solstizio, per ricevere il ricordo delle loro famiglie, finché anche l'ultimo dei discendenti non era morto e non era rimasto più nessuno a ricordarli ed a pregare per loro. 
Toccato il mago ascolta nuovamente la storia dalle labbra evanescenti dell'amico e collega defunto, e decide alla fine di fare la sola cosa che può: torna nel suo studio, accende una candela per ciascuno dei morti e da solo, sull'isola, prega per la liberazione di quelle povere anime dalla dannazione dell'oblio. 
E senza quasi rendersene conto, finisce con lo sperare che qualcuno possa fare altrettanto per colui che fu Lord Voldemort, da qualche parte nel mondo. Che qualcuno che lo pensa morto, pensi a lui con uguale pur se immeritata compassione. 

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Capitolo 26
*** Fantasmi babbani ***


Ci sono tanti fantasmi su quest'isola. Molti semplicemente non li noto più, tanto sono chiusi nel loro incubo. Con altro ci ho fatto amicizia, al punto che ci salutiamo quando li incrocio, e qualcuno sono persino riuscito a farlo passare oltre, curiosamente.

Ma uno mi ha sempre lasciato perplesso. Un bambino biondo, con un corto cappotto azzurro, le scarpine di pelle bordeaux, che si aggirava tra Nantucket e Martha's Vineyard, Falmouth e New Bedford.... Mi capitava di vederlo, tutte le volte che pioveva, o che il cielo virava a tempestoso. La cosa terribile è che chiamava disperatamente il padre, con lunghe grida strazianti. Non sono mai riuscito a parlarci, spariva ogni volta che provavo ad avvicinarmi.

Ci ho messo un bel po' a riconoscerlo... e l'ho fatto quando l'ho visto portarsi la destra alla fronte, apparentemente per ripararsi dal sole. Ma è rimasto così impettito per un po', ed alla fine un'immagine identica è riemersa dalle nebbie della mia memoria. Non ho mai fatto caso alla storia ed alle vicende babbane, ma ovviamente la morte di JFK ha avuto ampio risalto anche tra i maghi, senza contare che ero di passaggio negli Usa a quel tempo, a reclutare mangiamorte. E quel bambino ha letteralmente commosso tutta una nazione: John John, lo chiamavano. Durante i funerali ufficiali del padre fece un passo avanti, lasciando la madre piangente alle sue spalle, e salutò il padre, minuscolo, impettito, silenzioso. Troppo piccolo per avere l'esatta percezione dell'avvenimento, istruito forse a non piangere, ma più probabilmente incapace di comprendere che cosa aveva perso, chi stava effettivamente salutando. John Kennedy Jr è sparito al largo di Martha's Vineyard, il 16 luglio 1999, con il piccolo aereo da turismo su cui stava viaggiando, in compagnia della moglie e della cognata. I resti dell'aereo non sono mai stati trovati, e l'America ha perso un altro Kennedy.

Ma è stato quando l'ho riconosciuto che sono riuscito anche a parlargli. L'ho chiamato, e mi ha guardato finalmente. Mi ha chiesto se avevo visto suo padre, e mentre gli rispondevo il suo aspetto è cambiato, diventando quella di un uomo adulto, identico al 39enne che era quando è morto. Era fradicio d'acqua e ferito alla testa, inizialmente, poi il suo aspetto è diventato “normale”. Era vestito di nero, con una giacca leggera, una polo ed un paio di jeans. E mi ha chiesto di nuovo di suo padre, perché era convinto che fosse lì ad aspettarlo. Diceva che sua moglie e sua cognata erano entrate nella luce, ma lui non poteva, perché non c'era suo padre, ad aspettarlo. E lui doveva assolutamente trovarlo. Gli dissi che non sapevo come aiutarlo, ma ero il solo che era riuscito a contattare, e cominciò a perseguitarmi. Appariva al faro, o in negozio, a tutte le ore, molestando i clienti magici, arrabbiandosi, parlando in continuazione. Bisogna dargliene atto, aveva ereditato le grandi capacità dialettiche del padre. Sarebbe stato un trascinatore di folle, se avesse potuto farlo.

Alla fine cedetti. Volevo riguadagnare la mia tranquillità, è vero, ma ero anche curioso di capire come andava a finire questa storia. Se davvero JFK era ancora in giro per l'America, sotto forma di fantasma. John John diceva che voleva trovarlo, portarlo con se nella luce. Non sarebbe mai passato senza di lui, ma non riusciva a trovarlo da nessuna parte.

Con Richard, quando gli raccontai la storia, provammo a fare la cosa più semplice... un'evocazione, ma non si fece vedere nessuno di interessante. Conoscemmo un sacco di vecchi marinai sperduti, ma non l'ex presidente. Lasciai allora il negozio nelle mani del mio socio e il faro in quelle di Cletus e mi decisi a fare un giro nei due posti più ovvi, la Casa Bianca e Dallas. A Washington incontrai a dire il vero Abramo Lincoln, sorvegliare con sguardo sereno la città, sorridente, maestoso. Ci intrattenemmo a chiacchierare, e ne ammirai le incredibili doti di narratore e conversatore che lo avevano reso tanto amato e popolare in vita, ma non seppe dirmi nulla del suo successore.

A Dallas ebbi la strana fortuna di capitarci a novembre, cercando di contattare il presidente e attendendo la data fatidica in Delaney Plaza ebbi modo di rivedere una sorta di registrazione spiritica dell'accaduto. Cosa che mi permise chiaramente di comprendere da chi e da dove erano arrivati i colpi che avevano ucciso Kennedy e ferito il governatore Connally. Sì. So la verità. Ma no, non ho intenzione di dirvi se è stato davvero Lee Harvey Oswald o meno.

Ma del presidente nessuna traccia. Feci ricerche con un paio di accurati rivelatori ectoplasmatici, arrivati freschi freschi dal quartiere magico di Washington, ma nulla. Non era nemmeno là.

Mi diressi allora alla casa paterna di Kennedy, visto che era in Massachussetts, ma nemmeno là trovai sue tracce. Allora andai al cimitero, pur sapendo che praticamente mai gli spiriti frequentano i cimiteri, preferendo i luoghi in cui avevano vissuto. E fu sulla tomba, guardando la lapide che mi venne l'idea.

Tornai al faro... Dalla costa est, dall'altra parte del faro, si vede Martha's Vineyard, dove la famiglia Kennedy passava tutte le estati. A Hyannis Port, sulla costa, aveva una casa Ted Kennedy. Ed un'altra casa l'avevano a Cape Cod. Tutto nei dintorni. Non poteva essere altrove, era da quelle parti.

Chiamai il fantasma di John John, che mi aveva accompagnato nella lunga ricerca. Ed insieme andammo in una piccola spiaggia, poco lontano dalla casa dei Kennedy, dove lui ed il padre ogni tanto andavano a nuotare. Là, su una roccia, finalmente vidi una vaga ombra chiara. Sedeva eretto, sbiadito al punto da essere quasi invisibile persino a me. Fissava il mare, immobile. Era vestito come il giorno della sua morte, la testa squarciata dall'orribile ferita che lo aveva ucciso. Non mi vedeva, non mi sentiva, e non sentiva il figlio, tornato bambino, che lo chiamava.

Le provai tutte, e detto da me non è poco. Ma il fantasma sembrava poco più di una foto ectoplasmatica, Alla fine compresi. Non era lui, non era lì. C'era solo un ricordo, mantenuto da un altro spirito, che scelse allora per manifestarsi. Alto, anziano, con gli occhiali ed un vago sorriso in volto. Si manifestò lentamente, prima solo come una nebbia, poi divenne sempre più materiale. Mi salutò con un cenno, e finalmente rivolse lo sguardo verso il nipote, che lo fissava immobile, troppo sconvolto per poter parlare.

“Nonno... “ mormorò infine il rampollo perduto della famiglia.

“Ti ho atteso tanto a lungo, ragazzo mio... avrei voluto che ci fosse anche tuo padre, ma lui è già andato oltre. È venuta tua madre a prenderlo. Ma qualcuno doveva tornare indietro per te.”


Non ebbi bisogno di far altro. Joseph P. Kennedy indicò qualcosa, oltre la roccia dove l'immagine del presidente era sparito, e lentamente svanirono anche loro.


Per un curioso caso, circa tre settimane dopo, tra le cose acquistate ad un'asta per antiquari e rigattieri a Newport, tra tutto il ciarpame babbano che comprai per riuscire a mettere le mani su un baule magico antico, trovai anche una cosa appartenuta ai Kennedy. Un paio di bottiglie del whiskey che aveva reso ricca la famiglia all'epoca del proibizionismo. Aveva un paio di segni di riconoscimento poco noti sull'etichetta, ma che avevo visto addosso al vecchio Joe, sotto forma di anello, quando era venuto a prendere il nipote. Sono sicuro: è il suo modo di ringraziare per aver portato a casa il nipote...



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