Stagioni –Make a baby-

di elyxyz
(/viewuser.php?uid=108)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I – La cena: contratto d’accoppiamento. ***
Capitolo 2: *** Capitolo II – The First Impact. ***
Capitolo 3: *** Capitolo III – Time After Time. ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV – Epilogo. ***



Capitolo 1
*** Capitolo I – La cena: contratto d’accoppiamento. ***


Sì, lo v2

Qualche piccola, doverosa premessa: quando ho pubblicato Sì, lo voglio! non avrei mai pensato di ottenere così tanti consensi… mentre la scrivevo, avevo un’idea sfocata di come la vicenda sarebbe potuta proseguire, ma.
E’ solo grazie al vostro caloroso incoraggiamento, se ho avuto la spinta a continuare la storia. Ed è per questo che la dedico a voi.
Tuttavia, è stato più difficile di quel che credevo: divertente ma complicato. La Cuddy si è dimostrata particolarmente reticente, e House – come nella sua cocciuta natura - non è stato assolutamente collaborativo, anzi! Ha fatto tutto di testa sua… Non so se questa fic sarà altrettanto IC, come la precedente. Io, dal canto mio, mi ritengo discretamente soddisfatta… ma, poi, giudicare spetta a voi.

 

Un’ultima cosa: questa non è una song-fic, benché sia nata ascoltando ‘Stagioni’ dei Nomadi, una delle poche canzoni che riesce sempre a far vibrare le corde della mia interiorità in un modo assurdamente struggente e profondo. Ritengo ‘Stagioni’, e la toccante interpretazione di Augusto, il filo rosso che sottende tutti i capitoli di questa storia. Se potete, ascoltatela. Non cercate di capirla, sentitela col cuore.

 

 

 

Stagioni

–Make a baby-

 

By elyxyz

 

 

 

Capitolo I – La cena : contratto d’accoppiamento.

 

 

 

 

Ecco che il tempo cambia già,
comincia qui un nuovo ciclo ormai,
e sento che la mia stagione è qui,
fa freddo ma c'è il fuoco accanto a te.

(Nomadi, Stagioni)

 

 

 

 

Erano le 20.03, quando il campanello suonò a casa della dottoressa Cuddy.

Un trillo solo. Né lungo né troppo corto.

Lei pregò irrazionalmente che fosse la signora Spencer, la sua smemorata vicina ottantenne che finiva sempre il latte e veniva puntualmente a chiederlo a lei.

Ma sapeva che non avrebbe potuto mentirsi ancora a lungo, quando il citofono riprese a trillare, stavolta con fastidiosa insistenza.

Lisa Cuddy fece un ampio, lento respiro, per incanalare aria e coraggio, e poi si diresse a passo marziale verso l’entrata e l’aprì.

 

Gregory House sostava lì davanti, fischiettando allegramente un motivetto di dubbio gusto, e la fissò spudoratamente da capo a piedi, soffermandosi a lungo sui seni fasciati: indossava ancora quel tailleur castigato da educanda, che le aveva scorto di sfuggita in mensa, qualche ora addietro.

“Abbiamo un concetto lievemente diverso di ‘baby-doll color carta da zucchero’.” Esordì entrando, senza aspettare di essere invitato.

 

“C’è stata un’emergenza, oggi pomeriggio, e sono appena rincasa.” Si giustificò d’istinto, pentendosene poi; quindi lo ammonì a sua volta “Anche il tuo cercapersone dovrebbe aver suonato parecchio!”

 

House simulò un’esemplare caduta dalle nuvole.

“Ah, era quello?”

 

Lisa avrebbe sinceramente voluto torcergli il collo, ma lui la prevenne, disorientandola: “Toh, un pensierino.” E le appioppò sbrigativo una bottiglia e un anonimo pacchetto bianco.

 

Lei fissò alternativamente il pregiato vino rosso e il sacchetto, che teneva tra le mani, con genuino stupore.

Soffiò un “Grazie” di circostanza, a cui lui replicò “Mph… Dovere.

 

La dottoressa posò la bottiglia sul tavolino del salotto, senza impedirsi di provare curiosità verso il dono. Svolse quindi la carta, estraendone il contenuto.

 

“Ma sono…!” esordì, allibita.

 

“Due confezioni per cinque tentativi: 10 test di gravidanza.” Concluse lui, con fare pratico.

 

La Cuddy sollevò uno sguardo inquisitorio sul collega: “Non mi dire che li hai rubati dal magazzino dell’ospedale!” tuonò, scandalizzata.

 

House stiracchiò le labbra in un ghigno poco raccomandabile. “Ma per chi mi hai preso?!” si difese, impostando un tono medio-ironico simil-oltraggiato. “Potrei mostrarti lo scontrino del supermercato, se tu me lo chiedessi...” ribatté, fiero.

 

“E se io te lo chiedessi?” non demorse, insinuante.

 

“Ti direi che saresti maleducata, che i regali sono regali e che a caval donato non si guarda in bocca!” dichiarò, polemico.

 

Lei fece una smorfia non del tutto convinta, ma si rese conto da sé che forse aveva oltrepassato il limite. E che quella serata stava partendo col piede sbagliato.

 

Posò anche le due scatole e gli rivolse una domanda a bruciapelo.

 

“Come facevi a sapere che stasera sarebbe andata bene?”

 

Greg si strinse nelle spalle, come se fosse un’ovvietà.

“Perché altrimenti avresti rifiutato.”

 

“Ma io ho…”

 

Mia cara,” l’interruppe “tu hai tentennato, non rinunciato. Il che è diverso…”

 

“Io, tutta questa dicotomia dialettica, non ce la vedo…” borbottò, poco convinta.

 

“Allora sarà stato il mio istinto di maschio in caccia a darmi l’imbeccata!” e la guardò, allusivo.

 

“Mi stai squadrando come se fossi un feromone ambulante…” constatò, a disagio.

 

“Perché… non lo sei?”

 

“Sì, ma…”

 

“Vedi che ho ragione?! Io ho sssempre ragione!” proclamò, con presunzione.

 

“Cosa ordino per cena, Mister Modestino?” tagliò corto lei, sfilandosi la giaccia del completo.

 

Per una volta fu lui a non seguire il suo ragionamento, o forse era troppo intento ad analizzare la generosa scollatura della camicetta, l’unico vezzo di lei che gli era rimasto - fino a quel momento - precluso.

 

“Eh?!” sbottò, togliendosi a sua volta il giaccone in pelle da centauro. Indossava una camicia celeste che richiamava in modo dannatamente sexy l’azzurro delle sue iridi.

 

Fu il turno della donna di mangiarselo con gli occhi, ma lei si giustificava con gli ormoni… e la carica erotica di Gregory House sarebbe stata evidente anche ad un cieco!

…quel triangolino di pelle, poi, che spuntava dallo scollo sbottonato…

Lisa sbatté le palpebre come se avesse preso una scossa: House non stava portando una di quelle discutibili magliette da adolescente heavy metal, che lei tanto biasimava… Oh, Dio! Ma allora faceva sul serio!

 

“Puoi ripetere?” chiese lui, riportandola coi piedi per terra.

 

“Ah, oh!” cercò di riordinare le idee. “Non ho fatto in tempo a fare la spesa. Ordino cinese, indiano, o una pizza?”

 

“Pizza, con quel meraviglioso vino?! Ho speso un occhio della testa per quella bottiglia!” esclamò, contrariato “…o pensi che abbia convertito le sacche di plasma?” disse malignamente, per farla sentire in colpa.

 

“Ti porto al ristorante.” Propose, come ultima spiaggia.

 

“Mmm… no. Andrebbe troppo per le lunghe.” Rifiutò.

 

“Allora mi arrangio con quello che ho in casa.”

 

Greg fece una faccia comicamente sconvolta: “Perché tu sai cucinare?!”

 

“Non vivo di cibi preconfezionati e schifezze, come te!” si difese, varcando la soglia della cucina. “E poi sono di origine italiana, e tutte le italiane sono maestre d’arte culinaria…”

 

House parve sorpreso da quest’ultima affermazione.

“Ti conosco da tanti anni, ma non lo sapevo.” Ammise.

 

“I miei nonni materni sono emigrati in America, ma ho ancora un sacco di cugini in Italia. Ogni tanto vado a trovarli…” aprì la dispensa. “Pesto alla genovese, sugo alla puttanesca, o aglio-olio-e-peperoncino?”

 

“Il peperoncino è afrodisiaco!” annotò Greg, ammiccando.

 

“E l’aglio è un deterrente per la mia vita sociale.” Lo freddò lei, afferrando un barattolo di ragù dall’aspetto casalingo. “Spaghetti, tagliatelle o maccheroni?”

 

“Ti lascio carta bianca, avvelenami come meglio preferisci.” Rispose lui, guardandosi intorno.

Era già stato a casa di Lisa altre volte, ma sempre per questioni di lavoro e quindi tutto gli dava un’impressione nuova. “A proposito di carta bianca… dov’è?”

 

“Dov’è, cosa?” ripeté la donna, posando la pentola sul fuoco.

 

“Il contratto d’accoppiamento! Ti ho lasciato ben 24 ore di generosità, perché tu potessi contattare il tuo avvocato,  – non credo tu sia stata tanto sciocca da rivolgerti ai legali dell’ospedale – per la stipula di un’intesa pre-bebé… sai, tutte quelle clausole secondo cui io non accamperò pretese né ora né in futuro, che non dovrò riconoscerlo, che non mi chiederai gli alimenti, e deciderai da sola il nome, che scuola fargli frequentare, e tutte queste menate…”

 

Lei arrossì, imbarazzata.

Doveva riconoscere che ci aveva pensato, eccome.

Per tutelarsi, perché non si sa mai…

Ma alla fine ci aveva rinunciato. Le sembrava un colpo troppo meschino: ‘prima di andare a letto, firma qui.’

 

Forse stava sbagliando; ma, in cuor suo, sapeva che poteva fidarsi di Greg.

“Non c’è alcun accordo. Niente avvocato.”

 

Il diagnosta ne parve piacevolmente sorpreso.

 

 

****

 

 

“Mmm! Sai che non è mica male?!” riconobbe, aggiungendosi un’altra abbondante dose di cacio sui maccheroni.

 

Lei sorrise, compiaciuta. “Tradizione di famiglia…”

 

“E quindi… com’è...? Ti chiami ‘Lisa’ perché era il nome di tua nonna? E’ tipico di voi mangiaspaghetti…”

 

“Veramente, lo devo alla Monnalisa, la celebre opera di Leonardo. Mia madre ne era affascinata.”

 

“Ho sempre avuto il sospetto che aveste qualcosa in comune, voi due…” borbottò, sibillino.

 

“Chi? Io e Leonardo?” domandò lei, sollevando un sopracciglio dubbiosa.

 

“No, tu e il ragazzino che lo ha ispirato! Lo sai che diverse correnti di pensiero ritengono che, quel sorriso enigmatico, fosse in realtà quello di un maschio?, un suo amante, pare.”

 

Lei strabuzzò gli occhi, sottosopra. “Le ultime ricerche dicono che gli abiti raffigurati nel dipinto fossero quelli adoperati dalle puerpere del tempo!”

 

“Uh, beh… nel tuo caso, non cambia molto… Lo sai, vero, che anche un’adeguata terapia ormonale sostitutiva non basta? Io non faccio i miracoli… anche se una volta ho fatto a gara con Dio…”

 

“Ma non mi dire!”

 

“E ovviamente ho vinto io!” disse, orgoglioso. “E quindi avanzo ancora un favore da lui.”

 

“E lo useresti per me?” Chiese, bonariamente stupita.

 

“Potrei chiedergli di togliermi una costola o due… ma credo sia discretamente doloroso e poi tu mi sembri un caso abbastanza disperato.” Ne convenne, adeguandosi al suo tono scherzoso.

 

“Dovrei esserne onorata?!” replicò la donna, stando al gioco. “Ti va un caffè?” propose, iniziando a sparecchiare. “Accomodati in salotto, ma non sul cuscino giallo; io arrivo tra un minuto.”

 

Greg si sistemò distrattamente sul divano “E perché non il cuscino canarino?” chiese, alzando la voce per farsi sentire nella stanza accanto.

 

“Perché…”

 

“Ahi!”

 

“Ecco, perché!” concluse lei, affacciandosi sulla soglia.

 

“Quel mostro mi ha assalito!” esordì il medico, additando con malcelato astio un bellissimo persiano perlato.

 

La Cuddy nascose un sorriso. “Ti presento Saphyr, il maschio dominante della casa. Hai violato il suo territorio, e non gli piacciono gli estranei.”

 

“E a chi piacciono?!” Lo giustificò, senza però sospendere l’ostilità.

 

Lisa scomparve di nuovo, per apparire poco dopo, con un vassoio e due tazze fumanti.

 

Gregory e il gatto la attendevano sul divano, uno accanto all’altro, in uno striminzito armistizio.

“Ma è pazzesco!” esclamò, a dir poco stupita.

 

“Abbiamo fatto due chiacchiere, io e lui.”

 

“…e…?”

 

“E ha capito che io sono il capobranco, il maschio alfa…”

 

“Ti ha distrutto una mano.” Obiettò.

 

Lui fece spallucce. “E’ una sciocchezza, una piccola divergenza d’opinione su chi dovesse tenere il telecomando…”

 

Lei scoppiò in una spontanea, cristallina risata. La cena si stava svolgendo meglio di quel che credeva. Si accomodò tra il gatto e il collega, e gli offrì la tazzina che lui accettò di buon grado.

 

“Veniamo alle cose serie.” Fu il suo preambolo, sorbendo la nera bevanda.

 

E Lisa si pentì del pensiero formulato pochi istanti prima.

“Dimmi.” Esalò, di malavoglia. Sapeva che era una parte che non poteva saltare.

 

“Non credo di essere il primo a cui chiedi un aiuto.”

 

“Non in questi termini… comunque no, non sei il primo.” Ammise, mentre apriva il doloroso scrigno dei ricordi. “Ci ho provato con gli ultimi due compagni che ho avuto; poi, cinque inseminazioni: tre fallimenti, due aborti spontanei.”

 

“E perché non mi hai chiesto un consulto? Potrei trovare l’origine del tuo problema!” la rimproverò, come se avesse fatto un errore da dilettante.

 

“Perché non sei un esperto di poliabortività!” reagì lei, scaldandosi. “E tutti gli esami sono sempre dannatamente perfetti, non c’è una ragione fisiologica…” sussurrò, come se si addossasse il peso del fallimento.

 

“E un’adozione sarebbe fuori discussione…?”

 

Lisa lo fissò con tanto d’occhi, non s’aspettava certo una domanda così, da lui.

Scosse la testa, in segno di diniego. “Voglio provare ancora, prima di rassegnarmi.”

 

“E tu, donna, partorirai con dolore…” le intimò, con fare solenne, come se fosse stato un giudizio divino. “E’ quello che tutte sognano, no?!” la provocò, irritante.

 

“E’ quello che desidero io!” ribatté lei, mortalmente seria.

 

Rimasero per un po’ in silenzio, entrambi persi nei propri pensieri. Poi Greg esordì con un’altra affermazione curiosa: “Stasera cosa programmiamo? Un maschio o una femmina? Perché lo sai, vero, che gli spermatozoi Y sono più veloci, ma meno resistenti; e quelli X hanno più probabilità di rimanere vitali dopo l’ovulazione… vuoi un maschietto o una femminuccia?!” ridomandò, come se illustrasse gli optional di una nuova auto sportiva.

 

“Voglio un bambino, non mi importa cosa sarà!” ribadì, asciutta. “Berrei anche il latte di gallina, per averlo, e tu la fai così facile!”

 

“Il latte di gallina?” ripeté lui, impressionato.

 

“E’ solo un modo di dire!”

 

“Nh… l’avevo intuito.” Controbatté, schizzinoso.

 

“Guarda che non ti ho chiesto di accompagnarmi al Ballo Studentesco, perché sarò la Reginetta della Festa di Maggio! Prendi seriamente questa faccenda!”

 

“Ma io sono serio! A tal punto che, se vuoi un maschio, devi lasciarmi dieci minuti d’intimità con il tuo bagno, prima, per il cambio dell’olio!”

 

Lisa non reagì, preferendo concentrarsi su Saphyr, piuttosto che su quella sterile discussione.

 

“E tu, invece,” riprese Gregory “sai a cosa vai incontro? Sai a cosa rinuncerai, per i prossimi… uhm, 25 anni?!”

 

“Sì, che lo so! E sono pronta a fare sacrifici! Anche se non ho realizzato tutti i miei sogni nel cassetto…”

 

“Quali sogni?”

 

“Visitare Parigi, attraversare il Sahara, vedere il tramonto sulla spiaggia di Yokohama…”

 

“Io l’ho visto, e non è un granché.” Obiettò lui.

 

“Tu non hai il senso del romanticismo.” Lo contestò.

 

Lui fece un ghigno d’accettazione malriposta.

“Sono punti di vista. E poi?”

 

“Le bianche scogliere di Dover, i castelli in Scozia…”

 

“Ohi! Miss Fogg! Ci manca solo il giro del mondo in 80 giorni! Qualcosa di più normale?”

 

“Beh, mi sarebbe piaciuto, ma non mi sono mai lanciata con un paracadute e non ho mai guidato una moto.”

 

“All’ultima possiamo rimediare.” Concesse, magnanimo.

“E come, quando?!” s’agitò, colta alla sprovvista.

 

“Adesso, ovvio!” fu la risposta del medico, che si sollevò dal divano puntellandosi col bastone. “Vatti a mettere qualcosa di comodo, come pensi di inforcare la moto con quell’armatura di gonna?”

Stranamente lei non obiettò, come s’era aspettato Greg.

Sparì in camera da letto, per ritornare poco dopo, con un paio di pantaloni comodi, un golfino e un paio di scarpe adeguate ai piedi.

Allungò una mano sulla mensola d’entrata, e afferrò un fermaglio con cui si raccolse i riccioli in una morbida coda. “Sono pronta.”

 

Lui indossò nuovamente il suo giubbotto, e lei una giacca sportiva.

Spensero la luce della casa senza convenevoli, e si diressero nel vialetto a lato della casa.

House le lanciò il suo casco che lei prese al volo, quindi salì sull’Honda senza aspettarla.

 

“Ma non dovrei guidarla io?!” chiese la Cuddy, come se non le tornassero i conti.

 

“Vuoi che ci arrestino per guida pericolosa?!” fu la contestazione, colorata dall’ovvietà “Ti porto in periferia, dove farai meno danni…”

 

“E perché il casco a me?!”

 

“Faccio fatica anche solo a concepirla, un’idea così, figurarsi a realizzarla! Ma sarebbe alquanto difficile farti chiamare ‘mamma’, se sei in coma per una commozione cerebrale da incidente stradale.”

 

“Menagramo!”

 

Lui sorrise.

“Si dice ‘previdente’. Salta su.” E diede gas. Lei fece quanto richiesto. “E aggrappati forte, non ho intenzione di molestarti mentre sto guidando!”

 

 

****

 

 

“Wow, fantastico!” esclamò la dottoressa, sfilandosi il casco davanti a casa propria.

 

“Potrei vomitare l’anima…” piagnucolò invece il dottor House, inscenando un finto malessere.

 

Lei lo squadrò con sufficienza.

“Non ho guidato male!”

 

“Le mie budella hanno visto di peggio solo sulle montagne russe…” si lamentò, querulo.

 

“Esagerato! Vuoi una compressa di metoclopramide?”

 

“No. Lascia perdere.” Si frugò in tasca e ingoiò due pasticche di Vicodin. Le prime della serata. “Voglio che lo stomaco scenda dalla gola, e poi ripuntiamo l’attenzione sul nostro obiettivo primario.”

 

Ma qualcosa s’era inevitabilmente frantumato, con quel gesto. O forse erano state le sue parole.

Lei comunque non commentò. Si limitò ad annuire e a fargli strada verso l’interno della sua abitazione.

 

 

Continua…

 

 

Disclaimers: I personaggi e la canzone citati in questo racconto non sono miei; appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.

 

Note: Il metoclopramide è un principio attivo, che serve comunemente a combattere il senso di nausea e vomito.

 

La fic consta di 3 capitoli e l’epilogo… che sono già finiti, e in fase di limatura. Quindi non dovrete attendere molto! ^__=

 

Chi mi conosce sa quanto leggendaria sia la mia pignoleria. Mi sono documentata a dovere, mentre scrivevo i vari capitoli; tuttavia, mi sono divertita, qui e in seguito, a mescolare credenze popolari e consigli medici reali… gli addetti del settore sono pregati di accogliere bonariamente questa mia ‘licenza letteraria’.

 

Ritengo che il desiderio di maternità - e tutto ciò che ruota attorno al mondo della procreazione - sia un tema che va trattato con delicatezza, ma anche con realismo, senza scivolare nell’indecenza.

 

Il giorno in cui una mia amica perse il suo bimbo in un aborto spontaneo, il ginecologo di turno le disse: “Non tutte le ciambelle escono col buco.”

Lascio a voi immaginare la sua faccia.


Probabilmente sarà una precauzione eccessiva, ma mi auguro sinceramente che la mia storia, qui o più avanti, non sia motivo di sdegno.

Non è mia intenzione calpestare la dignità di nessuno.


Come sempre, sono graditi commenti, consigli e critiche. Chiunque desideri, può contattarmi al mio divano blue navy: elyxyz@alice.it

Grazie (_ _)

elyxyz

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo II – The First Impact. ***


Sì, lo voglio

Stagioni

 

–Make a baby-

 

 

By elyxyz

 

 

Capitolo II – The First Impact.

 

 

 

 

Di fuori no un suono non c'è più,
le stagioni stan dormendo intorno a noi,
scorre acqua nuova dentro agl'occhi tuoi,
come è strano essere amanti io e te
eravamo solo amici io e te.

(Nomadi, Stagioni)

 

 

Greg si era appoggiato allo stipite della porta, mentre lei era entrata e aveva tirato le tende con un movimento nervoso. Si diede della sciocca, aveva le mani che tremavano. Sospirando, si girò verso di lui.

“Senti… non potremmo…?”

 

“Spegnere la luce?!” ipotizzò, anticipando il suo disagio.

 

Lei annuì.

 

“Ma allora il mio esibizionismo va a farsi benedire!” protestò, polemico; tuttavia allungò l’indice a schiacciare l’interruttore.

 

La camera divenne d’un tratto buia e silenziosa. Solamente l’eco irregolare dei loro respiri faceva intendere che non fosse anche vuota.

Poi, il familiare fruscio della seta che scivolava via, il rumore di una zip aperta, il tonfo di una scarpa contro il legno del parquet, e il frinire parossistico delle cicale fuori, che cantavano la loro devozione alla notte.

 

La rete scricchiolò appena, sotto il peso di lei, che con infantile ansia si era nascosta tra le lenzuola.

Di lì a poco, non sarebbero servite. Non l’avrebbero protetta. Perché avrebbero dovuto…?

Non era quello che voleva?

 

Un colpo sordo la distolse dai suoi pensieri.

“Ouch! Ma porca…” Gregory espresse il suo disappunto con una serie di coloriti epiteti. “Chi diamine ha messo la sponda di un letto qui?!” e s’accovacciò di malagrazia sul materasso, massaggiandosi il ginocchio della gamba sana e mugugnando la sua contrarietà.

 

La Cuddy rise di cuore: “E’ una camera da letto, questa.” Puntualizzò, stranamente più serena.

Grazie a quel piccolo ‘incidente’ la tensione era sparita d’incanto.

 

“Guarda che mi sono fatto male, non c’è niente da ridere…” borbottò, risentito.

 

Lisa s’impose un po’ di finto contegno. “Vuoi che ti visiti? O devo chiamare il 911?”

 

“Gno. Mi basta un bacino, così passa la bua…” Piagnucolò, come un bambino viziato.

 

“Te lo puoi scordare.” Replicò, lapidaria.

 

“Dottoressa dal cuore di pietra.”

 

“Sì, e dall’alcova pericolosa.” Asserì. “Soddisfatto?”

 

“Dovresti avvisare, prima che gli uomini ci salgano sopra: potrebbero restare gambizzati.”

 

“E’ Selezione Naturale anche questa…” disse lei, da sembrare quasi seria.

 

“Pensi che dovremmo fare conversazione ancora per molto? Non ho programmato il videoregistratore e non vorrei perdermi L Word, stasera…” la solita grazia elefantina di Gregory House.

 

Il corpo di lei vibrò d’autentico sdegno, per il repentino cambio di registro subìto come una secchiata d’acqua fredda.

Per cinque secondi, la dottoressa Cuddy pensò di cacciarlo via. Una spinta ben assestata, e sarebbe uscito dal suo letto. Dalla sua casa. E poi non se ne sarebbe parlato mai più.

Cinque secondi lunghi una vita.

E una vita per pentirsene.

 

“Non voglio fare conversazione, voglio fare un figlio.” Sibilò, livida.

 

“Così mi piaci!” nella voce il sorriso strafottente, che aleggiava nell’oscurità.

 

“Non ti devo piacere… devi fare il tuo dovere.” Lo ammonì, severa.

 

“Ti facevo molto stile: ‘due coccole e una sigaretta, dopo’.”

 

“Salta i preliminari e il riassunto, e arriva al sodo, per la miseria! O è da così tanto tempo che non vai con una donna, da non ricordare nemmeno da che parte si comincia?!” un affondo ben piazzato al suo amor proprio.

 

“Le tue insinuazioni non mi tangono, dolcezza. E, per amor di cronaca, non sai cosa ti perdi…”

 

“Oh, sì. Come no?! Lo Stallone del Princeton Plainsboro Hospital!”

 

“Ho la mia fama, tra le infermiere…”

“Sì. Dicono che sei insopportabile.”

 

“…e…?”

 

“Un autentico cafone. Francamente, dubito che si farebbero una sveltina con te, in astanteria.”

 

“Tzé! Fanno le ritrose solo perché sei il capo.” Le fece notare, con aria saputa.

 

“Non credo sia solo per quello, Stallone…” lo contraddisse, senza darsi pena di nascondere una punta di malignità.

 

Greg, affianco a lei, sbuffò insofferente. “Basta convenevoli.”

 

Il suo fiato le sfiorò il collo, facendola rabbrividire.

“Ehi! Hai i piedi gelati!” si lamentò.

 

“Nh…”

 

“Io li odio, spostali… ahhh…”

 

“Shhh…”

 

“Non… ahhhhh…”

 

 

****

 

 

“E’ stato…”

 

“'Stupendamente meraviglioso' è un eufemismo che mi farò bastare.” Concluse Greg, cercando di riprendere fiato.

 

“Pensavo a qualcosa di un po’ più terreno, ma te lo concedo.” Accondiscese lei.

 

“Tu invece sei stata discreta, ma riuscirai a migliorare col tempo.”

 

“Sembrerei ingenua, se sperassi in un tuo ‘centro al primo colpo’?”

 

“Sai che esistono i dottori? Se parli con uno di loro, ti saprà dire le statistiche…” la beffeggiò, “però potremmo continuare per puro scopo filantropico…” propose, sorridendo tra sé.

 

“Ok. Ne riparleremo… senti, non voglio metterti fretta, ma te ne potresti andare? Ho da fare…”

 

Lui si volse a guardarla, sorpreso, anche se in realtà poteva solo indovinarne il profilo, proiettato nell’oscurità.

 

Lei arrossì ugualmente. E se ne vergognò, perché non avrebbe dovuto.

 

“A mezzanotte arriva il prossimo pretendente?” s’interessò, caustico.

 

La Cuddy rimase sinceramente stupita per quest’attacco inaspettato. Non tanto per le sue parole, - razionalmente, riconosceva che non avessero nulla d’offensivo – quanto più per il tono, vagamente recriminatorio, da amante ferito.

 

Ma si era certamente sbagliata. Sicuro.

Magari la stanchezza e l’agitazione le avevano fatto cogliere sfumature inesistenti…

 

“Hai visto la fila fuori dalla porta, per caso?” replicò, a sua volta risentita. Poi si acquietò. “Voglio solo riposare con calma…” e s’allungò oltre il bordo del letto, cercando a tentoni uno dei cuscini che erano caduti.

 

“Puoi accendere la luce, non mi dà fastidio.” Le fece notare Greg, divertito.

 

“Ma…” dà fastidio a me. Pensò lei, maledicendo quel cuscino che non si faceva trovare.

 

Un ‘click’ e l’abat-jour sul comodino alla sua sinistra s’accese, rischiarando timidamente la stanza.

 

Lisa borbottò un “Grazie” e raccattò il guanciale, che s’infilò sotto il bacino, cercando di evitare d’incrociare gli occhi dell’altro. Perché sapeva che – in quel momento - non avrebbe retto ad una sua provocazione, o ad un suo sguardo – uno qualsiasi - di quelli che valevano più di mille parole.

 

Troppo intenta ad ignorarlo, non s’era quasi accorta del movimento accanto a lei.

 

Gregory si alzò lentamente, incurante della propria nudità. Puntellandosi sulla gamba sana, si chinò a raccogliere i boxer dimenticati sul tappeto. Poi fu la volta dei jeans, che s’infilò sedendosi sulla sponda che per poco non gli aveva sfasciato il ginocchio. Illuminata, faceva meno paura, in effetti.

Si diede dell’idiota anche lui, per non aver calcolato bene le distanze.

E cercò la camicia che era finita chissà dove, imponendosi di non fissare Lisa, perché capiva – e forse, in parte, lo condivideva – quell’atavico senso di pudore e vergogna, che coglieva due persone estranee, che ripensavano a momenti di intimità condivisi, quando ormai erano irrimediabilmente finiti.

Ed era buffo, a ben pensarlo, perché l’aria sapeva ancora di sesso.

 

Era trascorsa appena una manciata di minuti dal loro ultimo amplesso, e già sembrava un’altra vita.

 

E la camicia era appallottolata a terra, vicino ad un reggiseno bianco di pizzo: un accostamento bizzarro che gli strappò un sorriso, per una curiosa ragione nota solo a lui.

 

La lasciò lì, accartocciata, rivolgendosi invece alla padrona del reggiseno, che tanto faticosamente si era sforzato di ignorare.

Lei rimaneva immobile, stesa sul letto sfatto, le palpebre serrate, un po’ troppo forte per sembrare - anche solo lontanamente - rilassata.

Pareva semplicemente in attesa di qualcosa di spiacevole, come quando sai che riceverai uno schiaffo e l’unica cosa che puoi fare è chiudere gli occhi e prepararti all’impatto.

 

Greg rimase fermo a contemplarla, uno strano rimescolio appena sotto al cardias.

Fu per quello che si decise ad agire. Afferrò con decisione un lembo del lenzuolo che le copriva le gambe, le prese le caviglie e fece ruotare il corpo di lei verso la parete su cui poggiava la testiera del letto.

 

“Ma che diavolo fai?!” s’allarmò aggrappandosi alla stoffa, spaventata dalla brusca manovra.

 

“Aiuto i miei salmoni a risalire la corrente.” Chiarì spiccio, posandole i piedi in verticale sul muro, di modo che la zona pelvica si sollevasse verso l’alto.

 

Lei si tranquillizzò, comprendendo la sua idea.

“Non serve a niente fare la contorsionista. L’ha detto anche il mio ginecologo.” Disse, la rassegnazione malcelata.

 

“Ci sono teorie controverse, al riguardo. E tentare non costa niente.” S’intestardì lui.

 

Lisa provò a contestarlo: “La Legge di Gravità non è determinante.”

 

“Stai tentando di annacquare la mia obiettività scientifica?” recriminò, fintamente oltraggiato.

 

Lei sorrise.

Del suo tono bonario. Della situazione assurda. Della posa scomoda.

“Non mi permetterei mai di plagiare il miglior diagnosta del mio staff!” si difese, allargando le braccia in segno di resa.

 

“Ecco. Brava! Così cominciamo a ragionare…

Altri 20 minuti, e potrai scendere dall’albero, Chita.” Disse, terminando di abbottonarsi la camicia.

 

“Non sono una scimmia!” replicò, scandalizzata.

 

Chita era uno scimpanzé,” la corresse “ma comunque hai ragione… le scimmie sono meno pelose di te!”

 

La donna arrossì di botto, ma non replicò, per non dargli soddisfazione.

House la fissò, aspettandosi una contestazione piccata, ma ottenne solo di incrociare gli occhi con quelli di lei, e un’espressione che prometteva una rappresaglia.

Stiracchiò le labbra in un sorriso stentato, quello che gli procurava la fossetta sexy al lato della bocca, e che usava per farsi perdonare ogni marachella... anche i guai peggiori.

Agguantò il suo fedele bastone e, puntandosi su di esso, raccolse il cuscino che era caduto dalla sua parte, s’avvicinò al letto e, con modi sbrigativi, la sollecitò ad alzare la testa per infilarglielo sotto.

 

Lisa, troppo sorpresa dall’inaspettata gentilezza, non protestò per quelle maniere un po’ rudi. Non s’accorse nemmeno della mano che s’era fermata un po’ più del dovuto tra i suoi riccioli, in quella che, ai più, sarebbe parsa come una maldestra carezza.

 

Ma Gregory House non era tipo da cose così. Stupide frivolezze senza senso.

 

La salutò con un sarcastico: “Ci vediamo domani, nei campi di cotone. E si congedò con passo strascicato, senza attendere una risposta.

 

 

 

Continua…

 

 

 

Disclaimers: I personaggi e la canzone citati in questo racconto non sono miei; appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.

 

Note: Il cardias è la valvola che separa l’esofago dallo stomaco. Esso svolge una funzione importantissima: quella di impedire il ritorno del contenuto dello stomaco nell’esofago, che altrimenti creerebbe un reflusso.

 

Ringraziamenti: Ad Amarantab, Desy, Erika, Mistral, Siyah, Pendragon, Sari ed Earine.

Un grazie di cuore per i commenti ricevuti al primo capitolo.
Sono davvero contenta che vi sia piaciuto, un vostro feed-back è molto importante per me! ^_____^

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo III – Time After Time. ***


Sì, lo voglio

Stagioni

–Make a baby-

 

By elyxyz

 

 

 

Capitolo III – Time After Time.

 

 

 

 

E così la vita cambia in me,
io amo te, la mia parola è sì,
impazzirà nel buio la città
                                che chiaro c'è che pace insieme a te.

(Nomadi, Stagioni)


 

La neve cadeva ancora, ammantando tutto il paesaggio, senza tuttavia riuscire ad attenuare le sirene delle ambulanze che arrivavano di continuo, come laboriose formichine di un immenso formicaio senza requie.

La dottoressa Cuddy si massaggiò debolmente una tempia dolorante, prima di trovare le forze per controbattere l’ennesimo attacco.

 

“Non puoi pretendere che io lasci morire quel paziente!” inveì Gregory House, aizzandole contro il bastone con fare minaccioso.

 

La pressione che lei esercitò, contro i braccioli della poltrona, fu tale che le sue nocche sbiancarono.

“Non posso permettere che tu lo uccida! Il che è diverso!” gridò, a sua volta.

 

House sbatté il pugno sul legno levigato della scrivania, a tal punto che il caffè – ormai diventato freddo da tempo – era schizzato fuori dalla tazza, inzaccherando dei documenti posati lì vicino, con alcune gocce scure.

 

Il medico non si scusò per la propria irruenza, non si diede nemmeno pena di simulare rammarico, per quello che aveva combinato.

 

Ci pensò lei a rammentarglielo: “Guarda che disastro!”

 

“Lascia perdere quella dannata brodaglia e quelle inutili scartoffie e dammi retta!”

 

“Ho detto di no! Non se ne parla!” si oppose la Cuddy, sollevandosi in piedi per cercare qualcosa con cui pulire, e si diresse verso l’armadietto che conteneva salviettine usa e getta.

 

Il diagnosta le sbarrò la strada, frapponendosi tra lei e il mobile: “Non abbiamo finito!”

 

La dottoressa stava decisamente esaurendo le sue infinite scorte di pazienza. Per questo s’impose di calmarsi e di modulare la voce, di modo che la discussione ritornasse su binari civili.

Per quanto si potesse parlare di ‘civiltà’ in presenza di quel mulo testardo e cocciuto che la gente chiamava Gregory House.

 

“Credimi: ti sto salvando la carriera, anche se non mi ringrazierai mai. La procedura che vuoi adottare è troppo rischiosa, non ci dà la garanzia che possa…” la vista le si sfocò di colpo, ed un fastidioso ronzio andava aumentando nella sua testa.

Indietreggiò barcollando, fino ad aggrapparsi alla parete. L’espressione allarmata di Greg la spaventò molto più che i reali sintomi.

 

“Lisa!”

A memoria d’uomo, nessuno - dentro al Princeton Plainsboro Hospital - aveva mai udito il dottor House chiamare il suo capo per nome. Aveva coniato per lei inesauribili epiteti poco gentili e irriguardosi, e sbeffeggiato diverse parti della sua anatomia, ma non aveva mai valicato il limite dell’intima familiarità che lo autorizzava a chiamare una persona per nome.

Era un’esigenza che House aveva dimostrato anche con Wilson, chimandolo ‘Jimmy’ solo in modo derisorio, e sempre, comunque, di rado.

 

“E’ stato solo un capogiro.” Si giustificò. “Non ho pranzato, perché c’è stata una riunione speciale con i revisori e, quando speravo di mangiare qualcosa, sei arrivato tu.

 

“Ma sono le 5 passate!”

 

“Appunto. E’ solo un calo di zuccheri.”

 

“Sei pallida, sdraiati un momento…”

 

“Per terra?!

 

“No, sulla tua scrivania! Così, chi entra, potrà equivocare!”

 

La donna si maledisse per aver mandato il divanetto e le poltroncine a rifoderare, ma non oppose quasi resistenza, “Almeno chiudi la porta e le tendine. Gli ordinò, adagiandosi sulla moquette.

 

Gregory le afferrò le caviglie, sollevandole per far rifluire il sangue al cervello.

 

La dottoressa percepì il proprio cuore battere irregolare, e un vago senso di nausea alla bocca dello stomaco.

 

“Mutandine di pizzo rosa!” commentò lui, fingendo di sbirciare sotto lo spacco del tailleur.

 

“Pervertito.” Sussurrò la Cuddy, senza preoccuparsi di verificare se fosse vero.

 

“Potremmo ampliare il nostro repertorio…” suggerì ammiccante, ignorando bellamente l’insulto. “L’idea del proibito mi eccita!”

 

“Non credo sia il momento più opportuno…” fu la pacata obiezione.

 

Lui ghignò.

“Tu sei già in posizione, la stanza è blindata e…”

 

“Il tuo spirito di sacrificio è encomiabile, ma mi trovo costretta a declinare. Sorrise lei, adesso più calma.

 

“Hai fatto il test?” le chiese, a bruciapelo.

 

Gli occhi di lei si smarrirono un istante di troppo.

“Non sono incinta, House. Ne sono certa.”

 

“Hai fatto le analisi?!

 

“No, ma…”

 

“Sei un dottore, perdio! Hai preso la laurea coi punti delle merendine?! Lo sai che quei cosi non sono sempre affidabili!”

 

Lei rimase in silenzio, mortificata.

 

“Cammini, o vado a prenderti una carrozzina?” domandò, sbrigativo, cessando di tenerle le gambe.

 

“Ma sei diventato matto?! Vuoi che sparlino di me fino al nuovo millennio? Io qui ci lavoro!”

 

Greg si diede una pacca sulla fronte.

“Oh, me n’ero scordato!   

 

Lei lo fulminò con un’occhiataccia, poi si risollevò lentamente dal pavimento, lisciandosi la gonna stropicciata.

 

L’altro non perse tempo.

“Se non ci vai tu, con le tue gambe, ti ci trascino io, di peso.

 

“Non vorrei infierire, ma sei uno zoppo…”

 

“Ma ho uno stuolo di leccapiedi, te lo sei scordata?”

 

“Tu non vorrai... non vorrai dirlo agli altri!”

 

“Solo se mi costringi.” La ricattò, in tono amabile.

 

“Gran...!”

 

“Su, su!… modera i termini col padre della tua preziosa creatura…” la sollecitò, mellifluo.

 

Lisa scosse la testa, come a snebbiarsi la mente. “Non ho bisogno di nessun prelievo.”

 

“Hai così tanta paura di sperare che sia vero?!” la istigò lui, stavolta serio.

 

La donna non reagì, sembrava quasi sperduta.

 

“Smettila di piagnucolare come una bambina e andiamo in un box visita a fare l’esame.

Così Mary Sue saprà che sta per arrivare…”

 

“Chi è Mary Sue?!” chiese, sulla difensiva.

 

“Il nome che daremo a nostra figlia!” scherzò, semiserio, spingendola verso il corridoio.

 

Lei fece resistenza, cercando di fronteggiarlo, improvvisamente turbata.

“Ascolta, senti, devo avvisarti che… in questi mesi, io… ho visto anche altre persone… non so se è…”

 

“…mio?”

 

- Lui sorrise. Semplicemente sorrise. -

 

“Non ho mai detto che volevo diventare padre.

 

La sua risposta, così pacata, la colpì con la violenza di un impatto imprevedibile. Poco importava se le sue stesse parole, pochi istanti prima, le fossero suonate come una sciocca e patetica scusa, inequivocabilmente falsa.
Aprì la bocca per replicare, ma non ne uscì alcun suono. Poi una variabile che non aveva calcolato. Una mano sul ventre. Un’espressione strana.

 

“Devo andare in bagno.”

 

“Stai per vomitare?”

 

“No. Devo… controllare una cosa.” Replicò, sibillina.

 

L’uomo si mise a seguirla, anche se faticava ad arrancarle dietro. Lisa entrò nella zona dei servizi, seminandolo; ma lui non s’arrese per così poco: girò il cartello ‘FUORI USO’ ed entrò dopo di lei.

 

“E’ la toilette delle femmine!”

 

“Io sono un disabile, e i disabili vanno nel bagno delle donne. Siamo equiparati alle donne. Usiamo il water…”

 

“Tu puoi andare nel gabinetto dei maschi!”

 

“Se me lo ripeti un’altra volta, è discriminazione sessuale!”

 

Lei lo fissò, profondamente irritata. “Voglio un po’ di privacy.”

 

Greg sollevò una mano a mezz’aria, sventolandola distrattamente.

“Fai finta che non ci sia, puoi trattarmi come una di voi.

 

“Non mi era sembrato tu fossi una donna, tutti i martedì e venerdì degli ultimi sei mesi…” polemizzò, sfidandolo a contraddirla.

 

House lo ammise, reticente.

“Ok. La mia mano destra ringrazia.”

 

La Cuddy afferrò la prima maniglia alla sua portata e sbatté l’anta con forza, chiudendosi all’interno.

 

Gregory fece vagare lo sguardo attorno a sé, in attesa.

“I bagni delle ragazze sono molto più luminosi dei nostri, lo sai?… Dovrò lamentarmene col capo!” polemizzò, controllando l’orologio “E allora?!” gridò, da fuori, un minuto dopo.

 

Rispose il silenzio.

 

Lisa fissò la macchiolina rossastra sugli slip. Chiuse gli occhi e desiderò che il momento passasse. Come quel fastidioso bruciore alle palpebre.

 

Il dottore colpì con due pugni spazientiti la porta. “Vuoi uscire da lì?”

 

L’apertura del cubicolo si spalancò lentamente, facendola ricomparire.

“Non è niente.” Disse, atona. “Una piccola perdita ematica.” E si avviò al lavandino, prima che lui potesse scorgere gli occhi lucidi.

Si sciacquò mani e viso generosamente.

 

“Andiamo a fare il prelievo.” Insistette lui.

 

“Non sono incinta, vedi?! La perdita indica un’ovulazione intermedia…”

 

“Può significare un mare di cose, anche la minaccia di un aborto!”

 

“Lasciami sola per cinque minuti.” Lo pregò con voce inespressiva, mentre tutto il suo corpo teso trasmetteva la sua tensione interiore.

 

House abbassò lo sguardo a disagio, come mortificato.

Forse… si stava sbagliando.

Forse… la stava illudendo, o forse era semplicemente solo lui, ad illudersi che…

Forse doveva abbracciarla. Dirle almeno qualcosa.

Ma non era bravo con le parole, lui. Né tanto meno con i gesti.

“Ok. Ti aspetto qua fuori.” E se ne andò.

 

 

 

Continua…

 

 

Disclaimers: I personaggi e la canzone citati in questo racconto non sono miei; appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.

 

Note: Ma non c’è davvero bisogno che io spieghi chi è Mary Sue, vero?? In caso, contattatemi.

 

Ringraziamenti: Ci vorrebbe un filino di sadismo, per dedicare a qualcuno un capitolo come questo...

Ma un grazie di cuore e un abbraccio a chi lo ha letto, e ancor più per i commenti ricevuti nel precedente.

 

Mistral: comprendo il tuo punto di vista… e apprezzo doppiamente il tuo sforzo di leggere!

 

Siyah: felice che tu abbia rimarcato la mia puntigliosità medica, comunque sì, rimane sempre ‘un affare’, anche se…

 

Desy: tesoro, sai che le tue dissezioni (sì, non ho sbagliato! ^__=) ragionate delle mie fic mi fanno gioire immensamente!

 

Setsuka: non credo che gli attori si presterebbero a recitare i miei deliri, ma sarebbe fantastico! *___*

 

Earine: sì, mi piace giocare sui silenzi, su come parla la gestualità. House è maestro, in questo!

 

Arkadio: grazie, di nuovo!

 

Amaranta: direi che hai azzeccato in pieno il punto! ^___^ Siamo partiti da uncontratto’, MA…

 

Didiblack: Oh, mio Dio!! Grazie! ^___^ Ed è carino il tuo motto! ^__=  

 

Fuuma: Sono contenta che finora ti piaccia. Il pericolo ‘miele’ è sempre in agguato, spero di non scivolarci troppo dentro…

 

Come sempre, sono graditi commenti, consigli e critiche. Chiunque desideri, può contattarmi al mio divano blue navy: elyxyz@alice.it

Grazie (_ _)

elyxyz

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo IV – Epilogo. ***


Sì, lo voglio

Apologia di una Writer: ovvero, come si consiglia di arrivare fino in fondo e di leggere le note finali, prima di protestare (eventualmente).

 

 

Stagioni

 

–Make a baby-

 

 

By elyxyz

 

 

 

Capitolo IV – Epilogo.  

 

 

 

Ma come mai il tempo fugge già,
le stagioni ora sono realtà,
E' tornato il vento e l'amore va,
com'è strano essere amici io e te,
eravamo ieri amanti io e te.

 

(Nomadi, Stagioni)

 

 

 

 

Gregory House aveva da poco finito il suo turno di lavoro, quel venerdì pomeriggio, e sedeva scompostamente su una delle panchine libere del piccolo parco di pediatria del Princeton Plainsboro Hospital, guardandosi pigramente attorno.

James Wilson aveva venduto metà della propria anima al Direttore Sanitario, per ottenere che quel fazzoletto di terra venisse bonificato e reso idoneo al suo scopo.

 

Il diagnosta ghignò tra sé, al ricordo. Ma, alla fine, il buon Jimmy c’era riuscito.

 

E adesso un allegro vociare giungeva alle sue orecchie. Il fastidioso strepitio dei piccoli pazienti felici di poter fare un giro sulle giostre, una discesa dallo scivolo, un turno in altalena.

Il medico li fissava distrattamente, e si chiedeva dove mai trovassero ancora la forza di gioire, di attaccarsi con le unghie alla vita, con quei corpicini straziati dal male.

Una palla colorata rotolò fin quasi ai suoi piedi, ma non si scomodò a prenderla.

Bastava allungare il suo inseparabile bastone e colpirla, per restituirla al padrone poco lontano, invece preferì lasciarla scivolare oltre. Avrebbe potuto, ma non lo fece.

 

Una bambina castana gli corse incontro, i codini che svolazzavano al vento “Greg! Greg!”

 

Il dottor House accennò un sorriso, curvando poi le labbra con finta serietà: “Quante volte ti ho detto che non mi devi chiamare per nome, piccola marmocchia?!”

 

“Sì, papà.” Rispose lei, ubbidiente.

 

Lui si chinò ad abbracciarla.

“Brava la mia marmocchietta…”

 

La bimba ricambiò la stretta con uno slancio d’affetto.

 

“E’ stato lungo il viaggio?” s’interessò lui, ancora un po’ impacciato in quei convenevoli.

 

“Un po’. Ma ho visto tante cose dal finestrino…”

 

Oh, sì. Gregory non dubitava affatto che le corsie dell’autostrada fossero un’occasione estremamente interessante e istruttiva, sotto vari fronti. Il senso di marcia, e quello al contrario. Magari.

Ma non ebbe cuore di contraddirla. “La mamma dov’è?” chiese, notando solamente in quel momento che era da sola.

 

Lei si strinse nelle spalle.

“Sta arrivando, ma è una lumaca! Così io sono corsa qui…” gli spiegò.

 

Il medico sogghignò per l’irriverente similitudine, prima di disapprovarla.

“Non dovresti…”

 

“Susan! Quante volte ti ho detto di non allontanarti da me, senza permesso!” la sgridò da lontano, apprensiva, una voce familiare.

 

“Ma c’era papà…” tentò di giustificarsi lei, aggrappandosi alla giacca dell’uomo.

 

Lisa arrivò trafelata, con armi e bagagli al seguito.

E un’altra bambina addormentata in braccio. 

 

“Bentornata, Cuddy.” S’intromise, come se considerasse l’argomento chiuso.

 

“Ciao, House.  Ti vedo in forma! Bastone nuovo?” ansimò, sedendoglisi accanto.

 

“Il bastone è lo stesso dell’ultima volta; ma riprendi fiato, prima di farti stroncare da un infarto.” Rispose sollecito, per poi rincarare: “Sta per esploderti la camicetta! Dovresti smettere di comprarle due taglie in meno della tua…” la canzonò, divertito, fissandole senza ritegno il generoso decolleté.

 

“Posso andare a giocare, mamma?” li interruppe la bimba, strattonandole il vestito.

 

“Certo che puoi, Susan, ma…”

 

“…resta dove ti posso vedere.” Terminò la piccina, con fare compassato, al posto suo. E si allontanò verso i giochi.

 

“Riesce a tenerti testa! E’ proprio mia figlia…” disse Greg, con una punta di malcelato orgoglio.

 

“Non pensavo che la testardaggine fosse una dominante genetica ereditaria. Si rammaricò lei, scuotendo la testa, rassegnata. “Sue diventa ogni giorno più cocciuta.”

 

“E Mary?” chiese, annuendo in direzione della bimba che riposava sul seno materno.

 

Marian è più ragionevole.”

 

“Ha ancora quegli attacchi d’asma?”

 

Lisa sospirò.

“Meno di frequente. Ma gli antistaminici le creano molta sonnolenza.

 

“Migliorerà con l’età.”

 

“E’ la peggior prognosi che abbia mai sentito.” Si lamentò, scettica.

 

“Mi sono mai sbagliato?!” Replicò lui, punto sul vivo.

 

“Di rado, devo concedertelo.” Ammise, accarezzando dolcemente la testolina riccia di fronte a sé.

 

“E tu… come stai?” si sforzò di chiederle, celando la sollecitudine in un tono disinteressato.

 

“Come una che è sempre di corsa!” sbuffò, stancamente, controllando che Sue non cadesse dallo scivolo.

 

“Non ho capito perché non porti mai la tata giovane e carina con voi. Le suggerì, amabile.

 

“Perché io non sono così sprovveduta, e lei è impressionabile. Quindi non voglio che si licenzi dopo averti conosciuto.

 

House stiracchiò le labbra in una smorfia che sapeva di sorriso. Quella era la Cuddy che voleva sentire al suo fianco.

 

“Tu, invece, stai invecchiando! Perdi colpi. Non hai più il buon vecchio mordente.”

 

“Hai ragione, dovrò andare a rileggermi il manuale del Marzipan House.

 

“‘Hansel e Gretel’ non funziona, con quelle due pesti.

 

“E’ che quando arrivano le ragazze tendo ad affogare nella melassa, per prepararmi spiritualmente… qualche giorno prima sfogo il mio malumore sui paperotti… pensa che ieri Cameron mi ha persino mandato al diavolo! E Chase si è quasi messo a piangere, quando l’ho rimproverato… ma ha le sue cose, quindi è emotivamente instabile.”

 

Lei rise piano, divertita.

“So che muori dalla voglia di aggiornarmi sui pettegolezzi, quindi spara, dai!”

 

Greg s’accomodò meglio sul legno. “Wilson intrattiene ancora relazioni illecite con le sue pazienti terminali, per compassione.

 

“Per compassione.” Ripeté lei, scettica.

 

“Sì, lo sai che è troppo sensibile.” Fu la doverosa precisazione del diagnosta, che tuttavia le lanciò un’occhiataccia che i due sapevano sottendere a ben altro.

 

“Continua… i tuoi assistenti?” chiese, sinceramente interessata, e in parte spiritualmente partecipe, per la malasorte di quei poveri ragazzi.

 

“Fiocco di Neve corre ancora dietro alle infermiere di maternità; ma, in compenso, l’ho promosso perché ha imparato a fare un ottimo caffè.

 

“Eh, certo! E’ un requisito fondamentale nel curriculum di ogni medico neurologo. Lo canzonò, bonariamente.

 

Chase e Cameron convivono da 6 mesi. E ancora, ogni mattina, Koala-man – ma io lo chiamo ancora affettuosamente ‘Giuda’ - arriva allo studio 10 minuti dopo di lei… e sono convinti che non me ne sia accorto! Quegl’idioti mi sottovalutano… ne sono quasi offeso.

 

“Forse temono – a ragione – di venir bersagliati continuamente dalle tue sfrecciatine…” tentò la donna, conciliante.

 

“Perché, secondo te, io me le risparmio?!

 

“No. Effettivamente no.” Concesse, confortata dal fatto che certe cose restavano uguali a se stesse, dopotutto.

 

Il diagnosta si passò il bastone da una mano all’altra, con un movimento un po’ nervoso.

“Lisa… ho sentito… qui circolano strane voci, su un tuo possibile ritorno…” buttò lì, con noncuranza.

 

Lei scosse la testa, bonariamente rassegnata.

“Sono solo voci, e tali rimarranno.

Mi piace Atlantic City e le bambine si trovano bene lì. E non ho nessun rompiscatole particolare da dover tenere al guinzaglio.

 

Lui sorrise malandrino.

“La verità è che ti manco. Senti la mancanza del filo da torcere che ti davo…”

 

“Oh, sì, come no?! La mia ulcera ti ringrazia ogni mattina!

Ma dimmi… gira ancora quella leggenda metropolitana su una tua fantomatica proposta di matrimonio, che io avrei disgraziatamente rifiutato?”

 

Greg fissò il parco davanti a lui, figurandosi però il terzo cassetto del comò in camera da letto, quello dove occultava i calzini spaiati e le magliette vecchie che non usava più. Pensò al fondo di quel cassetto. Ad una piccola scatolina di velluto blu con la scritta argentata, sepolta dal resto.

E sorrise.

“Mi domando chi sia stato quell’idiota che ha messo in circolazione certe sciocchezze…” le rispose, con una punta di scandalizzata derisione.

 

La Cuddy stava per assentire, quando un pigro movimento richiamò la sua attenzione. I due adulti tacquero, osservando Marian risvegliarsi lentamente, sbadigliando senza complimenti.

Si stropicciò gli occhietti, ancora assonnata.

 

“Siamo arrivati, mamma?” sussurrò, prima ancora di mettere a fuoco dove si trovasse e con chi.

 

“Sì, tesoro.” Le confermò la donna, posandole un bacio sulla fronte.

 

La piccola si rannicchiò un po’ più contro di lei, faticando ad uscire dalle maglie del sonno.

Poi l’allegro strepitare attorno a lei le colpì i sensi, destandola.

 

La bambina si svegliò di colpo, puntando l’attenzione sull’uomo seduto vicino.

Papy!”

 

“Ciao, rannocchietta.”

 

Marian scese dalle ginocchia materne per risalire su quelle del padre, e stampargli un sonoro bacio sulla guancia ruvida.

 

“La tua barba punge!” sbottò, contrariata, pulendosi le labbra col dorso della manina.

 

L’altro si strofinò rudemente un palmo sullo zigomo. “Macché,” si lasciò sfuggire “mi sono rasato ieri, apposta per voi!”

 

La bimba non poteva cogliere i sottintesi di una frase così, ma essi non sfuggirono a Lisa, che ne gioì in cuor suo.

Solo lei conosceva i compromessi a cui Greg era sceso, nel corso tempo, per amore delle figlie, e ne riconosceva l’encomiabile impegno.

 

“Come stai, rospetta mia?” le chiese, stropicciandole i capelli ricci.

 

“Bene, papy… ma mi sei mancato!”

 

Il burbero misantropo rimase colpito dalla genuinità di quell’affermazione. Sentì un leggero rimescolio allo stomaco. Una frase così avrebbe fatto inorridire il vecchio Greg House, che sarebbe corso ai ripari liquidando quello slancio smielato con una battuta sarcastica e un affondo ben piazzato, giusto per prevenirne i guai.

 

“Ti ho portato un regalo!” riprese la bimba, incurante delle sue riflessioni, e gli porse un foglio bianco tutto stropicciato, tirato fuori dalla tasca della gonnellina.

 

Gregory lo aprì, lisciandone i bordi sgualciti.

Un Omino Testone di carta lo fissava con aria severa, fidato bastone alla mano, assieme ad altre quattro figure.

“Sei tu,” Mary lo indicò col il ditino “e zio Wilson” – l’inconfondibile oncologo con tanto di cravatta multicolore – “Chase, Foreman...” – due ometti vicini, uno dai capelli giallo canarino, e l’altro color cioccolato - “Ally…”

 

“Questa è Cameron?” chiese, additandola. “Ma Cameron non è bionda!” la corresse.

 

Marian fece spallucce: “A me piaceva di più così. Rispose, come se fosse un’ovvietà.

 

“Sai che hai ragione? Le dirò di farsi le mèches!”

 

La Cuddy sperò vivamente che scherzasse, anche se da lui ci si poteva aspettare questo ed altro.

 

Greg ripiegò la carta.

“Grazie del bellissimo disegno. Lo appenderemo sul frigo di casa.” Propose, archiviando l’evento.

 

“Perché?” chiese lei, sorpresa.

 

“Come, perché?! Perché così posso tenerlo per ricordo!” spiegò, con logica lineare.

 

“No, papy!” protestò Marian, rabbuiandosi.

 

“Perché?!” ripeté lui, stavolta, scimmiottandola.

 

“Lo devi attaccare nel tuo studio, sennò gli altri non lo vedono!” protestò la piccola, quasi offesa.

 

“Ma è per me, o per gli altri?!” il medico sogghignò, prima di divertirsi a metterla in difficoltà.

 

Lei parve pensarci un po’ su, poi ribatté: “E’ tuo, ma così Came-Ally si decide!”

 

“Mi hai convinto.” Capitolò. - E lei fece un enorme sorriso sdentato. - “Ma ora vai a giocare con tua sorella!” e le diede una piccola spinta d’incoraggiamento.

 

Quando si fu allontanata, si rivolse alla donna che era rimasta in silenzio per tutto il tempo, gustandosi la scena.

“Dimmi che non è sempre così!” esalò, con l’impressione di essere uscito malconcio da una disputa dialettica.

 

“Non è sempre così.” Concesse Lisa “Di solito è peggio.” E sorrise del suo sguardo scandalizzato. “Ma riprendiamo il discorso di prima: parlami di Pendler, come se la cava?” s’incuriosì, lasciando per un momento la sua indiscrezione professionale correre a briglia sciolta.

 

“Stranamente, ce l’ha con il buon vecchio Wilson…”

 

“Con James?!” chiese, scandalizzata. “Chi può mai avercela con lui?!

 

“Forse aveva una moglie con un tumore e lui se l’è portata a letto…” ipotizzò, malignamente.

 

“House!” lo rimproverò, con quel tono sdegnato di un tempo.

 

“Ad ogni modo, il nostro oncologo è riuscito a scroccare a te un baby-park in oncologia, e al nostro attuale, simpaticissimo Direttore Sanitario, questo parco giochi pediatrico… però ci ha sputato sopra sangue e comunque, lo sai, è dedito alle Cause Perse.

 

“Oh, sì. O non sarebbe tuo amico…” replicò lei, sarcastica. “E tu, come te la cavi con Pendler?”

 

“E’ un omuncolo inesistente. Preferisce ignorarmi, piuttosto che contraddirmi… non c’è neanche gusto a litigare con lui!” si lamentò, come un ragazzino viziato. “Non so ancora esattamente cosa tu gli abbia detto… ma ha funzionato! Mi fa fare ciò che voglio, e non protesta neppure!” sbottò, a metà tra lo scandalizzato e il divertito.

 

“E’ meglio che tu non lo sappia mai.” Rispose, sibillina.

 

“Non mi hai ancora detto dove te ne vai, questo weekend.” Riprese Gregory, con finta noncuranza.

 

“Accompagno il dottor Lockheart ad un Seminario.

 

Ohhhhmooolto interessante.” Querulò House, in tono palesemente falso. “E lui sarebbe…?”

 

Alfred è l’ultimo acquisto del mio staff, è un Cardiologo.

 

“Toh!, un rubacuori. Beh, col cognome che si ritrova…” malignò, con soddisfazione, “che altro poteva fare nella vita?” ma non attese risposta. “E tu lo accompagni?! Non mi ricordavo rientrasse nelle tue mansione fare da baby sitter ai Convegni!”

 

Alfred è…”

 

“‘solo un amico!’” la prevenne “ma non mi dire! Non ti giustificare!” ripose a raffica, senza lasciare modo a lei di chiarire.

 

“Un amico” ripeté lei. “E stimato collega.”

 

“…di…?”

 

“Primario di Cardiologia.”

 

“Nientemeno!” esclamò, stavolta sorpreso. “Wilson, un giorno o l’altro, soffrirà del complesso d’inferiorità, visto che lo hai snobbato.”

 

“E perché dovrebbe?”

 

“Io sono il Primario di Medicina Diagnostica, questo Rubacuori è Primario di Cardiologia… o tu hai un problema coi tumori, o Jimmy ti sta antipatico!”

 

Lisa si sentì di colpo in difficoltà. Non riusciva più a capire se House stesse solo scherzando, o se fosse una mezza scenata, la sua. “Guarda che stai travisando tutto… non è come pensi…” cercò di giustificarsi, anche se non ne capiva appieno la ragione.

 

House sventolò una mano verso di lei, come a darle la sua benedizione.

 

“Abbiamo solo due figlie in comune. Fai della tua vita ciò che vuoi…”

 

Fred è solo un amico!” sentì in dovere di ribadire.

 

“Non serve fare la parte della moglie infedele pentita…” e, con le sue parole, fece finta di sbattere la testa e restare incastrato contro qualcosa d’immaginario, appena sopra di loro. “Ah, il mio palco si è impigliato…” ironizzò, ammiccando con le sopracciglia verso l’alto, con fare allusivo.

 

“Il giorno in cui ti spunterà qualcosa, sarò la prima ad avvisarti!” sbottò lei, in parete risentita.

 

“Ma io l’aureola ce l’ho già!” reagì il dottore, con sguardo teatralmente ferito.

 

La Cuddy non ebbe modo di ribattere, perché le gemelline erano di ritorno, stanche ed ansanti.

“Ho fame, mamma!” esordirono Mary e Sue, all’unisono.

 

Greg allungò una mano nella tasca della giacca ed estrasse un biglietto da 10 dollari. “Andate a prendere un gelato al chiosco qui all’angolo. Propose, allungando loro la banconota.

 

“Ma non lo sanno fare! Sono troppo piccole!” lo sgridò Lisa, scandalizzata.

 

Lui si strinse nelle spalle, facendo loro l’occhiolino, come se fosse un accordo da cui la madre era esclusa.

“A volte me ne dimentico. Vuoi dire che non posso più mandarle a prendermi le sigarette?!” chiese, innocentemente.

 

Le sorelline scoppiarono a ridere, vedendo la faccia comicamente buffa della loro mamma.

“Ma se fumare è uno dei pochi vizi che non hai! E, per la cronaca, ne approfitto per ricordartelo: evita di lasciare in giro Playboy per l’appartamento… sono bambine impressionabili…”

 

“E Penthouse?” chiese, innocentemente. “sai, è di casa…”

 

Lisa scosse la testa, come a dire che era di fronte ad un caso perso. Poi si interessò alle bimbe, che avevano assistito incuriosite al loro scambio. “E’ davvero troppo tardi per la merenda, però possiamo anticipare un po’ la cena!” propose, sperando di ricevere consensi.

 

“Cena?” chiesero i tre, squadrandola sorpresi.

 

“Sì. Possiamo mangiare un hamburger insieme, per esempio. Suggerì, sorridendo incoraggiante.

 

Sei identici specchi azzurri si posarono su di lei, “Beh, non devo mica scappare subito…” si difese, sentendosi quasi in colpa.

 

L’uomo le diede man forte, sollevandosi dalla panchina: “E sia! Vi va, ragazze?”

 

La sua prole squittì di gioia, saltellandogli attorno.

 

Lisa si sentì per un istante gelosa, di quell’attenzione rubatale.
Ma, in fondo, Greg non le aveva chiesto poi molto.

Solo di far parte, almeno un po’, delle loro vite. Di vederle, ogni tanto.
Non si era neppure opposto – come lei invece s’era aspettata – quando gli aveva comunicato la sua ferma intenzione di trasferirsi altrove, famiglia al seguito.

 

“Non entri a salutare?” le suggerì lui, riportandola coi piedi per terra.

 

“No.” Lei scosse il capo, con diniego. “La mia vita non appartiene più a questo posto.

 

Alzò lo sguardo sul grande edificio.

Il respiro le tremò in gola. Il cuore s’appesantì un po’ con i ricordi.

Le ore, i giorni, le notti, i mesi, gli anni di vita che quel luogo le aveva rubato.

E le gioie che le aveva donato.

Ma era finito.

E non sarebbe tornata indietro.

 

House rimase a fissarla, ma non parlò.

 

Mary, Sue! Venite, andiamo a mangiare!” le chiamò, allungando le mani nella loro direzione, mentre una tiepida brezza di fine estate le accarezzava il viso, congedandola.

 

 

 

-Fine-

 

 

 

Disclaimers: I personaggi e la canzone citati in questo racconto non sono miei; appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.

 

Note: L’Omino Testone è una rappresentazione grafica che i bambini realizzano tra i 2-4 anni di vita. La testa è formata da un cerchio molto sproporzionato, che - in un certo senso - simboleggia il corpo intero. Dalla testa partono a raggiera delle linee semplici, che rappresentano braccia e gambe.

 

Chi è Mary Sue?: visto che ho dato per scontato qualcosa che in realtà non è, breve spiegazione su questa persona importante.

Prima o poi, nel mondo delle fanfic, ci si imbatte in lei, in Mary Sue, ed è bene sapere a cosa si va incontro! ^___=
In breve, è un personaggio originale, che entra di prepotenza in una fic e incarna la perfezione.
Mary Sue è bella, brava, gentile, disponibile, superintelligente, senza difetti, di solito salva il mondo e si mette con/sposa il figo di turno....
Di storie, con lei protagonista, ce ne sono a migliaia, nel web, ma altrettante che la prendono in giro, anche. Tendenzialmente è odiata dai lettori, proprio perché è senza difetti, e quindi 'falsa'.

E’ bene ribadire che non sempre – di fonte ad un Pers. Original - ci si imbatte in lei. Ma il rischio c’è. (Per dovere di completezza: la sua controparte maschile è Gary Stu).

 

Facciamo il punto della situazione: so che questo capitolo, inteso come epilogo, ha spiazzato molti di voi, miei lettori.
Il punto è che ho scritto esattamente le quattro parti che mi sono venute in mente, pensando ad un seguito perSì, lo voglio!’.

Produrre i primi tre capitoli è stato relativamente semplice, ma finire questo è stata ardua, perché qui si esula dal mondo ospedaliero e dalla quotidianità del telefilm.

Ho varcato le Colonne d’Ercole, esplorando un mondo a me ignoto, con l’eterno fantasma dell’OOC a perseguitarmi, come le Sirene di Ulisse… ç__ç

 

Ho riflettuto molto su come potrebbe essere House in veste di padre. E tre sono le possibilità:

a) Greg rimane il solito misantropo, bastardo e arrogante. (ma non ci credo neppure un po’, perché -se è vero che una donna non può cambiarti - può riuscirci un figlio);

b) Greg diventa un padre dedito, premuroso e magari apprensivo, per un viscerale senso di rivalsa nei confronti del proprio padre che lui odia perché… ok, qui mi fermo o sforo nello spoiler. (nah. Nemmeno questo è da lui);

c) Greg resta coerente con se stesso, ma smussa alcuni suoi spigoli che lo caratterizzano. Perché un bambino, se ti rapporti con lui, ti mette in crisi e ti riporta in discussione.

Questa è la strada che ho scelto io, una mezza via. Potete contestarla, se volete.

Ma nessuno sa davvero com’è House da papà, no?! ^__=

 

Che cosa succederà?: A furia di pensarci, in queste settimane sono nati tantissimi spunti legati a questa fic, perché, diciamocelo pure, la non-storia di Greg e Lisa è un unico, immenso Missing Moment. Ed è per questo che, entro breve, pubblicherò una raccolta eterogenea (drabble, flash-fic, one-shot) per riempire questi buchi narrativi… cosa ha provato Lisa scoprendosi incinta? E Greg, quando lo ha saputo? E la gravidanza? Il parto? (con la partecipazione straordinaria di Wilson e i Paperotti, perché stavolta ci sono anche loro!)

 

Ringraziamenti:

Fuuma: grazie per il tuo entusiasmo! Sono felicissima che ogni cap, fin qui (^^’’), ti sia piaciuto!

 

Desy: anche io amo la scena del bagno, ci sono particolarmente affezionata!

 

Earine: esultare? Addirittura?! E’ un bellissimo complimento, per me, grazie.

E, sul non far nascere Mary sue, beh, sorry… ma era già tutto deciso. ^__=

 

Mistral: sì, come ho già detto… le Colonne d’Ercole son varcate.. e ora non si torna indietro!

 

Sara: spiegazione ricevuta? Grazie di esser passata!

 

Siyah: no, non era una battuta ^^’’ cmq, mi viene il dubbio che tu abbia un po’ frainteso la mia frase, perché subito dopo le parole di Cuddy, in una riflessione esterna, le faccio pensare che – ciò che ha detto - è solo una scusa per proteggersi. Quindi, in parole povere, non c’è stato davvero qualcun altro. Perdonami per la contorsione mentale. Ad ogni modo, il tuo dubbio mi ha fatto venire un’idea stuzzicante…

Miki91: no, niente malattie alla mia Lisa. Ma grazie dell’entusiasmo!

 

Sono davvero contenta che vi sia piaciuto, un vostro feed-back è molto importante per me! ^_____^

 

 

Credo sia giusto inserire l’intero testo della canzone, motivo trainante dell’intera fic.

 

 

Album: Un Giorno Insieme (1973) (Nomadi)

 

Stagioni  

Ecco che il tempo cambia già,
comincia qui un nuovo ciclo ormai,
e sento che la mia stagione è qui,
fa freddo ma c'è il fuoco accanto a te.


Di fuori no un suono non c'è più,
le stagioni stan dormendo intorno a noi,
scorre acqua nuova dentro agl'occhi tuoi,
come è strano essere amanti io e te
eravamo solo amici io e te.

E così la vita cambia in me,
io amo te, la mia parola è sì,
impazzirà nel buio la città
che chiaro c'è che pace insieme a te.

Ma come mai il tempo fugge già,
le stagioni ora sono realtà,
E' tornato il vento e l'amore va,
com'è strano essere amici io e te,
eravamo ieri amanti io e te.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=123111