Cercasi maggiordomo!

di ElleLawliet
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. Villa Kuchiki. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. Primi disastri a villa Kuchiki. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3. Complimenti. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4. Botte e annunci. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5. Rum! ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6. Soul Society. ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7. Violent Pornography. ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8. Tra passato e presente. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1. Villa Kuchiki. ***


POV ICHIGO
 
Quando Ichigo Kurosaki arrivò davanti ai maestosi cancelli di villa Kuchiki non riuscì a trattenere un' esclamazione sorpresa.
Sapeva che la famiglia Kuchiki era molto ricca, ma di certo non si aspettava una casa così imponente. La villa era stata costruita molto distante dal resto di Karakura e la famiglia aveva acquistato un grande quantitativo di terreni, in modo che la struttura potesse vantare anche un enorme e rigoglioso giardino. Intorno alla casa c’era un fitto bosco e l’abitazione era collegata alla città da una stradina impervia e piena di dossi. La strada conduceva fino al cancello della villa e lì era stato costruito uno spiazzo in pietra scura che fungeva da parcheggio.
Parcheggiate fuori, Ichigo riconobbe una Ferrari rossa e una Lamborghini nera.
Intorno alla struttura si innalzavano alte mura di pietra bianca e un enorme cancello nero in ferro battuto che, adornato da fiori e vasi, impediva l’accesso alla casa. Nonostante ciò, Ichigo riuscì a vedere, oltre le sbarre, un lungo vialetto di pietra, fiancheggiato da alti alberi sempreverdi che conduceva all’entrata della villa, preceduta da una scalinata sempre di pietra. Alla fine il viale si allargava in uno spiazzo, occupato al centro da una bellissima fontana di ceramica. L’acqua compiva meravigliosi giochi, prima di tuffarsi nella vasca e le gocce, illuminate dal il caldo sole estivo, proiettavano minuscoli arcobaleni. Un portone in legno chiaro segnava l’ingresso alla casa.
L’abitazione era molto alta, fatto sta che da fuori il ragazzo scorse il tetto spiovente e svariati comignoli, molti dei quali accesi.
La facciata era in marmo chiaro e lucido e molte finestre si aprivano verso il giardino.
Ichigo le contò e calcolò che la villa doveva avere circa tre piani con venti finestre che davano sul giardino anteriore.
Pensò che era davvero una casa inusuale, per essere giapponese: ricordava molto alcune strutture americane che aveva visto in foto, tranne forse per il tetto spiovente ricoperto di tegole.
- Finalmente siamo arrivati! -.
Ichigo si voltò e ridacchiò, vedendo i suoi compagni raggiungerlo.
Grimmjow e Ulquiorra lo affiancarono, poggiando le pesanti valigie sul terreno polveroso.
- Cavolo, vedi tu! Questi nobili snob dovevano proprio venire a vivere qui?! Non mi sento più i piedi a furia di camminare! -.
- Taci – lo rimproverò Ichigo. – Ti ricordo che è tutta colpa tua se non abbiamo potuto prendere la macchina! Che poi ricordami perché? – fece l’arancione con fare canzonatorio.
Grimmojow sbuffò e abbassò gli occhi ma non rispose, troppo orgoglioso.
- Perché sei uno stupido e sei stato capace di schiantarti contro un negozio con la mia macchina, tanto eri ubriaco! – gli ricordò Ichigo. – E per colpa tua ora io devo passare l’estate a fare da maggiordomo a questi qui, per ripagare il commerciante. Ma tu queste cose le sai già! No, dico: hai idea di quanto sia umiliante? Maledetto sia il giorno che ho deciso di farvi da coinquilino! -.
- Zitto! – ringhiò l’altro. – Ok, colpa mia, però ci sono anche io qui con te e quell’altro zombie lì, quindi smettila di lamentarti. E poi ne abbiamo già parlato, no? Lavorando in tre guadagniamo il triplo e finiamo prima  -.
Ichigo stava per ribattere, quando Ulquiorra alzò una mano. – Dovremmo bussare – disse, con quel suo tono piatto e freddo, senza curarsi delle lamentele di Ichigo. L’arancione aveva sempre considerato leggermente strano il modo di fare dell’amico, ma lui e Ulquiorra avevamo stretto una buona amicizia, nonostante tutto.
Ichigo si avvicinò al cancello e notò un campanello. Titubante, bussò.
Calò il silenzio, interrotto solo dal canto degli uccelli e dal suono dell’acqua della fontana.
Grimmjow stava per bussare ancora, stizzito, quando videro una figura uscire silenziosa dalla villa.
Nonostante la distanza, Ichigo riuscì a riconoscere la figura di un uomo dai capelli lunghi, forse neri.
I tre si affrettarono a prendere le valigie, per poi attendere al cancello.
L’uomo percorse il vialetto della villa e raggiunse con calma il cancello. Ichigo ebbe modo di osservarlo, mentre l’altro si dava da fare per aprire: era un uomo alto e piantato, non poteva avere più i venticinque anni. I capelli, neri come aveva sospettato, erano lunghi e raccolti a coda di cavallo. Portava una camicia bianca e pantaloni di seta, anch’essi bianchi, e dei mocassini neri.
Alzò gli occhi su di loro, aprendo il cancello. Gli occhi erano neri e li scrutavano con fare calcolatore.
Ichigo entrò dopo Grimmjow, seguito da Ulquiorra. Una volta che i tre furono entrati, l’uomo chiuse il portone e tese loro la mano.
- Byakuya Kuchiki – si presentò, con fare annoiato. Ichigo e gli altri gli strinsero la mano, costatando la presa ferma e fredda del padrone di casa e si presentarono a loro volta.
- Siamo i nuovi domestici – puntualizzò Ichigo, indicando la valigia. – Come ci aveva richiesto, abbiamo portato l’occorrente per trasferirci qui, signor Kuchiki – aggiunse il “signore” con un certo sforzo: era la prima volta che dava del lei a una persona così giovane.
- Quella cos’è? – chiese il padrone di casa, indicando la borsa contente la chitarra di Ichigo.
- Vede, signore, io suono la chitarra e se per voi non è un problema io l’avrei portata con me -.
Il signor Kuchiki chiuse gli occhi. – Potrete suonare solo il pomeriggio, dopo pranzo dalle due alle cinque. Se riuscirai a trovare il tempo, naturalmente -.
Ichigo strinse i denti, infastidito, ma annuì.
- Molto bene – ribatté Byakuya, girandosi per tornare alla villa. – Vorrei iniziare ad esporvi i vostri compiti – disse.
Il trio lo seguì e Ichigo lanciò uno sguardo al giardino, notando l’erba verde e svariati alberi.
- Il vostro periodo di lavoro, come già detto, va a partire da ora, 2 Maggio fino al 31 Agosto. Lavorerete dalle otto del mattino alle sette di sera. Dopo tale orario, potrete trascorrere il tempo come meglio credete. Vi darò una chiave per aprire cancello e portone. Se non passerete la notte alla villa, non è un mio problema, ma dovete essere sempre, e dico sempre, puntuali. Il vostro giorno libero e la domenica e se ne volete uno di permesso dovrete chiedere con due giorni di anticipo. Avrete trenta giorni di permesso -.
Ichigo notò il fastidio di Grimmjow sentendo la voce annoiata di Byakuya, e gli diede una gomitata, facendogli segno di calmarsi. Il padrone di casa non se ne accorse e continuò a parlare.
- Dovrete lavare a terra ogni due giorni, i vetri ogni giorno. Due volte alla settimana voglio che tagliate il prato e spuntiate gli alberi. Dovrete pulire anche il parcheggio esterno e lavare la mia automobile e quella di mia sorella. All’interno della villa abbiamo molti lampadari, che vanno puliti tre volte alla settimana. I camini si trovano in ogni stanza e dovrete pulirli una volta alla settimana. Starà a voi cucinare tre pasti al giorno. La colazione va servita in camera -.
Intanto il gruppo raggiunse il portone di casa e Byakuya spinse la porta per lasciarli entrare.
I tre si tolsero le scarpe, superarono l’anticamera ed entrarono nell’ingresso.
Ichigo deglutì, vedendo l’interno della casa. La villa aveva pavimenti in legno scuro, lucidissimi. Al soffitto erano appesi due lampadari di cristallo, che illuminavano vari quadri appesi alle pareti, che ritraevano persone e paesaggi. Per terra c’erano tappeti finemente tessuti e davanti a loro c’era una grande scalinata che conduceva al secondo piano, seguita da un’altra che portava al terzo, entrambe in legno, come i corrimano.
Alla loro destra c’era un camino in marmo grigio e una libreria piena zeppa di vecchi tomi rilegati in cuoio.
A sinistra e a destra si aprivano due stanze.
Il soffitto era alto e adornato con mosaici perfetti. Ai lati della porta c’erano tre finestre per lato
Byakuya fece segno loro si seguirli. – La paga, come già discusso, è buona. Questo – disse, facendoli entrare nella stanza a sinistra, - è il salone -.
Il salone era una stanza di dimensioni colossali. Il pavimento era sempre in legno ma non c’erano tappeti. Le finestre si trovavano sul tutto il lato sinistro: erano enormi e la luce del sole illuminava la stanza. C’erano pesanti tende di velluto bianco e rosso, un enorme tavolo di vetro con sopra un mazzo di fiori in un vaso, un camino di dimensioni incredibili, due librerie e svariati lampadari. Inoltre, c’erano sedie imbottite e in un angolo tre poltrone nere e un tavolino con sopra una scacchiera di vetro. Ovunque c’erano statuine e miniature di ceramica.
Il lato destro della stanza era coperto da arazzi o vasi appesi al muro.
Il trio rimase senza fiato, di fronte alla grandezza della stanza.
Byakuya li portò in giro per la casa, mostrando loro tutto il primo piano che comprendeva l’ingresso, il salone, due salotti, un bagno e una cucina. Il piano terra affacciava sul giardino tramite una mansarda in legno scuro. Il giardino presentava vari alberi di ulivo, tre laghetti con dentro carpe e trote, due pozzi, un tempietto, varie amache e altalene. Era illuminato da alti lampioni e una stradina di pietra partiva dalla mansarda e percorreva tutto il giardino.
Proseguirono la visita passando al piano superiore.
Ogni tanto il padrone di casa indicava loro un dipinto o una lampada, dicendo loro quando, dove e come era stato fatto, oppure diceva loro di fare particolarmente attenzione a pulire bene questo o quello.
Il piano superiore era composto da due bagni, tre camere da letto e uno studio. In tutte le stanze c’era un camino e minimo un tappeto.
Byakuya indicò una porta, che si trovava alla fine del corridoio di destra. – Questa è la camera di mia sorella – disse, abbassando la voce. – Dorme ancora. Prima di entrare in qualsiasi camera dovrete bussare e chiedere il permesso, ricordate. Quella – e indicò la camera sul corridoio di fronte, - è invece la mia camera e la mia camera è collegata allo studio, la porta accanto. Vi vieto di entrare nello studio e, mi raccomando, in camera mia c’è una collezione di spade antiche a cui dovrete prestare molta attenzione -.
I tre, sfiancati per il giro e il peso delle borse, annuirono leggermente.
Salirono, finalmente, al piano superiore, dove c’erano le loro stanze più due bagni e un ripostiglio. Di fronte alla scalinata c’erano due finastre che illuminavano le scale.
- Potete lasciare qui le vostre cose – disse Byakuya, indicando le stanze. – Ora sono le undici e dodici… il pranzo va servito all’una e quindici. Dovete servirci con o antipasto, primo e dolce o primo, secondo e frutta. Vi avviso che tra due giorni organizzeremo una festa in onore del mio compleanno: per quell’occasione voglio un banchetto completo, ma sarete aiutati da cuochi e altri maggiordomi che chiamerò per l’occasione.
- Per lavorare vi chiedo di indossare la divisa che troverete all’interno. Dentro gli armadi troverete altre divise identiche. Se la taglia non dovesse andarvi troverete altre divise nel magazzino. Potrete indossare i vostri abiti quando dovrete tagliare il prato o pulire i camini, per evitare di sporcare le divise. Ci sono domande? -.
Ichigo vide Grimmjow aprire la bocca e si affrettò a zittirlo con una gomitata, per evitare quella che sarebbe di certo stata una domanda poco cortese. Aveva notato che l’amico aveva più volte sbadigliato durate il giro o si era fermato a giocherellare con le miniature posate sulle mensole, ricevendo in cambio sguardi minacciosi dal padrone di casa.
- Mangeremo sempre prima di voi, giusto? – chiese Ulquiorra, tranquillo.
Byakuya annuì. Attese altre domande, ma non c’è ne furono. – Bene – disse, facendo un passo indietro. – Vi lascio. Sarò nel mio studio. Chiamatemi per il pranzo – così dicendo scese al piano sottostante.
I tre si scambiarono uno sguardo, si girarono, si guardarono di nuovo, ed entrano nelle loro stanze.
La camera di Ichigo era più piccola delle altre che aveva visitato. Il soffitto era basso, poiché era stato costruito un soppalco tra la stanza e il tetto della casa.
C’era un letto abbastanza grande già fatto, un armadio di legno, una stufa, un lampadario più semplice rispetto a gli altri, una cassettiera alla destra del letto con sopra una lampada e una libreria vuota. Si avvicinò alla finestra di fronte alla porta e osservò il panorama: riusciva a vedere in lontananza Karakura e il bosco che avevano attraversato quella mattina più vicino.
Aprì la finestra per far cambiare aria e poggiò la chitarra sul letto.
Sentì un rumore al piano di sotto, una porta aprirsi e un’altra chiudersi.
Sospirando, si sedette sul letto, che scricchiolò sotto il suo peso.
Non riusciva a credere che un povero diciottenne come lui fosse finito a fare il cameriere.
Quanto odiava Grimmjow!
 
 
 
ANGOLINO
Salve a tutti! Prima di tutto vi ringrazio per aver letto il primo capitolo. Spero abbiate gradito e se mai doveste trovare errori di alcun tipo, vi prego di dirmelo. Il capitolo è leggermente lungo ma spero di non avervi annoiato con la descrizione della casa, il prossimo sarà più movimentato! Ancora grazie.
Ciao ciao.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2. Primi disastri a villa Kuchiki. ***


POV ICHIGO
 
- Guardami! -.
Ichigo si voltò piuttosto scocciato verso Grimmojow che, naturalmente, era entrato nella stanza dell’arancione senza bussare, senza far caso al fatto che il povero Ichigo era ancora senza camicia. Si indicava con fare costernato lo smoking nero che costituiva la loro uniforme. La giacca scura copriva una camicia bianca, mentre il collo era cinto da una cravatta rossa. Portavano pantaloni neri muniti di cinte lucide e le scarpe erano le classiche scarpe di vernice da uomo e i calzini erano bianchi.
In effetti, l’amico era abbastanza ridicolo in quel completo.
Ichigo ridacchiò, chiudendosi la camicia. – Sembri un pinguino blu – costatò alla fine. Grimmojow non apprezzò la battuta e lo dimostrò tirandogli un pugno alla spalla. Ichigo gemette ma non smise di ridere, cosa che fece imbestialire ancora di più l’altro, che gli assestò un calcio sugli stinchi. Ichigo evitò il colpo ed era sul punto di rispondere con un montante, quando Ulquiorra entrò in stanza, schiarendosi la voce.
L’arancione squadrò il moro con occhi stupefatti. Il completo era fin troppo grosso per lui e le maniche della giacca erano arrotolate per buona parte, così come i pantaloni.
La camicia era infilata maldestramente nei pantaloni e la giacca arrivava fino a metà coscia. Le scarpe, anche quelle troppo grandi, lasciavano intravedere una parte di tallone ogni volta che il ragazzo faceva un passo, lasciando intendere che non portava i calzini.
Grimmojow tacque per un secondo. – Sembri proprio uno zombie – disse, dopo un attimo di silenzio. Ichigo trattenne le risate, ma Ulquiorra non sembrava particolarmente offeso. Anzi, fece spallucce.
- E tu sembri un pinguino blu – rispose Ulquiorra, indicando Grimmojow. A quel punto Ichigo scoppiò a ridere, vedendo una vena pulsare sulla fronte lucida di Grimmojow. L’azzurro saltò letteralmente addosso a Ulquiorra, che si spostò con molta calma, mentre Grimmojow si schiantava con molta poca grazia contro il passamano davanti alla porta.
- Vogliamo andare? – chiese Ulquiorra senza scomporsi, mentre l’azzurro alle sue spalle si massaggiava dolorante il naso imprecando contro l’altro.
Ichigo si mise velocemente le scarpe e insieme i tre scesero al piano di sotto. Scendendo, sentirono il suono dell’acqua che scorreva in bagno.
- Deve essere la sorella del signor Kuchiki… Rukia, se non mi sbaglio – disse Ichigo, indicando con un gesto la porta chiusa.
- Speriamo sia figa – commentò Grimmojow.
- Tu non avevi una fidanzata? – gli chiese Ulquiorra, dimostrando un minimo di attenzione per la prima volta in quella settimana.
- Figurati! Se Tatsuki sapesse quante corna le metto mi avrebbe già mollato da un pezzo! -.
- Hey! Ricorda che Tatsuki è mia amica, non dire certe cose con tanta leggerezza! – intervenne Ichigo. Odia sentire Grimmojow parlare in quel modo. Più di una volta aveva preso in considerazione l’idea di dire tutto a Tatsuki, ma tutte le volte che la vedeva con Grimmojow lei era così… felice, che proprio non ce la faceva a fare il guasta feste. Aveva deciso di lasciar passare il tempo, perché prima o poi sperava che tutto si sarebbe risolto anche senza il suo intervento.
- Che palle che sei! – esclamò Grimmojow. – Va bé, vorrà dire che te la lascio a te. Ti va bene così? Tanto io ho tante di quelle donne dietro! -.
Ichgio sbuffò e non rispose.
Arrivati al piano terra entrarono un attimo nel panico.
- Da che parte era? – chiese Ichigo, dubbioso.
Grimmojow alzò le spalle, poi si avviò a destra, senza pensarci.
Raggiunsero, però, il bagno.
- Proviamo la prossima camera – propose Ulquiorra, guidando il gruppo. E, invece, raggiunsero un salotto. Passarono in un'altra stanza, ma arrivarono in un altro salotto. A quel punto Grimmojow ringhiò. – Stupide case dei ricchi!! – gridò e fece per tirare un pugno a un quadro.
Ichigo sapeva che sarebbe successo, ma non si aspettava così presto. Come in un film, vide il pugno partire a rallentatore e si lanciò per evitare il disastro madornale. Il pugno di Grimmojow lo colpì all’altezza dei reni, lasciandolo disorientato per qualche secondo, steso a terra senza fiato.
- Ichigo, che fai? – gli chiese Grimmojow, mentre Ulquiorra, sedutosi vicino a lui, lo osservava, dimostrando un minimo di interesse per lui.
L’arancione mandò mentalmente a quel paese tutti e due e si rialzò a fatica.
Appoggiandosi al muro riuscì a tornare all’ingresso. Notò che Grimmojow si era leggermente calmato e tirò un sospiro di sollievo, anche se non riusciva ancora a camminare completamente eretto per il dolore al ventre.
- Ora andiamo a sinistra – decise l’arancione. Raggiunsero il salone, ma ora Ichigo aveva un’idea di dove fossero. E, infatti, superando il salone, raggiunsero la cucina.
Ichigo aveva quasi voglia di piangere, tant’era felice.
Entrando, osservarono ancora una volta la stanza, già visitata con il padrone di casa.
La cucina era molto moderna. C’erano due fornelli a microonde, un formo in acciaio e un frigorifero dello stesso materiale.
Al centro, c’era un tavolo in porcellana bianca e sette fornelli a parete di fronte la porta. Attaccate sopra i fornelli c’erano delle mensole in legno scuro con sopra mestoli, fruste e altri utensili simili, mentre su un'altra c’era una quantità incredibile di pentole di tutte le forme e dimensioni.
Vicino ai fornelli c’erano due spaziosi lavandini.
- E ora che si fa? – chiese Grimmojow, che aveva preso posto su uno dei quattro sgabelli vicino al tavolo da lavoro.
Ichigo ci pensò su: il signor Kuchiki aveva imposto delle regole per i pasti. Cercò di ricordarle: primo, secondo e frutta o antipasto, primo e dolce.
Mentre lui pensava, Grimmojow si era alzato e aveva iniziato ad osservare gli utensili da cucina, mentre Ulquiorra se ne stava seduto mogio mogio vicino al tavolo da lavoro.
- Direi che oggi potremmo fare primo, secondo e frutta, che dite? – chiese l’arancione, cercando la solidarietà degli amici. Grimmojow fece spallucce, troppo interessato ad osservare un batticarne in acciaio per prestare attenzione ad Ichigo, mentre Ulquiorra non parve nemmeno sentirlo, anche lui troppo occupato ad analizzare il tavolo in marmo.
Ichigo riuscì a reprimere l’istinto di tirare ad entrambi un pugno e si avvicinò furente al frigo. All’interno c’era di tutto: frutta di tutti i tipi, verdura di tutte le dimensione, carni di tutte le specie, pesci di tutti i colori. Ichigo deglutì, trovandosi di fronte a tutto quella roba. Rifletté su cosa cucinare: un piatto semplice ma apprezzabile.
- Che ne dici degli Onigiri? – chiese ad un tratto Ulquiorra, avvicinatosi a lui. Ichigo rimase stupito per la sua partecipazione e annuì. – Magari li facciamo al salmone – propose l’arancione, tirando fuori il pasce.
- Ci penso io – disse Ulquiorra, stupendo ancora di più Ichigo. Senza aspettare una risposta, Ulquiorra gli prese il pesce dalle mani e iniziò a cercare il riso.
- E per secondo che ne dite del Takoyaki? – chiese Grimmojow, che osservava ancora il batticarne.
Ok, Ichigo si sarebbe aspettato di tutto tranne che l’aiuto di Grimmojow.
- Vuoi pensarci tu? – gli chiese, dubbioso.
Grimmojow scosse il capo. – Tu pensa a fare il Takoyaki, io mi occupo del Tsukune - .
- Tsukune? – Ichigo alzò un sopracciglio: lo Tsukune era un piatto a base di pollo e altri ingredienti come l’uovo e la cipolla.
Grimmojow annuì e Ichigo non se la sentì di dissentire proprio ora che aveva trovato qual cosa con cui intrattenere l’amico. Con un alzata di spalle recuperò il pollo per lo Tsukune e del polipo per fare i Takoyaki, insieme agli altri ingredienti.
- Io prendo le pentole – propose Grimmojow e si avvicinò allo scaffale. Ichigo ormai non sapeva più cosa dire, troppo stupito per la partecipazione dell’amico.
Purtroppo per lui la calma durò poco.
Tanto per cominciare, Grimmojow fece cadere tutte le pentole dallo scaffale e ne tirò una contro Ulquiorra che aveva commentato freddamente la sua performance.
Iniziarono a cucinare, ma Ulquiorra bruciò il salmone che stava cuocendo. Grimmojow, intanto, aveva iniziato a battere il pollo per renderlo più morbido, ma il suo recondito istinto omicida aveva preso il sopravvento e quando Ichigo lo aveva fermato era troppo tardi: del pollo non restava che una poltiglia informe. Aveva mandato Grimmojow ad occuparsi dei Takoyaki ma un attimo dopo, Ulquiorra aveva bruciato di nuovo il salmone, ma questa volta anche la sua uniforme aveva preso fuoco.
Ichigo, preso dal panico, aveva riempito una pentola d’acqua e l’aveva svuotata sull’amico, lasciandolo fradicio e mezzo abbrustolito, mentre Grimmojow, piegato in due dalle risate, aveva sbattuto la pentola colma di riso che stava bollendo e aveva versato il riso per terra, imprecando perché si era bruciato la mano.
A quel punto si era levato un fumo sospetto dai Takoyaki e Ichigo non aveva potuto far altro che osservare le palline di polpo abbrustolire.
Alla fine, Ichigo aveva spedito Ulquiorra a cambiarsi  e Grimmojow a tagliare la frutta, dandogli però un coltello di plastica, mentre lui si occupava di tutto il resto.
Passò un’ora buona ad impastare, friggere, tagliare ed assaggiare ma, esattamente all’una e dieci, il pranzo era pronto per essere servito.
Ulquiorra, intanto, aveva apparecchiato la tavola e scelto il vino, che si trovava in una grande cassa in cucina.
Ichigo osservò stupefatto il lavoro dell’amico, notando la cura con cui aveva sistemato la tavola.
Sollevato e leggermente stanco, mandò Grimmojow a chiamare il signor Kuchiki, mentre lui andava dalla signorina.
Salirono insieme al piano superiore e raggiunsero le rispettive camere.
Ichigo si sistemò la cravatta e tolse un po’ di farina dalla giacca. Prese un bel respiro e bussò alla porta.
Una voce gli disse di entrare. Ichigo aprì titubante la porta ed entrò.
Davanti a lui c’era un’enorme finestra che dava sul giardino. Per un attimo rimase accecato dalla luce del sole e solo dopo qualche attimo mise a fuoco la stanza.
La camera era molto semplice: c’era un letto a baldacchino, un armadio di legno chiaro, un tavolo appoggiato al muro di fronte al letto. Per terra c’era un tappeto bianco e la stanza vantava un enorme lampadario di cristallo.
Seduta davanti alla finestra, c’era una ragazza.
Ichigo fece un passo avanti e si inchinò. – Signorina Kuchiki, il pranzo è pronto – disse, con voce ferma. La ragazzetta si alzò. Ichigo notò che non era molto alta, nonostante il padrone di casa gli avesse detto per telefono che aveva la loro età. Nonostante ciò, la ragazza vantava un corpo magro e snello. Lei si girò verso di lui, e Ichigo la osservò in volto.
Rukia Kuchiki gli si avvicinò. Aveva i capelli neri tagliati fino alle spalle, mentre un ciuffo ribelle le attraversava il volto magro.
Gli occhi erano azzurri e Ichigo rimase per un attimo senza fiato, osservandoli. Le curve non erano molto accentuate e il seno, coperto da una maglietta chiara, non era prosperoso. Le gambe erano invece coperte da una gonna azzurra che le arrivava al ginocchio.
Ichigo pensò che non era esattamente una “figa”, come l’avrebbe chiamata Grimmojow. La signorina Kuchiki si presentava di più come una bambina, se non fosse stato per quegli occhi chiari e profondi, che scrutavano tutto con una freddezza innaturale.
- Tu sei il nuovo domestico? – gli chiese Rukia.
- Sono Kurosaki Ichigo, madame – si presentò Ichigo, inchinandosi di nuovo. Si sentiva fuori luogo e leggermente ridicolo. E, infatti, sentì Rukia ridere.
Alzò lo sguardo su di lei e arrossì. – Cosa c’è di divertente? – le chiese, senza riuscire a trattenere un tono offeso.
La mora sorrise. – Abbiamo la stessa età, non c’è bisogno che mi chiami “madame” – gli disse, divertita.
- Non posso chiamarvi per nome – le ricordò lui. Era incuriosito da quella ragazza.
- Allora andrà bene “signorina Kuchiki” – accordò Rukia.
Ichigo fece un mezzo inchino. – Come volete, signorina – disse, lanciandole uno sguardo d’intesa.
Rukia annuì, come a volersi complimentare con lui. – Ora scendiamo – propose Ichigo. Le aprì la porta e attese che fosse uscita prima di seguirla fuori.
Arrivarono in salone, dove avevano apparecchiato il tavolo, e lì trovarono il signor Kuchiki già seduto a capotavola.
Rukia si avvicinò alla sedia di fronte al fratello e Ichigo, da bravo maggiordomo, l’aiutò a sedersi.
- Iniziamo? – chiese lei. Ichigo notò che aveva cambiato tono di voce, e anche gli occhi erano improvvisamente più freddi, anche se poteva notare una luce brillare, come una luce calda che illumina un cielo scuro e freddo.
L’arancione fece un altro inchino e si diresse in cucina.
Il pranzo fu servito senza intoppi. Grimmojow non fu mandato a servire i piatti, ma rimase in cucina. Ichigo temeva che avrebbe combinato qualche guaio se avesse servito al tavolo e così aveva lasciato che Ulquiorra lo aiutasse.
Fratello e sorella non si scambiarono una parola per tutta la durata del pasto, che fu incredibilmente silenzioso, soprattutto se paragonato ai pasti in casa Kurosaki, dove non c’era un attimo di silenzio.
Alla fine del pranzo il signor Kuchiki si ritirò nel suo studio e Rukia andò in giardino.
I tra maggiordomi si occuparono di lavare i piatti.
- Oh – disse il signor Kuchiki prima di salire. – Oggi, essendo il vostro primo giorno, potrete passare la giornata come volete. Ma domani dovrete lavare le finestre di tutti i piani, pulire i lampadari di tutte le stanze, lucidare il passamano e i pomelli e spuntare l’erba del giardino. Inoltre vorrei che uno di voi domani mattina andasse in paese per comprare ciò che avete utilizzato oggi per pranzo e ciò che utilizzerete per cena. Chiaro? -.
Ichigo annuì e fece un inchino, imitato dagli altri due. Sentì Grimmojow imprecare vicino a lui ma non poté dargli torto: pulire così tante cose in un solo giorno significava lavorare tutta la giornata e poi dovevano anche preparare i pasti. L’unica cosa positiva era la possibilità di andare in paese.
Passarono il resto della giornata nelle loro camere, per disfare le valige. Ichigo riuscì a suonare per un paio d’ore, poi si affacciò alla finestra. La sua camera dava sul giardino e notò che la signorina Kuchiki era ancora fuori, seduta su un’altalena.
Rimase ad osservarla per un po’, poi Rukia entrò in casa.
La cena doveva essere servita alle otto e mezza aveva detto loro il signor Kuchiki, così alle sette avevano iniziato a cucinare, anche se per meglio dire Ichigo iniziò a cucinare, perché Grimmojow era rimasto in camera per il dolore alla mano scottata e Ulquiorra stava apparecchiando la tavola.
I due andarono a chiamare i padroni di casa, ma Rukia riservò ad Ichigo un’accoglienza molto più fredda rispetto a quella mattina.
La cena si svolse come il pranzo e non venne proferita parola durante tutto il pasto.
Alla fine della cena Ichigo e Ulquiorra lavarono i piatti, spensero le luci e andarono nelle loro camere.
Ichigo rimase molto tempo a pensare alla strana atmosfera della casa: il silenzio pesante tra i due Kuchiki, lo strano comportamento di Rukia.
Non riusciva a capire perché ci fosse tutta quella tensione tra loro e decise che, dopo tutto, non erano fatti suoi.
Così si cambiò, si infilò nel letto, lesse un manga e alle undici e mezza spense la luce, cercando di non pensare a ciò che avrebbe dovuto fare il giorno successivo.

ANGOLINO 
Vi chiedo immensamente scusa per tutto il tempo che ci ho messo a publicare!! Ho avuto il mio da fare durante la settimana scorsa e non ho trovato il tempo per scrivere. 
Comunque, anche questo capitolo è andato! Spero vi piaccia e aspetto vostri consigli o critiche! 
Ciao ciao

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Capitolo 3
*** Capitolo 3. Complimenti. ***


POV GRIMMOJOW
 
Grimmojow era ancora immerso nel mondo dei sogni, quando Ichigo entrò nella sua stanza.
- Alzati, pinguino! – gli gridò l’arancione. – Oggi abbiamo un bel po’ di lavoro da fare quindi non hai tempo per poltrire! -.
Grimmojow rispose con uno sbuffo ma non si alzò dal letto. – Che ora è? – chiese l’azzurro.
- Le nove e mezza, muoviti! -.
– Va a chiamare lo zombie – disse Grimmojow, coprendosi le orecchie con il cuscino.
- Ulquiorra è già sveglio; l’unico ancora a letto sei tu, accidenti! – sbraitò Ichigo, spazientito.
L’azzurro sbuffò di nuovo: non aveva proprio voglia di lavorare quel giorno. Sentì Ichigo sospirare, poi un silenzio sospetto. Sorrise soddisfatto della sua vittoria e stava per ritornare nel mondo dei sogni, quando sentì due mani afferrargli il fianco sinistro.
- Merda… - mormorò, perché sapeva fin troppo bene cosa sarebbe successo. E, infatti, Ichigo lo spinse con forza giù dal letto. Grimmojow atterrò con uno schianto per terra e riuscì a mala pena a trattenere un grido di dolore, dato che aveva sbattuto la testa contro lo spigolo di quel maledettissimo mobile vicino al letto. Sentì, logicamente, Ichigo ridere, mentre lui giaceva dolorante per terra, tenendosi la testa che pulsava in maniera sospetta.
- Che cazzo, Ichigo! – gli gridò, rialzandosi. – Che accidenti fai, deficiente?! -.
- Su, non fare la vittima, ora! – lo rimproverò Ichigo, che ancora rideva. – Sapevi che l’avrei fatto! - .
In effetti, l’arancione aveva ragione, ma questo Grimmojow non l’avrebbe ammesso mai, così si limitò a mormorare una bestemmia.
- A che punto siete? –. La voce monotona di Ulquiorra interruppe la serie infinita di male parole di Grimmojow, che ancora si stava esprimendo in tutta la sua cafonaggine.
L’azzurro stava per sparare una risposta molto poco cortese, quando Ulquiorra varcò la porta e Grimmojow non poté fare a meno di osservarlo stupito.
Il moro indossava l’abito da maggiordomo, solo che era della misura giusta. La camicia era infilata per bene nei pantaloni, le scarpe allacciate, il colletto della giacca sistemato, la cintura chiusa. La cravatta rossa era ben annodata
Grimmojow faceva fatica ad ammetterlo, ma Ulquiorra sembrava quasi… fico, vestito per bene.
- Che ti è successo, zombie? – gli chiese, recuperando il suo normale tono scontroso.
- Perché me lo chiedi? – domandò Ulquiorra con voce poco interessata.
- Hai un aspetto quasi umano! – rispose Grimmojow, ghignando.
L’altro osservò lo smoking e alzò le spalle. – Quello di ieri si è bruciato e Ichigo stamattina mi ha dato questo completo -.
- Ti sta a pennello – lo rassicurò Ichigo.
– Ora abbiamo due pinguini – considerò Grimmojow divertito, mentre prendeva dei vestiti dal mobile. - Solo che io sono molto più cool con lo smoking - .
- Si, certo, però ora muoviti – lo incitò Ichigo. – Dobbiamo lavare tutte le finestre della casa, oggi, nel caso te ne fossi dimenticato, per non parlare dei lampadari… abbiamo una giornata veramente tosta, oggi! -.
- Aah, taci! – sbuffò Grimmojow. – Non mi sono dimenticato, anzi: mi ricordo anche che uno di noi dovrà andare in paese. E, naturalmente, ci andrò io – concluse, mettendosi i pantaloni.
Ichigo alzò un sopracciglio. – E perché dovresti andare proprio tu? – gli chiese, gelido.
- Ma dai! Io devo sbrigare delle cose in città e, inoltre, devo vedermi con Tatsuki -.
- Cos’è, ora ti importa di lei? – gli chiese Ichigo sprezzante.
Grimmojow ghignò. – Avere una fidanzata fa comodo ogni tanto; e poi Tatsuki ea così contenta quando le ho detto che oggi ci saremmo incontrati! Non vorrai deludere la tua migliore amica, vero? -.
L’azzurro sapeva che Ichigo avrebbe ceduto se avesse tirato in ballo Tatsuki e, infatti, l’arancione strinse i denti e sbuffò con aria sconfitta.
- A che ora vai? – gli chiese Ulquiorra.
- Tra poco – rispose Grimmojow mentre cercava di allacciarsi la cintura; - ho appuntamento con Tatsuki tra un’ora a casa sua -.
- A casa sua…? – si intromise Ichigo, attento.
L’azzurro rise. – E secondo te perché ci vediamo? Per fare due chiacchiere? -.
Ichigo tacque, ma arrossì visibilmente. Grimmojow ridacchiò. – Sei proprio un ragazzino, Kurosaki -.
- Ehy, al massimo sei tu un pervertito! – ribatté Ichigo, punto sul vivo.
- Vedila un po’ come ti pare – disse Grimmojow.
- Torni per pranzo? – gli chiese ancora Ulquiorra.
- Si, si non ti preoccupare: non ci metterò molto a scoparme… -.
- Abbiamo capito! – lo interruppe Ichigo alquanto imbarazzato.
L’azzurro si infilò una camicia azzurra, allacciò le scarpe, controllò i capelli e uscì di casa.
- Non fare tardi, maledetto! – lo ammonì Ichigo dalla porta.
- Tu pensa alle finestre, signorina! – rispose Grimmojow acido, prima di uscire nel grande spiazzo della villa.
Si avviò con passo lento lungo il sentiero lungo e tortuoso che portava a Karakura. Gli piaceva camminare, soprattutto per quella stradina malandata; intorno a lui si alzavano alberi di tutte le altezze e le forme. Il sole estivo era coperto dai rami e solo pochi raggi riuscivano a passare il tetto di foglie. Il silenzio era interrotto solo dal suono di tanti piccoli uccelli che cantavano già di prima mattina. Quando camminava si sentiva… felice, tranquillo. Tanto per rovinare l’atmosfera, si accese una sigaretta.
Lui aveva questa logica leggermente masochista: distruggeva tutto ciò che gli piaceva o che lo faceva stare bene.
Un posto, come il bosco; una persona, come Tatsuki. Distruggeva tutto, perché legarsi a un posto o ad una persona comportava dolore assicurato. Sapeva che quella foresta, prima o poi, sarebbe stata abbattuta, quindi lui non faceva altro che accelerare il processo; sapeva che Tatsuki prima o poi si sarebbe stancata di lui, quindi lui la tradiva, perché se era lui a tradire era certo che non avrebbe sofferto quando lei lo avrebbe lasciato.
Non gli piaceva stare bene perché sapeva che nulla e per sempre; la felicità non dura a lungo, ma viene presto a mancare, sostituita dal dolore. E lui non voleva essere felice a queste condizioni.
Fece un bel respiro ed ispirò tutto il fumo che poteva. Anche quella sigaretta aveva un significato: lui si odiava. Odiava il fatto che si amava: temeva che, prima o poi, si sarebbe tradito da solo.
Era una paura strana, insensata; non aveva mai parlato di questa cosa con nessuno: pensava che nessuno lo avrebbe compreso a fondo, temeva che gli altri gli avrebbero riso dietro, se avesse detto una cosa così stupida.
E proprio perché si amava si distruggeva fumando, bevendo, drogandosi e andando dietro alle puttane. Perché quando era ubriaco riusciva ad odiarsi un po’ di meno; quando si bucava sentiva di essere vivo, quando fumava sapeva che si stava facendo del male, ma non gli importava. Quando una donna gli sussurrava nell’orecchio che “cazzo, aveva proprio un corpo stupendo”, si convinceva che era davvero così. Ma poi tutto finiva: la droga perdeva il suo effetto, la donna se ne andava dopo avergli fottuto il portafogli e lui ripiombava giù, sulla Terra, e si odiava per quello che aveva fatto.
Pensava a sua madre, morta di cancro ai polmoni; pensava a suo padre, che era stato lasciato da sua madre perché lei lo aveva beccato a letto con una lucciola e aveva paura; paura di essere lasciato solo a morire. E, a quel punto, pensava a Tatsuki. Pensava a Tatsuki e si sentiva meglio. Chiamava Tatsuki con il telefonino e quando sentiva la sua voce risuscitava e il mondo non gli sembrava più così terrificante. Faceva l’amore con Tatsuki (anche se lui ancora si ostinava a chiamarlo “sesso”) e i colori del mondo tornavano.
Ma lui non poteva essere felice, perché avrebbe sofferto, quindi distruggeva.
 
Arrivò a Karakura dopo circa venti minuti: aveva corso per buona parte del tempo e arrivò in città ansimando. Guardò l’orologio sul cellulare: le dieci e un quarto. Aveva un altro quarto d’ora per raggiungere casa di Tatsuki.
Si avviò per le strade strette della città, guardandosi in torno con aria menefreghista. Notò che molte ragazze, come al solito, si voltavano verso di lui quando passava e non poté fare a meno di ghignare, soddisfatto.
Dopo tutto, lui era piuttosto fico: la camicia azzurra leggermente aperta che lasciava immaginare il fisico muscoloso, i jeans attillati blu scuro, le scarpe bianche e una sigaretta in bocca, perché ne aveva accesa un’altra non appena la prima era finita.
Arrivò a casa di Tatsuki alle dieci e mezza precise e bussò alla porta della sua ragazza. Tatsuki viveva da sola in un piccolo appartamento nella zona più o meno benestante della città, vicino a un grande centro commerciale.
Sentì una voce gridare “Arrivo!” e dopo qualche secondo Tatsuki aprì la porta.
Grimmojow sorrise malizzioso, buttando sul pavimento lurido il mozzicone della sigaretta e si concesse un attimo per osservarla: i capelli neri lunghi, gli occhi marroni, che nella loro semplicità lo attraevano e incantavano, il fisico asciutto, in quel momento coperto solo dall’intimo.
Per un attimo quella visione gli parve celestiale e si sentì il ragazzo più fortunato del mondo. Poi si riprese.
- Ciao Grimmojow – lo salutò lei. Tatsuki non era certo una ragazza molto femminile: si notava che era imbarazzata senza vestiti. Dopo tutto Grimmojow non le aveva mai fatto un complimento da quando si conoscevano e lei non sapeva se lui apprezzasse davvero il suo corpo.
- Cazzo, sei già pronta a scopare, eh? – le chiese lui con tono da vero stronzo. Lei arrossì ma annuì, abituata ormai al linguaggio scurrile dell’azzurro.
Grimmojow sapeva che Tatsuki non si sentiva a suo agio così scoperta ma si trattenne dal confortarla e mantenne la sua maschera menefreghista. Fece un passo verso di lei e la vide sorridere. Dopo tutto, Tatsuki era felice di stare con lui.
Grimmojow le mise le mani sui fianchi e la spinse dentro l’appartamento, chiudendo la porta con un piede. La bloccò contro il muro e la guardò negli occhi, leggendo desiderio in quelli di lei. Per un secondo rimase fermo, beandosi del profumo dolce di Tatsuki che lo avvolgeva, poi la baciò.
E, in quel momento, il mondo si fermò solo per loro. Grimmojow cerò di farle capire tante cose con quel bacio: che la trovava bellissima, che non poteva fare a meno di lei e che le chiedeva scusa. Scusa per tante cose che aveva fatto e che avrebbe fatto. E Tatsuki un po’ riusciva a capire quello che lui voleva dirle, o almeno così sperava Grimmojow. Si illudeva che lei lo avrebbe compreso e perdonato.
Lei strinse le braccia intorno al collo di lui e Grimmojow fece scendere una mano a toccarle il sedere, mentre con le labbra le mordicchiava l’orecchio.
Si spinsero fino al letto e Grimmojow ringraziò che la casa di Tatsuki fosse piccola.
L’appartamento comprendeva solo quattro stanze: salotto, cucina, bagno e camera da letto e tutte le camere erano di dimensioni molto ridotte. Nonostante ciò Tatsuki aveva reso la casa molto accogliente, addobbandola con foto, quadri e tappeti.
I due si stesero lentamente sul letto e Grimmojow si sfilò la camicia. Tatsuki passò le mani sul petto nudo di Grimmojow e lui sorrise soddisfatto: adorava le carezze. Era un suo punto debole che conosceva solo Tatsuki.
Con una mano Grimmojow le prese il viso e riprese a baciarla, mentre con l’altra le sganciò il reggiseno, passando poi entrambe le mani sui suoi seni morbidi. Si mise sopra di lei e le baciò il collo, mentre lei gli accarezzava dolcemente la schiena.
Grimmojow scese sui seni e la sentì sospirare. Le mordicchiò gentilmente i capezzoli e Tatsuki ridacchiò.
- Che c’è? – le chiese, senza smettere di torturarle il seno.
- Devi farti la barba – gli consigliò lei. – Mi fai il solletico -.
Grimmojow sorrise e le accarezzò la pancia piatta.
- Mi sei mancato – gli sussurrò Tatsuki, passandogli le mani tra i capelli.
- Lo so – rispose Grimmojow.
Passarono molto tempo a letto, sospirando e gemendo. Grimmojow fece tutto con calma, beandosi di ogni attimo, ogni sensazione. Il corpo nudo di lei sotto il suo, i corti sospiri che uscivano dalle labbra arrossate di entrambi.
Alla fine si stesero sul letto, stremati e appagati. Tatsuki si strinse a Grimmojow, poggiando la testa sul suo petto. Lui le accarezzò la schiena leggermente sudata e chiuse gli occhi, sentendo il calore emanato dal corpo di lei riscaldarlo.
Pensò che avrebbe voluto restare steso con lei per sempre.
- Com’è andata la prima giornata di lavoro? – gli chiese lei, dopo un po’.
- Quei tipi sono degli snob esagerati – rispose lui. – Hanno una casa enorme… e poi ci fanno lavorare come dei pazzi -.
- State dando una mano a Ichigo, vero? – domandò lei. – Non gli starete mica facendo fare tutto il lavoro mentre voi poltrite, spero -.
- Hai poca fiducia in me – la rimproverò lui, anche se Tatsuki c’aveva azzeccato: solo il giorno precedente aveva rischiato di rompere un quadro e massacrare un povero pollo. Scosse la testa e sorrise.
- Perché ti conosco fin troppo bene – rispose lei.
- Donna di poca fede – ribatté lui.
Tatsuki rise. – Bé, intanto tu sei qui a chiacchierare con me mentre i tuoi amichetti stanno sgobbando alla villa -.
- Non mi sembravi così dispiaciuta per loro prima – disse Grimmojow seccato.
Tatsuki tacque per un attimo. – E questa Rukia Kuchiki com’è? – domandò dopo un attimo. – In città tutti dicono che sia una ragazza bellissima -.
- Non è niente di che – disse lui, ricordando la ragazza piatta e senza culo.
- Non mi devo preoccupare, quindi? -.
Grimmojow rise. – Che sei gelosa? -.
Tatsuki arrossì. – Mi sembra logico: non vorrei che tu mi tradissi con una riccona del cavolo -.
Grimmojow si morse la lingua: se Tatsuki avesse saputo…
Le palpò leggermente il sedere e rise. – Oh, bé, puoi stare tranquilla: il tuo culo è molto più bello del suo -.
- G-Grimmojow! – balbettò lei, dandogli uno schiaffetto sulla mano.
- E poi dici che non ti faccio complimenti! – ribatté lui, offeso.
Lei alzò gli occhi per incrociare il suo sguardo. – Dirmi che ho un bel culo non è proprio la cosa più romantica del mondo – gli fece presente.
Lui sbuffò e distolse lo sguardo. – Non è che tu me ne faccia molti di più -.
- Ma se hai sempre detto che non ti importano le mie lusinghe! – rispose lei, sorpresa.
Grimmojow stinse i denti: non sapeva come ribattere. Poi la sentì ridere e la guardò.
Tatsuki giocherellò per un po’ con il lenzuolo, poi si schiarì la voce, rossa in viso. – Mi piace il tuo petto forte – sussurrò, imbarazzata. – Mi piacciono le tue labbra carnose, vorrei poterti baciare tutto il giorno, i tuoi capelli azzurri che ti rendono così diverso dagli altri. Hai degli occhi bellissimi e un corpo da dio. Stare senza di te mi uccide. Mi mancano sempre le tue battutine da pervertito, i tuoi commenti acidi. Mi mancano le tue mani sulla pelle e la tua bellissima risata quando ridi davvero. E anche tu hai un bel culo – concluse ridendo.
Ma Grimmojow non sorrise. Guardava Tatsuki con li occhi sbarrati; sentiva il cuore battere forte e il sangue salirgli al viso. Non riusciva a credere a ciò che aveva sentito, ma una strana sensazione lo stava riempiendo. Si sentiva caldo, bollente.
- Devo andare – mormorò alla fina, cercando di riprendersi. Si alzò a sento dal letto e rischiò di cadere quando si mise in piedi.
- Ma, Grimmojow, aspetta – disse Tatsuki, pentendosi delle sue parole.
Si alzò anche lei dal letto e gli prese la mano. Ma lui la spinse indietro. – Devo andare! – gridò, in preda al panico.
- Perché?! Io non volevo… - Tatsuki si bloccò di colpo, come se non riuscisse a capire per cosa si dovesse scusare esattamente.
Grimmojow approfittò del suo silenzio per infilarsi boxer e pantalone. Prese a volo la camicia sotto lo sguardo smarrito della ragazza.
- Dove vai…? – gli chiese lei con un sussurrò.
Lui non rispose. Si mise le scarpe senza allacciarle. Sussurrò un “Ti chiamo io” e uscì dall’appartamento, lasciando Tatsuki sola e triste.
 
Grimmojow non sapeva dove andare. Vagava per Karakura senza meta. Alla fine si ritrovò nel bosco che portava a villa Kuchiki. Si inoltrò tra gli alberi e si fermò sotto un grande albero.
Senza riuscire a trattenersi tirò un pugno alla corteccia dura della pianta. Poi colpì ancora e ancora, senza curarsi del dolore.
Non si accorse che una lacrima gli stava solcando il volto e non si accorse nemmeno di star tremando. Colpì e colpì, fino a quando le nocche non gli sanguinarono e le gambe gli cedettero.
Cadde a terra tremante e impaurito. Non sapeva cosa provasse: era un sentimento scuto, un dolore forte.
Poi lo riconobbe: consapevolezza. Si era finalmente reso conto di quanti errori aveva fatto. Ripensò alle parole di Tatsuki e un’altra lacrima scese. L’aveva tradita. Lei gli aveva detto tutte quelle belle parole e lui l’aveva tradita.
Ed eccolo lì, il dolore maledetto. Ripensò a quanto era stato felice quella mattina quando aveva visto Tatsuki nuda per lui e strinse i pugni.
Perché stava così male? Perché doveva esserci il dolore?
- Cazzo… - mormorò stringendo i denti. – Cazzo! -.
 
ANGOLINO
Emmm… insomma, sono ancora in ritardo! Scusatemi tanto, ma ho avuto molto da studiare in questi giorni: la scuola sta per ricominciare e io devo ripetere un bel po’ di roba. Comunque, eccoci qui! Spero che il capitolo vi sia piaciuto, nonostante tutto. 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4. Botte e annunci. ***


POV ICHIGO
 
Ichigo era stremato. Non aveva mai lavorato così tanto in tutta la sua vita, ne era certo.
Solo quella mattina aveva lavato tutte le finestre del primo e secondo piano, spolverato buona parte dei lampadari del primo piano e cucinato. In quel momento era seduto stremato su uno sgabello in cucina con le braccia allungate sul tavolo e la testa poggiata sul gomito destro.
Ulquiorra era al piano di sopra a pulire: il moro sembrava avere energie infinite. In effetti, pensò l’arancione, Ulquiorra era sempre stato molto diligente sul lavoro.
- Poltrisci, Kurosaki? -.
Ichigo si mise subito a sedere, riconoscendo la voce di Rukia Kuchiki.
Si alzò in piedi e vide la ragazza appoggiata allo stipite della porta che lo osservava divertita.
Fece un inchino. – Solo una leggera stanchezza, signorina -.
Rukia ridacchiò. - Se ti vedesse mio fratello non te la caveresti così liscia. Sei fortunato che sia uscito -.
Ichigo annuì, non sapendo come rispondere.
– Vedo che sei ancora leggermente in imbarazzo con me – constatò la ragazza, varcando la soglia.
L’arancione si schiarì la voce. – Non ci conosciamo per nulla, signorina. Mi sembra normale che io sia in imbarazzo – ribatté. Rukia alzò le spalle e si sedette su uno sgabello.
- Cosa posso fare per lei? – chiese Ichigo, servizievole. La ragazza gli rivolse uno sguardo pensoso. – Non ho bisogno di nulla… - rispose.
- E allora perché è qui? – le domandò l’altro.
- Te lo dico solo se ti siedi – propose Rukia sorridendo.
“Che bella” si disse inconsciamente Ichigo, arrossendo di colpo, rendendosi conto dei suoi pensieri.
Leggermente imbarazzato si sedette sullo sgabello di fronte a quello della ragazza.
- Così le va bene? – disse il ragazzo, sigillando in un angolo molto remoto della sua mente tutti i pensierini che si stava facendo su quella ragazza.
- Molto, grazie – gli rispose Rukia senza smettere di sorridere.
Ichigo deglutì.
“Cristo!” pensò, sistemandosi meglio sullo sgabello. “Mi sento come un tredicenne al primo appuntamento! Devo calmarmi: dopo tutto davanti a me non ho di certo una sventola tettona e super figa. Oooh, se mi vedesse Grimmojow si farebbe tante di quelle risate!”.
- C-c-comunque – balbettò Ichigo, dondolando le gambe. – Cosa ci fa lei qui, se ora posso sapere. O magari preferisce che io mi stenda per terra. Altrimenti c’è sempre la possibilità che io mi accovacci sotto al tavolo. A lei la scelta -.
Rukia rise e scosse la testa.
- Non fare lo scemo! – lo rimproverò. – E solo che… bé, mio fratello in genere non accetta mai domestici troppo giovani. Una delle sue tante fissazioni. Fatto sta che in genere i nostri domestici sono sempre stati dei vecchi noiosi e cadaverici. Solo quattro anni fa vennero quattro maggiordomi giovani… da allora solo vecchi! -.
- Vostro fratello deve essere semplicemente geloso di voi – suppose Ichigo. – Immagino che sia molto protettivo con voi -.
Rukia si irrigidì. – Bé, lo era. Fino a un anno fa. Poi è… cambiato. Sai, ha ottenuto un lavoro in una grande industria e non passa molto tempo con me: in genere sta sempre chiuso nel suo studio -.
L’arancione annuì. – E, se posso chiedere, i vostri genitori? Sono forse partiti? -.
- Oh, no. Mio padre e mia madre non vivono più con noi da moltissimo tempo, ormai. Loro viaggiano molto per lavoro, quindi non hanno tempo per noi. Così, sette anni fa, ci comprarono questa casa e ci lasciarono soli, in compagnia di un gran numero di domestici e badanti. Però per noi non è mai stato un peso, ansi! La nostra infanzia è stata una pacchia. Nostra madre è una donna molto apprensiva e, quando viveva con noi, ci impediva sempre di fare ciò che volevamo. Senza di lei a farci la ramanzina per ogni cosa siamo stati benissimo – concluse Rukia ridendo, senza accorgersi del sorriso triste di Ichigo.
L’arancione scosse la testa. Non avrebbe mai dovuto toccare quel tasto. E, come temeva, la seguente domanda di Rukia fu. – E tu, Kurosaki? Immagino che tua madre sia una rompiscatole come la mia! -.
Ichigo abbassò un attimo gli occhi, poi incontro quelli scherzosi di Rukia.
- Mia madre è…bé, ecco… lei è morta – concluse. E, come succedeva a tutti quelli a cui lo diceva, vide lo sguardo di Rukia cambiare. Le morì il sorriso sulle labbra e gli occhi si rattristarono. Poi sopraggiunse l’imbarazzo.
- Oh – mormorò la mora. – Io… mi dispiace molto -.
Ichigo sorrise. – Non fa niente: orami sono passati molti anni dalla sua morte -.
- Sì ma io ho detto quelle cose… -.
- Non contano: non sapevate nulla, non potevate immaginare – la interruppe. Poi ridacchiò. – Se mi aveste conosciuto prima, però, immagino che non sarei stato così tranquillo e ragionevole. Ero piuttosto aggressivo, subito dopo la morte di mamma. Penso che avessero un po’ tutti paura di me – concluse, ricordando le risse e gli sguardi che gli altri gli lanciavano.
Rukia non rispose. Trascorse un attimo di silenzio, poi Ichigo sentì la mano di lei stringere la sua, poggiata sul tavolo.
L’arancione alzò gli occhi sorpreso. Rukia gli strinse forte la mano.
La ragazza non disse nulla, ma Ichigo pensò che qualsiasi parola sarebbe stata superflua. Sentiva la mano calda di lei sulla sua e questo gli bastava.
Si guardarono a lungo. Si isolarono dal resto e si nascosero uno negli occhi dell’altro.
Quando suonò il campanello Ichigo sobbalzò. Ritornò alla realtà e ritirò la mano frettolosamente.
- V-vado ad aprire – balbettò, alzandosi. Si fiondò verso la porta e l’aprì di botto, ancora imbarazzato.
- Non ci credo… – disse una voce a lui familiare.
Confuso, Ichigo alzò gli occhi. Riconobbe subito, anche se un po’ diversa, la ragazza alla porta.
- Tu! – esultò la ragazza.
- Tu?! – gridò Ichigo, terrorizzato.
- Kurosaki! -.
- Inoue?! -.
Orihime Inoue lo guardava con occhi adoranti. I capelli arancioni lunghissimi erano legati ed agitati da una lieve brezza di vento e Ichigo non poté fare a meno di lanciare un’occhiata alla scollatura della camicetta della ragazza, stupendosi nel notare che il seno era cresciuto ancora, dall’ultima volta che si erano visti.
La ragazza indossava quella che sembrava una divisa da lavoro: una camicia bianca con il logo di un negozio sulla spalla destra e una mini gonna marrone cortissima. Ai piedi portava delle ballerine nere e lunghe calze bianche le coprivano le gambe fino al ginocchio.
Ichigo si rese conto che la sua parte animale trovava quella vista incredibilmente eccitante così si affrettò a distogliere lo sguardo prima che gli sanguinasse il naso.
- Che ci fai qui? – gli chiese Inoue raggiante.
Ichigo avrebbe voluto morire. – Io lavoro qui – le rispose titubante. – Tu, piuttosto? Non ci vediamo da quanto? Tre anni? -.
- Già – rispose Inoue, varcando la soglia. – Ne è passato di tempo… -.
- Inoue, sei tu? – chiamò una voce. E, con grande sollievo di Ichigo Rukia li raggiunse nella stanza.
- Rukia! – la salutò Inoue, saltandole al collo in un abbraccio mozzafiato. In quel momento la mini gonna si alzò pericolosamente e ciò permise a Ichigo una visuale completa delle mutandine (nere, notò Ichigo) della ragazza.
– Che bello vederti! – disse Inoue, mentre Ichigo, dietro di lei, si tappava il naso, che aveva iniziato a sanguinare nonostante tutto.
- Si… anche per me – ribatté Rukia, cercando di staccarsi di dosso l’altra.
- Non sapevo che il nuovo domestico fosse Kurosaki! – trillò Inoue, lasciando finalmente libera Rukia. Quest’ultima la guardo sorpresa. – Lo conosci? -.
- Oh, sì! Ci conoscemmo a scuola, al liceo. Eravamo nella stessa classe! – rispose la ragazza.
- Ichigo, vieni ad aiutar… - Ulquiorra, che stava scendendo le scale con lo strofinaccio in mano, si bloccò a metà della frase, vedendo Inoue all’ingresso.
- Orihime… – sussurrò, sorpreso. Ichigo deglutì.
- Ulquiorra! – lo salutò Inoue, correndogli incontro e saltandogli in braccio per abbracciarlo.
Ichigo lesse la sorpresa negli occhi dell’amico, poi sostituita dalla gioia non appena si ritrovò la ragazza tra le braccia. Quella gioia che solo Inoue sapeva dargli, e Ichigo lo sapeva bene.
- Che bello rivederti! – disse Inoue, schioccandogli un bacio sulla guancia.
- Che.. ci fai qui? – le chiese Ulquiorra, stringendola forte tra le braccia.
Inoue si staccò da lui e gli sorrise, facendo arrossire il moro.
- Conosco Rukia da un paio d’anni e sono venuta per il compleanno di Byakuya -.
Ulquiorra annuì. – Ma il compleanno è domani – le fece presente.
- Infatti stasera dormo qui! – rispose Inoue.
Ichigo strinse i denti. “No!” pensò. “Non può essere! Grimmojow darà fuori di matto, quando lo sapra!”.
- Approposito, Rukia! – continuò Inoue. – Possiamo andare un attimo in camera tua? Mi dovrei cambiare, sono venuta da lavoro e sono ancora in divisa -.
- Certo, ti accompagno – le disse Rukia, raggiungendola sulle scale.
- Torniamo subito! – li salutò Inoue prima di seguire Rukia.
I due ragazzi restarono immobili fino a quando non sentirono la porta della stanza di Rukia chiudersi.
- Lei che ci fa qui?! – gli chiese Ulquiorra a bassa voce, per non rischiare di farsi sentire.
- Non hai sentito che ha detto? Domani c’è la dannatissima festa di Byakuya… cazzo, cazzo! Non ci voleva proprio Inoue ora!-.
Improvvisamente Ichigo sentì la porta della villa chiudersi alle sue spalle e vide terrorizzato Grimmojow varcare la soglia.
La prima cosa che Ichigo notò fu il fatto che l’amico non avesse con se le buste della spesa. Poi notò che Grimmojow aveva i pantaloni sporchi di terra e le mani tagliate.
- Ehy – gli fece agitato, avvicinandosi. - Non indovinerai mai chi c’è qui! –.
- Non mi frega – rispose Grimmojow scocciato, superandolo.
“Strano” pensò Ichigo. In genere l’amico era felice dopo una mattina passata a scopare.
- Bé – continuò. – Te lo dico io: Orihime Inoue! -.
Grimmojow annuì leggermente, come se non gli importasse.
- Hai capito chi? – insistette Ichigo.
- Si, ho capito di quale puttanella stai parlando, Ichigo! – ruggì Grimmojow, scocciato, voltandosi minaccioso verso di lui.
Ichigo deglutì. Poi capì.
– Com’è andata con Tatsuki? – gli chiese.
Grimmojow sbuffò. – Che ti frega? – ribatté freddamente, punto sul vivo.
Ichigo alzò un sopracciglio. – Avete litigato? – domandò allora l’arancione, cercando di capire il motivo di tanta agitazione.
L’altro stinse i denti. – Ichigo, non sono cazzi tuoi – rispose con voce tremante per la rabbia.
- E lei che ti ha detto? – riprovò Ichigo. – E dai, dimmelo! Non dirmi che le hai fatto qualcosa o io t… -. Ichigo non poté finire la frase perché un pungo di Grimmojow alla tempia lo fece barcollare. Non era un pugno scherzose, come quelli che a volte l’amico gli tirava, ma un pugno vero, forte, che lo fece sbattere con la fronte contro una mensola appesa vicino. Ichigo si riprese nonostante il sangue ma Grimmojow gli tirò un altro pugno alla mascella per poi abbatterlo con un calcio allo stomaco. Ichigo si accasciò a terra, macchiando il pavimento pulito di sangue.
- Grimmojow! – gridò Ulquiorra, che si era tenuto in disparte sulle scale fino a quel momento. Il moro corse vicino ad Ichigo, ma Grimmojow lo bloccò con un calcio al petto.
Ulquiorra si piegò in due dal dolore, colto impreparato, e Grimmojow gli assestò un pugno sul naso, che scricchiolò, rompendosi. Ulquiorra crollò a terra dolorante.
- Cazzo! Ho detto che non sono fatti vostri, coglioni! Non rompete le… -.
- Che succede qui?! –.
Ichigo, steso a terra con la fronte che sanguinava, riconobbe la voce di Rukia e la vide scendere veloce le scale.
- Kurosaki! – lo chiamò preoccupata.
- Ulquiorra! – gridò Inoue, raggiungendo il moro.
Ichigo si mise a sedere e sentì la mano calda di Rukia prendergli il viso.
- La tua fronte – sussurrò.
- Che hai fatto, Grimmojow?! – urlò Inoue, attaccando il ragazzo che osservava la scena con espressione menefreghista.
- Sta zitta! – le urlò contro Grimmojow. – Che ne sai tu?! Vedi di non intrometterti, puttana! -.
Inoue si portò una mano alla bocca, stupita.
- Grimmojow!- lo chiamò Ulquiorra, scattando a sedere nonostante il dolore al naso. Gli occhi verdi e freddi si puntarono sull’amico, bruciandolo come fuoco ghiacciato. – Non osare mai più rivolgerti a lei così! -.
Grimmojow rise amaro. – Dopo tutto quello che ti ha fatto passare tu la difendi?! Sei un coglione! – gridò l’azzurro.
Ulquiorra non gli rispose ma incassò il colpo senza scomporsi. – Le mie ferite non sono problemi tuoi – gli rispose, imperturbabile.
- Ulquiorra… - sussurrò Ichigo, guardando sorpreso l’amico.
- Jaggerjack – intervenne Rukia, con tono perentorio che ricordò molto quello del fratello. La ragazza si alzò in piedi e si avvicinò a Grimmojow. La scena era quasi divertente: vedere quella ragazza minuscola tener testa a Grimmojow, un ragazzo alto e piantato.
- Vada subito nella sua stanza – ordinò minacciosamente; - stia certo che mio fratello verrà a sapere dell’accaduto e prenderà i dovuti provvedimenti. Ora, vada nella sua stanza e ci resti fino al ritorno di mio fratello -.
Grimmojow la osservò divertito. – Ma guarda che coraggio che ha la nostra signorina – disse, voltandole le spalle e avviandosi al piano superiore. – Sei fortunata: non picchio le donne… in genere – concluse con una risatina amara.
Rukia sospirò e ritornò da Ichigo, che si era alzato in piedi ed osservava Grimmojow salire le scale.
- Andiamo, ti devo medicare – gli sussurrò Rukia, prendendogli la mano.
- Vieni Ulquiorra – disse Inoue, mentre una lacrima le scendeva lungo il volto.
I quattro raggiunsero un salotto e Rukia si affrettò a recuperare le bene e l’acqua ossigenata.
- Porto Ulquiorra in bagno – li avvisò Inoue. – Si deve sciacquare il naso -.
Così dicendo, i due si allontanarono.
Ichigo si sedette su un divano e sospirò. Si accorse in quel momento che gli sanguinava anche la bocca. Provò a chiudere la bocca ma una fitta gli fece capire che non era il caso.
- Fammi vedere – gli disse Rukia, avvicinandosi e inginocchiandosi davanti a lui.
- Non è il caso – le disse; - posso fare da solo -.
- Sì, certo, ora apri la bocca – ribatté lei, senza ascoltarlo.
Ichigo fece un mezzo sorriso e aprì.
Rukai scrutò un attimo i denti del ragazzo. - Ti sei fatto un bel taglio sulla guancia destra – lo avvisò. Si ritirò un attimo e gli diede una bottiglina di medicinale. – Fai un sorso e tieni in bocca per un po’, ti prendo un bicchiere -.
Rukia si alzò e corse in cucina. Meno di dieci secondi dopo era di ritorno con un bicchiere di plastica.
- Grazie – mormorò Ichigo, prima di fare un sorso dalla bottiglia.
- Adesso la fronte -.
Rukia studiò il taglio attentamente, poggiando le mani sulle spalle si lui.
- Non ci vogliono punti di sutura, per fortuna, però domani dovrai tenerla bendata – gli disse.
- Mmm – rispose Ichigo, con la bocca ancora piena d’acqua.
- Ti farà un po’ male – lo avvisò Ruka, premendogli un pezzo di ovatta bagnato di disinfettante sulla fronte. Ichigo sussultò e sputò l’acqua nel bicchiere per evitare di ingoiarla.
- Ahi! -.
- Te lo aveva detto! – ribatté Rukia, ridendo.
Mentre lo fasciava, cadde il silenzio.
- Finito – disse alla fine la ragazza.
- Grazie… - Ichigo sospirò.
- Non dite a vostro fratello ciò che ha fatto Grimmojow, vi prego – le chiese, abbassando gli occhi. – Lui è meglio di così, ve lo giuro -.
- Va bene – rispose Rukia dopo un momento di dubbio. – Però che sia la prima e ultima volta che succede una cosa simile -.
Ichigo tacque per un attimo, poi sospirò – Immagino vogliate sapere cosa è successo con Inoue -.
Rukia scosse il capo. – Inoue non mi ha mai detto nulla, ciò significa che non vuole che io sappia del suo passato… non posso farmi dire tutto da te, sarebbe molto meschino -.
Ichigo la guardò ammirato. – Siete una bella persona – le disse senza riuscire a trattenersi.
Rukia scosse il capo. – No, non è vero… -.
Ichigo vide gli occhi di lei farsi più tristi.
Parla con me!
Questo avrebbe voluto dire, ma non lo fece.
- Invece si – sussurrò invece, prendendole la mano. Lei arrossì.
- Andiamo a vedere come sta Ulquiorra – propose Ichigo, alzandosi e lasciandole la mano.
 
Ulquiorra si era rotto il naso, ma non era quella la cosa che gli interessava. Il moro era ancora su di giri per le parole che Grimmojow aveva rivolto a Inoue.
Ichigo lo accompagnò in camera, gli disse di riposare e finì lui di pulire la casa.
Mentre puliva pensava. Inoue si era ripresentata dopo tutto quel tempo…
Ulquiorra era sempre stato molto legato ad Inoue.
I due si erano conosciuti tre anni prima. Lo stesso anno Inoue si era trasferita e Ichigo aveva perso ogni rapporto con lei. Nonostante ciò Ulquiorra non l’aveva dimenticata, Ichigo lo sapeva: quando Inoue era con Ulquiorra, il moro cambiava completamente e diventava più sensibile… più umano. Rideva, arrossiva e scherzava (sempre nei limiti del possibile, ovviamente).
Poi era successo un evento, ciò che aveva cambiato tutto. Ichigo provava dolore anche solo a ricordarlo.
L’arancione finì di fare le pulizie a sera tarda.
Erano circa le sette quando il signor Kuchiki rientrò e Ichigo si precipitò a cucinare la cena.
Rukia non si presentò a tavola ma Byakuya sembrò non notarlo.
Ichigo lo informo dell’arrivo di Inoue e il padrone di casa rispose con un “Mmm” poco interessato.
- Cosa avete fatto alla testa? – gli chiese improvvisamente, notando la benda.
- Io…- balbettò Ichigo. – Io… ho… sbattuto la testa lavando le finestre, niente di che, signore, non si preocc… -.
- Bene – lo interruppe Byakuya, alzandosi da tavola. – Domani alle nove verranno i cuochi, alle dieci i camerieri, alle due arriverà l’orchestra e alle quattro i giardinieri. Mi raccomando di far trovare tutto pronto. La festa inizierà alle sette e mezza, quindi vi prego di avvisare anche i vostri compagni di indossare l’uniforme bianca: si trova nel secondo cassetto del mobile insieme alle scarpe. Si ricordi – disse, uscendo dalla stanza. – Alle sette e mezza -.
- Si signor Kuchiki – rispose Ichigo, inchinandosi nonostante il fastidio.
“Questo tipo non mi piacerà mai” pensò.
Ichigo lavò i piatti, pulì la cucina, spense le luci e salì in camera.
Chiuse la porta e sfiorò la fasciatura tristemente. Chissà cosa era successo tra Grimmojow e Tatsuki? Voleva sapere, ma non poteva.
Si addormentò di botto, triste e stanco.
 
Il giorno dopo Ichigo passò la mattinata ad accogliere ospiti, aprire porte e stringere mani.
Ulquiorra era a letto a riposare e Grimmojow era già uscito quando Ichigo aveva bussato alla sua porta.
Per fortuna, Ichigo non dovette cucinare per pranzo dato che c’erano ben sette cuochi esperti di qualsiasi tipo di cibo, così il ragazzo approfittò del tempo che aveva per riposare.
Si inoltrò nel giardino della casa.
Vagò per una buona ora fuori, poi si sedette su un’altalena e rimase lì a pensare.
Alle tre rientrò e fece qualche servizio come spazzare o lucidare l’argenteria.
Rukia e Inoue rimasero chiuse in camera tutto il giorno, probabilmente per preparasi per la serate, così lui rimase da solo buona parte del pomeriggio con i camerieri che schizzavano a destra e a manca per poggiare vassoi, lucidare scaffali e addobbare la casa.
Alle due arrivarono puntualissimi i membri dell'orchestra e verso le quattro arrivarono i giardinieri che si diedero subito da fare per sistemare a dovere il giardino e Ichigo, non sapendo cosa farne di se stesso, salì da Ulquiorra.
Bussò piano alla porta ed entrò.
L’amico stava leggendo tranquillamente un libro e alzò subito lo sguardo su di lui.
- Come stai? – gli chiese Ichigo, sedendosi sul letto.
- Bene, non ti preoccupare – rispose l’amico. – Tu invece? Ho sentito molte volte il campanello oggi -.
Ichigo rise. – Camerieri, cuochi, giardinieri. Di sotto c’è una marea di gente! -.
Ulquiorra annuì e riprese a leggere.
Ichigo tacque per un attimo. – Che diremo a Grimmojow? – domandò Ulquiorra freddamente.
L’arancione ci pensò su un attimo. – Nulla – rispose e vide Ulquiorra alzare un sopracciglio.
- Ci ha pestai – gli fece presente il moro.
- Lo so, ma è meglio lasciarlo stare – ribatté Ichigo. – Chiaramente non vuole parlarci e noi ci atterremo alla sua decisione -.
- Sei sicuro? – gli chiese Ulquiorra, sempre leggendo.
- Sì, è meglio per tutti… -.
Erano ormai le sette quando Grimmojow tornò alla villa.
Ichigo lo vide entrare, fece un bel respiro e sorrise.
- Che fine avevi fatto? – gli chiese quando l’azzurro lo raggiunse sul pianerottolo del terzo piano.
- Io… - Grimmojow si bloccò e guardò con occhi colpevoli la fasciatura di Ichigo.
- Che hai? Sembra che tu abbia visto un fantasma! – lo smosse Ichigo.
I due si guardarono. Ichigo capì che all’amico dispiaceva, lo leggeva nei suoi occhi. E sapeva anche che Grimmojow gli stava chiedendo aiuto. Non lo diceva, non lo avrebbe mai detto, ma Ichigo lo sapeva. L’azzurro chiuse un attimo gli occhi, poi ghignò.
- Mi sa che mi è andata peggio: ho visto il tuo brutto muso, altro che fantasma! -.
- Ehy! Come siamo gentili! -. Improvvisamente Ichigo scoppiò a ridere e Grimmojow, dopo un attimo, fece lo stesso.
- Ben tornato – gli disse Ichigo, stringendogli il braccio con la mano.
L’azzurro sorrise. – Grazie – rispose e Ichigo seppe che tutto era passato.
- Tra mezz’ora dobbiamo scendere. Muoviti! Metti il completo bianco, secondo cassetto! – lo avvisò Ichigo, lasciandogli il braccio.
- Bene – disse Grimmojow. – Almeno non sarò un pinguino! -.
Ichigo ridacchiò e andò a cambiarsi, sentendosi più leggero e felice.
Si vestì con cura, si pettinò e uscì dalla stanza.
Scese al piano terra e si unì ai camerieri.
Entrò in sala da pranzo e rimase stupito dal cambiamento.
Il grande tavolo era stato spostato a sinistra e sopra erano stati posati vassoi pieni di pietanze e bottiglie. Dietro al tavole cinque camerieri stavano riempiendo dei bicchieri di cristallo con del vino rosso.
La stanza era stata lasciata libera, probabilmente per poter essere usata come sala da ballo, ma in fondo c’era un altro tavolo con altro cibo sopra seguito da un enorme tavolo vuoto che Ichigo suppose fosse destinato ai regali.
La parete destra era stata occupata dall’orchestra. I suonatori stavano accordando gli strumenti e il suoni di violini, viole, sassofoni e chitarre sovrastava il frastuono di voci e passi. Dalla porta che conduceva in cucina continuavano ad uscire camerieri con vassoi e bottiglie mentre un profumo invitante riempiva la sala, facendo brontolare lo stomaco di Ichigo. L’arancione rimase un attimo sulla soia poi gli venne un dubbio; uscì dalla stanza e si diresse in giardino, per vedere il lavoro dei giardinieri.
Rimase senza parole.
Il viale era stato coperto da un tetto a cupola fatto di rami e per terra erano sparsi petali di ciliegio. A illuminare il viale c’erano varie candele rosse poggiate dentro dei piccoli scatoli di vetro che penzolavano dal soffitto. Su ogni gradino della villa c’era un vaso con dentro una grande pianta fiorita.
Il giardino era stato riempito di tavolini di legno e sedie e panche. Sopra ogni tavolo c’era una candela accesa e Ichigo notò che gli alberi erano stati riempiti di luci che si arrampicavano lungo il tronco per poi intrecciarsi con i rami delle piante illuminandosi ad intermittenza.
Ichigo scese le scale e raggiunse l’erba del prato che, appena tagliata, liberava un odore fresco e piacevole.
Si sedette su una panca e pensò che quella non poteva essere la realtà. Gli sembrava di essere immerso in una storia di castelli e principesse, trasportato in un altro secolo e in un altro posto, lontano dal Giappone del ventunesimo secolo.
Chiuse gli occhi e improvvisamente sentì l’orchestra iniziare a suonare.
La musica usciva dalle finestre aperte della villa e risuonava per tutto il giardino.
Ichigo fece un bel respiro e si sentì incredibilmente felice.
 
Passò poco tempo prima che arrivassero gli invitati.
Alle sette e mezza precise si presentarono i primi. Uomini in smoking e donne in abito da sera scendevano da macchine lussuose parcheggiate nel grande parcheggio esterno della villa.
Ichigo si ritrovò ad accogliere vecchie signore dall’aria stanca e giovani donne sorridenti, accompagnate da vecchi signori in giacca e cravatta.
- Mi scusi -.
Ichigo si girò, sentendosi battere sulla spalla, e si trovò davanti ad un uomo sorridente.
L’uomo aveva lunghi capelli bianchi che scendevano fin sotto la vita e un espressione cortese. Era accompagnato da un altro uomo più grosso e dai capelli neri legati in una coda. Cosa strana del secondo soggetto era l’abbigliamento, dato che portava uno smoking rosa con un motivo a fiori.
- Cercavo il bagno – chiarì l’uomo dai capelli bianchi.
- Subito, signore – disse Ichigo annuendo. – Se i signori vogliono seguirmi… -.
Guidò i due uomini dentro la villa e li sentì ridere.
- Byakuya fa sempre le cose in grande, non c’è che dire – commentò l’uomo moro.
- Bé, sai com’è: oggi non è solo il suo compleanno – ribatté l’altro, osservando la sala da pranzo e l’orchestra.
Ichigo alzò un sopracciglio.
- Com’è l’avrà presa la piccola Rukia? – disse il moro e il compagno sospirò.
- Conoscendola, non bene -.
- I signori sono amici dei padroni? – chiese Ichigo, non riuscendo a trattenersi. Intanto avevano raggiunto uno dei salotto.
- Sì, mio buon ragazzo – rispose il bianco che gli tese la mano. – Io sono Jushiro Ukitake – si presentò. – E il mio amico qui è messer Shunsui Kyoraku -.
- Io sono Ichigo Kurosaki – rispose Ichigo stringendo loro la mano. – Conoscete bene la famiglia? -.
- Conosciamo Byakuya da che era un ragazzino – rispose Kyoraku allegramente. – Crescono così in fretta! -.
Ukitake sorrise. – In effetti il piccolo Byakuya ormai è proprio cresciuto… e anche Rukia -.
- Puoi dirlo forte! – ribatté il moro. – Diciotto anni… certo che hanno deciso di fare tutto molto presto, non trovi? -.
- Ecco il bagno – li interruppe Ichigo indicando loro la porta.
- Oh, grazie Kurosaki – disse Ukitake, fiondandosi dentro.
Ichigo fece un piccolo inchino a Kyoraku e si allontanò, riflettendo su quanto aveva sentito, ma senza riuscire a capire a cosa potessero riferirsi i due.
Tornato all’ingresso incontrò Grimmojow e Ulquiorra, entrambi tirati a lucido.
- Hai visto quanta gente? – tuonò Grimmojow. – Tutti ricconi, immagino -.
- Già… avete visto Inoue e Rukia? – domandò loro Ichigo, ancora pensieroso.
- Sì – rispose Ulquiorra. – Inoue è andata a prendere da bere mentre Rukia è occupata a salutare gli invitati. Guarda, è lì –. Indicò un punto nel salone e Ichigo riuscì a scorgere Rukia tra la folla che salutava con un sorriso stampato in faccia le varie persone che le si avvicinavano.
- Grazie – mormorò Ichigo per poi dirigersi vero la ragazza a passo di marcia.
Avvicinandosi la osservò.
Rukia indossava un vestito verde non molto lungo. La gonna le arrivava fino a metà coscia lasciando scoperte le gambe magre, all’altezza della vita c’era un bianca di stoffa e il petto era coperto da un corpetto leggero che si allacciava alla parte inferiore del vestito con due sottili bretelle.
Le scarpe alte erano verde chiaro e i capelli erano pettinati con cura ed eleganza. Il viso era truccato con attenzione con colori chiari di tutte le sfumature di azzurro e verde mettendo in risalto gli occhi chiari della ragazza e le labbra erano di un bel rosso chiaro.
Nell’insieme Rukia era molto attraente. Certo, non era una dea, ma la semplicità del vestito e il suo portamento fiero ed orgoglioso la rendevano incredibilmente bella. Ichigo vide Inoue raggiungere l’amica e, osservando la ragazza arancione, vestita con un abito scollato rosso completo di gonna con spacco, Ichigo non poté fare a meno di pensare a quanto la bellezza di Inoue era messa in ombra dall’eleganza di Rukia, che si muoveva con gesti sicuri e tranquilli.
L’arancione raggiunse le due ragazze e si accorse che anche Ulquiorra era venuto con lui.
- Kurosaki! – lo salutò Inoue. – Visto quante persone ci sono? -.
- Già, si sono presentati in tanti – rispose Rukia, spingendo il gruppetto lontano dal centro della sala. – Mio fratello sarà molto felice -.
I quattro si fermarono vicino all’orchestra che stava suonando un pezzo lento e dolce, rendendo l’atmosfera della sala leggera.
- A proposito, dov’è vostro fratello? – chiese educatamente Ulquiorra, guardandosi attorno.
- Probabilmente fuori in giardino ad accogliere gli ospiti – rispose Rukia con un’alzata di spalle.
- Ulquiorra, mi accompagneresti a prendere altro vino? – trillò Inoue, osservando il bicchiere ormai vuoto che stringeva tra le mani.
- Certo… ma non dovresti bere tanto, Orihime – le consigliò il ragazzo. – Questo sarebbe già il terzo bicchiere… -.
- Oh, avanti! Dopo tutto questa è una festa! – ribatté Inoue, prendendo sotto braccio Ulquiorra e inoltrandosi tra le persone.
Ichigo e Rukia, rimasti soli, si guardarono per un attimo.
- State… molto bene, vestita così – le disse Ichigo, grattandosi imbarazzato una guancia.
Rukia sorrise. – Grazie, Kurosaki. Inoue ci ha messo tutta la mattina per truccare me e lei però dopo tutto ne è valsa la pena -.
Ichigo annuì col capo. Avrebbe tanto voluto chiederle spiegazioni per quello che aveva sentito da Ukitake e Kyoraku ma prima che potesse parlare sentì la voce di Byakuya, amplificata da un microfono, che chiedeva a tutti di fare silenzio.
- Grazie – disse Byakuya. Il ragazzo si era posizionato davanti all’orchestra e stringeva il microfono tra le mani. – Grazie a tutti di essere qui; la vostra presenza è un onore per me -. A quel punto partì un applauso. Byakuya ringraziò ancora con cenni leggeri del capo, poi proseguì.
- Come tutti sapete, oggi è il mio ventiduesimo compleanno ma non è solo per questo che siamo qui -.
Vicino a lui, Ichigo sentì Rukia trattenere il fiato. le lanciò uno sguardo e la vide arrossire.
- Perché oggi, stasera, in vostra presenza, io chiamo vicino a me mia sorella, Rukia -. La ragazza indugiò un attimo. Guardò a lungo Ichigo, poi gli porse il bicchiere che il ragazzo prese automaticamente, e si diresse vicino al fratello. Quest’ultimo le passo un braccio sulla vita e continuò. – Insieme al nostro caro amico e collega Renji Abarai! -.
Al suono di quel nome partì un altro fortissimo applauso. Ichigo, però, rimase immobile, vedendo avvicinarsi a Rukia uno stranissimo tipo.
Il ragazzo aveva i capelli rossi legati e, tatuati sopra alle ciglia, tantissimi tatuaggi a forma di saetta. Indossava uno smoking bianco e una cravatta nera e osservava con un sorrisino malizioso sulle labbra le persone in sala.
Ichigo ci mise un attimo per catalogarlo tra le “Persone che non mi piaceranno”.
- Silenzio, grazie – disse Byakuya, dopo aver stretto la mano di Renji. – Renji Abarai è un nostro caro collega, nonché amico di famiglia da molto tempo, ormai. Ebbene, stasera, io annunciò con orgoglio e gioia, davanti a tutti voi, che… -.
Ichigo non poté fare a meno di fare un passo avanti. quel movimento attirò lo sguardo di Rukia, che si voltò leggermente verso di lui.
Ichigo la guardò confuso e lei scosse impercettibilmente il capo e proprio nello stesso momento Byakuya annunciò, tra gli applausi generali. – …mia sorella e Renji si sposeranno! -.
 
ANGOLINO
Ehy! Uff, questo capitolo è stato infinito! Però è un capitolo fondamentale per la storia e con questo si chiude il mio “Primo Grande Blocco”. Da qui in poi la storia entra nel “Secondo Grande Blocco” che sarà più movimentato del primo, vi assicuro.
Spero vi sia piaciuto il capitolo e, come sempre, vi prego di farmi notare eventuali errori di grammatica o altre imperfezioni. Grazie a chi legge e segue la storia!
Ciao ciao!

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Capitolo 5
*** Capitolo 5. Rum! ***


POV ULQUIORRA
 
- Orihime non dovresti bere anche quello… -.
- Dai, Ulquiorra: è una festa! E poi è solo il secondo che bevo! -.
- In realtà sarebbe il quinto e tu lo sapresti, se fossi sobria -.
I due ragazzi camminavano fianco a fianco nel grande giardino della villa.
Ulquiorra aveva sentito l’annuncio di Byakuya però Orihime era scappata via con due bicchieri colmi di vino in mano e il ragazzo non aveva potuto fare altro che seguirla.
- Perché siamo qui? – chiese a quel punto il moro, pensando che avrebbe di gran lunga preferito entrare in casa, visto che ormai fuori cominciava a scendere l’umidità.
Orihime bevve un sorso di vino e alzò le spalle. – Non mi andava di stare dentro -.
Ulquiorra annuì leggermente. – Così, Rukia si sposa – disse a un tratto il moro e sentì Inoue sospirare.
- Byakuya sta sbagliando tutto – mormorò la ragazza, osservandosi i piedi. – Ha organizzato questa cosa stupida senza chiederlo a Rukia. Però ora ti dico un segreto –.  Gli fece segno di avvicinarsi e Ulquiorra accostò il suo orecchio alle labbra di lei.
Orhime si guardò un attimo in trono, poi gli sussurrò. – Renji è il boss di un’importante industria elettronica, rivale di quella di Byakuya. Quell’idiota di Byakuya cerca di accaparrarsi la società di quel cane di Renji con il matrimonio -.
Ulquiorra alzò un sopracciglio. – Certo che reggi ben l’alcool se riesci ancora a parlare così dopo tutto quello che ti sei scolata -.
- Io te lo avevo detto che non sono ubriaca! – trillò Inoue. I due continuarono a camminare e ben presto si allontanarono dall’entrata della villa. La musica dell’orchestra, che aveva ripreso a suonare subito dopo il discorso di Byakuya, era ormai un’ eco lontano, un suono di sottofondo che si distingueva appena.
Improvvisamente, Inoue starnutì.
- Hai freddo – costatò Ulquiorra, iniziando a togliersi la giacca.
- Giusto un po’ di umidità, credo – mormorò Inoue, accettando la giacca di lui. – Grazie. Sei sempre così gentile! -.
Ulquirra abbassò lo sguardo, mentre Orihime finiva di bere il suo quinto bicchiere di vino.
La ragazza rise. – Sai, ora credo di non essere più così sobria – mormorò, osservando divertita il bicchiere vuoto.
- Bevi sempre così tanto, tu? – le chiese Ulquiorra, mentre lei poggiava per terra il bicchiere.
- Nooo. Solo alle feste. O quando ho avuto una brutta giornata – rispose lei, chiudendo gli occhi. – Balliamo – disse, dopo un attimo.
Il moro sorrise leggermente. – Ma non si sente la musica, qui – le fece presente. Ma la ragazza non lo ascoltò e gli prese le mani.
- Sai ballare, Ulquiorra? – gli chiese lei, poggiando le mani sulle spalle di lui.
Il ragazzo posò a sua volta le mani sui fianchi di lei e la vide sorridere. La ragazza poggiò la testa sul petto di lui e sospirò.
Ulquiorra era piuttosto rigido: non gli piaceva molto ballare. Si sentiva fuori posto. Però avrebbe fatto uno sforzo per Inoue.
I due iniziarono a muoversi lentamente. Orihime, mezza ubriaca, era piuttosto accasciata su Ulquiorra, che reggeva il peso della ragazza senza sforzo.
Rimasero in silenzio e le note dell’orchestra erano l’unico suono che rompeva la pace totale. E, in tutto quel silenzio, il moro ebbe modo di pensare che il vestito di Orihime era leggermente troppo scollato. Chissà quante persone le hanno guardato il decolté, si chiese, e sentì una fitta di gelosia.
Si sorprese di questa specifica emozione, dato che non ricordava di averla provata molto spesso nella sua vita.
Intanto Orihime gli aveva avvolto il collo tra le braccia, avvicinando il corpo forte del ragazzo al suo.
- Ulquiorra, sai che mi sei mancato? – gli sussurrò all’orecchio a un tratto.
Il moro abbassò gli occhi. – Ah – rispose solamente, non sapendo come comportarsi.
Inoue ridacchiò. – E a questo punto tu dovresti dire “Anche tu mi sei mancata, Orihime”. Ma tu non sei così prevedibile, vero? O meglio, tu non sei così romantico -.
Ulquiorra si morse il labbro inferiore. Aveva una strana sensazione di déjà wu. Aveva vissuto la stessa scena, una volta. Con la stessa persona.
Però lui non era più lo stesso, aveva imparato. Così, come se stesse recitando una parte provata e riprovata fino alla nausea, si staccò leggermente da lei e, con movimenti calcolati, le poggiò una mano fredda sulla guancia.
Quante volte aveva ripensato a quella notte? Troppe, forse, però aveva avuto modo di rivedere tutti i suoi errori e, freddamente, aveva cercato di immaginare un finale alternativo. E, così, aveva capito ciò che avrebbe dovuto fare in quel momento per far capire ad Orihime quello che provava.
Ma ora che si trovava sul palco, non riusciva a ricordare cosa avrebbe dovuto fare. Era lì, con una mano sulla guancia di lei, mentre con l’altra la stringeva a sé e non sapeva come continuare, incantato dalla profondità degli occhi di lei puntati nei suoi.
Inoue sembrò per un attimo dubbiosa, poi si alzò in punta di piedi e poggiò le sue labbra su quelle di Ulquiorra.
Il moro rimase immobile, fermo come una statua di ghiaccio. Afferrò rudemente Inoue per le spalle e l’allontanò. Ma, quando la guardò negli occhi, capì di aver sbagliato ancora.
La ragazza sospirò e ritirò le braccia, lasciandole abbandonate lungo i fianchi. Poi fece un passo indietro e Ulquiorra sentì freddo, vedendola indietreggiare.
- Lo sapevo – mormorò Inoue. Alzò gli occhi su Ulquiorra e il ragazzo vide che era triste. – Non so cosa fare con te, Ulquiorra – disse lei. – Sei distante, lo sei sempre stato. Ti comporti gentilmente con me, ma quando io ti bacio mi allontani. Cosa significa questo? Come devo interpretare il tuo comportamento? Mi ami? Mi odi? Cosa sono io per te? Una semplice amica? Non lo so! Però so che di sicuro tu non mi desideri, non mi vuoi -.
Ulquiorra tacque. Come poteva dirle che lui l’amava? Poi alzò un sopracciglio: amarla. Squadrò Inoue e riabbassò gli occhi. Amarla…
Intanto la ragazza aveva fatto un altro passo indietro. – Sei rimasto lo stesso di sempre. Non sei cresciuto, né migliorato. Sei immobile, invariato. Tu non cambierai mai: sarai sempre una statua di ghiaccio, solo l’ombra di un uomo vero, perché non proverai mai sentimenti caldi. E io sai che ti dico? Ghiaccia pure da solo, se è questo che vuoi. Ma io non desidero il tuo freddo. Io voglio calore e tu non puoi darmene, perché quel poco che hai te lo tieni stretto! -. Detto questo Inoue si voltò e tornò, con passo deciso, alla villa.
Ulquiorra non provò a fermarla.
Rimase fermo, con le mai in tasca, riflettendo. Cercò di studiare la situazione con la sua solita oggettività e capì che il suo unico ma fondamentale errore era stato non rispondere al bacio di Inoue.
Sospirò, e sentì le parole della ragazza ripetersi nella sua mente. Lui era freddo…? Lo sapeva, Grimmojow lo diceva sempre e Ulquiorra ormai non ci faceva più molto caso. Le parole di Inoue non lo avevano toccato più di tanto, perché non era la prima volta che le sentiva.
Improvvisamente, gli sembrò di essere tornato indietro, a quella sera di due anni prima. Una serata molto simile a quella che stava passando lì, a Villa Kuchiki. Inoue ubriaca, loro due soli e quella specie di litigio che lo aveva, per la prima volta, posto di fronte alla realtà dei suoi sentimenti e alla sua incapacità di esprimerli.
Il moro guardò il cielo e sentì una punta di tristezza, quando vide che le luci della villa gli impedivano di vedere le stelle.
 
Ulquiorra rimase in giardino per poco tempo.
Tornò al salone della villa e notò che molte copie avevano iniziato a danzare, seguendo le note tranquille della musica.
Cercò con lo sguardo Inoue ma non la trovò. In compenso trovò Grimmojow. Il maggiordomo era appoggiato al davanzale di una finestra con un bicchiere di vino in mano.
Ulquiorra lo raggiunse.
- Ehi – lo salutò Grimmojow, vedendolo arrivare. – Com’è andata con la sgualdrina? Vi ho visto uscire mano nella mano. Te la sei scopata, vero? -.
Il moro sbuffò. – Non chiamarla così, ho detto. Ichigo ha ragione: tu pensi sempre e solo al sesso. Sei peggio di un’animale, fattelo dire. Comunque, no; non me la sono “scopata”, mi spiace -.
Grimmojow sbuffò, deluso. – Cavolo: tu morirai vergine, amico -.
Ulquiorra si appoggiò indifferente al davanzale e guardò verso la pista da ballo. Notò, allora, che Rukia e Renji stavano ballando al centro della pista.
- Hai sentito l’annuncio del signor Kuchiki? – chiese Ulquiorra, seguendo i passi della coppia.
- L’hanno sentito tutti, credo – rispose l’altro, lanciando un’occhiata in direzione dei ballerini. – Devo ammettere che sono rimasto sorpreso. Non credevo che Rukia volesse sposarsi così giovane -.
- Orihime dice che è stata un’idea del signore ed io le credo: nessuna ragazza vorrebbe mai sposarsi a quest’età  -.
Grimmmojow alzò le sopracciglia. – Quel tipo è strano. Però questo spiega l’atmosfera fredda che c’era tra quei due: immagino che Rukia non abbia perdonato il fratello per aver organizzato una cosa tanto assurda -.
Ulquiorra osservò attentamente il viso di Rukia. Era sempre stato bravo a leggere i sentimenti delle persone anche se non sapeva come comportarsi quando era lui a provarli.
E negli occhi di Rukia lesse rassegnazione. Non tristezza o amarezza, ma rassegnazione. Rukia doveva aver accettato quello che il fratello aveva deciso, anche se le doveva essere costato molto.
- Dov’è Ichigo? – chiese Ulquiorra, cercandolo con lo sguardo lungo i bordi della pista.
Grimmojow ridacchiò. – Mi sa che è salito su, in camera. Non sembrava molto felice della novella di Byakuya, anzi! Che poi, che ci troverà in quella Rukia, io non lo so -.
Ulquiorra ci pensò su. - Davvero non lo so. Immagino sia più o meno lo stesso per te con Tatsuki: cosa ci trovi tu in lei? – rispose dopo un attimo. Grimmojow sbuffò e si passò una mano tra i capelli.
- Le donne sono un fottuto casino! – annunciò. – Se vuoi un consiglio, trovati una donna da scopare E BASTA! Ma che te lo dico a fare? Tu sbavi per la sgualdrina, giusto? -.
- Quante volte devo dirti di non chiamarla sgualdrina? – sbottò Ulquiorra. – E comunque io non sbavo per lei -.
Grimmojow rise. – Vuoi prendermi in giro?! Cazzo, sei proprio un’idiota, tu! Mi sa che tra noi tre tu sei quello che è messo peggio, caro il mio zombie. Comunque, io vado alla ricerca di qualche alcolico più forte… il vino fa troppo riccone snob. E poi, per farsi una bella sbronza, ci vorrebbe del rum… -. Detto questo, il ragazzo si avviò verso la cucina, confondendosi con i ballerini in smoking.
Ulquiorra rimase solo soletto. Non voleva pensare ad Orihime, non ancora, quindi decise di andare da Ichigo.
Cercando di non scontrarsi con i ballerini ed i camerieri, riuscì ad uscire dalla stanza da ballo, ma, prima che potesse raggiungere le scale, una bambina gli si parò davanti.
La piccola aveva dei corti capelli rosa tenuti da una spilla a forma di teschio e portava un elegante vestito bianco con delle ballerine bianche ai piedi.
Lo osservava con espressione concentrata e, dopo averlo squadrato per buono mezzo minuto, lo indicò e disse. – Un panda! -.
Ulquiorra alzò un sopracciglio. – Come? – chiese, cercando di essere cortese.
- Un panda! – ripeté la bambina. Poi lo guardò ancora. – Un panda magro, direi. Però a me piacciono anche i panda magri! – disse con tono rassicurante, come se non volesse ferire l’orgoglio “pandesco” di Ulquiorra.
Quest’ultimo si schiarì la voce. – Mi… fa piacere… che ti piacciano i panda magri, però io dovrei… -.
- Kennino! – gridò la bambina, senza lasciarlo finire. – Kennino! Kennino! -.
Ok. Ulquiorra sapeva che i ricchi tendevano ad essere leggermente… insoliti, a volte, ma non si sarebbe mai aspettato di incontrare un soggetto strano come quella bambina. La osservava stranito, mentre la piccola continuava a gridare a destra e a manca il nome, portandosi le mani alla bocca per amplificare la voce.
Ulquiorra stava per perdere la pazienza quando sentì una strana sensazione, per nulla piacevole.
- Kennino! – gridò a quel punto la bambina, sorridendo ed indicando alle spalle di Ulquiorra. Il moro si girò guardingo e alzò le sopracciglia, leggermente impressionato. Alle sue spalle c’era l’uomo più… grosso che Ulquiorra avesse mai visto, costretto in uno smoking rosso sangue. I capelli erano lunghi e sciolti mentre un occhio era coperto da una benda nera.
Nell’insieme, la figura era quasi divertente, se non fosse stato per la strana e sospetta aura omicida che sembrava emanare la sua persona.
- Yachiru, ti avevo detto di non allontanarti troppo – disse l’uomo, con voce profonda.
La bambina mise il broncio. – Ma io mi stavo annoiando! E poi, guarda cosa ho trovato – disse, indicando Ulquiorra. – Un panda magro! Non sei contento, Kennino? -.
Ulquiorra, sempre più stupito, lanciò un’occhiata a “Kennino” e vide che l’uomo sorrideva.
- Un panda magro…? Non mi piacciono i panda – disse, con tono minaccioso. – Però ho sentito dire che la loro pelliccia è sofficissima – guardò Ulquiorra e si passò la lingua sulle labbra. – Chissà se è vero… -.
A quel punto, Ulquiorra era DAVVERO sorpreso.
- Il signore è un intenditore, immagino – disse il moro, cercando di mantenere la calma.
- Già! Io gestisco una fabbrica di abiti in pelliccia – rispose l’uomo fieramente.
- Una carica importante, quindi – ribatté Ulquiorra. – Ma mi dispiace doverla informare che io non sono un panda. Anzi, vengo più spesso paragonato ad uno zombie o ad un pinguino, a seconda dei casi -.
L’uomo rise. – Mi piaci, tu – disse, allungando una mano. – Kenpachi Zaraki, ricordatelo bene, questo nome -.
Ulquorra gli strinse guardingo la mano e si presentò a sua volta. – Ma non è necessario che lei si ricordi il mio, di nome, signore -.
Kenpachi ridacchiò, una risata inquietante, poi si rivolse a Yachiru.
- Forza, mocciosa, lasciamo in pace il maggiordomo, qui. Andiamo, piuttosto, a cercare un po’ di cibo decente. Sto morendo di fame! -.
La bambina sorrise e si aggrappò alla manica dello smoking di Kenpachi. – Sì! Cibo, cibo! – poi si girò versò Ulquiorra. – A presto, signor panda! – lo salutò, prima di avviarsi insieme all’uomo.
Ulquiorra sospirò e alzò le spalle. Certa gente era proprio strana.
E, proprio quando pensava di avere finalmente un po’ di pace, una mano gli strinse il polso.
Annoiato, Ulquiorra si girò e per poco non cadde, quando Inoue lo abbraccio.
- Uuuuulquiorrrraaaa!! – gridò la ragazza. Ulquiorra sentì nettamente l’odore di alcool che proveniva dalla ragazza. “Grimmojow non è stato l’unico ad aver desiderato un superalcolico… certo che lei ha fatto in fretta, però!” si disse, cercando di sorreggere Inoue per non farla cadere. La ragazza, intanto, strusciava la testa contro il petto di lui.
- Sciai che ho trovatooooo? – gli domandò.
- No, ma riesco ad immaginarlo – rispose Ulquiorra.
- Ho trovato del rrruuummm! – trillò la ragazza, sorridendo. Ulquiorra annuì leggermente.
- Forza, andiamo su – le ordinò, trascinandola per le scale.
Orihime sbuffò. – Ma io volevo parlare con Rukkkkia! – disse, scocciata. – Sciai che sci sposa?? Te lo scaresti mai immaginato? -.
- Lo so che si sposa, ho sentito Byakuya annunciarlo – rispose Ulquiorra. Intanto, i due avevano raggiunto il pianerottolo e Ulquiorra guidò la ragazza, con molte difficoltà, fino al letto in camera di Rukia.
Quando Inoue si fu stesa sul letto, Ulquiorra si sedette sul bordo e la osservò stiracchiarsi.
- Com’è morrrrbido! – miagolò la ragazza, abbracciando un cuscino.
- Hai bevuto troppo – sentenziò Ulquiorra. – Devi smetterla di bere, ti fa male -.
Inoue lo guardò male. – Non è vero! Io mi scento beeenissimo -.
- Solo perché sei ubriaca. Domani ti sentirai malissimo – l’avvisò lui.
Lei fece spallucce e si sistemò a pancia in su sul letto, giocherellando con una ciocca di capelli.
Ulquiorra arrossì e si affrettò a distogliere lo sguardo. Dopo tutto, era pur sempre un ragazzo!
- Dov’è Kuroscaki? – chiese Inoue con qualche difficoltà.
Il moro si schiarì la voce. – Non lo so, credo in camera sua -.
Inoue sbuffò. – Vorrei taaaanto che fosce qui! – si lamentò.
Ulquiorra strinse i denti. Poi si alzò dal letto. – Allora, se io non ti servo, vado giù a lavorare -.
Aveva quasi raggiunto la porta, quando due braccia lo strinsero da dietro. Sentì il corpo di Inoue aderire al suo e sospirò.
- No – sussurrò la ragazza. – Resta… per favore -.
Ulquiorra chiuse gli occhi e sospirò di nuovo. “E dove vuoi che vada?” si disse. E, per la prima volta nella sua vita, sentì calore. Un calore incredibile che lo attraversò tutto come una scossa elettrica. Il ragazzo si girò e si lasciò guidare dall’istinto.
Strine forte Inoue a sé e lei rispose, strofinando la guancia sul suo petto.
I due si stesero sul letto e si tennero stretti.
Ulquiorra non sapeva cosa stava facendo: non aveva mai programmato una cosa simile. Eppure, non gli dispiaceva stare così vicino ad Inoue, sentendo il calore di lei riscaldarlo.
- Resti con me? – gli chiese in un sussurro Inoue, guardandolo dritto negli occhi. E Ulquiorra pensò che Inoue doveva essere almeno un po’ sobria, perché occhi così profondi e presenti non potevano essere quelli di un ubriaco.
- Sì – rispose. Però, a quel punto, il calore passò e lui tornò ad essere il solito freddo e ghiacciato Ulquiorra. E così ritirò le braccia, portandole lungo i fianchi e si allontanò leggermente da Inoue.
La ragazza accennò un leggero sorrise, chiudendo gli occhi.
E, prima di lasciarsi andare al sonno, disse. - Sai che a me piace la neve…? -.
 
ANGOLINO
Ed eccoci qui, con questo nuovo capitolo. Come sempre, mi scuso per il ritardo ma la scuola è appena iniziata e lo studio mi uccide! Comunque, ci mancava proprio un capitolo dal punto di vista di Ulquiorra e quindi eccolo qui! Spero di non aver commesso errori e vi chiedo, come al solito, di segnalarmeli, se doveste trovarli. Inoltre vorrei sapere cosa ne pensate di questo capitolo, perché il personaggio di Inoue non so bene come inquadrarlo quindi, fatemi sapere se secondo voi sono fuori dagli schemi con questo capitolo.
Ciao ciao!

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Capitolo 6
*** Capitolo 6. Soul Society. ***


POV RUKIA
 
La Kuchiki si svegliò con un mal di schiena terribile.
Gemendo si mise a sedere, massaggiandosi la schiena dolorante, osservando con astio il divano bianco che le aveva fatto da letto, per quella notte.
Naturalmente, lei avrebbe preferito dormire nel suo letto, ma quando era salita in camera aveva trovato un ospite indesiderato steso accanto ad Inoue. Rukia aveva guardato sorpresa Ulquiorra: era l’ultima persona che si aspettava di trovare.
Senza far rumore la ragazza era uscita dalla stanza, era scesa al piano terra e si era coricata su un divano in salone.
Rukia sbadigliò e si ricoricò, stropicciandosi gli occhi. La sera precedente era stata orribile.
Certamente Byakuya le aveva già detto di aver combinato il matrimonio con Renji, ma il fatto che la notizia fosse adesso ufficiale l’aveva atterrita.
Ricordò lo stupore, seguito dalla rabbia, che aveva provato quando il fratello le aveva dato la notizia la prima volta.
- Stai scherzando…? – gli aveva chiesto, spiazzata. Erano in sala da pranzo ed era una fresca giornata di Marzo. Rukia, che stava mangiando tranquillamente un Onigiri, rimase pietrificata.
Byakuya aveva scosso il capo. – Dopo tutto tu e Renji vi conoscete da molto tempo, Rukia. Non ti dovrebbe infastidire molto la mia decisione. Anzi, dovresti essermi grata. Dopo il matrimonio tu e Renji potrete lasciare il Giappone per stabilirvi nella residenza di Renji, in Italia. Passerai il resto della tua vita con un uomo gentile e premuroso che ti darà molti soldi e molto amore, naturalmente. Perché mi guardi con quello sguardo? – le aveva chiesto poi, notando gli occhi carichi di rancore di lei.
- Non puoi farmi questo… mamma e papà… -.
- Loro sono d’accordo – l’aveva interrotta lui, con un gesto di stizza. – Hanno detto che, secondo loro, è un’ottima idea. Sono molto felici che io abbia scelto Renji. E, inoltre, hanno detto che potrebbero anche tornare per il matrimonio -.
- E chi ti dice che io accetterò? – lo interruppe Rukia, stringendo i denti per non urlare.
Byakuya l’aveva fulminato con lo sguardo. Poi si era alzato. – Non sta a te decidere, Rukia. Renji è una persona meravigliosa che è disposta a tutto pur di farti felice -.
- Non mentire! – aveva urlato lei, scattando in piedi. Decise che non era il momento di mantenere la calma. – Lo fai solo perché vuoi che la società di Renji si unisca alla tua, dillo! A te non importa nulla di me! Perché io non sono nessuno, confrontata a lei, vero?! Però lei è morta! -.
Il suono secco di uno schiaffo era risuonato nella stanza. Rukia era rimasta immobile, sentendo la guancia destra in fiamme. Byakuya, inespressivo, abbassò la mano.
- Non osare – le aveva detto, senza scomporsi. Nonostante ciò, Rukia lesse la rabbia nella voce del fratello. – Non osare mai più, Rukia – le disse, lentamente, superandola. – Tu sposerai Renji perché è la cosa giusta da fare e non voglio più sentire discussioni su questo. Sai meglio di me che la mia società non sta andando a gonfie vele, in questo momento. Anzi, si può dire che siamo sull’orlo del burrone. E il matrimonio potrebbe essere l’ultima speranza che abbiamo per non fallire, quindi tu devi sposare Renji, perché se io fallisco potrai dire addio alla nostra vita agiata e ci toccherà ricominciare d’accapo -.
Rukia sospirò e riaprì gli occhi. Erano passati molti giorni ma, alla fine, a mente lucida, Rukia aveva capito che doveva aiutare il fratello. E se sposarsi era l’unica cosa che poteva fare, l’avrebbe fatta.
La ragazza si rimise a sedere e si accorse che era coperta da una coperta di seta bianca. Osservò la coperta e sentì uno suono provenire dalla cucina. Sembrava una canzone, canticchiata sotto voce.
Rukia si alzò in silenzio e non poté fare a meno di guardarsi il dito della mano sinistra. Il grosso anello che Renji le aveva regalato la sera prima brillava alla luce del sole che entrava dalle finestre aperte.
Il grosso diamante risplendeva al centro del gioiello. Ruka si sentiva a disagio con quel anello al dito ma era tradizione di casa Kuchiki che la sposa non togliesse mai l’anello di fidanzamento fino al giorno del matrimonio. Era una tradizione antica ma a cui tutte le spose Kuchiki si attenevano e Rukia non avrebbe fatto eccezione.
Silenziosamente la ragazza raggiunse la cucina e ci trovò Ichigo che cucinava.
Rukia osservò per un attimo le spalle larghe del ragazzo e lo ascoltò canticchiare una canzone.
- Che cos’è? – gli chiese ad un tratto.
Ichigo smise di cantare e si voltò verso di lei. – Mi avete spaventato – le disse, sorridendo.
- Che canzone stavi cantando? – gli domandò ancora Rukia, sedendosi su uno sgabello.
Ichigo alzò le spalle. – Si chiama “Brendan’s Death Song”, signorina -.
Rukia ci pensò su un attimo. – Non la conosco – affermò.
- Mi piace molto – le disse lui. – Io e la mia band la suoniamo, a volte -.
Rukia alzò un sopracciglio. – Suoni? -.
- Già. Ma solo in un piccolo bar in periferia – le spiegò, riprendendo a cucinare. – Non ci pagano molto, ma non fa mai male fare qualche soldo. Sa com’è… -.
Rukia annuì e si guardò le mani.
- Proprio un bel gingillo, il regalo del suo fidanzato – disse ad un tratto Ichigo, riferendosi all’anello.
Rukia arrossì e ritirò le mani sotto al tavolo.
- E così vi sposate – disse ancora Ichigo, senza voltarsi verso di lei. – Felicitazioni -.
La Kuchiki deglutì. – Grazie – rispose dopo un attimo.
- Quand’è  matrimonio? Non ricordo… -.
- A Luglio… -.
- A breve, quindi -.
Rukia annuì lentamente. Poi tacque. Aveva notato il tono fin troppo formale di Ichigo.
Per un attimo le venne in mente di dirgli tutto. Spiegargli che non era una sua scelta, che doveva farlo per suo fratello e per la sua famiglia.
E stava pure per farlo quando Ichigo si voltò sorridendo. – La colazione è pronta – le disse.
E Rukia abbassò gli occhi, ritornando alla realtà. E capì che non poteva dirgli nulla. “Io non lo conosco” si disse, mentre Ichigo le serviva la colazione. “ Non posso fidarmi di lui”.
 
 
Il tempo volò, a Villa Kuchiki. I giorni si susseguivano veloci e Maggio volò. Giugno iniziò con la sua calura. Le giornate erano sempre caldissime e l’umidità calò sulla villa.
Rukia passava le sue giornate o da sola o con Renji. Insieme al fidanzato usciva dalla villa per recarsi in città e lì camminavano a lungo, mano nella mano.
Renji era gentile con lei ma Rukia notava lo sguardo geloso che le lanciava ogni volta che un ragazzo le passava vicino e la spaventava vederlo così geloso. Più di una volta Renji aveva fatto scoppiare una rissa per una spinta involontaria. Una volta aveva addirittura tirato un pugno ad un ragazzo che aveva chiesto indicazioni a Rukia
Inoue si era stabilita a casa Kuchiki.
- E solo che i miei genitori in questi giorni lavorano ed io a casa non so che fare – le disse, quando Rukia le chiese il perché. – Li ho chiamati quando sono arrivata e loro hanno detto che va bene quindi ho pensato che non ci sarebbero stati problemi… -.
- Fino a quando resterai? – le aveva chiesto Rukia.
- Me ne andrò subito dopo il matrimonio – le assicurò Inoue.
Rukia alzò un sopracciglio: ricordava quando aveva trovato Inoue ed Ulquiorra insieme. Nonostante ciò, Inoue sembrava non ricordare nulla di quella notte.
- Sai – le aveva spiegato in seguito, arrossendo e grattandosi la testa. – Mi sa che quella sera avevo alzato un po’ troppo il gomito e non ricordo assolutamente nulla. Ahahah… e poi quando mi sveglia quella mattina ero sola... -.
Da quel giorno l’amica si era fatta più pensierosa e tendeva palesemente ad evitare Ulquiorra. Quest’ultimo non sembrava per nulla interessato al comportamento di Inoue, ma Rukia aveva capito che il moro non era il genere di persona che lascia trasparire facilmente i propri sentimenti e immaginava che, in realtà, il ragazzo fosse colpito dal modo di fare della ragazza.
Alla Villa tutto procedeva normalmente: i ragazzi lavavano, potavano e spazzavano. I pasti che venivano serviti erano sempre più elaborati e la casa non era mai stata tanto pulita. Due volte a settimana uno dei tre usciva per fare la spesa e, in genere, era Grimmjow ad andare.
- Deve sbrigare delle faccende – le disse Ichigo, una mattina. I due erano in giardino. Rukia era seduta su una panchina, mentre Ichigo potava un alto ciliegio.
Il loro rapporto era molto migliorato, con il passare del tempo. Rukia passava molto volentieri le sue giornate con Ichigo e lui non era da meno. Chiacchieravano a lungo del più e del meno, quando avevano il tempo.
Però Ichigo era sempre molto formale con lei: non la chiamava per nome e non le dava del tu. Manteneva un atteggiamento rigido ed accondiscendente, senza mai alterarsi quando la ragazza lo beffeggiava. Rukia era leggermente seccata da questa sua formalità e cercava sempre di mandarlo su di giri, sperando di ottenere più confidenza. Fino a quel momento, però, i suoi tentativi erano stati vani.
- Che genere di faccende? -  gli chiese.
Ichigo alzò le spalle. – Non so tutti i dettagli, ma credo che abbia combinato qualche casino con la sua ragazza -.
Rukia ridacchiò. - Di sicuro deve essere una donna con una pazienza incredibile: da quello che mia hai detto il tuo amico non è molto fedele -.
- Bé, in effetti Grimmjow non è proprio un modello di fedeltà – ammise Ichigo, tagliando un ramo dell’albero. – Però questa volta mi sembra più determinato. Lo capisco da come parla, da come si muove… sembra pensieroso, ultimamente. Ed è strano per uno come lui. Ed anche Ulquiorra ha qual cosa che non va… deve essere per Inoue; non l’ha vista per così tanto tempo… ed io che credevo l’avesse dimenticata, ormai! -.
Rukia sentì il tono tormentato di Ichigo e sorrise: l’arancione si preoccupava davvero tanto per i suoi amici.
- Inoue non mi ha ancora parlato riguardo ad Ulquiorra – sbuffò Rukia, stringendo le braccia al petto. – Mi chiedo perché… -.
- Non prendetevela  – le disse il ragazzo. – Inoue sembra essere una ragazza estroversa, invece è estremamente riservata. Immagino che prima o poi ve lo dirà. Dovete solo avere pazienza -.
La Kuchiki sospirò. Poggiò la testa allo schienale della panchina ed osservò il cielo. Era una calda giornata estiva e il sole picchiava forte. Non c’era un alito di vento a rinfrescare l’aria e il cielo era senza nuvole, completamente azzurro. Rukia osservò il cielo sopra di lei a lungo, poi sentì Ichigo ansimare.
- Signorina – la chiamò. Rukia abbassò lo sguardo. Ichigo, che indossava il completo nero da lavoro, era piegato in due, con le mani sulle ginocchia. – Le dispiace se mi tolgo la giacca? Credo che mi stia per venire un infarto, vestito così -.
La ragazza ridacchiò. – Fa pure, anzi, sono sorpresa che tu abbia resistito così a lungo, vestito di tutto punto -.
Ichigo sospirò. – Grazie mille -.
Velocemente si tolse la cravatta e la giacca scura che poggiò sulla panchina e si sbottonò un bottone della camicia, emettendo un gemito di sollievo.
Rukia arrossì di botto. Ichigo era poggiato al tronco del ciliegio con la testa poggiata al legno e gli occhi chiusi. La bocca semi aperta e il respiro affannoso, gocce di sudore gli rigavano il volto lungo. La camicia bianca, leggermente aperta, aderiva al corpo sudato, mettendo in risalto i pettorali del ragazzo che, senza notare lo sguardo di Rukia, si passò una mano sulla fronte.
La ragazza deglutì e si alzò in tutta fretta.
- Che caldo! – gridò, facendo sobbalzare Ichigo. L’arancione aprì di scatto gli occhi e le lanciò uno sguardo divertito.
- Già – ammise, riprendendo in mano le forbici per potare l’albero.
Rukia annuì velocemente, cercando di riprendere la calma.
Inavvertitamente lo sguardo le cadde sull’anello di fidanzamento e si sentì in colpa.
“Mi sto per sposare” si disse. “Devo mantenere la calma; dopo tutto lui è solo un domestico… certo, un domestico sudato e piuttosto attraente, ma pur sempre un domestico…”.
- Il signor Renji sembra essere un bravo ragazzo – disse improvvisamente Ichigo, facendola tornare alla realtà.
- Eh? Oh! – balbettò Rukia, spaesata. – Sì, sì… è molto gentile-. In quel momento pensò che se Renji l’avesse vista insieme ad Ichigo non avrebbe di sicuro gradito.
- Il signor Kuchiki non si è mai sposato? – le chiese, dopo un attimo, senza smettere di tagliare i rami dell’albero.
Rukia scosse il capo. – Non ha mai avuto il tempo. Lavora sempre tanto. Dubito abbia mai considerato l’idea di sposarsi -.
- E allora la ragazza nella foto chi è? – domandò ancora Ichigo.
Rukia sussultò. – Che foto? -.
Ichigo si voltò verso di lei. – Sono entrato nello studio di vostro fratello – le rivelò. La ragazza strinse i denti.
- Non avresti dovuto – gli disse, furiosa.
- Lo so e non so nemmeno io perché l’ho fatto – ammise Ichigo, abbassando gli occhi. – Però dentro ho visto questo… era una specie di altarino, credo. C’erano delle candele accese e la foto di una ragazza… in un primo momento pensai foste voi, signorina Kuchika. La ragazza della foto vi assomigliava tantissimo. Poi però ho guardato meglio ed ho capito che non eravate voi ma una donna più grande di voi -.
Rukia si sedette sulla panchina con le mani sulle gambe.
- Quella era mia sorella – gli disse, chiudendo gli occhi. Sentì Ichigo avvicinarsi e sedersi accanto a lei.
- Lei è morta sette anni fa – continuò Rukia. – Si chiamava Hisana ed era sorella gemella di Byakuya. Si volevano molto bene. Troppo bene -.
Ichigo alzò un sopracciglio. – Che intendete? -.
Rukia si passò la lingua sulle labbra. – Immagino tu sappia cosa significa la parola “incesto”, vero? Ma certo che la conosci, altrimenti non faresti quella faccia -.
Ichigo cercò di ricomporsi. – Vuole dire che il signor Kuchiki e vostra sorella erano… -.
- Amanti – completò Rukia, debolmente. Ichigo sussultò.
Rukia sorrise. – Avresti dovuto vederli insieme. Erano felici, sai? Passavano le giornate mano nella mano e sorridevano sempre. Scoprì la loro relazione quando avevo nove anni. Mio fratello, che ne aveva circa diciassette, mi fece promettere di non dir nulla a mamma e papà. Ma io sapevo fin troppo bene che quello che avevano fatto era sbagliato: non avrebbero dovuto. Questo mi ripetevo. Poi, però, quando li vedevo insieme, non potevo fare a meno di pensare che, forse, era giusto che anche loro fossero felici. Insomma non dissi nulla perché non sapevo cosa fosse giusto fare. Fatto sta che i miei genitori non seppero nulla e tutt’oggi non sanno.
- Purtroppo, però, mia sorella era sempre stata cagionevole di salute. Si ammalava frequentemente e più di una volta aveva rischiato la vita per una semplice febbre. Comunque, otto anni fa prese una forte polmonite che la costrinse a letto per molto tempo. Mio fratello era preoccupatissimo e le riservò le cure più dolci. Vederlo così gentile con mia sorella mi fece capire che avevo fatto bene a tacere: non avevo mai visto un uomo più innamorato di lui. Eppure, mia sorella non migliorò, anzi. La febbre saliva e la tossa aumentava. Chiamammo i nostri genitori, ma loro dissero che non sarebbero potuti tornare perché dovevano concludere un’importante affare di lavoro. Credo che mio fratello non abbaia mai perdonato loro questa mancanza. 
- Il tempo passava e mia sorella non migliorava. Passò un anno e la malattia non passò. Ogni giorno mia sorella diventava più debole e, verso gli ultimi due mesi, non riuscì più a riconoscerci, tanto la febbre era alta. Ci guardava con occhi vacui mormorando strane parole insensate. Non ci chiamava per nome e non sorrideva più. C’era un medico che la teneva in cura ma la situazione era ormai disperata e sapevamo tutti come si sarebbero concluse le cose.
Nonostante ciò mio fratello rimasi al capezzale di Hisana. Sempre, notte e giorno. La faceva mangiare, le stringeva la mano. Non importava che lei lo guardasse con occhi assenti o che non gli rivolgesse mai la parola. Lui era lì. Era lì anche quando lei morì -. La voce di Rukia si spezzò e la ragazza deglutì. Era tanto tempo che non parlava di Hisana e si stupì di sentire una stretta dolorosa al cuore. Era passato così tanto tempo…
Si volto vero Ichigo. L’arancione la guardava con gli occhi lucidi. Erano gli occhi di chi sa cosa significa perdere una persona cara. Gli occhi di una persona che ha patito il dolore di sentirsi persi, soli.
- Mi dispiace -. Le disse queste due semplici parole. Rukia aveva sempre ritenuto stupido dire quelle parole. A quelli che gliele dicevano avrebbe voluto dire “No che non  ti dispiace! Tu non conoscevi mia sorella! Non l’hai mai nemmeno vista, come fa a dispiacerti della sua morte?”.
Eppure le salirono le lacrime agli occhi, perché capì che ad Ichigo non dispiaceva per la morte di Hisana. Gli dispiaceva per lei, per Rukia Kuchiki, perché aveva sofferto il dolore di perdere un pezzo della sua famiglia.
- Lei era parte di me – mormorò Rukia, mettendosi una mano sulla bocca. – Come ho potuto sopravvvere al dolore di perderla? Come può il mio corpo essere ancora qui se lei non c’è più? -.
Ichigo non si mosse. – Non lo so – le disse.
 
Ogni sabato, dopo i lavori domestici, Ichigo usciva.
- Va a suonare – le disse Ulquiorra una sera, servendole la cena. – Con la sua band suona in un piccolo bar in periferia -.
- Sapevo che aveva una band – mormorò Rukia, mentre Ichigo usciva di casa con la chitarra in spalla.
- Sono bravi – disse Ulquiorra. – Dovrebbe andarli a sentire. Anche se il locale non è proprio adatto ad una ragazza di alta classe come voi, ne vale la pena -.
Da quella sera, Rukia aveva lasciato passare una settimana. Poi ne era passata un’altra, ma lei ancora non era andata al bar di Ichigo.
Poi, un sabato di fine Giugno, Inoue si fiondò in camera di Rukia. La Kuchiki stava leggendo tranquillamente un libro e sobbalzò quando entrò Inoue.
- Rukia! – gridò la ragazza. L’arancione si tuffò verso di lei, poi inciampo (Rukia non capì esattamente in cosa) e cadde con un tonfo a terra.
- Tutto bene…? – le chiese Rukia, sporgendosi verso l’amica.
- S-sì – le rispose l’altra, rialzandosi e massaggiandosi la fronte. – Ahi… aspetta! – gridò e Rukia sobbalzò ancora.
Inoue si alzò in piedi. – Stasera voglio uscire! – affermò.
Rukia alzò un sopracciglio. – Perché tutta questa foga…? -.
Inoue arrossì. – Bé… ecco in realtà… io sarei stata invitata da Ulquiorra, ecco! – disse Inoue tutto d’un fiato.
Rukia sorrise e si grattò la testa. – Ed io cosa centro? -.
- Tu mi devi fare da spalla! – disse convinta Inoue.
- Mi sentirei un po’ il terzo incomodo – le disse Rukia, sedendosi sul letto e chiudendo il libro.
- No, non ti preoccupare – la confortò Inoue. – Ulquiorra ha insistito per passare prima per il bar dove suona Ichigo, così lo sentiamo suonare un po’. Poi ci possiamo pure dividere, se preferisci -.
Rukia corrugò la fronte.
- Ti prego, Rukia! – piagnucolò Inoue. – Se non vieni tu Ichigo passerà la serata con noi e… bé, non fraintendermi ma non mi sembra proprio il caso! E poi tu qui da sola… non c’è nemmeno Byakuya sta sera, ti annoieresti a morte, Rukia!-.
La mora sbuffò. In effetti il fratello quella sera era uscito per una cena di lavoro ma a lei non sarebbe dispiaciuto passare la serata da sola. Però…
- E va bene – si arrese alla fine. – Immagino che non mi farà male uscire, no? -.
Inoue iniziò a saltellare, ridendo. – Sì! E poi in questi giorni stai uscendo solo con Renji! -.
- Bé, è il minimo che io possa fare – ribatté Rukia, alzandosi dal letto. – Dopo tutto lui è il mio fidanzato, volente o nolente -.
 
Inoue e Rukia si prepararono con calma, scegliendo gli abiti con cura.
Alla fine, Rukia indossò una minigonna bianca con un top nero ed una sciarpa a quadri bianchi e neri. Ai piedi portava delle scarpe nere col tacco.
Inoue indossò un vestito bianco corto e delle ballerine, bianche come il vestito.
Alle otto e mezza, Ulquiorra bussò alla porta.
- Andiamo! – la incitò Inoue. Le due aprirono la porta e trovarono Ulquiorra e Grimmjow.
Il moro squadrò da capo a piedi Inoue, poi si schiarì la voce e si fece da parte per lasciarle uscire.
Ulquiorra indossava un jeans nero ed una camicia bianca molto semplice. Grimmjow, invece, portava un pantalone azzurro che gli arrivava al ginocchio e una maglietta bianca aderente, che metteva in risalto i pettorali del ragazzo. I capelli azzurri erano pieni di gel ed una sciarpa blu cingeva il collo del ragazzo.
- Come mai vieni anche tu? – gli chiese Inoue, precedendo i ragazzi sulle scale.
- Mi vedo con Tatsuki – le rispose Grimmjow. – Quindi scendo con voi -.
I quattro uscirono dalla Villa e si avviarono verso il parcheggio.
- Ehy, signorina! – chiamò Grimmjow. Rukia gli lanciò un’occhiata. – Che ne dice di portarci in macchina? -.
- Sì! – esclamò Inoue. – Dai Rukia, tu hai quella Lamborghini bellissima, fuori. Dai, dacci un passaggio! -.
Rukai storse il naso. Non le andava a genio l’idea.
- Meglio di no – disse.
Grimmjow sbuffò. – Che palle… -.
- Bé, comunque credo che se andremo a piedi faremo tardi – si intromise Ulquiorra. – Ichigo suonerà tra venti minuti e per arrivare al pub ci metteremo quasi mezz’ora -.
La Kuchiki sbuffò. – E va bene – si arrese. – Vado a prendere le chiavi -.
 
Rukia si rese conto di aver fatto un grosso sbaglio lasciando che Grimmjow guidasse.
In effetti, Ulquiorra l’aveva avvisata: le aveva raccontato la storia dell’incidente e tutto il resto. Ma Grimmjow le aveva strappato le chiavi di mano, aveva aperto la macchina e si era messo al volante.
Il motore aveva ruggito appena Grimmjow aveva dato gas e la macchina era sfrecciata a una velocità inverosimile lungo il viale accidentato.
Rukia aveva afferrato con forza il seggiolino davanti a lei e Inoue si era stretta forte a lei, gridando terrorizzata. Ulquiorra, seduto d’avanti, non sembrava particolarmente preoccupato ansi si stava allacciando con indifferenza le scarpe.
Grimmjow, invece, ululava, tanto era eccitato.
La Lamborghini sfrecciò lungo il viale e più di una volta la macchina sfiorò pericolosamente gli alberi lungo il tragitto e ogni volta Rukia soffocava un grido di puro terrore.
Dopo appena dieci minuti avevano raggiunto casa di Tatsuki per lasciare Grimmjow.
- Fortissimo – mormorò l’azzurro, scendendo dalla macchina.
- Lei è pazzo! – gridò Rukia, abbassando il finestrino, mentre Ulquiorra passava alla guida. Grimmjow fece spallucce. – Può essere – rispose, ghignando.
Ulquiorra diede gas e la macchina si allontanò. Rukia tirò un sospiro di sollievo. La guida tranquilla e regolare di Ulquiorra la fecero calmare e la ragazza osservò i negozi e le case che si susseguivano lungo la strada.
- Il locale dove suona Kurosaki è piuttosto isolato – le spiegò Inoue, di fianco a lei.
- Sei già andata a sentirlo? -.
- Sì, lui suonava anche quando lo conobbi io – le rispose l’altra. – Con lui ci sono altri quattro ragazzi, dei nostri vecchi amici, che incontrerai lì -.
Rukia annuì.
Dopo cinque minuti Ulquiorra fermò la macchina. I tre scesero.
Si trovavano in quartiere di periferia. La strada era illuminata da molti lampioni e le persone si muovevano a gruppi di cinque o sei per la via. Sulla sinistra c’erano molti pub o ristoranti, mentre sulla destra c’era un muro di mattoni grigi interamente coperto da grafiti e scritte varie. I bar e i pub erano tutti aperti e il chiacchiericcio generale attutiva il suono della musica che usciva da ogni edificio. Erano ormai le dieci meno cinque e la via era piena zeppa di ragazzi vestiti in jeans e magliette e ragazzine su tacchi altissimi vestite con abiti succinti che mettevano in mostra le forme piene dei corpi prematuri. I pochi adulti che si vedevano si affrettavano lungo la strada, mantenendosi vicini al muro sporco, come spaventati dalla marea di giovani che avevano occupato il quartiere.
Guardandosi intorno, Rukia notò svariate donne coperte solo dalla biancheria e, talvolta, lunghe calze nere o giacchette di pelle. Le donne guardavano con occhi maliziosi i ragazzi che passavano. Quest’ultimi non potevano fare a meno di lanciare alle lucciole uno sguardo carico di desiderio che poi si affrettavano ad abbassare, arrossendo come bambini.
Rukia non aveva mai amato stare in mezzo alla gente e quella via stretta e trafficata la metteva a disaggio.
Inoue le prese una mano e la condusse lungo la strada, mentre Ulquiorra chiudeva la fila.
Inoue svoltò in un viale secondario e poi svoltò ancora, allontanandosi dalla via principale.
Anche in quelle strade secondarie trovarono molti ragazzi e ragazze che chiacchieravano appoggiati ai muri dei palazzi.
- Certo che ci sono tante persone – disse Rukia.
Inoue sorrise. – Immagino che in genere Renji non ti porti qui, vero? – le chiese, ironica.
Intanto molti ragazzi avevano notato Inoue e non erano pochi i fischi d’apprezzamento che si alzarono al passaggio dell’arancione.
Ulquiorra passò avanti e si avvicinò ad Inoue, lanciando occhiate d’avvertimento a tutti i fringuelli che si avvicinavano alla ragazza.
Rukia si sentì un po’ invidiosa di Inoue: l’amica avrebbe potuto avere qualsiasi ragazzo del mondo. Invece lei… bé, lei era lei; lei era piatta, bassa e capricciosa.
- Siamo arrivati – trillò Inoue, strappando Rukia ai suoi cupi pensieri.
La Kuchiki alzò gli occhi e vide che si erano fermati davanti ad un locale. C’era un’enorme insegna azzurra che, ad intermittenza, illuminava le due parole: “Soul Society”.
- Benvenuta al Mondo degli spiriti! – le disse Inoue, spingendola dentro il locale.
Rukia entrò e la prima cosa che sentì fu un forte odore di fumo ed alcool.
Il locale, all’interno, era piuttosto buio ma delle luci bianche illuminavano fiocamente la sala.
Rukia fece un passo avanti e si guardò attorno. Alla sua sinistra c’era un lungo bancone nero che copriva tutta la parete sinistra e, dietro al bancone, le parve di vedere cinque o sei barman che versavano da bere ai clienti seduti su degli sgabelli bianchi e rossi. Il pavimento era di parquet ed era pieno di graffi e ammaccature che Rukia immaginò fossero state caudate da risso o cose simili.
A destra c’era una porta che dava su un’altra stanza, illuminata da varie luci rosse. Al centro c’era un tavolo da bigliardo e lungo le pareti svariate slot machine emettevano suoni metallici che risuonavano nella stanza.
Inoue la spinse dentro. Rukia proseguì e superò la stanza del bigliardo. Alla sua destra c’era, ora,  una sala quadrangolare, al centro occupata da un palco. Sparsi per la stanza c’erano vari tavolini di legno coperti da tovaglie sudice e sedie di plastica.
Rukai guardò il palco e riconobbe, intento ad incordare la chitarra, Ichigo. Vicino a lui c’erano altri quattro ragazzi: uno altissimo con la carnagione scure, dai capelli marroni lunghi e con un tatuaggio sul braccio sinistro alla batteria , un altro con gli occhiali e i capelli azzurri al basso e altri due ragazzi rispettivamente alla chitarra d’accompagnamento e alla pianola.
- Eccolo! – disse, indicando Ichigo.
I tre stavano per raggiungerlo quando le luci del palco si accesero. Rukia si coprì gli occhi con una mano, accecata, e vide Ichigo fare un passo avanti, stringendo un microfono tra le mani.
Il ragazzo raggiunse il centro del palco e salutò il pubblico, molto misero, con un gesto del capo.
Non si presentò, non disse il nome del gruppo né niente. Semplicemente, iniziò a suonare.
 
 
ANGOLINO
E anche questa è fatta! Un altro capitolo immenso: non riuscivo più a smettere di scrivere! Comunque, spero che il capitolo vi piaccia e, come sempre, se trovate errori di ogni genere ditemelo.
Ciao ciao

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Capitolo 7
*** Capitolo 7. Violent Pornography. ***


POV RUKIA
 
Rukia si era fatta trascinare piuttosto di controvoglia in quel locale. In effetti, lei non era mai stata in quella zona così squallida della città: in genere frequentava luoghi più consoni alla sua classe sociale. Quindi non aveva mai assistito in vita sua ad uno spettacolo come quello. In genere, suo fratello la portava a vedere concerti di musica classica nei più famosi e rinomati teatri del mondo e vedendo quell'accozzaglia di ubriaconi stravaccati su sedie di finta pelle o plastica sentì un brivido freddo lungo la schiena, rendendosi conto di essere piuttosto fuori posto.
Poi però si disse che doveva farsi forza; doveva assolutamente vedere Ichigo cantare. E,perciò, avrebbe potuto sopportare. Al suo fianco. Inoue ed Ulquiorra sembravano tranquilli. Il trio entrò dunque nella sala interna del locale, dove la luce era maggiore ma il tanfo del pavimento e le grida rozze degli ubriachi non eran diminuiti. Ma Rukia ignorò per un istante tutto il resto, senza fare caso agli uomini ubriachi o alle ragazze in vestiti minuscoli. Perché proprio davanti a lei, con la chitarra appesa al collo e un piccolo sorriso sulle labbra, c'era Ichigo. Indossava  un completo nero e si stava togliendo la giacca.
- Eccolo!- esclamò, indicandolo. Fu allora che Ichigo si allontanò dal resto del gruppo per avvicinarsi al microfono. 
Rukia sentì il cuore in gola, vedendo lo lì, solo sotto una luce bianca. Aveva gli occhi chiusi, non muoveva un muscolo. In qui pochi secondi di silenzio, Rukia pensò al peggio: forse Ichigo aveva magicamente perso la voce ed ora non trova più cantare; oppure aveva le dita immobilizzate ed era incapace di suonare. Le si strinse il cuore ma, improvvisamente, sentì una mano afferrarle il polso. 
Si voltò di scatto e vide che Ulquiorra le teneva il braccio, senza staccare gli occhi da lei. Portò un dito alle labbra e sibilò. Rukia stava per chiedergli cosa stesse facendo, ma la sua voce venne scavalcata da quella di qualcun altro. 
 
 
There is fiction in the space between
The lines on your page of memories
 
Rukia si girò di scatto e rimase pietrificata. Pietrificata da quegli occhi, da quella voce, da quelle mani. Pietrificata, perché Ichigo la stava guardando dritta negli occhi. 
 
Write it down but it doesn't mean
You're not just telling stories
 
La voce di Ichigo era dolce. Trasmetteva tranquillità e sicurezza. Rukia si sentiva bene, le sembrava che mani invisibili le stessero carezzando il corpo intero e, intanto, il suo sguardo e quello di Ichigo rimasero collegati. Gli occhi di lui erano seri, profondi, concentrati ma anche curiosi: forse si chiedeva che ci faceva lei in un posto come quello.
 
 
There is fiction in the space between
You and reality
You will do and say anything
To make your everyday life
Seem less mundane
There is fiction in the space between
You and me
 
 
Ichigo abbassò gli occhi e Rukia sorrise, vedendo che era arrossito
E, improvvisamente, Rukia riconobbe quella canzone. L'aveva sentita. Sentita proprio da Ichigo. Ricordava che lui la stava canticchiando una mattina, mente cambiava le lenzuola dehl letto di suo fratello. 
Ma in quel momento era diversa... Le parole erano scandite più chiaramente e in tutto il locale aleggiava un'aria di serenità che non si addiceva molto all'aspetto del luogo. Anzi, sembrava assolutamente inopportuna. Eppure, Rukia si accorse che tutti tacevano: no volava una mosca. Nessuno chiacchierava o beveva, nessuno mangiava. Tutti guardavano verso il palco.
Intanto, Ichigo continuava a cantare e a suonare. Rukia però non sentiva la musica, sentiva solo quella magnifica, splendida voce. Non le importava nemmeno capire le parole che sicuramente avevano un significato.
 
There's a science fiction in the space between 
You and me 
A fabrication of a grand scheme 
Where I am the scary monster 
I eat the city and as I leave the scene 
In my spaceship I am laughing 
In your remembrance of your bad dream 
There's no one but you standing 
 
A quel punto, però, Ichigo aveva stretto i denti, finita la strofa. Rukia alzò un sopracciglio. Che cosa aveva detto? Cercò di ricordare, ma non ci riuscì. Che cosa aveva detto? 
La canzone proseguì e Rukia si Fece attenta.
 
Leave the pity and the blame 
For the ones who do not speak 
You write the words to get respect and compassion 
And for posterity 
You write the words and make believe 
There is truth in the space between 
 
Ancora una volta, Rukia non capì tutto, ma sentì che Ichigo,invece, stava cercando di farsi capire. 
È, così, il ragazzo alzò ancora gli occhi e la guardò. La guardo profondamente, intimamente. Era così dolce quello sguardo, che Rukia arrossi. Eppure, non distolse gli occhi dai suoi. 
- Che mi vuoi dire? - gli sussurrò. È sperò che lui la capisse e le rispondesse. 
 
There is fiction in the space between 
You and everybody 
Give us all what we need 
Give us one more sad sordid story 
But in the fiction of the space between 
Sometimes a lie is the best thing 
Sometimes a lie is the best thing
 
Le ultime parole, però, lei le capì:" qualche volta una bugia è la cosa migliore".
La canzone finì, la musica diminuì e, alla fine, cadde il silenzio. E, subito dopo, gli applausi .Ma Ichigo la guardava ancora, ignorando tutto il resto. E, ancora, le chiedeva di capire. Ma lei non poté ed abbassò gli occhi, appena senti Inoue chiedere - Allora, ti è piaciuta? -.
- Bellissima - disse Rukia. - Tu... La conoscevi, questa canzone? -.
Inoue annuì. - Ichigo la canta spesso. Gli piace molto, credo -.
Rukia strinse i denti: doveva assolutamente saperne di più. 
- Raggiungiamolo vicino al palco, che ne dite? - si intromise Ulquiorra, spingendo le ragazze verso l'amico che, intanto, era sceso dal piccolo palchetto e parlava con gli altri ragazzi del gruppo. 
- Sì, bene, infatti - stava appunto dicendo l'arancione, quando i tre li raggiunsero.
- Kurosaki! - trillò Inoue. Ichigo si voltò. - Ehi! Che sorpresa vedervi qui. No sapevo sareste venuti -.
- Be', un'idea dell'ultimo minuti - rispose Inoue, sorridendo. - E poi, hai visto chi c'è? Rukia è qui! -. 
Rukia arrossì e si schiarì imbarazzata la voce. Ichigo, invece, sorrise. - Vi avevo vista dal palco, signorina Kuchiki. È stato imbarazzante cantare davanti a voi! -.
Rukia sorrise a sua volta. - Sei stato molto bravo, davvero Kurosaki -. I quel momento, stranamente, le sembrava strano chiamarlo per cognome. Forse per gli sguardi che si erano scambiati? Scosse la testa e scacciò quello stupido pensiero, ricordando che, uno lui era il suo maggiordomo, due, lei doveva sposarsi.
- Tutto bene, signorina? - le chiese Ichigo, vedendo scuotere la testa. 
Lei arrossì ma annuì, abbassando gli occhi. 
fortunatamente, una voce si intromise.  - Kurosaki, andiamo a bere qualcosa? -. Il ragazzo dai capelli blu si era avvicinato al gruppetto. 
- Ishida! - lo salutò Inoue, avvicinandosi al ragazzo e stringe solo forte.
- Inoue! Come stai? - il ragazzo non l'abbracciava, ma si grattava imbarazzato una guancia, schiarendo si la voce. 
- Benissiml - le rispose lei, lasciandolo finalmente andare. - Siete stati bravissimi.... Ma guarda, c'è Sado la dietro! E anche Keigo e Mizuiro! -.
Rukia osservò stranita i ragazzi che si avvicinavano. Sembravano gentili, ad eccezionale del tipo alto chiamato Sado, che la guardava con occhi penetranti. 
- Che ne dite di bere qualcosa? - propose Keigo. Poi si accorse della presenza di Rukia. - E questa qui? Sta mica con noi? -chiese, indicandola. Rukia alzò un sopracciglio, non gradendo i modi di fare del ragazzo. Freddamente,gli porse la mano e si presentò. Keigo le strinse sorridendo la mano. Passò un secondo, poi il ragazzo capì con chi sta parlando e la sua espressione cambiò.
- Ku... chiki, eh? - sussurrò con i filo di voce. 
- Già - rispose lei, sorridendo. 
In un attimo, Keigo si buttò a terra. - Perdonate il mio comportamento! Vi predo, perdonatemiii! Non condannatemi a morte, voglio vivere! Sono ancora giovane e nei migliori anni della mia vita! -.
Rukia ridacchiò. 
- Alzati, Asano! - lo richiamó Ichigo. 
- Ichigo! - gridò l'amico, lanciandosi verso l'arancione che, bellamente, si spostò, evitando l'abbraccio dell'altro. 
- Smettila di fare il buffone! - sbuffó Ichigo. 
Keigo sbuffò a sua volta. - Perchè nessuno mi comprende? Per fortuna che ci sei tu, Mizuiro! - e, così dicendo, si voltò verso il ragazzo. 
- Trovo anche io che tu sia un buffone - lo informò Mizuiro, che stava scrivendo un messaggio con il cellulare. - Anzi, talvolta ti reputo insopportabile, se devo essere sincero -.
Asano si pietrificò e le lacrime gli riempirono gli occhi. - Non... non ti ho mai chiesto di essere sincero!! - gridò, prima di correre via. 
- Dove...? - chiese Rukia, assistendo alla fuga del ragazzo.
- Non fatevi caso - consigliò Ichigo. - Va in bagno, torna tra poco. Succede spesso -.
Rukia sorrise. 
Alla fine, in gruppetto uscì dal locale. Si diressero verso un bar più accogliente, dove si fermarono per bere.
Con una birra a testa, sii sedettero ad un tavolo e chiacchierarono a lungo. Rukia sorrideva a destra e a manca e riuscì a fare amicizia con Sado, che si rivelò essere molto gentile con lei.
Ichigo ogni tanto le lancia a uno sguardo e, a volte, lei lo notava e rimandava l'occhiata. 
Continuarono così fino all'una di notte. Asano, che li aveva raggiunti dopo una decina di minuti, era completamente ubriaco e quando uscirono dal locale non riusciva nemmeno a reggersi in piedi. Alla fine, Mizuiro fu costretto a prenderlo sotto braccio e portarlo a casa, scortato da Sado.
 - Ci si vede! - li salutò il ragazzo, prima di avviarsi.
- Vado anche io- annunciò Ishida. -  Domani devo partire con mio padre, meglio che vada -. 
- Va bene - annuì Ichigo. - Salutami tuo padre -.
Ishida salutò gli altri e si avviò per la strada.
I quattro rimasti lo osservarono allontanarsi, poi Ulquiorra afferrò Inoue per una spalla e le sussurrò qualcosa all'orecchio.
Lei si fece seria, poi annuì. 
Si voltò verso Ichigo e Rukia e sorrise. - Che dite? Volete tornare a casa? -.
Ichigo sbadigliò. - Io sono stanco morto - annunciò.
Rukia, invece, controllò l'ora sul cellulare. Era l'una e mezza. -  Meglio che io torni a casa - disse. - Mio fratello no vuole che io torni troppo tardi -.
Inoue annuì. - Allora ci dividiamo. Io voglio stare ancora un po' i giro. Magari mi bevo un' altra birra. Tu vieni con me, Ulquiorra? -.
Il moro, senza scomporsi, annuì. 
- Be', allora vi lasciamo la macchina - propose Ichigo. - Non voglio sapere a che ora tornerete -.
- Tu sei venuto a piedi? - gli chiese Rukia.
Ichigo annuì. - Sapete, la nostra vecchia auto si è schiantata contro un negozio... È una storia buffa, magari ve la racconto strada facendo. Sempre che voi non preferiate andare in macchina -.
- No, figurati - lo rassicurò. - Lasciamo pure a loro la macchina. Non mi dispiace camminare un po' -.
Ichigo annuì. - Be', allora ci dividiamo qui - annunciò l'arancione, facendo un passo indietro. 
- Ci vediamo domani - li salutò Inoue.
Rukia la salutò con la mano e seguì Ichigo, che l'aspettò per camminare al suo fianco. 
 
- Vi siete divertita? - chiese Ichigo, dopo qualche secondo. 
- Per favore - rispose lei. - Potresti darmi del tu,  almeno quando siamo da soli? -.
Ichigo arrossì. - Emm, allora... Ti sei divertita, sta sera, signorina Kuchiki? -.
Rukia sorrise. - Kuchiki basta e avanza, Kurosaki -.
Ichigo sbuffò e abbassò gli occhi. - E va bene: tu sei divertita, sta sera, Kuchiki? -.
- Sì, grazie per l'interessamento - rispose lei, ridendo. - Sei molto bravo a cantare -.
- Ma che! - ribattè lui. - Non sono così bravo... Qui a destra - indicò lui, spingendola in quella che doveva essere la strada principale. La gente era poca: dopo tutto era piuttosto tardi. 
- A chi era dedicata? - chiese dopo un po' Rukia. 
Ichigo sorrise. - La canzone? Mm.... A nessuno, in particolare -.
- In che senso? -.
- Be', diciamo che io la dedico a me stesso. Ma vorrei tanto avere qualcuno a cui dedicarla.... È una bella canzone -.
Rukia annuì lentamente. Alla fine, si ritrovarono a parlare di musica. 
Ichigo non amava il Pop, preferiva gruppi come gli Oasis o gli Aerosmith.
- Perchè quando cantano, sembrano raccontare storie. Insomma, mi fanno capire quello che vogliono dire.... Non so se mi spiego -.
Rukia ci pensò su: lei non aveva mai ascoltato gli Aerosmith. Quando lo disse ad Ichigo, lui fece un'espress e esterrefatta. 
- Ma dai! Gli Aerosmith! Sono famosissimi! È come se non si conoscessero che so.... I Nirvana! -. I due, intanto, avevano raggiunto il bosco e i pochi lampioni che illuminavano la strada erano molto distanti gli uni dagli altri. Gli uccelli cantavano ma, altrimenti, il silenzio era totale. Con molto gentilezza, Ichigo le poggiò la giacca del completo sulle spalle e lei ebbe un brivido: sentiva forte l'odore di lui. E la cosa le piacque.
Rukia arrossì e lo vide sconvolto.  Sperò ardentemente che no avesse capito ciò che stava pensando lei in quel momento. Per sua fortuna, lui esclamò, fraintendendo tutto. - Voi... Cioè, tu non hai mai sentito i Nirvana?! -. 
- Non è colpa mica! - disse lei. In effetti, lei nonaveva mai sentito nemmeno i Nirvana,e così si difese dicendo - Mio fratello non vuole che io ascolti altra musica se non la classica -. 
Ichigo alzò un sopracciglio. - Scherzi. Vero? -.
Lei sbuffò. - No, invece. Sono seria -. 
Ichigo si prese la testa tra le mani. Poi, però, scattò su e, con,il pugno chiuso, gridò. - Allora è deciso! Io, Ichigo Kurosaki, ti farò sentire seduta stante i più grandi gruppi della storia del Rock - e, così dicendo, tirò fuori dalla tasca un MP3 con della cuffie. Lei sorrise quando lui le porse una cuffia. 
La prese e la mise all'orecchio. Lui fece un passo verso di lei per mostrare la schermata dell'apparecchio e Rukia deglitì, trovandolo così vicino al suo viso. 
Schiarendosi la voce, allungò un dito e premette una a caso delle canzoni che comparvero sullo schermo.
Lesse a pena "Sistem of a Down" "Violent Pornography".
Sentì Ichigo ridacchiare e alzò su di lui gli occhi. Di certo non si aspettava di trovarlo così vicino. Non sentì la canzone iniziare, troppo concentrata sul naso di lui vicino al suo  e gli occhi di lui così limpidi. 
Lui mosse lentamente una mano sul fianco di lei è stava per parlare, quando un casino infernale irruppe nell'orecchio di entrambi. 
Rukia sobbalzò ed arretrò, togliendo l'auricolare dall'orecchio. Aveva il batti cuore, ma sentiva uno strano calore dove Ichigo l'aveva toccata. Il ragazzo, invece, stava spegnendo il lettore, borbottando qualche parola. 
Rukia arrossì. Era certa che Ichigo voleva baciarla. Se lo sentiva.  In un attimo, ricordò il viso di Renji. Non poteva. Non avrebbe mai potuto fare una cosa simile. Si guardò la mano e sentì come mai prima il peso del l'anello che portava al dito. 
- Andiamo! - esclamò la Kuchiki. Velocemente, iniziò a camminare, precedendo Ichigo. Non doveva guardarlo in faccia. Non doveva guardarlo in faccia. 
E, così, proseguirono.
 
 
ANGOLINO
 
Qualcosa mi dice che quando avete visto che la storia è stata  aggiornata avete tutti esclamato un bel -FINALMENTE!!!!-.
Se vi fa sentire meglio, sappiate che in questo momento sono letteralmente in ginocchio ai vostri piedi: mi sento cosìììì in colpaa! 
Vi ringrazio per la pazienza di aver tenuto la storia tra le seguite e le preferite e accetterò ogni genere di improperio o accusa, me le merito tutte!!
Comunque, ecco a voi il nuovo capitolo, ditemi che ve ne pare!
 
 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8. Tra passato e presente. ***


POV INOUE
 
- Guarda, Ulquiorra! Non è il cane più bello che tu abbia mai visto? – domandò Inoue, lanciandosi su un piccolo ed indifeso cagnolino che stava tranquillamente disteso sotto un albero del parco. Purtroppo per lei, quando il cane la vide saltò in piedi e le ringhiò contro, prima di correre via.
- Accidenti! – sbuffò Inoue, quando il cane si fu allontanato. La bestia si sedette qualche metro più in la, poggiando la testa sulle zampe. Un lampione illuminava il cane, che si era accomodato nei pressi di una panchina.
- Non avresti dovuto saltargli addosso – le disse Ulquiorra.
- Ma è così carino! Non sono riuscita a resistere – si giustificò Inoue, grattandosi la testa.
Ulquiorra alzò un sopracciglio. Senza parlare, si avvicinò lentamente al cane.
Inoue, alle sue spalle, lo osservava. E pensava che era proprio strano. Lo aveva pensato fin dalla prima volta che lo aveva visto: così diverso da qualsiasi altra persona al mondo.
Ulquiorra era un osservatore; parlava poco ma ascoltava sempre tutto e sapeva sempre cose provavano gli altri. Per questo Inoue era diventata sua amica: così poteva avere qualcuno con cui parlare. Ricordava che Ulquiorra era rimasto sorpreso, quando lei gli aveva detto che voleva diventargli amica.
- Perché? – le aveva chiesto, freddamente.
Inoue aveva riso. –Ci deve essere un motivo? – aveva ribattuto.
- Le cose si fanno sempre per un motivo – aveva risposto lui, senza abbassare gli occhi.
- Giusto – aveva ammesso lei.  – Bé, mi sembri un tipo interessante -.
- Non lo sono – aveva ammesso lui.
Lei aveva alzato un sopracciglio. Lui, però, aveva fatto spallucce. – Me se proprio vuoi immagino che potremo essere… amici. Per me è lo stesso -.
Inoue per un attimo era rimasta sorpresa: aveva capito che Ulquiorra era molto più complesso di quello che lei credesse. Poi aveva sorriso e gli aveva teso la mano. Lui aveva aggrottato la fronte e le aveva stretto la mano. Lei aveva trattenuto un brivido, sentendo la pelle fredda di lui e aveva pensato che avrebbe tanto voluto abbracciarlo, per renderlo più caldo.
- Alla nostra amicizia! – aveva invece gridato, stringendogli forte la mano e ridendo.
E, in quel momento, lui aveva fatto un minuscolo sorriso.
Guardandolo in quel momento, mentre si avvicinava silenzioso a quel cane, Inoue pensò che Ulquiorra non era cambiato: freddo, calcolatore ma anche gentile, inaspettatamente, e comprensivo.
Sorrise, quando vide che il ragazzo si era inginocchiato davanti al cane e aveva allungato la mano verso il suo naso.
Il cane, in un primo momento, aveva ringhiato. Poi, però, aveva annusato la mano di Ulquiorra. Passarono pochi secondi, in cui tutto tacque, ma, alla fine, il cagnolino avvicinò la testa alla mano di Ulquiorra che lo accarezzò lentamente.
- Orihime – la chiamò lui, senza alzare la voce. Lei avanzò lentamente. Quando arrivò vicino al ragazzo vide che il cane aveva gli occhi chiusi e l’espressione completamente rilassata. Ridacchiò e il cagnolino aprì un occhi per scrutarla. Nonostante tutto, però, non si mosse ma richiuse gli occhi, per godersi il grattino di Ulquiorra dietro l’orecchio.
Inoue allungò una mano e gli accarezzò il pelo, sentendolo morbido sotto la mano.
- Certo che gli animali ti adorano – constato, rivolta ad Ulquiorra.
- Non è vero – ribatté lui, anche se in effetti sapeva trattare con gli animali. Forse, pensò Inoue, perché gli animali non hanno pregiudizi. Soprattutto per quello Ulquiorra non aveva molti amici; quando la gente lo guardava non vedeva altro che un ragazzo dal colorito cadaverico e occhi verdi freddi come il ghiaccio.
Inoue si rattristì e gli lanciò un’occhiata: l’espressione tranquilla, come sempre, i capelli neri che scivolavano sulle spalle e gli coprivano leggermente il viso.
Senza parlare, Inoue gli scostò i capelli dal viso e li tirò dietro l’orecchio, per poterlo guardare. Lui si voltò leggermente e lei abbassò gli occhi.
- Sediamoci – le disse lui, alzandosi in piedi.
Lei annuì e si alzò. Il cane, sorpreso, li osservò sedersi e, senza scomporsi, rimise la testa sulle zampe.
Inoue si guardò attorno. – Abbiamo fato bene a venire al parco – osservò.
- Già – concordò lui. – In strada era un casino -.
Lei annuì leggermente. Si voltò verso di lui e sorrise. La luce del lampione gli illuminava la pelle bianca che sembrava risplendere. Gli occhi erano chiusi e il respiro regolare. Senza farsi notare, cacciò il cellulare dalla borsa e puntò l’obiettivo verso di lui. Riuscì a scattare prima che lui si accorgesse di ciò che stava accadendo.
Rise, quando lui inarcò le sopracciglia.
- Mi hai fotografato? – le chiese, stupito.
- Già – ammise lei, sempre ridendo. Colta da un’ispirazione improvvise, lo afferrò per la maglia e lo tirò verso di sé. Senza dargli il tempo di parlare, poggiò la sua testa contro la sua spalla, gli passò un braccio sul petto e fece un’altra foto. Il flash illuminò i due per un attimo, accecandoli.
Soddisfatta, Inoue guardò la foto. – Ehi, è venuta proprio bene! – esultò, mostrandola al ragazzo.
Lui però la stava osservando. E il suo sguardo era così serio…
Inoue sapeva ciò che stava per dire e quando sentì la voce dell’amico non poté fare a meno di abbassare gli occhi.
- Dove sei stata? – le chiese lui.
Inoue sospirò.
- Io e gli altri abbiamo aspettato abbastanza – continuò lui. – Però devo sapere, Orihime. Dove sei andata? E perché? -.
Lei guardò il cielo, per un attimo. Le stelle non si vedevano, anche se ormai erano circa le due di notte.
- Orihime… - la incitò Ulquiorra.
- La nostra ultima… chiacchierata prima che partissi – disse lei, senza guardarlo. – Ti ricordi? – che domanda stupida, certo che ricordava. Gli aveva detto cose orribili.
- Sì – rispose lui, senza scomporsi.
- Sono stata molto sgarbata, vero? – ammise lei, abbassando gli occhi. “Guardalo” si disse. Sapeva che avrebbe dovuto. Ma non ci riusciva.
- Non importa… - stava dicendo lui.
- E invece sì – lo interruppe lei. Ricordava così bene quella notte. Le cose che gli aveva detto e gli occhi tristi e sorpresi di lui, che non aveva risposto.
- È passato tanto tempo – disse lui.
- Però ti ho fatto soffrire, vero? -.
Lui non rispose. – Mi dicesti la verità – disse, alla fine. – Ed io sapevo che dicevi il vero. Per questo ho sofferto. Perché per la prima volta mi mettevano davanti alla verità. Ma non mi arrabbiai con te, no -.
- Avresti dovuto – gli disse lei.
- Come avrei potuto? – le chiese, guardandola.
Lei arrossì. – Smettila – mormorò. – Di essere così gentile con me. Smettila di trattarmi come se fossi la persona migliore del mondo, ti prego -.
Lui sospirò. E lei sapeva che non sapeva cosa dire.
- Tu – sussurrò dopo un po’ lui. – Sei una delle cose migliori che mi sia mai capitata -.
E lei alzò lo sguardo su di lui ed incrociò i suoi occhi. Trattenne un fremito: per la prima volta quel verde non era freddo e compatto. Quegli occhi freddi la guardavano con calore e dolcezza. Si chiese quando Ulquiorra aveva imparato ad esternare i suoi sentimenti.
Lui sembrò leggerle nel pensiero. – Sono cresciuto un po’, ultimamente -. Si schiarì la voce e distolse lo sguardo.
- Sai – disse. – Prima che tu, Ichigo e gli altri entraste nella mia vita ero triste. E completamente disinteressato. Mi importava poco della gente, nessuno stimolava la mia curiosità. Poi, però, è arrivato Ichigo, con i suoi discorsi sconnessi e filosofici, a volte. Poi sei arrivata tu, che se la persona più strana del  mondo. Ti lasci trasportare dalle emozioni, ci tieni così tanto a noi… a me. E, per la prima volta, ho sentito di appartenere a qualcosa, al nostro gruppo –. Ulquiorra strinse le mani. Poi tornò a guardarla. – Dove sei stata? -.
Inoue chiuse gli occhi. – E va bene – si arrese. Si alzò in piedi e si sedette vicino al cane, carezzandogli il pelo. L’animale fece un verso di approvazione e Inoue sorrise.
- La sera della nostra discussione… fu la mia ultima sera a Karakura. Il mattino seguente mio fratello mi svegliò e mi disse di fare le valige. Io gli chiesi perché e lui mi disse che dovevamo andare a Tokyo. Io rimasi sorpresa e lui mi disse, con voce infranta, che mamma e papà erano morti. Dovevamo andare al funerale. Io rimasi stupita, soprattutto perché lo vidi piangere. Vedi, mio fratello non è mai stato legato ai nostri genitori, ansi: credo li odiasse. Io non ricordo nulla di loro, quindi non mi era mai importato di loro. Così andammo a Tokyo. Arrivati lì partecipammo al funerale. Ci fermammo due giorni. Ma la cosa peggiore accadde successivamente. Infatti, i miei genitori avevano lasciato un testamento ed affidato la mia custodia non a mio fratello, ma a mio zio. Mio fratello era disperato. Ma l’avvocato era irremovibile: doveva seguire gli ordini dei miei genitori. Ed io ero minorenne: avevo giusto quindici anni, troppo piccola per decidere del mio destino – Inoue fece una pausa per riprendere fiato, anche perché era difficile continuare il racconto. – Così fui portata da mio zio, il fratello di mio padre. Ero sconvolta e triste: mi stavano per separare dalla mia città e da voi. La cosa peggiore, fu che mi permisero di tornare a casa solo una volta. Quando arrivai, però, non trovai il tempo di incontravi. Per questo, lasciai quel biglietto a Kurosaki. Volevo farvi sapere che stavo bene, ma non vi ho detto dove andavo perché non volevo che voi vi precipitaste a Tokyo per riportarmi a casa. Sapevo che era la cosa giusta da fare, andare da mio zio e poi non volevo farvi entrare in questa brutta situazione. Mio zio non era proprio una cattiva persona. Solo aveva le sue fisse. Credo fosse pazzo. Fatto sta che mi tenne chiusa in casa per tutta l’estate, quando arrivai. Uscivo solo una volta al giorno per due ore.
Intanto, mio fratello lavorava affinché mi permettessero di tornare a casa. Si era trovato un piccolo appartamento a Tokyo e veniva ogni giorno a trovarmi. Nostro zio, però, lo cacciava di casa dopo un paio d’ore. Temeva molto la testardaggine di mio fratello. Quando iniziò la scuola, mi iscrissero ad un istituto privato al centro della città. Mio zio mi lasciva uscire di casa per andare a scuola ma voleva che io tornassi subito a casa dopo le lezioni. In pratica, mio zio non mi maltrattò mai. Altrimenti, sapeva che avrebbe perso la custodia ed io gli ero molto utile: non si è mai sposato ed io pulivo casa quando non ero a scuola -.
Inoue fece un’ulteriore pausa e pensò che, in effetti, era strano pensare a quello che le era accaduto.
- Rimasi con mio zio fino a quando non fui maggiorenne. Devo ammettere che fui felice di lasciare la casa dello zio: ero finalmente libera. Non attesi. La sera dopo il mio diciottesimo compleanno mio fratello mi venne a prendere. Mio zio si oppose ma mio fratello fu irremovibile: aveva dovuto aspettare tre anni per riavermi e mio zio non avrebbe potuto fermarlo. Così, dopo una buona ora passata a gridare, mi prese e mi trascinò via. Mio zio era furioso. Mio fratello mi chiuse in macchina e tornò dentro casa, per discutere con mio zio, mi disse. Tornò dopo mezz’ora. Non so cosa si dissero. Ma io scesi dalla macchina e mio zio mi abbracciò. Poi tornai qui. -
Finito il racconto calò il silenzio. Inoue continuava ad accarezzare il cane.
- Quindi… non ti ha fatto del male? – chiese Ulquiorra dopo un po’.
- No – lo rassicurò lei. – Mio zio, ti ho detto, non era violento. Ma molto possessivo. Mi tenne a casa per la maggior parte del tempo. Non avevo amici ma non potevo lamentarmi: avevo un letto in cui dormire e cibo tre volte al giorno. -.
Lo sentì sospirare. – Ti sei preoccupato per me? – gli chiese lei.
- Naturale – rispose lui.
- Sono stata una stupida, a non incontrarvi allora. Vi avrei dovuto dire tutto. Ma in quel momento mi sembrava la cosa più giusta da fare – ammise lei. Poi continuò. - So che cosa vuoi sapere: perché non ti ho scritto in questi ultimi tre anni? – Inoue sospirò e deglutì. – Non potevo chiamarti o scriverti dopo quello che ti aveva detto. Non trovavo la forza di farlo. E poi non volevo che tu continuassi a pensare a me. Volevo che mi dimenticassi di me -.
- Come avrei potuto? – le chiese, come se fosse impossibile anche solo immaginarlo.
- Dovevi! – gridò lei. Il cane sobbalzò e si affrettò a scappare via. Inoue lo guardò allontanarsi tristemente. – Speravo di non incontrarvi più. Vi avevo fatto così tanto male. Ma quando vi ho rincontrato da Rukia ho capito: mi mancavate. Mi mancavate così tanto! -. Non riuscì a trattenere un singhiozzo ma riuscì ad impedire alle lacrime di scendere. – Voi meritate una persona migliore di me. Tatsuki merita un’amica più sincera. Kurosaki una persona più sensibile. E tu meriti una ragazza più altruista -.
Silenzio. Il silenzio era totale. Inoue temette che Ulquiorra se ne fosse andato.
Si stava per girare, quando sentì una mano sulla testa, che gli carezzava la nuca.
- Quando te ne sei andata sono stato male – ammise il ragazzo, senza smettere di accarezzarla. – Malissimo. Grimmjow temeva che fossi caduto in depressione. Credevo che… te ne fossi andata… per colpa mia… temevo che non ti avrei più rivista -.
Il moro si inginocchiò vicino a lei e Inoue abbassò gli occhi. Lui continuava ad accarezzarle la testa.
- Temevo che sarei tornato come prima: insensibile al resto del mondo. Per questo quando ti ho rivista non mi sono arrabbiato con te. La gioia che ho provato… non puoi nemmeno immaginarla -.
- Non devi essere felice di rivedermi – gli disse. – Ti ho detto cose orribili, sono scomparsa senza dirti nulla e non ti ho nemmeno spiegato il perché. Come puoi perdonarmi tutto questo? -.
- Perché siamo amici – le disse lui. Le toccò il mento e la costrinse a guardarlo. Lei aveva le lacrime agli occhi, ma non piangeva.
- Io ti perdonerei tutto. Qualunque cosa. Ci sarò sempre. So che dovrei essere più gentile e più affettuoso con te, ma solo per dirti queste semplici parole sto facendo uno sforzo enorme. Io sono fatto così, Inoue. Ma puoi star certa di una cosa: non ti abbandonerò. Perché sei stata tu che mi hai dato la forza di uscire dal mio guscio e di aprirmi al mondo -.
E, a quel punto, Inoue non riuscì più a trattenersi. Iniziò a piangere e si gettò contro Ulquiorra, stringendo la sua maglia con le mani e poggiando la testa sul petto di lui.
Ulquiorra non si ritrasse, ansi. Le passò le mani intorno ai fianchi.
Lei rise, tra le lacrime. – Da quando ti piace il contatto fisico? -.
- Infatti non mi piace – disse lui. – Ma se ti può aiutare, va bene -.
- Sei strano – ammise lei, riempiendosi le narici del suo profumo forte e piacevole.
- Anche tu – rispose lui. – Sei la più strana. Ma va bene così -.

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