Hunger Games 4 - Generazione Capitol 13.

di Finnick_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 29: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Mi chiamo Rue Mellark, ho 16 anni e vivo nel distretto 12. So tirare con l’arco, l’unica cosa che riesco a ricordarmi di saper fare.
Tendo l’arco davanti a me e placo il respiro. Miro alla lepre immobile con le orecchie ritte. Mi ha sentita, ma se mi sbrigo posso ancora abbatterla.
Mio fratello si chiama Chays Mellark, ha 14 anni e vive nel distretto 12. Sa disegnare, come mio padre.
Socchiudo gli occhi e mi accorgo che la mia mente non riesce a seguire il veloce momento in cui la freccia scoccata si lancia dal mio arco e colpisce la lepre proprio sotto l’orecchio sinistro, facendola collassare a terra tra flebili gemiti che si spengono quasi subito.
Ah dimenticavo, Chays sa tirare di spada. Non ricordo come abbia imparato.
Abbasso l’arco che vibra ancora per la tensione ricevuta e ricomincio a respirare. Me lo ricordo. Bene, sto migliorando. Riesco a pensare a chi sono e contemporaneamente cacciare con l’arco. Mi libero il viso dai capelli neri che non avevo osato spostare qualche secondo prima e vado a raccogliere il mio bottino. Il vento si alza proprio in questo momento. Mi guardo attorno e noto che solo l’area di bosco in cui sono io si muove vorticosamente. Un rumore fiacco e snaturato viene da sopra la mia testa e quando alzo gli occhi mi vedo passare sopra un Overcraft nero, il cui ex sigillo di Capitol City è stato sostituito da quello del Distretto Madre: il Distretto 0. Non mi nascondo, non mi muovo, come avrei fatto in altre circostanze o come mia madre mi ha sempre detto di fare. E’ vero, Capitol City è stata distrutta insieme al suo governo proprio grazie a lei, ma la paura che a volte ancora la sveglia in preda agli incubi rimane costante. Non vuole che io stia a contatto con quello che è rimasto dell’antico regime di Panem, compresi gli Overcraft che ci volano perennemente sulla testa.
Aspetto a naso all’insù che l’Overcraft sia passato e solo quando è quasi sparito mi accorgo che il rumore che produceva è cessato con un tonfo sordo. Viene dalla parte di Prato che ancora è recintata. Mi carico in spalla l’arco e infilo la lepre nel sacco che porto attaccato alla faretra. Mentre cammino verso casa cerco di ripetermi le parole di qualche minuto prima. Soffro di vuoti di memoria. Non fino ai miei 6 anni, però. Fino a quell’età ero una bambina felice, gioconda e immersa nelle bellezze della natura. Adoravo, adoro ancora, ridere e scherzare con mio padre tra i fiori che circondano la parte di prato che scollina oltre l’Ovest del Distretto 12. Da lì si possono intravedere le colline che segnano i confini naturali con il Distretto 11.
Mi chiamo Rue Mellark.. Penso al mio nome, poi al Distretto 11. E l’associazione di idee mi viene immediata: Rue, la ragazzina di 12 anni che fu l’unica con cui mia madre strinse alleanza nei settantaquattresimi Hunger Games. Lei morì, non so come. O forse lo so, ma non lo ricordo.
Ho iniziato a soffrire di vuoti di memoria proprio dall’età di 6 anni. Era il giorno della Memoria e la Presidente Paylor aveva fatto mandare in onda sulle tv di tutti i Distretti  i video che riportavano le scene più commoventi, affascinanti, emozionanti, orrende che mia madre e mio padre avevano vissuto dentro e fuori l’Arena. Quando le vidi su quello schermo il mio cuore smise di battere per qualche secondo. Letteralmente. Devo avere dentro di me tanto sangue di mio padre Peeta, perché né io né lui abbiamo retto l’impatto di certe immagini a distanza di anni. Io, teoricamente, non avrei motivo di farmi venire un infarto, lui sì. Il mio cervello fu sottoposto ad una pressione troppo grande per una bambina della mia età e non so esattamente come, ma persi la memoria di quello che era successo solo pochi giorni prima. Così la mia vita è continuata tra un ricordo sporadico, che Peeta e Katniss mi aiutano a ricollegare per ricostruire i fatti, e il vuoto totale che mi manda in una profonda depressione. Adesso succede meno, sto migliorando.
Per esempio, adesso ricordo ancora che mi sto incamminando verso casa per capire il perché quell’Overcraft è atterrato proprio nel Prato.
Ho 16 anni e vivo..
-Rue Mellark!- sento chiamare. Sono io. Alzo lo sguardo, spaesata. Una donna vestita di bianco mi viene in contro a grandi passi. Tendo la mano verso l’arco, gesto protettivo, ma inutile. La abbasso non appena la riconosco.
-Presidente- dico mentre anch’io faccio qualche passo verso di lei. La conosco ormai dal primo istante in cui sono venuta al mondo e anche se è stata lei con i suoi programmi televisivi a provocare la mia sofferenza mentale, non la odio particolarmente. Ma ora la domanda è un’altra. Che ci fa qui? Faccio per aprire bocca e chiedere, che lei prende il mano il fucile e me lo punta spudoratamente contro.
Bene. Penso. Fessa e morta tra due secondi per un motivo che non mi è dato sapere. Ma non ho paura, ho la strana convinzione che se la Paylor facesse un gesto del genere si ritroverebbe 13 Distretti contro insieme ad una Katniss Everdeen implacabilmente accecata dalla sete di vendetta. Insomma non le converrebbe. A questo punto la mano che si era allungata verso l’arco, lo afferra e incocca una freccia e più velocemente di quanto la Paylor possa replicare si trova la punta a qualche millimetro dalla faccia.
Non si muove  –Tale e quale a tua madre, Mellark- dice, e abbassa il fucile. Ci metto qualche secondo a capire che anch’io devo ritirare l’arma, ma lo faccio con tutta calma.
Mi mette una mano sulla spalla e velocissima mi spinge davanti a lei. E’ strana. E’ la persona più strana che abbia mai conosciuto. In apparenza così battagliera e in realtà così.. mi ricorda dannatamente Snow, per quanto lo abbia visto sullo schermo della tv, nelle repliche di quando ancora era all’epoca del suo massimo potere. Camminiamo verso casa, l’Overcraft ancora parcheggiato nel Prato. Prima che possa parlare dice –Noto con piacere che ricordi chi sono-
Il suo tono è sarcastico e non mi piace per niente  –Credo che sia l’unica cosa che non dimenticherò mai- se è una battaglia di frecciatine che vuole..
Lei continua come se io non avessi parlato –Ma non riesci a ricordare il motivo per cui sono qui, giusto?-
È vero. Non voglio ammetterlo nemmeno a me stessa, perché mi fa troppo male pensare che i miei possono avermi avvertito in tutte le salse che la Paylor sarebbe venuta nel 12 e rimanere stupita come una bambina del suo arrivo. Proprio adesso ricordo. Forse, qualcosa.
-La parata della Memoria- dico quasi in automatico, come se qualcuno mi avesse ficcato a forza quelle parole nella mente.
-si migliora, cara Rue-
Il tempo di voltarmi a guardarla negli occhi e siamo davanti al portone di casa mia.
-Paylor- è la voce di mia madre. Ancora giovane, ancora lei, Katniss Everdeen. Quando mi volto verso di lei mi sembra di conoscerla da molto tempo prima che nascessi. La ragazza di fuoco. La Ghiandaia Imitatrice. Il volto della Ribellione. Ed è esattamente quello che deve vedere anche la Presidente, perché il suo volto si fa più composto, meno sarcastico e saluta mia madre con rispetto. Ancora meglio, penso. Fessa, senza memoria e oggetto degli scherni della donna che mi ha fatto impazzire.
Mia madre è seria. Qualcosa mi dice che non è così felice di vederla qui, anche se se l’aspettava.
Mi lancia una veloce occhiata e non si scompone di un muscolo mentre spalanca la porta per farla entrare.
Non appena siamo dentro vedo mio padre che scende le scale insieme a Chays e gli mando un potente sguardo interrogativo. Odio la sensazione che mi prende quando tutti sanno che cosa sta succedendo tranne me. Le mani cominciano a sudare e la gola mi si stringe nello sforzo di ricordare. Lui spedisce Chays a sedere sul divano insieme alla Paylor. Tecnicamente anche mia madre dovrebbe sedersi, ma sta dritta davanti ai due, come a sottolineare il fatto che questa è casa sua e che qui comanda lei.
Peeta mi cinge le spalle con un braccio e guardando ancora gli altri mi sussurra –andiamo, ripulisciti e ti spiego tutto- Sospiro, non sono sicura se lo faccio per il nervoso che mi sta montando o per il sollievo di sentire le braccia di mio padre così sicure. Come sempre.
Saliamo al piano di sopra e in un’ultima occhiata alla sala scorgo mia madre che comincia a parlare in tono concitato con la Presidente. Stringo le mani in due pugni serrati e mi immobilizzo nel mezzo del pianerottolo.
-mi avevate avvertito, o sbaglio?- dico, controllandomi.
Peeta si volta e mi guarda con compassione –sì, Rue. Vieni in camera, cambiati, intanto ti spiego-
Non riesco a dire di no a mio padre, proprio non ce la faccio. Getto i miei vestiti sporchi di terra in un angolo sul pavimento e consegno il sacco con la lepre a Peeta. Mi faccio una doccia veloce e mi lego i capelli ancora bagnati. Mentre mi vesto, mio padre si siede sul letto della mia camera e comincia:
-la Paylor è qui per la preparazione alla Parata della Memoria-
-lo sospettavo- dico, senza alzare lo sguardo, mentre mi infilo i pantaloni.
-Tua madre ed io abbiamo protestato molto per quanto è stato possibile contro questa parata, ma alla fine abbiamo dovuto acconsentire. Avevamo fatto un patto, quando la Paylor ci vide sposi: appena il nostro primogenito avesse avuto 16 anni sarebbe stato il portabandiera della Parata della Memoria-
-un ennesimo modo per ricordare gli orrori che avete vissuto- Mi abbottono la camicia e mi metto a sedere sconfitta sul letto.
-perché proprio 16 anni?- chiedo.
-perché quella era la nostra età quando entrammo per la prima volta nell’Arena- replica Peeta, cercando di non abbassare lo sguardo, ma deglutendo a fatica. Bella trovata, quella della Paylor. Con le immagini delle sofferenze dei miei genitori mi ha causato un trauma celebrale e adesso pretende che io ne sia la portabandiera? Se lo può scordare.
-non lo farò- mi esce dalla bocca.
-ne abbiamo già parlato- risponde lui.
Già, io dimentico anche che ne abbiamo già parlato.
Scuoto la testa.
-mia madre si può opporre a tutto e non a questa ridicola parata?-
-ci abbiamo provato, Rue. Ma saremo con te, durante la preparazione e durante la parata.-
Ottimo! Mi sento già soffrire all’idea di ritrovarmi su un carro come uno di quelli che trasportavano i tributi all’inizio degli Hunger Games, da sola e con una bandiera in mano; pensare che Katniss e Peeta rivivranno quei momenti orrendi mi provoca più orrore che sollievo.
-papà- dico alzando lo sguardo –come può la Paylor ricordare tali scempi? Facendovi rivivere le stesse cose?-
Peeta si alza.
-andiamo- dice, come se non avessi parlato. Mi prende la mano e scivoliamo giù per le scale.
Al piano di sotto Katniss, Chays e la Paylor siedono su i due grandi divani della sala e Chays scuote la testa.
Devono avergli chiarito come si svolgerà la parata, cioè il fatto raccapricciante che anche i miei familiari dovranno accompagnarmi in quella pagliacciata.
Mi siedo prima che qualcuno possa aprire bocca e mia madre dice:
-Ora che siamo al completo, veniamo al dunque.-
La Paylor si fa avanti decisa –la Parata si terrà tra cinque giorni. Avrà inizio nel Distretto Madre e vi vedrà protagonisti di un viaggio attraverso i Distretti-
-come il Tour della Vittoria- dice Chays.
-siete molto informati- risponde la Paylor.
E come potremmo non esserlo con tutti i documentari che passano in tv sotto il sigillo del Distretto 0 (un cerchio attraversato da una freccia sormontata a sua volta da una M che sta per Ghiandaia Imitatrice)?
-Avete deciso di riempire la nostra testa con continui approfondimenti sul passato di Panem – dico, non curante dell’effetto che le mie parole hanno sulla Paylor. Sa di essere colpevole di ciò che mi è successo, ma evidentemente non se ne pente.
Mia madre mi lancia un’occhiata e dice –l’ultimo Tour della Vittoria a cui ho partecipato mi ha gettato nell’Arena. Fortuna che adesso ..le arene non esistono sono più-
Il modo in cui si sofferma sull’ultima parte della frase mi fa insospettire. Il tono è accusatorio, nei confronti della Paylor. Vorrei domandare, ma decido di aspettare il termine di questa quasi inutile conversazione.
La Paylor coglie la sottile accusa e sposta lo sguardo su mio padre –partirete domani-
Cosa? La nostra preparazione non avverrà qui?
-Avevamo deciso di far venire uno staff di preparatori qui nel 12- dice mia madre, che è evidentemente sempre più seccata.
-non è possibile, verrete voi-
-perché?- chiede Chays. Nessuno risponde. La Paylor va da sola verso la porta e prima di sparire dice:
-Domani. Fatevi trovare pronti-
Mi alzo in piedi ed espongo l’intento che mi ero tenuta dentro durante la conversazione:
-no, verrò solo io-
La Paylor ride:
-verremo con Gale a prendervi. Credo proprio che vi farete trovare tutti pronti-
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


L’odiosa sensazione di vedere Snow, o quel che so di lui, al posto della Paylor mi invade profondamente.
Se c’è una persona che ben ricordo dalle trasmissioni della Memoria che il Distretto Madre manda in onda da almeno due settimane, quella è proprio il Presidente Snow. Acido, freddo, crudele, apparentemente pieno di potere, inaffondabile. Come la Paylor. Calcolatore, meschino, subdolo. Come la Paylor. Eppure fu lei che appoggiò mia madre in tutto e per tutto quando combatterono per la libertà da Capitol City, fu lei a portare Katniss Everdeen al successo, con quel video, riproposto mille volte, girato nel Distretto 8.
Se noi bruciamo, voi bruciate con noi. Fu l’ultima frase che ricordo di aver sentito alla tv, prima del mio collasso mentale, quando avevo sei anni.
Ma non mi abbandona l’idea che quella donna stia manipolando le vite di tutti noi, come fossimo di nuovo pedine di loschi giochi.
Devo essermi fossilizzata a fissare la porta dell’ingresso chiusa dalla Paylor, perché sento la presa di mia madre che mi spinge verso la cucina e mi riporta alla realtà. Mio padre e Chays salgono per andare a letto, imboccati dalle parole della presidente, senza porsi domande. Questa è la cosa che mi turba di più.
Perché non reagiscono? Hanno il diritto e il potere di opporsi alla loro partecipazione alla Parata della Memoria, potrebbero lasciar andare solo me. O forse vengono perché temono che io possa dimenticarmi chi sono da un momento all’altro. Continuo a camminare sotto la spinta lieve di mia madre, immersa nei pensieri. Mi riprendo solo quando sento l’aria tiepida della brezza estiva che mi scompiglia i capelli ancora umidi.
Ecco. Mia madre mi ha portata qui per parlare, ne sono sicura.
-vieni- mi dice passandomi avanti. La seguo oltre il Prato, fuori da quel poco di recinzione rimasta. Ci inoltriamo nei boschi. E’ raro che queste passeggiate avvengano di sera. Il sole è tramontato da poco e mi accorgo che è già un po’ che camminiamo solo quando superiamo la trappola che avevo posizionato oggi per catturare qualche animale.
-dove stiamo andando?- chiedo.
-voglio farti vedere un posto-
-papà lo conosce?- la domanda mi sorge spontanea, condivido tutto con lui.
Lei risponde freddamente –no –
Mi suona strano. Credevo che i miei genitori conoscessero ogni particolare l’uno dell’altra e invece mi ritrovo davanti ad un lago che nemmeno Peeta conosce. C’è una casetta di legno, sulla riva, leggermente nascosta dalle fronde molli degli alberi.
Ci sediamo in riva al lago. E’ stupendo questo posto. La luna è già alta, ma c’è ancora luce per vedere cosa ci sta intorno. Il lago è calmo, immobile. Solo quando ci immergiamo i piedi produce minuscole onde.
-Katniss Everdeen, la ragazza in fiamme- Dice. Qualche secondo di silenzio e poi –quante volte hai sentito questo nome, Rue?- mi chiede. Domanda retorica. Non faccio che sentirlo ripetere dal primo giorno in cui sono nata.
-mamma, io..-
-Rue, tu sarai la portabandiera di quella Parata e noi verremo con te, che ti piaccia o no-
Rimango per un momento senza parole. Avrebbe potuto dire che avevo ragione, che sarei dovuta andare solo io, oppure avrebbe potuto sostenere che non ha senso una parata per ricordare gli orrori di Capitol City e invece.. mi dice che mi devo adattare.
-due Hunger Games, un Tour della Vittoria, una vera e propria guerra contro Snow e la sua capitale. Questa è stata la mia vita prima di spostare tuo padre e dare alla luce voi. La tua è stata già ammaccata dalla bravata della Presidente dieci anni fa. Non permettere che l’odio per quello che è stato contamini anche te, non ne vale la pena-
Allora è questo di cui mia madre ha paura. Sebbene pensi che riportare alla mente la sua vita passata la farà stare male, lei vuole solo che io guardi al presente e al futuro, dove ormai gli Hunger Games non esistono più.
-non lo farò- le dico, come per rassicurarla.
Il silenzio che segue sembra interminabile, ma questo posto, adesso immerso alla luce della luna nel buio della notte, lo fa apparire quasi gradevole.
-tuo nonno mi portava qui da bambina- prosegue, muovendo un piede nell’acqua –qui mi ha insegnato a cantare, nuotare e andare a caccia-
-e qui ci venivi con Gale- dico annuendo, come se stessi ricordando. Quelle cose deve avermele già dette e anche se non ricordo come e quando, sono sicura che qui al lago oggi ci vengo per la prima volta.
La sua bocca si torce in quello che voglio interpretare come un sorriso, per poi ricominciare a parlare:
-non lo vedo da quando siamo tornati ad abitare nel 12, cioè da venticinque anni- La sua espressione mi dice che non sa immaginare come possa essere cambiato dopo così tanto tempo e questo la terrorizza. Ho visto Gale solo un paio di volte in televisione, come direttore dei lavori nel Distretto 2, poi nel 4, poi nel 7 e così via. Dalla foto che mia madre porta nella collana capisco che è cambiato, è diventato l’uomo che mia madre non ha scelto per la vita. L’ho visto anche quando.. non ricordo.
-Gale. Lo ricordi Rue?- mi chiede, come se stesse leggendomi nei pensieri.
Annuisco.
-Solo non mi viene in mente.. cosa ha fatto nel 4 l’anno scorso?- chiedo, sopraffatta dal vuoto di memoria.
Lei sorride, questa volta davvero.
-ha commemorato la morte di Finnick Odair-
Senza darle il tempo di soffermarsi sui dolori passati dico:
-ci sarà anche  Finnick alla Parata?- sembra un controsenso detta così. Ma Annie ha dato a suo figlio lo stesso nome del padre. Finnick Odair, in modo che la sua memoria viva ancora e le resti accanto per la vita.
-sì- risponde –ci saranno tutti i figli e le famiglie dei vincitori e di coloro che hanno dato la vita per i Distretti.-
Quello è il momento in cui mi tornano in mente dei nomi: Johanna Mason,  Beete, Enobaria, Annie Cresta, Haymitch. Sorrido. E’ un tipo strano, ma mi sta simpatico. Dovrei essergli grata per aver salvato ripetutamente la vita ai miei genitori, ma ogni volta che ci provo compare lui alla nostra porta a chiedere una bottiglia di liquore perché in casa sua non ce n’è più. E mi saluta con un patetico: “Dolcezza, sei uguale a tua madre!” sempre. Allora non ci riesco, sorrido e basta, spalanco la porta e gli tiro dietro una fiaschetta di vino quando mio padre non mi vede.
Alzo lo sguardo e vedo che mia madre fissa la capanna in riva al lago. Non le chiedo se vuole entrare, credo la farebbe stare peggio. Non so nemmeno da quanto tempo non viene qui.
C’è una domanda, però, che mi assilla da quando la Paylor se n’è andata da casa nostra.
-ci sono Arene ancora attive, vero?-
Katniss non sembra particolarmente sorpresa dalla domanda:
-no. Almeno.. non attive. Ce n’è una sola, senza campo di forza, baccelli o ibridi. È un campo vuoto e sterile, tenuto in bella vista solo per mostrare cosa resta del dominio di Snow. –
- è una cosa odiosa – mi viene detto. Non riesco a concepire il fatto che si ribatta continuamente su ciò che è stato invece di guardare al futuro.
- sotto la Paylor abbiamo trascorso degli anni di pace, che durano ancora – dice lei – gli Hunger Games non ci sono più, ma è come se vivessero in ognuno di noi tutti i giorni della nostra vita. Ci svegliamo la notte ricordando quante persone abbiamo ucciso e quante non abbiamo potuto salvare e la Paylor ha la faccia tosta di dirmi che non ho il potere di far interrompere i programmi che lei manda in onda. Dice che sono per condannare il sistema di Capitol City, ma così condanna tutti noi ad una vita di orribili ricordi!- adesso è indignata. La capisco, è esasperata. La memoria di ciò che è successo non serve a niente se non a risvegliare il terrore che giace dentro ognuno degli abitanti di Panem.
- perché non puoi reagire? La Ghiandaia Imitatrice non si sarebbe fermata – dico in tono cupo. Non vuole essere un’accusa e lei lo sa.
- perché per salvarmi la vita, il giorno dell’esecuzione di Snow in cui uccisi la Coin, mi hanno dichiarato pazza, al pari di Annie. Non in grado di intendere e di volere-
Dunque? Che ingiustizia, penso. Continuano a mantenere le apparenze anche adesso che non c’è più bisogno di mentire. Che senso ha? Non capisco.

Al mio risveglio la mattina successiva sento l’erba fresca che mi stuzzica il naso. Quando apro gli occhi mi trovo di fronte un ragazzo. Deve avere la mia età, capelli rossi, occhi azzurri. Sono morta, per caso? Quello è Finnick, il marito di Annie. Oppure..
-stiamo aspettando te – dice sorridendo. Come se ci conoscessimo da una vita. Mi tende una mano per aiutarmi ad alzarmi, ma la evito e mi alzo da sola. Siamo nel Prato. Come ci sono arrivata qui? Ieri sera ero con mia madre al lago e poi.. non ricordo. Ovviamente. Non faccio domande, deducendo che sia stata mia madre a riportarmi verso casa e farmi addormentare, come a volte succede, sul Prato, vicino casa nostra.
Un Overcraft è parcheggiato a cinquanta metri di distanza, la Paylor seduta sugli scalini.
-Devi essere Finnick Odair- dico senza scompormi.
- e tu Rue Mellark- dice allungando la mano a stringere la mia. Lo ammetto. È bello. Affascinante, nella sua maglia bianca, con quel ciuffo di capelli rossi scompigliati sopra gli occhi azzurri. Si china verso di me e avvicina la sua bocca al mio orecchio.
- ci guardano tutti come se fossimo le fotocopie dei nostri genitori-
Mi guardo intorno e solo allora vedo che Peeta e Chays ci guardano con aria stupefatta e Katniss, immobile, sembra sorridere.
-avete finito voi due?- grida la Paylor dall’Overcraft –siamo tutti qui in attesa dei vostri comodi!-
Ci avviamo. Mentre cammino ricomincio il mio richiamo mentale:
Mi chiamo Rue Mellark, vivo nel distretto 12. Sto salendo su un Overcraft che mi porterà alla preparazione per la Parata della Memoria. Con me c’è la mia famiglia, Finnick Odair e.. Una bellissima donna dai capelli neri è seduta accanto ad un finestrino e guarda fuori. Finnick mi passa accanto e va a sistemarla.
-mamma- la chiama. Lei pian piano si muove e sposta la sua attenzione dal finestrino alla mia famiglia.
-mamma, questi sono i Mellark-
Mia madre aspetta che Annie si alzi dal suo posto e corre ad abbracciarla, le sorride, le fa i complimenti per il figlio e le dice che questa buffonata della Parata finirà prima che se ne accorga. Lo dice ad alta voce, senza preoccuparsi della reazione della Paylor. Poi Annie si avvicina a me, Chays e Peeta. Saluta cordialmente mio padre e poi noi. Si sofferma per un attimo a guardarmi.
-è proprio uguale a sua madre non è vero?- dice sarcastica la Paylor dal fondo dell’Overcraft.
Ci mettiamo a sedere. I nostri genitori sulla sinistra e io, Chays e Finnick sulla destra. Stiamo per partire quando una voce urla da fuori:
-fermi! Fermi non chiudete sto arrivando!-
In mezzo secondo Haymitch salta dentro e si trascina in piedi.
-Capitol City!- dice, con gli occhi spalancati. Mi vede: -Katniss!-
-No- Rispondo. Mi alzo, lo prendo per un braccio e lo trascino a sedere accanto a Chays.
-io sono Rue, pazzo. Lei è mia madre- dico, sapendo che accoglierà le mie parole con il massimo dell’ironia.
Katniss si avvicina e non appena la vede la abbraccia forte.
Che gli è preso adesso? Haymitch ci guarda tutti ancora per qualche istante, poi, quando si accorge che è calato il silenzio dice:
-un Overcraft di Capitol City ci sta puntando addosso-

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


La porta si serra con un colpo metallico tanto violento da farci sobbalzare tutti. I finestrini vengono sbarrati da portelloni neri. Il grande finestrino sul fondo dell’Overcraft si oscura. Chi è fuori non può vedere dentro, ma chi è dentro può vedere fuori. Il rumore del motore romba dentro di noi e una voce maschile ordina di metterci tutti a sedere e allacciare le cinture. Il motore aumenta la propria potenza e mentre tutti si sparpagliano ai loro posti, io rimango in piedi. Il panico pervade l’Overcraft. Intanto io mi scervello per capire cosa ci faccia un’arma di Capitol City ancora intatta e puntata dritta verso di noi. Finnick ha stretto bene le cinture intorno alla vita di Annie. La Paylor si è lanciata infondo al mezzo a premere alcuni pulsanti sotto il grande finestrino oscurato. Peeta afferra Chays e lo butta quasi violentemente sul seggiolino, legandolo. Mio fratello scalcia come un matto per rimanere in piedi e capire cosa sta succedendo.
In quel momento mia madre mi corre in contro e mi afferra per un braccio:
-che diavolo fai in piedi, siediti!- grida. Perché grida? Deve. Non riuscirei a sentire niente se la sua voce non sovrastasse le altre che ancora sono colte dal panico.
Io scuoto la testa in segno negativo fissandola negli occhi.
-che sta succedendo?- chiedo.
Lei mi guarda senza rispondere. L’Overcraft prende quota con uno strattone e io, mia madre, mio padre e Finnick finiamo in terra, sbalzati addosso ai tavolini e alle pareti di ferro. E’ lì che perdo contatto con la mano che Katniss mi teneva intorno al braccio. Cado sbattendo la testa contro la zampa di un tavolo posto tra un seggiolino e l’altro. Impreco vedendo sulle mie mani qualche goccia di sangue.
Peeta mi piomba addosso prima che abbia tempo di rialzarmi e mi prende di peso. Mi sento cadere su un divanetto di pelle e una cintura mi stringe la vita.
No.
Non riesco minimamente a sopportare l’idea di non sapere cosa ci fa un’Overcraft di Capitol City diretto a distruggerci, soprattutto.. di Capitol City! Mentre mi divincolo sul divanetto mi accorgo che oltre alla cintura c’è una mano che mi tiene ancorata a sedere. Mi volto.
Il rumore del motore è quasi assordante, per quanta forza ha preso tutta insieme e nessuno riesce ancora a stare del tutto in piedi. Anche i miei genitori si sono dovuti sedere in attesa di un momento di stabilità.
Haymitch mi guarda come se stesse guardando un fantasma. Un suo fantasma del passato.
-non ti conviene- mi dice serio. Forse l’unica cosa sensata che dice da quando lo conosco.
Ha perfettamente capito che mi voglio alzare e capire che cosa succede. Non mi conviene, potrei cadere di nuovo.
-dove vorresti andare?-
-chi c’è alla guida?- chiedo. Mi guarda. Perché tutti mi fissano e nessuno mi risponde?
-chi diamine c’è alla guida?- grido, senza preoccuparmi di essere sentita da tutti.
Haymitch lascia piano la presa e sussurra –Gale-
I miei occhi rimangono fissi su quel volto sconcertato, mentre le mie mani frugano nel divanetto alla ricerca dell’apertura della cinghia. Quando la trovo mi alzo in piedi come una molla e noto che tutti sono seduti e ben legati. Nessuno può impedirmi di raggiungere la cabina di comando.
Impiego qualche secondo a capire che ho serie difficoltà a muovermi in piedi, sotto la pressione data dalla velocità dell’Overcraft, ma appena prendo dimestichezza mi fiondo oltre i seggiolini.
Sento le voci dei miei che urlano per farmi tornare indietro, ma quando realizzo che l’Overcraft si è impennato, sono aggrappata alla maniglia della porta che apre la cabina di comando. Cerco di non lasciare il terreno con i piedi, ma l’impennata improvvisa mi fa perdere contatto con tutto quello che mi sta in torno. L’unico appiglio che mi rimane è la maniglia. Siamo letteralmente in verticale ed è allora che per forza di gravità rimango appesa solo a quel manico, che spingo involontariamente in giù. La porta si apre con uno schianto e io finisco quasi schiacciata tra la parete di ferro e la porta. Sotto di me il vuoto. O meglio: getto un’occhiata e vedo mio padre del tutto impallidito. Sa che se dovessi mollare la presa sulla maniglia mi farei al volo tutto l’Overcraft fino a schiantarmi sul finestrino, che probabilmente si infrangerebbe. Sento che il mio respiro si è fatto troppo affannoso. Sto ansimando. Chays non ti muovere. Penso soltanto, cercando di cancellare l’idea che se mio fratello si dovesse alzare per fare qualcosa finirebbe peggio di me.
Lentamente stacco una mano dalla maniglia e aggiro la porta con una parte di corpo, a cercare l’altra estremità del manico.
Le mie braccia non ce la fanno quasi più. Il peso del mio corpo comincia ad essere troppo e la pressione esercitata dalla velocità dell’Overcraft che sfreccia in verticale è enorme.
Trovo l’altra estremità e mi ci aggrappo con tutte le mie forze.
Un viaggio tranquillo per il Distretto Madre, insomma. Penso, maledicendo il momento in cui la Paylor ha messo piede in casa nostra per avvisarci della Parata della Memoria.
Adesso le mie mani sono aggrappate, una alla maniglia interna della porta, l’altra a quella esterna.
Guardo in giù, dannatissimo gesto, penso, se non fosse per lo sguardo di mia madre che invece di condannarmi per ciò che ho appena fatto mi dice di resistere e grida qualcosa che non riesco a sentire.
Faccio in tempo ad intravedere due uomini alla guida. Un rombo mostruoso scuote l’aria e il nostro Overcraft viene sbilanciato verso destra. Un uomo si volta, gli occhi spalancati:
-che ci fai tu qui?- grida, mentre anche l’altro si gira a guardarmi. Lui mi sembra meno stupefatto. O forse è solo l’impressione di una ragazza che sta per mollare la presa e cadere nel vuoto e non sa più cosa pensare.
Gale ordina qualcosa al copilota e, rimanendo allacciato al suo seggiolino, mi afferra per un braccio.
Tengo stretta la presa sul suo, mentre mi incoraggia a non mollare.
In quel momento l’Overcraft torna di colpo sulla linea orizzontale e Gale mi tira con forza all’interno della cabina. Finisco sul pavimento, tra un seggiolino e l’altro. Sono viva.
Pazza, folle, suicida, ma viva. E finalmente posso capire cosa sta succedendo e fare qualcosa.
Mi verrebbe da ridere se non fosse che solo ora mi rendo conto che col mio gesto ho messo in pericolo non solo la mia vita, ma anche quella di Gale e di tutti quelli che tentavano di tenermi a sedere. Solo Haymitch mi ha lasciata andare, chissà perché. O forse lo so. Vuole che qualcuno scopra cosa sta macchinando Capitol City contro di noi ed io sono la persona più simile alla ragazza che vinse due Hunger Games  e la guerra, che lui conosca. Ora che ci penso, non capisco appieno nemmeno io tutta la foga che mi è presa nello sbalzare verso la cabina di comando. Sicuramente l’idea di voler lasciar fuori da tutto questo la mia famiglia è stato il motivo più forte.
Da quando la Paylor ha annunciato che tutta la famiglia Mellark-Everdeen sarebbe dovuta essere presente alla Parata io ho voluto presentarmi da sola. Per risparmiare ai miei lo stesso dolore di venticinque anni fa.
Mi alzo in piedi barcollando.
-chiudi quella porta, prima che tua madre ci piombi addosso come una furia- dice Gale, mentre riposiziona le mani sul volante. Non mi manda via furibondo, né mi accusa di alcunché. Sa chi sono ovviamente, come potrebbe non saperlo? Non mi ha mai visto, ma devo ricordargli terribilmente mia madre. Lo deduco dal modo in cui mi guarda.
Mentre tiro la porta verso l’interno scorgo Katniss, perfettamente immobile sul suo seggiolino. Tiene stretta Annie e cerca di calmarla. Mi lancia un’occhiata di rimprovero, ma non mi corre in contro. Gesto che mi fa dice: “Non va bene Rue. Ma l’avrei fatto anch’io”
Chiudo la porta e mi aggrappo al seggiolino di Gale. Mi gira la testa. Beh, è troppo sperare di non aver riportato alcun danno celebrale. Malata dall’età di sei anni e adesso con un buco in testa provocato dalla caduta. Ah, non è da trascurare il fatto che abbia penzolato nel vuoto come un salame per alcuni minuti.
Gale riprende i comandi e preme in ordine la marea di bottoni che ha davanti. Mi fa un segno con la testa:
-Mettiti a sedere-
Alla sua sinistra c’è un seggiolino in ferro. Non me lo faccio ripetere due volte e mi lascio cadere sul ferro, ignorando il fatto che non sia per niente comodo.
-adesso mi spiegate cosa ci fa un Overcraft di Capitol City spedito verso di noi-
Non è una domanda. Guardo le mani abili di Gale che spingono i comandi. Doveva essere un bel ragazzo, quando mia madre lo conobbe. Sembra che il tempo non lo abbia scalfito, a giudicare dalle immagini che ricordo mandate in onda e l’uomo che ho davanti.
-Ormai ci ha passati. La manovra d’impennata era fatta apposta per scansarlo. Proveniva dal Distretto 13-
Il Distretto 13? Alleato di Capitol, poi nemico giurato, poi vincitore. In venticinque anni aveva mantenuto dei rapporti con la capitale? Non mi sorprende che mia madre non si fidasse della Coin al governo. Quasi riesco a sentirla mentre mi dice “ora capisci perché l’ho uccisa”.
Non mi sorprende. Anche se dovrebbe.
-c’erano ancora degli Overcraft della capitale intatti – rifletto ad alta voce.
Gale annuisce in un gesto impercettibile – intaccati dal momento in cui i Distretti vinsero su Snow –
Adesso il quadro si fa più chiaro, ma restano ancora un sacco di cose che, per quanto mi sforzi, non riesco a collegare tra loro.
Bussano alla porta. Nessuno apre. Mi aspetto mio padre irrompere con violenza e riportarmi con la forza a sedere. Invece sento la voce di Finnick:
-sono da solo- dice come se si aspettasse che automaticamente la porta si aprisse. Gale allunga il braccio e gli apre la porta.
-Cara Rue, non sei l’unica a voler sapere cosa succede- mi dice sorridendo. Si chiude la porta alle spalle e mi si posiziona in piedi dietro il seggiolino. Di colpo sento che lui mi capisce. Capisce il perché mi sono buttata in quel modo. Anche lui ha qualcuno a cui badare, che ama.
-l’Overcraft proveniva dal 13- dico –Ci ha superati mentre eravamo impennati –
Gale preme un pulsante e una schermata olografica appare davanti a noi, bloccando la visuale dal finestrino. Indica un paio di puntini rossi ai bordi delle zone circolari che definiscono l’area di percezione del radar.
-guardate. Questi sono altri Overcraft, provenienti dall’11. Sono dalla nostra parte, pronti a intervenire in caso di altri squadroni di Capitol City-
-ce ne sono altri?- chiede Finnick, lisciandosi il ciuffo di capelli rossi.
-presumo di sì. Un solo Overcraft non si sarebbe mai lanciato come un suicida al nostro attacco. Noi abbiamo tutti i Distretti pronti ad attaccare, non gli sarebbe convenuto. –
E’ vero. Quindi siamo circondati da un nuvolo di Overcraft nemici e invisibili. Ho come il presentimento che non arriveremo tutti vivi e vegeti al Distretto Madre.
-adesso stiamo sorvolando il Distretto 9 – continua Gale, aprendo un’altra schermata olografica.
- ma non arriveremo al Distretto 0 in tempo, giusto?- replico, quasi seccata dalla condizione assurda in cui ci troviamo.
Stamattina la mia unica preoccupazione era di non far partecipare Katniss e Peeta alla Parata e di inventarmi un modo per far passare al più presto quella pagliacciata. Ora mi ritrovo ad essere trattata al pari di un pilota e di un soldato, da un Gale Hawthorne che si fida di me e di Finnick senza nemmeno conoscerci. Mi ritrovo a pensare che sappia di me più cose di quante mia madre non gliene abbia realmente dette.
-ti fidi di noi?- Chiede Finnick rivolto a Gale. Anche lui lo conosce solo di vista dalle programmazioni tv, ma è un tipo molto più aperto di me e impiega due secondi per fare amicizia con chiunque. Come suo padre.
Gale ci squadra da capo a piedi.
-una Katniss “la vendetta” che si butta durante l’impennata dell’Overcraft pur di sapere cosa succede e proteggere i suoi, e un Finnick “il ritorno” che interviene per aiutarla- commenta Gale con astio.
Abbiamo capito che vi ricordiamo tanto i nostri genitori, ma adesso cosa possiamo fare noi? Mi verrebbe da chiedere in risposta.
-fate in modo che la mia fiducia non sia mal riposta-
-non lo sarà- affermo e finalmente mi sento parte di questo caos. Finalmente. Sembra che io abbia sempre desiderato andare a combattere, ma non è così. Amo la pace e la serenità che regna nel 12 e in questo momento il pensiero che siamo diretti dalla parte opposta di Panem, sotto la mira di quel che è rimasto di Capitol City, mi indispone profondamente. Dovrei essere con la mia famiglia, proprio adesso. Rassicurarli e farmi rassicurare, e invece sono nella cabina di comando con Finnick Odair e Gale Hawthorne, considerata alla stregua di un comandante.
Sono diventata un soldato nel giro di qualche ora. Non mi piace questa situazione.
Ma starmene a sedere e guardare gli Overcraft della capitale che ci distruggono mi piace ancora meno.
-Se posso fare qualcosa per proteggere i miei, lo farò- aggiungo.
- è per questo che sei mia figlia – come devo ancora scoprirlo, ma Katniss si è appena aggiunta al gruppo.
 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Ho lasciato un mondo. Ho lasciato il mio mondo. Da quanto? Un ora, poco più. Mi sembra di essermene andata da molto più tempo. I prati verdi, il mio arco, le mie frecce. I tronchi degli alberi che ho imparato ad ascoltare. Ci appoggiavo l’orecchio quand’ero a casa, al tronco. Aspettavo in silenzio e ascoltavo. Sentivo la linfa scorrere, ma nemmeno Chays mi credeva quando glielo dicevo. Allora ce lo portavo, nei boschi, e lo incollavo ad un albero in silenzio, ma lui diceva di non sentire niente. Da qualche anno c’ho rinunciato. Lui è fatto per i campi d’addestramento, per le spade e i combattimenti. E’ fatto per le manifestazioni pubbliche che si svolgono una volta all’anno in ogni distretto, per sentire gli applausi intorno a se. Oppure si chiude a giornate nella sua stanza e quando ne esce ha con se sempre un bel quadro: c’è Jymith, la figlia del macellaio. E’ una mia amica, per quanto ci siamo parlate. Bionda e con gli occhi castani domina la scena dei disegni di Chays. Sorride sempre nei suoi disegni, ma Jymith non sorride mai. Almeno, non secondo quanto mi ricordi io. Ho lasciato tutto questo per una parata.
Non so nemmeno se ci arriverò viva, adesso.
Guardo mia madre alla porta della cabina. Non potevo certo aspettarmi che se ne stesse con le mani in mano a fissare mio padre negli occhi e tanto meno che mi lasciasse con Gale e Finnick a riordinare i tratti di quello che sta succedendo. Il nodo alla gola comincia a farsi sentire.
E se davvero gli Overcraft di Capitol City ci abbattessero prima di arrivare ad una qualunque area sicura?
Jymith non vedrebbe più nessuno di noi.
Forse è stata proprio lei, il primo pensiero di mio fratello, quando l’Overcraft è stato attaccato. Siamo ormai lontani dal Distretto 12, forse ora stiamo già sorvolando l’8 e le speranze di arrivare in tempo al Distretto Madre si fanno sempre più flebili. Inesistenti quelle di tornare indietro.
-non pensavate di cavarvela senza di me- dice mia madre stabilendosi in piedi dietro il seggiolino di Gale.
-mai- replica Gale, il tono lievemente ironico.
-era un Overcraft proveniente dal 13..- Inizia Finnick.
-lo so, ho sentito- lo interrompe lei drastica. Questo suo atteggiamento mi da noia. Riesce a sminuire con due parole l’idea che ci eravamo fatti di poter essere utili in qualche modo. Credo sia perché siamo così simili, ma proprio non mi va giù.
-siamo circondati, mamma- dico, indicando con un cenno del capo l’ologramma davanti a noi.
-sono invisibili quelli di Capitol, il radar non li rileva-
Lei distoglie lo sguardo e chiede : - tra quanto tempo sorvoleremo il distretto 4?-
-Non ci arriveremo in tempo, al 4- dice Robby, il copilota che fin ora non aveva aperto bocca.
Qualche istante di silenzio. La nostra passeggiata per aria dura ancora meno di quanto ci fossimo aspettati. Di quanto io stessa avevo previsto.
-perché vuoi arrivare al 4?- chiedo, smorzando il silenzio e dando voce alla domanda che leggevo anche negli occhi di Finnick. Mia madre mi guarda come a farmi capire che non mi deve spiegazioni.
-cosa c’è nel 4?- Mi alzo in piedi e abbasso il tono. Sta facendo il capitano di nuovo, escludendoci.
-niente degno del tuo interesse, Rue- mi mette una mano sulla spalla e mi spinge per rimettermi a sedere, ma non mi muovo.
-c’è l’arena ancora in piedi, non è vero?- il mio tono si alza nuovamente.
Mia madre lascia cadere il braccio lungo il corpo. Gale si volta a guardarci e Finnick rimane ammutolito.
-ditemi che state scherzando- fa lui con un mezzo sorriso. Cupa ironia.
-c’è un’arena ancora intatta- gli risponde mi madre. Poi mi guarda e si avvicina:
-ma- mi dice faccia a faccia –è inattiva. Non ci sono baccelli, ibridi o cose simili-
L’aria minacciosa mia madre l’ha sempre avuta e quando vuole sa sfruttarla bene, ma non con me. Non ci casco più, o mi dice la verità o per me Katniss Everdeen è solo una bugiarda.
-sei sicura? Sei sempre così sicura di tutto- le dico in faccia di rimando.
Gale ci interrompe, provvidenzialmente:
-signore Mellark, non è questo il posto. Abbiamo uno squadrone invisibile di Overcraft di Capito City alle costole e c’è una grande possibilità che quello che ci ha superati prima ci piombi addosso tornando indietro. Se siamo in questa situazione è solo perché a bordo ci siete voi, questo lo sapete?-
Mia madre tace. Io ripiombo nel caos mentale: credo di aver ricomposto tutti i tasselli. Ecco perché ci hanno attaccati. Il motivo sono io, o meglio.. io e la mia famiglia.
Mi devono ritenere pericolosa, allora, per attaccare il nostro Overcraft diretto ad una comune ed inutile Parata della Memoria. O forse non è così inutile come sembra. Che cosa c’è dietro? Chi sta macchinando alle nostre spalle? La Paylor? E chi altri? Non può fare tutto da sola.
Chi c’è dietro agli Overcraft ancora intatti di Capitol City, se l’intera città era stata ridotta in cenere insieme al suo governo venticinque anni fa? E soprattutto.. cosa rappresentiamo noi per loro? La sfida al potere. No, se avevano i mezzi in venticinque anni il potere se lo erano ripresi, con le buone o con le cattive. Tutto questo mi fa pensare solo al fatto che ci hanno attaccati oggi, qui, tutti noi, proprio perché stavano aspettando questo momento per farlo.
Ho 16 anni e .. io e la mia famiglia siamo la mira di una Capitol City ancora sopravvissuta. Ho 16 anni.
Ho 16 anni, c’entra. Queste parole mi rimbombano in testa finchè non mi tocca reggermela con le mani.
Sto per parlare, urlare. Dire a Gale e Robby di far atterrare immediatamente l’Overcraft in qualunque posto ci troviamo, di far scendere tutti e di consegnarmi a chi mi vuole. Perché è me che vogliono.
Sono io che avrei dovuto fare da porta bandiera alla Parata della Memoria, io che ho compiuto 16 anni. Ed è oggi che mi stanno portando al Distretto Madre per prepararmi. Se hanno aspettato tanto, significa che l’obbiettivo non è mia madre, non è mio padre. Non sono Finnick, Annie, Gale, Haymitch o chiunque sia a bordo. L’obbiettivo sono io.
Mi scoppia la testa, vorrei capire perché sta succedendo questo. Sento la fronte bagnata di sudore. Sto sudando. Da quanto? Stringo forte gli occhi per sopprimere il dolore, ma non cessa. Tutto si fa dannatamente confuso, ricado sulla sedia senza più forze per stare in piedi. Sento la voce lontana di Gale che ordina di portarmi fuori dalla cabina. Cerco di oppormi, è solo uno stupido mal di testa. Non posso rinunciare a capire, a reagire. Invece sento le mani forti di Finnick che mi trascinano fuori dalla cabina di comando, mentre io perdo la cognizione di ciò che mi sta intorno. Mi tocco la tempia laddove fa troppo male, mi guardo le mani. Sanguino di nuovo, l’ultima cosa che ricordo prima di svenire.
 
Mi risveglio dopo qualche ora. Sempre nell’Overcraft, stesa sul divanetto di pelle dove mio padre mi aveva gettato prima dell’impennata. In fondo al divanetto è seduto Finnick, mia madre siede su quello di fronte.
Provo ad alzare la testa, ma fa ancora male e quando mi tocco sento di essere fasciata. Capisco di aver emesso un gemito di dolore, perché mia madre mi è subito addosso e mi stringe al suo petto.
-Capisci adesso?- mi chiede.
-non puoi permetterti di sottoporti ad altre pressioni. Non le sopporti.-
No. Scuoto la testa e mi divincolo dalla sua stretta. E’ preoccupata, va capita, ma non accetto il fatto di essere così fragile. E soprattutto non accetto che abbia ragione anche in questo caso.
-sto bene- dico e basta. Mi metto a sedere e appoggio la schiena al finestrino sprangato. Lei mi guarda solo un secondo, poi si alza e va accanto a mio padre. Sento che parlano delle mie condizioni, come se fossi in punto di morte.
-sto bene davvero- confermo a Finnick che mi fissa dal fondo del divanetto. –ti credo- sorride e si avvicina. Si siede all’altezza delle mie ginocchia. Mi crede sul serio, eppure nessuno crede che possa reggere ancora questo viaggio. Forse nemmeno lui. Ma che me ne importa? Nemmeno mi conosce, penso tutt’a un tratto.
Poi dico con astio: - è colpa della botta che ho preso nel tavolo prima dell’impennata-
-già- dice lui. Perfetto. Un semplice colpo alla testa mi riduce in queste condizioni, come posso sperare di reagire a quello che sta succedendo? Insomma, per avere me, viva o morta che io sia, stanno attaccando la mia famiglia e persone che non c’entrano niente con me. Finnick ed Annie nemmeno mi conoscono e si ritrovano a rischiare la vita a causa mia. E io non posso fare niente perché sono bloccata da una stupida ferita alla testa?
-bello vero?- ironizzo con Finnick –una ragazzina di 16 anni, stordita da un colpo in testa che pretende di salvare la situazione-
Lui è serio: - ma tu non pretendi di farlo – dice e basta. E mi accorgo che ha ragione. Non sono io che guido l’Overcraft, né io che posso attaccare quelli di Capitol City caso mai ci piombassero addosso. Io voglio solo tenere al sicuro la mia famiglia.
-non ho ancora capito il perché ti vogliano morta- aggiunge.
-bravo chi lo capisce- rispondo.
-sono la figlia della ragazza in fiamme e del ragazzo del pane, forse basta questo- dico dopo qualche secondo.
Finnick fa una smorfia di dissenso e si liscia il ciuffo biondo. Mi getta un’occhiata che a lui deve sembrare molto penetrante, ma poi seriamente dice:
-no, tu sei Rue Mellark. Tu sei la ragazza in fiamme. Quel poco di Capitol City che evidentemente è rimasto cerca di metterti immediatamente a tacere-
A tacere? Io non ho mai parlato! Non sapevo nemmeno esistesse ancora la capitale, vivevo nel mio modo verde con la caccia, la mia famiglia e Jymith. Fine. Cosa possono volere da me? Poi comincio a capire.
-La gente non mi ha mai vista in faccia- dico.
-esatto- annuisce Finnick –e la Paylor voleva mostrarti al mondo intero con la Parata della Memoria. Per far capire che la ragazza in fiamme ha un’erede e che tu e tuo fratello assicurerete a Panem che Capitol City non tornerà mai. Non finchè voi siete vivi-
-non finchè noi siamo vivi- ripeto.
Finnick va da sua madre ed io non faccio in tempo a stendermi che la Paylor prende il suo posto:
-non farmi domande- dice subito.
-invece dovrei. Siamo sospesi sopra i Distretti e potremmo essere attaccati da un momento all’altro, a causa mia- replico. Sono seccata. Nessuno vuole che fiati, che faccia domande, che mi muova o che faccia qualcosa. Tutti sanno che questa situazione dipende dal solo fatto che esisto.
-anzi no- continuo con tono accusatorio – a causa sua, presidente-
Dovrebbe scandalizzarsi per la mia mancanza di rispetto e io dovrei dispiacermi, invece non interessa né a me né a lei, perché dice:
-Mellark, sappi che la situazione tra i Distretti è più fragile di quanto tu pensi. La gente ha bisogno di una speranza e questa unica speranza sei tu-
La promessa di una vita che continua, penso. Rue Mellark, figlia di Katniss Everdeen e Peeta Mellark, i disertori, i volti della ribellione, la voce della speranza. Il richiamo mentale mi serve anche adesso. Ho abbastanza chiaro in mente ciò che è successo e il perché. Ma adesso l’unica cosa che conta è che sono figlia dei due vincitori di due Hunger Games e di Capito City.
La Paylor si alza e inizia un giro di controllo per le varie porte disseminate in cima e in fondo all’Overcraft. Mentre mi chiedo cosa ci sia dentro penso che lei, nonostante tutto, sia l’unica che crede che io possa comunque reagire.
Mi stendo e guardo il soffitto, finchè non mi addormento.
Succederà di nuovo, un’altra guerra.
Mio padre l’aveva detto.
La differenza è che questa volta la portabandiera sono io, Rue Mellark, che questo io l’abbia mai voluto o no.
 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Dormo più di quanto mi sarei aspettata, perché quando mi sveglio mio padre è accanto a me e mi dice che stiamo sorvolando il Distretto 2.
-l’Overcraft di Capitol City non è tornato indietro- dico, mettendomi seduta.
Peeta fa segno di no con la testa. Il suo sguardo è preoccupato.
Cerco di capirne la motivazione prima di domandare e penso che non è necessariamente un buon segno il fatto che non siamo mai stati attaccati fino ad ora. Potrebbe voler dire un sacco di cose: che altri Overcraft provenienti dai distretti hanno disintegrato gli squadroni della capitale (possibilità remota), che loro stessi si siano ritirati (possibilità inesistente), che addirittura la Paylor sia in contatto con loro e cerchi di rimandare l’attacco, oppure.. semplicemente può voler dire che stanno aspettando il momento giusto per farlo. Ma qual è il momento giusto? Lo era quando eravamo ancora nel 12. Non eravamo ancora partiti, l’Overcraft nemico aveva tutto il tempo di attaccarci, se non fosse stato per Haymitch che .. a proposito. Come faceva Haymitch a sapere dell’arrivo dell’Overcraft? L’aveva visto o.. come?
-papà- dico a occhi bassi, riflettendo. – ti sei chiesto come mai Haymitch sapeva dell’arrivo dell’Overcraft?-
Lui rivolge uno sguardo al finestrino, come se si aspettasse di vedere un panorama, ovviamente celato dal portellone di ferro.
-Haymitch ha sempre saputo troppe cose. Fin dal primo giorno in cui l’ho incontrato. E di spiegazioni non ne ha mai date-
-è l’unico che mi ha lasciata andare quando sono corsa in cabina di comando- replico. Deve pur sapere qualcosa. Mio padre si gira e mi guarda: -ci sono persone, Rue, a cui affidare la nostra vita. Haymitch era terrorizzato quando l’Overcraft è partito e lui aveva bisogno di una persona di cui potersi fidare. Tu sei come tua madre-
Faccio per aprire bocca e replicare, ma lui dice- Sei coraggiosa. Forte. Non ti spaventano le difficoltà. Sei protettiva. Combattiva. Pensi sempre agli altri più che a te stessa. E questo Haymitch lo sa-
Potrei fare qualcosa di stupido come commuovermi se non faccio in fretta a trovare una risposta:
-Allora fidatevi di me!- esclamo a mio padre, prendendogli le spalle con le mani.
Peeta esita un momento –non ti basta la fiducia di Gale e Finnick?-
Mi prenderei tutto il tempo per sentirmi offesa, se non fosse che di tempo non ce n’è.
-ascoltami- dico risoluta –Non avrò una memoria eccezionale, nemmeno la forza che ti ha permesso di arrivare fin qui, papà. Ma se mi lasciate agire, con Finnick possiamo riuscire a fare qualcosa di buono-
Aspetto che dica qualcosa, ma rimane in silenzio. Lo abbraccio un attimo e dico:
-tu lo sai perché siamo in questa situazione, non è vero? Sai che se non arriviamo vivi al Distretto Madre è solo perché io sono qui-
Lui scuote la testa:
-no, Rue. È come se tu ti stessi buttando a capofitto nella guerra, non posso permettertelo, non senza di noi-
Questo è il Peeta Mellark che conosco. Non senza di noi. So cosa fare.
-allora aiutami, papà!- gli dico con forza, cercando comunque di non alzare il tono della voce.
-da soli non possiamo farcela. Tu, mamma e Gale avete vinto una guerra che sembrava senza speranze. Adesso siamo io, Finnick e Chays a portata di tiro per Capitol City e troveremo un modo per risolvere la situazione solo con il vostro aiuto-
Lui esita. Lo fisso negli occhi mentre mi batte il cuore.
Papà, ti ricordi che risate che ci facevamo nel Prato? Scherzavamo su come ogni abitante del 12 assomigliasse ad un animale. Non dimenticherò mai quando Jymith piombò con sua madre nel Prato mentre io e te stavamo analizzando uno scoiattolo che avevo appena ucciso. Appena giunsero guardasti in faccia la madre di Jymith, poi lo scoiattolo e mi lanciasti un’occhiata di intesa prima di scoppiare in una fragorosa risata che non riuscisti a trattenere. Ora che ci penso, lo scoiattolo assomigliava davvero a quella donna.
Però con mio padre parlavamo anche del suo passato. Con lui potevo farlo, con mia madre no. Lei tenta in tutti i modi di dimenticare, lui non vuole farlo. E’ riuscito a ricostruire un passato degno dei più grandi uomini mai esistiti, delineando i fatti accaduti come gli unici fattori che lo hanno reso quello che è adesso. Questo mi piace di lui. E in questo confido perché mi dica che ci aiuterà.
Ha paura. Anch’io ne ho. Tanta. Adesso soprattutto perché ho capito che senza la mia famiglia non otterrò mai ciò che voglio: salvarla. Mi tengo dentro ogni espressione che possa tradire insicurezza e attendo palpitando la risposta di mio padre.
Prende un profondo respiro e dice:
-non ti abbandonerò adesso- mi abbraccia forte. Quello è il primo momento da quando siamo decollati in cui sento vero sollievo. Solo tra le sue braccia l’ho sempre trovato. Vorrei ringraziarlo, ma il groppo che mi stringe la gola mi avverte che se aprissi bocca manderei solo suoni striduli.
-non lo farà nemmeno tua madre, fidati. La convincerò- afferma.
 
Passa qualche minuto prima che mia madre sia del tutto convinta, ma adesso, dalla nostra parte abbiamo anche lei. Siamo al completo. Obbiettivo? Seguire il piano iniziale della Paylor. Ci riuniamo tutti intorno al tavolo più vicino alla cabina di comando e ne teniamo la porta aperta in modo che anche Gale e Robby possano sentire.
Al di là delle spiegazioni e delle motivazioni che io e la Paylor forniamo a tutti quelli che ancora non avevano compreso il perché della situazione, il piano che esponiamo è questo:
Io devo mostrarmi insieme a Finnick e Chays a tutto il popolo di Panem. Capitol City, o quello che ne è rimasto, deve capire che i Mellark-Everdeen e che gli Odair-Cresta sono e saranno sempre dalla parte dei distretti, come venticinque anni fa. E’ questa la maggior paura di Capitol e questo mostreremo al mondo. Come? Con la Parata della Memoria. E’ buffo come la parata si sia trasformata da mia nemica a unica fonte di salvezza.  Per farla, però, dobbiamo arrivare vivi e vegeti a destinazione. Manca poco più di un’ora al raggiungimento del Distretto Madre, ma Gale sostiene che  saremo attaccati nuovamente. Capitol non si arrende così facilmente. Quindi ciò che dobbiamo fare è armarci da capo a piedi di tutto punto, per essere pronti a contrastare ogni eventuale attacco.
-nessuno di noi ha le sue armi a disposizione- replica Chays, l’unico che sembra entusiasta del piano.
La Paylor si alza e apre una porta alla nostra destra. C’è una piccola stanza piena di armi da taglio e attrezzatura da combattimento. Chays è elettrizzato e mia madre deve tenerlo fermo a sedere per evitare che si lanci là dentro. Poi la Paylor apre un’altra porta alla nostra sinistra. Ecco un’altra stanza ricolma di armi da fuoco. Perfette per lei stessa, mio padre, mia madre e Gale. Infine ne apre un’altra, poco dietro di noi. Questa volta la stanza è più piccola, ma il contenuto è terribilmente affascinante: ci sono due tridenti, uno più piccolo a sinistra da portare sulla spalla in una custodia e l’altro più grande sulla destra. Finnick si alza e lo prende in mano, tastandone la consistenza.
-a cosa serve questo?- chiede indicando un pulsante al centro del manico.
-se lo premi il tridente invierà potentissime scariche elettriche da tutti e tre i denti- risponde la Paylor. Mentre Finnick si sposta e inizia a provarlo io e mia madre ci avviciniamo a due grandi archi posti al centro, poggiati su un cavalletto e affiancati dalle rispettive faretre.
Lei ne prende in mano uno, ne saggia il peso e tende l’arco. Lo stesso faccio io e mi accorgo che l’arco è perfettamente aerodinamico, del giusto peso. Mia madre dice:
-buon giorno- e l’arco le vibra tra le mani. E’ l’arco che usò nella guerra finale contro Capitol. Nella sua faretra ci sono tre tipi di frecce. Ne prende una dal centro la incocca e fa finta di lanciarla.
-ricordi?- chiede la Paylor che la osservava appoggiata alla sedia.
-fin troppo bene- risponde mia madre – frecce incendiarie, normali e esplosive. E’ così che combattemmo nel suo Distretto, presidente-
Già, adesso ricordo. Come al solito faccio fatica, ma l’immagine di mia madre che grida tra il fuoco e le macerie dell’ospedale del Distretto 8 mi torna ora alla mente. Più fulgida che mai.
Prendo anch’io la mia faretra, ci sono solo frecce normali. L’arco sembra d’argento.
Incocco una freccia e la scaglio senza troppa violenza verso il fondo della stanza. Si conficca precisamente al centro di uno scaffale.
-c’hai vinto i tuoi primi Hunger Games – dico mentre vado a recuperare la freccia. La strappo dallo scaffale di legno –con questo arco-
Lei annuisce –spero che ti porti la stessa fortuna-
Rimaniamo in silenzio per qualche secondo, ognuno con la sua arma in mano. La settantaquattresima edizione degli Hunger Games: l’edizione della foresta. Rue, Cato, Clove, Lux, Marvel, Faccia di Volpe. La cornucopia. Immagini, una sopra l’altra che si accavallano nella mia mente. Adesso non riesco a dargli un senso. Non trovo un collegamento. Forse usando questo arco verrà da se. Forse sentirò anch’io la terribile sensazione di morte che sentì Katniss nella prima Arena. Orrendo. Penso di colpo. E’ orrendo che mio fratello che ha 14 anni agiti per aria quella spada come se fosse un giocattolo.
A casa l’ha sempre fatto, ma non c’era il pericolo di una guerra imminente. Nessuno l’avrebbe mai previsto.  Adesso è euforico come se dovesse prepararsi ad una delle sue manifestazioni pubbliche. Mi chiedo se abbia davvero capito che adesso non si scherza più.
Orrendo che il figlio di Finnick Odair, ucciso dagli ibridi a Capitol City adesso debba rituffarsi senza volerlo nella guerra che ha reso suo padre un martire. Ancora peggio: Annie deve sopportare di nuovo quello strazio. Io non mi considero. È come se la preparazione alla guerra faccia ormai parte della nostra famiglia. Brava, la Paylor, a farci credere che dopo venticinque anni regni finalmente la pace fra i distretti, ma dall’età di sei anni ho smesso di crederci. In tutto questo tempo non è cambiato niente. Non se Capitol è ancora tra noi.
La Paylor ci fa segno di riunirci di nuovo e quando siamo intorno al tavolo espone le linee guida:
-Ovviamente ognuno di voi ha un’arma. Katniss, Peeta, Gale, voi sarete pronti ad intervenire insieme a me sul tetto dell’Overcraft - indica un’altra porta sul fondo del mezzo – c’è una scala che porta in una cabina chiusa da vetro trasparente, costruita appositamente per queste situazioni- torna a guardarci – Finnick e Chays, voi rimarrete all’interno. In caso di attacco apriremo i portelloni che adesso sbarrano i finestrini e potrete agire da lì-
-c’è la possibilità che uomini di Capitol entrino nel nostro Overcraft?-
La Paylor muove la bocca in una smorfia – è praticamente impossibile, ma è successo. E voi dovete essere pronti a reagire –
Mi guarda e sorride – qualcuno deve sostenere Annie no?-
Annie. Ottimo. Mi hanno fatto armare con arco e frecce e me ne devo rimanere a sedere a tranquillizzare la madre di Finnick. Mi sale la rabbia e per un attimo mi devo sforzare per ripetere il richiamo mentale.
Mi chiamo Rue Mellark, ho sulle spalle un arco e una faretra strabordante di frecce. La Paylor mi ha presa in giro fino ad ora.
-sono armata fino ai denti e avete intenzione di tenermi qui?- Non è un’offesa ad Annie, non vuole esserlo. Ma sembra. Dopo tutto è vero. Ha bisogno di qualcuno che la tranquillizzi in caso di attacco.
-puoi essere utile anche da qui. Se apri un finestrino le frecce le puoi tirare lo stesso- risponde acida.
-beh, mi dispiace sconvolgere il suo programma, ma io salirò quella scala con voi. Da qui le mie frecce non hanno alcun effetto- O meglio, potrebbero avercelo. Ma non è plausibile sperare che tirare frecce contro il metallo dell’Overcraft serva a qualcosa. Le lancio un’occhiata irritata. E’ la stessa Annie a intervenire
-no- ci voltiamo tutti verso di lei, mentre continua –so accorgermi da sola quando c’è qualche pericolo. Qui con me rimangono comunque Finnick, Chays e Robby, giusto?-
Finnick annuisce e si china a cingerle le spalle con un braccio.
-staremo noi con lei- dice sorridendole –Rue è più utile con voi-
-è vero- gli fa eco mia madre. E’ vero. Da lei non me lo sarei aspettato. Mi ha difesa, volontariamente o involontariamente.
La Paylor è costretta ad arrendersi –se commetti un solo errore, Mellark..- si avvicina e mi punta il dito dritto in faccia –la prossima volta ti lego ad un seggiolino-
Sono sicura che non ci sarà una prossima volta, presidente. Penso.
In quel momento un Overcraft davanti a noi esplode.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Il boato è enorme. E insieme allo schianto lamiere di ferro e pezzi di vetro ci volano addosso come proiettili. Robby è costretto a virare di colpo verso destra e metà di noi finisce per terra. Io riesco a non cadere aggrappandomi con forza al tavolino fissato al pavimento e afferro al volo Chays che sta per atterrare su Annie già caduta. Quando l’Overcraft torna in posizione orizzontale una lamiera sfonda il finestrino della cabina di comando. Un pezzo di vetro si conficca nel braccio di Gale e il sangue schizza nella nostra direzione.
Le urla si cominciano a sentire nitide: Annie è incollata a terra, grida con la testa fra le mani. Gale grida di dolore e dopo qualche secondo un urlo proviene anche dalla bocca di Robby. Si sporge dal suo seggiolino per togliere il vetro dal braccio di Gale. La cintura di sicurezza viene spezzata da un pezzo di lamiera che gli piomba addosso come una spada e gli squarcia la gamba. Rotola a terra, contorcendosi per il dolore e tenendosi la gamba insanguinata con le mani. Nel caos totale non riesco a pensare a niente.
Per un terribile momento penso di essermi dimenticata il perché ci hanno attaccati. Poi guardando il sangue scorrere sul pavimento dell’Overcraft ricordo.
Sto per essere presa dal panico. Le urla di dolore sono strazianti, Robby non smette un attimo. Gale cerca di tirar su il suo copilota. Il peso e la resistenza che oppone però non glielo permettono e anche lui rischia di essere tirato giù.  A quel punto mi assicuro che Chays sia di nuovo in piedi. Gli lascio la mano e corro ad aiutare Gale.
Prendo Robby sotto le braccia, mentre Gale si stacca la cintura di sicurezza per prenderlo dalle gambe. In un attimo il sangue che macchia le mani del copilota sta cominciando a scorrere sulle mie scarpe. Mi blocco per un secondo che sembra eterno. L’odore di sangue fresco qui accanto a lui è netto.
E’ solo quando arriva mia madre ad aiutarci che riprendo a ragionare. Non sono per niente lucida.
E’ appena esploso un Overcraft di fronte a noi e i due piloti sono entrambi feriti. Il vento che penetra dal finestrino frantumato è forte e Gale è costretto a diminuire la velocità.
Riusciamo a prendere Robby di peso e a lasciarlo cadere sul suo seggiolino.
-non può più guidare- dice la Paylor che è giunta di corsa.
-sì che posso- ansima Robby.
-non fare l’idiota- incrementa Gale. Con il braccio sanguinante apre un cassetto alle sue spalle e ne tira fuori una cassetta di pronto soccorso. Cerca con le mani un rotolo di stoffa e nel frattempo macchia di sangue tutto quello che tocca. Lo trova. Me lo mette in mano e mi ordina di strapparne un pezzo abbastanza lungo.
Provvedo immediatamente e quando comincio a srotolare la stoffa mi accorgo che le mie mani tremano. Mi costringo a non farci caso e continuo freneticamente a far scorrere il tessuto finchè non è sufficientemente lungo. Ne strappo un lembo e lo passo a mia madre che glielo stringe intorno alla ferita. Il sangue sul taglio è talmente scuro che capisco immediatamente quanto sia profondo.
-Gale guida, dannazione!- grida la Paylor, spostando a forza Robby su seggiolino di ferro dove mi ero seduta io qualche ora prima e prendendo il suo posto.
-è chiaro che lui non può guidare in quelle condizioni- continua. Preme una fila infinita di bottoni e Gale inizia una serie di manovre che potrebbero confondere chiunque. Appare il radar olografico di fronte a noi.
E’ pieno di punti blu e rossi lampeggianti.
-quello di prima era un’Overcraft di Capitol City. Devono averlo fatto esplodere gli alleati del Distretto 2-
Spiega Gale senza staccare gli occhi dai comandi olografici sotto il radar.
-i nostri sono i punti rossi – continua percependo un silenzio confuso.
-siamo circondati- esclama la Paylor che ormai ha preso il comando.
Uno spostamento d’aria pari a qualche tonnellata spinge il nostro Overcraft in giù. Mia madre si affaccia cautamente dal finestrino frantumato. Occhi al cielo.
-c’è un’Overcraft di Capitol City sopra di noi. Gale, tu resta qui. Sul tetto andremo io e Peeta- dice rientrando.
Corre a raccogliere l’arco e la faretra che nello schianto erano volati a terra. Peeta si lancia dentro una delle stanze e ne esce con un fucile e una sacca di munizioni che attacca alla cintura. Sta succedendo. Non sono più repliche trasmesse in tv, programmazioni della memoria o cose del genere. E’ la realtà.
I miei genitori sono davanti a me. Sono soldati, pronti alla battaglia.
Per quanto mi sforzi di ricordare come fossero a cose normali nel 12, non ci riesco. Vedo solo due soldati armati fino ai denti. Si danno ordini, aiutano gli altri a sistemarsi e corrono verso il fondo dell’Overcraft.
Mi volto di scatto a guardare Robby. Si è calmato e cerca di aiutare Gale a riorganizzare le coordinate, ma il sangue ormai ha del tutto impregnato la fascia intorno alla gamba. Cerco il rotolo di stoffa con gli occhi. Lo raccolgo e glielo lancio.
-non ti basta più quel pezzo che hai intorno alla gamba- gli grido. Corro fuori dalla cabina. Raccolgo il mio arco e mi carico la faretra sulle spalle. Sono troppo agitata. Sì, lo sono. Però riesco a pensare a mente lucida. Il problema è che le mie mani e le mie gambe agiscono più in fretta del mio cervello.
Mi giro velocemente a cercare Chays. Non lo trovo. Per un attimo il respiro si fa corto.
No. Non di nuovo, penso. Non adesso, Rue. Resisti. Mi dico, mentre fisso i piedi sul pavimento per non perdere il contatto di ciò che mi sta intorno.
“Dolcezza, che fai, svieni?” sento la voce di Haymitch che mi schernisce. Non le ha pronunciate davvero quelle parole, ma è come se lo avesse fatto. Lo conosco troppo bene. Sento le sue frasi anche quando non le dice.
Qualcuno mi afferra il braccio. Strizzo gli occhi e quando li riapro Finnick mi guarda:
-Rue. E’ il momento, non farti prendere dal panico- ha ragione. Non devo. E’ già un po’ che mi costringo a non cadere nell’ angoscia, ma adesso è diverso. È come se le sue parole mi fossero giunte più dirette dei miei stessi pensieri. Il modo in cui mi guarda mi fa capire che anche lui prova quello che sto provando io.
Giovani di una generazione che non avrebbe dovuto più pensare alla guerra. Giovani travolti dalla sete di vendetta e di potere di una capitale che non dovrebbe più esistere.
-vai, Rue- mi dice lasciando la presa. Corre a prendere il tridente più grande. Si carica in spalla quello più piccolo. Da una pacca sulla spalla a mio fratello che intanto si è posizionato alla vita una cintura colma di coltelli e tiene stretta in mano una spada.
Finnick si volta di nuovo verso di me e sorridendo grida –ci vediamo alla parata, Mellark! Non combinare troppi guai-
Mi compare un lento sorriso sulla faccia. Poi corro. Corro fino al fondo dell’Overcraft e salgo i gradini della scala che porta nella cabina di vetro sul tetto. Mi giro un’ultima volta: Finnick e Chays hanno aperto i finestrini. Finnick sta cominciando a tirare scariche elettriche nell’aria.
Quando finisco di salire la scala sbuco in una cabina abbastanza grande da contenere sei uomini in piedi. Fa un caldo asfissiante. L’effetto serra provocato dal vetro è tremendo. Una pallottola si infrange in quel momento sul vetro di fronte a me e capisco che è antisfondamento.
Mi hanno vista arrivare. Sia i miei genitori che quelli di Capitol.
Mio padre ha inserito il suo fucile in un buco che fa uscire la canna dal vetro e spara ai Pacificatori che si affacciano dai finestrini dell’Overcraft che ci sovrasta.
Pacificatori. Leggende. Fino a ieri non erano che leggende del terrore. Adesso sono là, davanti a me. Pronti ad uccidere ed essere uccisi.
Devo farlo anch’io, penso tutt’a un tratto. Se voglio sopravvivere devo tirare le mie frecce contro uno di loro. E vincere.
-Rue, da questa parte- grida mia madre dalla parte opposta della cabina. Sta lanciando le sue frecce da una pellicola che sembra l’ologramma di Gale. Ne avevo sentito parlare in televisione: pellicole antiproiettili. Ciò che viene sparato da dentro passa e colpisce, ciò che proviene da fuori si disintegra al solo contatto con la pellicola. Perfetto per lanciare frecce. E’ un’area rettangolare abbastanza grande per garantire il lancio a tre persone.
Affianco mia madre e in mezzo secondo estraggo una freccia, la incocco e la scaglio contro il primo Pacificatore che vedo affacciarsi dal finestrino. Lo prendo ad una spalla e lo vedo mentre grida e scompare all’interno dell’Overcraft. L’ho fatto. L’ho colpito. Un essere umano come me. Ma non c’è altra scelta.
Forza Rue, hai resistito fin ora. Forza! Mi tremano le mani. Non va bene. Incocco un’altra freccia e abbatto un pacificatore che ha gettato da un finestrino una scala metallica.
La scala. Se riescono a scendere ed entrare nel nostro Overcraft siamo rovinati. E non è del tutto impossibile. Quelle scale sono elettrificate. Ti bloccano sopra finchè non atterri. Il vento dato dalla velocità non influirà su di loro.
Lancio un’altra freccia che si conficca nel piede di uno che sta per scendere. Cade nel vuoto. Due.
 
Sale a due il numero delle mie vittime. Quando lancio di nuovo, le mie mani tremano talmente tanto che la freccia finisce nel vuoto. Scoiattoli. Ecco a cosa devo paragonare tutti quegli uomini vestiti di bianco. Semplici prede di caccia. Respiro a fondo e penso intensamente al motivo per cui lo sto facendo. Per cui sto uccidendo. Devo arrivare viva alla Parata della Memoria e devo farlo con la mia famiglia, Finnick e gli altri. Capitol deve capire che non abbatterà i Mellark-Everdeen. Ma adesso penso solo al fatto che loro sono troppi e noi troppo pochi. Che io sono disperata e che loro sono fin troppo preparati. Me ne fregherei di tutto e tutti, della Parata, di Capitol. Abbandonerei le armi e cercherei di pilotare con Gale questo coso per portarlo in un posto sicuro. Ma non posso permettermi di farlo, nemmeno di pensarlo. Ci sparano addosso con tutto quello che hanno e se noi non contrattacchiamo, tutti, siamo morti.
Un pacificatore si sporge in quel momento dal suo finestrino e lancia una sorta di missile contro la nostra cabina. Non so se sentirmi al sicuro, protetta dal vetro o se temere. Quello non è solo un proiettile. Quella è una palla di fuoco che sta per schiantarsi addosso a noi.
Non resisterà, il vetro.
Lo capisco troppo tardi. Pochissimi centimetri e io, mio padre e mia madre salteremo per aria.
Getto l’arco e la faretra giù per la tromba delle scale. Do uno spintone a mia madre che barcolla e finisce addosso a mio padre. Riesco così a spostarci tutti di qualche metro nella direzione opposta al missile. Entrambi si voltano in tempo per vedere la parte destra della cabina esplodere. L’impatto è talmente forte che ci sbalza tutti e tre addosso al vetro da cui mio padre stava sparando e l’Overcraft stesso sembra compiere una piroetta. Fuoco. C’è solo del fuoco intorno a noi.
-giù!- grido ai miei genitori. Ci buttiamo letteralmente nella tromba delle scale e atterriamo con un tonfo doloroso sul pavimento interno dell’Overcraft.
-cos’è successo lassù?- chiede Haymitch. E’ seduto su un divanetto e stringe Annie per le spalle.
-un missile ha distrutto la cabina- dico. Mio padre risale qualche scalino giusto per chiudere la botola da cui siamo scesi.
-non è possibile, è antiproiettile!- replica la Paylor dalla cabina di comando.
-magari fosse stato un proiettile quello che ci ha colpito- esclamo irritata. Per lei tutto è impossibile. Era impossibile che ci attaccassero di nuovo. L’hanno fatto. Era impossibile che distruggessero il vetro antiproiettile. L’hanno fatto. Era impossibile che i Pacificatori compissero una sorta di arrembaggio. Lo stanno facendo.
Un altro schianto proviene dal finestrino che Chays aveva appena chiuso. L’hanno frantumato. Una  folata di vento sconvolge tutti. Un pacificatore sta entrando, staccandosi dalla scala. Colpisce mio fratello con un pugno e lo stende. Mi alzo di botto da terra.
-Chays!- urlo. Una volta in piedi trattengo un’imprecazione di dolore. La caviglia fa un male atroce. Devo esserci caduta sopra quando ci siamo buttati dalla cabina. Sento caldo ovunque. L’esplosione di prima mi ha sconvolta. Ma non importa. Cioè.. non deve importare. Mio fratello è a terra e si rotola lentamente per riprendersi dalla botta. Poi il Pacificatore crolla sotto la scarica elettrica del tridente di Finnick. Prende mio fratello sotto le spalle e lo trascina il più lontano possibile dal finestrino.
Non vedo nient’altro che Chays. Chays e Finnick. Il sangue esce dalla bocca e dal naso di mio fratello.
Raccolgo con fatica l’arco e la faretra e lancio una freccia ad un altro pacificatore che sta entrando. Cade all’indietro e tira giù con lui anche un altro uomo che lo seguiva. Quattro, penso. La caviglia fa male. Ansimo. Devo calmarmi, devo farlo per forza, altrimenti non combino niente di buono.
Mi lancio verso mio fratello che si sta alzando.
-Tutto bene?- chiedo.
-credo di si- ha gli occhi rossi. Gonfi. È stralunato, molto più di quanto possa pensare di esserlo io. Ha pianto. Forse nessuno l’ha visto. Ma chi se ne importa! Ha pianto e ne aveva tutte le ragioni del mondo. Lo farei volentieri se non fosse che adesso è il momento meno opportuno. Chays.. così spavaldo con le armi e adesso così impaurito.
-diversa la guerra da i tuoi allenamenti?- chiedo in tono quasi accusatorio.
Mi guarda male e lo ignoro volontariamente.
-fatti passare tutta la foga di combattere, Chays – gli dico in faccia –potremmo morire tutti da un momento all’altro, devi rendertene conto-
Mi volto in tempo. Qualcuno spara. Non a me.
A mio padre.   NOTA DELL'AUTORE: scusate l'assenza, ma essendo in vacanza non ho potuto pubblicare il capitolo prima di adesso. Buona lettura!

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Il Pacificatore che ha sparato viene ucciso all’istante da una freccia di mia madre.
Il sangue di Peeta scorre. Scorre a fiotti dal fondo dell’Overcraft, nessuno lo ferma. Mi bagna le scarpe.
E’ sangue del mio sangue, questo.
-papà..- riesco solo a sussurrare. Sono immobilizzata con i piedi che affogano sempre di più nel sangue di mio padre. Chays mi passa accanto correndo e si butta su nostro padre. E’ a terra, steso. Chays grida. Gli altri parlano, Finnick continua a combattere. Ma io sento solo le grida di mio fratello e adesso respiro l’odore del sangue che mi ha generato. No. Mi sento svenire, gira tutto.
Ma non posso farlo, non posso svenire. Intorno a mio padre ci sono mia madre, Chays e.. Gale. Ha lasciato i comandi a un Robby sofferente e adesso è lì con la misera cassetta del pronto soccorso. Non lo salveranno, penso. Sento gli occhi che mi si riempiono di lacrime, le gambe che cedono. Potrei cadere in terra qui, adesso, e non rialzarmi più. Cos’è quello che sento dentro? Rabbia? Dolore? Non lo so, non capisco più niente. Mio padre sta per morire e io non riesco a muovere un passo. Le lacrime non mi escono dagli occhi, che cosa strana. Devo prenderlo come un buon segno?
Non ragiono più.
Corro verso mia madre, afferro la sua faretra, depositata a terra. Abbandono la mia. Mi lancio verso il finestrino dove Finnick sta lottando da solo contro i Pacificatori. Non rifletto, sento solo che adesso le lacrime cominciano a scendere. Estraggo una freccia, sento che odora di benzina. E’ incendiaria.
Do una spallata a Finnick e lo sposto di lato, miro fuori dal finestrino. Lancio e sfioro la scala elettrificata. Non succede niente.
Sto piangendo, eppure non mi muovo se non per la forza della disperazione. Tiro fuori un’altra freccia. Gas. E’ esplosiva. Miro di nuovo alla scala, la colpisco. Prende immediatamente fuoco e dopo pochi secondi esplode. Qualcuno si lancia all’interno del nostro Overcraft e stende Finnick che cade di lato.
La scala è distrutta. Alzo gli occhi opacizzati dalle lacrime verso l’Overcraft di Capitol City: un’altra scala sta scendendo, molto più lentamente. Sto per incoccare un’altra freccia, quando sento il grido di Finnick: un Pacificatore gli ha piantato un coltello nel braccio. Non si era ancora rialzato e il Pacificatore è stato più veloce di lui. Penso che non farò in tempo a lanciare una freccia, allora piombo alle spalle del nemico e gli tiro l’arco d’argento alla tempia, con tutta la forza che ho in corpo.
-basta!- grido con tutta la violenza che trovo. Gli do un’altra botta, ma ormai è tramortito. Finnick si toglie il coltello dal braccio e anche il suo sangue scorre. Si mischia orribilmente a quello di mio padre e adesso il pavimento sembra un lucido tappeto rosso. L’odore è nauseabondo. Mi porto un braccio al naso, un po’ per neutralizzare l’odore, un po’ per asciugare le lacrime.
Devo tendere una mano a Finnick, ma non ci riesco. Le forze non ci sono più. Non so che fine abbiano fatto, ma mi hanno abbandonata. Tutto mi ha abbandonato. Ho tutti intorno a me, ma mi sento terribilmente sola. Sola, macchiata di sangue non mio, con una caviglia che ha deciso di non collaborare, con un padre che sta per morire, l’unico amico con una ferita da taglio ad un braccio ed un fratello che potrebbe cedere prima di me. Siamo spacciati. Sento un rumore metallico vicino a me e capisco che l’altra scala è appena atterrata all’interno dell’Overcraft. Ma non reagisco.
Non ce la faccio.
Guardo fisso verso la cabina di comando, senza uno scopo. E’ allora che la Paylor si volta una frazione di secondo per poi tornare a pilotare e mi grida:
-soldato Mellark, combatti! Devi combattere, lo capisci questo?- silenzio. Non rispondo.
-hai agito bene fin ora, non puoi arrenderti! Quel sangue non è tuo!- esclama. Credo mi voglia aiutare.
-non è tuo, questo significa che stai bene e che sei l’unica che può fare qualcosa!-
Non mi piace ammetterlo, nemmeno ora. Ma ha ragione. Ha dannatamente ragione! Mia madre non si sarebbe mai arresa, non si sarebbe fatta impietrire così.
Mi chino su Finnick e lo tiro su, appena in tempo, perché un Pacificatore sceso ora dalla scala lo stava per colpire nuovamente.
-Finnick Odair, hai intenzione di farti abbattere da una ferita?- gli urlo, tentando di incoraggiarlo. Non mi riesce troppo bene, ma voglio provarci. Com’era il piano? Far partecipare la mia famiglia, per salvarla. Lo stesso vale per gli amici.
Lui sorride e col fiato corto risponde:
-ti piacerebbe Rue Mellark – afferra il tridente grande inzuppato di sangue e balza in piedi.
-Forza!- mi sprona. Incocco una freccia prima di girarmi e non appena mi volto la scaglio contro il Pacificatore più vicino.
Con orrore mi accorgo che sono quattro o cinque i nemici a bordo. Mia madre ne uccide un altro dopo pochi secondi. Uno di loro colpisce Chays alla testa e inizia a trascinarlo. Corro nella sua direzione, ma scivolo sul sangue depositato sul pavimento. Mentre finisco a terra mi accorgo che mio padre è vivo. Ansima, è pallido e stringe con forza la mano di Gale, ma è vivo. Un Pacificatore corre in fretta verso Annie: non ha armi in mano, vuole solo.. prenderla. La stessa cosa che stanno facendo con Chays.
Impiego troppo tempo ad alzarmi così afferro il coltello che aveva ferito Finnick e lo lancio contro l’uomo diretto su Annie. Lei grida, ma Haymitch la prende e la porta di corsa in una delle stanze piene di armi. Chiude la porta. Bravo Haymitch, penso. Almeno loro due sono al sicuro.
La volevano prendere. Rapire.
Portarla a Capitol, chissà per quale motivo. Di nuovo, noto. Povera Annie, non oso pensare cosa stia provando adesso.
Mi rialzo con fatica. Trattengo un gemito di dolore per la caviglia mal messa, ma mi riprendo subito. La vista di mio padre ancora vivo, il sapere che almeno Annie è al sicuro, adesso mi danno forza.
Quello che non devo fare è pensare che Finnick potrebbe non farcela da solo. Ma sa cavarsela, come suo padre. Ce la farà.
Mi guardo intorno e mi accorgo che Chays è svenuto tra le mani di due Pacificatori che lo stanno portando verso la scala. No. Non lo porteranno via.
Non lo hanno ucciso. Perché?
Allungo un braccio dietro la schiena a cercare le frecce. Qualcuno lo afferra e mi spinge all’indietro. Giro su me stessa e cado in ginocchio. La faretra cade a terra. Un Pacificatore senza casco la afferra, la lancia ad un altro che la getta fuori dal finestrino.
-no!- esclamo. L’arco in mano da solo non serve a niente. Il Pacificatore mi viene in contro. Non ho il tempo di alzarmi, finisco a sedere. Le mani sul pavimento sono immerse nel sangue. Striscio all’indietro senza staccare gli occhi dall’uomo che mi sta per aggredire. I suoi occhi sono terribili. Non è armato, qualcuno deve avergli tolto le armi prima. Si china su di me e prima che me ne possa rendere conto mi molla un cazzotto sulla parte sinistra della faccia. Cado del tutto, adesso posso solo spingermi lontano con i piedi. Con le mani mi tengo lo zigomo. Fa talmente male che suppongo sia fratturato. Non ho il tempo di fiatare che mi arriva un calcio sul diaframma.
Mi toglie il respiro. Letteralmente. Annaspo alla ricerca dell’aria, non riesco nemmeno a parlare. Il dolore è intenso, ormai ovunque. La caviglia in confronto allo stomaco e alla faccia sta benissimo. Un altro colpo così e per me è la fine, penso.
Sono disarmata, non riesco a fare niente e sto per morire. Mio padre sta per morire. Mio fratello sta per essere rapito da Capitol City. Mi giro lentamente e guardo negli occhi il mio aggressore. Sa di avere la vittoria in pugno. Sorride spavaldo.
Adesso sputa sangue dalla bocca. Ha una lieve convulsione e poi precipita in avanti. Mi sposto in tempo per non farmelo atterrare addosso. Dietro c’è Finnick col tridente insanguinato. Sembra particolarmente sconvolto. Mi tende un braccio.
Mi alzo lentamente, con una sofferenza tremenda. Il respiro sta tornando. Ma anche respirare adesso fa fatica. Fa tanta, troppa fatica.
Chays. All’improvviso ricordo. Me ne stavo dimenticando. Con tutto il tempo che ho avuto per i vuoti di memoria, proprio adesso devo dimenticarmi che mio fratello è trascinato via svenuto?
-dov’è mio fratello?- riesco a chiedere a Finnick. Mi tengo ancora lo stomaco con un braccio.
Lui mi guarda. Che occhi azzurri che ha.. occhi che vogliono dirmi che è troppo tardi.
-ti giuro..-
-cosa?- chiedo. Il panico mi avvolge. Le mani fremono e sudano. Panico.
-cosa, Finnick? Dov’è mio fratello?- lo scanso con un braccio e corro verso il finestrino.
-ho fatto il possibile- mi dice, ormai alle spalle. Ha la voce spezzata. Scavalco i cadaveri di tre pacificatori, un quarto lo spingo con un calcio di rabbia. Faccio in tempo a sporgermi dal finestrino e vedere un Pacificatore aggrappato alla scala con mio fratello tra le braccia.
-no!- grido immediatamente. Cerco la faretra, ma non la trovo. E ricordo che non ce l’ho più.
-no Chays! Riportatelo qui, bastardi!- grido e mi sporgo ancora. Tiro un pugno contro il ferro e trattengo un imprecazione. Le dita fanno male, ma non importa. Un calcio ad un altro cadavere.
Grido, in preda all’isteria. Non può essere, l’hanno fatto. È successo l’impossibile. Vorrei dirlo alla Paylor, ma non posso. Non posso perché mi sto agitando tra le braccia di mia madre e di Finnick come una dannata. Continuo a urlare e svengo.
 
L’incubo è terribile. Sono su un’Overcraft di Capitol City, ma nessuno mi vede. Cammino inosservata tra la gente. Lenta. Mio fratello è in fondo, legato ad una sedia, ancora svenuto. Grido il suo nome e accelero il passo. Compare un uomo, vestito da medico con pinze, bisturi e una siringa. Grido ancora il nome di mio fratello, ma è tutto inutile, nemmeno io riesco a sentire la mia voce, non sento alcun suono. Corro, ma la sedia si allontana, invece di avvicinarsi. Inciampo. Cado accanto ad un cadavere. Lo riconosco con un gridolino: mio padre. Mi rialzo in fretta, corro, ma non vado da nessuna parte. Provo a fermare un uomo, non un pacificatore, non un soldato. Gli tocco una spalla e quando si volta la sua faccia è il muso di un ibrido orrendo. Sbava dalle zanne. Cado urlando, terrorizzata.
Mi sveglio di colpo, del tutto sudata.
Sono in un letto. Mi sembra una stanza di ospedale.
Due letti di fronte a me, uno accanto.
Finnick accanto a me dorme ancora, un braccio fasciato. Nel letto di fronte c’è mio padre tutto fasciato, attaccato ad una flebo, e dorme. Robby giocherella con la coperta.
Mi guarda:
-buongiorno-
-dove siamo?-
-ben arrivata al Distretto Madre, Rue-
 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Mi chiamo Rue Mellark. Ho sedici anni. Vivo nel Distretto 12. Sono ricoverata in un ospedale del Distretto Madre da un giorno. Mio padre è stato colpito da un proiettile. Mio fratello è stato rapito da Capitol City. Probabilmente è morto.
Fisso il soffitto e lancio in aria la pallina di stoffa. La riprendo con un gesto breve e lascio cadere il braccio sul letto di ospedale.
Forse è meglio che sia morto. Chays nelle mani di Capitol City, un’immagine orrenda. Ancora più orrendo è il fatto che io non abbia potuto fare nulla per impedirlo. E’ decisamente meglio che sia morto, sarebbe quasi un sollievo. Penso ad Annie Cresta e al fatto che tutti la ritengono pazza perché è stata la Capitale a renderla così, prima con gli Hunger Games, poi con le torture che le hanno regalato nel suo periodo di prigionia. Mi ritrovo a sperare con un nodo alla gola che Chays non abbia retto e sia morto quasi subito, oppure che si sia tolto la vita dalla disperazione. Mi metto a sedere, appoggio la schiena al cuscino sollevato e guardo mio padre che dorme. Lui è la prova vivente che Capitol City usa chi ami per distruggerti e che non ti renderà le cose più facili semplicemente uccidendo. No.. tu devi logorarti l’anima al pensiero di tuo fratello chiuso da qualche parte, umiliato e fustigato, mentre tu sei bloccata in un letto d’ospedale per aver preso due cazzotti. Faccio fatica a ricomporre in ordine tutti gli eventi accaduti sull’Overcraft. Ricordo poco, solo le cose importanti. Non ricordo come mai Robby sia nella mia stanza d’ospedale, non ricordo i particolari.
Sono solo due giorni che siamo fuori dal Distretto 12 eppure.. mi manca. Già. Penso a Jymith e un’altra idea terribile mi passa per la mente. Che cosa sarà successo al Distretto 12, nel frattempo? Mentre noi eravamo attaccati sull’Overcraft? L’hanno bombardato di nuovo, per eliminare ogni traccia di ciò che era mio, oppure hanno giustiziato solo quei due o tre che potevano ancora essere legati alla nostra famiglia? Se solo hanno toccato Jymith.. Cosa, Rue? Cosa faresti? Mi rimprovero. Sei in un ospedale del Distretto Madre, tuo padre lotta tra la vita e la morte, di nuovo. Ti hanno quasi distrutto su quell’Overcraft e hanno fatto in tempo a portarti via tuo fratello. Non puoi fare niente, contro di loro. Se non seguire il dannatissimo piano che mi è ostile fin dall’inizio. Un odio ancora più profondo verso la Parata della Memoria mi pervade da capo a piedi e mi fremono le mani. Se non fosse per l’idea geniale della Paylor a quest’ora saremmo tutti a casa, a cacciare, allenarsi per le manifestazioni pubbliche, studiare, lavorare. Avremmo continuato la nostra vita, come sempre e io avrei insistito ancora perché Chays ascoltasse gli alberi e sentisse la linfa scorrere.
Adesso ascolto il respiro interrotto di Finnick, accanto me. E’ tutta la notte che si rigira nel letto. Non sono l’unica quindi. Ad avere degli incubi. Guardo l’ora che un orologio a muro proietta sul soffitto: le 2 del mattino. Mi rimetto giù e mi costringo a chiudere gli occhi. Robby l’ha fatto, dopo che abbiamo parlato, è riuscito a riaddormentarsi. Devo farlo anch’io. Stare qui a pensare a cosa potrei fare e non poterlo fare mi fa sentire la persona più inutile del mondo.
Chiudo gli occhi e mi assopisco.
Mi sveglio al tocco di una mano che mi sfiora il braccio. Mia madre è a sedere accanto a me, alza la testa e mi sorride:
-Rue- mi dice stringendomi la mano. Mi volto un attimo a guardare l’ora: le 7 del mattino. Avrei giurato di aver dormito solo pochi minuti.
-Come sta papà?- chiedo prima che lei mi faccia qualsiasi tipo di domanda.
-dorme ancora. I medici dicono che è fuori pericolo, ma ha bisogno di riposo-
Tiro un sospiro di sollievo. Almeno lui è al sicuro. Salvo.
-tu come ti senti?- mi chiede poi. Volevo evitare.
-bene- dico e basta. Non mi aspetto che indaghi, né che se ne vada così da un momento all’altro. Infatti rimane, mi lascia la mano e mi spiega finalmente tutto ciò che è successo sull’Overcraft. Mi dice che siamo stati attaccati da Capitol City e che nell’attacco finale Gale e Robby sono stati feriti nella cabina di comando. Poi spiega che io, lei e papà abbiamo combattuto dalla cabina di vetro i Pacificatori. La nostra postazione è poi esplosa, lanciandoci all’interno dell’Overcraft. Ora si spiega perché ho la caviglia fasciata.
Poi c’è stato una sorta di arrembaggio e diversi Pacificatori sono entrati nel nostro Overcraft, sparando a mio padre, ferendo me e Finnick e portando via Chays. Ora capisco anche il dolore alle costole e il labbro spaccato. Comincio a ricordare tutto. Più fulgida che mai è l’immagine del sangue che scorre sul pavimento dell’Overcraft, sangue di persone che ho ucciso io, che ha ucciso mia madre. Oppure sangue di mio padre e di Finnick.
-il Distretto 13 è dalla parte di Capitol. E’ per questo che uccidesti la Coin, non è così?- chiedo a Katniss –non ti fidavi già allora-
-e avevo ragione- aggiunge mia madre –sappiamo con certezza che il 13 ha conservato armi e uomini della Capitale. Ne avevamo il sospetto, ma non potevamo accusarli senza prove-
-adesso possiamo- le faccio notare. Lei annuisce:
-prima però dobbiamo far vedere che siamo vivi. Questo è ciò che vuole la Paylor-
Ecco che ritorna. L’idea della parata. La detesto, ma è necessaria, ora più che mai. Mia madre mi informa che c’è un cambio di programma: non faremo il giro dei Distretti, un rischio troppo alto per tutti. Rimarremo qui e ci mostreranno a tutti tramite le riprese e i grandi schermi.
-è odiosa come cosa- mia madre fa eco ai miei pensieri –ma dobbiamo farla. Non possiamo precipitare di nuovo in una guerra contro Capitol City-
Rimango immobile:
-loro vogliono mettere a tacere noi. Noi troveremo il modo di mettere a tacere loro.- dico, fissando mio padre. Per lui, per riavere Chays, per Finnick ed Annie. Dobbiamo reagire.
-domani verranno a prepararci- spiega mia madre dopo qualche secondo di silenzio. –oggi dimettono Robby, Finnick e te. Siamo alloggiati ..- si ferma.
Qualcosa la blocca dal dirmi che siamo alloggiati.. negli appartamenti dove soggiornarono prima dei due Hunger Games.
-è una tortura!- esclamo –non possono farlo! Con tutti gli appartamenti che esistono in questo posto-
-calmati- dice secca lei –non sono gli stessi. Il palazzo è il solito, ma gli appartamenti sono due piani sotto ai nostri-
-è lo stesso, non lo capisci? E’ una questione di principio- affermo sicura. Però mi calmo. Forse vuole solo dimenticare, andare oltre. Capire che gli Hunger Games non esistono più, fare questa parata e escogitare un piano per riavere Chays. Vivo o morto. Non ha mai nominato mio fratello durante il nostro dialogo. E non sarò io a farlo. Fa male tanto a me quanto a lei. In quel momento entrano Annie e un medico.
Il medico ci dice che possiamo trasferirci ai nostri appartamenti, mio padre sarà dimesso soltanto in serata. Cioè: gli danno il misero tempo di aprire gli occhi e già lo scaraventano nell’appartamento, pronto per essere truccato e vestito per la parata.
Annie si accosta a Finnick e lo sveglia dolcemente. Si abbracciano così forte che mi sento terribilmente in colpa di non aver fatto lo stesso con mia madre. Ma lo sguardo che mi manda mi fa capire che non importa. Che rimedieremo presto, quando tutta la famiglia sarà di nuovo unita. Loro sono certi della presenza l’uno dell’atra, la loro famiglia è quella. Sono uniti, sono vivi, gli basta. Mio fratello invece è lontano, vorrei fargli capire che non è solo. Così come Jymith, distante, troppo distante. Forse più in pericolo di me.
Mia madre mi lascia i vestiti puliti sul letto e mi dice che mi aspetta in corridoio. Mi infilo nel bagno, faccio una doccia e mi cambio. Quando sono pronta Finnick mi guarda e sorride:
-è un piacere averti tra noi, Rue-
Non posso non sorridere di rimando. Quel ragazzo ha qualcosa di particolare, qualcosa che non possiede nessuno nel Distretto 12. Ha una voglia di vivere che spiazza chiunque lo guardi negli occhi.
-il piacere è mio Finnick- Poi lo guardo meglio –hai intenzione di uscire così?-
Si mette in una posa da modello –secondo te mi serve una maglietta?-
Ridendo indico una maglia nera sul suo letto –è lì apposta per te-
Apro la porta e gli dico –ci vediamo alla parata-
Lui si gira mentre si infila la maglietta –così tardi? Nah.. Credo che verrò a farti visita prima di stasera. Altrimenti mi annoio tutto il giorno- poi si volta di scatto, raccoglie una pallina di stoffa per terra con il braccio sano e me la lancia.
-fatti trovare con questa-
Sorrido ed esco. Non so nemmeno se mi farò trovare, oggi. Non sono dell’umore giusto per giocare con una pallina con Finnick Odair. Ho troppe cose a cui pensare e tutto quello che voglio è solo passare una giornata sul letto che mi aspetta all’appartamento, pensare, pensare e ancora pensare. Non sono un tipo molto attivo, in questi casi. L’unica cosa che mi farebbe davvero bene sarebbe andare a caccia nei boschi. Da sola. E poi portare il mio bottino a Jymith. Suo padre rivende sempre metà della selvaggina che gli porto nel suo negozio e di questo ne vado particolarmente fiera.
Nel corridoio ma madre mi ricompone una treccia prima di avviarci fuori dall’ospedale.
Quando io, mia madre e la Paylor siamo fuori lo spettacolo che si apre ai nostri occhi è immenso: il sole si riflette sui grattaceli della città. Hanno le forme più disparate, triangoli, rettangoli, cilindri sospesi in aria come per magia. Le strade sono immense, le macchine grigio metallizzate sfrecciano a tutta velocità. L’ospedale è situato su una lieve altura, da qui si vede veramente tutto. La cosa che mi affascina di più è il fiume che attraversa la città. Largo e brillante sembra voler comunicare che la natura c’è anche lì. In mezzo a tutto quel ferro. Vorrei anche solo sfiorare quell’acqua per sentire un lieve senso di sollievo.
Avevo solo intravisto il Distretto Madre dalla televisione e mi ero accorta che aveva conservato la struttura di Capitol City. Indubbiamente affascinante, l’impero del terrore. Adesso che ce l’ho davanti ogni sensazione di stupore è fortemente accentuata, ma i miei occhi non si staccano dal fiume che luccica al sole. Una macchina dai finestrini oscurati si ferma proprio davanti a noi. Montiamo e quando scendiamo siamo nella zona Ovest della città, di fronte ad un palazzo alto.. conto veloce: dodici piani. Sento un brivido. Dodici distretti. Un piano per ogni distretto. Questo era lo scopo del palazzo ai tempi d’oro di Snow, adesso è solo un edificio a dodici piani. E’ enorme, l’ingresso. Ci sono miriadi di porte e la gente corre veloce da un angolo all’altro, fogli alla mano, auricolari all’orecchio. Un corridoio si allunga verso il fondo dell’ingresso. Vedo mia madre voltare bruscamente:
-Rue, l’ascensore è da questa parte- dice secca, notando che sto andando dritta verso il corridoio.  
L’ascensore sfreccia ad una velocità mostruosa e ci lascia al decimo piano, direttamente all’interno dell’appartamento che ci è destinato.
E’ grande. Veramente grande. Mi stupisce per ogni sua forma, le sedie, i tavolini, le finestre, tutto.
E pensare che io sono cresciuta in una casa che è tranquillamente il triplo di quella in cui crebbe mia madre. A lei dovette fare veramente effetto entrare in un posto tanto grande e tecnologico.
La Paylor ci spiega velocemente la struttura dell’appartamento e dice che oggi è il nostro solo giorno di riposo prima della preparazione. Preparazione che consisterà in trucco e parrucco, lezioni di lessico per parlare bene in tv, lezioni di comportamento e altre buffonate varie che ci imprimeranno nella mente e letteralmente sul corpo per fare colpo alla nazione.
Tutto questo mi ostruisce indelebilmente la mente e mentre mi dirigo a passo svelto verso quella che sarà la mia stanza ripeto il richiamo mentale. Entro e mi chiudo la porta alle spalle. C’è un letto matrimoniale qualche scalino sotto di me, una toeletta appena fuori dal bagno sormontata da un grande specchio. Scendo gli scalini e perlustro la camera. Una finestra quadrata grande come tutte le finestre di casa mia messe insieme da sulla città in movimento, ma soprattutto sul fiume. Appoggio una mano al vetro e cerco di capire cosa sia realmente cambiato in venticinque anni, se neppure la forma della città è mutata. Il fiume però non c’era, non a quanto mi ha detto mia madre. Proprio sotto il nostro palazzo c’è uno spiazzo di erba verde, che fa da spiaggia al fiume. L’unico punto in cui, si direbbe, il fiume si è scavato il letto e ci ha fatto crescere vegetazione. Improvvisamente mi viene voglia di andarci. Da sola. Ma no, non credo che lo farò. Piuttosto andrò sul tetto, so che esiste dalle repliche di mia madre e mio padre che condannati agli Hunger Games parlano al vento della notte. Sì, è deciso. Depressione per depressione, preferisco piangermi addosso dove nessuno, presumibilmente, mi vede.
Quando apro la porta mi ritrovo davanti Finnick.
 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Per la prima volta nella mia vita il cuore sussulta. E non so perché. Ma lo ignoro. Tendo a mettere da parte tutte le sensazioni nuove che percepisco e che mi fanno paura. -dicono che sia pronto il pranzo- mi dice Finnick, indicando il tavolo alle sue spalle. –ma mangiare in questo posto triste mi deprime – si volta a guardare mia madre che è già seduta con la Paylor. Come se cercasse la sua approvazione. Ovviamente, mi ridico, non ne ha bisogno.
-usciamo?-
-ma mia madre..- azzardo.
-Finnick si è presentato cinque minuti fa all’ascensore e sono stata io a dirgli di farti uscire da qui- dice lei dal suo posto.
Non ne ha il diritto, penso scorbutica. Non può sentirsi libera di decidere anche ciò che voglio fare o no nell’arco di una giornata. Se avessi voluto rimanere in camera mia a piangermi addosso tutto il giorno prima della parata? L’avrei fatto. Punto e basta. E poi ho tutta l’intenzione di andare sul tetto.
-credo che rimarrò qui- dico.
Finnick resta in silenzio per qualche secondo. Mia madre non si azzarda ad aprire bocca. So perfettamente che uscire un po’ mi farebbe stare meglio, ma non mi va. Non mi va di sentirmi passare la gente accanto, non mi va che tutti mi dicano cosa devo o non devo fare. Poi ci ripenso. Guardo Finnick di sottecchi e mi accorgo che le sue intenzioni sono reali e buone. Infondo me l’aveva detto che sarebbe venuto entro stasera e l’ha fatto. Sta per girare i tacchi e andarsene, quando io, tenendo la porta aperta, torno dentro e gli dico:
-aspetta-
Raccolgo la pallina di stoffa che avevo abbandonato sul letto al mio arrivo e torno alla porta.
-non potevo uscire senza questa, no?- abbozzo quello che io credo sia un sorriso. Non so se si dimostra realmente tale, ma il viso di Finnick si illumina come se avessi fatto la battuta più divertente del mondo.
Saluto rapidamente mia madre. Ci lascia in mano una borsa beige: il pranzo. Mi dispiace lasciarla a mangiare da sola con la Paylor, ma non insisto nel voler rimanere. Entrambe sappiamo che il mio bisogno di prendere aria è abbastanza grande da non poter essere ignorato e soprattutto Finnick è partito per l’ascensore e adesso mi sbraccia da là dentro per muovermi ad entrare.
Scendiamo e in un batter d’occhio siamo davanti al grande palazzo che ci ospita. Come avevo previsto la frenesia della città mi rintontisce e il mio primo impulso è quello di correre dentro e tapparmi le orecchie. Le voci delle persone si accavallano una sull’altra, il rumore delle macchine che passano a tutta velocità mi innervosisce e rischio di diventare troppo irritabile. Potrei rovinare con il mio caratterino la prima uscita che faccio da quando abbiamo lasciato il 12 e non voglio farlo. Finnick tira un grande respiro e mi mette un braccio intorno alle spalle.
Ce l’ha nel sangue, mi dico, questo fare aperto e schietto. Suo padre prima di lui si comportava così, ma sapeva essere la persona più dolce che mia madre conoscesse. Mentre rifletto così mi accorgo che pian piano ricordo tutto quello che mia madre mi aveva detto a proposito di Finnick Odair, marito di Annie. Ricordo. E nessuno mi aiuta a farlo. Mi ritrovo a sperare che non sia solo un attimo di rinsavimento, ma che sia l’inizio della mia guarigione mentale.
Fantastico troppo e la voce di Finnick mi richiama all’attenzione:
-non hai mai desiderato respirare tutto questo fumo delle macchine e di sentire così tanti rumori metallici messi insieme?- chiede ironico.
-vieni, ho visto un posto, dalla mia finestra, che sono sicuro ti piacerà-
E’ sicuro che mi piacerà. Penso di nuovo che è come se mi conoscesse da una vita e ci conosciamo solo da qualche giorno. Nella mia vita è sempre mancata la figura di qualcuno che si preoccupasse così di me, qualcuno che fosse estraneo alla mia famiglia.
Aggiriamo il nostro palazzo, attraversiamo una strada che sembra non finire più e ci infiliamo giù per delle scale. Suppongo che portino alla metropolitana e in effetti il rumore lontano di un treno sotterraneo ad alta velocità giunge alle nostre orecchie.
-non ho alcuna intenzione di montare su quel coso- dico gettando un dito nella direzione da cui è venuto il rumore.
-nemmeno io- risponde Finnick e mi spinge di lato in uno stretto corridoio.
Camminiamo per un po’ alla luce falsata delle lanterne appese al muro.
-mi auguro che tu sappia dove stiamo andando-
-diciamo di sì. Ho sempre avuto un sesto senso precisissimo- Bene. Stiamo andando secondo il suo sesto senso lungo una specie di tunnel in cui la luce comincia a scarseggiare sempre più e sopra il quale stanno passando tutte le macchine del Distretto Madre.
-Finnick..-
-shh- mi zittisce con una piccola spinta. Non ho il tempo di replicare perché una luce improvvisa si riversa su di noi con tutta la sua intensità. Siamo usciti. Impiego qualche secondo a distendermi e aprire del tutto gli occhi, ma quando lo faccio non posso fare a meno di sorridere. Un sorriso davvero sincero.
Il fiume scorre davanti a noi, calmo e brillante. Una lieve brezza ci scompiglia i capelli e sotto i miei piedi la morbidezza dell’erba mi da un nuovo senso di sicurezza. Le strade e le macchine sono lontane, i palazzi si vedono bene, ma non incutono il timore che mi facevano in superficie. I rumori non esistono più, sento solo lo scorrere del fiume e l’odore dell’erba bagnata.
Allora, penso, la sua camera ha la mia stessa vista. Questo era il posto dove sarei voluta venire, ma non da sola. E non lo sono.
Ci sediamo sull’erba vicino al fiume e ci togliamo entrambi le scarpe.
-Oh sì, finalmente!- esclamo senza tante riserve, mentre Finnick ride. Infilo i piedi nell’acqua e sospiro.
-è molto bello qui- dico guardandomi intorno. È vero: non c’è traccia di un solo metallo o di mano umana. Tutto è natura, tutto mi riporta a casa mia. Mi servirebbe solo un albero per appoggiarci l’orecchio e ascoltare.
-dovresti vedere il mio distretto- dice Finnick –mare, sole, caldo. Sempre. La sabbia sotto i piedi, il vento tra i capelli bagnati.-
Ama il suo Distretto esattamente come io amo il mio, forse di più. Ama la sua vita, come suo padre faceva prima degli Hunger Games. Penso a mio fratello e penso che adorerebbe sedere qui insieme a noi. Affonderebbe i piedi nell’acqua e resisterebbe solo qualche secondo prima di buttarsi. Chays.. dove sei?
-qui abbiamo l’erba sotto i piedi, invece della sabbia- dico, scacciando pensieri che minacciano di rovinare tutto –ma l’acqua ce l’abbiamo anche qui, no?
Chiudo gli occhi e sento il calore del sole sulla faccia e la freschezza dell’acqua che mi bagna i piedi.
Quando apro gli occhi scopro Finnick che mi sta guardando e sorride.
-andiamo- dice e si alza in fretta.
-dove?-
-alzati!- mi tende una mano, ma prima di prenderla esito un secondo. Come la allungo un po’ lui la afferra e mi tira su.
-Finnick, cosa..?- Lui ride e mi prende in braccio.
-cosa diavolo stai facendo?- E’ molto più forte di me e l’istinto mi direbbe di ribellarmi, ma mi viene da ridere e non posso trattenermi. Senza accorgermene sono in acqua, completamente immersa fino all’ultimo capello. L’impatto con l’acqua fresca è incredibilmente rigenerante e per un attimo non percepisco niente se non l’acqua che mi punge attorno a me. Riemergo con un respiro profondo e mi accorgo che Finnick è ancora in piedi del tutto asciutto.
-oh, sentissi com’è fresca l’acqua!- dico in tono provocatorio.
-lo vedo!- ride Finnick.
-su, prova anche tu!- mi alzo lo prendo per un braccio, ma non riesco a tirarlo giù. Lottiamo per un po’ e ci schizziamo a vicenda. Alla fine finiamo in acqua entrambi con un tonfo sonoro. Continuiamo a schizzarci e l’acqua sembra più fresca ogni volta che mi tocca la pelle. Ridiamo e ci agitiamo nell’acqua fino a star male e quando proprio non ne possiamo più ci trasciniamo soddisfatti sull’erba. Mi lascio cadere col fiato corto.
-potrebbe essere così tutti i giorni della nostra vita- dice Finnick dopo alcuni secondi di silenzio.
-potrebbe- gli faccio eco. Adesso siamo stesi, in silenzio, aspettando pazientemente che il sole ci asciughi almeno un po’ capelli e vestiti fradici. E’ una sensazione straordinaria. L’erba fresca tra le dita, le gocce d’acqua che ancora mi scivolano sul corpo, la risata sommessa di Finnick che non vuole smettere di essere felice. Nemmeno io lo voglio. Sto bene adesso. Bene, anche se mi manca una delle persone più importanti della mia vita, anche se siamo bersagli facili per Capitol City. Potremmo essere uccisi anche in questo preciso momento, ma non accadrà. Mi sento sicura, adesso, qui.
Mi sollevo sui gomiti e sbircio Finnick che a occhi chiusi prende tutto il sole che può con un sorriso stampato sulle labbra. I capelli rossi sono tutti arruffati e per un momento la mia mente si fissa su quel rosso rame.
Ad un certo punto muove le labbra:
-lo so, ho sempre avuto dei bei capelli- Mi sento scema, tutto d’un colpo. Da quanto tempo lo stavo guardando? Mi alzo in piedi:
-mangiamo. Il pranzo che ci ha dato mia madre si sarà riscaldato anche troppo-
Ci sistemiamo a sedere l’uno davanti all’altra e frughiamo nella borsa per scoprirne il contenuto.
Due porzioni di riso freddo con i funghi, acqua e frutta in quantità. Mangiamo più in fretta di quanto avremmo pensato, adducendo come scusa il fatto che per un giorno intero siamo stati riempiti di flebo e zuccheri che non ci sono minimamente passati per la bocca. Intanto parliamo, parliamo senza mai zittirci. Non so come, io non sono mai stata una gran chiacchierona, ma Finnick riesce a tirarmi fuori ogni parola che mi viene in mente e così affrontiamo una miriade di argomenti. Evitiamo però di parlare delle nostre famiglie. Ad un certo punto Finnick si sporge verso di me. Il suo naso sfiora il mio e il suo braccio si appoggia dietro al mio corpo. Rimango immobile, mentre lui sussurra:
-ti piacerebbe..- Mi verrebbe da spingerlo indietro, prendere la mia roba e andarmene. Lui si ritrae fulmineo con la mia pallina di stoffa in mano. Si alza in piedi e ride: -fare due tiri?-
E’ già la seconda volta che mi fa sentire fuori luogo e imbarazzata. Nessuno l’aveva mai fatto fin’ora e questa sensazione mi da fortemente noia. Faccio una smorfia, come per fargli capire che mi sento offesa.
Mi lancia la pallina e la afferro al volo.
-dici la prima cosa che ti viene in mente e lanciami la pallina-
Sorrido: la prima cosa che mi viene in mente è “ridatemi Chays, adesso” ma non voglio dirlo.
-arancione- mi alzo e lancio la pallina.
Lui la afferra e mi manda uno sguardo interrogativo.
-il colore preferito di mio padre. Non l’arancione delle parrucche di Capitol City, ma quello del tramonto- continuo –tocca a te-
-mio padre, Finnick Odair- dice sorridendo. Continua a sorridere anche quando lancia la pallina. La prendo e rimango bloccata.
-sta a te- mi dice vedendo che io non mi muovo. Lascia andare le braccia lungo il corpo.
-ti manca, non è vero?- chiedo quasi sussurrando. Lui rimane immobile, china la testa e si passa una mano sulla faccia.
-non l’ho mai conosciuto- dice –ma mi manca come se fosse morto ieri. Vorrei averlo accanto a me, in momenti come questo, proprio qui accanto. Sentirlo che mi dice “ehi, figliolo, che fai? Ti demoralizzi per una ferita al braccio? Andiamo ce la puoi fare!” –
Lascio cadere la pallina in terra e mi avvicino di qualche passo.
-succede anche a me- rispondo –con mia zia, Primrose Everdeen-
Lui alza lo sguardo, opacizzato. Vedo la differenza e soffro per lui e con lui. Il ragazzo attraente e frizzante che fino a un momento prima faceva di tutto per farmi stare bene adesso sta male, più di me.
Improvvisamente penso che forse è per questo motivo che voleva uscire, per parlare. Per sfogarsi e capire perché sta succedendo di nuovo quello che è successo a suo padre. Ha pensato a tutto questo e l’ha fatto perché ha visto che sto male per Peeta e Chays. Mi ha portato qui, sicuro che sarei stata bene, scherza con me, gioca, ride. Tutto per farmi stare meglio, e io che non me ne sono accorta. Non ho visto nemmeno la sua sofferenza, grande tanto quanto la mia, non ho considerato che sarebbe toccato a me, adesso, sostenerlo. Mi ha salvato la vita, sull’Overcraft, e io l’ho semplicemente ignorato.
Mi avvicino ancora e cerco le parole ma non mi viene in mente niente.
-Finnick, mi dispiace-
Lui scuote la testa e lento mi abbraccia. Rimango per un istante ferma, non sono abituata a certe cose. Succede solo con mio padre e mia madre. Dopo qualche secondo ricambio leggermente l’abbraccio.
-voglio che mio padre sia fiero di me- dice staccandosi.
-lo è. E dopo la parata lo sarà ancora di più- dico. Mi volto veloce e comincio a raccattare i resti del nostro pranzo. E’ pomeriggio inoltrato.
-tra poco mio padre arriverà all’appartamento e voglio essere lì- dico, mettendomi la borsa sulla spalla. Finnick raccoglie la pallina e me la lancia: -allora muoviamoci, non farlo aspettare-

NOTA dell'autore: Vorrei ringraziare con tutto il cuore coloro che hanno deciso di seguire la mia storia. Soprattutto i fan della pagina facebook "Che i giochi abbiano inizio" che mi hanno sempre supportata, anche nelle difficoltà (piccole) incontrate fin ora. Questo capitolo è dedicato a loro. Grazie a tutti !

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Quando rientriamo siamo ancora umidicci e i vestiti non si sono asciutti del tutto. Prendiamo l’ascensore e mentre saliamo Finnick mi informa delle disposizioni degli altri: Gale e Robby abitano all’ottavo piano, la Paylor e Haymitch hanno intenzione di stabilirsi con noi. Finnick scende al sesto. Io salgo ancora e mi fermo al nostro appartamento al decimo.
Mi guardo intorno e non scorgo né mia madre né la Paylor. Ne approfitto per correre in camera mia e darmi una sistemata. Faccio una doccia brevissima, mi lavo via l’erba dai capelli e mi asciugo il tutto con un asciugamano, tanto lungo che non credo di averne mai visti. Mentre mi rivesto bussano alla porta.
Mio padre fa capolino dall’uscio.
Rimango così, in mutande e maglietta e lascio cadere i pantaloni a terra. E’ in piedi, sta bene. In meno di due giorni si è completamente rimesso. Le cure degli ospedali del Distretto Madre devono essere miracolose. Pronuncio la parola “papà” senza emettere alcun suono e corro a gettargli le braccia al collo. Non mi importa se adesso sembro una bambina piccola, non mi importa quello che pensa la Paylor che scorgo da dietro le spalle di Peeta. Anzi, se non fossi così fortemente abbracciata a lui mi metterei a saltellare dalla gioia. E’ finalmente una nota positiva che riporta la nostra famiglia ad un’apparente serenità.
-ehi.. ehi attenta- dice mio padre ridendo. Mi divincolo piano dall’abbraccio e mi accorgo della fasciatura che gli lega la vita.
-oh, scusa- dico sorridendo. Rimaniamo lì per qualche altro attimo, crogiolandoci all’idea che pian piano forse le cose stanno tornando alla normalità. Manca solo Chays, adesso. Chays che si unisce al nostro abbraccio e che non ci lascia più, che è talmente entusiasta del ritorno di nostro padre sano e salvo che trasmetterebbe gioia anche alla persona più disperata di questo mondo. Guardo mio padre negli occhi, e penso che lui adesso è qui. Questo cambia tutto. Con lui adesso possiamo trovare almeno un po’ di forza per sfilare alla parata e conseguire il primo scopo.
E’ esattamente quello che dice la Paylor, durante la cena.
Il tavolo è stracolmo di ogni tipo di leccornia, dalla carne speziata alla frutta di ogni stagione, dal pesce in salsa rosa alle verdure ricoperte di qualunque condimento immaginabile. C’era da aspettarselo: il Distretto Madre non ha voluto perdere del tutto le vecchie abitudini culinarie di Capitol City.
-adesso che anche Peeta è fra noi, possiamo mettere le basi per i prossimi giorni-
Mi si blocca lo stomaco a sentir parlare della Parata della Memoria, che, anche se è l’unica fonte di salvezza, al momento mi provoca un profondo senso di repulsione. Sia io che mia madre posiamo immediatamente la forchetta.
-domani arriverà il vostro stuff di preparatori, compresi stilisti e disegnatori. Quindi, alle 9 sarà servita la colazione, alle 9:30 inizierete la preparazione-
-sappiamo già come funziona- dice mia madre.
-non tutti- replica la Paylor, guardandomi –e comunque sia, ascolterete di nuovo. Non tutto è rimasto come ai tempi di Snow-
E’ la prima volta che sento dire alla Paylor che qualcosa è cambiato. Mi è sempre sembrato che fosse stata la prima a voler mantenere intatto ogni aspetto di Capitol City. Quindi continua con un lungo discorso che mi fa venire voglia di alzarmi e andare a letto. Ci saranno quattro giorni di preparazione: durante primo giorno siamo tutti e tre separati e ad ognuno di noi è affidato uno stilista. Ci esamina da capo a piedi, ci studia in ogni particolare e comincia ad esporre cosa dobbiamo fare per far colpo sulla gente. Per il secondo ed il terzo giorno è prevista una lunga lista di lezioni, che vanno dal saper camminare su tacchi alti centimetri e centimetri, al portamento che si deve avere durante ogni momento della parata. Infine, l’ultimo giorno è interamente dedicato alla preparazione orale: ognuno di noi esporrà un discorso già scritto e preparato per far colpo sul popolo di Panem e la nostra dizione deve essere disgustosamente perfetta. La mia avversione per tutto questo cresce esponenzialmente ad ogni parola che la Paylor pronuncia. Perfino mio padre si adombra.
-come facciamo senza Chays?- chiedo io, alla fine del discorso.
-non cambia poi molto. Semplicemente sarai da sola sul carro che ti condurrà attraverso la città. Dietro di te i tuoi genitori e dietro ancora i figli dei vincitori e i vincitori stessi di tutti gli altri distretti.-
-non cambia? Forse a lei non cambia niente, ma a me cambia tutto!- scoppio esasperata.
-Rue..- prova a calmarmi mio padre.
-no- sposto leggermente in dietro la sedia con un colpo secco –scommetto che non le è mai capitato di passare giornate intere a logorarsi perché qualcuno che ama è stato rapito da Capitol City. E si suppone che ci sia qualcuno disposto ad aiutarci in momenti come questo, che ci dica che tornerà tutto come prima. O anche se così non fosse, quel qualcuno dovrebbe almeno capirci e stare in silenzio. Invece no..- mi alzo in piedi –deve divertirsi davvero tanto a manovrare le nostre vite e farci fare quello che le sembra più comodo, senza curarsi di come stiamo noi. Non se ne accorge? Sta per scoppiare un’altra guerra e questa volta la “ragazza in fiamme” non è più una ragazza e io.. non sono in grado di prendere il suo posto. Non senza mio fratello, per quanto a lei possa sembrare inutile!- scappo furibonda nella mia stanza e mi sbatto la porta alle spalle. Mi butto sul letto e piango le lacrime che non avevo ancora trovato il tempo di versare.
Affondo la testa nel cuscino per non sentire le voci dei miei e della Paylor che litigano, fanno pace e poi litigano di nuovo. Mi premo il cuscino contro le orecchie e continuo a bagnarlo di lacrime.
Lacrime di rabbia.
Rabbia per il fatto che mio padre ha rischiato di morire ancora una volta, che Chays è nelle mani della Capitale, che la Paylor si disinteressa di tutto ciò che esce dalle nostre bocche.
E se mi rifiutassi? Se mi opponessi a questa sfilata? No, opporsi non risolverà la situazione, ma rifiutarsi sì.
Non farò quella parata, non darò questa soddisfazione alla Paylor e al suo governo, risolverò le cose a modo mio. Se i miei genitori vorranno aiutarmi farò molto prima, altrimenti me la sbrigherò da sola. O con l’aiuto di Finnick. Anche lui soffre per la mancanza di suo padre e non vuole trascinare di nuovo Annie in guerra.
Troverò il modo di riportare qui Chays. Dove lo tengono? Al Distretto 13? Bene, è la che andrò. Mi alzo di scatto e cambio postazione, mi siedo sul davanzale della grande finestra.
Mi asciugo in fretta le lacrime e respiro a fondo un paio di volte per calmarmi.
Ho preso la mia decisione, andrò a riprendere Chays con le mie mani. Fisso là fuori. Il prato dove siamo stati oggi con Finnick e il fiume sono illuminati dalla lieve luce della luna. Ho bisogno di lui.
Del suo aiuto. È l’unico che può darmelo davvero. Se lui accetterà troveremo il modo di raggiungere il 13 insieme. Inoltre partendo per l’ultimo Distretto alla ricerca di mio fratello manterrò la mia famiglia al sicuro, sia che venga con me, sia che rimanga qui. Punteranno sull’annientare me, loro non c’entrano più nulla.
Proprio quando mi sento assolutamente risoluta nel mio piano mio padre e mia madre entrano in camera mia e richiudono la porta.
Mio padre si siede in silenzio di fronte a me e mia madre accanto.
Li lascio fare, il tempo per piangermi addosso e prendere una decisione l’ho avuto.
Mi aspetto una ramanzina coi fiocchi, e sentirmi dire che non avrei dovuto compromettere il rapporto che c’è tra me e la Paylor.
-ottimo lavoro- dice invece mia madre, lasciandomi stupefatta. Rimango in silenzio e continuo a guardare fuori dalla finestra.
-non parteciperò alla parata- dico quasi sussurrando. È come se lo facessi apposta, far cambiare sempre idea ai miei.
-questo è un po’ meno buono- dice mio padre.
-Rue, è l’unico modo per farti conoscere- gli fa eco mia madre.
Scuoto la testa:
-non darò questa soddisfazione né a lei né al suo governo di ipocriti- affermo riferendomi alla presidente.
-non si tratta di questo-
- e di cosa allora?- chiedo voltandomi a guardarli. –ci stanno usando come più gli pare e piace. Io voglio solo riprendermi mio fratello. -
-anche noi rivogliamo indietro Chays, ma agiremo dopo la Parata della Memoria- risponde Peeta.
-dopo sarà troppo tardi, dobbiamo agire subito. E se voi non mi aiuterete non importa- replico seccata.
-cos’hai in mente?- chiede Katniss.
Non rispondo. Sa perfettamente cosa ho in mente. Implicitamente gli ho rivelato il piano che mi ero fatta qualche minuto prima.
-ci andremo- dice mio padre.
-Peeta, no..- lo interrompe mia madre.
-sì- lui la guarda immobile. È straordinario come lo sguardo di mio padre serva più di mille parole.
Mi guarda allo stesso modo.
-lo faremo, Rue. Non lascerò Chays nelle mani di Capito City. Ma dopo la parata-
Sono quasi convinta, non so esattamente come ci sia riuscito. Tutta la sicurezza di qualche momento fa svanisce.
-sfilerò solo se mi dite quale utilità può avere una cosa del genere. Perché secondo me non ne ha-
-certo, sembra anche a me- annuisce mio padre –eppure riflettendoci mi convinco che i Distretti hanno un immenso bisogno di avere un nuovo punto di riferimento. Durante l’ultima guerra a Capitol lo sono stati tua madre, Finnick e Gale. Adesso potete esserlo tu, il figlio di Annie e i figli degli altri vincitori, se solo vi lasciate aiutare-
Ha sempre avuto ragione mia madre a dire che Peeta con le sue parole smuoverebbe anche una pietra.
In questo momento mi sento come quella pietra, che è appena stata mossa.
-sei come me, Rue- mi dice mia madre stringendomi un braccio intorno alle spalle –lo sei sempre stata. Se fossi stata in te, anch’io mi sarei rifiutata di partecipare alla parata e avrei deciso di riprendermi mia sorella- Pensa a Prim e allenta la stretta.
-facciamo questa cosa- dico, tornando a guardare fuori. –ma facciamola in fretta-
Sento la mano di mia madre che mi accarezza i capelli.
 
La notte dormiamo tutti e tre nel mio letto. Ho paura. Non so cosa potrebbe accadere nei prossimi giorni, non so se Capitol City lascerà che la Parata della Memoria abbia luogo. Il suo intento fin dall’inizio era quello di annientare me e mio fratello, insieme a Finnick, per evitare che ci mostrassimo a tutta Panem. Forse dormono sonni tranquilli nella speranza che almeno io abbia rinunciato a sfilare, troppo distrutta dal rapimento di mio fratello. Se solo avessi la certezza che Chays è morto, prenderei le armi e mi lancerei in guerra. Non avrei poi molto da perdere. Ma finchè rimango nel dubbio devo lottare per lui. Mi accuccio sotto le coperte e mi stringo a mio padre che mi abbraccia lentamente, mentre continuo a sentire mia madre che mi accarezza i capelli. Ho creduto di potercela fare senza di loro, e sarebbe stato così, se non mi fossi lasciata persuadere dalle parole di mio padre. Se avessi preso coraggio e fossi andata da Finnick ad esporre il mio piano. Ma con un minimo di sollievo mi rendo conto che gliene dovrò parlare lo stesso. Anche lui parteciperà alla Parata della Memoria e non credo che permetterà che io agisca da sola.
Il mio futuro dipende dai prossimi giorni e potrebbe non andare oltre: apparire davanti a Panem e riportare mio fratello indietro. Dopo di che saranno la Paylor e il suo seguito a doversela vedere con quel che è rimasto di Capitol City.
 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Il risveglio la mattina successiva è stranamente calmo e silenzioso. Mia madre e mio padre non sono più nella mia stanza, il che mi fa presumere che sia arrivata ora di alzarmi e prepararmi per la colazione. Quando mi presento in sala da pranzo sono già tutti a tavola.
-ti stavamo aspettando, dolcezza- annuncia Haymitch prendendo la marmellata e spalmandola su una fetta di pane che non regge in mano. E’ tristemente invecchiato, i capelli sono praticamente grigi e nonostante tutto continua ad allungare il suo caffè con qualche liquore strano.
Mi siedo scrutando le facce intorno a me. Sono tutte chine sui piatti pieni di cibo, quasi totalmente intaccato. Senza dire niente riempio la mia tazza col latte e comincio a bere, sperando che tutto questo silenzio sia dovuto dalla mancanza di voglia per la preparazione alla parata. Prendo in mano una fetta di pane e guardo gli altri. Continuano a non fiatare, nessuno dice una parola.
-perchè avete tutti questi musi lunghi?- chiedo cominciando a spalmare della crema di nocciola sul pane.
Nessuno risponde. Sono già di umore irritabile di mio, la situazione di questi giorni mi ha innervosita molto di più e adesso sembra che stiano facendo tutti del loro meglio per farmi scattare infuriata.
Aspetto qualche altro secondo, ma niente.
Batto con forza il coltello sul tavolo di vetro che vibra violentemente e provoca la reazione della Paylor:
-datti una calmata, Mellark. O il posto migliore in cui potrai rimanere per i prossimi quattro giorni sarà la tua stanza-  non mi guarda ancora negli occhi.
-non aspetto altro- dico a denti stretti, consapevole che la Paylor sa che chiudendomi in camera mi farebbe solo un favore.
-allora puoi andare- dice senza alzare la voce. Sembra abbattuta. Divento sospettosa.
-cosa sta succedendo?- chiedo mollando il coltello che tintinna sul tavolo da un’estremità all’altra.
-Rue, non..- è il tentativo di Haymitch.
-ditemi cosa diavolo succede- continuo al massimo dell’irascibilità. Tutte le idee più disastrose mi assalgono la mente come un esercito: mio fratello è morto, Capitol ha di nuovo intenzione di attaccarci, o l’ha già fatto, oppure.. no. Non voglio nemmeno pensarci, perché questa opzione non potrebbe mai accadere.
Jymith. Il mio distretto.
-hanno attaccato il Distretto 12- dice mia madre, notando che nessun altro è capace di aprire bocca. Mio padre è immobile e fissa dritto davanti a se un punto indefinito.
Mi si serra la gola e faccio fatica a deglutire. Non c’avevo pensato. Alle conseguenze che la nostra spietata difesa sull’Overcraft potessero avere sul distretto. Rimango ammutolita, il respiro mi s’è bloccato a metà.
Penso a Jymith e alla sua famiglia, penso al bombardamento che ci fu prima della grande guerra contro Capitol e capisco che potrebbe benissimo essere successa la stessa cosa. Nessuno si sarà salvato, se il distretto è stato bombardato come venticinque anni fa.
-Cosa..- non riesco nemmeno a parlare –cosa ne è rimasto?-
-poco o niente- risponde la Paylor –è stato bombardato da cima a fondo. Abbiamo osato sfidare Capitol City, di nuovo, e queste sono le conseguenze-
Distrutto il Distretto 12.
-sopravvissuti?- chiedo, mentre sento il magone che mi sale in gola.
-una o due centinaia. Sono stati soccorsi e messi al sicuro dal Distretto 2. Sappiamo solo che hanno lasciato intatto l’ex Villaggio dei Vincitori-
-casa nostra è ancora in piedi- dice mio padre.
A che scopo? Mi chiedo. Ma non è questo quello che importa. Devo avere notizie di Jymith e della sua famiglia, devo sapere che tutti quelli che conoscevo a casa sono sopravvissuti. No, la maggior parte è sicuramente morta durante l’attacco. Perché? Che fine hanno fatto gli Overcraft alleati che dovevano proteggere il distretto secondo il patto di comune alleanza che avevamo stretto venticinque anni fa? Non voglio nemmeno pensare che ci abbiano abbandonati, meglio che siano stati attaccati e distrutti.
Poi mi viene in mente che noi non siamo l’unico distretto che avrebbe partecipato alla parata.
-che ne né degli altri distretti? Non può essere stato attaccato solo il 12- chiedo.
-sono stati attaccati anche il 4 e l’8- risponde mia madre –per zittire la presidente e la famiglia Odair. Erano gli unici presenti con noi sull’Overcraft, quando siamo stati attaccati-
-ma non è possibile che gli altri distretti non siano stati attaccati, né durante il viaggio fin qui, né adesso-
Sentenzia mio padre, dando voce ai miei dubbi.
-gli altri non hanno la disgrazia di ritrovarsi i sottoscritti- dico alzandomi e andando in camera mia. Faccio presto a prendere la pallina di stoffa rotolata sul pavimento la sera prima e a stringerla, perché è l’unica cosa che mi può trasmettere un minimo di conforto. Non voglio piangere, perché non è ancora detta l’ultima parola. Ma quello che mi spaventa di più è il fatto che Capitol City sia rinata, con l’alleanza del Distretto 13 e stia minacciando di nuovo Panem di tornare al potere. La parata. Adesso la parata è il culmine della situazione: o otterremo il successo, oppure sprofonderemo insieme a quel governo che la Paylor ha creato. Penso.
Ragiono.
Rifletto.
Ricordo.. Ricordo!
Sto ricordando! Tutto quello che è successo fin ora è chiaramente stampato nella mia mente, dal giorno in cui la Paylor ha messo piede in casa nostra, fino a questo tragico momento. Mi gira la testa.
Devo mettermi a sedere sul letto e stringere la coperta.
Mi sta tornando in mente tutto.
Improvvisamente mi ritrovo su un lettino. Riesco a sentire l’odore, sa di ospedale. Mi accorgo che una donna alta, dai capelli rossi è sopra di me e sussurra le stesse parole da qualche minuto. Pian piano le afferro:
-piccola, è tutto finito. Adesso sei al sicuro, sei qui nella clinica del Distretto 12 e c’è tutta la tua famiglia- è la dottoressa Mel che mi sta parlando. Piccola. Sono piccola, ho sei anni. Ho appena subito lo shock mentale e sono ricoverata nella clinica del mio distretto. Mia madre sta parlando con la presidente. No, sta litigando. Non alza la voce per paura di darmi noia, ma la vedo smanettare e mio padre la sostiene.
Poi sono di nuovo nella mia stanza nel palazzo del Distretto 0. Apro gli occhi. Senza accorgermene li avevo stretti tanto forte da far male e adesso abituarmi alla luce richiede qualche secondo. Ho stretto la coperta fra le mani troppo violentemente e l’ho tirata tutta verso di me.
-mamma- dico con voce più alta che posso, tenendo la testa china sul pavimento.
-papà- alzo ancora il tono, quando mi rendo conto che ricordo tutto e che non ho più bisogno del richiamo mentale.
Sto per chiamare di nuovo, ma mio padre spalanca la porta e si inginocchia davanti a me.
-che succede?-
- la memoria-
Mi alza il volto con un dito e scorgo la sua faccia allarmata.
-non ricordi? Se n’è andata di nuovo, Rue?- è pallido. Quasi come se quello che pensa mi sia successo fosse più grave dell’attacco al 12. Scuoto la testa in segno negativo, ma impiego un po’ prima di rispondere. Devo riordinare le idee e i mille ricordi che ora mi perforano drasticamente la testa.
-Peeta- è la voce di mia madre che è appena entrata in camera.
-cos’ha fatto, che ti è successo Rue? Sei stanca, se non ricordi devi riposare- mi prende per un braccio e mi costringe a stendermi. Mi divincolo e mi alzo in piedi.
-no- guardo fissa i miei genitori. Di colpo sono di nuovo ragazzi. Di colpo sono di nuovo gli innamorati sventurati del  Distretto 12. Ricordo tutto di loro. Ogni momento passato insieme mi sale alla mente come un fiume di immagini straripato da una diga che non poteva più contenerlo.
-ricordo tutto- dico e aspetto.
-non è possibile- Haymitch ha fatto in tempo ad entrare e sentire la mia ultima frase. È la persona con la faccia più sorpresa che possa conoscere.
Mio padre sorride.
Mi lascio andare ad un sorriso anch’io, anzi comincio a ridacchiare.
-ho in mente ogni momento passato con voi. Ricordo tutto del nostro distretto, le persone che conosco, quelle che ho solo incontrato. Ricordo.. ricordo Jymith, la prima volta che venne al forno e tu papà le regalasti una pagnotta chiara come i suoi capelli. Me lo dicesti te, non appena lei era uscita- sono in preda ai ricordi, non posso fermarmi. Non voglio.
-e mamma. So di quando mi portasti via dalla clinica del 12 e mi facesti fare il bagno nel fiume che porta al..- sto per dire “al lago” ma mi fermo.
Perché mia madre mi aveva detto che quel posto mio padre non lo conosceva- mi infilasti pian piano nell’acqua e mi insegnasti a nuotare. La dottoressa aveva detto di non farlo, non finchè non mi sarei ripresa dallo shock, invece mi hai fatto sentire me stessa- Mia madre sorride. Guardo Haymitch e la presidente sulla porta e richiamo con loro alcuni momenti che sembravano spacciati, persi in una memoria che non ho mai avuto. Mio padre mi abbraccia forte e continua a ripetere che si sente felice, nonostante tutto.
-Rue- mia madre mi stringe a se e io ricambio l’abbraccio con decisione, perché adesso sono io. Sono io per la prima volta nella mia vita. Ricordo tutto quello che ho passato. Non posso sentirmi felice, senza Chays accanto e con un distretto, il mio distretto, raso al suolo dalle bombe del 13 e di Capitol City.
Improvvisamente sento che possiamo farcela. Che possiamo riportare le cose com’erano prima di questo strano risveglio della Capitale.
Finnick.
Ieri, al fiume, nel prato, lui mi ha aiutata. Stringo la pallina che ho ancora nella mano destra.
-Finnick- sussurro e mi lancio fuori dalla porta. La Paylor prova ad impedirmi di uscire, ma la sposto con un braccio come se fosse stata una bambola di pezza.
-non posso- le dico sorridendo – e lei non può impedirmi il mio momento di serenità-
Mi lancio verso l’ascensore e senza pensarci un secondo premo il pulsante 6.
Non ho mio fratello, non ho più un distretto, ma posso riottenerli. Con mio padre, mia madre, con Finnick ed Annie. Anche loro hanno perso tutto, mi capiranno. E devo rendere partecipe Finnick della mia convinzione, del fatto che mi è tornata la memoria. Devo dirgli che possiamo farcela, lui ne sarà felice.
Mi preparo le parole mentre scendo, ma mi dimentico ogni discorso organizzato quando la porta dell’ascensore si apre sull’appartamento Odair.
Vedo Annie, seduta sul grande divano bianco, mentre fissa il vuoto. Finnick in piedi che parla a testa bassa con una donna.
-Finnick!- esclamo e corro verso di lui. Poi riconosco la donna. Mi blocco. Indietreggio di qualche passo.
Finnick mi guarda con uno sguardo disperato e sulle sue labbra leggo la parola “aiuto”.
Sudo freddo. Un incubo, questo dovrebbe essere solo un incubo. Lo vorrei anch’io l’aiuto, nel momento esatto in cui la donna di gira e mi guarda sorridendo.
I suoi capelli grigi sono talmente perfetti che non ho più dubbi. Logora, lacerata dal tempo, piena di rughe. Ma la Coin è lì, e mi sta fissando.
 
 
 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Sento che potrei cedere o mettermi ad urlare. Invece rimango immobile con gli occhi spalancati e lo stupore dipinto in faccia. L’impulso è incredibilmente forte: tornare all’ascensore che ho alle spalle, premere il numero 10 e avvertire l’intero appartamento che la cosa più assurda che ci saremmo mai immaginati è successa. Ma non posso, non dopo che Finnick mi ha chiesto aiuto così furtivamente. Lo sguardo della Coin mi ha intrappolato in una rete di ricordi che non voglio riportare alla mente.
Buffo. Qualche minuto prima avrei fatto di tutto per ricordare. Adesso voglio soltanto realizzare che mi trovo davanti ad un fantasma inesistente e dimenticare quello che so di lei, ovviamente grazie alle repliche tv. Ma lo sguardo di Finnick mi costringe a rimanere.
Aiuto. Mi ha chiesto aiuto. Cosa ha fatto agli Odair una donna che dovrebbe essere morta? Non è certo venuta a tranquillizzarci.
-Finnick, illuminami- dice la Coin facendo sparire il sorriso che si era stampata in faccia vedendomi.
-anzi no. E’ facile, è uguale a sua madre- continua. Già. Quella che avrebbe dovuto essere la sua assassina. Dove ha sbagliato Katniss? Non ha sbagliato. La Coin era caduta morta dal balcone di Snow, colpita da una freccia di mia madre. Non può essere lei.
-sarei venuta anche da te, Mellark, ma vedo con piacere che mi hai anticipata. Nome?-
-Rue- dico spaesata. Le ho addirittura risposto. Tutto questo sta diventando fin troppo surreale.
-Rue Mellark. La figlia degli eroi di Panem- mi guarda sprezzante –o dei traditori-
Era ovvio che l’avrebbe fatto, che avrebbe toccato quel tasto. Il gesto l’ha fatto mia madre e adesso io devo pagare. Io e Finnick. Lui che c’entra?
-lei non dovrebbe essere qui- dico. Non so come mi siano uscite dalla bocca quelle parole. Non posso fare niente contro di lei, non posso contrastarla. Per il semplice fatto che lei non dovrebbe esistere.
-su questo siamo d’accordo. Dovrei essere al posto della Paylor. Ah, no. Forse tu intendi che dovrei essere morta. Sì, hai ragione, dovrei. Sai, ripenso molto al gesto di tua madre e ogni volta che vedo la cicatrice che mi ha lasciato capisco che non sarebbe dovuta finire così- si tocca il petto e vi da un colpetto.
-ma sediamoci, è scomodo stare in piedi, non è vero?-
Nessuno di noi risponde. La Coin si siede tranquillamente sul divano di pelle dalla parte opposta di Annie, che immobile fissa il tavolo in mezzo. Non so se ha capito la situazione, ma a dire il vero non l’ho capita nemmeno io. Guardo Finnick e lui ricambia lo sguardo con tutta la preoccupazione che sente dentro. Mi sento crescere il terrore, ma devo indubbiamente cercare di dominarlo. Finnick mi tende piano una mano. Cerca di aiutarmi anche adesso. Anche ora che l’aiuto me l’ha chiesto lui. Mi avvicino e gli poso una mano sulla spalla mentre ci sediamo al centro del divano.
-allora- inizia la Coin, assolutamente seria –ve la siete cavata bene per venticinque anni senza di me, giusto?-
Silenzio.
-e scommetto che mi conoscete talmente bene da tutte quelle baggianate che vi mandano in televisione, che è inutile dirvi chi sono-
-gliel’avrebbero già chiesto, se avessero voluto- è la voce di Annie che sembra una statua da quanto è immobile. Chi meglio di lei può sapere chi è la Coin?
L’ex presidente annuisce.
-allora saprete anche perché sono qui-
-è lei che ha mandato gli Overcraft mentre eravamo in viaggio- dice Finnick.
-non esattamente. Io ero già qui. Ho seguito attentamente come vi siete difesi e ammetto che è stato uno spreco di uomini per aver ottenuto solo un ragazzino- Scatto dritta. Mi guarda e capisce che la mia rabbia sta montando. Ma è così mista a tristezza che non so come reagire.
-io volevo voi due-
Questo conferma terribilmente ciò che avevo supposto da sola in questi giorni: io e Finnick siamo più pericolosi di qualunque arma che i Distretti possano puntare contro Capitol 13. È così che ho ribattezzato la nuova alleanza, nella mia mente. Non capisco il motivo, però. Perché siamo così pericolosi? La gente smania davvero così tanto pur di vederci vivi?
-dov’è Chays?- chiedo immediatamente. Mi basta una risposta e per me questa guerra assumerà tutto l’aspetto di una giustizia privata.
-sta bene- dice secca la Coin, senza scomporsi. Non mi fido, ovviamente. Anche da morto uno sta bene. È in pace all’altro mondo.
-quindi lei è venuta a portarci via?- chiede Finnick. È serio, composto. Ha paura come me, ma non lo da affatto a vedere.
-ti facevo più perspicace, Odair- dice lei –non mi servite adesso. Che vantaggio ne trarrei? Sparireste sotto il naso di un’intera nazione che ormai vi ha visto tra le strade del Distretto Madre e che vi aspetta trionfanti su un carro della vittoria. No, non mi conviene-
-decisamente- mi limito a dire.
-comincio a pensare che sia stato un bene aver racimolato almeno il ragazzo, da quell’Overcraft. Sai, Rue. Potresti essere la nuova ragazza in fiamme, la Ghiandaia Imitatrice. Potresti scatenare la guerra che tua madre non fu in grado di tenere sotto controllo. Del tè?- chiede, come se fossimo noi gli estranei in quell’appartamento. Solleva una brocca e ce la mostra.
-no, grazie- rispondo. Finnick tace.
-ma non lo sarai- conclude la Coin. Netta, sicura. Dritta al punto. Non sarò come mia madre, oppure? So qual è la risposta. Lei ha tra le mani la vita di mio fratello. È solo allora che ho la certezza che non sia morto.
-e tu non l’aiuterai- punta il cucchiaino verso Finnick e gira lo zucchero nel tè.
-vedete, quello che è successo venticinque anni fa non doveva succedere. Il coma in cui sono stata per vent’anni mi ha catapultata in una società che viaggia senza di me. Ma potrebbe andare molto meglio, con il mio aiuto, non credete?-
No. No che non ci credo.
-la sua alleanza con Capitol City serve a questo- dice Finnick.
-mi serve, sì. L’ho capito troppo tardi. Il valore che aveva la società costruita da Snow-
E’ lei. E’ Snow al femminile. Mi sbagliavo del tutto sul conto della Paylor. Adesso che ho davanti questa donna mi rendo conto di quanto lei sia un angelo a confronto.
-tutto quanto- continua –aveva uno scopo e funzionava bene, compresi gli Hunger Games, prima dell’arrivo dei vostri amati genitori. –
Ricordo che fu anche per questo che mia madre decise di togliere la Coin dalla circolazione. Quei Giochi dovevano cessare e invece lei aveva proposto di indire un’ultima edizione con i figli di Capitol City. Adesso che è loro alleata.. i Giochi probabilmente si terranno di nuovo e non saranno certo i figli degli alleati a finirci dentro. Ma non accadrà. Perché dobbiamo trovare il modo di zittire la Coin.
-se voi vi mostrerete a quella parata la guerra si riaprirà, e voi non ne vorrete essere i responsabili, mi auguro-
-certamente no- dico, mascherando la rabbia.
-non possiamo rinunciare alla Parata della Memoria- obbietta Finnick. Ha ragione, non possiamo. È l’unico modo concreto che abbiamo per buttar giù quel che resta di quel dominio odioso.
-infatti parteciperete. Dovete solo fare una cosa semplice: fallire-
Fallire. Ovvio.
Mostriamoci deboli, impreparati. L’opposto dei nostri genitori. Addirittura nemici dei distretti, chiamati alla parata contro voglia. E tutta Panem ci odierà. Fatto quello saranno la Coin e la Paylor a vedersela faccia a faccia. Noi saremo lasciati in pace insieme alle nostre famiglie e Chays tornerà.
La Coin si sfila dalla giacca un pacchetto di fogli e ce lo sventola sotto il naso.
-buttate via i discorsi che vi prepareranno e recitate questi- lancia il mazzo sul tavolo. Raccolgo un foglio e lo porgo a Finnick, l’altro lo tengo e lo apro lentamente. Le scritte riempiono la carta di giuri e spergiuri verso Capitol e Panem. E’ tutto l’opposto di ciò che dovremmo dire realmente.
-siate convincenti e nessuno si farà male-
Se non ci riusciremo Chays morirà e la guerra esploderà. Se faremo come dice la Coin, Panem ricomincerà a vivere i tempi bui di Snow, in cui il grande divertimento era rappresentato dagli Hunger Games, che torneranno se la Coin salirà al potere. La sorte di Panem dipende da una ragazza che ha appena riacquistato la memoria e da un ragazzo che non si sente all’altezza delle azioni del padre.
L’ex presidente si alza in piedi e dice:
-ah, dimenticavo. Non oserete farne parola. Tantomeno tu, dolce Annie- Finnick le prende immediatamente una mano e la stringe forte.
Si avvia verso l’ascensore e prima di scomparire annuncia: -bello il giardino sul fiume, non è vero ragazzi?-
Ci ha sempre osservati. Ha sempre controllato ogni mossa, ogni gesto. Ci ha studiati e ha letto in noi una pericolosa alleanza che può distruggere la sua ascesa al potere.
Se n’è andata insieme alle sue minacce, ma l’ardore di ciò che ha chiesto aleggia pesante nell’aria. Siamo tesi come coltelli.
Finnick prende Annie e la conduce verso il corridoio oltre la sala da pranzo.
-non andar via, se puoi- mi dice con aria sconvolta.
Io annuisco e rimango immobile sul divano. Ho bisogno delle braccia forti e rassicuranti di mio padre. Ho bisogno di sentirmi dire che domani torneremo a casa e che tutto sarà come lo abbiamo lasciato, ma non accadrà. È impossibile. E poi non posso parlare di questa faccenda assurda con nessuno.
Quando Finnick torna, dopo qualche minuto, mi prendo la faccia tra le mani e comincio a tremare.
Tremo così forte che mi si tronca ogni parola sulle labbra e non escono nemmeno le lacrime.
Finnick si siede accanto a me e raccoglie la pallina di stoffa caduta per terra. Non ricordavo nemmeno più di essermela portata dietro.
-ci chiedono di fallire- dico, senza smettere di tremare con la faccia tra le mani. Finnick me le prende piano e ci mette dentro la pallina. Richiude le mie dita su di essa e mi guarda.
Mi sorride.
Mi piace quando mi sorride, mi da sicurezza anche quando non ce l’ha nemmeno lui. Mi illumina. In quel momento, tutto è possibile.
-lo faremo?- chiedo stringendo la pallina. Lui chiude le sue mani sulle mie.
-sì- annuisce –per tuo fratello-
-ma gli Hunger Games.. torneranno e nessuno sarà più al sicuro. Nemmeno noi-
Lui ride sommessamente con cupa ironia –quando mai lo siamo stati?-
Stringe le mie mani ancora e mi costringe a guardarlo negli occhi azzurri. Restiamo lì. Senza dirci nulla, non importa. Siamo alleati, adesso. Insieme anche nell’organizzato fallimento.
Lui, adesso, qui. Mi dice che troveremo un modo. Faccio per aprire bocca, ma mi zittisce con un silenzioso “shh” e allora ci rinuncio. Comincio a sperare, l’unica cosa che adesso è possibile fare.
 

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Mezzora dopo sto attraversando il corridoio a pian terreno che aveva attirato la mia attenzione quando siamo arrivati. La porta si è chiusa alle mie spalle e una donna vestita di bianco mi accompagna attraverso il corridoio. Gale, la Paylor e Robby sono rimasti fuori. I miei genitori sono stati mandati dentro una delle prime stanze, Annie è stata lasciata nella stanza numero 10 e Finnick è davanti a me che cammina in silenzio sotto la spinta della sua accompagnatrice. Questo corridoio ha l’aspetto contrario dell’enorme ingresso e delle nostre stanze: pareti di metallo, porte di ferro chiodate e un silenzio pesante, quasi come se fossimo in un bunker. I neon sono pochi e molto distanziati tra loro e la lieve luce che emanano si riflette opaca sul ferro, creando un’atmosfera chiusa e soffocante. La donna che mi accompagna mi da un colpetto sul braccio destro: -qui dentro- e spinge una porta con scritto “16”. Prima di entrare scorgo Finnick che sta per oltrepassare la porta 18.
Quando sono dentro la porta si chiude con un colpo metallico e per un attimo rimango al buio completo. Poi si accende una luce gialla che illumina una stanza arancione, con un lettino al centro e una parete di specchi in fondo. Un uomo vestito di un elegante completo blu e scarpe di vernice nera fa il suo ingresso da una porta alla mia sinistra. Ha un aspetto estremamente sofisticato, ma non eccessivo e il suo portamento rende tutto quel lusso quasi piacevole.
Mi tende una mano –sono Aldous, il tuo stilista- dice senza tanti preamboli.
Ricambio la stretta –Rue Mellark. Credo che avrai da fare un po’ di lavoro- dico lanciandomi un’occhiata ai vestiti.
-meglio così. Non sarebbe divertente, altrimenti- abbozza quello che prendo per un sorriso –cambiamo stanza. Questo lettino a te non serve-
Lo seguo al di là della porta da cui era entrato. Non è espansivo. È diretto. Io non ho voglia di parlare e lui non farà niente per costringermi, bene così.
Dall’altra parte c’è una stanza molto più grande, piena di gente. Donne dai lunghi capelli biondi, mori e rossi si affaccendano tra un grande armadio e l’altro, altre stanno preparando la mia futura postazione di fronte ad uno specchio enorme. Sul tavolo davanti alla poltrona rosa c’è uno scaffale pieno di lozioni e boccette ripiene di liquidi colorati. No, tutto questo colore non fa assolutamente al caso mio. Preferivo la stanza arancione col lettino e gli specchi.
Aldous batte le mani –ragazze, questa è Rue Mellark. Rue, questo è il tuo stuff di preparatrici- Le donne che correvano da un lato all’altro della stanza si fermano al centro e mi osservano sorridendo.
Mi salutano tutti con voci allegre e leggere, poi riprendono a scorrazzare.
-non aver paura- mi dice Aldous –vai. Io andrò a prendere il vestito che indosserai e gli farò le giuste modifiche in base al tuo corpo- detto questo mi sorride mestamente e scompare di nuovo dietro la porta.
Improvvisamente sento l’impulso di farmi portare via insieme a lui: troppi colori, troppa confusione qui dentro. Voglio il verde. Solo quello. Il verde della mia foresta, del mio distretto. Chiudo gli occhi per un attimo e mi ritrovo piccola a scorrazzare nei prati con Jymith e Chays. Sento il vento tra i capelli e mi vengono le lacrime agli occhi al pensiero che probabilmente tutto questo non c’è più.
Il mio breve sogno viene interrotto da una voce più squillante delle altre:
-carissima, accomodati!- una donna di nome Inera prende la poltrona con le ruote e me la spinge davanti.
Mi vede esitare e mi incita con una mano agitata a mezz’aria:
-su, su, siediti, cara! Dobbiamo iniziare- batte due colpetti sulla pelle rosa della poltrona.
Con astio mi siedo e improvvisamente vengo catapultata nel mondo del makeup e makeover,  tra bagni rigeneranti e trattamenti unti per la pelle e i capelli. I miei pori vengono ostruiti da centinaia di tipi diversi di creme. Il mio viso è del tutto acqua e sapone solo dopo ore. Mangio velocemente qualcosa che mi viene portato da la stessa donna in bianco che mi aveva accompagnato qui e non mi viene nemmeno dato il tempo di inghiottire l’ultimo boccone di pollo che sono di nuovo sballottata da una parte all’altra della stanza. Vengono testati sulla mia pelle tutti i colori che conosco e una decina di tonalità in più che non avrei mai immaginato esistessero. Quando sulla mia faccia compare una sfumatura di verde erba la donna con i capelli rossi e quella bionda esultano come se avessero vinto un premio e si battono il cinque.
Rimango sconcertata e quasi del tutto disgustata da quella scena, più che dagli infiniti trattamenti che mi sono stati riservati solo quel giorno.
La sera veniamo riaccompagnati nei nostri appartamenti, con gli stessi vestiti con cui eravamo partiti, solo con capelli e pelle cento volte più morbidi e luccicanti. Mi faccio quasi paura a guardarmi allo specchio della toeletta della mia stanza. Ma la paura non è dovuta ad un lavoro pessimo, anzi. Il mio volto è come illuminato, adesso e sembro assumere un aspetto del tutto nuovo. I capelli mi scendono neri sulla schiena in morbide onde e gli occhi azzurri sono messi in risalto dalle ciglia rifatte. Stanno facendo un ottimo lavoro.
So che sarei soddisfatta anch’io del mio nuovo aspetto, se non fosse che questo è il contrario di quello che vuole la Coin. Ma come faccio ad impedire a tutti di agghindarmi alla perfezione nei prossimi tre giorni?
Finnick che farà? Suppongo che si lascerà truccare e vestire come vogliono i suoi preparatori e poi si inventerà qualcosa un attimo prima della parata. Esattamente come farò io.
Lo farò anche per non destare inopportuni sospetti che metterebbero ancora più a repentaglio la vita di tutti noi. Mentre mi guardo allo specchio mi tornano in mente le odiose minacce della Coin: in pratica dobbiamo fallire, fare di tutto per non essere amati dal paese. Ci ha consegnato anche discorsi fasulli. Altrimenti. Altrimenti siamo tutti morti. Primo fra tutti Chays che è ancora nelle sue mani e poi toccherà ad ognuno di noi in un modo diverso.
Ma non posso farlo, dannazione! Penso con uno scatto d’ira. La parata doveva essere la possibilità di salvezza per noi e per l’intera nazione e adesso è una condanna, o per quel che resta dei nostri distretti e noi stessi, o per tutta Panem. Se riuscissimo a farci odiare dai distretti, la Coin salirebbe al potere e riporterebbe in voga il vecchio sistema di Snow. Inaccettabile. È del tutto inaccettabile.
Mi butto sul letto combattuta tra le due enormi responsabilità che mi gravano sulle spalle.
Ci hanno minacciato! La Coin ci ha minacciato! È questo quello che vorrei urlare, aprendo la porta e facendo partecipi tutti di quello che sento dentro. Invece sono accovacciata sul letto, innervosita dalla mia incapacità di trovare una soluzione. Mi costringo a non aprire bocca, mordendomi le labbra. Se dobbiamo morire tutti parlare di quello che sta accadendo accelererebbe solo il processo.
Mi sento scomparire, sia dentro che fuori.
Non posso combattere così, non posso scegliere se salvare la vita di alcuni e distruggere quella di altri. È terribile essere responsabili della vita di così tante persone. Come faceva mia madre a sopportare il peso di due Hunger Games e della guerra sulle sue spalle? Io non mi sento capace di sopportare nemmeno una minaccia.
Mi ritrovo a pensare che l’unico fattore positivo è che ho riacquistato del tutto la memoria. A cosa sia dovuto, poi, questo rinsavimento resta ancora un mistero. Ma non voglio indagare oltre. La memoria è tornata, punto e basta. Adesso nella mia stanza c’è buio. Tanto buio che la luce della luna non riesce a penetrare dalla finestra, come la sera prima, e io rimango a stringere le coperte fissando il vuoto.
Poi, pian piano scivolo in un sonno inquieto e tormentato, in cui rivivo tutti gli orrendi fatti successi solo quest’oggi: il Distretto 12 è stato bombardato a causa mia, insieme al 4 e all’8; ho riacquistato la memoria, ma non ho avuto il tempo di gioirne, perché la Coin è piombata dall’oltretomba a minacciare me e Finnick e accusarci di essere i futuri responsabili di una guerra imminente; il primo giorno di preparazione è stato sfiancante e rumoroso. Da sola in quella stanza dai mille oggetti. E domani sarà così di nuovo.
 
In effetti è così per i successivi tre giorni. Il giorno seguente l’arrivo della Coin il mio stuff ha sperimentato su di me tutti i tipi di acconciature possibili e immaginabili, muovendomi la testa in ogni direzione per capire quale capigliatura mi rendesse il profilo migliore. Poi mi sono vista comparire da vanti una fila infinita di ombretti, rossetti, brillantini di ogni tipo e di ogni colore.
Di quelle “ragazze” affannate alla ricerca del look migliore non ce n’era una che pensasse a me. Al fatto che non fossi un manichino, ma una persona reale con sentimenti del tutto scombussolati. Per un po’ ho dato loro la colpa della mia difficoltà a prendere sonno, pensando che fossero i loro trattamenti a farmi venire caldo e freddo a intermittenza. In realtà sono consapevole che non è così.
L’unico ad aver mostrato un po’ di pietà nei miei confronti è stato Aldous, che si offriva volontario al posto di Inera, fin troppo esuberante, per sistemarmi a fine giornata.
Adesso che sono sul tetto del nostro palazzo penso che questi tre giorni siano stati una tortura pari al non vedere mai i miei genitori se non a cena e a non poter parlare con loro di niente. Mi sento come se mi stessi preparando agli Hunger Games. E odio questa sensazione.
Le luci dell’alba sono passate da qualche minuto e adesso mi ritrovo a fissare il cielo azzurro sotto il quale la città prende vita.
Sono quattro giorni che desidero salire quassù, ma alla fine per un motivo o un altro ho sempre rinunciato. Adesso ci sono, da sola. Da sola come avrei voluto il primo giorno in cui siamo arrivati.
Sono perfettamente pulita e lucida come l’acqua del fiume che scorre sotto di me.
Con un cupo sorriso mi rendo conto che la Coin potrebbe spiarmi anche in questo preciso momento. Non ho più rivisto Finnick dal primo giorno di preparazione e spero che almeno lui l’abbia affrontata meglio di me. Io non sono stata capace di darmi pace nemmeno un secondo. E oltretutto in questi tre giorni a Chays potrebbe essere successa qualunque cosa.
Potrebbe benissimo essere stato eliminato, con la sicurezza che io non so minimamente dove sia e come stia e che accondiscenderò al piano della Coin per salvarlo. Invece, magari, lui è l’unico andato in pace. Per sempre.
-è sempre stato un bel posto, questo- non mi volto a guardare perché riconosco la voce e rimango appoggiata con le braccia al muretto che limita il tetto.
-anche ai tempi di Snow. Non tutti i tributi ci sono passati, alcuni non sapevano nemmeno dell’esistenza del tetto aperto-
Aldous mi si avvicina e si appoggia accanto a me.
-ottimo per riflettere- dico fissando l’orizzonte.
-già. I tuoi genitori lo sapevano meglio di chiunque altro. Anch’io c’ho trovato pace- risponde.
Mi giro a guardarlo.
-non sapevo che anche tu fossi stato un tributo- dico.
-vincitore, per di più. Dei settantatreesimi Hunger Games, avevo appena dodici anni-
Aldous un vincitore. Non me lo immaginavo. E per di più dell’edizione precedente a quella in cui vinsero mia madre e mio padre.
-preferirei buttarmi in un’arena. Sfogherei quello che mi tengo dentro- dico.
Lui sembra del tutto sconvolto dalla mia affermazione.
-non scherzare, ragazzina. Tuo fratello non è qui con te, ma questo non implica che tu perda tutto per la rabbia che hai dentro –
Non si tratta solo della sua assenza! Vorrei esclamare. Ma non posso.
-niente mi vieta di desiderare un’arena dove vendicarmi, piuttosto che partecipare alla parata-
-hai sedici anni- mi dice senza mezzi termini –non fare l’avventata, non sai cosa voglia dire partecipare a quei giochi. Sono terribili, distruggono tutto quello che avevi, ti lacerano dentro, finchè non ti resta nemmeno il fiato per respirare. Quando ti accorgi di essere l’unico sopravvissuto su ventiquattro ragazzi della tua età, rimpiangi di non essere morto con loro-
Mi zittisco. Forse sono stata troppo precipitosa nella mia affermazione, ma non mi interessa. E’ quello che penso. Mi limito a rimanere in silenzio per rispetto ad Aldous.
In quel momento si sente un boato dalla piazza della città, che è proprio davanti a noi. Scorgo una folla di dimensioni paurose farsi avanti in massa e stabilirsi sugli spalti preparati. Sono tutti là, per vedere noi.
Per amarci, gettarci fiori e ovazioni. Non succederà, se faremo come la Coin ci ha detto di fare.
Libero un grosso respiro e penso che, se oltrepasso la porta alle mie spalle per tornare dentro, non farò che rimanere in una trappola mortale.
-andiamo. La Parata aspetta solo voi-
Non oppongo resistenza quando Aldous mi  da un colpetto sul braccio e mi accompagna dentro.

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


La folla acclama. Voci su voci, grida su grida, mani che battono l’una sull’altra e piedi che non sostengono più la trepidazione per l’inizio della Parata della Memoria.
Dietro le quinte si continua a lavorare. Nella stanza di preparazione Aldous da l’ultima sistemata al mio abito, spolvera le spalle anche se non ce n’è bisogno e mi sorride. Credo che lo faccia per la prima volta da quando lo conosco.
-sei perfetta- mi dice.
-come fai ad essere così sicuro che andrà tutto bene? Piacerò alla gente?- preferirei un “no” in risposta, mi tranquillizzerebbe all’idea di riuscire a far schifo a agli spettatori. La speranza mi muore sulle labbra, quando Aldous scopre uno specchio coperto con un telo e mi mostra completamente cambiata.
Sono perfetta. Ha ragione il mio stilista. Indosso un abito verde sgargiante con sfumature perlate che mi arriva fino ai piedi; è ricoperto di foglie finte e brillantini verdi nella parte sinistra della ruota. I miei capelli sono solo in parte raccolti in un fermaglio bianco, dietro scendono sulla schiena in morbide onde nere. Gli occhi sono truccati rigorosamente di verde, sfilati da un sottile strato di matita nera e la bocca è solo ripassata da un semplice gloss trasparente.
Due larghe strisce dello stesso materiale e colore del vestito partono da sotto le ascelle e mi scendono lungo i fianchi. Faccio per sollevarle, ma Aldous me lo impedisce:
-ferma lì, cacciatrice. Queste dovrai sollevarle solo quando la folla sarà al massimo del delirio vedendoti passare. Fidati, tutta Panem sarà concentrata solo su di te-
Solo su di me. Insomma, se alzerò queste strisce di veste la folla sarà investita dal furore e otterrò il massimo del successo. Esattamente quello che non deve accadere. Mi si smorza un groppo in gola al pensiero che tutta questa accurata preparazione, questo vestito stupendo e soprattutto la fiducia che Aldous ripone in me saranno malamente buttati al vento da qualcosa che deciderò di inventarmi per ottenere la disapprovazione del pubblico. Devo umiliarmi pubblicamente e questo mi da noia. Molta noia.
Sicuramente non solleverò queste strisce di stoffa. Non posso farlo. Per Chays, devo riuscire a .. fallire.
Aldous apre la porta e usciamo nella zona coperta appena adiacente all’inizio del percorso della sfilata. Qui le voci del pubblico sono più chiare e distinte e si mescolano insieme in un immenso boato che mi terrorizza. Andiamo verso il mio carro, nero, come tutti gli altri. Guidato da due cavalli bianchi con le briglie verdi.
-questo è il tuo carro- dice Aldous –là c’è la tua famiglia- me ne indica un altro guidato da due cavalli marroni con le briglie rosse e gialle.
In qualità di perfetta ragazza di fuoco e Ghiandaia Imitatrice mia madre è vestita di rosso. Solo quando mi avvicino mi accorgo che il suo vestito è lo stesso che indossò alla prima intervista per i settantacinquesimi Hunger Games, con una sola modifica: ha le maniche lunghe e gallette che, al movimento rotatorio delle mani sprigionano lingue di fuoco finto. E’ bellissima. Mio padre indossa una tuta arancione che si accenderà al tocco di un fiammifero di fuoco finto. Hanno avuto ben poca fantasia i loro stilisti, ma almeno richiameranno alla mente gli innamorati sventurati del Distretto 12.
Ci abbracciamo forte, ci diciamo di stare tranquilli e ci ripetiamo che tutto andrà bene. L’unica cosa che riesco a fare è annuire. Provo sempre più paura man mano che il momento di sfilare si avvicina.
-due minuti- dice una donna con una cuffia all’orecchio sfrecciandoci accanto.
Mi volto per tornare al mio carro, quando vedo Finnick, proprio dietro di me. Indossa solo un costume lavorato di colore azzurro ed è ricoperto di sabbia che brilla di colori diversi secondo come viene colpita dalla luce. Ha il corpo di una statua perfetta.
-che intenzioni hai?- chiedo.
Lui fa una faccia volutamente interrogativa.
-ma ti sei visto? Così farai stramazzare a terra tutte le ragazze del pubblico qui presente e dei Distretti!-
Lui ride. Lo ammetto, la mia voleva essere una battuta e ci sono riuscita, solo che dovrebbe anche fargli capire che così non ce la farà mai a conseguire lo scopo della Coin.
-ma guardati- mi dice sorridendo –zuccherino, sei troppo semplicemente perfetta per i miei gusti. Quali sorprese ci riserba il tuo vestito?-
-un minuto!- grida la donna con l’auricolare. Adesso ricompongo le tessere della situazione. Abbiamo scherzato anche troppo. Improvvisamente mi immobilizzo.
-ehi- Finnick cerca di richiamare la mia attenzione, ma io sono paralizzata. Il terrore che sento dentro è enorme. Sale come la marea, non riesco a fermarlo. Sento le urla del pubblico che acclama.
-sono la prima, Finnick. E se non ce la faremo? Voglio dire, è difficile farsi voler male dal pubblico vestiti così- dico a mala pena.
-Rue- mi prende le braccia con le mani e mi costringe a guardarlo negli occhi –ascoltami bene: noi siamo forti. Ce la possiamo fare a combattere contro la Coin-
-30 secondi!-
Contro la Coin? Dove vuole arrivare? Ma noi dobbiamo fare il suo gioco, altrimenti siamo spacciati.
Non possiamo permetterci di fare il contrario, di ottenere successo.
-cosa stai dicendo?- chiedo in preda al panico.
-dico che noi faremo questa parata e sfileremo da Dio, è chiaro? Arriveremo in fondo con le ovazioni del pubblico, acclamati da tutti e otterremo il primo scopo che ci ha portati qui: vincere su quel che resta di Capito City-
-non posso, non posso permettermelo!- esclamo. Aldous arriva proprio in quel momento e mi prende per un braccio, tirandomi verso il mio carro.
-dobbiamo farlo, Rue! Dobbiamo vincere!- mi grida Finnick mentre vengo aiutata a salire sul carro.
Sono sconvolta. Cento volte più di prima. Ero convinta di rovinare la Parata della Memoria, in un modo o nell’altro, di farmi odiare da tutti e avere salvo Chays. Poi c’arrivo: chi mi garantisce che dopo aver fatto il gioco della Coin mio fratello sarà salvo e noi saremo tutti lasciati in pace?
Il carro parte, lentamente. Sono dietro il portone che si apre sulla pista. Il mio cuore martella forte.
Siamo e saremo sempre un pericolo per la Coin, finchè siamo in vita. Lei non ci lascerà mai in pace, tanto vale provare. Le porte si aprono, la luce mi acceca e il carro riparte, più veloce.
Vengo investita dal boato allucinante della folla sugli spalti. Sono la prima, conduco con il mio carro tutta la carovana. Mi guardo intorno e scorgo il mio volto sui megaschermi ai lati della pista. Il mio verde irrompe sulla scena. Grida, il pubblico. Sento pronunciare il mio nome più volte e una voce altisonante grida dagli alto parlanti:
-Rue Mellark conduce la parata! Il verde domina, il verde signoreggia, popolo di Panem!-
E’ così. Il mio vestito alla luce del sole sprigiona onde verdi in tutte le direzioni, colpisce il pubblico che è già in delirio. Mi volto un secondo e scorgo il carro dei miei genitori dietro di me. Loro con le mani unite e volte al cielo, come la prima volta. Mia madre lancia fiamme finte dal vestito.
Torno a guardare davanti a me. La potenza della fama mi avvolge e non posso fare a meno di sorridere.
Finnick ha ragione. Conduciamo questa sfilata come si deve.
Alzo un braccio e punto il dito al cielo. Testa alta, sfoggio il miglior sorriso che ho. Potenza. È come se da quel dito mi fosse mandata una scarica elettrica che mi dice di impadronirmi del pubblico. La folla esclama e acclama il mio gesto ed io sono ritratta in tutti gli schermi. Poi sento un carro che si avvicina.
Non era previsto, dovevo essere l’unica alla testa della sfilata.
Mi volto, sempre col braccio alzato e vedo Finnick che ride allegramente accanto a me. Ha fatto accelerare i cavalli e adesso procediamo alla pari. Mi fa cenno positivo con la testa ed io capisco che è il momento.
Abbasso il braccio e afferro le strisce di stoffa con le mani. Le stringo un attimo e le sollevo di colpo.
Prima di qualunque altro senso, l’udito viene sconvolto dal pubblico del tutto su di giri. Poi vedo che da sotto i lembi di vestito si sollevano foglie vere che si spargono al vento e scariche elettriche che fanno esplodere in bagliori fortissimi luci posizionate fuori e dentro al mio carro.
Sono una stella umana, contornata dal verde del vestito e circondata dalle foglie che volano.
Come Aldous ci sia riuscito, non ne ho idea, ma adesso ho davvero attirato l’attenzione di tutti.
Mi sento fierissima di me stessa. Sento che posso farcela e che questa Parata della Memoria restituirà tutta la fiducia di cui i distretti hanno bisogno.
Rido e punto entrambe le dita verso il cielo.
-la Stella Verde!- la voce altisonante esclama.
Quando Finnick mi porge una mano e alziamo le nostre mani unite verso il cielo con le dita all’insù l’una appoggiata all’altra, il pubblico esplode definitivamente. Abbiamo fatto centro, non secondo il piano della Coin, ma secondo quello della Paylor. Al mio nome si unisce quello di Finnick Odair. E la voce continua:
-con il Cavaliere del Mare!- ecco un altro epiteto. Adesso ce l’abbiamo anche noi un soprannome che rimarrà nella mente della popolazione.
Tutta Panem ci sta osservando e tutti i distretti, o quel che ne resta, stanno acclamando il nostro nome.
Siamo noi, i figli dei vincitori, degli eroi.
E adesso siamo noi i nuovi eroi.
Questo non doveva succedere.
Terminiamo la corsa sulla pista e veniamo immediatamente scortati sul grande palco infondo al percorso.
Tiro un enorme sospiro e solo adesso mi accorgo che avevo trattenuto il fiato da quando il mio nome è risuonato accanto a quello di Finnick. Adesso tutti ci guardano. La voce chiede dall’altoparlante silenzio al pubblico, che pian piano si acquieta. È venuto il momento dei nostri discorsi.
Ecco perché ancora non ci hanno bombardato, penso. Abbiamo ancora una possibilità di salvare la situazione, ma non lo faremo. Non io. Non lascio mai una cosa a metà.
Finnick mi porge due fogli e annuisce. Ho il cuore in gola.
Mi volto e osservo il pubblico, migliaia e migliaia di persone, che aspetta solo che inizi il discorso.
Sono davanti ad un microfono che può condannare la morte istantanea di noi cinque e di mio fratello o quella dell’intera popolazione. Decido di salvare la seconda.
Apro il primo foglio e dalle prime righe riconosco che è quello scritto dalla Coin. Me la immagino adesso, che nel silenzio più totale si piega in avanti dalla sua poltrona per vedere se mi è rimasto ancora del senno. Ma evidentemente non è così, perché richiudo il foglio e non ne apro altri. Mi guardo intorno.
Vedo quante vite potrei salvare, se sacrificassi la mia e di Chays.
Perdonami Chays. Penso.
-Popolo di Panem- inizio e il pubblico applaude rumorosamente –voglio farvi una domanda. Che cosa vi aspettate da noi?- chiedo indicando Finnick che è accanto a me. Scorgo lo sguardo della Paylor alle sue spalle e mi dice di leggere ciò che è stato scritto per me, ma non lo faccio.
-siamo i figli dei vincitori. E allora dobbiamo essere eroi anche noi? No. Sapete chi è il vero eroe?- chiedo quasi gridando. Alzo la voce, in preda all’euforia dell’attimo.
-è Chays Mellark!- sento un borbottio alle mie spalle ma lo ignoro – mio fratello. Scommetto che la maggior parte di voi non sapeva nemmeno che l’avessi, un fratello, non è così? E vi chiederete perché non è qui con noi. Perché è stato rapito, portato via- non posso permettermi di nominare Capitol City, scatenerei il panico e almeno quello voglio evitarlo. Ma so con certezza che chiunque mi sta ascoltando adesso sa che una nuova guerra potrebbe essere più vicina di quanto ci si possa immaginare.
-ma noi siamo qui, oggi, per mostrarvi come la nuova generazione di Panem domina! Oltre tutti i governi e le tirannidi passate, per dimostrare a voi tutti che gli Everdeen-Mellark e gli Odair-Cresta non vi abbandoneranno!-
-e siamo qui- aggiunge Finnick, prendendomi la mano –insieme. E insieme sconfiggeremo tutto ciò che si oppone tra voi.. e la futura libertà!- alza di nuovo la mia mano e puntiamo ancora le dita verso il cielo.
In quel momento il pubblico esulta e chiama a gran voce i nostri nomi.
Abbiamo fatto il contrario di ciò che c’era stato chiesto.
E solo quando scendo dal palco e vengo portata di corsa a cambiare abiti, capisco che siamo tutti in pericolo.
Mi cambio più in fretta possibile e quando esco dalla mia stanza di preparazione si accende uno schermo che non avevo notato prima. Siamo tutti fuori a naso all’insù ad aspettare, mancavo solo io.
Il sigillo di Capitol City compare tetro. Sono riusciti a prendere le onde di trasmissione.
Dopo qualche secondo in cui sentiamo tutti la tensione alle stelle, appare Chays. Il mio cuore fa una pericolosa capriola e mi metto ad ansimare. Mia madre getta un urlo secco e si tappa la bocca.
Mio fratello esordisce con un:
-alla Stella Verde e al Cavaliere del Mare-

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Cerco qualche indizio che mi dica che cosa gli hanno fatto. Ma non lo trovo. Non riesco a riflettere lucidamente, mentre vedo scorrere sullo schermo l’immagine di mio fratello che si permette una lunga pausa prima di cominciare il discorso.
-Capitol City è .. ben felice di .. accogliere i figli dei vincitori- non riesce a terminare una frase senza interrompersi e deglutire. Cosa stanno facendo? Lo stanno minacciando? Quel che è certo è che la Coin ha trovato il modo perfetto per piegare Chays ai suoi ordini. E per iniziare a distruggere me.
Una voce fuori campo gli fa una domanda:
-Che effetto ti fa vedere tua sorella come la porta bandiera della futura rivoluzione?-
Futura rivoluzione. Le mani cominciano a sudare. Hanno già deciso che il mio e di Finnick è stato un gesto di deliberata sfida nei confronti della Coin e della capitale e che quindi noi dobbiamo pagare. Quella che abbiamo davanti è un’ennesima guerra, probabilmente persa in partenza. Si sono già ripresi i collegamenti con le tv nazionali e hanno in mano l’arma che sanno perfettamente è la più pericolosa per me e la mia famiglia: mio fratello.
Chays risponde dopo aver preso fiato:
-è.. strano. Avrei dovuto partecipare anch’io a quella parata-
-ma non l’hai fatto. E non ti senti sollevato per questo motivo?- continua la voce fuori campo.
Chays fa una smorfia, come se a parlare stesse facendo la fatica più grande del mondo.
-già- dice e basta. Non so se lo pensa davvero. Forse sì, in fondo io e Finnick siamo condannati a non so quale atroce sorte la guerra abbia in serbo per noi, e lui ne è fuori. Forse no, vorrebbe essere qui con me ad aspettare un segnale di Capitol City e sapere che non siamo così lontani.
Mi avvicino lentamente di qualche passo verso lo schermo. Come se potessi toccarlo alzo una mano a mezz’aria, che mi ricade inerme lungo i fianchi quando la voce fuori campo domanda di nuovo:
-non c’è niente che vorresti dire alla tua famiglia?-
Perché lo stanno condannando a questo? Ho la mente talmente in subbuglio che mi viene da pensare che ciò che sta provando Chays in questo momento sia forse peggiore di tutte le torture che Capitol City è capace di infliggere ai suoi prigionieri.
-che.. che non devono sfidare Capitol 13- allora si chiama davvero così, l’alleanza tra la capitale e il Distretto 13. Pensavo che fosse solo un nome di mia invenzione –Devono lasciare che gli eventi seguano il loro corso senza intromettersi. Non gli conviene-
Il tono con cui parla mi dice che non è una minaccia, ma una supplica. Ha paura, perché sa che se noi facciamo qualcosa siamo morti tutti e lui stesso non sarà risparmiato.
-la guerra porterà a nuovi Giorni Bui. Ma..- sembra riflettere. O forse solo riprendere fiato. Fatto sta che si tocca il mento come una mano come a cercare di calibrare bene le parole che dovrà usare.
-prima di precipitare in una guerra senza fine, potete scegliere. Se immolarvi per il bene comune o combattere fino alla vostra stessa morte e di tutti coloro che vi circondano- deglutisce di nuovo.
-spiegati meglio- chiede la voce fuori campo.
No, non importa. Penso. La Coin ci vuole morti, che sia tra qualche giorno o che sia tra qualche ora.
-Non capite?- chiede Chays, il volto si fa sconvolto. Si sporge dalla poltrona su cui era seduto e si strofina le mani nervoso.
-è solo a causa nost.. vostra se Panem precipiterà di nuovo in guerra e se correremo ancora il rischio di estinguerci! Dovete morire, morire per il vostro paese. Siete degli eroi? Bene, dimostratelo! Offrite la vostra vita negli Hunger Games –
Mia madre si lascia sfuggire di nuovo un suono stridulo, mentre nessuno osa parlare. Fisso Chays e aspetto che continui il discorso. Ha gli occhi rossi, rischia di piangere, ma non lo farà. Lo conosco.
-c’è un’arena pronta, al confine tra il Distretto 4 e il Distretto 5. Pronta per noi. Stella Verde, Cavaliere del Mare e tutti i figli degli altri vincitori, dovete farlo-
Reprime un gemito in modo violento e il suo scatto improvviso mi fa venire un brivido che mi scuote forte.
-dovrò.. farlo anch’io-
-Quindi, Chays, fai capire meglio hai nostri telespettatori di cosa stiamo parlando- dice la voce fuori campo –in cosa consisteranno questi Hunger Games?-
Hanno addirittura già deciso tutto: organizzati gli avvenimenti e le motivazioni dei Giochi e riattivato un’arena apparentemente sterile. Stringo forte le mani in pugni che fanno male, ma non smetto.
Mi mordo il labbro, mentre mio fratello risponde:
-sono.. sono i Giochi che non si tennero venticinque anni fa. Ricordate, popolo di Panem? Quei giochi a cui avrebbero dovuto partecipare i figli della capitale? Esatto. Sono quelli. Solo che adesso i protagonisti sarete voi. E tutti coloro che.. –
Prende un grande respiro e io trattengo il fiato.
-ostacolano la nuova ascesa di Capitol City-
In una frase ha detto tutto quello che nessuno era mai riuscito a spiegare in mille discorsi.
-vuoi aggiungere altro?- l’ultima domanda.
Lui inghiottisce il magone che ha in gola e guarda dritto dentro la telecamera:
-che io non abbandonerò mai la mia famiglia e tutti coloro che decideranno di salvare questa nazione!-
Le immagini cominciano a traballare sullo schermo e faccio in tempo a vedere qualcuno che tira un pugno a Chays e lo trascina via dalle telecamere. Poi il monitor si oscura del tutto e non passa nemmeno il sigillo di Capitol City.
Resto immobilizzata, mentre intorno a me si alzano borbottii e commenti. La folla fuori dalla sala dove siamo noi comincia a vociare, ma non capisco che sentimenti possa provare. Scorgo masse di persone che si alzano in fretta e se ne vanno, altre che sbracciano e si arrabbiano.
Fisso lo schermo vuoto. Io sono vuota. Non ho sensazioni. Qualcuno mi tocca il braccio e per istinto mi divincolo e corro a rinchiudermi nella mia stanza di preparazione. Sbatto la porta e mi ci appoggio contro.
Inizio ad ansimare e dopo qualche secondo crollo a sedere con la schiena appoggiata alla porta.
Mi prendo la testa fra le mani e comincio a piangere.
Non posso trattenermi, non ci riesco e nessuno può chiedermelo.
Mi rigo la faccia con le unghie che sprofondano nella carne come punte acuminate, ma non sento dolore. Sento solo la mancanza di vita che ho dentro. So che non mi riprenderò senza mio fratello e che sarò gettata in un’arena rediviva per salvare il paese. Se non lo farò Capitol City non si farà scrupoli a farsi strada con le armi. Mi dondolo mentre le lacrime continuano a scorrere. Sbatto la testa due o tre volte contro la porta e tra le lacrime urlo il nome di Chays.
O la guerra o gli Hunger Games. O la popolazione mondiale sterminata o solo io e la mia famiglia.
Devo decidere eppure non ci riesco. Sto solo impazzendo all’idea di ritrovarmi nel giro di qualche giorno in un qualcosa che va oltre le mie capacità. Oltre tutto ciò che per me era immaginabile.
Mi alzo e comincio a marciare per la stanza, cercando in tutti modi di pensare. I Distretti.. ecco cosa mi viene in mente. E tutti i Distretti nostri alleati che fine hanno fatto? Hanno avuto paura dopo il bombardamento del 12, il 4 e l’8? Sì, credo proprio di sì. E non si sono alleati, ma semplicemente si sono ritirati e sono lì che sperano che io e Finnick accettiamo di morire per salvare anche le loro vite. L’avrebbe fatto chiunque al loro posto. La loro vita dipende da una mia ulteriore sfida o ad un mio spunto volontario ad uccidermi e veder morire mio fratello per loro.
Tiro un calcio violento alla zampa di un tavolino, la incrino e sento male al piede.
Un ennesimo dubbio atroce mi sconvolge: non getteranno solo noi nell’arena, se decidessimo di accettare. Chays ha detto “tutti coloro che ostacolano la nuova ascesa di Capitol City”. Questo implica anche tutti coloro che mi sono vicini e a cui voglio bene. Mia madre, mio padre, le persone che conoscevo nel 12. Allora penso che non tutti sono morti nel bombardamento. Capitol 13 ha salvato chi sarà più adatto da far partecipare agli Hunger Games.   
Jymith.
Anche lei è in pericolo che io lo voglia o meno.
Ad un certo punto mio padre spalanca la porta ed io mi immobilizzo al centro della stanza a fissarlo.
Entra di corsa, sconvolto e sbatte la porta. Mi viene in contro e mi abbraccia forte. Io piango ancora senza pensarci, fra le sue braccia. E lui aspetta che io abbia finito. Poi mi dice:
-tu non ci andrai, ok? Non entrerai in quell’arena-
-è l’unico modo..-
-No!- esclama, mentre i suoi occhi s’accendono di rabbia –non ti manderò a morire in quei Giochi atroci, è chiaro? Non ti permetterò di passare le condizioni atroci che abbiamo affrontato noi. Avevamo sconfitto quei Giochi e pensavamo fosse per sempre-
-ma non è così- gli dico.
Lui si prende qualche secondo e poi afferma:
-andremo noi-
Non gli do il tempo di continuare che mi lancio in avanti e gli do una spinta:
-che ti viene in mente? Non lo farete, papà!-
Lui mi guarda stupefatto e solo allora mi accorgo di averlo spinto addosso al muro. Non avevo mai reagito così con lui, nemmeno durante quelle che sembravano litigate atroci.
-Rue, ascolta..- allunga un braccio come a calmarmi, ma io mi allontano. Prendo il fermaglio che ho ancora tra i capelli e lo getto in terra con forza. I capelli mi spiovono sul viso rosso per la rabbia.
-ti ho detto che non lo farete! Cosa potreste ottenere? Niente, papà- grido –noi saremo ancora in vita e continueremo a rappresentare un pericolo per Capitol 13, lo capisci questo? La Coin ci vuole morti, tutti!-
Mio padre spalanca gli occhi esterrefatto.
Mi mordo la lingua imprecando contro me stessa.
-la Coin è morta, Rue-
Scuoto la testa.
-no. È stata in coma per tutti questi anni e adesso vuole riprendersi il controllo che le spetta-
Lui si avvicina di colpo e mi prende per un braccio:
-che ti ha fatto? Quando l’hai vista?-
-calmati!- strattono il braccio e lo libero –non mi ha fatto niente, come puoi vedere. L’ho vista quattro giorni fa, insieme a Finnick, nel suo appartamento- mio padre respira a fondo. Si lascia cadere su una sedia e aspetta che continui.
Mi tiro indietro i capelli.
-ci aveva intimato di non .. ottenere successo con questa parata. Così saremmo stati odiati da tutti i distretti-
-ma non l’avete fatto. Vi amano tutti- conclude Peeta.
-Per Panem. Per il bisogno che hanno di nuove guide, lo sai come funziona. E adesso..-
-e adesso vi ritrovate a dover scegliere se combattere o andare nell’arena. Rue, combatti!- mi supplica. Ha già perso un figlio, che probabilmente non tornerà mai da là e sta per perdere anche l’altra. Dov’è adesso la promessa di una vita che continua?
-non posso. Morirebbero troppe persone e Panem non può permetterselo- mio padre tace. Sa che è la verità.
-se saremo noi a sacrificarci, tutto andrà a posto e saranno solo la Paylor e la Coin a doversi fronteggiare-
Lui si alza e mi abbraccia di nuovo. Non vuole e non voglio nemmeno io. Non vedo più in là del minuto che ho davanti e mi vedo morta il primo giorno degli Hunger Games.
Assaporo fino all’ultimo l’abbraccio di Peeta e poi decido di andare a parlare con Finnick. Evito telecamere e persone che conosco, tra le quali mia madre, Haymitch e Gale e mi fiondo nella stanza di preparazione di Finnick.
Entro concitata. Devo avere ancora gli occhi rossi, perché li sento gonfi.
-Finnick, noi..-
-sì- mi interrompe. Fermo, immobile si guarda allo specchio. Resto alla porta e aspetto.
-parteciperemo ai Giochi- dice. Mi guarda e annuisce deglutendo a fatica –e vinceremo-
Non ha detto “vincerò”. Ha detto “vinceremo”. Sospiro. La Paylor entra in quel momento, chiede e noi rispondiamo. Ci prende una con un braccio, uno con l’altro e ci porta fuori dalle stanze. Fuori dalla pista che ci ha resi celebri. Fuori da tutto e tutti. E ci ritroviamo nella stanza di una casetta di legno vicino alla ferrovia, ad aspettare l’ultimo treno.

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Il treno ci sfreccia accanto a grande velocità. Fa quasi paura quando arriva da lontano, oggi. Lo si vede sbucare da una nebbia fitta e densa, apparentemente lento. Poi prende velocità e con i fari abbaglia la stazione. Finnick lo osserva dalla finestra, svogliatamente appoggiato al davanzale. È il secondo giorno che siamo chiusi qui dentro e non vediamo anima viva se non soldati che salgono e scendono dal treno e uomini vestiti di bianco che ci portano cibo e acqua. Non ci è permesso uscire. Non ci è permesso ricevere visite. Potremmo anche morire qui, adesso, e nessuno se ne preoccuperebbe. Piove e il ticchettio della pioggia sul tetto di legno rischia di farci ammattire. Ma non ce ne curiamo. Non ci curiamo ormai più di niente, da quando un’ora dopo la Parata della Memoria abbiamo deciso di offrirci come tributi per salvare Panem. E’ tristemente ironico come ci sia addossata tutta questa responsabilità.
Sono certa che se ci avessero lasciato in pace fin dal primo giorno, Capito City non ci avrebbe nemmeno preso in considerazione e adesso noi saremmo a casa a riempirci la testa dei problemi quotidiani, ignorando il fatto che la Coin è viva e minaccia la Paylor di usurparle il potere.
Finnick si stacca dalla finestra e una lieve ventata di aria fresca mi fa guardare nella sua direzione.
Lui mi guarda un attimo, con uno sguardo che si potrebbe interpretare come sconsolato o come frustrato.
Opterei per la seconda. Inizia a passeggiare per la stanza con le mani in tasca.
Mentre io continuo a fissarlo da sopra le mie ginocchia, appoggiata al muro e seduta sul mio letto, lui si tira indietro i capelli. Questa notte nessuno dei due ha dormito. Ma non ci siamo mai parlati.
Io non ho voglia di pensare ai miei genitori, non finchè il treno non ci ha spediti al Distretto 4 e lui non parla mai di Annie. Ci siamo scambiati pochissime parole in due giorni e riguardavano le nostre sistemazioni e i programmi dei prossimi giorni. Se non altro siamo immersi perennemente nel silenzio e nella quiete e entrambi lo apprezziamo.
Ogni tanto Finnick mi ha sorriso, in questi due giorni. Non so perché, ma so che almeno la sua compagnia è decentemente piacevole anche qui. Nel posto che attende che noi veniamo portati dritti al macello. Oggi arriva il primo treno che porta al Distretto Madre gli altri futuri tributi. Si sistemeranno in monolocali come il nostro in attesa di essere tutti e ventiquattro e solo allora saremo caricati sul treno finale. Chissà se ci daranno l’opportunità di salutare i nostri familiari.
-hai ancora la pallina?- chiedo rompendo il silenzio. Finnick mi guarda e non risponde.
-Quella di stoffa- dico.
-dovresti averla tu- mi dice, indicando i miei pantaloni. Frugo nelle tasche e trovo la pallina di stoffa. Sorrido.
-quando ce l’hai messa?- chiedo.
-mentre ci portavano via dalla mia stanza di preparazione. L’ho vista sul tavolino e l’ho raccolta. Poi te l’ho ficcata in tasca- risponde. Mi fa segno di lanciargliela e prima di farlo dico:
-paura-
Lancio e lui afferra al volo. Annuisce. Ho paura e gliel’ho voluto dire. Fare la coraggiosa adesso non ha alcun senso e voglio che Finnick mi conosca il meglio possibile. Ha dimostrato di saperlo fare. Quel giorno. Al fiume.
-conforto- mi rilancia la pallina. Gli lancio uno sguardo interrogativo e la prendo.
-ci serve no? Da quanto tempo non dormiamo?-
-due giorni. Due giorni che guardo il soffitto in attesa di un miracolo- rispondo e mi lascio cadere sul letto. Non ho nemmeno voglia di continuare il nostro passatempo. Soffio frustrata. Dopo qualche secondo sento Finnick che si stende accanto a me.
-se provassimo a dormire?- propone. Sorride. Sto meglio quando lo vedo sorridere, perché in fondo so che con lui tutto è possibile. Fin ora si è dimostrato così, sia nel bene che nel male.
Si allunga a prendere il cuscino dal suo letto e me lo mette sotto la testa, sopra l’altro cuscino che già avevo collocato. Lo sistema con qualche pacca e ci sprofondiamo entrambi con la testa.
-chiudi gli occhi- dice. Ma io non voglio. Ho il terrore degli incubi. Il terrore degli Hunger Games.
Scuoto lievemente la testa senza parlare. Allora lui muove le sue dita lente e leggere sulle mie palpebre e me le chiude. Lascio che lo faccia, anche se ho ancora paura.
-non voglio- dico.
-tranquilla, non succederà niente. Devi solo riposare- afferma quasi sussurrando.
Rimango immobile, distesa, con la testa sul cuscino e gli occhi chiusi. Sento che Finnick tocca la pallina di stoffa nella mia mano. Poi stringe la sua mano sulla mia e continua a giocherellare con la pallina.
-che fai?- chiedo.
-cerco anch’io di dormire e mi piace giocare con la pallina-
-prendila- dico, senza aprire gli occhi.
-no. Va bene così, almeno giochiamo in due- risponde con la voce leggermente incrinata da quello che penso sia un sorriso. Non diciamo più niente e pian piano sento che il sonno arriva. Vorrei rimanere sveglia, per vedere l’arrivo di chi dovrò uccidere o chi dovrà uccidere me per sopravvivere. Ma non ce la faccio, e la mano di Finnick che giocherella tra la mia e la pallina mi culla fino ad addormentarmi.
Come prevedibile sogno.
Anzi, faccio un incubo. Per fortuna non lo ricordo con esattezza, non appena spalanco gli occhi e mi sveglio. Sono tra le braccia di Finnick.
E’ passata qualche ora a giudicare dalle ombre nella stanza. Anche lui si è addormentato e non intendo svegliarlo. Ha la mano ancora incastrata nella mia in cerca della pallina e l’altro braccio sotto il mio collo. Non me ne sono accorta, quando l’ha fatto. Sorrido all’idea che sia un playboy nato, un po’ come suo padre. Ma adesso, qui, a me va bene così.
Faccio per spostare il braccio e rimettermi a dormire che lui si muove di scatto. Evito di svegliarlo e lascio il braccio dov’è. Mi ci riappoggio sopra e provo a riprendere sonno. Dormiamo per un altro po’, poi qualcuno bussa alla porta e ci sveglia. Sporgiamo entrambi la testa e dalla finestra in alto sulla porta scorgiamo il volto di una ragazza che ci guarda con aria seccata. Da l’idea di essere lì a bussare già da un po’.
Finnick va ad aprire e la ragazza entra immediatamente dentro sghignazzando:
-saranno sì e no venti minuti che busso a quella porta, ce n’avete messo di tempo a svegliarvi piccioncini!- esclama. Finnick sta per ribattere, ma lei continua:
-che ci mettono, nel cibo, sonniferi?-
Si gira verso di Finnick e gli stringe la mano:
-ciao, Cavaliere del Mare, sono Merope Mason, Distretto 7-
Mi alzo in piedi e seccata chiedo:
-hai bisogno di qualcosa?-
Lei mi guarda e mi da una pacchetta sulla spalla:
-ed ecco la Stella Verde. Che bei ragazzi!- dice poi allontanandosi di qualche passo per inquadrarci entrambi –siete già sulla bocca di tutti. Si fa presto con una parata come quella di due giorni fa. A me non è stato concesso, forse per il mio carattere, secondo voi?- chiede sarcastica.
-a questo giro non siamo stati molto fortunati, non è vero?- chiede poi, notando che nessuno dei due rispondeva. Assume un’aria leggermente più seria.
-direi di no- dico.
-mia sorella è a casa che sbraita. Avrebbe voluto esserci lei al posto mio, in questi Hunger Games, ma sono stata chiamata io- continua.
-tua sorella è Johanna Mason?- chiede Finnick.
-già! Spero di avere la stessa sua prontezza di riflessi. Intanto voi due, anche se non aprite mai bocca, mi state simpatici-
Rimaniamo a osservarci per qualche secondo. Poi, quando il silenzio diventa imbarazzante chiedo:
-sei arrivata oggi?- lei annuisce.
-chi è venuto con te?-
-una viziatella di nome Liana, il suo ragazzo Klinger, entrambi del distretto 8 e altri due del tuo distretto, Mellark- mi dice, proprio nel momento in cui la porta, rimasta socchiusa, si apre ed entrano due giovani biondi.
E’ allora che mi lancio addosso al ragazzo, lo abbraccio così forte che andiamo a sbattere contro il muro.
-Rue.. Rue, piano- mi dice con un risolino.
-Chays, sei tu.. non credevo che ti avrei rivisto prima dell’arena- dico, soffocando un gemito infantile.
-nemmeno io-
Lui mi accarezza e io gli prendo la mano e la stringo.
-non ti lascerò- mi dice, vedendo che rischio di iniziare a piangere.
-no, non lo farò neanche io. Ci proteggeremo, Chays- rispondo.
-e proteggeremo anche lei, vero?- mi chiede indicando la ragazza. Non l’avevo riconosciuta, quand’era entrata insieme a mio fratello, ma adesso che ce l’ho proprio davanti mi sfugge un’esclamazione. Le hanno tagliato i capelli, adesso li ha corti come quelli di Merope. Solo che sono incredibilmente biondi. Non sorride, mi guarda fissa e mi chiama per nome.
La abbraccio e le prendo le mani.
-hanno portato qui anche te, per quale motivo?- le chiedo.
-prima del bombardamento abbiamo ricevuto la notizia dell’attacco al vostro Overcraft, allora ho provato a scappare con la mia famiglia. Mi hanno catturata e tenuta prigioniera con Chays fino ad ora- risponde Jymith.
Li guardo e improvvisamente penso che nell’arena non sarò io a sopravvivere, non se voglio proteggere loro. Sono mio fratello e l’unica amica che ho nel 12 e non ho intenzione di vederli morire davanti ai miei occhi. Pian piano mi rassegno all’idea che dovrò uccidere ed essere uccisa se voglio che qualcuno dei miei cari rimanga in vita.
Mi volto verso gli altri e glieli presento. Finnick sorride appena, strano per un tipo sempre gioviale come lui. Ho l’impressione che non sappia nemmeno lui che pesci prendere davanti a persone così conosciute.
-io torno nel mio bunker, bellezze- dice Merope andando verso la porta. Prima di uscire chiede:
-alleati?-
-alleati- risponde Finnick.
Noi rimaniamo a parlare di quello che ci siamo persi l’uno dell’altro e scopro che Finnick si trova in perfetta sintonia con Jymith. Più volte le sorride e scherza con lei. Cerco di non farci caso, dicendomi che lo avrebbe fatto con qualsiasi altra ragazza. Ma man mano che passano i giorni mi rendo conto che non è così. Con Merope è schivo e si limita alle conversazioni essenziali, con me è sempre il solito e con Jymith parla come se si conoscessero da una vita.
Non dovrebbe darmi noia. Non mi da noia. Se mi volto dalla parte opposta e parlo con mio fratello passa tutto. Se continuo a guardarli sento che potrei interromperli con astio. E non voglio, perché non capisco che cosa mi spinge ad agire così. Anche Chays li guarda nervoso, eppure si trattiene dal farsi sfuggire qualsiasi frase potrebbe compromettere la nostra amicizia. Siamo tutti alleati e Jymith è una mia amica, questo è quello che conta. Finnick? Lui rimane un buon amico.

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Passano i giorni. Più ne trascorrono più tributi arrivano. In totale quattro giorni ad aspettare di essere al completo. Un’attesa estenuante, continuamente riarsi dalla paura di essere tutti e di essere caricati sull’ultimo treno. Il giorno dopo l’arrivo di mio fratello e Jymith arrivano due tributi del distretto 2, una ragazzina di poco più di dodici anni e un ragazzo grande e grosso dai capelli biondi, e quelli dell’11.
Il ragazzo dell’11 si chiama Denton. È un tipo strano, sta sempre sulla difensiva. Non saluta nessuno, ma a me ha rivolto un mezzo sorriso dalla sua finestra. Forse l’ho visto per sbaglio, ma deve conoscermi, dopo la Parata della Memoria.
Io e Finnick siamo seduti al tavolo nel mezzo alla nostra stanza e facciamo rotolare la pallina di stoffa da un capo all’altro.
-ci daranno l’opportunità di salutare le nostre famiglie?- chiedo continuando a seguire il movimento dell’oggetto rotondo.
-non credo. Il tempo per farlo l’abbiamo avuto- risponde. Ripenso a come ho evitato mia madre e gli altri prima di andare da Finnick, sei giorni fa e mi rimorde la coscienza. Non vedrò mai più nessuno di loro e non li ho voluti nemmeno salutare. Loro, che di colpe non ne hanno. Non le hanno mai avute. Katniss, Gale, Haymitch. Ho parlato solo con mio padre.
-ho sentito dire che l’addestramento prima dei Giochi sarà dimezzato- dice Finnick –non più quattro giorni, ma due-
-che fretta che hanno! Non vedono l’ora di farci sparire dalla faccia della terra- sentenzio stizzita.
-non ci uccideremo, Rue- dice Finnick, dopo aver riflettuto un po’.
-che intendi?-
-io non ucciderò né te, ne tuo fratello, né la vostra amica. Tantomeno Merope. Siamo alleati e vivremo-
-non è possibile- replico – c’è un solo vincitore, alla fine degli Hunger Games-
-beh, non l’avranno!- esclama tirando un pugno sul tavolo. Si alza, va alla finestra e si passa una mano sulla faccia. Oggi arriva il treno. Quello che dovrà portarci ai nostri alloggi nel Distretto 4, perché ormai siamo ventiquattro.
-io so che farò una cosa sola: proteggere mio fratello e Jymith, il resto non conta- dico.
Finnick si volta di scatto: -certo che la proteggerò!-
Mi si smorzano le parole in gola. La proteggerà. Ovviamente si riferisce a Jymith. Non posso fare a meno che sentirmi messa da parte, anche se non so esattamente perché.
-ti piace, vero?- chiedo sussurrando. Lo voglio sapere, da qualche giorno. Rischio una brusca risposta, invece Finnick si siede di nuovo di fronte a me e mi dice:
-non c’entra niente l’amore. Lei è la figlia di una ragazza che mio padre salvò da Capitol City-
Rimango ammutolita. La prima cosa che mi si dipinge in faccia è l’irritazione di aver di nuovo sbagliato mira. Poi l’imbarazzo lascia spazio allo stupore. Prima di tutto non sapevo che suo padre avesse salvato qualcuno da Capitol City e poi.. Jymith non l’ha mai detto né a me né a mio fratello.
-era una ragazza al servizio di un gruppo di Pacificatori di Capitol City, me lo ha raccontato mia madre. Nella guerra finale mio padre la strappò dalle grinfie di uno di loro e la mandò al campo che avevano appostato poco lontano dalla città. Da lì è venuta a vivere nel 12. Ho scoperto che lei è sua figlia solo parlando dei nostri genitori-
Non so cosa dire. Potrei dire qualunque sciocchezza aprendo bocca, perché non so davvero come esprimermi. Finnick Odair aveva anche salvato una ragazza e adesso sua figlia è l’unica amica che mi sono fatta nel mio distretto. Ed è morto in quel modo atroce. Capitol 13, adesso, ha trovato il modo di sopprimere anche suo figlio. Non lo posso permettere. Aggiungo mentalmente Finnick alla lista delle persone da proteggere, anche se sono consapevole che saprà cavarsela bene da solo.
-scusa, non sapevo..- tento di rimediare.
-non fa niente-
In quel momento entra un uomo vestito di bianco che ci dice di prepararci, perché il treno arriverà tra pochi minuti. Non abbiamo il tempo di predisporci psicologicamente. Raccogliamo le nostre poche cose, tra cui la pallina di stoffa e siamo fuori, sulla banchina ad aspettare il treno.
Pian piano escono anche tutti gli altri tributi. Mio fratello, Jymith e Merope vengono verso di noi e prima di poter iniziare un qualunque discorso si aggiunge un ragazzo moro. A passi pesanti viene incontro a me e Finnick e ci punta il dito contro. Gli leggo la rabbia negli occhi.
-eccoli! Siete voi i colpevoli, lo sapete?- dice quasi gridando.
-ehi, calma..- prova Finnick. Ma lui non si fa zittire:
-è colpa vostra se anch’io sono qui e non vedrò più la mia famiglia. Il Distretto 10 tiferà per me, sappiatelo, non certo per voi, assassini!- ora sta urlando.
Tutti i tributi e le guardie si voltano verso di noi.
-solo se morirete noi vivremo in pace e io vi prometto che accadrà- continua il ragazzo, sempre più impetuoso. Non ho possibilità di replicare perché probabilmente riuscirei solo a provocare una reazione violenta e nessuno mi toglierebbe un cazzotto dalla faccia.
Deve intervenire una donna vestita di bianco a portarlo via e mentre se ne va, ci ripunta il dito contro:
-ci vediamo nell’arena, ricordatevelo-
Noi rimaniamo per un attimo a osservarlo mentre viene portato via da noi. Poi sentiamo il treno arrivare veloce e frenare lentamente. Montiamo sul vagone che abbiamo davanti e stranamente non veniamo divisi. Credo che sia il solo gesto di civiltà che ci viene mostrato.
Non ci vuole grande fantasia per descrivere il nostro vagone. Non c’è una camera da letto, perché viaggeremo solo oggi, tutto il giorno e arriveremo al Distretto 4 a notte inoltrata. Per il resto, questo treno è tristemente illuminato di ogni tipo di lusso: dai cibi prelibati accatastati sui tavolini, ai divani in pelle di tutti i colori. Finestrini lunghi e spaziosi lasciano entrare la grigia luce di questo giorno bigio.
Veniamo scortati fino a delle poltrone poste in cerchio. Quando ci sediamo ci accorgiamo che due posti rimangono vuoti.
-chi deve arrivare ancora?- chiede mio fratello, seduto alla mia sinistra.
-suppongo che tra qualche secondo vedremo spuntare due mentori che varranno per tutti noi- dice Finnick, alla mia destra.
-sono andati a risparmio anche sui nostri preparatori, oltre che sui giorni di allenamento?- chiede Merope risentita.
In effetti è esattamente quello che hanno fatto, come ci spiegheranno i nostri due mentori. Tutti e ventiquattro i tributi sono stati divisi in quattro gruppi da cinque e uno da quattro, ognuno con due mentori per tutto il gruppo di ragazzi. Chi sono i nostri? Haymitch e Aldous. Sì, il mio stilista dal perenne tailleur blu, vincitore dei 73esimi Hunger Games. Passato lo stupore del momento torniamo a concentrarci per quanto possibile sulla situazione presente. Haymitch e Aldous ci spiegano, per tutta la durata del viaggio, le linee fondamentali della nostra breve ed intensa gita al Distretto 4. Pare che la Paylor e la Coin si siano parlate e che l’attuale presidente, per evitare lo scoppio della guerra per cui ci siamo “immolati”, abbia permesso che i Giochi si svolgano alla maniera di Snow, esclusi tagli e lievi modifiche apportate sulla quantità ( il tempo per gli allenamenti e la due mentori ogni cinque tributi ). Ci dicono che al nostro arrivo al Distretto 4io e Finnick rimarremo ognuno nella propria stanza, aspettando che gli altri 22 tributi abbiano concluso la loro preparazione scenica. Perché? Perché noi il nostro momento di gloria l’abbiamo già avuto e, per non svantaggiare gli altri, questa volta dobbiamo sopportare una settimana di preparazione psicologica.
Già. Ritengono che siamo stati troppo frustrati e ci concedono uno psicologo a testa che ci riordini le idee (quale privilegio!). Mentre Haymitch e Aldous parlano io e mio fratello ci prendiamo il lusso di ammirare il paesaggio. E c’è da considerare che, a causa della velocità del treno, l’esterno risulta una magra successione di tutte le tonalità di verde che la natura offre. Probabilmente i nostri mentori continuano a spiegare quali meraviglie troveremo fra il Distretto 4 e il 5, ma la mia mente ormai è volata altrove.
 
Così come mi succede in tutta la settimana a venire. Risulto completamente apatica ad ogni tentativo di socializzazione nei miei confronti. Parlo solo con Chays che è nella mia stessa stanza del palazzo del 4 e scambio qualche parola con Jymith e Merope. Finnick non si vede mai, si fa assorbire completamente dalla sua psicologa, che io per altro ignoro palesemente, recludendosi in camera in chissà quali pensieri. I primi giorni, quando mio fratello veniva portato via dal suo staff di preparatori, io stavo in attesa di sentir bussare alla porta, veder comparire Finnick e passare il tempo in un modo che si sarebbe fatto venire in mente sul momento. Poi c’ho rinunciato. Ho cominciato a guardare la mia psicologa con aria interrogativa, stringendo la pallina in mano.
Lo faccio ancora adesso, nel mio letto. Il tempo che mi è rimasto da vivere si accorcia sempre di più. È oggettivo. Fisso il vuoto ad occhi spalancati. E’ notte e come ovvio non riesco a dormire. Un giorno. Ecco quanto tempo mi è rimasto. Sono già passati anche i due giorni di addestramento. Proprio stasera su tutte le tv della nazione sono apparsi i nostri risultati, decretati da nuovi strateghi preparati in segreto solo per questo momento. Altra costrizione che la Paylor ha dovuto accettare: ha ceduto la rete tv alla Coin per presentare i nostri voti. Non c’era Caesar Flinckerman  a presentare. A dire il vero non c’era nessuno, solo una voce fuori campo che annunciava i voti che ognuno di noi ha ottenuto. Il ragazzo che aggredì me e Finnick il giorno della partenza dal Distretto Madre proviene dal Distretto 10, si chiama Grun ed ha ottenuto 10 punti. I tributi dell’1 e del 2 hanno ottenuto tutti e quattro 8 punti, quelli del 3, 4 e 5 punti, Finnick 9 punti, i tributi del 6 entrambi 5 punti, Merope 10, io e Chays 9 e Jymith 6. Non avrebbero potuto darle di più. Domani, invece, c’è l’intervista. Con la voglia di vivere che adesso proprio non ho, il pensiero di quell’ultima apparizione prima dell’arena mi da la nausea. Continuo a stringere la pallina e col cuore in gola mi ritrovo a sperare che tutto questo finisca il prima possibile, nel bene o nel male.
Guardo fuori dalla finestra e vedo il mare.
Questo palazzo non ha niente in comune con quello del Distretto Madre, immerso nel lusso sfrenato. È semplice. In pietra e travi di legno. Non è molto grande e a volte credo di sentire lo squittio dei topi. Se non altro vedo il mare. Non l’avevo mai visto dal vivo, solo in televisione. Adesso uno spesso strato di vetro mi divide dal suo tocco. Guardo le lievi onde infrangersi sulla sabbia chiara e penso che toccare quell’acqua salata, per me, adesso, sarebbe un sollievo di non poco conto. Mentre guardo fuori vedo che dalla spiaggia si alza una luce opaca. Qualcuno ha acceso un fuoco.
Combatto contro la voglia di rimanere a letto e fissare il buio e mi alzo. Mi avvicino alla finestra e scorgo la sagoma di qualcuno che agita le braccia nella mia direzione. Alla luce traballante del fuoco riconosco Finnick che mi fa segno di raggiungerlo.
Esito un attimo, poi penso che se proprio devo morire tra qualche giorno, devo cercare di godermi quel poco che mi rimane. Mi sento chiamare per nome. Il Finnick che conoscevo, così tanto amante della vita, è tornato. Se ne era andato per qualche giorno, così come me ne ero andata io. Ma adesso è qui. Siamo qui.
Scompaio alla sua vista e sgattaiolo silenziosa fuori dall’appartamento. Scendo le scale e mi ritrovo in spiaggia. Mi tolgo le scarpe e la sensazione della sabbia morbida fra le dita dei piedi mi rilassa in un modo straordinario. E’ fresca, la consistenza è strana.
Finnick è in piedi sulla riva, mi guarda e aspetta con le mani sui fianchi. Indossa solo il costume. Le onde si infrangono dolci sulle sue caviglie. Mi avvicino arrancando sulla sabbia. Supero il falò e quando solo vicina Finnick mi allunga una mano. Finalmente anche i miei piedi adesso sono immersi nell’acqua. Fresca. Rigenerante. Molto più di come mi ero immaginata. Rimango un attimo lì, sospirando. È una serata splendida: il cielo è colmo di stelle che disegnano strani motivi sulla volta nera, il mare è piatto come una tavola e si estende per uno spazio immenso. Poco dietro di noi il falò brucia scoppiettando e proietta le nostre ombre, come buffe pennellate, sulla superficie dell’acqua.
-chissà cosa c’è oltre l’orizzonte- dico senza distogliere lo sguardo. E’ la che vorrei andare, oltre il mondo che conosco e ricominciare a vivere con le persone che amo. Occhi lucidi, sento il solito magone in gola. Tutto questo, la vita stessa, stroncato brutalmente dagli Hunger Games. Con un tuffo al cuore che non sono capace di giustificare, sento che Finnick mi abbraccia alle spalle. Le sue mani si congiungono davanti, chiudendomi fra le sue braccia.
-Rue- mi chiama. Comincio a sentire nello stomaco quella strana sensazione che mia madre dice di provare per mio padre.
-possiamo farcela sai?- dice, mentre il suo petto nudo si avvicina alla mia schiena.
-cosa?- chiedo bisbigliando. Ho il terrore che la mia voce si incrini per la forte emozione.
-vincere. Come fecero i nostri genitori nell’ultima edizione dei Giochi- dice lui.
-io ho mio fratello e Jymith- rispondo.
-escogiteremo qualcosa. Se non possiamo far esplodere di nuovo il campo di forza, ci inventeremo qualcos’altro- continua lui deciso.
-Finnick, io..- mi volto e incrocio il suo sguardo, vicinissimo al mio. Lui mi zittisce mettendomi un dito sulle labbra. Ecco. Adesso non riesco nemmeno a respirare. Mi si è bloccato ogni muscolo. Non so cosa pensare fino al momento in cui mi bacia.
 
Adesso, invece, lo so. So che è la prima volta, per me, e che vorrei non finisse mai. E all’inizio sembra proprio che nessuno dei due abbia intenzione di staccarsi. Quando lo facciamo ci guardiamo un secondo negli occhi, poi ci appoggiamo fronte a fronte. Il mio naso sfiora il suo. Il respiro è corto, ma controllato. Almeno sembra. Il suo corpo illuminato alle spalle dalla luce del fuoco mi sembra perfetto. Adesso so il perché di tutto. E il perché che ho sempre cercato è lui.
-non ti lascerò morire nell’arena- sussurra. Le mie mani sono sulle sue spalle e le sue sulle mie.
-Ti sbagli- dico, mentre sento il suo corpo irrigidirsi –sono io che non lascerò morire te-
Le ultime parole.
Nessun altro bacio.
Solo il buio e noi due.
Sulla spiaggia. L’ultima notte. Prima che tutto abbia fine. O inizio.
 

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***



Sto salendo le scale. Le scale del palazzo del Distretto 4. Ho i capelli legati in una treccia, simile a quella che mi fa mia madre. Indosso dei pantaloni di colore verde militare, una maglia beige a maniche corte e scarponi neri in cui sono infilati i pantaloni. E’ vestito così anche Chays.
Le scale sono buie, odorano di muffa, l’umidità traspira dalle pareti. Mio fratello cammina dietro di me, a condurci è Aldous. Silenzio. Sento solo il mio respiro irregolare. Deglutisco. Tengo gli occhi aperti, non vedo più la fine di queste scale. Poi Aldous apre una porta e veniamo illuminati dalla luce del giorno. Siamo sul tetto del palazzo e un Overcraft è parcheggiato proprio al centro, davanti a noi. Mi fermo a guardarlo, mentre le immagini del primo viaggio verso il Distretto Madre mi tornano alla mente. Ancora una volta constato che la memoria mi è tornata e che non ho più problemi di quel tipo.
Sulle scalette che portano all’interno dell’Overcraft sta salendo una ragazzina bionda . Sento Aldous che mi prende le braccia:
- Rue, ascoltami. Quello è l’Overcraft che vi porterà alle camere di lancio. Là vi aspetta Haymitch, io devo andare a prendere gli altri tre del vostro gruppo-
Annuisco e basta, occhi fissi su di lui. Devo ascoltare, devo fare mia ogni informazione che mi viene alle orecchie. Là davanti a me c’è il mezzo che mi aspetta per gettarmi nell’arena. Oggi è il giorno fatidico, che io l’abbia accettato o no. Devo concentrarmi, questa volta, non posso permettermi di fare di testa mia e non ascoltare quello che mi viene detto. Ne va della vita dei miei amici e di mio fratello.
-tieni- Aldous mi porge un giubbotto grigio. Gettando uno sguardo a Chays  vedo che anche lui lo indossa. Il mio stilista mi aiuta e quando sono pronta anch’io, mi da una pacca sulla spalla.
-devi essere forte, Rue. Per te stessa e per coloro che vuoi proteggere. Puoi farlo!- esclama, quasi sussurrando. Posso farlo. L’ha detto solo perché crede in me o perché sa qualcosa che mi potrebbe essere utile? Ma non può dire niente per non finire sotto la mira di Capitol 13? Se è così devo fare ancora più stretta la consapevolezza che mi serve qualsiasi discorso che mi viene fatto. Annuisco di nuovo, chiudo gli occhi un momento e mi volto verso l’Overcraft che aspetta solo noi. Attendo che Aldous abbia salutato anche Chays e ci incamminiamo verso le scalette. Il nostro stilista si avvia per tornare di sotto a prendere gli altri, ma prima di farlo si volta e ci osserva. Mi giro in tempo per vederlo baciare tre dita della mano e portarle in alto verso di noi.
Sospiro pesantemente. Ricordo quel gesto. Significa compassione, gratitudine, lealtà, coraggio. E’ l’augurio che la fortuna sia dalla nostra parte. Lo fecero a mia madre quando si offrì volontaria nei primi Hunger Games e lei stessa lo fece alla morte della piccola Rue, da cui ho preso il nome, scatenando inconsapevolmente la prima rivolta. Faccio lo stesso: bacio tre dita e le alzo. Poi alzo anche l’altro braccio e punto il dito verso il cielo. Questo è il mio simbolo. Il mio segno di riconoscimento.
Vedo Aldous sorridere e scomparire giù per le scale.
Mi volto verso mio fratello. È l’ultima volta che posso farlo, prima di salire sull’Overcraft, quindi l’abbraccio. Forte.
-tranquillo, ce la faremo, vedrai- dico, ma il tono di voce tradisce ciò che ho appena detto.
Lui trema. Lo sento che mi stringe le mani tremando e sussurrando:
-ho paura Rue-
Lo accarezzo e gli scosto i capelli biondi dagli occhi: -anch’io. Ma siamo insieme, ricordatelo-
Lui annuisce. In quel momento un uomo vestito di bianco ci viene a prendere e ci scorta all’interno dell’Overcraft. È lì che veniamo separati ed è lì che penso che a partire da adesso, fino al momento in cui sarò nell’arena, sono sola. Siamo tutti soli. Mi siedo accanto a Denton che in silenzio fissa un ragazzetto basso e moro davanti a se. Passa una donna che ci lega con cinturoni metallici e ci impianta il dispositivo di riconoscimento nel braccio. Non so se questo veniva effettuato anche ai tempi di Snow, fatto sta che la fitta di dolore del chip nella pelle è secca e forte. Mi mordo un labbro e aspetto che abbia finito.
Poi partiamo. Il viaggio dura effettivamente solo qualche minuto, perché l’arena è al confine tra il Distretto 4 e il 5. In un batter d’occhio siamo nelle nostre camere di lancio. Soli, con un mentore o una persona specializzata a testa. Quando entro vedo Haymitch.
Non sono mai stata così contenta di vederlo. Strano. Non avrei mai creduto di volergli bene, nemmeno un briciolo. E’ sempre stato solo una persona a parer mio simpatica, un vicino di casa che ci scroccava alcol e mi scambiava spesso per mia madre.
E’ a lui che devo la mia partecipazione sull’Overcraft, quando tutti mi impedivano di muovermi. E’ lui che mi ha coperto due giorni fa quando mi ha visto rientrare a notte fonda dalla spiaggia, non facendone parola con nessuno. Lui che ci e mi ha seguito fino ad ora in queste stressanti settimane.
Adesso è lui che mi da l’ultimo saluto.
Quando mi vede spalanca le braccia, senza sorridere e io gli crollo addosso abbracciandolo.
-tua madre non ha mai avuto tutto questo affetto nei miei confronti-
Mi sto attaccando a l’ultima persona che mi riporta a casa. Nel Distretto 12, tra i boschi.
-andiamo, vecchio ubriacone, cosa ti sei bevuto stamani?- mi viene detto.
Lui sorride: -solo un bicchierino di scotch-
Lo guardo con aria da inquisitrice.
-e un goccio di vino bianco- aggiunge. Poi per togliersi di dosso il mio sguardo tenta di giustificarsi:
-ehi, fanno dell’ottimo vino da queste parti e quello bianco sta benissimo con il pesce!-
Ci sediamo su un divano che è precisamente davanti al tubo che mi spedirà entro pochi secondi nell’arena.
Ripiombo nel terrore e mi sforzo di concentrarmi.
-cosa devo fare?- chiedo.
-rimanere viva-
-non posso farlo, se voglio lasciare in vita ..-
-chi, Rue?- mi chiede Haymitch voltandosi improvvisamente verso di me.
-c’è un solo vincitore e quello che Capitol 13 vuole è la tua morte. Tua e di Finnick. Non puoi salvarlo e lui non può salvare te- dice secco.
Scuoto la testa. Non lo accetto.
-ci dev’essere una soluzione diversa, non possiamo darla vinta a Capitol 13- dico.
-non fare come tua madre e ascoltami: non puoi mai dire cosa troverai in un’arena, ma sai cosa puoi portare con te-
-sì, lo so: il coraggio, la speranza, la voglia di vivere, eccetera- rispondo.
-e questa- Haymitch mi porge una spilla. Quando la riconosco sento un vuoto immenso nel cuore. La prendo e la stringo in mano.
-appuntatela sulla maglia- dice lui. Dopo qualche secondo mi sbuca dal giubbotto la spilla della ghiandaia imitatrice di mia madre. Ma la cosa che la contraddistingue è il fatto che a circondare il motivo circolare della spilla è un filo d’oro massiccio che disegna una stella a cinque punte. Sono io. La Stella Verde.
-devi ricordarti chi sei, Rue. E devi ricordarti che come tua madre e tuo padre hanno strappato la vittoria a Capitol City, tu e Finnick potete farlo anche questa volta-
Sto per dirgli che ciò che ha appena detto contraddice completamente quello che aveva detto prima, ma lui fa in tempo ad aggiungere:
-a costo della vostra vita-
Allora è vero. Probabilmente io e Finnick siamo solo dei sognatori e non c’è alcun modo per uscire tutti vivi da lì. Ci sarà solo un vincitore. E toccherà a me scegliere. Ma io non posso e non voglio scegliere.
Farò arrivare lui, mio fratello, Jymith e Merope vivi fino alla fine, poi lì lascerò a uccidersi tra di loro o a trovare una soluzione plausibile.
Perché io adesso non la trovo e vedo solo quello che posso fare fino ad allora.
Una voce metallica sentenzia:
-trenta secondi al lancio-
Comincio a tremare, tanto che Haymitch mi deve aiutare ad alzarmi dal divano, perché rimarrei lì per sempre.
-devi piacere alla gente- mi dice mentre mi avvicino al tubo.
-non posso farlo- rispondo con voce tremolante.
-l’hai fatto fin’ora continuerai così e ..-
-dieci secondi- la voce parla di nuovo.
Devo entrare, devo assolutamente entrare nel tubo di lancio.
Haymitch si sposta per lasciarmi passare e io faccio fatica a camminare fino lì. Ho paura. Ma non quella che provai sull’Overcraft quando fummo attaccati. Adesso è diverso. So che non tornerò mai indietro.
-non saltare dalla pedana prima che il tempo sia finito, altrimenti ti fanno saltare in aria e non immischiarti nel bagno di sangue alla Cornucopia- continua Haymitch, mentre io mi ritrovo davanti al tubo.
Annuisco.
Entro.
Mi volto di scatto a guardare Haymitch, che mi grida:
-usa l’energia! Puoi farcela!-
La porta automatica si chiude prima che possa rispondere. Prima che possa chiedere. Tiro un pugno alla porta e cerco di far capire a Haymitch che vorrei saperne di più. Vorrei sapere perché mi ha detto quella cosa da ultimo. È un indizio, può aiutarmi nell’arena. Ma avrei avuto bisogno di parlarne. Forse non me l’ha detto prima per non essere ascoltato da telecamere e microchip che potrebbero essere ovunque.
La pedana sotto i miei piedi comincia ad alzarsi.
Il terrore mi invade.
Sento l’aria che si sposta man mano che salgo.
Appoggio tutte e due le mani al vetro e cerco di mantenere il contatto visivo con Haymitch.
Ma la pedana sale. Piano, ma va sempre più su.
Haymitch sparisce dalla mia vista e adesso sono al buio del tubo di lancio. Sono terrorizzata.
Completamente. Altri ventitre tributi stanno percorrendo tubi identici al mio.
E io dovrò uccidere e difendermi ancora una volta. Lascio ricadere le braccia lungo il corpo e guardo in su, dove vedo luce.
Poi emergo.
Impiego qualche secondo per realizzare dove mi trovo.
L’indizio che Haymitch mi ha lasciato all’ultimo secondo, il fatto che probabilmente sarà punito per questo. Io che adesso sono nell’arena. Ci sono definitivamente.
La pedana si ferma e io mi guardo in torno. Sono in una prateria.
C’è qualche boschetto qua e là, ma niente che possa assomigliare ad una foresta. Mi volto alla mia sinistra e scopro che c’è una collinetta su cui svetta dominante un castello. Avevo sentito parlare di costruzioni del genere, ma non fanno parte della nostra storia. Della storia di Panem, intendo.
Poi guardo i tributi intorno a me e realizzo che siamo solo in sei.
Che vuol dire?
Che strategia è questa?
Siamo disposti in cerchio e in mezzo a noi c’è una piccola cornucopia. Niente a che fare con le grandi costruzioni con cui mia madre e mio padre ebbero a che fare un tempo. Ci sono poche armi. Qualche spada, un’ascia, un tridente ed un arco. Il tridente. Cerco Finnick tra i tributi che mi circondano, ma non lo vedo.
Non c’è. Che senso ha mettere qui l’arma di qualcuno che non può prenderla?
E’ solo per complicare le cose. Scorgo Jymith dall’altra parte della Cornucopia e Denton due posti alla mia destra.
Una voce riecheggiante parla beffarda sulle nostre teste.
-Benvenuti tributi. Benvenuti ai 76° Giochi-
Compare adesso un ologramma che fa partire il timer. 60 secondi, 59, 58..
-Felici Hunger Games- 40, 39, 38, 37 secondi..
-e possa la fortuna sempre essere a vostro favore- 10 secondi.
Non devo farmi coinvolgere nei combattimenti alla Cornucopia. Ma non posso ignorarla. Ci sono zaini e armi che mi servono. Devo prendere il mio arco. E il tridente di Finnick. Devo trovare Finnick. Capisco che siamo divisi a gruppi di sei. Dove sono gli altri? Dov’è mio fratello?
Sono tentata di gettarmi giù dalla pedana, ma aspetto.
5.
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3.
2.
1.
Che gli Hunger Games abbiano inizio, tributi.

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Suona il gong. Il tempo di concentrarmi l’ho avuto. Salto giù dalla pedana e non ci penso più: mi mischio agli altri cinque che si accalcano alla Cornucopia. Solo che non sono la più veloce. Grun ha fatto prima di me. Lo vedo mentre si infila all’interno della Cornucopia e ne esce col tridente. Non ho il tempo di stupirmi, perché una gomitata mi fa barcollare. Una ragazza si è fatta largo, ha raccolto uno zaino e adesso sta correndo verso la Cornucopia per accaparrarsi un’arma. Ho perso secondi preziosi, avrei dovuto già essere dentro, aver preso l’arco, ucciso Grun per riprendermi il tridente. Mi freno all’istante quando lo vedo che colpisce al volto la ragazza, la getta a terra e la trafigge col tridente. Comincio ad ansimare, ma non è il momento di farsi prendere dal panico. Denton è riuscito ad accaparrarsi uno zainetto e fuggire, attirando l’attenzione di Grun. Ne approfitto e corro verso la Cornucopia. Afferro lo zaino della ragazza uccisa dal tridente e mi infilo all’interno della struttura. Vedo proiettata a terra un’ombra che si avvicina pericolosamente, l’arco è troppo lontano. Prendo un coltello, mi volto e lo lancio sperando di fare centro al primo colpo. Non sono mai stata brava in questo tipo di cose, ma adesso mi gioco il tutto per tutto. Vedo Grun gridare rabbiosamente e estrarsi il coltello insanguinato dalla gamba. Mi lancio allora verso l’arco. Mi getto in spalla la faretra, estraggo una freccia e la incocco.
Quando mi volto intenzionata a colpire Grun, lo vedo stringere tra le braccia Jymith. Il tridente è a terra. Glielo deve aver fatto cadere lei in un modo o nell’altro. Solo che adesso le mani dell’energumeno si stringono intorno al suo collo. Sollevata da terra di qualche centimetro,  la vedo arrancare alla ricerca dell’aria. Lui si gira in quel momento.
Ride accecato dall’ira e la scaglia in terra. Lei cade inerme a occhi spalancati.
-No!- grido. Allento la presa sulla freccia incoccata, quanto basta per dare il tempo a Grun di riprendere il tridente e dare un colpo secco all’arco. La freccia scivola via. Evito un colpo che mi avrebbe sfasciato la testa e corro nella direzione opposta a Grun, verso il corpo di Jymith.
Incocco un’altra freccia e questa volta la scaglio velocemente voltandomi fulminea all’indietro, ma lui non c’è più. Dov’è finito?
Mi guardo intorno frenetica, senza abbassare l’arco. Due sono i morti adesso. Qui intorno a me. Scorgo Grun mentre si allontana fra gli alberi con il tridente ancora in pugno. Impreco fra me per non essere riuscita a prenderlo.
Poi mi piego su Jymith. La chiamo per nome diverse volte, ma non risponde.
-andiamo, Jymith, sei forte, lo so!- esclamo tirandole uno schiaffo senza tanti complimenti. Mi inginocchio e la prendo sotto le braccia per portarmela al petto. Cerco di imitare le procedure che applica mia madre in caso di emergenza e le stringo il ventre all’altezza del diaframma. Lo faccio ripetutamente.
-forza, respira!- non mi arrendo. Lei mi ha salvata, sta rischiando di morire per aver evitato il colpo di Grun che mi avrebbe sicuramente ucciso. Sono passati solo minuti dall’inizio dei Giochi, non può essere che Jymith muoia proprio adesso.
Continuo la procedura con tutta la forza che ho e alla fine la sento tossire.
-Jymith, respira con calma- le dico allentando la presa.
-Rue.. hai preso il tridente?- chiede.
-no- rispondo –ma ho preso l’arco e sono viva, grazie a te-
Lascio che riprenda fiato e che il mio cuore calmi i battiti veloci e violenti che mi stanno scuotendo da capo a piedi.
-dobbiamo andarcene da qui. Grun tornerà a prendere le armi- dico guardandomi intorno aspettandomi qualche movimento strano tra gli alberi.
La aiuto a mettersi in piedi.
-ce la fai?- chiedo, mentre la vedo muovere qualche passo a fatica.
-sì. Hai ragione, andiamocene-
Si massaggia il collo per qualche secondo.
-vogliamo lasciare tutto questo ben d’iddio qui?- dico, mentre torno all’interno della Cornucopia a fare rifornimento. Prendo un paio di coltelli e li infilo uno nello zaino che avevo preso dalla ragazza morta, l’altro in uno che raccolgo da terra e porgo a Jymith.
-dammi una spada- mi dice lei. La guardo con aria interrogativa e esito un momento. Stende una mano per aspettare e aggiunge –andiamo, sappiamo entrambe che tuo fratello mi ha insegnato come si fa-
Stacco una spada dal suo supporto e gliela porgo. Già, Chays aveva provato a insegnare a tirare di spada anche a me, ma ho sempre odiato le lame affilate. Preferisco concentrarmi con un arco. Afferro l’ultimo zaino rimasto e lo do a Jymith che è meno carica di me.
Fuori dalla Cornucopia tutto è tranquillo. Guardo nella direzione in cui Grun è sparito e mi incammino verso quella opposta. E’ facile adesso pensare a cosa fare: trovare gli altri, Chays, Finnick e Merope, e far sì che Jymith viva fino a quel momento. Poi dobbiamo trovare dell’acqua e un posto sicuro dove esaminare cosa abbiamo negli zaini. Ci inoltriamo in un boschetto molto breve. Mi aspetto che nasconda ogni tipo di insidia, quindi camminiamo silenziosamente e lentamente. Devo ricordarmi che ci sono anche altri tributi pronti a farmi fuori,in questo posto. Altri ragazzi che si sono ritrovati a combattere in gruppi da sei e che adesso sono armati fino ai denti. Mentre procedo mi costringo a pensare che anche gli altri siano tutti sopravvissuti. Non può essere diversamente, altrimenti la mia partita è persa in partenza.
-ci siamo quasi- dico, quando intravedo la fine del boschetto. La luce che passa dagli alberi è più forte. Proprio quando stiamo per raggiungere l’uscita vedo un’ombra che passa a corsa davanti al boschetto.
Mi fermo di botto e tendo un braccio per bloccare anche Jymith.
Avanzo di qualche passo. Cauta come un serpente. Mi abbasso e sbircio da dietro il tronco di un albero. Un’altra ombra passa correndo. La riconosco, è Liana, la ragazza dell’8. Tiene in mano un’ascia e ridendo spavalda rincorre l’ombra che era passata prima di lei.
Attendo in silenzio che sia lontana e mi sporgo cautamente per assicurarmi il via libera.
L’uscita dal boschetto adesso appare sgombra.
Tendo arco e freccia e balzo fuori in guardia agitando la freccia a destra e a manca per difendermi da eventuali attacchi nascosti. Ma non c’è nessuno.
Mi sbagliavo.
Davanti a me adesso non c’è una prateria, come c’era prima. Tutto il suolo è ricoperto di sabbia.
-siamo al mare- dice Jymith che mi affianca e punta un dito davanti a noi. Un laghetto si estende breve oltre la spiaggia. Accanto al laghetto intravedo una Cornucopia, come la nostra.
Un altro gruppo di tributi.
In quel momento mi sento premere sulla schiena tre punte acuminate. Chiudo gli occhi e trattengo il respiro. Grun è tornato e adesso non ci penserà due volte prima di vedermi stramazzare al suolo.
-Voltati- dice una voce femminile.
-Merope!- sento Jymith che esclama. Mi volto lentamente e incrocio lo sguardo della Mason. Rassicurata da quella vista mi giro di scatto e il tridente si abbassa.
-Finnick- sussurro.
Lui mi abbraccia prima che possa farlo io. Ci stringiamo forte. L’angoscia di non rivederlo più che fino a qualche momento prima mi aveva stretto lo stomaco adesso mi abbandona quasi del tutto. Traggo un profondo sospiro di sollievo. Il cuore batte, ma di gioia per aver ritrovato Finnick. 
-l’avevo detto, io, che sarebbe finita così- la voce ironica di Merope interrompe il momento di sollievo e ci riporta alla realtà.
Finnick sorride, poi si volta verso Jymith e le dice:
-sono contento che tu sia viva-
-è stata lei a salvarmi- risponde indicandomi.
-ci siamo salvate a vicenda- concludo. Non mi va di farmi potente agli occhi di Merope, che per quanto ne so potrebbe aver la stessa voglia di uccidermi di Grun. Anche lei vuole tornare a casa da sua sorella. Ad essere sincera è l’unica persona di cui non mi fido ancora totalmente. Poi, sforzandomi di riflettere, penso che non mi ucciderà adesso, se proprio vuole farlo, per ora serviamo tutti. Uniti.
-Chays era con voi?- chiedo, dopo qualche attimo di silenzio.
-no- risponde Finnick –pensavamo fosse nel vostro gruppo-
Jymith scuote la testa e si fa pallida. Per la prima volta da questa mattina la vedo sofferente. Non era così nemmeno sotto le grinfie di Grun.
Il sole ha cominciato adesso la sua discesa. Dev’essere passato poco tempo da mezzogiorno.
-cosa avete ottenuto voi?- chiede Merope accennando alle nostre armi e agli zaini.
-un po’ di cosette che ci possono essere utili- rispondo.
Finnick indica la sponda del lago.
-non c’è più nessuno dalle nostre parti. Tre di noi sono scappati e altri due sono morti, possiamo sistemarci provvisoriamente al lago- propone.
Così lo seguiamo fino al laghetto. Ci sediamo sulla sponda dopo un breve sopralluogo ed esponiamo ognuno il proprio bottino. Mentre metto in fila le armi e gli zaini penso a Chays, che dev’essere in un altro gruppo, se tutto va bene, vivo. Altrimenti.. non voglio pensarci. Una volta stesi tutti gli oggetti ottenuti tiriamo una somma di ciò che abbiamo. E posso affermare che non siamo affatto sprovveduti.
Quattro zaini, uno per ognuno di noi, il cui contenuto consiste in carne essiccata, una borraccia rigorosamente vuota, frutta secca e un sacco a pelo. Io ho il mio arco, Finnick ha il suo tridente (questo mi fa pensare che il contenuto delle Cornucopie sia lo stesso per ogni gruppo), Merope una spada e un coltello legato alla cintura e Jymith la spada e il coltello trovati alla nostra Cornucopia.
Anche se siamo del tutto spaesati su come hanno agito gli strateghi per questi Giochi, se non altro siamo armati fino ai denti.
-siamo divisi a gruppi di sei, quindi devono esserci altri due gruppi- dice Finnick, iniziando a riflettere su come è strutturata l’arena. Il mio sguardo vola sulla collina in lontananza e si posa sul castello.
-un gruppo dev’essere là- dico indicando la collina.
Finnick riflette un attimo e poi, come illuminato da un’idea:
-dov’era situata la vostra Cornucopia?- mi chiede.
-oltre quel bosco. C’è una piccola prateria- dico indicando alle mie spalle.
-E noi invece ci siamo ritrovati sulla sabbia, vicino ad un lago, capite?- chiede di nuovo.
Rifletto un attimo. Io sono stata spedita in una prateria. Finnick su una spiaggia. Certo, ci sono.
-Ecco perché ci hanno divisi- dico, balzando in ginocchio, come se fossi pronta ad attaccare –ci hanno mandato ognuno nel luogo che ci è più familiare. Io nel verde dei boschi-
-e io tra l’azzurro e il beige del mare- conclude Finnick.
-ma l’acqua non è mai stata il mio luogo ideale. Io non c’entro niente con questo posto- ribatte Merope. Ha ragione, eppure qualcosa mi dice che la struttura dell’arena è fatta a posta per confonderci e aiutarci allo stesso tempo.
-ma è il mio- dice Jymith –ci sono: alcuni di noi sono stati mandati direttamente nell’arena che gli concerne maggiormente, e ovviamente sono stati scelti i due più famosi, Finnick e Rue. Gli altri devono cercarla. Io, per esempio l’ho trovata proprio adesso-
Ci prendiamo tutti un attimo per ragionare e arriviamo alla conclusione che il discorso torna perfettamente. Dev’essere così. Allora torno a guardare il castello.
-Chays è là. È il regno delle spade e dei duelli. È fatto apposta per lui- dico fissandomi sulla collina.
Rimaniamo qualche secondo in silenzio, poi ci accordiamo per partire alla volta del castello. Non ho dovuto pregare particolarmente per convincere i miei compagni. Tutti vogliamo ritrovare mio fratello e Jymith è stata la prima ad appoggiarmi.
Poi torniamo ad osservare il lago.
-riempiamo le borracce, l’acqua è qui. Più facile di così?- esclama Merope. Riempie la sua.
Troppo facile. L’acqua non è mai stata così a portata di mano per nessuno. Non mi piace.
-non credo che sia il caso- dico.
-ascolta, stellina. Ho sete e l’acqua ce l’ho accanto, quindi bevo- mi risponde superba.
Quando mi volto verso il lago vedo che l’acqua non ha lo stesso aspetto del lago del 12. È più scura, più.. viola. Viola?
-Merope, no!- esclamo. Do un colpo alla mano che tiene la borraccia, che rotola a terra. Merope mi guarda negli occhi un attimo. Poi crolla a terra agonizzante.

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


Finnick si getta su Merope immediatamente, la scuote e cerca di farle sputare l’acqua che ha ingerito.
Merope assume uno strano colore verde. Occhi spalancati si muove in gesti brevi e secchi che le contraggono in spasimi tutto il corpo. Non respira e si tiene la gola con le mani.
-Sputa quell’acqua, forza!- esclama Finnick, mentre continua a premerle il petto con forza.
Io prendo da terra la borraccia e la svuoto di tutta l’acqua che contiene. Dopo pochissimi secondi sul bordo rimangono tracce di una sostanza bluastra. Si secca alla svelta a contatto con l’aria e comincia ad evaporare. Allontano immediatamente da me la borraccia e aspetto che tutte le macchie siano andate via in fumo. Tutto questo mentre Merope agonizza incessantemente.
-è veleno- sussurro. Poi mi volto a guardare Finnick che è alle prese con le manovre di soccorso.
-è acqua avvelenata, dobbiamo fargliela sputare subito- dico.
-ci sto provando- risponde lui a fatica mentre continua a premere il petto e attendere, premere e attendere.
Non serve a niente e Merope comincia a diventare cinerea. Gli occhi iniettati di sangue adesso ci guardano supplici. Se continua così morirà entro pochi secondi. Guardo Finnick e mi accorgo di quanto si stia impegnando a salvarla. È una di noi, è un’alleata. E io non posso lasciarla morire.
-lascia- dico a Finnick, che però non la molla.
-ho detto lascia, fammi provare- esclamo fulminandolo con lo sguardo. Lui si alza di scatto.
Noto che sulle labbra di Merope sono rimaste le chiazze blu e viola del veleno. Se solo riuscisse a respirare l’aria entrerebbe nei polmoni, attraverso la gola e farebbe evaporare tutto il veleno. Ma suppongo che sia stato progettato a posta per bloccare ogni tipo di respirazione. Soffio sulle sue labbra per velocizzare la scomparsa delle macchie e quando mi sembra che non ce ne sia più mi chino e tento una respirazione bocca a bocca.
Cerco di non pensare al fatto che se c’è ancora del veleno sulle sue labbra in pochi secondi anch’io mi ritrovo a terra alla ricerca dell’aria. Premo il suo ventre tre volte e torno a respirare dentro di lei.
L’ho visto fare a mia madre con i malati gravi del Distretto 12 e di solito funzionava. Il paziente dopo qualche tentativo tossiva o sputava liquido.
Comincio a sperare intensamente che non sputi l’acqua che ha bevuto proprio mentre le sono sopra, altrimenti la ingollo senza accorgermene. Provo e provo ancora.
Intanto Jymith è dietro di noi che guarda sconvolta, presa dal panico.
Quando premo di nuovo sul diaframma, Merope schizza a sedere e sputa l’acqua sulle sue gambe.
Tossisce diverse volte e Finnick le da qualche pacca sulla schiena per aiutarla a liberarsi.
-riesci a respirare?- chiedo.
Lei annuisce, ma dopo qualche secondo si aggrappa forte al mio giubbotto e lo tira.
Comincia a respirare pesantemente, poi si accascia di nuovo.
-che succede?- chiede spaventata Jymith alle nostre spalle.
Merope mi tira giù con lei, tanto è forte la presa sul giacchetto.
-cos’hai? Parla! Puoi parlare?- dico presa da un attimo di panico.
-non..non sento più le gambe- dice ansimando forte.
Io e Finnick ci guardiamo in un misto di perplessità e paura.
-il veleno paralizza- dice lui.
-Merope adesso calmati- bisbiglio, anche se mi è più facile pensare che riesca a calmarsi lei, che io –Respiri?-
-sì-
-stai respirando, parli, e muovi tutta la parte superiore del corpo. Non è niente, dev’essere solo..-
-il veleno! Il veleno dell’acqua, non sono imbecille!- esclama, lasciando andare piano il giacchetto e respirando più tranquillamente.
-non posso più muovere la gambe- dice dopo qualche secondo –e non potrò fare più niente tra poco. Tutto il corpo rimarrà paralizzato, lo capite?-
Sento Jymith che emette un suono stridulo. Mi volto e la vedo pallida e sconvolta.
-troveremo il modo di farti stare meglio- dico. Lei sta per replicare, ma la interrompo sul nascere:
-e non ammetto repliche-
Si zittisce immediatamente. Finnick la prende in braccio.
Io mi volto a prendere Jymith e a tranquillizzarla. Io. In questo momento. Proprio no, non mi si addice questo compito. Abbiamo appena scoperto che la nostra unica fonte d’acqua è avvelenata e provoca spasmi atroci e la paralizzazione del corpo; Merope, l’unica abile con le spade, nel nostro gruppo, non può camminare e quindi nemmeno difendersi o attaccare. Mi metto in spalla uno zaino e Jymith si carica l’altro.
-dobbiamo trovare un posto tranquillo per la notte- dice Finnick.
-non possiamo accamparci qui, vicino alla vostra Cornucopia?- chiede Jymith balbettando.
In quel momento sbucano dal niente Liana e Klinger. Più che dal niente direi dalla Cornucopia.
Ridono spavaldi.
-eccoli!- gridano e ci corrono in contro, lei con un’ascia lui con un arco. Ci sono addosso prima che possiamo scappare e ci troviamo stretti tra il lago e i due tributi. L’ascia di Liana gocciola di sangue il che mi fa pensare che solo oggi i morti saranno parecchi e che lei contribuisca molto a farci fuori tutti.
Estraggo una freccia dalla faretra e la incocco, puntandola contro di lei. Sto per scoccare, quando mi accorgo che Finnick è sotto la mira di una freccia altrettanto velocemente incoccata di Klinger.
Se la uccido, lui ucciderà Finnick.
Mi costringo a rimanere calma.
-dammi l’arco- mi fa segno con la mano Liana. Io rimango sulla difensiva, puntandole la freccia tra un occhio e l’altro.
-fa la brava e consegnami il tuo giocattolo-
Non devo rispondere alla provocazione. Altrimenti si innesta il meccanismo che ucciderà prima Finnick poi noi.
-te lo scordi- sussurro. Mi volto di scatto e scocco la freccia.
Colpisco Klinger ad una spalla. Dal dolore lascia andare la freccia che cade a terra e allenta la presa sull’arco. Liana si accende di rabbia prima che possa controllarla e mi sferra contro l’ascia.
Non la evito del tutto e mi prende su una spalla, lacerando i vestiti e facendo fluire il sangue.
Mi prendo istintivamente la spalla con una mano, mi volto verso Jymith e le ordino di usare una delle sue armi. E’ lì impietrita.
La capisco, ma non è il momento di lasciarsi uccidere.
Lei con mani tremanti estrae la spada dal fodero con  un rumore metallico e si mette sulla difensiva.
-allontanati- dico a Finnick, dietro di me. Lui scuote la testa e vedo Merope che si agita tra le sue braccia per essere abbandonata lì. La sento mentre grida di sapere di esserci d’intralcio e di voler essere messa a terra, ma Finnick non le da retta e mi fissa.
E’ adesso che la sorte si ribalta per tutti quanti.
Sentiamo un ruggito potente e terrificante, provenire dal fondale del lago. Ci pietrifichiamo tutti un istante.
Dopo qualche secondo una creatura mostruosa e enorme, ricoperta di squame giganti emerge emettendo un suono possente e orribile, dalla bocca piena di zanne affilate. Bell’ibrido, penso, mentre schizza acqua ovunque. Ha mosso un’onda che è arrivata a bagnarci i piedi e adesso è di fronte a noi, su quattro zampe, pronto a divorarci.
-che diavolo è?- chiede Klinger a terra. Liana abbassa l’ascia e cerca di tirare su il ragazzo.
-correte!- grida Finnick.
E’ quello che facciamo. Corriamo come dei dannati, aggirando il lago. Ma non tutti. Liana e Klinger corrono dalla parte opposta e si imbattono nella Cornucopia.
All’inizio l’ibrido si concentra su di loro e li insegue finchè non li trova in trappola. Liana corre, continua a correre.
Mi volto un attimo e vedo che Klinger è a terra di nuovo, il dolore al braccio non lo fa rialzare e l’ibrido è su di lui. Grida qualcosa a Liana, che terrorizzata continua a correre. Le chiede aiuto, ma lei si gira una sola volta e insensibile continua a correre. Senza che me ne accorga l’ibrido prende il ragazzo fra le zanne e lo lacera. Il sangue scende a fiotti giù per il collo dell’essere orrendo e il corpo di Klinger è ormai irriconoscibile.
Liana è sparita nel bosco da cui siamo venuti noi stamattina.
Allora l’ibrido si guarda intorno, ci rintraccia e si lancia al nostro attacco. Riprendo a correre incitando gli altri. La ferita alla spalla fa male. Ma corro e spingo Jymith avanti a me.
-ti ho detto di lasciarmi!- grida Merope, in braccio a Finnick. Fa fatica e rischia più di una volta di cadere nella sabbia.
-falla finita o sarò io ad ucciderti con le mie mani!- impreca lui col fiatone.
Corriamo mentre la belva si avvicina. L’ombra gigante ci è addosso e per un momento penso che siamo tutti spacciati. Incocco una freccia in un gesto disperato e sempre correndo mi volto di scatto a lanciarla, ma vola nel vuoto. Lo faccio di nuovo. Sospiro più che posso anche se adesso comincia a mancarmi il fiato e scaglio la freccia che gli si conficca in un occhio giallo e piccolo.
Un boato orrendo si alza dalle sue fauci. Continuiamo a correre mentre l’essere scuote la testa e si toglie a fatica la freccia dall’occhio. Abbiamo guadagnato solo qualche metro.
Scorgo delle rocce oltre le dune. Ansimo per la fatica e prima che possa dire qualcosa Finnick grida:
-là dietro!-
-è il confine tra quest’arena e un’altra- dice Jymith arrancando nella sabbia. Corriamo a più non posso.
Vicini alle rocce vedo Finnick che getta senza complimenti Merope dall’altra parte e lui stesso si arrampica un po’, le scavalca e finisce dall’altra parte.
Jymith inciampa. Impreco per la rabbia e quando mi volto a riprenderla l’ibrido l’ha raggiunta.
L’afferro per un braccio e la sposto appena in tempo per vedere le zanne del mostro affondare nella sabbia.
Corriamo ancora fino a raggiungere le rocce.
-forza- dico a Jymith e la mando davanti a me. L’aiuto ad arrampicarsi. Non le riesce, non le riesce niente, mi sembra. Quando io e mio fratello ci arrampicavamo sugli alberi lei dov’era?
Finnick sbuca dall’alto delle rocce e le tende una mano. Con il mio e il suo aiuto Jymith riesce a passare dall’altra parte.
Rimango io. Solo che quando inizio ad arrampicarmi l’ibrido mi da un colpo con la zampa a mi getta a terra.
Finnick grida il mio nome. Mi metto una mano sul fianco destro, dov’è arrivato un artiglio. Sanguina e fa male. Arranco verso le rocce e mi ci appoggio con la schiena. Schivo un altro colpo, afferro l’arco mentre rotolo sul fianco dolente e scaglio una freccia, che distrae il mostro per un secondo.
Finnick è sopra di me che mi prega di prendere la sua mano. Con una mano tengo l’arco stretto in pungo, con l’altra afferro la sua. Butto l’arco dall’altra parte e ricomincio ad arrampicarmi con la mano libera.
-andiamo Rue!- le parole di Finnick sono le uniche capaci di risvegliarmi, come fanno ogni volta che ne ho bisogno. Mi sento già sotto le grinfie dell’ibrido, quando con una fatica immensa rotolo giù dall’altra parte delle rocce e finisco con un colpo secco a terra. Sull’asfalto.
Finnick scende veloce.
Tutti ci accucciamo spalle alle rocce e io comincio a sperare che un qualche miracolo spinga il mostro in ritirata. Merope non può correre, io sanguino, Jymith si tiene una caviglia con le mani in silenzio e a Finnick ha ricominciato a sanguinare il braccio ferito la prima volta sull’Overcraft dal coltello del Pacificatore.
Respiriamo lentamente e teniamo per noi i gemiti di dolore. Sento l’ibrido che ruggisce terribilmente sopra di noi, salta sulla sabbia provocando un movimento del terreno e si allontana.
Finnick si affaccia pian piano e afferma:
-se n’è andato-
Tiriamo un primo sospiro di sollievo. Siamo tutti miracolosamente ancora vivi. L’immagine del corpo di Klinger straziato dalle zanne dell’ibrido, però, mi assale la mente e mi tengo la testa fra le mani per costringermi a tornare alla situazione presente.
Ansimo finchè il panico non mi ha abbandonata del tutto.
-state tutti bene?- chiedo.
Gli altri annuiscono con espressioni doloranti.
-quel mostro è confinato nella sua parte di arena- dice Jymith alzandosi in piedi –almeno sappiamo che cosa ci aspetta al lago se decideremo di tornarci-
-non credo che lo faremo- dice Merope.
Infatti non lo faremo. L’unico posto da raggiungere è il castello. Ma adesso che mi guardo intorno capisco dove siamo finiti. La terza parte di arena: cemento armato, asfalto, solo asfalto. Una cornucopia al centro dell’arena e intorno tutte rocce, come quelle da cui siamo passati noi. C’è una specie di grotta sulla nostra destra, incavata in una montagnola che svetta poco più alta delle rocce. Sembra l’unico posto dove andare.
-cerchiamo un posto dove passare la giornata e la nottata. Non possiamo proseguire così- dice Finnick. E ha ragione.

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


E’ proprio là che passiamo il resto della giornata e la nottata: nella caverna della montagnola. Arranchiamo per raggiungerla, gocciolando tutti un po’ di sangue sull’asfalto. Quando entriamo la esploriamo con l’attenzione che possono avere degli animali feriti e stremati e ci accasciamo sul fondo, depositando zaini e armi. Sentiamo improvvisamente dei colpi di cannone. Ci mettiamo a contare silenziosamente: uno, due, tre.. undici. Undici giovani vittime di questi Giochi fantasma.
E’ orrendo. Sapere che siamo tutti moribondi in un modo o nell’altro solo dopo il primo giorno e essere consapevole che mio fratello è lassù che lotta tra la vita e la morte. Sempre se è ancora vivo.
Quando ci stabiliamo nella caverna ci rendiamo conto che nessuno di noi è capace di uscire e cercare cibo e acqua. Il cibo ce l’abbiamo, distribuito nei vari zaini, ma l’acqua manca. E la sete adesso si fa sentire. Dopo aver corso, essersi disidratati e dissanguati in buona quantità non abbiamo più liquidi sufficienti in corpo.
Quando mi azzardo ad alzarmi e uscire a cercare l’acqua Finnick mi inchioda a sedere e mi aiuta a fasciarmi il fianco e la spalla.
Solo che il sangue che scorre fuori sembra volermi lasciare del tutto a secco. Il dolore che proviene dalla ferita al fianco è lancinante, terribile in confronto a quello provocato dall’ascia di Liana. Comincio ad avere serie difficoltà a muovere il braccio sinistro colpito, non chè ad alzarmi in piedi e muovere qualche passo.
Il mio umore va dalla stanchezza alla rabbia per non poter far niente, dalla tristezza alla disperazione, dall’iperattività alla rassegnazione.
Ed è bruttissimo precipitare in quell’ultimo stadio.
Perche mi guardo intorno e scopro che Jymith si morde le labbra per evitare di urlare il dolore che le provoca la caviglia rotta, Merope è del tutto assente, isolata dal mondo, fissa il muro davanti a se e resta in silenzio. Finnick è l’unico che si muove e prepara la nostra sistemazione e nonostante i miei richiami continua ostinato. Sono riuscita a convincerlo a farsi fasciare il braccio, ma quel momento di riposto è durato solo pochi minuti. Poi è scattato attivo.
Mi fa passare momenti di rabbia e paura quando mi comunica di voler uscire in cerca di acqua.
-no!- esclamo alla fine, prendendolo per un polso –tu non ci vai la fuori da solo. Che ti piaccia o no resterai qui. Possiamo resistere stanotte alla sete. Andremo domani-
Dopo qualche altra protesta Finnick si è steso accanto a me in silenzio.
Ora che siamo all’interno della caverna ci accorgiamo che siamo dentro ad una specie di montagna aperta. La cima non c’è e un buco ci lascia intravedere il cielo. Lo osserviamo così mentre diventa rosa. Poi arancione. Arancione come il tramonto, come il colore preferito di mio padre. Solo adesso mi rendo conto che i miei genitori saranno incollati ai televisori come tutta la nazione, e saranno lì a tifare per noi.
Immagino mia madre che grida furibonda che non sarebbe dovuta  finire così. Immagino mio padre che, distrutto, cerca di calmarla. Immagino la Paylor, che, colpevolizzata senza motivo, cerca di arrivare ad un compromesso con la Coin.
Adesso, stesa per terra con la testa appoggiata allo zaino, fisso le stelle. Finnick ha insistito per fare il primo turno di guardia e adesso è seduto all’entrata della caverna a giochicchiare con i sassi.
Poi improvvisamente mi ricordo delle parole che Aldous e Haymitch mi hanno detto prima dell’inizio dei Giochi. Cioè che avrei potuto farcela. Che avrei dovuto usare l’energia. Ma di che energia stava parlando quel vecchio ubriaco? Non riesco a pensare lucidamente.
Ho ancora in testa l’immagine della ragazza uccisa da Grun alla nostra Cornucopia e dell’altro ragazzino accasciato accanto a lei. Ma più fulgida di tutte è l’immagine di Klinger che viene completamente dilaniato dall’ibrido. E penso che io ho contribuito alla sua morte. Se non avessi scagliato quella freccia contro il suo braccio, lui sarebbe stato capace di rialzarsi e mettersi in salvo, come noi.
Ma non posso colpevolizzarmi anche di questo. Mi basta vedere Finnick. Da solo, con l’espressione più cupa che abbia mai visto sul suo volto. All’entrata della nostra caverna con il tridente accanto. E’ stato tutto il giorno immerso nel nervoso, agitato da una parte all’altra della caverna e non sono riuscita a strappargli nemmeno un gesto confortante.
Se solo riuscissi a muovermi e a raggiungerlo là. Provo ad alzarmi con fatica e mordendomi la lingua per non lasciarmi sfuggire gemiti di dolore mi metto a sedere. Jymith sembra dormicchiare, appoggiata alla sua parte di muro. Merope è girata dalla parte opposta alla mia e non riesco a vedere se dorme.
Ma non credo che lo stia facendo.
Pian piano mi trascino all’entrata della caverna e affianco Finnick. Mi appoggio all’altra estremità della roccia.
-ehi- dico e basta.
-ehi- ripete lui.
-come stanno le ferite?- mi chiede indicando le mie fasciature.
-vorrei che stessero meglio. Non riesco a muovere un passo e il braccio non risponde più ai miei comandi- dico –il tuo?-
Lui alza le spalle. Voglio credere che stia meglio di me. Dalla caverna scorgiamo il castello che adesso sulla collina si staglia imperioso nel buio della notte. E’ là Chays.
-non credo che saremo in grado di proseguire domani- mi dice senza guardarmi.
Ha ragione, ma io non posso lasciare Chays là da solo.
-Chays..- inizio io.
Lui mi interrompe immediatamente:
-Chays potrebbe essere già morto!- esclama. Rimango ammutolita per un attimo.
-Rue. E’
 
già un miracolo se siamo vivi noi-
-non lo lascerò lassù- dico stupefatta dall’affermazione di Finnick. Non me la sarei mai aspettata da lui.
-no, ma lasceresti Merope inferma, Jymith che non può camminare e me qui- Dice. Non c’è accusa nel suo tono. C’è solo rassegnazione. La stessa rassegnazione che ha deciso di impossessarsi di tutti, anche di me, dopo l’attacco dell’ibrido. Abbiamo tutti la stupida e infondata sensazione di essere stati abbandonati anche dalle persone che ci amano e che amiamo. E’ questo che riescono a fare gli Hunger Games. Ti distruggono passo passo, finchè del tuo mondo, delle persone a cui vuoi bene, degli ideali in cui credevi, non è rimasto più niente.
-non lo farei mai- dico, cercando di aprire gli occhi. Anch’io pensavo che Finnick mi avesse abbandonata, dopo la giornata di oggi, ma è solo un insensato presentimento. L’ho capito solo adesso, adesso che lui me l’ha detto. Come al solito non ci arrivo da sola a certe conclusioni, deve essere lui a farmi vedere che sta male. Dentro e fuori.
-allora resta qui- dice, la voce spezzata. Nella notte scorgo timide lacrime che gli fanno luccicare ancor di più quegli impenetrabili occhi azzurri. Mi si stringe il cuore. Ho pensato a me stessa più che a lui per  tutto questo tempo e adesso non riesco a perdonarmelo.
Gli prendo le mani in un gesto spontaneo.
-al tuo fianco-
-come sempre?- chiede lui.
-come sempre- rispondo io.
Finnick mi lascia le mani e si sistema meglio appoggiato al muro. Stende le gambe e mi dice:
-stenditi-
Appoggio la testa sulle sue gambe e mi lascio accarezzare i capelli. Riprendo ad osservare le stesse stelle che prima avevo perso di vista. Mi sento a casa tra le sue braccia, le sue mani. Il dolore delle ferite sembra che se ne vada pian piano, anche se so che in realtà non è così.
-hai la febbre- mi dice, toccandomi la fronte. Lo guardo:
-siamo tutti malati- rispondo.
-ma tu hai due ferite che potrebbero infettarsi con grande facilità e sono profonde. Se solo riuscissimo ad avere qualche medicina dagli sponsor- dice lui.
Quando dice così realizzo che tutta Panem ci sta guardando. Che probabilmente metà della nazione sta tifando per noi, l’altra metà ci vuole morti. E tutto questo, mi ricordo, è per evitare una guerra. Dobbiamo evitarla. Dobbiamo morire.
-non ho molte speranze vero?- chiedo quasi apatica e disinteressata alla risposta.
-né più né meno di quante ne abbia io. O Merope- risponde continuando ad accarezzarmi i capelli. Bella consolazione, quella di essere paragonata ad una ragazza che tra poco non muoverà più un muscolo. Più che una consolazione mi pare una condanna.
In quel momento sentiamo una musica imponente alzarsi sulle nostre teste e nel cielo sopra di noi viene proiettato il sigillo di Capitol 13. Quasi dimenticavo: il riepilogo dei caduti del primo giorno.
E’ adesso che il cuore mi si fa piccolo piccolo e vado in apnea nella speranza di non vedere il volto di mio fratello tra quelli che compariranno tra poco.
Senza dire una parola io e Finnick rimaniamo col naso all’insù.
Appaiono le foto dei caduti. Mentre scorrono riconosco la ragazza della mia Cornucopia e il ragazzino accanto a lei, entrambi del Distretto 3. Poi i tributi del Distretto 9. Altri volti che ho visto solo un paio di volte, come entrambi i tributi del 5 e del 6, l’altro tributo del 7 e uno dell’11. A concludere la macabra carrellata è il volto di Klinger, distretto 8.
Deglutisco.
Suona di nuovo l’inno, compare il sigillo e l’ologramma sparisce. Non c’è Chays.
Chays non è morto. E’ vivo ed è lassù da solo, ma io non posso ancora raggiungerlo.
Finnick si allunga ad afferrare la scatoletta di carne essiccata e mi chiede:
-vuoi?-
Annuisco e butto giù un po’ di cibo. La fame mi è passata, ma se voglio rimettermi in forze devo almeno mangiare. Abbiamo sete, adesso.
Comincio a schioccare la lingua contro palato.
-ah, smettila- dice Finnick sorridendo –mi fai venire ancora più sete-
Eccolo quel sorriso. Il sorriso di cui, adesso ne sono sicura, mi sono innamorata. Il sorriso senza il quale non sarei qui a lottare, o semplicemente a farmi lisciare i capelli.
Di punto in bianco, ma lentamente, si china e mi bacia. Lo fa per la prima volta dall’inizio degli Hunger Games. Sento il suo sapore su di me e dentro di me e mi sento.. un’altra persona. La persona che aveva trovato felicità quella notte, sulla spiaggia.
Quando si rialza sono consapevole che tutti stanno fissando allibiti lo schermo. E ne ho la conferma quando un contenitore metallico legato ad un paracadute atterra davanti a noi con un continuo bip bip.
Mi metto a sedere e lascio che Finnick lo raccolga e ne esamini il contenuto.
-acqua?- chiedo.
Lui scuote la testa: -medicine.. e un biglietto-
Me lo porge mentre tira fuori dal contenitore un tubetto bianco.
-Ottimo lavoro. Adesso smettete di sperare in un miracolo e cercate l’acqua- Recito ad alta voce.
Finnick ride sommessamente e raccoglie il biglietto.
-se il bacio è servito a farci spedire medicine, dobbiamo farlo più spesso- dice e io sorrido.
-spalmiamoci addosso questa roba- dico. In silenzio ci togliamo le bende dalle ferite e ci mettiamo una sostanza bianca sopra. Ci riappoggiamo sopra le fasciature e andiamo a somministrarla anche alle altre.
Dietro il tubo c’è scritto: “commestibile”.
-suppongo si possa ingerire- dico –dovrebbe far effetto anche così-
Sveglio Merope e gliene faccio ingollare una buona parte. Lei riluttante tende a sputarla e dobbiamo costringerla ad ingoiarla tutta. Poi con Jymith facciamo la stessa cosa. Infilo la pomata in uno zaino.
-stanca?- mi chiede Finnick, dopo che le altre si sono riaddormentate. Scuoto la testa, ma sono poco credibile e quando torniamo all’entrata della grotta e mi stendo di nuovo sulle sue gambe, sprofondo in un sonno inaspettatamente, relativamente, tranquillo.
 

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


 
L’alba arriva presto. Troppo presto. Quando mi sveglio mi accorgo che Finnick è rimasto vigile tutta la notte a fare la guardia.
-dovevi svegliarmi- lo rimprovero. Lui sorride e scuote le spalle:
-dormivi così bene che farlo era un peccato. Invece di lamentarti, guardati le ferite- mi dice alzandosi. Io mi sposto e con stupore scopro di riuscire ad alzarmi in piedi senza tutte le difficoltà del giorno precedente. Mi guardo le bende e devo togliermele in fretta nel panico perché sono totalmente impregnate di sangue.
-che diamine è successo?- esclamo togliendomi le fasciature con foga. Ho perso tutto quel sangue nel giro di una notte?
Quando le ferite mi rimangono scoperte e le scorgo attraverso i vestiti strappati tiro un profondo sospiro di sollievo. Sono quasi totalmente rimarginate, sulla pelle si intravedono solo qualche graffio e cicatrice. Ripulisco con cautela le ferite dal sangue ormai secco e le accarezzo per testarne la sensibilità.
-quella roba che ci siamo dati ieri sera ha fatto in modo che tutto il sangue infetto uscisse dalla ferita e che non rimanesse niente di contaminato nel sangue – spiega Finnick che agita in mano una borraccia –poi, non so come, anche le ferite stesse si sono rimarginate-
Si avvicina a me, mi bacia frettolosamente e mi lascia in mano la borraccia.
Lo guardo per un momento mentre entra nella caverna a svegliare Jymith e Merope e poi realizzo di avere in mano una borraccia. La agito un po’ e mi accorgo che è piena. Piena di che? Sangue che ha perso stanotte? Penso mentre la esamino con gli occhi. La apro con calma e quando lo faccio qualche schizzo d’acqua mi piomba sulle dita. Rimango sorpresa a guardare l’acqua sui polpastrelli e senza pensarci due volte me li lecco. Quando quelle gocce toccano la mia lingua la sete sembra aumentare terribilmente e il mio desiderio di bere diventa bramoso. È un giorno intero che non beviamo. Prima di farlo mi sforzo di aspettare e controllare i bordi della borraccia, aspettandomi di vedere qualche macchia blu comparire minacciosa. Ma niente. Soffio sul bordo e ancora niente.
E’ buona. E’ finalmente acqua potabile. Mi ci attacco con incredibile avidità e rimango lì ad occhi chiusi a ingollare buona parte dell’acqua che la borraccia contiene , mentre il sole che sale da dietro il castello emana i suoi caldi raggi. Quando mi ritengo sufficientemente dissetata entro nella caverna e chiedo:
-Finnick dove l’hai presa?-
Lui si volta con un sorriso enorme sulle labbra e accanto a lui in piedi c’è Merope.
-riesce a camminare!- esclama Jymith –e io non ho più quel dolore terribile alla caviglia-
Haymitch e Aldous hanno fatto un ottimo lavoro, spedendoci quella medicina.
Sorrido anch’io e vado ad abbracciare entrambe. Jymith è così felice che sembra abbia appena vinto gli Hunger Games e negarle l’affetto adesso sarebbe crudele. Per la prima volta nella mia vita la vedo sorridere. Non ho mai pensato a come sarebbe stato il suo sorriso, ma adesso che lo vedo sono convinta che sia uno dei più bei sorrisi di sempre. Forse dopo quello di Finnick. Le si illuminano gli occhi di un colore diverso, in modo inspiegabile.
-adesso basta con le smancerie, usciamo di qui e troviamo qualcosa da mangiare. Lo stomaco mi ha brontolato tutta la notte-
-vado io- dico –voi uscite a prendere aria, ma non allontanatevi dall’entrata della caverna-
-te lo scordi- Merope mi passa accanto, afferra la spada appoggiata alla parete e si infila un coltello nella cintura alla vita. Mi guarda e sorride beffarda:
-sono stata seduta anche troppo a lungo, stellina. Andiamo-
Finnick e Jymith escono insieme a noi, ma si limitano a rimanere nei paraggi del nostro rifugio, mentre io e Merope ci dirigiamo verso la Cornucopia al centro della terza arena.
Mi giro a guardare i nostri due compagni ancora una volta e li scorgo mentre parlano e camminano per un giro di perlustrazione. Ed ecco che torna quella sensazione che non sopporto.
Come la chiamano? Gelosia? No, non sono gelosa. Finnick mi ha spiegato perfettamente chi è Jymith, anche se non ho ancora avuto modo di parlargliene, e quindi il perché è così attaccato a lei.
E’ come una scommessa: suo padre ha salvato la madre di Jymith e adesso tocca a lui proteggere la figlia. È una sfida personale e io, adesso, devo mettere da parte il mio dannato orgoglio e lasciare che compia la sua missione privata.
Quando Merope mi chiama mi accorgo che siamo arrivati alla Cornucopia. Non ci sono armi. I tributi che sono stati lanciati qui devono averle prese tutte. C’è ancora un po’ di sangue che macchia l’asfalto, ma l’Overcraft di turno deve aver portato via i cadaveri.
Ripenso ai caduti della prima giornata. Undici ragazzi, come me, come Merope, Finnick e Jymith, che sono morti sotto le armi di altri giovani che vogliono solo ritornare a casa, nel loro Distretto.
Camminiamo sull’asfalto che si fa sempre più caldo ed emana ondate di calore ad ogni passo. Evitiamo di calpestare il sangue e scorgiamo proprio all’interno della Cornucopia uno zainetto squarciato.
Non c’è nessuno in giro, eppure il contenuto dello zaino è ancora lì: frutta secca e una borraccia.
La raccolgo e sento che è piena d’acqua.
Qualcuno deve essere tornato alla Cornucopia a raccogliere armi e si è fatto uccidere lasciando in terra ciò che era suo.
Di colpo mi torna in mente la domanda che Finnick ha lasciato in sospeso poco tempo prima, preso dalla frenesia della guarigione. Ovunque abbia preso l’acqua, il tributo morto dev’esserci arrivato prima di lui.
Passo la borraccia a Merope, che se la infila avidamente nello zaino.
-qui non c’è niente. Andiamo avanti- dice, superandomi a grandi passi.
Ad un certo punto la sento esclamare:
-svelato il mistero! Muoviti a venire qui!- mi grida.
Affretto il passo e la raggiungo in prossimità di una fonte di acqua che scaturisce dalle rocce che delimitano questa parte di arena. Ci lasciamo andare ad un sospiro di sollievo e riempiamo di nuovo le borracce fino all’orlo. Beviamo un po’ e ci alziamo. Scruto al di là delle rocce e intravedo una zona verde, pianeggiante, che sale e si tramuta nella collina che regge il castello.
Due piccioni con una fava, anzi tre: abbiamo trovato l’acqua, il modo di arrivare al castello e una zona boschiva dove cacciare.
E’ adesso che nell’aria rimbomba il boato del cannone. Rabbrividisco e mi immobilizzo, mentre Merope si volta verso di me. Io mi giro di scatto e intravedo, dalla parte opposta dell’arena, in prossimità della nostra caverna, due sagome che si muovono. Una si ferma e alza il tridente, agitandolo in aria da destra a sinistra.
È un segnale. Stanno bene.
Chays. A questo punto la paura torna più forte di prima e mi ritrovo a dover affrontare la nauseante angoscia che mi stringerà finchè non saprò chi è morto.
-devo raggiungere il castello- dico, allungando il passo, sorpassando Merope e cominciando a scavalcare le rocce.
-vacci piano, bellezza. Anche se fosse morto tuo fratello, non lo ritroverai adesso. L’Overcraft starà arrivando a prenderlo- mi grida Merope alle spalle. Ha ragione.
Ancora una volta penso amareggiata di non aver seguito la ragione, ma solo l’istinto.
Mi fermo a metà della mia arrampicata e aspetto che Merope mi raggiunga. Mi costringo a rimanere calma, respirando lentamente.
Dov’è finita la mia fiducia in Chays? Sa cavarsela. Se si è trovato un posto sicuro, non può essere morto. Il colpo di cannone deve essere stato sparato per qualcun altro.
Scavalchiamo insieme le rocce e ci ritroviamo su un prato maculato di cespugli. Il sole adesso è alto e splende sulle foglie verdi che riflettono la luce e si muovono alla lieve brezza che passa tra i rametti.
Un coniglio esce furtivo da un cespuglio e corre a nascondersi in un altro.
Imbraccio immediatamente l’arco e incocco una freccia.
-ecco il nostro pranzo- dico avvicinandomi piano.
Merope va dalla parte opposta, raccoglie un sasso e lo lancia nel cespuglio, movimento che fa scappare non uno, ma due conigli dalla loro tana. Fulminea ne abbatto uno e vedo l’altro cadere al suolo inchiodato dal coltello lanciato con precisione estrema da Merope.
-ottimo lavoro- mi dice battendomi un pungo sulla spalla –adesso mangiamoceli-
Torniamo indietro e attraversiamo di nuovo le rocce e l’asfalto fino a tornare alla grotta, dove Finnick e Jymith accolgono il cibo a braccia aperte.
Mangiamo con calma e intanto sentiamo sparare altri due colpi di cannone.
Più volte mi si stringe lo stomaco e mi rifiuto silenziosamente di mangiare, ma Finnick, con il suo fare da adulatore incredibilmente dolce riesce a farmi finire la mia porzione di coniglio.
Siamo abbastanza rifocillati e riposati. Adesso non c’è scusa che tenga, per me. Devo raggiungere Chays.
-allora- dico alzandomi –vogliamo rimanere qui tutto il giorno?-
Jymith si alza insieme a me:
-se vai da Chays io sono con te- raccoglie la spada appoggiata al muro e se la infila nel fodero. Si sistema la cintura con i coltelli e si avvia verso l’entrata della grotta.
Io mi volto a guardare Finnick e Merope. Lei non apre bocca, prende l’ascia e raggiunge Jymith. Finnick rimane a mettere a posto le sue cose nello zainetto.
Non dico niente e rimango a guardarlo. Quella che sento adesso è l’incertezza di sapere se verrà con noi o no. D’altra parte è stato lui, ieri sera, a mettermi addosso quell’ennesima insicurezza.
Ci mette qualche minuto e alla fine prende il tridente e si ferma accanto a me. Si avvicina al mio orecchio e mi sussurra: -prova a fidarti di me un po’ di più, Mellark-
Io chiudo gli occhi sollevata e sorrido. Credevo di farlo già. Di fidarmi di Finnick e invece non glielo dimostro.
Adesso posso farlo: ci avviamo verso la sorgente d’acqua e scavalchiamo le rocce.
-sono quattro arene, in definitiva- dice Finnick.
-io le chiamerei arena A, B, C, D. Giusto per orientarci meglio- suggerisce Jymith e noi accogliamo il suggerimento. Dunque siamo nell’arena D, adesso, quella del castello.
-andiamo, non abbiamo tutto il giorno- dice Finnick e si avvia su per il pendio della collinetta.
Finalmente ci siamo: stiamo andando da Chays, io sto raggiungendo mio fratello. Non può essere morto, non deve esserlo. Quei tre spari non erano per lui. Me ne convinco passo passo sempre di più e mi rendo conto che la mia non è illusione, ma solo lo sconforto che voglio tramutare nella forza per raggiungere quel castello così alto.
Mentre saliamo il caldo aumenta. Il sole picchia sulle pietre che costernano la collina e l’afa si fa pesante. Ci togliamo i giacchetti e li rinfoderiamo negli zaini. Sono costretta ad asciugarmi il sudore dalla fronte a più riprese e allontano dalla mente il pensiero di bere, se non è strettamente necessario. La fonte è alle nostre spalle e adesso non possiamo tornare indietro.
Mentre saliamo tengo i sospiri pesanti per me, ma sento che Jymith ansima profondamente e decidiamo di fermarci solo qualche secondo. Quando riprendiamo il sole sta cominciando la sua discesa. Devo raggiungere il castello prima che cali il sole. Non oso pensare gli ibridi che vagano di notte sul pendio di una collina o ad un ipotetico Grun ancora assetato di sangue.
Rischio di scivolare e Finnick mi sorregge, mentre Merope aiuta Jymith a continuare. A metà pomeriggio siamo stremati, ma riusciamo a raggiungere la cima della collina. A poco meno di un miglio di distanza c’è l’entrata del castello. Un piccolo ponte levatoio abbassato introduce all’interno di quella che credo essere la piazza centrale e il massiccio portone di legno chiodato è spalancato. Non si scorge nessuno.
-siamo arrivati- dico sospirando.
Nemmeno il tempo di sentirsi sollevati: la terra trema. Trema l’erba sotto le nostre scarpe, trema il terriccio e piccoli sassolini si staccano e cominciano a rotolare giù dalla collina.
Ci spostiamo tutti dal ciglio da cui siamo arrivati a indietreggiamo verso il castello, ma anche da là un rumore sordo ci fa voltare. Le pareti delle mura e delle torri tremano. Tremano come fossero budini e tutto rimbomba.
Terremoto.
Un’ennesima trovata degli strateghi, pericolosa quanto quella dell’ibrido del lago, se non di più.
Una crepa profonda si staglia sul terreno disegnando una linea di divisione tra me, Merope, Finnick e Jymith. Noi tre da una parte, lei da sola dall’altra, che rimane impietrita a guardare.
Poi il pezzo di terra dov’è Jymith comincia a staccarsi e mentre la terra trema ancora, la crepa diventa una profonda voragine.
-Jymith corri!- grida Finnick.
-corri e salta!- la incito anch’io, tendendole la mano. Siamo sul bordo del precipizio e Merope si allontana di qualche passo per non rischiare di precipitare.
-se rimani lì andrai giù insieme al terreno, devi saltare!- grido. Jymith sembra rinvenirsi troppo tardi. Comincia a correre, pallida in volto e quando è sull’orlo della voragine, salta.
Trattengo il respiro.
È sospesa in aria mentre il terreno sotto di lei si apre sempre di più.
Non ce la farà. Penso mentre sento il corpo diventare di fuoco per lo stupore.
Cade. Cade giù nel buio, dritta in bocca alla morte. Grido il suo nome e mi lancio verso di lei, atterrando di pancia con un braccio steso nella sua direzione. Sono in bilico sul bordo.
Continuo a tendere la mano e lei, cadendo, la sfiora.
Si dimena gridando mentre scompare sotto di me, sotto di noi, nel vuoto. Il terreno si stacca definitivamente e anche il bordo dove sono io comincia a sbriciolarsi.
Non la vedo più.
-Jymith, Jymith!- urlo ancora e ancora. Ma lei ormai non c’è più.
Sto lì a fissare il vuoto e cadrei anch’io nel nulla se non fosse per Finnick che mi prende per un braccio e mi riporta in piedi. Sentiamo il rombo del cannone che sovrasta per un attimo il rumore del terremoto.
Una voce alle nostre spalle grida in nostro soccorso:
-da questa parte!- mi volto e vedo Chays che sbraccia e ci fa segno di correre da lui. E’ sul ponte levatoio e lo vedo mentre corre all’interno del castello.
Sono stravolta dall’angoscia e dallo stupore. Non l’ho salvata. Jymith se n’è andata, come tributo della 76esima edizione degli Hunger Games. Ma corro. Corro più veloce che posso.
Supero Merope e Finnick e seguo mio fratello all’interno del castello.
Dietro di me entrano anche i miei compagni e Chays e un’altra ragazza tirano una corda spessa che fa alzare il ponte levatoio e chiudere il portone.
Siamo dentro, siamo chiusi nel castello e il terremoto cessa.
Io crollo a terra, stremata.

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


Ed ecco il Distretto 12. Ecco le case di legno e il palazzo di giustizia che domina la piazza. Ecco la panetteria di mio padre, ecco la Paylor che vaga da un palazzo all’altro a controllare la situazione. Poi c’è Effie che quando mi vede agita allegramente la manina bianca orlata da quelle incredibili unghie di ogni colore. Passa oltre e si dirige quasi saltellando verso l’ex Villaggio dei Vincitori. Ecco il fratellino di Jymith che mi corre ai piedi e mi indica il prato oltre il Giacimento. E adesso tutto diventa verde e azzurro. L’erba la sento tra le dita dei piedi nudi, il vento tra i capelli che adoro lasciare sciolti. Poi c’è mio fratello che ridendo tiene per mano Jymith, e mi porta all’interno della foresta. Mi fa appoggiare l’orecchio ad un albero e mi dice di ascoltare. Lui, che dice a me di ascoltare. Vedo Finnick che ride. Ride ed è immerso nel fiume che porta al lago.
Qualcuno mi da un bacio sulla fronte. Apro gli occhi a fatica.
Ed ecco la notte, il buio e il castello dell’arena D. Chiudo gli occhi e mi sforzo con tutta me stessa di tornare al Distretto 12. Ma non ci riesco, non posso farlo più. L’incanto è finito. Nemmeno l’immaginazione mi riporta più alla mia vecchia vita, come a farmi capire che di tutto ciò che amavo non è rimasto più niente: il Distretto 12 è stato quasi del tutto distrutto e Jymith è morta.
-ehi- qualcuno sussurra e mi da un altro bacio in fronte. Riapro gli occhi e questa volta sopra di me c’è Finnick che mi guarda con occhi luccicanti. Respiro forte e aspetto qualche secondo.
Devo essere svenuta appena arrivata al castello e adesso è notte.
Intravedo il rosso acceso dei suoi capelli contro il soffitto, l’azzurro dei suoi occhi che mi fissano.
-come ti senti?- mi chiede senza sorriso. Non sorride, non ci riesce nemmeno lui. Sento gli occhi che mi si riempiono di lacrime e ho la sensazione che anche i miei stiano luccicando nel buio.
Siamo su un letto, in una stanza del castello riccamente ammobiliata come nell’antichità.
-Finnick- dico e basta e gli getto le braccia al collo. Lui mi abbraccia e cade di lato accanto a me. Rimaniamo abbracciati per un infinito e incredibilmente dolce momento, poi lui inizia ad accarezzarmi il volto e io gli infilo lentamente una mano tra i capelli. E’ una sensazione fantastica. Sentirlo così vicino, sentire il suo respiro che sbatte contro la mia guancia e mi fa sospirare più forte. La sua pelle incontra la mia, con le mani, con il viso, il suo petto nudo, e i suoi capelli, sporchi e bagnati di sudore sono l’unica cosa che mi fa sentire.. a casa. Mi prendo tutto il tempo di godermi questo unico stato di tranquillità ed emozione forte e infinita e nemmeno lui osa interromperla.
Solo io, ad un certo punto, dico:
-mi dispiace, avrei dovuto salvarla..-
Lui mi mette un dito sulle labbra.
-ti amo- bisbiglia.
E’ la fine, penso. La fine della mia vita. Il cuore potrebbe smettere di battermi in petto in questo momento e in effetti lo fa per qualche secondo. L’ha detto davvero. Mi ama, sono così importante per lui.
Ora me ne rendo conto, mi rendo conto che anche lui è lo stesso per me. Ma finchè non avuto lui il coraggio di dirlo io non ho realizzato, come faccio sempre. Adesso è qui, ad occhi chiusi, accanto a me. Ha perso la sua missione e in qualche modo anch’io ho perso la mia, perdendo Jymith.
Ma adesso ci siamo dimenticati del mondo.
-anch’io- rispondo con un fil di voce. Temevo di non riuscire a trovarla per rispondergli.
Lui lascia andare un grande sospiro e allora mi rendo conto di aver trattenuto il fiato per tutto il tempo. Ci baciamo. E rimaniamo lì, sul letto del castello che sarà la nostra ultima spiaggia, aspettando l’alba.
 
-alzatevi!- qualcuno spalanca la porta della stanza svegliando me e Finnick di soprassalto. Faccio un balzo sul letto e afferro istintivamente l’arco che è accanto a me. Ma davanti ho Chays. E’ giorno, la luce filtra dai vetri delle finestre.
-che succede?- chiedo allarmata.
-dobbiamo andarcene di qui! Sono arrivati Grun e Liana, sono alleati e si sono portati dietro i tributi del 2-
Troppo in fretta. Troppo di colpo. Finnick si alza immediatamente dal letto, si rimette la maglietta e afferra il tridente. Senza pensare ad altro anch’io mi alzo e mi carico sulla spalla arco e faretra. 
 
 
Intanto alle spalle di Chays vedo comparire Merope e una ragazza bionda. La fisso per un istante: la ragazza del Distretto 1. Alta, gli occhi penetranti che mi osservano e una lancia ben stretta in mano. Ci esaminiamo a vicenda ed è quando raggiungo mio fratello e l’abbraccio che scopro come si chiama.
-lei è Wenna- mi dice Chays voltandosi a guardarla –l’unica che non mi ha ucciso alla Cornucopia-
La saluto con un breve gesto del capo –Distretto 1- dico diffidente.
-già, gli ex Favoriti- dice lei senza scostarsi di un millimetro e continuando a fissarmi come se fossi la peggior nemica da affrontare. Forse lo sono, per lei. E’ per questo che decido di non fidarmi.
-non dovresti essere alleata di Grun?- aggiungo sprezzante –adesso lui è qui-
-dev’essere venuto a cercarci- dice Chays, smorzando le parole in bocca a Wenna e impedendo un litigio imminente fra me e lei.
-dobbiamo andarcene dal castello- dice Merope, che parla adesso per la prima volta.
Ci incamminiamo per il corridoio alla nostra destra, ognuno con le armi impugnate, pronto a difendersi o attaccare.
-tranquilla, Mellark- Merope mi affianca e mi parla sottovoce –non mi fido nemmeno io. Se devo morire sicuramente non mi farò uccidere da lei-
-qui, nessuno di noi morirà più- dico. Guardo la ragazza che conduce il gruppo al fianco di Chays. Penso che potrebbe benissimo aver protetto mio fratello solo per avere tra le mani anche me, Finnick e Merope e ucciderci in un colpo solo. E’ robusta, tiene in mano quella lancia come fosse un ramoscello secco. Riuscirebbe ad uccidere un paio di noi, se proprio ci trovasse del tutto sprovvisti, ma sarebbe uccisa prima di finire il lavoro. Rifletto. Grun e Liana sono arrivati al castello. Castello che ieri era stato chiuso e sigillato da Chays e la stessa Wenna, chiudendo il portone, unica via d’accesso all’interno dell’edificio. Wenna deve averli aiutati ad entrare e adesso ci sta conducendo dritti in bocca a quei due giovani assassini, col pretesto di darci una mano ad uscire di qui senza che nessuno si faccia male. Ma qualcuno male se lo farà sicuramente. In uno scatto di rabbia penso che quel qualcuno non saranno né Chays, Finnick, Merope o io stessa. C’è un modo di uscire di qui. Lo so. Altrimenti Haymitch non mi avrebbe detto di usare l’energia e Aldous non mi avrebbe incitato, dicendomi che potevamo farcela.
Se c’è un modo, non mi farò uccidere prima di averlo trovato.
Passiamo in una galleria che fa da ponte tra l’ala Est, dov’eravamo noi, e l’ala Ovest del castello. La parete della stretta galleria che da sulla piazza è fatta interamente di finestre logore, ma colorate. Ci appiattiamo contro il muro dalla parte opposta per non farci scorgere da chiunque fosse stato nella piazza. Wenna è la prima a farlo. Bella giocata, farci credere di aiutarci e poi gettarci tra le mani di Grun, Liana e i tributi del Distretto 2. Mentre strusciamo il muro per infilarci in un nuovo corridoio, scorgo la Cornucopia al centro della piazza. Sembra tutto immobile, tranne un’ombra che si muove lenta dietro la Cornucopia.
-Sono in piazza- sussurro a Finnick accanto a me.
-non vedo niente- risponde lui alzando lo sguardo e cercando di mandarlo al di là delle finestre.
Mi volto verso Chays che è alla mia destra e bisbiglio:
-dove stiamo andando?-
-stiamo uscendo- risponde.
-Chays, usciremo in piazza?- insisto.
Lui, con fare seccato dice: -se continuiamo in questa direzione, sì. Là ci sono le scale che portano in piazza- indica il corridoio che stiamo raggiungendo e intravedo una rampa di scale strette e buie che scendono.
-non possiamo- gli sussurro cercando di mantenere la calma. E’ esattamente tutto come mi immaginavo: Wenna ci porta in piazza.
-che stai dicendo?- chiede stupefatto.
In quel momento una freccia frantuma una delle finestre di fronte a noi e ferisce di striscio Finnick ad un braccio.
-ci hanno visti!- grida Wenna –seguitemi, da questa parte!-
Faccio in tempo a voltarmi e vedere Finnick che mi annuisce e mi dice di correre nella direzione in cui stanno andando tutti. All’inizio lo faccio, poi le vedo.
Le scale. Wenna inizia a scenderle.
-No!- grido. Supero Chays che intanto mi urla qualcosa alle spalle che non capisco. Che non voglio capire. Raggiungo Wenna:
-stiamo andando in piazza, non è vero?- le grido in faccia.
-certo, dove pensavi di andare, idiota? Dobbiamo uscire da questi corridoi o ci prenderanno!- mi risponde digrignando i denti. Non mi fa paura, ma rabbia.
- è solo scendendo quelle scale che saremo in trappola- rispondo –non li hai visti, eh? Sono in piazza! Grun, Liana e quelli del 2, sono là pronti a farci fuori e tu ci stai attirando sulle punte delle loro spade!- grido furibonda. Lei impallidisce, ma continua a guardarmi irata. Mi si avvicina lentamente e mi sussurra in un orecchio:
-brava, la nostra eroina. Ti avevo sottovalutato-
Senza risponderle imbraccio l’arco, la spingo contro il muro e le premo il ferro del mio arco contro la gola. Lei lascia cadere la lancia, si attacca con le mani alla mia arma e barcolla, perdendo uno scalino con un piede.
-che stai facendo, Rue, sei impazzita?- mi urla Chays correndoci incontro.
-sta’ lontano!- gli grido di rimando –non te ne sei mai accorto vero? Di avere sotto il naso una piccola spia! Wenna ci sta portando da Grun e Liana, ve ne rendete conto?-
Sento Merope ridere di indignazione –lo sapevo, dovevo farla fuori immediatamente-
-è troppo tardi. Loro stanno già salendo queste scale- riesce ad ansimare Wenna sotto la forte pressione del mio arco. Attendo un attimo e sento passi lontani che si avvicinano, accompagnati da prepotenti grida di giubilo.
-non posso crederci- dice sconcertato Chays.
-via di qui, adesso- dice Finnick, prendendo Chays per un braccio e allontanandolo da lì. Io guardo ancora una volta Wenna negli occhi, comunicandole tutto il disprezzo che sento dentro. C’era da aspettarselo ovviamente. Che qualcuno ci attirasse in trappola per farci fuori, prima o poi. Ma adesso che quel qualcuno ce l’ho davanti la rabbia è quasi incontrollabile.
-sei felice che sia morta Jymith- le sussurro indignata –una in meno da uccidere-
Non le do il tempo di rispondere. Le tiro un calcio nella caviglia che a malapena la reggeva ancora in piedi sull’unico scalino a cui era appoggiata. La spingo con l’arco lontano da me e le do una botta in testa facendola rotolare giù per quelle scale buie e ripide. La sento urlare per un piccolo tratto, finchè altre voci si uniscono alla sua.
Voci che la chiamano per nome e la incitano ad alzarsi. Voci che adesso mi nominano a gran voce e che lanciano la loro inumana voglia di uccidere verso di me.
-vieni via!- esclama Finnick. Io corro verso di lui e torniamo indietro da dove siamo venuti.
Chays è sconvolto dalla sorpresa, il che mi fa pensare al fatto che Wenna deve essersi presa cura di lui fin troppo bene fino al nostro arrivo. Si era fidato di lei e lei l’ha tradito.
-c’è un altro modo di andare in piazza?- chiede Finnick rivolto a Chays. Lui correndo, ansima e riesce a rispondere balbettando: -c’è-
Indica una porta infondo al corridoio.
-altre scale. A chiocciola. Wenna le conosce, quindi muoviamoci-
Mentre corriamo verso il fondo del corridoio gli do una pacca sulla spalla, per farlo sentire importante. È importante, ma lui non se ne è mai reso conto. Ha sempre avuto bisogno di qualcuno che glielo dicesse.
Una volta davanti alla porta, Finnick la apre e ci fa passare. Io mi fermo un attimo a guardare negli occhi mio fratello:
-non moriremo, vero, Rue?- chiede con le lacrime agli occhi. Quattordici anni. Solo quattordici anni di vita.
-certo che non moriremo-
-ma Jymith..-
-non pensare a lei e cammina, vai, ti raggiungo subito- dico. Lascio Chays nelle abili mani di Merope che lo conduce a grandi passi giù per le scalette a chiocciola, finchè entrambi non scompaiono nel buio. Io mi volto a guardare Finnick. Mi accarezza lievemente il volto e chiude la porta con forza. Proprio in quel momento una freccia si conficca nel legno fino a trapassarlo.
-muoviamoci- mi dice.
Scendiamo anche noi e dopo qualche minuto di tensione soffocante, sbuchiamo dietro una colonna.
Siamo sotto il colonnato della piazza e davanti a noi c’è la Cornucopia.
Scorgiamo Merope e Chays che stanno entrando dentro la Cornucopia e noi, con uno scatto fulmineo, attraversiamo la piazza e corriamo verso di loro.
-Cavaliere del Mare!- qualcuno grida. Finnick si volta. Siamo nel mezzo della piazza, siamo troppo vulnerabili.
-ti piace questo?- Grun alza in aria il tridente, gli mostra un bottone sul manico e lentamente glielo punta contro. E’ lo stesso tipo di tridente che Finnick aveva usato sull’Overcraft. Quel coso manda scariche elettriche. Finnick mi da un colpo e mi getta a terra, schivando appena la scarica elettrica che ci avrebbe abbrustoliti entrambi in due secondi. Nella confusione del momento guardo l’arma di Finnick e noto che la sua è semplice, niente bottoni. Mi mordo le labbra al rimorso di non aver preso quel tridente prima di Grun.
Sempre stesa per terra, incocco impacciata una freccia. Riesco a fare una veloce capriola in avanti e a scagliare la freccia all’istante. Colpisco un giovane moro al petto, che cade gemendo in avanti.
Una ragazza, accanto a lui, si getta sul suo corpo e lo chiama per nome. Jack. Ecco come si chiamava il ragazzo del 2 che ho appena ucciso. Si è morto, perché la sua morte è appena stata annunciata dal tradizionale colpo di cannone.
Poi lei, con gli occhi rossi e lucidi alza lo sguardo su di me. Furibonda, grida il mio nome per intero. Afferra il suo arco e mi scaglia contro una freccia. Mi abbasso in tempo per vedere la freccia che graffia la superficie della Cornucopia e che viene deviata altrove.
Dobbiamo correre verso la Cornucopia ed entrare? No. Saremo in trappola. Loro non sanno che Merope e Chays sono entrati e Merope sta avendo il buon senso di non uscire allo scoperto.
Dobbiamo lottare.
Adesso. Questo è il momento.
Sento il cuore che batte forte. Mi giro un’ultima volta a guardare Finnick, per non farmi prendere da un insensato panico. Lui mi guarda e sorride.
E’ in piedi adesso.
Impugna fieramente il tridente. Il suo tridente.
-scappa- gli sussurro, ma ho l’impressione che lui riesca a capire ciò che dico solo leggendo dalle mie labbra.
Continua a sorridere, il che mi fa sentire una fitta di dolore.
-qui muori tu, Mellark- mi dice, avvicinandosi. Sento i passi e le urla di Grun, di Liana, della ragazza del 2 e di Wenna che si avvicinano minacciosi.
Mi guarda negli occhi.
Poi conclude:
-qui muoio io-
Se mai ci fosse un modo di sentire dolore più forte di questo, io non lo conosco.

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***


Forse l’ha detto perché sa che per noi è finita e che possiamo solo contare sulla salvezza di Merope e Chays.
Forse l’ha detto per farmi sentire meno sola, per sentirsi meno solo. Ma glielo leggo negli occhi chiari: non è il segno della resa. Non molla.
Continuo a guardarlo mentre estraggo una freccia dalla faretra.
-al mio tre- mi dice. Io annuisco cominciando a sentire la tensione farsi più tagliente di una lama.
-uno- alza il tridente a mezz’aria. Continuiamo a guardarci negli occhi e in un attimo mi attanaglia il terrore di non voler più distogliere lo sguardo.
-due- Sono tutti troppo vicini. Riesco quasi a sentire la lama della lancia di Wenna sulla mia pelle. Sto per incoccare la freccia, ma Finnick mi trattiene.
-due- ripete, come incitandomi a sopportare qualche altro secondo di attesa.
Vedo il tridente di Grun che si avvicina pericolosamente a Finnick.
E’ allora che lui grida: -tre!-
Lo faccio: abbandono il suo sguardo. L’ho bevuto tutto fino all’ultima goccia, l’ho intrappolato dentro di me. Adesso mi accompagna, da questo momento fino alla mia morte imminente.
Mi volto di scatto e lancio la prima freccia. Ferisco di striscio la ragazza del 2 che mi sta correndo contro come una furia. Intanto la lancia di Wenna mi ha trovata.
Lancio un urlo che spezza la confusione delle armi che cozzano e mi prendo la gamba con entrambi le mani, facendo ciondolare l’arco. Estraggo piano la lancia dalla gamba e mi mordo le labbra mentre sento il dolore incredibilmente acuto che mi squassa il corpo. Il sangue scende a fiotti, ma non ho il tempo di rifletterci su.
Wenna, disarmata,  si lancia addosso a me e mi atterra.
Rotoliamo per qualche metro finchè non sbatto con la schiena contro la Cornucopia. Non sento più la gamba o forse sento troppo dolore per rendermene conto.
Wenna mi preme con le sue braccia robuste contro la superficie di metallo e io non ho la forza di replicare.
-troppo facile- mi dice in faccia, quasi ridendo.
 Allunga un braccio a cercare la faretra alle mie spalle e in quel momento allenta la presa sul braccio sinistro.
Trovo la forza di tirarle un pugno in pieno volto, facendola rantolare di lato. Non stacca la presa dal mio braccio destro, ma afferro una freccia nella faretra con l’altro e la uso come coltello. La infilo nel braccio che mi tiene ferma. Lei molla improvvisamente la presa e grida di dolore tenendosi il braccio.
Mi alzo con una fatica immensa, cercando ti tenermi in piedi sulla sola gamba funzionante.
Rimango appoggiata alla parete della Cornucopia e intanto stordisco Wenna con un calcio più forte possibile diretto alla sua scatola cranica.
Non sento nessun colpo di cannone, quindi non è ancora morta, ma per il momento non mi da più fastidio. Poi alzo lo sguardo al di là del corpo di Wenna e vedo Finnick che combatte da solo contro la ragazza del 2 e Grun. Lei si tiene il braccio che le ho ferito e Finnick riesce, in un momento di libertà dagli attacchi di Grun, a trafiggerla col tridente. Adesso il cannone spara un colpo. Per la ragazza del 2. Poi altri due, ma non riesco a capire a chi siano diretti.
Intanto Grun è tornato all’attacco e ha colpito allo stomaco Finnick con il manico del tridente. Finnick cade sulle ginocchia e Grun lo stende del tutto con un una ginocchiata ben mirata sotto il mento.
Scatto immediatamente e mi getto addosso a Grun. Gli sono attaccata addosso come una sanguisuga e lui si dimena e agita il tridente in aria per togliersi il mio peso di dosso.
Solo che Finnick non si rialza.
Respira a fatica e si contorce in lenti movimenti.
Grun mi molla una gomitata e finisco a terra dietro di lui.
Si volta verso di me, stesa a terra e impotente, e mi sputa addosso. Cerco di indietreggiare spingendomi coi gomiti e la gamba sana, mentre Finnick si rialza e chiama l’attenzione del tributo del 10 su di se.
Grun, al centro tra noi due, si allontana di poco per squadrarci meglio e ride:
-tutti e due gli eroi di Panem alla mia mercè-
Cerco di alzarmi, ma non ci riesco. La gamba fa troppo male e la mia vista comincia ad annebbiarsi.
“Qui muori tu, Mellark. Qui muoio io” le parole di Finnick mi ronzano in testa come un’orrenda profezia.
-lui- dice indicando Finnick col tridente.
-e lei- mi punta la sua arma contro.
-chi uccido per primo?- continua beffardo. Ce la farà, penso. Chiunque uccida prima sarà uno strazio per l’uno o per l’altra.
-cominciamo dall’affascinante Finnick Odair- dice poi, dandomi le spalle –la Mellark non si alzerà ancora per un po’- conclude.
Non vedo più Finnick, Grun adesso è davanti a me e mi è d’impedimento anche solo per lanciare un ultimo sguardo a Finnick. Non so se è meglio o peggio non vederlo morire. Mi sento impotente. Le forze mi stanno abbandonando.
-Finnick- bisbiglio. Sento gli occhi riempirsi di lacrime. Poi vedo il tridente di Grun sollevato in aria. Sta per colpire. Chiudo gli occhi di scatto. Due lacrime mi scendono sulle guance mentre il tridente si abbassa.
Dopo pochi secondi il cannone spara un colpo.
Follia.
La follia mi pervade, non penso e non ragiono più. La follia è l’unica sensazione capace di restituirmi le forze per alzarmi, senza farmi sentire il dolore alla gamba e al naso che suppongo sia fratturato.
Incocco una freccia, miro al cuore di Grun e lancio.
L’ho colpito alle spalle, da vigliacca, ma non mi interessa. Lui ha ucciso Finnick, il mio Finnick.
Non grida, non geme. Ha un lieve rantolo di agonia e casca all’indietro verso di me.
I suoi occhi iniettati di sangue mi fissano terrorizzati.
-hai vinto, Stella Verde- ansima prima di rimanere pietrificato. Un altro colpo di cannone.
Non ho vinto proprio niente, penso mentre i miei occhi continuano a rimanere su quel volto orridamente esangue.
Ti ho ucciso, ma tu hai ucciso l’amore della mia vita. Ho perso. Ho perso in tutti i modi in cui potevo perdere. Quest’arena non ha più senso, tanto meglio morire.
Cade un’altra lacrima, che si deposita sul collo di Grun.
Quando alzo lo sguardo mi sento cedere.
E’ tutto il contrario di quello che credevo fosse successo: Merope è a terra, col tridente di Grun infilato nell’addome. Respira ancora e Finnick le sta estraendo lentamente le punte dal corpo insanguinato.
Mi avvicino e finisco in ginocchio accanto a lei. Lascio andare arco e faretra a terra.
-Rue- dice e allunga una mano verso di me. Gliela prendo e lei la stringe con decisione.
Finnick le tiene la testa in grembo e le sorregge le spalle un tempo così forti.
-si è sacrificata- dice Finnick, con voce spezzata –Grun non l’ha vista. Lei mi è saltata davanti e si è presa l’attacco diretto a me- Gli cade una lacrima.
Stringo anch’io la mano di Merope con tutte le forze.
-mi hai salvato la vita- le dice senza muoversi di un millimetro. Lei ridacchia:
-dovevate fidarvi un po’ di più di me- poi mi guarda –tutti e due-
L’ha sempre saputo, fin dal primo giorno in cui ci siamo conosciute e in cui siamo diventate alleate. Ha sempre saputo che non mi fidavo così tanto di lei. E adesso scopro che si è buttata a difendere Finnick, quando io non potevo.
-salvatevi, per piacere- continua –trovate il modo di andarvene, mi seccherebbe essermi fatta uccidere per niente. Chiaro?-
Io esito, non perché non voglia risponderle, ma perché la mia voce risulterebbe troppo incrinata.
-chiaro?- ripete lei.
-chiaro- rispondiamo all’unisono io e Finnick.
Merope continua a sorridere e ridacchiare. Poi non lo fa più. Non dice più niente e i suoi occhi fissano il cielo. Il rombo del cannone spara.
Un pensiero fulmineo mi passa per la testa. Se questo è il colpo per Merope, per chi era il primo che ho sentito? Non ho il coraggio di alzare lo sguardo, così aiuto Finnick ad alzarsi. Lui prende il tridente di Grun, guarda il bottone e sospira. Mentre ci dirigiamo verso la Cornucopia arrivano gli Overcraft che volano sulle nostre teste. Scorgo Chays appoggiato alla parete della Cornucopia, col volto pallido e l’aria sconvolta.
La spada nella sua mano è insanguinata.
Cinque bracci meccanici calano sulla piazza. Raccolgono Jack, dietro alla colonna, la ragazza del 2, Grun, Wenna (ecco per chi era il rombo del cannone), Liana e Merope. Solo ora mi accorgo della presenza della ragazza dell’8, ex compagna di Klinger. Dev’essere morta sotto i colpi di Chays o di Finnick. Assistiamo alla terribile scena del corpo straziato di Merope che viene sollevato fino a scomparire. Io, Finnick e Chays, adesso affiancati, baciamo tre dita della mano e le portiamo verso il corpo di Merope che sta scomparendo. Chays lo fa anche per Wenna.
Poi alzo il dito indice della mano destra al cielo.
Questo è il mio segno di riconoscimento e Finnick mi accompagna nel gesto.
 
Quella sera cadiamo tutti stremati a terra.
Siamo all’interno della Cornucopia, protetti da .. chi? Nessuno. Perché all’interno dell’arena siamo rimasti solo noi. Chays, Finnick ed io.
Ci è rimasto un solo zainetto. Ci mangiamo tutta la frutta secca che c’era all’interno e ci spalmiamo sulle ferite quel poco di medicina rimasta di Aldous e Haymitch. Pian piano il dolore si fa meno intenso, ma adesso abbiamo sete. Due sorsi ciascuno dalla borraccia e ci dobbiamo accontentare. Se vogliamo sopravvivere anche alla giornata successiva.
Adesso la domanda è: come ne veniamo fuori? Siamo rimasti noi tre. Ho accanto a me le persone che più amo al mondo. Immagino già mia madre e mio padre che piangono davanti alla tv per l’imminente scomparsa dei loro figli e immagino Annie soffocata dal dolore su una sedia solitaria.
Certo non ci uccideremo, quindi di cosa moriremo? Di fame e di sete.
A questo punto dobbiamo solo guardarci negli occhi e vederci morire giorno dopo giorno. In tutta Capitol 13 saranno già partite le scommesse per vedere chi sarà il primo che si porteranno via la fame e la sete.
La notte compare nel cielo il simbolo di Capitol City: mostra i morti di oggi, ma li conosciamo fin troppo bene e ci rifiutiamo di guardare.
Mentre ci lasciamo andare al buio della Cornucopia, una voce potente aleggia sulle nostre teste. La sentiamo per la prima volta dall’inizio dei Giochi.
-attenzione, tributi, attenzione. Vi comunichiamo che le arene A, B e C sono state .. chiuse, per la vostra sicurezza, essendo gli ultimi tre tributi rimasti. Buona permanenza nell’arena D. E possa la fortuna sempre essere a vostro favore-
E addio.
Siamo chiusi in un castello dove non abbiamo cibo e acqua e dove sanno perfettamente che non ci scanneremo fino alla morte. Ormai non ci stupisce più niente, nemmeno questo annuncio. Tanto non ci saremo mossi di un millimetro.
Proviamo a dormire, per ingannare quel poco tempo che ci rimane da vivere. Vorrei sapere come sta gioendo la Coin in questo momento. Il risultato che sta ottenendo è un’edizione degli Hunger Games con 24 caduti. E ci riuscirà sempre più man mano che i minuti passano.
Finnick mi tiene la mano per tutto il tempo. Non ci stacchiamo mai. Chays dorme sulle mie gambe e io ogni tanto gli accarezzo i capelli. Fisso il vuoto, non riesco a dormire quasi mai.
Quando sembra che i miei occhi si assopiscano finalmente un po’, Chays fa un improvviso scossone e mi fa muovere di scatto verso Finnick.
Sbatto contro qualcosa a terra e mi mordo le labbra per evitare di imprecare.
Quando guardo in cosa sono incappata, scorgo una maniglia.
Lascio la mano di Finnick che si sveglia piano. Sposto le nostre armi e la scatola vuota di frutta secca e rimango a bocca aperta.
Guardo Finnick.
-una botola- dico, capendo cosa può voler dire.

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Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***


Energia.
La leggo bene, è chiara. Incisa a grandi lettere al centro della botola di ferro. La fisso senza dire niente.
“Che ti dicevo, dolcezza? Usa la testa, adesso” Sento Haymitch che mi parla nelle orecchie, poi mi assilla i pensieri. Me l’aveva detto. Usa l’energia. E io che pensavo che l’avesse detto solo per darmi qualche tipo di speranza o per dare aria alla bocca. Continuo a guardare la scritta a occhi sgranati.
Haymitch. Ha davvero rischiato la vita come Cinna ai tempi di mia madre e forse il risultato sarà lo stesso. Mia madre si salvò e salvò Panem. Se io rimango in vita. Se Finnick rimane in vita. Se Chays non muore.
Siamo noi tre, la nuova generazione di eroi contro Capitol 13. Penso a tutto questo continuando a fissare la scritta Energia sulla botola di ferro.
Finnick mi sposta leggermente con una mano. Rimango ferma ad osservarlo mentre cerca di aprire la botola attaccandosi alla maniglia. Scuoto la testa lentamente, capendo che non è così che si aprirà.
-no- gli dico e lo sposto.
-vedi?- continuo, indicandogli la scritta al centro.
-Si. Che c’entra?- chiede lui perplesso –avanti, spostati  oppure aiutami a uscire di qui-
-non ci riuscirai mai se continui a tirare la maniglia senza considerare quello che c’è scritto- dico stizzita.
Lui mi rivolge uno sguardo veloce e sarcastico. Si riattacca alla maniglia e ricomincia a tirare.
-Finnick, ascolta-
Lui è completamente assorbito dal suo momentaneo impegno. Tira e tira quella maniglia, poi lascia la presa e scivola indietro. Si rigetta sulla botola e ricomincia da capo. Non mi ascolta. Questo mi fa capire che a lui non è stato detto niente, nessuno ha dato l’indizio che Haymitch ha dato a me.
-Devi ascoltarmi, so cosa significa la scritta sulla botola- cerco di convincerlo senza alzare troppo il tono della voce. Finnick continua a non rispondere e mi fa segno di zittirmi. Continua concitato e prova tutti i modi per aprire la botola.
Innervosita gli do un colpo sul braccio e lo sposto di lato. Lui fa per scattare arrabbiato, ma io lo prendo per un polso e lo costringo a guardarmi negli occhi:
-che c’è che non va? Aiutami- insiste lui.
-ti fidi di me?- chiedo serrando i denti quasi in tono di sfida. Lui mi guarda e non proferisce parola. Allento la stretta.
-non ti fidi- dico, non facendo niente per nascondere la mia rabbia.
Finnick si avvicina e il suo naso torna a sfiorare il mio –certo che mi fido, Mellark-
-allora lasciami fare- rispondo senza distogliere lo sguardo.
Lui indietreggia e quando sono sicura gli lascio il polso. Mi volto lentamente a guardare Chays. È appoggiato allo zainetto e dorme, suppongo, tranquillamente.
Torno ad osservare la botola.
Energia.
Ragiona, Rue. Ragiona. È l’unica possibilità. È l’ultimo aiuto che abbiamo e non possiamo lasciarlo lì senza fare niente. Mentre guardo la botola ho il, così detto, colpo di genio. E per un momento spero davvero di averlo avuto. L’arena. Solo questo posto è la risposta. Siamo al confine tra il Distretto 4 e il 5.
-ci sono- esclamo, mettendomi sulle ginocchia e rivolgendomi a Finnick.
-illuminazione?- chiede lui, a metà tra il sarcastico e lo speranzoso. Evito di fargli capire che ho notato il suo tono e comincio a spiegare:
-l’arena è situata tra il Distretto 4 e il Distretto 5, giusto?-
-proprio sul confine- conferma lui.
-bene. Il 4 è specializzato nella pesca, ma non è il caso che ci interessa. Qual è altra caratteristica contraddice il tuo distretto?- chiedo, sapendo già la risposta.
-non saprei. L’acqua?- chiede perplesso.
- Esatto. E’ più semplice di quanto pensi. Invece, il Distretto 5 è specializzato nello sviluppo dell’elettricità-
Finnick annuisce. Gli do il tempo di immagazzinare e lui conclude. Gli occhi gli si accendono. Ha capito e il mio cuore tira un lieve sospiro di sollievo.
-l’acqua e l’energia creano l’elettricità. La botola è programmata a elettricità, se continuiamo a tirare a mano senza capire come usare l’energia non riusciremo mai ad aprirla – dico, e Finnick annuisce.
-quanta acqua è rimasta?- chiedo. Finnick si guarda intorno e prende in mano le due borracce rimaste. Una è vuota, l’altra è a metà.
-questa basterà- dice e la mette accanto alla botola. Io mi alzo e raccolgo il tridente che Finnick aveva preso a Grun, una volta morto.
-questo manda scariche elettriche, giusto?- chiedo.
Lui annuisce e comincia a versare un po’ d’acqua sul bordo della botola, gesto che mi fa capire che ha afferrato le mie intenzioni e che, se tutto procede come previsto, dovrebbe funzionare.
Adesso il bordo della botola è ben bagnato. L’unica cosa che manca è l’energia, cioè la scarica elettrica che dovrà partire dalle tre punte del tridente.
Mi alzo in piedi e, anche quando Finnick è pronto, gli porgo il tridente che tenevo in mano.
-cosa facciamo con lui?- chiede, accennando a Chays, steso per terra. Mi volto a guardarlo.
-Non mi sembrerebbe il caso di svegliarlo, se non fosse che se lo lasciamo dov’è salterà in aria insieme alla botola- rispondo.
Finnick sorride per quanto possibile. Vado a svegliare mio fratello. Lo chiamo per nome un paio di volte e gli dico di alzarsi e spostarsi.
-perché?- chiede lui, ancora assonnato.
-forse abbiamo trovato il modo di andarcene, ma tu non puoi rimanere qui, è troppo pericoloso- dico, tenendogli una mano sulla spalla. Lui si alza.
-ma io non vado da nessuna parte- dice.
-devi solo spostarti, vieni con me- dico. Mi abbraccia.
-è vero?-
-cosa?-
-che potremmo uscire di qui?- chiede, speranzoso e incerto. Io annuisco e lo spingo dietro Finnick. Lui ci guarda un’ultima volta prima di imbracciare bene il tridente. Mi sorride. Anche adesso, soprattutto adesso.
Abbiamo paura, se qualcosa non dovesse funzionare saremo tutti morti. Ma coviamo la più grande speranza della nostra vita: aprire quella botola e trovare la strada che ci riporterà a casa.
Chays si guarda intorno, vede la botola e aggrotta la fronte.
-è bagnata- dice, poi vede il tridente che ha in mano Finnick. Lo riconosce come quello di Grun.
-avete intenzione di aprire la botola con l’elettricità?-dice- Giusto, anzi giustissimo- si fa ancora più pensieroso –siamo tra il Distretto 4 e il 5. Acqua ed elettricità. Ecco cosa volete fare, usare l’energia che il suolo contiene per aprire la botola. E volete usare l’acqua che avevamo e l’elettricità del tridente. Bene.. sì, non fa una piega, se non fosse per..-
-per cosa?- chiedo. Chays appena sveglio è la più potente arma intellettuale che possa esserci sulla faccia di Panem. Nel giro di due minuti e con qualche occhiata è riuscito a capire le nostre intenzioni e ha anche sollevato un’obiezione. Questo mi fa pensare. Anche lui sapeva di dover usare l’energia? Anche a lui era stato dato quel consiglio? Oppure ha fatto tutto da solo? Sarà sicuramente un dubbio che mi rimarrà fino al momento in cui non sapremo se moriremo adesso, tra qualche giorno oppure usciremo di qui.
Lui si rivolge a Finnick.
-Finnick vuole suicidarsi?- chiede, con aria saccente. Finnick lo guarda storto, non riuscendo a capire dove vuole arrivare.
-se lanci una scarica adesso, verso l’acqua, salterai in aria insieme alla botola-
Finnick guarda il tridente: -continuo a non capire-
Chays indica il tridente e poi l’acqua sparsa sul bordo della botola e spiega:
-la scarica elettrica partirà senza alcun problema, ma come toccherà l’acqua diverrà una terribile conduttrice di elettricità e il tridente farà da ponte che la condurrà dritto a te. In poche parole rimarrai folgorato- Rimango ad osservarlo.
Avrei dovuto capirlo io. Se non avessi svegliato Chays, probabilmente Finnick sarebbe morto folgorato. Mentre mi chiedo perché non c’ho pensato prima, Chays ha infilato una mano nel suo zaino e ne ha tirato fuori l’involucro che copriva il suo sacco a pelo.
Lo porge a Finnick.
-è di gomma. Isolerà te e le tue mani dalla scarica elettrica e ti salverà la vita- dice.
Finnick sorride, si rinvolge le mani con la copertura di gomma e scherza con Chays:
-dove sei stato tutto questo tempo, Mellark junior?-
Chays sorride. Io lo stringo forte per le spalle. Gli do un bacio tra i capelli e gli sussurro un sincero “grazie”.
Lui ridacchia e lo vedo mentre si sente forte.
Finnick si porta davanti a noi. È il momento, cosa aspettiamo? Usciamo di qui. O la va, o la spacca. Saremo morti comunque, quindi proviamo. La botola deve aprirsi.
Finnick ci fa segno di rimanere indietro.
In questo momento la terra inizia a tremare. Trema come quando siamo arrivati al castello e Jymith è morta. Il panico avvolge Chays, che comincia a dimenarsi tra le mie braccia. Cerco di calmarlo e urlo a Finnick di muoversi. Cosa mi viene in mente? Che ovviamente tutti sanno del nostro piano per uscire di qui e gli strateghi devono impedircelo in ogni modo. Quindi di nuovo terremoto.
Forte. Molto più forte di quello che ha ucciso la mia amica. Si forma una crepa lungo tutto il margine dell’interno della Cornucopia, che comincia a sprofondare lentamente nel terreno con un rumore stridulo e profondo. Terrorizzante. Finnick si guarda intorno un’ultima volta, poi mira bene alla botola.
La parte sinistra della parete della Cornucopia cede e minaccia di piombarci addosso.
Finnick preme il bottone sul tridente.
Rimane lì e guarda la botola.
-non succede niente!- grida.
-devi tener premuto il bottone, c’è bisogno di più elettricità- gli grida Chays di rimando.
La superficie di ferro della Cornucopia che ci sormonta comincia ad abbassarsi e noi stiamo in piedi a fatica. Allungo una mano e riesco a toccare il soffitto con il palmo della mano.
Nel panico Finnick mira di nuovo alla botola.
Preme.
Tiene premuto.
La botola romba di un rumore orrendo, misto a quello del terremoto e noi dobbiamo gettarci a terra per non essere colpiti dalle lamiere lanciate dall’esplosione.
Mi lancio in quel momento ad afferrare arco e frecce, me le carico in spalla meglio che posso e mi volto verso gli altri. Chays si è infilato la spada nel fodero legato alla cintura e Finnick mi fa segno di muovermi.
Adesso la Cornucopia si è abbassata talmente tanto da non darci più la possibilità di camminare.
Stiamo tutti e tre gattonando verso la botola. Finnick si ferma sul bordo e fa passare Chays.
Lo vedo mentre scompare nel buio del niente. Per un terribile momento penso ad una trappola e al fatto che Chays si sia buttato precisamente nelle fauci della morte.
Poi sento il ferro della Cornucopia che mi preme sulla schiena e Finnick mi dice di buttarmi dentro al buco nero.
Esito un momento. Se rimango qui muoio. Se mi getto potrei finire nel niente e rompermi l’osso del collo.
Nella più pessimista delle visioni morirei lo stesso.
Trattengo il fiato, guardo Finnick e mi butto.
Cado nel vuoto, tutto intorno a me è nero. Sento un boato terribile provenire da sopra di me. La Cornucopia è crollata e ha gettato Finnick giù dalla botola. Lo sento che grida sopra di me.
Ancora un grido, strozzato. Il mio.
Un colpo violento mi toglie il fiato. La testa risuona del rumore del silenzio.
 
Il terreno è duro, ma piastrellato. Muovo piano le dita senza aprire gli occhi. Sto appena riprendendo conoscenza e sento la superficie liscia e interrotta da venature sotto i miei polpastrelli.
Quando apro gli occhi due scarponi si muovono avanti e indietro davanti al mio naso.
Mi alzo e vedo la Coin che marcia su e giù per la stanza.
Il sudore alle mani comincia adesso. Come la prima volta che la vidi nella stanza di Finnick ed Annie.
Ma lui non c’è. Nemmeno Chays.
Solo io e lei.
La Coin si ferma, mi guarda, sorride.
-siamo alla resa dei conti Rue Mellark-

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Capitolo 26
*** Capitolo 26 ***


Rimango impassibile. Sento la faccia che brucia sul lato sinistro, devo esserci caduta sopra e il petto mi fa male. Ma non mi stupisco nel vedere la Coin davanti a me.
-dove sono Finnick e Chays?- chiedo, iniziando uno scontro verbale che finirà indubbiamente con la morte di una delle due contendenti.
-sono morti- dice, poi alza lo sguardo verso di me. Continua a passeggiare su e giù. Sta bleffando.
Ride stridulamente: -sarebbe stato troppo facile ucciderli. D’altra parte la sfida è tra di noi, non è vero?-
-che gli è successo?- abbaio improvvisamente. La Coin si ferma e mi guarda:
-niente. Sono solo stati allontanati da qui. E’ con te, figlia di Katniss Everdeen, che ho un conto in sospeso-
Dice senza sorridere più.
Rifletto velocemente e poi dico: -quali sono le condizioni?-
Devono esserci. Non ha fatto allontanare Chays e Finnick solo per la loro sicurezza, ma li tiene come ostaggi. Esattamente come faceva all’inizio con Chays. Secondo ciò che ha in mente potrebbe andare a finire male per tutti. Non accetta certo il fatto che siamo riusciti a scappare dall’arena.
-semplici. Io e te adesso ce la vediamo a quattr’occhi. Se vinco io mi prendo la tua vita e quella di tutte quelle persone a cui dici di voler bene. Sai.. tua madre, tuo padre, tuo fratello e il tuo grande amore- dice soppesando le parole.
Rimango immobile.
-se vinco io?-
-ti prenderai la mia vita e .. Panem. E avrai salva la tua e quella dei tuoi amici- risponde lei.
Cede così? Con una mia vittoria potrebbe lasciar andare tutto quello per cui ha sconvolto di nuovo questo mondo?
Poi sorride.
-non sarei voluta giungere ad un compromesso del genere, se non fosse stato per la vostra reazione nell’arena. Credimi, se ti dico che metà di Capitol 13 ha abbandonato il progetto iniziale per tifare per voi tre. Ho dovuto stringere quest’accordo, altrimenti..-
-l’avrebbero uccisa subito- concludo.
Lei annuisce: -e metà di Capitol 13 non basta a contrastare tutto il paese. Ma se vinco, addio la vostra amata ribellione-
Respiro a fondo.
Non voglio più indugiare:
-cosa devo fare per riavere la mia vita?- chiedo innervosita.
La Coin mi indica un angolo della stanza. Solo adesso mi accorgo che è tutta bianca e vuota. C’è solo una porta di ferro alla mia destra. In quell’angolo ci sono le mie frecce e il mio arco dell’arena.
L’ex presidente tira fuori dalla cintura una pistola. La guardo sospettosa.
-tranquilla Mellark, qui dentro ci sono tanti proiettili quante frecce contiene la tua faretra. Cinque-
Mi fa segno di prendere la mia arma.
Mi avvicino all’arco, lo prendo e lo stringo nella mano destra, poi mi carico la faretra in spalla. Solo cinque frecce. Contro cinque proiettili che mi potrebbero uccidere ancor prima di incoccare una freccia.
Quando mi volto la Coin è girata verso il muro e mi da le spalle.
-girati anche tu verso il muro- mi dice.
-per farmi uccidere meglio?- ringhio sarcastica.
-se avessi voluto ucciderti vigliaccamente l’avrei fatto un secondo fa, mentre raccoglievi l’arco-
La osservo ancora un secondo. Con la faccia contro il muro e la mano che regge la pistola lungo il fianco.
Respiro piano. Devo controllarmi.
Non ho il tempo di pensare a come stiano succedendo in fretta tutte queste cose. Gli ultimi minuti nell’arena sono ancora troppo vividi nella mia testa. Gli strateghi hanno fallito e non hanno ucciso nessuno di noi tre, con quel terremoto. Quindi la Coin è me che vuole.. ma non dovrebbe essere mia madre?
Non posso più riflettere, solo fare il gioco della donna dai capelli bianchi che mi sta di fronte.
Mentre mi volto verso il muro estraggo lentamente una freccia dalla faretra.
-cinque- dice la Coin e non capisco cosa vuol dire, finchè un secondo dopo continua:
-quattro-
Stringo forte l’arco.
-tre-
Incocco la freccia. Tre secondi e il mondo finirà. Non posso competere contro dei proiettili, è assurdo. Eppure qualcosa mi dice di combattere.
-due- sento lo scatto della pistola caricata dalla Coin. Per la mia famiglia, per Finnick ed Annie.
-uno- per Panem.
 
Ci giriamo entrambe in questo preciso momento. E io scaglio la prima freccia, gettandomi immediatamente di lato. Evito il proiettile diretto alla mia testa e la Coin evita la freccia che si scaglia contro il muro, perde pezzi e finisce a terra. Rotolo su una spalla, faccio una specie di capriola, gesto che mi permettere di scansare un altro colpo e incoccare un’altra freccia.
Mi volto anche adesso di scatto e lancio.
Prendo la Coin di striscio, in fronte. La vedo mentre la testa le piomba indietro e fa fatica a tenersi in piedi. Ho il tempo di incoccare un’altra freccia.
-bella mira- dice sarcastica e spara un colpo che mi colpisce in pieno la gamba già ferita nell’ultimo combattimento al castello.
Lancio un urlo smorzato e cado sulle ginocchia. Scorgo l’ombra della Coin che mi si avvicina correndo e ricordo di avere ancora la freccia incoccata. Impugno l’arco e trattenendo un’imprecazione di dolore tiro e colpisco il fianco dell’ex presidente. La freccia le rimane conficcata tra le membra e io intanto mi trascino via di lì con la gamba funzionante.
Non riesco ad alzarmi.
Aggiro la Coin che si sta estraendo la freccia dal corpo e mi posiziono alle sue spalle. Sporco di sangue tutto l’immacolato pavimento bianco, lasciando una scia che prelude la mia morte imminente. Sto perdendo troppo sangue.
Faccio fatica a respirare e ciò dev’essere causato anche alla caduta dalla botola.
E se.. tutto questo fosse solo un bluff? Se Finnick e Chays fossero davvero già morti? Se la mia famiglia fosse già stata sterminata e se del Distretto 12 ormai non fosse rimasto più niente? Non sono certa di niente adesso.
Tanto meno della mia sopravvivenza. Potrei morire proprio adesso, qui, per quanto ne so, con un buco nella gamba e senza forze per lottare ancora.
Vedo la Coin che si volta lentamente verso di me, con la pistola interamente macchiata di sangue in pugno.
Il suo viso è rosso del suo stesso sangue che scende dalla ferita alla fronte provocata dalla mia freccia.
Il suo sguardo è truce.
Forse anche lei sai di non avere più molto tempo da vivere. Cerca di fare un passo, ma barcolla e si appoggia al muro.
-non vi lascerò vincere di nuovo- sibila sputando sangue.
Respiro affannosamente e intanto incocco la mia penultima freccia. Anche alla Coin sono rimasti solo due proiettili.
Alziamo l’arma contemporaneamente e tiriamo nello stesso momento.
Non ci crederà nessuno, probabilmente. Se riuscirò ad uscire viva di qui, questa sarà proprio una cosa che tutti ignoreranno, credendo che l’arena mi abbia resa pazza.
Ma è successo così: la freccia e il proiettile si incontrano in aria. Il proiettile manda la mia freccia in pezzi, che però devia il colpo e mi salva la vita. Io abbasso la testa, giusto in tempo per sentire il proiettile che si conficca nel muro proprio sopra di me.
Appoggio allora la testa al muro, sfinita, chiudendo gli occhi per un secondo. Mi mordo le labbra e lascio andare un altro suono stridulo di dolore. Poi sento che la Coin ride.
-ciao, Ragazza in Fiamme- apro gli occhi e la vedo che mi punta la pistola contro.
Penso che spari adesso. Mi ucciderebbe sicuramente, ma non lo fa. Forse non ci riesce, tant’è che cade anche lei sulle ginocchia.
-ciao, Ghiandaia Imitatrice- continuo a fissare la canna della pistola puntata dritta verso il mio petto. Intanto la faretra mi crolla dalla spalla e io ne approfitto per afferrare lentamente l’ultima freccia.
Non farò mai in tempo ad incoccarla.
-va all’Inferno con tua madre, Stella Verde!- grida poi e spara.
Tutto quello che riesco a sentire è … niente.
Nemmeno il dolore.
Il proiettile mi ha colpita alla spalla. La mira della Coin non doveva più essere quella dell’inizio del combattimento. Il suo ultimo proiettile.
Vengo schiacciata contro il muro per il violento impatto. Rimango con gli occhi spalancati.
All’Inferno.. con mia madre.
Mia madre è morta. Ecco perché adesso rimaniamo solo io, mio fratello e mio padre da uccidere. Ma mio padre senza Katniss non ha la forza di andare avanti e non è più una minaccia. Mio fratello è piccolo, non rappresenta un grosso pericolo.
Io ho la stessa età che aveva mia madre quando ha dato vita alla ribellione. Io sono pericolosa.
-No, io vado in paradiso con Finnick, Alma Coin- sussurro. Non so come, con quale forza. Ma lo faccio.
Stringo forte la freccia che ho in mano, la incocco e miro al cuore della donna che mi sta di fronte.
Solo che il braccio colpito dal proiettile mi ricade inerme sulle gambe.
Allora tengo solo la freccia.
Chiudo gli occhi, li stringo.
I giorni d’allenamento. Le spade, i tridenti, i nodi.. i coltelli.
I coltelli.
Impugno ad occhi chiusi la freccia come fosse un coltello. Merope mi aveva insegnato ad usarli.
Apro gli occhi, vedo la Coin che apre le braccia senza il suo solito sorriso e vedo la mia mano che lancia la freccia con estrema precisione. Si conficca proprio nel cuore della donna.
-vacci tu, all’inferno. Ma questa volta per sempre- dico, poi cado sul braccio che ha appena lanciato la freccia.
La vista si offusca e il cadavere insanguinato della Coin diventa ovattato dalla patina dei sensi che se ne stanno andando. I nomi della mia vita mi si ripresentano  in punto di morte. I nomi dei caduti.
Chays.
Finnick.
Katniss.
Peeta.
Jymith.
Merope.
Haymitch.
Aldous.
Quanti di loro sono morti? Quanti di loro sto per raggiungere? Forse finalmente vedrò mia zia Primrose Everdeen. Forse potrò incontrare mia madre e dirle che mi dispiace. Forse.. muoio e basta.
 

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Capitolo 27
*** Capitolo 27 ***


“ti amo”
“anch’io”
E continua così per delle ore.
“ti amo”
“anch’io”
-resta con me- ogni tanto mi sembra di sentire questa frase.
Ogni tanto mi sembra che la mano di Finnick stringa ancora la mia, come prima dell’arena. Come nell’arena.
-ricordi quando ci siamo incontrati? Tu dormivi beata sul Prato, nel tuo Distretto- continuo a sentire questa voce lontana. Non so a chi appartenga. Non so perché la sento, se sono morta.
-eravamo diretti alla Parata della Memoria. È vero, sono successe tante cose orrende, ma noi ci siamo trovati. E adesso sei l’unica persona che amo che mi è rimasta-
La voce continua a parlarmi, ma io non capisco perché. Mi stringe la mano più forte, quella persona che un tempo conoscevo come Finnick.
-non te ne andare. Resta con me- ripete quelle parole.
Forse sono solo io che voglio sentirle, adesso che non appartengo più al mondo dei vivi. Forse io voglio ancora sentire la sua pelle accanto alla mia, mentre le sue dita intrecciano le mie, ma non è così.
So che non è così. Non potrebbe essere altrimenti.
Poi sento un formicolio lungo il mio corpo e le ferite bruciano. Quali ferite?
Sento che il mio corpo si muove da solo, senza che io lo controlli. Ma ancora non apro gli occhi. Chiunque mi stesse tendo la mano ha smesso di farlo e ora sta chiamando qualcuno.
Chi? Medici? Mi pare di sentire la parola “dottori”, ma non ne sono sicura.
Continuo solo a sentire il formicolio, sempre più intenso, il corpo che traballa senza controllo e le ferite che bruciano.
-Rue.. Rue, ricordati, resta con me!- la voce del ragazzo grida queste parole. Finnick. Sì credo sia lui, ma adesso non ricordo.. chi sia.
Poi vengo afferrata dalle braccia di più persone, trasportata su un letto diverso, da quello su cui credevo di essere prima. Qualcuno mi apre il pigiama abbottonato sul petto e adesso il freddo di due pezzi di ferro mi spinge contro il letto. Un secondo dopo una scossa forte mi scuote completamente, il formicolio si fa più intenso, poi scompare. Balzo quasi a sedere, poi ricado sdraiata.
Respiro. Come faccio a saperlo? Sento che dell’aria esce dalla mia bocca.
Vengo rimessa con grazia sul letto dov’ero prima.
E poi più niente. Ancora una volta, il buio.
 
Apro gli occhi.
-Rue!- un uomo biondo, dall’aria stanca e fiaccata chiama il mio nome e si china su di me per abbracciarmi. Sollevo piano il solo braccio che sento e tento di ricambiare l’abbraccio, anche se non so chi sia.
-Rue, grazie al cielo! Stai bene, ti sei svegliata! Almeno tu, se solo tua madre fosse qui per vedere questo miracolo- esclama l’uomo accarezzandomi il volto.
-mia madre?- non riesco a capire di cosa stia parlando e odio questa sensazione. Non so chi mi ha tenuto la mano, prima della crisi, e adesso non so chi mi sta parlando e di cosa.
-ma sono sicuro che ti sta guardando e che è orgogliosa di te- continua l’uomo.
Lo guardo un istante, poi chiedo:
-chi sei?-
Il silenzio cala nella stanza. L’uomo biondo perde il sorriso che gli ammantava il bel volto e adesso si stacca da me. Si volta a chiamare un’infermiera e il suo volto assume un’espressione impaurita, terrorizzata.
Perché? Che cosa ho fatto, cosa ho detto di tanto sconvolgente?
Entrano immediatamente una donna in un camice bianco e un ragazzo dai capelli rossi e dai magnifici occhi azzurri.
L’uomo biondo parla animatamente con la donna, che corruga la fronte preoccupata. Poi l’uomo si china di nuovo su di me:
-non ricordi? Sono tuo padre, Rue-
Io lo guardo senza rispondere. Mio padre. Eppure non sento di conoscerlo, sento solo una lieve sensazione di casa e non me la spiego.
-Peeta. Peeta Mellark. E tu sei Rue Mellark mia figlia-  continua. Mi volto a guardare il ragazzo dai capelli rossi che, bianco in volto mi guarda. Sorride. Perché lo fa?
Sembrano tutti così preoccupati, lo sono anch’io. E perché lui invece mi sorride? Sento una piccola fitta al cuore. Lo conosco. Ma chi è?
La porta di apre con un tonfo secco ed entra un ragazzino biondo che grida all’uomo che dice di essere mio padre:
-che vuol dire che non ricorda? Rue tu devi ricordare!- dice poi guardandomi negli occhi. Si avvicina a grandi passi, mentre la dottoressa cerca di calmarlo.
-sono tuo fratello, Chays! Gli alberi, ricordi? Tu.. tu amavi gli alberi e la linfa che scorre dentro i fusti. Sai tirare con l’arco, tu sei mia sorella!-
Qualche frammento di ricordo mi sale alla mente. L’arco. Ricordo un arco, insanguinato.
-mi dispiace io non..- tento di giustificarmi, mentre le lacrime mi salgono agli occhi.
Questa è la mia famiglia, anche se mia madre non è qui. E io nemmeno lo ricordo. Devo avergli voluto molto bene. A tutti loro.
La dottoressa porta fuori di peso Chays e Peeta, che si dimenano per rimanere. Gli occhi sono sempre più gonfi e minacciano di scoppiare.
Mi fa male una gamba e la spalla è dolorante.
Vedo il ragazzo dai capelli rossi che parla con la donna e la convince a rimanere ancora. Lei esce con mio padre e mio fratello e l’unico che rimane è quel ragazzo.
Si avvicina a me senza guardarmi negli occhi.
Io provo a capirci qualcosa:
-quanto male sto facendo- dico, seriamente convinta della mia affermazione. Lui non risponde, si siede accanto a me e rimane immobile.
-passerà- dice dopo qualche secondo di silenzio.
-forse non ricorderai tutto, ma voglio essere positivo- continua.
Io sospiro e mi rendo conto di quante persone sto ferendo. Potessi fare qualcosa la farei senza esitare.
Chiudo gli occhi per un attimo e cerco di mettere in ordine i nomi che ho appena sentito.
Peeta, mio padre. Chays, mio fratello.
-hai sempre avuto vuoti di memoria, non sarà poi così grave- sussurra lui, io a malapena riesco a sentirlo.
Dopo qualche secondo dico:
-mia madre è morta. Quando?-
-mentre noi eravamo nell’arena- dice e nella mia mente balza l’immagine di un castello –gli ultimi minuti. Sai, è stata lei a salvarci la vita. Ha minacciato il primo stratega con il suo arco e ha fatto sì che gli strateghi non ci annientassero con proiettili lanciati dalle pareti della Cornucopia, ma con un terremoto. Solo così abbiamo avuto il tempo di scappare-
Hunger Games. Qualche frammento arriva alla mente. Sono stata agli Hunger Games, con questo ragazzo per di più, e adesso sono viva.
Una fitta mi colpisce la testa e mi devo reggere la fronte con una mano. Mio fratello era con noi.
-Chays era con noi, non è vero?- chiedo al ragazzo. Lui annuisce.
-qualcosa ricordi. Ma non sai chi sono io- dice con aria distrutta e rammaricata.
-mi dispiace- sono solo in grado di rispondere.
Lui sospira –comunque tua madre è stata uccisa da uno stratega, dopo aver dato il via al terremoto. Un colpo di fucile, dicono-
-ha sofferto?- chiedo e sento le lacrime agli occhi.
-no, è morta dopo pochi secondi. Tutti dicono che abbia pronunciato il tuo nome, quello di tuo fratello e di tuo padre prima di morire- dice.
Rimaniamo entrambi in silenzio.
“va all’inferno con tua madre, Stella Verde”. Ecco altre parole. Chi le ha dette?
Quando alzo lo sguardo scorgo il ragazzo che si asciuga una lacrima. Rimane qualche secondo a fissare il pavimento, poi si alza e mi guarda negli occhi per la prima volta dall’inizio della conversazione.
 
Senza dire niente si avvicina.
Si china su di me e il suo respiro incontra la mia bocca. Sento il cuore che comincia a battermi in petto. Devo averlo amato. Molto. E adesso lo amo, anche se non so chi è.
-sono pazzo, sì. Sono pazzo per te e di te- sussurra. Io rimango immobile.
Mi bacia e io sento una strana sensazione che mi invade tutto il corpo.
So di aver già provato qualcosa del genere e proprio mentre sto pensando questo, tutto svanisce e rimaniamo solo io e lui. Le nostre bocche che si incontrano e i nostri respiri mozzati.
Il vuoto nella mia testa, il pieno nel mio cuore.
-ti amo- dice e si alza. Mi volta le spalle, asciugandosi un’altra furtiva lacrima.
Si dirige verso la porta e io rimango a fissarlo intontita. Talmente intontita che adesso ricordo tutto.
Tutto.
Tutto.
Troppo.
-Finnick- chiamo e lui si gira. Il suo petto di ferma. Suppongo stia trattenendo il respiro. È il suo nome. È lui il ragazzo del Distretto 4 che amo.
-Finnick Odair, Distretto 4, figlio di Finnick Odair e Annie Cresta. Ti amo anch’io- dico tutto d’un fiato. Lui mi fissa un attimo e lascia andare un respiro.
Mi corre incontro, mi prende la faccia tra le mani e mi bacia ancora e ancora. Questa volta ricambio il bacio e lo stringo forte a me. Io non so perché, non so quali miracoli accadano nella mia vita, ma ricordo tutto quello che è successo.
Piangiamo entrambi e i nostri baci diventano bagnati di lacrime.
Mio padre entra in quel momento.
Deve averci visti dalla porta.
-Rue..- sussurra.
Io mi stacco da Finnick e allargo le braccia verso di lui.
-papà-
È indescrivibile la sensazione che mi avvolge quando ci abbracciamo. Io e Peeta Mellark.
Adesso ho ritrovato la mia vita e la felicità è troppa, mista all’amarezza delle persone perse.
La serata finisce così, con Finnick, Peeta e Chays. Che mi raccontano cos’è successo da quando ho ucciso la Coin. Perché sta volta è successo davvero, Alma Coin non esiste più.
E la morte di mia madre e le sue sofferenze sono state finalmente rivendicate.
 

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Capitolo 28
*** Capitolo 28 ***


Il legno si frantuma, quando il mio scarpone affonda in quello che un tempo era il pavimento della panetteria. Pezzi di vetro sono ancora sparsi sopra la polvere e la cenere, in minuscole schegge. Cerco di respirare e muovo un altro passo. Il fastidioso scricchiolio delle macerie sotto i miei piedi mi riempie le orecchie.
 Mi guardo intorno, con aria assente.
Là c’era il bancone, che mio padre aveva fatto allargare dopo il matrimonio con mia madre e aveva invaso più di metà dell’ingresso della panetteria, che prima era tristemente vuoto. C’era il pane che ogni mattina, all’alba, veniva sfornato caldo, appoggiato sul legno chiaro che mia madre aveva procurato apposta per rimettere in sesto la panetteria. Era di tutti i tipi, il pane. Intrecciato, arruffato, salato e dolce. C’erano le schiacciatine, quelle croccanti, quelle morbide e i panini. Mia madre, prima di mandare a scuola me e mio fratello, ci riempiva sempre un sacchetto con un panino e un biscotto. Quello, però, dovevamo mangiarlo appena arrivati a scuola, ci avrebbe aiutato a mettere in moto il cervello, diceva. Quando tornavamo da scuola entravamo in negozio con foga, felici di raccontare quello che avevamo scoperto di nuovo sul mondo. E che mondo straordinario che era, quello.  
Marcio lentamente sulle macerie dei miei ricordi e guardo in su. Il tetto non c’è più, adesso il sole splende sopra la mia testa. Inciampo in qualcosa di duro e quando abbasso lo sguardo rimango a fissare l’oggetto che sembra scrutarmi tra i resti.
Un quadro fa capolino tra i pezzi di legno e il carbone. Esito a prenderlo in mano, potrei sbriciolarlo al solo contatto. Eppure, quando tendo la mano verso la tela, scopro che è ricoperto da uno spesso strato di vetro. Suppongo sia antisfondamento. Ha resistito all’esplosione. Lo prendo cautamente tra le mani e quando sono sicura che non si sbriciolerà lo ripulisco come posso con una manica della maglia.
Con un dolore improvviso che mi colpisce il petto vedo gli occhi di mia madre che mi guardano. Sorride. Sì, qui sorride ed ha un bellissimo sorriso. Quegli occhi azzurri passano attraverso lo strato di vetro e arrivano direttamente a colpire la mia sensibilità recentemente andata in pezzi, grazie alla lotta contro Capitol 13.
Sospiro, e quando lo faccio si alza dal vetro uno strato di polvere che non avevo visto. Impiega un secondo ad entrarmi nel naso e mi metto a tossire.
Decido di uscire da questo posto.
Stringo al petto il quadro rovinato, ma salvo e mi avvio verso quella che un tempo era la porta sul retro della panetteria. Da lì si cominciano a vedere i primi alberi che, tra una recinzione e l’altra, sfociano nel bosco. Delle pareti del negozio non è rimasto praticamente niente, solo qualche base delle mura portanti che mi aiutano ad orientarmi in questo deserto grigio.
Mi sento chiamare. E’ Chays, riconosco la voce e adesso ho paura che veda il quadro che ho trovato.
Lui ha reagito in modo diverso alla morte di mia madre e di Jymith. Diciamo che è diventato iperattivo.
Si è messo con mio padre a ricostruire la nostra vecchia casa, non del tutto distrutta e l’ex casa di Jymith. I suoi genitori sono ancora vivi e sono sull’orlo del tracollo di nervi. Non si vedono mai, stanno sempre nella vecchia casa in ristrutturazione. Per qualche settimana ho dato ad entrambi dei vigliacchi, perché non avevano nemmeno il coraggio di mettere il naso fuori dalla porta, poi ho capito che era meglio se stavo zitta.
Io non ho avuto il coraggio di venire a visitare la parte di Distretto rasa al suolo fino ad ora. Ed è passato un mese e mezzo. Casa nostra è quasi del tutto completata, manca solo da rifinire il tetto.
Papà dice che verrà ancora meglio di come Capitol City ce l’aveva costruita. E gli credo perché sia lui che mio fratello ci stanno mettendo davvero tanto impegno.
-Rue, vieni a vedere. Abbiamo finito la casa di Jymith- Chays si avvicina e mi parla dolcemente. L’ha sempre fatto da quando l’incubo è finito. Da quando ho recuperato la memoria in ospedale. Raramente mi rimprovera o si lamenta con me, come faceva un tempo.
Io stringo più forte il quadro al petto e rimango a fissare il bosco. Non ho voglia di vedere come è stata rimessa a nuovo la casa di Jymith. Non voglio tornare a sprofondare nel dolore della sua perdita, oltre a quello già intenso della morte di mia madre.
Chays deve averlo capito, perché mi appoggia una mano sulla spalla e mi costringe a girarmi verso di lui.
-cos’hai lì?- chiede. La sua voce è cambiata. Non voglio indagare su quali, delle innumerevoli cose subite da Capitol 13, gliel’abbia fatta cambiare, ma non è più la stessa. Sembra che sia diventato un adolescente in tutto e per tutto da un mese e mezzo.
Io lentamente gli porgo la confezione di vetro che contiene il quadro e Chays la prende con un soffio al cuore che lo fa sussultare.
-l’ho trovato in panetteria. Nemmeno voi c’eravate mai tornati vero?- dico, mentre Chays osserva senza fiatare il volto di mia madre dipinto tra mille rose bianche.
-no- dice infine –questo viene con noi- conclude, mettendosi l’involucro di vetro sotto il braccio.
-adesso vieni- mi da un lieve strattone e io decido di non replicare più. Aggiriamo l’ex palazzo di Giustizia, passiamo davanti alla casa del sindaco, del tutto intatta e camminiamo sui gingilli arrugginiti e macchiati che venivano venduti al mercato. Infondo alla strada una casa bianca dal grande balcone frontale spicca in lucentezza. Tra le poche mura intatte sono quelle ricostruite meglio.
Non sono molti gli abitanti del 12 sopravvissuti al bombardamento di mesi fa, ma hanno deciso di rimanere e di portare anche amici e conoscenti dagli altri Distretti. Inoltre abbiamo anche una grande quantità di rifugiati da Capitol 13. Mentre ci avviciniamo alla casa di Jymith incontriamo il verduraio e una donna bionda, che non avevo mai visto prima.
Dev’essere una delle nuove arrivate. Poi qualcuno la chiama per nome.
Madge. Oh, Madge. L’ho già sentita nominare.
Ma certo, l’amica di mia madre ai tempi d’oro, prima dei settantaquattresimi Hunger Games. E’ ancora viva. Tutti pensavano che fosse morta, persino i miei genitori, e invece si era solo trasferita in un altro Distretto.
Prima di sparire dentro una casetta in ristrutturazione mi guarda. Anzi, mi fissa.
Mentre le passo accanto sussurra –Grazie, Katniss-
Non ho il tempo di ragionarci su, perché mio padre fa capolino dalla porta sul balcone degli Windersee e ci fa segno di entrare. Quando siamo vicini alla porta, mi blocco.
-io resto fuori- dico, fissando la maniglia della porta.
-andiamo..- prova mio fratello.
-no. Chays, non insistere. Mi dispiace, ma non ce la faccio- lui mi guarda scoraggiato e io mi sento in obbligo di continuare: -tu e papà avete fatto un ottimo lavoro, questa casa è stupenda. Saluta i coniugi Windersee da parte mia e dì loro che..-
-che ti dispiace per Jymith?- mi interrompe Chays, in tono quasi accusatorio. È la prima volta che lo fa, da quando ha scoperto che non le ho potuto salvare la vita. Mi allontano di qualche passo dalla porta e da lui.
-non dirgli niente, lascia perdere- gli dico guardandolo negli occhi. No, non nascondo che quelle parole mi hanno fatto male. Non nascondo più niente, ormai. Aggiro la casa e mi lascio cadere su una panchina di legno sul retro. Istintivamente cerco il quadro, tastandomi il petto, ma improvvisamente ricordo di averlo lasciato nelle mani di mio fratello.
Mentre le mie dita calano sulla maglietta, incontro le linee morbide, ma decise della mia spilla.
Come la tocco il mio nome risuona ovunque: la Stella Verde. Pianto i piedi in terra per non perdere conoscenza, saltare fuori di nervi o mettermi ad urlare. Così mi mordo le labbra per evitare qualsiasi esclamazione.
Ma sono sconvolta. Mi sto accorgendo pian piano che questo posto, il mio Distretto, la mia casa, non ci sono più. Io non posso più vivere qui senza sentire le voci del morti che mi parlano nelle orecchie e mi sussurrano le frasi che mi hanno detto quando erano ancora in vita. Non posso guardare i boschi e vedere mia madre che, gioiosa, ancora giovane, va a caccia con Gale. Non posso camminare sulle macerie del negozio per cui mio padre ha speso anima e corpo, senza sentire un vuoto dentro, così grande, da rischiare di caderci completamente e non riemergere più.
Non posso continuare a vedere la casa di Jymith perfettamente rifatta, vicino alla mia, sapendo che lei non si affaccerà più dalle finestre o che non correrà più in giardino per vedere Chays che si allena con la spada.
Io non posso più vivere qui.
Questa non è più la mia casa. E’ la casa di molti, è la casa di quelli che il coraggio di continuare a viverci l’hanno trovato. Io non sono coraggiosa, non adesso. E mi dispiace tanto, perché dovrei esserlo per Chays e Finnick.
Già, Finnick. E’ a casa sua adesso. Si prende cura di sua madre, proprio come ha sempre fatto e ha ricostruito una nuova casa. In una lettera mi ha raccontato che è riuscito a costruirla in riva al mare, così il rumore delle onde che si infrangono contro le rocce ed a riva tranquillizza Annie.
Ogni tanto ci vediamo e sto bene quando sono con lui. Ma l’incantesimo dura poco e Finnick è costretto a prendere il suo hovercraft e a tornarsene a casa. E io rimango a fissare il cielo, sperando che torni indietro pregandomi di andarmene con lui.
Una volta l’ha fatto, ma è stato solo dopo qualche giorno il nostro ritorno al 12 e io non me la sentivo nemmeno di infilarmi un paio di scarpe senza mio padre accanto, figuriamoci se me ne sarei andata.
Eccolo che arriva, adesso. Sento i suoi passi.
Oh, li riconoscerei tra milioni. Così sicuri, così paterni, così familiari. Si siede accanto a me, senza dire niente e mi porge il quadro. Io lo prendo e lo rigiro tra le mani un paio di volte.
-è molto bello- dico.
-era il quadro preferito di tua madre. È stata lei a confezionarlo nel vetro, per paura che si sciupasse con tutto il fumo della panetteria-
Mi mette un braccio intorno alle spalle e io cedo. Gli crollo in petto piangendo come una bambina.
-ho paura papà!- esclamo ad alta voce. Non mi importa se tutto il Distretto mi sente.
Lui mi culla fra le sue braccia, mentre il mio corpo vibra tra i singhiozzi. Fortissimi singhiozzi che non riesco a sopportare. Stringo le mani intorno alla sua maglia e lo sento vicino.
-lo so- dice e sento che la sua voce è rotta.
-anch’io ne ho tanta- continua, ma non mi incita dicendomi che ho comunque lui e mio fratello, non mi dice nient’altro. Solo che anche lui ha paura. Ed è meglio di quanto pensassi. Continuo a piangere, ma adesso so che lui mi capisce e comincio a sentirmi meglio.
-eri una bambina. Tua madre è orgogliosa di te-
-grazie- rispondo.
-per cosa?- chiede mentre continua a stringermi fra le braccia.
-per aver detto “è” e non “era”-
Lui mi scuote un po’, indica il quadro e mi dice.
-tienilo tu-
Non capisco cosa vuol dire.
-In che senso, papà? Lo mettiamo in casa, no?-
-tu, lo metterai in casa. La tua casa, con Finnick-

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Capitolo 29
*** Epilogo ***


EPILOGO
 
 
Distretto 12.
Non avrei mai creduto di doverlo lasciare un giorno. Ho pensato a casa mia e ai boschi per tutta la durata della battaglia contro Capitol 13 e sognavo di poterci tornare, anche se ero consapevole che non sarebbe mai successo. Adesso che invece potrei viverci serenamente con mio padre e mio fratello, mi sono trasferita. Al Distretto 4, con Finnick. Eppure c’ho provato. A tornare ad abitare a casa mia, tra la mia gente. Ma non ci sono riuscita.
La prima volta che ho messo piede a casa mia dopo l’uccisione della Coin e la fine degli Hunger Games è stata insieme a mio padre e mio fratello. La prima sensazione è stata quella di famiglia, ma è durata poco, perché la famiglia al completo io non ce l’ho più ormai da tanto tempo. E la mancanza di mia madre si sentiva, traspirava da ogni parete, ogni mobile. Quando provavo a dormire, mi sembrava di sentirla entrare in camera per controllare che le mia finestra fosse ben chiusa e che il freddo non entrasse a darmi noia, come faceva sempre. Non sono riuscita a toccare un arco per molto tempo.
Mi ricorda mia madre. Mi ricorda gli Hunger Games. Mi ricorda la Coin. Ed è terribile.
Non avrei mai pensato di piangere così tanto la morte di Katniss Everdeen. L’intero paese l’ha compianta come una martire, un’eroina che ha salvato Panem ancora una volta. Ed è così, indubbiamente, perché è riuscita a salvarci la vita e a far sì che si sciogliesse anche l’ultimo rimasuglio dell’alleanza tra Capitol City e il 13. Adesso quel distretto non esiste più.
I superstiti e coloro che adesso sono dalla nostra parte si sono smistati nei Distretti e la nostra economia è diventata assai più fiorente. Quel che è rimasto del Distretto 13 non è che una zona del tutto inattiva, memore di una generazione che sembrava sconfitta e che invece è rinata contro di noi.
Adesso mi sistemo il vestito.
Il vestito che mia madre avrebbe voluto indossassi in un giorno come questo. Il suo vestito da sposa, quello che non ha mai indossato davanti alle telecamere, quello che io indosso per Finnick. Ho cercato di ribellarmi a questa scelta, non potevo nemmeno guardarlo, questo vestito, senza sentire la mancanza di mia madre.
Adesso ci sto dentro, ne tasto le pieghe con le dita e mi guardo allo specchio.
Cinque anni.
Sembra che non siano affatto passati su di me. Le cicatrici sul braccio e sulla gamba ci sono sempre e mi ricordano quanto sia stato alto il prezzo della nostra libertà. E’ costato la vita di troppe persone:
Katniss Everdeen, Merope Mason, Jymith Windersee, Denton, Grun, Wenna, Liana, Klinger. Persone che si sono trovate immischiate in una faccenda che non le riguardava, persone che avevano la loro vita o che, come mia madre, semplicemente pensavano che il passato fosse stato sepolto. Adesso sono loro sepolte. Non sono del tutto convinta che quei ragazzi, nell’arena, volessero la gloria, la vittoria. La fama, la ricchezza. Volevano tornare a casa, si sarebbero anche uccisi tra loro pur di farlo.
Continuo a guardarmi allo specchio, desiderando che mia madre, oggi, sbuchi da quella porta e mi abbracci dicendomi che è il giorno più bello e importante della mia vita.
E in effetti la porta si apre, ma entra mio padre.
-ehi, sei stupenda, te l’avevo già detto?- chiede con un sorriso sincero e commosso.
-sì papà, almeno una decina di volte- rispondo sorridendo.
Ci abbracciamo un’ultima volta prima del più grande viaggio della mia vita. Mi porge il braccio, mi scorta fuori dalla stanza e mi conduce davanti all’entrata del Comune. Nessuno si sposa in chiesa, nel Distretto 4.
Usano il Comune e questo gli basta. Basta anche a me, voglio solo vivere, adesso. Con Finnick, qui nel suo Distretto. Ho scoperto che ci sono delle belle foreste anche qui. La vegetazione è un po’ diversa, ma non mi ci vorrà molto per adattarmi. Posso comunque continuare ad andare a caccia. Inoltre Finnick mi ha insegnato a pescare un po’, ma ha promesso che dopo il matrimonio ci impegneremo di più.
Mio padre mi da un bacio sulla guancia prima di entrare.
Lo guardo negli occhi e gli osservo una lacrima scorrere sulla guancia.
Gliel’asciugo dolcemente e lui sorride. Annuiamo entrambi.
Mio padre mi ci sta portando, dentro il Comune.
Mio fratello apre la porta e mi prende l’altro braccio. Loro sono i miei uomini, i primi ed unici uomini della mia vita. Sono la mia famiglia. Ma Finnick.. Finnick che fa capolino oltre tutte le teste che si sono voltate a guardarmi. Lui è l’amore della mia vita. Lui è il mio nuovo inizio.
Mentre passiamo riconosco i volti del mio passato: Aldous mi sorride ed alza la mano in segno riconoscente e ben augurante. Ricambio il sorriso. Haymitch muove il capo in segno affermativo e mi fa l’occhiolino. Io cedo ad una vaga risatina. Poi vedo una donna, alta, mora. Il volto spavaldo, forte, incredibilmente simile a Merope. È Johanna, sua sorella. Un tempo pensavamo che le avessero ucciso tutta la famiglia, invece sua sorella era riuscita a sopravvivere rifugiandosi nel Distretto 6. Adesso è morta anche lei.
Incredibilmente Johanna mi rivolge un pallido sorriso. Lo ricambio, sincero.
Infine Finnick.
E’ un momento: mio padre e Chays mi lasciano, Finnick mi prende per la mano e siamo davanti al sindaco.
Qualche parola veloce e quando il sindaco chiede se vogliamo unirci in matrimonio il primo a rispondere è Finnick.
-vuoi tu, Finnick Odair, prendere la mano di Rue Mellark come tua sposa?-
-Si, e tu?- mi chiede lui direttamente, senza attendere che sia il sindaco a formulare la domanda.
-no- rispondo, dandogli il tempo di sbiancare –io non mi sposo la tua mano- sussurro,
-io mi sposo te- e ci baciamo, mentre tutti tirano un sospiro di sollievo e applaudono.
Tutto romantico se non fosse per il sindaco che:
-ho bisogno di un sì, signorina Mellark-
Io lo fisso un attimo, poi scoppio a ridere e stringo forte le mani di Finnick nelle mie: -sì, come glielo devo dire? Sì, voglio Finnick Odair come mio marito-
E possa la buona sorte sempre essere a vostro favore.
 

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