Behind the shadow - The beging di Devil Hunter Sheila_White (/viewuser.php?uid=204168)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter one ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - Ricordi ***
Capitolo 1 *** Chapter one ***
Capitolo 2
Sapeva che sarebbe successo, anzi, fu sciocco per lui non prendere
alcuna iniziativa fin da subito e a sottovalutare quei piccoli
mostriciattoli della cui razza faceva parte. Avrebbe dovuto
aspettarselo, e sperava di poter fare in tempo. Quella notte che fino a
quel momento era stata calma e serena, adesso stava per diventare un
pieno inferno. La sua bellissima donna umana, Eva, bionda come l'oro,
si alzò frettolosomente dal letto dopo aver sentito un rumore
assordante provenire dal piano di sotto sentendo dei grugniti e
ruggiti. Capì che dei demoni erano entrati in casa e
terrorizzata corse verso l'uscita della camera da letto per raggiungere
la stanza dei suoi figli. Ma non dovette fare molta strada: i suoi due
figli, di soli cinque anni, le stavano già andando incontro con
gli occhietti azzurri tremanti e singhiozzando. La donna li strinse al
petto carezzando la chioma argentea dei due gemellini, e quando
alzò gli occhi verso l'alto vide quegli orribili mostri che
strisciavano sbavando verso di loro. Urlò quando uno di quelle
creature infernali si lanciò contro con un unico scopo:
ucciderli. Ma a metà strada della sua corsa, il demone
guaì ferocemente e qualcosa parve incendiarlo dall'interno
riducendolo ad un cumulo di cenere spazzato via dal vento. Eva e i suoi
figli guardarono alle loro spalle. Eccolo, lui era arrivato! Brandiva
una spada enorme, i suoi capelli erano argentei come quelli dei bimbi,
gli occhi azzurri, un viso quadrato e virile e uno sguardo accigliato.
:- Papà! - gridarono i gemelli lanciandosi contro di lui con le braccia aperte.
:-Sparda! - Subito vennero seguiti da Eva che si gettò al collo del marito.
Ebbene si, lui era Sparda, il leggendario Cavaliere Nero che si
schierò dalla parte degli umani, sposando una di loro e
generando due figli. Sparda afferrò la moglie per le spalle e la
tirò indietro in modo che gli occhi di lei incontravano i suoi.
:- Eva, prendi i bambini e scappate il più lontano possibile da qui.-
:- Ma... -
:- Niente "ma", dovete andare via di qui, subito!-
Senza aggiungere altro Eva afferrò i bambini e cominciò a
correre verso la porta d'ingresso, mentre Sparda aveva già dato
inizio al massacro. Nel loro tragitto verso l'uscita, altri demoni
invasero la casa e non poche volte si fecero scrupoli nel sbarragli la
strada. In un modo o nell'altro riuscirono ad eluderli e si
ritrovarono fuori di casa. I rumori alle loro spalle erano assordanti:
botti, grugniti, ruggiti, vetri infranti...
I fuggitivi continuarono a correre senza mai guardarsi le spalle,
nonostante i loro cuori desiderassero avere accanto il Cavaliere
Oscuro. Affannati e stanchi, dopo aver percorsi non pochi chilometri
tanto che non sarebbero più riusciti a vedere la loro casa ne a
sentirne i rumori, Eva e i gemelli si presero una pausa. I fratelli,
con indosso i loro pigiami - rosso per uno, blu per l'altro -
crollarono a terra.
:- Mamma, dov'è papà? Perchè non arriva? - disse
uno dei due, quello che sembrava essere il più grandetto visto
che aveva un'espressione da ragazzo responsabile sul volto.
La donna li prese entrambi e l'abbracciò.
:- Presto tesori miei. Vedrete che papà arriverà molto presto e tutto sarà finito.-
Ma mai parole furono più sbagliate.Dalla loro destra un enorme
demone squamoso e con una grande bocca attrezzata da lunghi denti
affilati e pericolosi sbucò dall'oscurità dei cespugli.
Le mani artigliate da pungenti lame sguizzavano verso di loro. Seppur
con grande paura, l'istinto materno ebbe la meglio, ed Eva riprese le
mani dei bambini e li costrinse a correre davanti a lei.
:- Correte bambini! Correte! - urlava -Non voltatevi indietro!-
I fratelli cominciarono a correre nuovamente, anche se stanchi dalla
loro precedente corsa, con quanta velocità le loro piccole gambe
gli permettevano. Alla povera donna veniva male correre con quella
camicia da notte lunga anche se leggera come la seta. Ma non le
importava: i suoi figli dovevano essere protetti anche a costo della
sua vita. Più però correva e più sentiva le forze
mancarle al punto che cominciò vertiginosamente a rallentare, e il
demone dietro di lei la seguiva con molta pazienza, sbavando lungo il
tragitto nell' attesa della sua preda. Non dovette aspettare molto:
infatti per sfortuna di Eva, la donna inciampò contro un sasso e
inevitabilmente cadde a terra. Fu in quel momento che il demone alle sue
spalle guadagno pericolosamente terreno. Uno dei gemelli, quello con il
pigiama rosso che sembrava essere il più piccolo, si
voltò giusto in tempo per vedere la madre cadere.
:- Mamma!!- urlò in preda al panico.
Anche il gemello grande si voltò a fissare la scena, e vide il
demone avanzare verso Eva che nel frattempo sollevò il busto e
guardò verso il suo nemico; poi si mise ad indietreggiare nella
speranza di trovare un riparo.
Allora, il bimbo col pigiama blu, da un' aria angosciata passò
immediatamente a uno sguardo feroce. Le sopracciglia gli si
aggrottarono, mentre pugni e denti si strinsero. Senza perdere tempo,
cercò qualche utensile adatto per poter colpire il demone.
Trovò sull'erba folta una sbarra di ferro vecchia e arruginita e
molto appuntita - tralasciando il fatto che mentre cercava vide molti
altri rifiuti - e tutto gli venne automaticamente in testa:
velocità, strategia, forza... stava semplicemente agendo
d'istinto; dopotutto era un mezzo demone anche lui, come il fratello, e
nelle loro vene scorreva il sangue demoniaco del padre. Il piccolo
mezzodemone, ignorando il fratellino, afferrò il pezzo di ferro
e si lanciò con quell' arma improvvisata verso il nemico. Non
appena gli fu vicino, con un balzo arrivò alla schiena del
mostro e infilzò come meglio potè il pezzo di ferro
procurandogli una bella ferita. Il demone si impennò come un
cavallo imbizzarrito. Il bambino scivolò via dalla schiena
squamosa, e raggiunse la madre l'aiutò ad alzarsi e
ricominciarono a correre, raggiunto l'altro bambino che aveva osservato
tutto con l'aria sospesa si misero a correre più forte di prima,
tutti e tre insieme sentendo alle loro spalle i gemiti agghiaccianti
del nemico.
Continuarono a correre per così tanto che si perdettero: non
sapevano dove fossero, ma questo non aveva alcuna importanza, la
priorità era quella di correre, allontanarsi dalla campagna e
raggiungere un posto sicuro in città. Arrivarono nei pressi di
un fiume e li si bloccarono.
:- Dobbiamo trovare un modo per attraversarlo, dall'altra parte c'è la città!- disse Eva.
Incoraggiò i figli ad andare avanti, spingendoli leggermente in
avanti mentre lei si guardava alle spalle. C'era una possibilità
che quel mostro sarebbe ritornato, oppure qualcun'altro potesse
seguirli. Ma al momento Eva non vedeva nulla alle sue spalle se non il
bosco oscuro e fitto. Però si sa', con le creature c'è
poco da scherzare o di essere tranquilli: avrebbero potuto essere
ovunque, nascosti, mimetizzati o invisibili. Per cui non c'era un
minuto da perdere, dovevano raggiungere la città anche se
sarebbe servito a poco: i demoni possono scovarti in qualsiasi posto,
in qualsiasi momento. Dopo un pò di ricerche, trovarono un ponte
che collegava le due sponde, un ponte vecchio, dal legno marcio,
traballante e fragile. I bambini non volevano attraversarlo, sapevano
che quell'aggeggio non avrebbe retto i loro pesi, e la corrente
dell'acqua era troppo forte per poter passare il fiume a nuoto, per non
parlare della temperatura gelida. Comunque Eva non volle sentire
ragioni e li costrinse ad attraversare. Fortunatamente quando i
gemellini attraversarono, con qualche titubanza e timore, il ponte non cedette al loro peso, mentre non si poteva dire lo stesso
della loro madre. Al suo passaggio alcune assi dietro di lei si
spezzarono. I due bambini gridarono facendo ampi gesti, indicando il
ponte che si distruggeva e le corde sulla base della sponda che stavano
cedendo. Eva non perse tempo a voltarsi per verificare perché si
fidava dei suoi angioletti, accelerò quindi solo il passo, ma
non servì a nulla: inciampò tra la fessura delle asse e
cadde supina su di esse e da lì sembrò accadere il
peggio:le corde non ressero spezzandosi alla base, e le palette di
legno caddero in acqua trascinando con se Eva. I gemelli urlarono
inermi per un attimo; in seguito unirono le loro forze, afferrando la
fune alla quale Eva era aggrappata con entrambe le mani e tirarono
insieme.
Erano così piccoli, ma avevano abbastanza forza da riuscire a
trascinare la madre verso la sponda, anche se la fatica non
mancò dato che la corrente dell'acqua dava attrito. Lentamente i
due albini riuscirono a far avvicinare la donna prendendola poi per le
braccia e portarla tutta bagnata. Eva, stanca ormai,
abbracciò i suoi figli.
:-Coraggio, ancora uno sforzo e saremo al sicuro...-.
Li incoraggiò spingendoli ad andare avanti e lei a fatica li seguiva.
Tutto sembrava filare liscio. Non c'era più alcun ombra di
nessun demone, e il trio sembrò aver quasi raggiunto
l'obbiettivo. Peccato che proprio nel momento in cui stavano per
lasciarsi alle spalle il bosco, un demone simile a un enorme ragno -
cinque volte più grosso dei bambini - con grossi aculei velenosi
sulla schiena sbucò da una siepe, posizionandosi
minacciosamente davanti ai due albini, che non riuscivano a trovare
una via di scampo, visto che il dannato sbarrò loro ogni via di
fuga con delle disgustose zampe pelose, mentre avvicinava la bocca
bavosa verso quelle piccole creaturine.
:-No!! Non i miei bambini!- supplicò Eva.
Ma serviva supplicare un demone? Una creatura senza anima, nutrita solo
di una cattiveria indescrivibile e un solo scopo: uccidere; spargere
sangue, che fosse di un uomo, donna, bambino, anziano... innocente o
colpevole... Non importava. E le loro grida, il loro dolore, il loro
sangue è una manna inebriante alla quale non possono non cedere.
Un urlo è il loro respiro, il dolore è la loro risata, il
sangue la loro felicità. La malvagità è il loro credo.
Eva dava i suoi figli finiti per scontato. Per quanto fossero figli di
un demone, erano ancora piccini. Non potevano competere contro quella
bestia.
Cominciò a correre, l'adrenalina si impessessò del suo
corpicino inerme facendole dimenticare la stanchezza e dandole il
coraggio di una guerriera. Nessuno avrebbe toccato i suoi figli, a
costo della sua vita!
Mentre i due fratellini si tenevano stretti l'un l'altro, il mostro
fece fuori uscire delle spire piene di pungiglioni. Erano spacciati.
Poi si sentì un urlo agghiacciante che riecheggiò per tutta l'area.
I due gemelli si guardarono l'un con l'altro. Loro erano salvi.
Sentirono però i loro piedi bagnarsi di qualcosa di viscoso e
caldo. Il sangue della loro madre, tenuta in una velenosa morsa da
quelle spire con gli aculei che penetravano nella sua nivea pelle, si
stava espandendo lungo il prato.
:- Mamma!-
Il corpo di Eva cominciava a gonfiarsi mentre il mostro l'avvicinava
lentamente a sè, come volersi godere quello spettacolo
raccapricciante.
Le braccia, le gambe, il viso della donna cominciarono a macchiarsi di
un colore violaceo, dando forma a delle voragini dal quale usciva altro
sangue.
:-S-scappa..te.. a-andat..e via... presto..-
Questo fu il sussurro strozzato della donna che sacrificò la sua
vita per salvare i figli. Gli occhi di Eva presero a lacrimare,
guardando per l'ultima volta i suoi due figli: così simili e nel
contempo così diversi dal loro padre...
I bambini cercarono di aiutarla, ma la donna li fermò urlandogli
che dovevano scappare altrimenti sarebbe stata arrabbiata con loro per
sempre. Improvvisamente il demone strinse di più le spire
attorno al collo di Eva che... non solo le avrebbero impedito di
respirare...ma la portarono ad una subitanea e indolore morte.
CRACK!
Il collo di Eva si spezzò... e la donna morì all'istante.
Il demone lasciò cadere il corpo senza vita della bionda che
cadde al suolo con un tonfo, in modo scomposto, come una marionetta.
Poi la spostò con una zampa pelosa dato che costituiva
un'ostacolo per raggiungere i due gemelli.
I bambini urlarono sia di dolore che di rabbia, piangendo, cercando un
modo di raggiungere la madre ormai morta. Ma il demone si
concentrò su di loro, vero e unico obiettivo del giorno. E
dunque anche su di loro lanciò le spire velenose, quando...
ZACK!!
Stavolta fu il demone a stramazzare dal dolore e sangue
verdastro schizzava dalle sue armi organiche troncate. Davanti ai
bambini invece si fece largo un altro demone, con ali da mosca, una
bocca piegata in una smorfia indecifrabile che sicuramente non
prometteva niente di buono. Guardò i due bambini. Stavano bene,
almeno loro... Poi i suoi occhi di fuoco si posarono sulla donna che
aveva spostato e che ora giaceva a terra... senza vita...
Il suo sguardo sembrava gettar fuoco, il suo corpo tremava come in
preda delle convulsioni. Un suo ruggito, un ruggito così potente
che sembrava il rombo di un tuono capace di far tremare la terra. Il
cielo sembrò squarciarsi, e un fulmine si estese nel cielo. La
pioggia cominciò a cadere aumentando la sua intensità.
Sparda si lanciò con la sua spada contro quel demone 3 volte
più grosso di lui? Ma che importanza aveva? Che gli importava se
quel demone lo avrebbe fatto fuori? Buona parte della sua famiglia
venne già massacrata. Che senso aveva combattere?
:-Papà!!-
Ah già... i suoi figli... loro che... assomigliavano così
tanto alla madre... Si. Doveva vincere per loro! Sparda si gettò
contro quel demone e cominciò con la spada ad affettarlo come
un'affettatrice fa ad un salume,; scatenò su di lui la sua
rabbia, la sua collera. I bambini restavano stretti tra loro: il bimbo
col pigiama rosso non riusciva a guardare sia per la paura ma
soprattutto per aver perso la madre; il bimbo con il pigiama blu invece
guardava il massacro, anche se non riusciva a capire molto.
Furono pochi minuti di agonia, ma finalmente arrivò la
fine. Il mostro, tagliato in mille pezzettini, con il suo sangue
verdastro sparso sull'erba, si ridusse in cenere che furono poi
trasportare dal vento.
Sparda tornò nella sua forma umana: i denti digrignati, i pungi
serrati, la vena della tempia che pulsava come un martello pneumatico,
il respiro affannato, gli occhi iniettati di sangue e il cuore...
spezzato. Si inginocchiò a raccogliere i resti della sua donna
stingendola al petto e invocando più volte il suo nome. Lacrime
calde cadevano a terra; un demone che piange? Non è affatto un
demone.
La sua umanità cancellava l'orrore della sua specie da lui.
Anche i bambini raggiunsero i genitori. I due piccoli cercavano in tutti
i modi di far risvegliare la madre, chiamandola, supplicandola
baciandola. Ma non c'era verso di riportare in vita quell'angelo in
terra. Sparda parve impazzire dal dolore: piangeva e urlava come un
forsennato e i bambini, spaventati, facevano altrettanto. Facendosi
forza, Sparda si alzò con quell'adorabile corpo inerme fra le
braccia. Non voleva seppellirla, non voleva separarsene.. almeno non
davanti ai bambini. Ritornarono a casa. Sparda mise sul letto Eva,
adagio con attenzione, come se il suo corpo fosse fatto di porcellana e
avrebbe potuto rompersi a ogni minimo movimento. La ricoprì di
baci, sperando di poter morire anche lui, magari raccogliendo del
residuo velenoso rimasto nelle ferite della donna, nel sentire quel
corpo ormai freddo. I singhiozzi dei suoi figli lo obbligarono ad
affrettarsi nel suo da fare. Li raggiunse inginocchiandosi sulla loro
altezza e mettendo le mani sulle loro spallucce. Gli occhi di quei
ragazzi gli ricordavano quelli della moglie.
"Eva... mio piccolo raggio di sole... Come ho potuto lasciarti morire... Che Dio prenda anche la mia anima adesso!"
:-Ascoltatemi... voi due siete in serio pericolo. Io.... io non posso
tenervi con me. E non potete. Non potete nemmeno stare insieme...-
:-Papà...c-che dici?- singhiozzò il bambino col pigiama blu.
:-I..o...Io voglio la m-mamma...- piagnucolò l'altro.
Sparda li prese entrambi tra le braccia. Non erano pesanti i suoi
tesorini. Li abbracciò, consapevole che quella era l'unica
volta. Con loro aggrappati, Sparda riprese la sua forma demoniaca e
volò via.
La notte stava giungendo al termine. L'aria si riscaldava leggermente e
le prime luci dell'alba cominciavano a spuntare verso Est. Sparda
atterrò nei pressi di una città, vicino ad un edificio
ancora dormiente. Poggiò a terra il bambino col pigiama rosso e
lo guardò negli occhi ancora una volta.
:-Figlio mio... questa sarà la tua nuova casa. Perdonami... Abbi cura di te.-
Sparda spiccò il volo con l'altro bambino in braccio, senza dare
il tempo al piccolo di poter replicare. Quando il bambino rimasto a
terra realizzò il tutto si sporse in avanti.
:-Veeeeeergiiiiiiiil!!!!! - urlò ancora piangendo.
:-Daaaaaaanteeeeeeeee!!- rispose l'altro, ormai diventato solo un puntino nel cielo.
Dante ne era più che sicuro: quella sarebbe stata l'ultima volta
che avrebbe visto suo fratello...e suo padre. Spaesato e confuso, il
bambino si sedette sugli scalini dell'edificio, coprendosi il viso con
le mani piangendo. La porta poi si aprì e il ragazzino quasi
cadde con la schiena a terra. Invece venne afferrato da un paio di
braccia.
:-Oh... caspita. Un altro orfanello. Piccolo chi ti ha lasciato qui?-
Dante non rispose, limitandosi solo a guardare la donna dagli occhi
castani, un foulard che le raccoglieva i capelli neri che tuttavia si
mostravano ribelli.
:- Ti hanno tagliato la lingua?-
Ancora nessuna risposta.
:-Bah. Vorrai dire che dovremmo prenderci cura di te. Jeanette???-
La donna trascinò con sè Dante nell'orfanotrofio, chiudendo la porta alle sue spalle.
L'angolo di Sheila
Ciao
a tutti ragazzi. Vi ricordate di me? Sono io, Sheila. Bene... si...
sono tornata dopo un lungo periodo di problemi e contrattempi....
Dunque... vi avevo promesso che Behind the shadow avrebbe avuto una
revisione nella sua storia. E' così è stato. In oltre ho
pensato di approfindire meglio un po' di cose, soprattutto per quanto
riguarda il rapporto tra Dante e Sheila.
Spero che il mio lavoro vi piaccia e che... sia di vostro gradimento. Grazie a tutti.
Vi prego lasciate un commentino ;) Baci
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 - Ricordi ***
cap due
Era spaventato...
era solo... Era indifeso...
Sua madre... Eva... Non c'era più.
Suo padre l'aveva abbandonato. E Vergil? Vergil? Dov'era finito il suo gemello?
Cosa gli sarebbe successo?
Dove l'aveva lasciato suo padre? Chi erano queste persone? Che posto
era? Voleva la sua mamma... Ma non c'era. Non c'era più. Mai
più ci sarebbe stata..Che ne era adesso di lui?!?
Dante non ricordava quasi nulla di ciò che accadde
dell'incidente. Solo il rosso del sangue di sua madre... Quell'odore
ferroso e forte. Mai più lo avrebbe dimenticato. Come non
avrebbe mai dimenticato i demoni che distrussero la sua felice
infanzia. Udì nuovamente il suono delle ossa che si
pezzavano.... L'urlo straziante di suo padre mentre stringeva il corpo
senza vita di Eva. Mai lo aveva udito fare in quella maniera. E
non si sarebbe mai aspettato di sentirglielo fare.
Aveva visto suo padre arrendersi, rassegnarsi, mentre posava il corpo
della donna tanto amata sul letto. Fu come se cascasse un idolo dal suo
cuore. Suo padre, il mitico cavaliere oscuro Sparda, non poteva
arrendersi così. E poi lo abbandonò.
Sapeva ormai di essere solo. Sapeva di stare in un luogo sconosciuto.
Stava su un letto, questo si, questo era riuscito a intuirlo. Un letto
dalle lenzuola leggere sgalcite e puzzolenti. Stava poggiato con la
testa sul cuscino, gli occhi chiusi, la bocca semi aperta e il respiro
agitato. Gli incubi lo stavano perseguitando, proponendogli sempre le
stesse scene di morte, sangue e demoni. Ma non riusciva a svegliarsi...
ne a muovere un muscolo per farlo. Dannazione era solo un bambino. E i
bambini dovevano sognare macchinine, le passeggiate con mamma e
papà... Tutto finito.
"Daaaaaanteeeeeeee"
Vergil... Lo chiamava. L'ultimo ricordo del suo gemello. Solo la sua voce che invocava il suo nome.
Sentì bussare alla porta, un tocco forte e pesante. Aprì
gli occhi lentamente, mentre respirava con affanno. Il visetto era
madido di sudore. Lo sentiva colare ovunque. Il suo sguardo, composti
dagli occhi azzurro-ghiaccio (gli occhi più belli che si
fossero mai visti), vagò confuso lungo la stanza. La prima cosa
che si pose davanti a lui fu il muro. Notò che le pareti erano
coperte da una carta da parenti semplici blu scuro, rovinati dal tempo
e dall'umidità. Li spostò un po' ovunque per cercare di
capire di più; altri letti, più o meno cinque, si
trovavano nella stanza. Quindi non era solo in quel.... posto.
:-Ehi tu! Svegliati! Vieni fuori!-
Una voce femminile venne da fuori la stanza. Non ne riconobbe il timbro
vocale: di sicuro non era quello dolce della madre. In effetti, non
sapeva chi fosse questa ragazza o donna. Lentamente alzò il
dorso dal letto mettendosi seduto. Scosse il capo passandosi le mani
sui capelli umodi e quindi, intontino, si azò dal
materasso. Con lo stesso pigiama indossata dalla sera prima,
aprì la porta di noce della stanza. Si vide davanti una giovane
ragazza, dai capelli lunghi castani, gli occhi piccoli a mandorla
azzurri, una bocca larga e un naso sproporzionato.
:- Era ora!- Sbottò questa.
La ragazza afferrò il braccio del piccolo e lo trascinò
fuori dalla stanza fino al bagno, posizionato solo due porte
più avanti. Lo gettò letteralmente dentro, poi
poggiò dei vistiti accanto al lavello.
:-Adesso fatti un bel bagno, poi vieni giù che Madame Roswelte
sta cucinando per tutti noi. Ti conviene darle retta se non vuoi essere
gettato fuori strada, bambino. Vieni giù tra 10 minuti. Non un
minuto di più!-
La ragazza girò i tacchi e chiuse alle spalle la porta,
lasciando Dante più confuso che mai. Anche qui il ragazzino fece
un giro di perlustrazione con gli occhi: il bagno aveva i colori del
cielo, ma non era per niente paragonabile a quella meraviglia. I
servizi igenici erano ingialliti dal tempo anche se non sembravano
sporchi. Tappeti pieni di polvere, tende strappate e ammuffite. In che
posto si trovava mai?
Lentamente Dante si levò di dosso il pigiama mentre l'acqua
tiepida riempiva la vasca. Nonostante fosse un bambino di soli 5 anni,
aveva già la corporatura ben impostata. Tutto merito
dell'eridità del padre, che aveva conferito al piccolo la sua
parte demoniaca. Ah già... anche lui in fondo era un demone...
era diverso dagli altri ragazzini della sua età... Lei era...
No!
Scacciò subito l'idea. No. Lui non era come quei mostri. Non lo
sarebbe mai diventato. Avrebbe seguito le stesse orme del padre. Oppure
si sarebbe disinteressato di tutto e avrebbe vissuto la sua vita con la
sorte.
Quando la vasca si riempì Dante entrò dentro, cominciando
a lavarsi per bene dalla testa ai piedi. Rimase un po' li sdraiato,
lasciandosi coccolare dal vapore dell'acqua. Era miracoloso come quel
tepore gli ricordasse tanto il calore delle braccia di Eva quando lo
cullava, insieme al fratello. In quel momento tutto rievocava nella
mente sua madre. Quando ne ebbe abbastanza uscì. Si
asciugò con cura e si vestì con gli stracci che gli
avevano offerto. Gli avevano dato una maglia bianca con strisce rosse,
un gilet nero, pantaloni neri e una cintura rossa. Sembrava un
indumento da pirata! Come diavolo lo avevano vestito?!
Fece una smorfia guardandosi allo specchio. Non solo per com'era
vestito.... Ma soprattutto per i suoi capelli! I suoi capelli non erano
albini! Erano neri! Cosa gli era successo?
Si portò le mani su quella nuova chioma, avvicinandosì
allo specchio. Perchè suo padre aveva deciso di cambiarlo? A che
scopo?
Trasalì quando la porta del bagno alle sue spalle si aprì. La ragazza di prima era tornata con le mani nel fianco. Ma tu guardala. Non aveva nemmeno bussato, che faccia tosta.
:-Ti sei lavato bene? Ottimo! Per fortuna sai anche vestirti. Come ti chiami?-
Dante abbassò il capo, senza proferir parola. Una piccola alone
di tristezza si espanse nei suoi occhi; bulbi oculari che divennero
lucidi, pronti ad esplodere. La ragazza attese una sua risposta;
incrociò le mani al petto e passò il pesò del suo
corpo da una gamba all'altra.
:-Oh, Cristo, un riservato del cavolo! Andiamo, scendi giù: Madame Roswelte ti sta aspettando. Andiamo.
Senza una vaga idea di sove si trovasse, ne chi fossero queste persone,
Dante seguì la ragazza. Davanti a se si aprì la visuale
di un corridoio dalle pareti scure, anguste e umide. Sentiva delle voci
al piano di sotto (tralasciando il fatto che il suo udito era
sensibilissimo a chilometri di distanza) di altri bambini, pobabilmente
tutti della sua età: allora non era solo. Non che questo gli
fosse importanto, non sarebbe riuscito, almeno in questo momento, a
stringere amicizia con nessuno. E pensare che prima dell'incidente era
un bambino solare e sempre aperto al divertimento...
Seguì la ragazza e arrivò in cucina: una stanza con tanto
di piano cottura, frigo, forno e tavoli disposti in fila. Bambini non
più grandi di lui, semmai più piccoli, stavvano seduti
facendo chiasso e insultandosi tra loro.
Una donna stava ai fornelli; aveva i capelli alle spalle neri, a un
lato vi era posto un fermaglio, gli occhi color caramello e un completo
bianco con gonna lunga rossa.
Probabilmente si trattava di Madame Roswelte. Questa era intenta a
prepare la colazione per quanti erano la dentro. Il piccolo Dante
storse il naso per il cattivo odore. Sembrava odore carbonizzato di
cibo residuo. E guardando tutti quei bambini, dagli abiti vecchi,
capelli spettinati e visi trascurati, capì di trovarsi in un
vero e proprio orfanotrofio.
Madame Roswelte tolse la pentola dal gas dove stavano delle frittelle
calde e profumate (le uniche cose che avevano un buon aspetto e odore
in quel posto, l'odoraccio veniva dalle pentole sporche poste sul
lavabo). Le servi a una dozzina di bambini affamati e strillanti.
Chissà se ce ne fossero stati altri? La donna ripose tutto sul
lavandino d'acciaio poi si voltò verso Dante, che era rimasto
ancora in piedi al centro della stanza guardandosi attorno.
:-Oh finalmente ti sei svegliato. Era proprio ora.- sbuffò
portandosi le mani ai fianchi - Accidenti dovrò cucinare
di nuovo...non si sono svegliati tutti! Va bene ci penseremo dopo....
Bambino, mangia e poi vieni con me!-
Mentre la donna gli passava accanto, Dante si sedete al tavolo con la
colazione fumante sul piatto. Almeno quella sembrava appetitoso. Mentre
consumava lento il suo pasto con dei piccoli bocconi, i suoi occhi di
ghiaccio scrutavano la stanza. C'erano bambini di tutti i colori, e non
è modi di dire: bambini dalla pelle più chiara e dalla
pelle più scura.
I muri della cucina erano scuti, vuoti... poveri. Non gli davano un
senso di calore come il mobilio di casa sua. Nessun posto avrebbe mai
ridato la sua felicità.
Finito il suo pasto, il giovane risalì al piano di sopra, come
Roswelte gli aveva ordinato. Non se n'era accorto prima, ma il
corridoio ospitava tante stanze, l'una di fronte all'altra. Quale
sarebbe stata quella di madama?
:- Piccolo vieni qui.-
La donna fortunatamente uscì dal suo ufficio incitandolo con un
cenno e Dante la seguì. Entrò in un piccolo ufficio, con
tanto di libreria, trofei e anche delle licenze appese nei muri. Dante
però non riusciva ancora a leggere bene quindi non capì a
cosa si riferissero.
Roswelte si sedette dietro la scrivania e fece cenno al bambino di
sedersi davanti a lei. Dante si sedette sulla morbida sedia grigia. Il
tessuto che lo componeva sembrava velluto. Quanto si divertiva a casa
sua a carezzare quel materiale. Solleticava le suo piccole dita.
:- Allora piccolo, come ti chiami?- Cominciò la donna.
Ancora una volta Dante abbassò il capo.
:-Beh? Cos'è? Ti sei mangiato la ingua? Hai ancora la
capacità di parlare?- ancora nessuna risposta -Senti piccolino,
devo sapere come ti chiami... da dove vieni. Dove sono i tuoi genitori?-
Toccato il tasto più dolente: Dante strinse le piccole labbra,
addirittura le morse pur di evitare che quelle lacrime
scendessero dal viso. Piangeva sempre quando Vergil lo canzonava; la
mamma comuqnue sarebbe arrivata per rassicurarlo. Ma piangere non era
una virtù da uomini... e lui voleva diventare un uomo vero e
forte. Degludì e asciugò le lacrime. Non avrebbero vinto
loro. Madame Roswelte sospirò. Poggiò i gomiti sul
tavolo e unì le mani.
:-Ascolta piccolo, fino a quando non ti deciderai a parlare, ti
chiameremo... ... ... Tony! Ok? Ora ascolta. Cerca di non creare
guai... stai buono e calmo, ok? Se doveste fare qualcosa a questa
baracca e ci scoprissero siamo tutti nei guai, intesi, Tony?-
Sebbene non comprese appieno cosa disse la donna, le annuì.
Il resto della giornata Dante passò gironzolando per
l'orfanotrofio per scoprirne i posti. Vide semplicemente sei stanze
più o meno dalla stessa lunghezza, tutti uguali: quattro o
cinque letti e un armadio. Nessuna televisione o giochini simili. Il
piano di sotto ospitava la cucina, posto in cui era già stato.
Dall'altro lato stavano due divani vecchi e sporchi e una televisione
piccola. Fuori stavano dei piccoli giochi da parco: scivole, altalene,
castelli.
E tutta la struttura si presentava fatiscente. Era davvero una baracca.
I muri esterni erano scrostati, e pezzi di mattoni cedevano ovunque.
Anche il giardino era molto trascurato, con erbacce e foglie secche
sparse ovunque. Calata la sera Dante tornò nuovamente in
cucina. La stanza era più affolata rispetto a poche ore fa'.
Vide persone che a colazione non notò. Come un ragazzo dai
capelli castani e una tuta da militare. Era molto giovane dall'aria
stanca e affamata. Forse era l'unico che lavorava in quella casa?
Madame Roswelte era ancora ai fornelli. Sembrava che questa donna non
facesse altro durnte la giornata. A un tratto si sentì un urlo
che irruppe nella quiete. Dante fissò il punto in cui
captò l'origine del grido. Sperava che i demoni non lo avessero
trovato.
E la ragazza dai capelli castani, tutta bagnata fracida, si mise faccia a faccia con madama.
:- Il rubinetto della doccia si è di nuovo rotto!! C'è
acqua ovunque! Io spero che tu ti dia una svegliata! Non solo questo
posto sta cadendo a pezzi, ma tu addirittura ti impegni a raccogliere
mocci da strada; se ci beccano siamo fregati tutti!-
:-Taci Jeanette! Mi daresti tu i soldi per tutte le santissime cose che
ci sono da pagare? Vedremo cosa fare! La signora White verrà qui
domani.-
:-Ma non possiamo farci dare l'elemosina da quella donna! Anche se lei non sta per nulla male!-
:-E' un accordo che abbiamo preso. Lo farà. Domani vedrò cosa fare.-
Il ragazzo con la tuta da militare si alzò.
:-Vado a riparare la doccia.- mormorò con tono basso e scocciato.
Il ragazzo si alzò prendendo gli attrezzi necessari da un
cassetto. Dalle mani piene di tagli, si poteva ben capire come
qualsiasi tipo di riparazioni venivano effettuate da lui. Che misero
postaccio.
Poco dopo un'ora, il ragazzo tornò a sedersi, bagnato e sporco.
La cena era già pronta. In quella cucina si alzò il
chiasso più totale: urla di bambini ovunque. Dante stava in
silenzio come lo era da due giorni ormai. E rifletteva. Quindi questo
posto stava in piedi per miracolo. E veniva abusivamente tenunto in
piedi da una certa signora White. Che giro infernale!
Il giorno seguente era stato un risveglio più brusco rispetto a
quello precedente. Dante venne svegliato da voci provenienti dal piano
di sotto. Era Jeanette che discuteva ancora con Roswelte, la madre.
Degli uomini erano entrati nell'orfanotrofio e avevano cominciato a
portare via della roba. Roswelte era seduta sul divano con le mani
giunte sul viso a coprirsi gli occhi. Era visibilmente disperata.
Jeanette si posizionò di fronte a lei.
:-Ancora una volta non hai pagato le bollette! Per colpa tua ci porteranno via tutto un giorno!-
:-Vuoi tacere, Jeanette? Credi che io non lo sappia!- scoppiò la donna urlando.
:-Non capisco perchè tu lo faccia se non sei capace di badare a te stessa!-
Il "duetto" durò per un po'. Senza dar loro peso Dante si
alzò dal letto. Si vestì e rimase seduto sulle coperte
dopo averle sistemate perfettamente .La stanza era vuota. Le pareti di
un forte blu acceso, il colore preferito del fratello... Non poteva
fermare i suoi pensieri. La tristezza aveva potere assoluto sul suo
cuore. Non poteva fare altro se non rimpiangere quel giorno.
"Ti voglio bene, Dante..."
Ma dov'era finito? Cosa gli sarebbe successo? Cosa ne sarebbe stato di lui?
Piegò le ginocchia e le circondò con le braccia.
Poggiò il capo su di esse. I pensieri si mescolavano senza sosta
sulla sua testa. I ricordi di sua madre, quella donna giovane, bella
che aveva una grande cura per lui. Suo padre, un uomo di poche parole
ma che con il suo sorriso metteva la pace nel suo cuore. E Vergil....
il suo compagno di giochi, di vita... non lo avrebbe più
rivisto. La sua cara famiglia...
"Mamma..."
La porta della stanza si aprì. Il bambino trasalì dai
suoi pensieri e guardò verso la porta. Due bambini della sua
età entrarono in stanza strillando. Erano i suoi compagni.
Questi gironzolarono un po' attorno ai letti, sventolando finte spade e
scudi prima di fermarsi e guardarlo. Dante assunse un espressione
fredda e indifferente sostenendo i loro sguardi.
:- Ehi tu!- fece uno -Che stai facendo qui da solo?-
:-Povero! Non vedi? Non parla. Forse non ci riesce.-
Dante corrugò lo sguardo. Non gli piacevano quei bambini, ma non si sarebbe certo abbassato ai loro livelli.
:-Mi chiamo Mirko, vieni a giorcare con noi?-
Nessuna risposta. Dante scosse il capo. Il ragazzino , Mirko, dai capelli color carota alzò le spalle.
:-Che fai qui tutto solo? Andiamo a giocare furoi! Prima che arrivi la signora White dobbiamo essere sistemati!-
Quei ragazzini non capivano. Dante non voleva stare con loro e non
gliene importava nulla di questa donna ivocata come una dea.
Tornò a sedersi sul letto mentre i suoi occhi azzurri guardarono
fuori. I ragazzini uscirono senza risparmiarsi di insulti.
Fuori faceva freddo. I bambini erano sulle giostre che giocavano tutti
insieme. Gli occhi tremarono un po' venendo coperti da un piccolo
strato di lacrima. Anche lui e Vergil adoravano giocare alle giostre.
Ricordò le volte in cui Sparda ed Eva erano comodamente seduti
su una panchina a guardarli, abbracciati l'un l'altra, come fossero
ancora due ragazzini; mentre Dante e Vergil correvano liberi lungo le
siepi. Tutto spezzato.
Dante rimase seduto tutto il pomeriggio su quel letto. Fissava il vuoto
davanti a sè; mille domande tormentavano la sua piccola pace:
adesso che doveva fare? I demoni? Lo avrebbero ricercato? Lo avrebbero
trovato? Ucciso?
La porta si aprì nuovamente. Era quel ragazzo dalla tuta militare. E adesso che voleva anche lui?
:- Tony - Dante fece una smorfietta nel sentirsi nominare in quella
maniera -Madame Roswelte vuole che tu scenda giù. Sta venendo la
signora White e vuole che tu sia sistemato insieme a tutti gli altri.
D'accordo?-
Annuì, anche se la cosa non gli dava alcuna importanza. Alan, il
ragazzo, gli scompigliò i capelli affettuosamente. Non appena se
ne andò, Dante corse subito in bagno a sistemarseli di nuovo.
Odiava che gli si toccassero i capelli. Non aveva nulla da sistemarsi,
perciò lasciò la camera.
Nell'attesa di questa famosa donna White, Dante scese le scale andando
verso il cortile. Jeanette, Roswelte e Alan eano in cucina a parlottare
fra loro. Un odore dolciastro si levò dai forni. Sicuramente
qualcosa in onore dell'arrivo di questa donna celestiale che tutti
veneravano. Dante non capiva il perchè di tutta questa
esaltazione.
Si sedette sull'erba a guardare il cielo. L'erba era fresca e pungente.
Un profumo di fiori proveniva dal verde e Dante si distese su quel
materasso insolito con le mani dietro la nuca. Sentiva i bambini
strillare nella parte inferiore dell'edificio. Gli dava parecchio
fastidio. Essendo un mezzodemone tutti i suoi cinque sensi erano molto
più sviluppati, per cui un rumore che poteva essere chiassoso a
orecchie umane, per lui era un inferno.
Osservare le nuvole bianche che, lente come lumache, scorrevano lungo
la strada celestiale fece appisolare il ragazzino. Dopo un po'
sentì gride di gioia. Spalancò gli occhi terrorizzato.
Stava sognando nuovamente sua madre; e nel momento in cui dormiva,
qualsiasi rumore improvviso lo metteva in allarme. Madame Roswelte
accorse in giardino per dare il benvenuto alla così tanta attesa
signora White. La fece accomodare dentro il salone. Dante si
alzò dall'erba, con fare molto annoiato, ed entrò nel
salone. E li finalmente la vide la donna di cui tutti meravigliosamente
parlavano.
Osservò tutti i bambini attorno a una donna giovane donna bionda
che distribuiva abbracci e baci a tutti coloro che le andavano contro.
Neanche fosse una regina. Accanto a lei stava una bambina di circa 3
anni dai capelli ramati. Veniva coccolata dagli altri orfanelli e
sembrava gradire dalle risatine. Il giovane mezzodemone poggiò
la schiena contro il muro.
Infine la giovane donna alzò lo sguardo verso di lui. Gli
sorrise dolcemente, come se lo conoscesse da sempre. Dante
spalancò gli occhi e fermò il suo respiro. Il cuore gli
batteva forte; la sua anima fu percorsa da brividi di stupore e di
paura.
Quella donna... assomigliava moltissimo alla sua cara madre... Capelli
biondi, lunghi e lisci, occhi azzurri e uno sguardo dolce come un
angelo.
Dante rimase sbigottito e non mosse un muscolo. Era troppo pietrificato
dai ricordi che ripresero a girovagare su dentro di lui. Rimase
indisparte senza risparmiare a quella donna occhiate timorose. Lei dopo
quel sorriso, sembrò essersi dimenticata di Dante. Riprese a
giocare con gli altri orfanelli come se niente fosse. Mentre tutti si
allontanavano con la donna verso la cucina, Dante rimase nel suo
angolino. Non riusciva a darsi pace, in nessuna maniera. Una
piccola figuretta strisciante catturò la sua attenzione.
Camminava ridacchiando e facendo versi come solo una neonata poteva
fare. Gattonava tranquillamente verso di lui, senza venir ostacolata da
nessuno: si fermò ai suoi piedi e si mise seduta e lo
fissò ridendo.
Anche Dante la fissò. La bambina aveva il faccino paffutello,
due occhi grigi allegri e ridenti. I suoi capelli erano lunghi e rossi
ramati. Agitava le braccine pienotte verso di lui, come se volesse
dirgli qualcosa. Era così piccina da non riuscir a parlare ma
era così eloquente con quei gesti. Dante inarcò un
sopracciglio, come se per la prima volta provasse imbarazzo. L'unica
cosa che fecero i due bambini furono guardarsi a lungo rimanendo
ai proprio posti, fin quando una voce non si levò dalla cucina.
:-Sheila? Dove sei tesoro?-
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