Scolopendra

di schwarzlight
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I. ***
Capitolo 2: *** Capitolo II. ***
Capitolo 3: *** Capitolo III. ***



Capitolo 1
*** Capitolo I. ***


scolopendra 1
Scolopendra









Capitolo I.



 Danni allo scafo inferiore, turbina di babordo danneggiata. Stiamo perdendo quota!

 Cosa dicono dalla sala macchine?

Gli ingegneri stanno tentando di stabilizzare l’engine, ma siamo troppo pesanti per poter procedere con un motore solo!

 Staccate i carghi allora!

 Ma la merce…

 Sempre meglio che il mio equipaggio!



Carica il prossimo colpo! 

Ma, professore, non vedo come… 

Avanti, ragazzo, animo! Non abbiamo ancora tutti i dati necessari! –



 Cos’è stato?!

 Comandante, la corazzatura è stata perforata!

Dalla sala macchine non rispondono, Signore!

 …Date l’ordine d’evacuazione.

 Comandante, ma il carico?

 Non importa. Non avrebbe avuto una sorte diversa, comunque.

 A tutto l’equipaggio, abbandonare la nave. Ripeto: abbandonare la nave.


***


 Kaisa, di qua!

È di qua, Kaisa!

 Ho capito, ho capito.

La ragazza continuò la sua placida discesa lungo il sentiero sulla scogliera con tutta calma, ignorando le incitazioni dei due ragazzini a fare in fretta.
In realtà non era difficile capire cosa fosse accaduto di così eccitante, in fondo il boato notturno l’aveva sentito pure lei. Eccome, se l’aveva sentito. Probabilmente qualcosa era precipitato dal livello superiore. Poteva succedere, seppur non così spesso come in passato: c’erano ancora diversi antichi relitti sparsi per la campagna ad arrugginire – o marcire, nei casi più antiquati.
Non ci volle ancora molta strada prima di arrivare alla spiaggia, ed ecco che proprio sulla riva, in buona parte in acqua, stava la carcassa metallica dell’aeronave precipitata nottetempo.
Kaisa si fermò a pochi metri e osservare lo scempio che ne era stato fatto: le corazzature esterne parevano esser state fuse, più che bombardate, e lo scafo si apriva in una voragine lungo tutta la fiancata destra. Uno dei due motori esterni si intravedeva tra le onde, a qualche decina di metri di distanza, mentre diverse lamiere e parti meccaniche costellavano la spiaggia nel raggio di una ventina di metri. Di sicuro, in acqua erano rimasti molti più detriti.
Doveva esserci stato un incendio, prima o dopo l’impatto con il suolo, e la sabbia si era fusa a contatto con il metallo rovente dell’aeronave. Nell’aria permaneva ancora il pungente odore tipico delle officine.

 Kaisa, non indossi la maschera?

 Non serve, sciocco. Oggi non c’è nebbia. – rispose laconica a Dado, che le era corso incontro festante mostrandole il loro ritrovamento.

 E non toccate nulla, potreste farvi male.

Non curandosi troppo di quel che facevano i bambini – i bambini l’adoravano, chissà per quale motivo – rimase ferma a osservare il mostro di ferro, come venivano chiamate una volta dai paesani tutte le aeronavi del mondo di sopra.
L’interno non sembrava messo troppo male, a parte la famosa fiancata. In più era sicuramente un modello militare, rinforzato dalle più recenti tecnologie. Sarebbe stato interessante studiarne i componenti.

 Kaisa! Kaisa! Corri, Kaisa!

Una bambina dalle trecce bionde, pure lei, come Dado, con una maschera indosso che le copriva la parte inferiore del viso e dei grandi occhialoni da aviatore in testa – come a imitare la giovane donna – le corse incontro trafelata e agitata, di quell’agitazione che nasce da una scoperta nuova ed eccitante, dal gusto dell’avventura che nei bambini è scatenato da ogni più insignificante evento.
Kaisa si fece trascinare per la manica del cappotto logoro da Sorra, evitando le macerie che ogni tanto ostacolavano il cammino e imprecando quando non ci riusciva. La piccola le indicò trionfante il punto in cui si ammassavano i resti di un’intera sezione dell’aeronave, davanti i quali se ne stavano impalati gli altri ragazzini della banda. Dado si sporgeva incuriosito, mentre Spar, il più grande dei cinque, le indicò ulteriormente un indefinito qualcosa che si intravedeva appena dall’angolazione in cui si trovava.
Si avvicinò al gruppetto, per poi trovarsi di fronte all’oggetto delle loro attenzioni.

 Cos’è?

 Kaisa, perché ci sono delle collane?

 Non sono collane, stupido, sono catene!

 Chi ti ha chiesto niente?

 Secondo me c’è nascosto uno spirito della nebbia!

La ragazza scostò Lina e Kolto, sorella e fratello dai capelli corvini, ignorando il loro bisticciare, e si abbassò a sollevare la lamiera che parzialmente copriva lo “spirito della nebbia”, un paio di coperte da cui spuntavano delle catene in ferro alquanto grossolane.
Kaisa sollevò un sopracciglio, leggermente sorpresa.

Questa sì che è bella.


***


Lo svegliarono l’odore di legno bruciato, non così sgradevole come poteva esserlo durante un incendio, e il crepitio del fuoco. Rimase diversi secondi immobile, ancora con gli occhi chiusi, tentando di ricordare cosa fosse successo: ricordava un’esplosione, il cambio di rotta improvviso e subito una seconda, molto più vicina a lui, che gli aveva fatto perdere i sensi.
Dove si trovava?
Aprì gli occhi a fatica, le palpebre più pesanti del solito. La vista inizialmente appannata non riuscì a distinguere subito l’ambiente circostante: la prima cosa che gli saltò all’occhio fu la luminosità del caminetto, unica fonte di luce della piccola stanza rivestita in legno. Davanti al fuoco una giovane donna a dargli le spalle. I capelli scuri a un’osservazione più attenta si rivelarono di una tonalità più simile al viola, un colore assolutamente improbabile che mai aveva visto prima.
Continuò a osservarla in silenzio mentre sistemava nuovi ceppi sulla fiamma, mentre tornava a leggere il libro che teneva sulle ginocchia, prendendo ogni tanto degli appunti su alcuni fogli sparsi ai suoi piedi.
A un tratto si alzò, riponendo il volume sul tavolo addossato alla parete e afferrando un paio di pinze.

 Ben svegliato.

Si girò poi a guardarlo, brandendo l’attrezzo.

 Ora che sei cosciente vedi di collaborare, grazie.

Tentò di risollevarsi sui gomiti, ma una fitta all’addome vanificò i suoi sforzi, facendolo ripiombare sul cuscino dolorante. La ragazza subito si avvicinò, una nota di apprensione nello sguardo azzurro ghiaccio, aiutandolo a raddrizzarsi.

Non fare movimenti bruschi, hai una brutta ferita e non vorrei si riaprisse.

 … chi…?

 Io mi chiamo Kaisa. Ti ho trovato sulla spiaggia, vicino all’aeronave affondata ieri notte.

I ricordi confusi del dormiveglia trovarono una spiegazione, mentre realizzava di trovarsi al di sotto dello strato ultimo di nubi. Ciò non spiegava ancora cosa fossero quei boati sentiti mentre si trovava a bordo del mezzo, ma ci avrebbe pensato dopo.

Ora, per favore, stai fermo. Ti leverò quelle manette.

I polsi cominciarono a prudergli, come se al solo nominarle, si fosse accorto di quanto gli stessero dando fastidio. Quasi se n’era dimenticato di averle.
Con un secco colpo di tenaglie, la ragazza riuscì a liberarlo dai bracciali restrittivi.
La osservò poi avvicinarsi nuovamente al ripiano del caminetto rialzato, da cui prese una ciotola di zuppa da un pentolone in rame. Fortunatamente parlavano la stessa lingua, seppur con accenti lievemente differenti, e non fu affatto difficile per lui capire dove si trovasse. O meglio: ancora non aveva idea di dove fosse questa Dover, ma era rassicurante conoscerne il nome.

 E il tuo, di nome, qual è?

 Damasco.

 Esotico.

 Come Kaisa.

 Non proprio. – ripose la ciotola ormai vuota in un lavello in fondo alla stanza. – Senti, ormai fuori è buio, ma domattina pensavo di andare a ispezionare il relitto. Te la senti di venire con me?

Perché no. Non aveva effetti personali da recuperare, né gli interessava cercare altri superstiti – tanto si erano tutti messi in salvo. Ma in fondo non aveva altro da fare.
La risposta di Damasco fu affermativa, e Kaisa fece scendere una scala a pioli salendo poi sul soppalco – per quello era così basso il soffitto, a parte nella zona del focolare – dove trovavano posto un letto incassato direttamente nel pavimento e una piccola libreria annessa a un armadio. Ritirò poi la scaletta.
Non era una sciocca.

 Ah, ti avviso che ho una pistola.

Proprio no.








- Note dell'autrice -
Buonsalve, ben arrivati nel mondo di Scolopendra =)
Questa storia è stata scritta per il contest [Original Concorso 15] L'Oceano e... l'Assassino sul forum degli Original Concorsi, e per un motivo o per l'altro sono l'unica ad aver consegnato X°D
Quindi la pubblico subito, senza aspettare la valutazione (perché ci sarà comunque, e se sarete curiosi verrà aggiunta come recensione in seguito).
E' importante che sappiate che al concorso ho mandato solo i primi tre capitoli di questa storia, molto più lunga, un po' per limiti di tempo, un po' per limiti di lunghezza e un po' perché ci stanno benissimo come racconto a sé stante. Provare per credere!=D
A seguito vi aggiungo le note scritte nel testo mandato al contest, perché sono pigra. Si riferiscono alla totalità della storia, quindi qualche elemento non vi sarà ancora chiaro.

Credits: da Last Exile l’ispirazione-tributo di Scolopendra per… vedrete.
Note dell'autore: Scolopendra è… il titolo non ha a che fare con la schifezza cui questo nome ho scoperto si riferisce. Mi piaceva solo come suonava, fin da quando l’ho sentito per la prima volta nell’anime Last Exile, dove indicava un particolare cannone a luna (lunghissima) gittata. Tutto lì.
Se non sapete cos’è una scolopendra non googlate, potreste pentirvene a vita come la sottoscritta.
Poi, a volte, nei dialoghi dei bambini ho inserito espressioni non propriamente esatte, proprio perché… sono bambini XD
C’è una città di nome Dover, ci son le bianche scogliere… ma non si tratta del mondo reale, mi sono solo ispirata alle coste inglesi. Il mondo di Scolopendra è totalmente inventato.
Gli Spitfire sono i famosi caccia inglesi della seconda guerra mondiale. Qui non sono esattamente aerei però XD
Introduzione alla storia: Kaisa e Damasco. Uno strato di nubi a dividerli, un affondamento a farli incontrare.
Un affondamento e il professore.

E, uhm, niente. Grazie per aver letto, spero vi abbia incuriosito!=D
Alla prossima <3

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Capitolo 2
*** Capitolo II. ***


scolopendra 2
Capitolo II.



Saranno state le nove di mattina quando Damasco aprì gli occhi. La luce del sole che filtrava dalle due finestre della facciata rendeva la piccola abitazione molto più grande di quanto gli fosse parso la notte precedente. Riuscì a mettersi a sedere sul letto, cioè, sul divano, e le fitte di dolore gli parvero meno persistenti del tentativo precedente: qualunque cosa avesse usato Kaisa per curarlo, funzionava perfettamente.
E poi li vide.

- Buongiorno!

- Hai il viso sporco!

- Perché sei fasciato?

- Sei uno spirito delle nebbie?

Quattro bambini ai piedi del divano-letto gli diedero il ben svegliato tempestandolo di domande, mentre una quinta sembrava decisa a continuare a fissarlo senza spiccicare una parola.
Lo stagliarsi della figura di Kaisa sull’uscio spalancato fu accolta come la salvezza da un assedio.

- Avete finito voialtri?

Bastò poco perché i quattro mocciosi si dileguassero correndo, senza ormai più interesse per il naufrago. Solo la bambina era rimasta, per niente intimidita dall’arrivo della padrona di casa.

- Ti ho portato degli abiti, spero ti vadano bene perché è tutto ciò che ho trovato. Qui c’è un asciugamano, il bagno è là dietro e… purtroppo non ho trovato nessun rasoio, il Professore lo ha bandito dalla propria abitazione. – sentenziò alzando gli occhi al cielo in un gesto rassegnato, di chi era abituato alle stranezze di tale “professore”.
Damasco passò in rapida rassegna i vestiti che la ragazza gli gettò sulle gambe: un paio di pantaloni in pelle scamosciata, una camicia dai polsini vagamente consumati, un panciotto che doveva aver visto giorni migliori, ma giorni sicuramente da signore. Abiti vecchi, di sicuro, ma non poi così mal messi. E comunque sempre meglio della sua grigia divisa da prigioniero.

- Non sono assolutamente riuscita a convincerlo a prestarmi uno dei suoi cappotti, ma in fondo di giorno non fa ancora così freddo, e ne ho un paio che potrebbero andarti bene.

- Non hai niente da chiedermi?

Kaisa si interruppe dal rovistare in uno dei bauli in cerca di un soprabito per l’ospite, girandosi poi a osservarlo, a studiarlo. Aveva capito a cosa si riferiva: cosa ci faceva incatenato a bordo di un’aeronave? Era un ricercato? Un malvivente? Sicuro che le erano passate per la mente tali domande, ma per un motivo o per l’altro…

- Non mi interessa, tutto qua.

Semplicemente.
Kaisa non era tipo da interessarsi eccessivamente alle vicende degli altri, a meno che non la riguardassero direttamente. Ma anche in quel caso perdeva presto interesse. Le macchine, invece, quelle sì che erano interessanti! Il loro funzionamento, la loro composizione, i progetti dei motori delle aeronavi, l’uso della nebbia nel processo di assimilazione dell’energia atmosferica, questi erano i suoi interessi.
E al momento vi rientrava anche Damasco, il primo naufrago del mondo superiore che le era mai capitato di incontrare. Probabilmente l’unico naufrago del mondo superiore che fosse mai esistito: solitamente erano solo i relitti a precipitare, non gli uomini. In parte avrebbe voluto sapere il motivo per cui era stato lasciato indietro, ma date le condizioni di prigionia in cui l’aveva trovato si era già fatta un’idea, e quando si faceva un’idea delle circostanze tendeva a ritenere la questione risolta il più delle volte.

- Ah, eccola! – esclamò trionfante estraendo dal baule una maschera in cuoio, con dei filtri per la respirazione. Si rivolse poi nuovamente a Damasco. – Bene, a posto. Il bagno è di là – l’ho già detto? – fai pure con comodo, ti aspetto fuori. Andiamo, Sorra.

La bambina però non pareva averla sentita. Se ne stava appoggiata sui gomiti, la testa posata fra le mani a coppa, e non aveva staccato gli occhi di dosso a Damasco per un secondo, tenendo un’espressione sempre più sognante. Inutile dire che il giovane si sentiva alquanto in soggezione.

- Santo cielo, Sorra.

Un altro richiamo a vuoto. Kaisa allora si avvicinò alla piccola, afferrandole un braccio e trascinandola fuori senza troppi complimenti.

- Kaisa… - disse poi una volta che la porta fu chiusa alle sue spalle. – Io… io voglio essere la madre dei suoi figli!

Si chiese dove diavolo Sorra avesse imparato certe espressioni. Poi si sporse leggermente di lato, intravedendo dalla finestra il suo ospite rivestirsi.

- Be’, hai buon gusto.


***


Si asciugò il viso, per poi fissare la sua immagine nello specchio del piccolo ma comodo bagno di Kaisa, i capelli biondi un po’ troppo lunghi e la barba sfatta. L’assenza di un rasoio non era poi una tragedia, poteva ancora ritenersi in uno stato presentabile. Pure gli abiti erano della sua misura; anche se, forse, la sua alimentazione delle ultime settimane aveva contribuito a ridurre la sua muscolatura – di certo non era stato come mangiare al “Numero Sei” di Rou de La Fontaine.
Gli stivali che gli aveva trovato Kaisa erano così simili a quelli indossati dagli ufficiali dell’esercito che gli venne da ridere al pensiero. L’ironia della sorte.
Uscì, prendendo sottobraccio la giacca che in un primo momento non aveva notato, e rimase spiazzato dal panorama. L’abitazione di Kaisa, affiancata da un piccolo hangar, era molto isolata, tanto che non si vedevano altre costruzioni all’orizzonte, tranne quella che sembrava una sottospecie di torretta di controllo, che rimaneva comunque a una discreta distanza. La posizione, poi, era altro motivo di sorpresa: una decina di metri e il terreno precipitava in uno strapiombo che dava sul mare. La bianca scogliera si stagliava lungo tutta la costa, con pochi sentieri che portavano fino alle spiagge solitamente deserte.
E poi il cielo.
Il cielo era bianco, totalmente. In un primo momento, Damasco pensò che fosse dovuto semplicemente alle nuvole, ma tralasciò quest’idea appena vide il sole irradiare placidamente la propria luce sopra le loro teste. Certo, era una luce molto più debole a quella cui era abituato, ma di fatto, se fosse stato nuvoloso, non avrebbe potuto distinguere l’astro così facilmente.
Osservò meglio Kaisa e la sua carnagione chiara, Kaisa e i suoi capelli di un viola misto a grigio, non troppo appariscenti, ma nemmeno anonimi.

- La tua espressione è la conferma che vieni dal mondo superiore. – intervenne Kaisa, scrutandolo dalla panchina su cui si era seduta ad aspettare. – Scommetto che là il cielo è azzurro, dico bene? Ebbene, qui è bianco. Quello che vedi lassù è l’oceano superiore, quello in cui si muovono le vostre belle navi volanti. Mentre quella distesa d’acqua è il nostro oceano inferiore, dove si muovono le nostre.

Bianco su blu. I colori si invertivano, come in uno specchio.

- A proposito, questo non è il mio colore naturale, eh. – La ragazza si alzò, lisciandosi i pantaloni aderenti e il corpetto in pelle, arrotolando poi le maniche della camicia mentre si avvicinava a un ragazzino magro e pieno d’energia.

- Spar, voglio che tu vada in paese e compri queste cose.

Il tredicenne afferrò malvolentieri il foglietto che gli veniva porto, corrucciandosi.

- Ma ci metterò tutto il giorno…

- E portati anche gli altri, non vi voglio avere attorno oggi. Ah, - aggiunse infine mentre gli consegnava i soldi necessari. – Se mi fai questo favore ti farò salire sullo Spitfire, d’accordo?

Gli occhi di Spar si illuminarono al sentir nominare il bizzarro mezzo di trasporto. Da bravo leader qual era radunò immediatamente i quattro bambini, con un richiamo in più per Sorra, e si diresse subito correndo lungo il sentiero che portava alla strada principale che collegava la costa alla piccola cittadina di Dover.

- Ma questi bambini?

- Boh, mi trovano simpatica. A volte sono una seccatura, ma possono rivelarsi utili.

Gli lanciò la maschera che aveva visto cercare in precedenza.

- E questa? Anche i ragazzini ne avevano una…

- Per la nebbia. – rispose lei. – Oggi non è il caso, ma può capitare che cali una nebbia molto densa, che rende difficile la respirazione. Almeno, io non ho mai avuto problemi, ma essendo tu abituato ad un altro tipo di aria è meglio che te la tenga sotto mano.
E ora andiamo, abbiamo già perso un’ora di luce.


***


- …ma questo non è un impianto militare.

L’ingresso alla sala macchine era ostruito da diverse macerie impossibili da rimuovere. Per la gioia di Kaisa, però, una parte degli impianti del motore erano accessibili anche dall’esterno, rendendo possibile lo studio della tecnologia del volo. Anche al di sotto dell’oceano di nubi si erano creati una serie di mezzi di trasporto aereo, ma non erano ancora riusciti a raggiungere la potenza necessaria a superare una certa quota con un certo peso. E le navi precipitate dal mondo superiore difficilmente risultavano abbastanza integre come quella.
L’entusiasmo della ragazza, però, si era smorzato nell’esatto momento in cui aveva rimosso uno dei pannelli di revisione della turbina buttandosi poi gambe all’aria all’interno.

- Questo sembra un impianto militare, ma gli ingranaggi sono di classe mercantile. Damasco! – si tirò su senza sforzo, puntando poi lo sguardo imbronciato negli occhi blu del giovane, seduto a poca distanza su alcuni resti della carena.

- Che storia è questa?

- Spesso capita che vecchie navi da guerra vengano riconvertite a mezzi di trasporto civili. In tal caso è normale che le tecnologie belliche e di potenziamento del motore vengano rimosse.

Sorrise divertito alle imprecazioni indispettite della ragazza, che scese dai resti della nave con un agile balzo, buttando a terra stizzita la borsa con gli attrezzi da meccanico che si era portata dietro.
E non riuscì a trattenere le risa, quando inciampò in una lastra nascosta dalla sabbia, finendo rovinosamente a terra.
“Scolopendra” recitavano i caratteri greci sopra incisi.

- E quindi – propose Damasco – perché non addentrarci all’interno della Scolopendra?


***


- Danni allo scafo inferiore, turbina di babordo danneggiata. Stiamo perdendo quota!

- Cosa dicono dalla sala macchine?

- Gli ingegneri stanno tentando di stabilizzare l’engine, ma siamo troppo pesanti per poter procedere con un motore solo!

- Staccate i carFZZ


- Maledizione, il nastro è rovinato!

Damasco osservò la ragazza chiudere il dittafono, per poi inserirlo nuovamente nella scatola metallica in cui lo aveva trovato.

- Mi chiedo quale sia stata la causa del naufragio…

- Purtroppo non posso aiutarti, tutto ciò che ho sentito sono le due esplosioni di cui ti ho parlato prima.

- Sì, ma guarda il danno che hanno fatto. Non può esser stato un regolamento di conti, o un attacco da parte di una nave militare?

- Impossibile. – negò Damasco scuotendo la testa. – Era un mezzo autorizzato, e non ci sono casi di pirateria. Per di più, credo che se il nemico fosse stato visibile avrebbero attivato le torrette di difesa.

Kaisa si diresse nella cabina del comandante, subito dietro quella di pilotaggio. Cominciò a rovistare tra le carte, esultando lievemente quando trovò dei progetti dell’engine della Scolopendra, e leggendo poi il diario di bordo, tutto sotto lo sguardo vigile del biondo, appoggiato allo stipite della porta.
Non sapeva cosa sperasse di trovare – né gli interessava. Era curioso l’interesse di lei per le macchine. In genere le ragazze preferivano ben altri argomenti, almeno quelle che aveva incontrato fino ad allora.
Era decisamente curiosa. E intrigante, a suo modo.
Continuava a sfogliare le pagine mormorando, ogni tanto saltando intere giornate, ogni tanto soffermandovisi più a lungo.

- 7 Ottobre, imbarcato il carico 23773. Strano, avevano sempre parlato di merce finora.

Damasco si avvicinò, silenzioso.

- E questi documenti?

- Sono io il carico 23773.

Il sussurro di Damasco le arrivò molto vicino, e per istinto portò la mano alla sacca che le pendeva dalla spalla, cercando la pistola che portava sempre con sé. Si sentì afferrare il polso prima di riuscire a estrarla, e si ritrovò poi bloccata contro il petto di lui, le braccia incrociate dietro la propria schiena, strette saldamente nella sua presa.

- Cosa intendevi fare? – le chiese, con sguardo duro e voce atona.

- E tu? Che vorresti fare?

Un sorriso ironico.

- Non saprei. Potrei ucciderti, o stuprarti. In fondo è perché temi una simile eventualità che ti porti dietro quella, no? …Ma non sono un criminale. – disse lasciandola andare.

- Non è quello che dice questo rapporto.

Gli sventolò sotto il naso i documenti trovati nelle pagine del diario di bordo. Damasco sospirò, vagamente sconsolato, incrociando le braccia al petto.

- Voglio dire, se eri un ladruncolo a caso ok, ma qui si parla di omicidio.

- Ero un ufficiale. – cominciò a raccontare. – Sono un cosiddetto prigioniero di guerra. Anzi, un traditore. Ho ucciso un mio superiore, e mi hanno catturato.

- C’è una guerra in corso?

- No, ma è solo questione di tempo. Con l’eliminazione di Portien è stato rimandato, ma il conflitto è destinato comunque a scatenarsi, prima o poi.

- E noi? Verremo coinvolti anche noi sotto le nuvole?

- …questo non lo so.

Calò il silenzio. Kaisa non sapeva se prestar fede alle parole di Damasco. In fondo era ancora uno sconosciuto, e non aveva modo di confermare le sue parole. E poi cosa sarebbe cambiato? Non poteva nemmeno dirgli di tornarsene a casa – a parte che non gli conveniva – perché non c’era modo di risalire oltre le nubi, così come non potevano scendere le loro aeronavi. Non erano tarate per la consistenza dell’aria sottostante, precipitavano inesorabilmente.

- Di sicuro sarebbe un problema se le vostre città galleggianti finissero per perdere pezzi sotto un bombardamento. Ma in fondo qui sopra non ce ne sono. – raccattò poi le carte nautiche, i progetti del sistema engine e tutto ciò che poteva fornire da lettura interessante. – Torniamo a casa, qui non c’è nulla da fare. Torneremo con lo Spitfire per trasportare i pezzi meccanici ancora utilizzabili.

- …Ehi, aspetta un secondo.

La seguì all’esterno, un po’ incredulo forse, un po’ sconcertato dai suoi modi.

- E quindi di me ti fidi?

- Mah, mi fido… - raccolse una borsa piena di ingranaggi che aveva messo da parte. – Diciamo che l’aria da militare potresti anche averla. Poi piaci ai bambini. E se piaci ai bambini allora va bene. Ma continuerai a dormire sul divano.








- Note dell'autrice -
Prima e ultima volta che mi metto a fare il codice HTML a mano, giuro.
Ma sono in università, sto aspettando la mia prossima lezione e non ho altro da fare che non parcheggiarmi qui in aula informatica. E ovviamente non il file word, ma ho potuto recuperare il testo dal forum degli Original Concorsi, dove l'ho pubblicata per il contest, ma questo non vi interessa. '-'
Vi voglio solo dire che se vi pare che ci sia qualcosa che manca, state tranquilli, è appena il secondo capitolo X°D
Tutto verrà a galla a tempo debito u_ù
Grazie a tutti voi per aver letto, spero vi stia piacendo <3
S', è un po' presto per dirlo, ma lasciatemi cianciare, dai.
Al prossimo capitolo!=D

EDIT: sostituito il capitolo con quello corretto e, soprattutto, creato con NVU. Quel programma è la mia salvezza.

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Capitolo 3
*** Capitolo III. ***


scolopendra 3
Capitolo III.



C’era la nebbia quel giorno. Erano un paio di settimane che conviveva con Kaisa, nel mondo inferiore, e finalmente vedeva questa famosa nebbia. Ora capiva l’utilità delle maschere: effettivamente l’aria era pregna d’umidità, in una misura tale da rendere difficoltosa la respirazione. Ma riteneva la maschera comunque inutile: chi era l’idiota che usciva di casa quando non si distingueva nemmeno la propria mano?
E così, Damasco si era chiuso in casa, spulciando la piccola libreria di Kaisa, informandosi sul mondo inferiore che ormai era destinato a divenire la sua nuova casa. Grazie agli acquisti fatti fare a Spar, poi, era anche entrato in possesso di un rasoio. Meglio di così.
La padrona di casa, invece, faceva avanti e indietro tra l’hangar e il focolare, prelevando ogni tanto della legna per rimpinguare la piccola stufetta in ghisa nel deposito.
A quanto pare lavorava come ingegnere, che possedeva una connotazione diversa rispetto al mondo sopra le nubi: da dove veniva lui, gli ingegneri erano principalmente i detentori del sapere riguardo l’engine delle aeronavi, il cuore energetico che mandava avanti il motore. Poi c’erano i meccanici, che si occupavano di tutto il resto.
Kaisa invece era un’ingegnere meccanico: erano i costruttori di tutto ciò che andava a vapore – la principale forza motrice – e ogni congegno che avesse a che fare con ingranaggi o parti meccaniche era di competenza degli ingegneri. Pure gli orologi rientravano in questa categoria.
Poi, ovviamente, ognuno si specializzava in un campo specifico.
Kaisa lavorava sui motori dei mezzi di trasporto, e ogni tanto si divertiva a costruire oggetti senza alcuno scopo, come testimoniavano alcune mensole piene di ammassi di ferraglia in miniatura che si spostavano a una minima pressione delle leve. Costruiti a mano in momenti di noia, pareva.
La ragazza rientrò trafelata, buttando a terra il cappotto e gli stivali, finendo poi su una sedia e accasciandosi sul tavolo.

- E quindi? – chiese Damasco, portandole una tazza di thé bollente.

- E quindi lo Spitfire finalmente si è sbloccato. Domani riempio la dispensa.

- Non rischieresti di morire di fame per un guasto se non vivessi isolata.

Si appoggiò allo schienale, scivolando sulla seduta.

- Ma si sta bene qui. Nessun rompiscatole…

- Tranne le piccole pesti.

- E posso lavorare a che ora voglio facendo tutto il rumore che voglio. Posso anche ospitare un uomo senza che le vecchie comari comincino a metter in giro strane voci.

Damasco rise. Anche lì esistevano le pettegole senza cognizione di causa. Erano ovunque.
Kaisa si alzò, decisa a farsi un bel bagno caldo che le levasse di dosso il freddo assorbito durante il lavoro sullo Spitfire, e qualcuno decise che era il caso di impedirglielo.
Bussarono alla porta.
I due si guardarono. Le piccole pesti, come le aveva definite lui, non potevano essere: solitamente spalancavano direttamente l’uscio senza troppe cerimonie. Forse era un cliente, ma a quell’ora era difficile che si spingessero fin alla scogliera.
Damasco si nascose in un angolo cieco della stanza, non era ancora il caso che i paesani sapessero della sua presenza; Kaisa aprì quindi la porta con cautela, per trovarsi davanti una ragazza dai capelli biondo cenere, una gonna lunga e aderente, degli stivaletti da città e un grazioso soprabito con le maniche a sbuffo.
Era terribilmente fuori luogo.

- Mi scusi, il mio mezzo si è guastato, potrebbe ospitarmi per la notte?

E sospetta.

- Questa non è una locanda.

L’espressione di Kaisa rimase imperturbabile mentre le sbatté la porta in faccia.
Non passò nemmeno un secondo prima che la ragazza riprendesse a bussare insistentemente. Kaisa tornò ad aprire, leggermente corrucciata e pronta a rifilarle un bel colpo con una chiave inglese. Erano lontani dalla strada principale, quindi che ci faceva lì quella?

- A un chilometro circa c’è un villaggio, là troverà tutta l’ospitalità che desidera.

- Ma… c’è la nebbia, non si vede nulla! Non potrebbe offrirmi un riparo solo per stanotte? La prego, mi accontento anche del divano!

Il divano era già occupato, però.
Dopo l’ennesima negazione – non c’era posto, dopotutto – la porta si richiuse nuovamente in faccia alla viaggiatrice. O almeno questa era l’intenzione.
La misteriosa ragazza, infatti, fu più rapida, e riuscì a interporre la gamba tra la porta e lo stipite.

- La prego, mi ascolti! – sicuramente si era fatta un minimo male.

- Senti, non mi faccio tanti problemi a romperti tibia, femore e quant’altro, chiaro?

Il tono gelido di Kaisa sembrò convincere la ragazza del rischio che correva, ma con sua gran sorpresa, poco dopo l’ennesima chiusura dell’entrata, l’altra uscì fuori portandosi dietro un cesto pieno di attrezzi.

- E ora fammi vedere dov’è questo tuo “mezzo”.


***


- Era un mono-turbina da terra, singolo passeggero. Non ho idea di cosa ci faccia ancora in commercio un simile rottame.

Era rientrata quasi subito, il guasto comprendeva solamente un problema al convoglio dell’energia all’elica. Terribilmente semplice da risolvere, pareva fatto apposta. Ed era proprio ciò che pensava Kaisa.

- Credi che sia possibile che qualcuno ti stia cercando?

Si era accorta fin da subito di quanto fosse strano il modo di fare della sconosciuta. In più sembrava totalmente spaesata, i suoi abiti non rientravano nella moda di Dover e il suo accento somigliava vagamente a quello di Damasco. In più era abbronzata. Sembrava un dettaglio inutile, ma il sole non era così forte da dare una simile colorazione, non nel mondo inferiore, dove era costantemente schermato da uno strato di nubi impalpabili. No, la ragazza proveniva dal mondo superiore.

Damasco era pensieroso. Non credeva che valesse la pena mandare qualcuno a recuperarlo, ma non si poteva mai sapere. Lui stesso aveva considerato quest’ipotesi fin dai primi giorni.

- Può essere. È il caso che tu stia attenta quando vai in città, già ora hai rischiato grosso.

- Ero ben preparata, dovresti saperlo. – rispose tirando fuori la fedele arma da fuoco da una delle grandi tasche dei pantaloni da aviatore. – Ma ora voglio solo dormire. Spero tu abbia il sonno leggero, perché non credo riuscirò a sentire eventuali intrusi.

- Non preoccuparti, un militare deve imparare anche questo.

- Ah, un ‘ultima cosa… - disse prima di salire nella sua “stanza”. – Dormo ancora armata.


***


- Kaisa, Kaisa!

Lina e Kolto, i due pestiferi fratelli, spalancarono l’ingresso con malagrazia, facendo tutto il baccano possibile immaginabile. La piccola dal caschetto corvino si arrampicò con discreta difficoltà sulla scala a pioli che portava al soppalco, seguendo i mugugni indistinti di Kaisa, decisamente poco felice del brusco risveglio.

- Kaisa, il Professore vuole farti vedere una cosa!

- Il Professore può andare al diavolo.

- Ma Kaisa, il Professore dice che è urgente!

Altri mugugni più violenti, poi una massa di capelli viola emersero da sotto le coperte.

- D’accordo, ma se è una stupidaggine come l’ultima volta faccio una strage. E siete compresi anche voi.

I due corsero fuori a metà tra l’esser spaventati e l’esser divertiti, ridendo come pazzi e tornando a giocare con gli altri compagni di banda.

- Questo Professore chi sarebbe, poi?

- Quello che ti ha prestato i vestiti.

- Sì, ma in concreto di cosa si occupa?

Si girò verso Damasco, con un’espressione indecifrabile sul viso. Parve pensarci un momento prima di rispondere, e comunque quello che disse rimaneva confuso anche per lei.

- Fa… il professore, no? Che domande sono di prima mattina?

L’orologio scoccò le undici.


***


Il rombo delle eliche dello Spitfire si dissolse dolcemente, mentre i bracci che sostenevano le turbine di ripiegarono, rientrando per occupare meno spazio. I due passeggeri scesero dai sedili posti uno dietro l’altro, la polvere delle strade di campagna che inzaccherava gli stivali.
Kaisa si tolse gli occhialoni da guida, lasciandoli cadere sul collo, mentre si avviava all’ingresso della torre di vedetta che si intravedeva già da casa sua.
L’interno era un ammasso di cianfrusaglie di ogni genere: libri, fogli di pergamena, modellini di veicoli, scatoloni pieni di oggetti di ogni tipo, tazze di caffè vuote, abiti…. Era tutto sparso a terra o sui vari mobili che occupavano l’esiguo spazio del primo piano. Perfino le scale erano ingombre di strumenti.

- Siamo di sopra!

Seguirono la voce del Professore, destreggiandosi fra gli ostacoli, e salirono fino al terzo e ultimo piano della torretta, più piccolo ma ugualmente disordinato. Tranne per una zona occupata da un… macchinario, probabilmente, ricoperto da un telo. Era posizionato esattamente di fronte a una grande finestra serrata da una saracinesca d’acciaio.

- Prego, prego, benvenuti!

Il Professore era un uomo sulla sessantina, di carattere gioviale, dai capelli grigi e una barba che aveva bisogno di una bella sforbiciata. Gli abiti erano eleganti, la corporatura robusta.

- Ah, tu devi essere il naufrago cui mi ha accennato la piccola Kaisa, mh? E quindi come ti trovi qui sotto? Ah, ma sedetevi, sedetevi! Robert!

Un ragazzo più giovane, uno studente sulla ventina, pure lui con la barba lasciata crescere – con evidenti tentativi di scorciarla, però – apparve da una stanzetta secondaria, un ripostiglio forse, con un plico di documenti che porse al Professore.

- Oh, signorina Kaisa, benvenuta.

- Ciao Robert! Ma… la faccia? – chiese lei indicandosi il mento con un movimento circolare. L’assistente abbassò la voce, assumendo un tono rassegnato.

- Da quando il Professore si è tagliato con rasoio, un mese fa, non voluto più sentirne parlare, e ne ha proibito l’uso perfino a me. Spero solo che cambi presto idea, andare fin dal barbiere da qui è lunga.

- Bando alle ciance, fanciulli! – tuonò il Professore – E’ il momento della mia nuova invenzione!

In un gesto solo levò il telo e azionò l’argano per sollevare la saracinesca, che si ritirò pian piano mettendo in luce quello che pareva essere un rudimentale cannone montato su un sostegno, rendendolo orientabile.
Kaisa trattenne uno sbadiglio, mentre Damasco se lo immaginava già andare contro le moderne torrette armate delle aeronavi. Non era una visione favorevole al Professore.

- Ma non è finita qui! Robert, carica un colpo!

Il ragazzo attivò una manovella collegata a diverse ruote dentate, che in un primo tempo non avevano notato. Ai due ospiti parve di intravedere delle scintille unite a piccole scariche elettriche durante tale azione. Poi il Professore orientò il cannone contro uno scoglio solitario che si ergeva a qualche centinaio di metri dalla riva, inquadrandolo con una serie di lenti che fungevano da obbiettivo.

- Pronti all’impatto!

Afferrò le due leve poste all’estremità del cannone, tirandole violentemente.
Una scarica di energia partì dalla bocca di fuoco, provocando un leggero stridio nell’aria e colpendo il bersaglio, disintegrandolo.
Kaisa e Damasco non registrarono subito l’effetto dello sparo. Per degli interminabili istanti rimasero sospesi in una sorta di limbo, scioccati dalla potenza dimostrata dall’arma del Professore.
Poi si riscossero: Damasco si fiondò alla finestra con un binocolo per constatare cosa ne era stato del famoso scoglio, mentre Kaisa era convinta si trattasse di un trucco, e si mise a controllare il cannone da ogni angolazione possibile, tempestando di domande il Professore e Robert, soprattutto. Lui non si sarebbe inventato particolari strambi.

- Cos’è tutta questa diffidenza, suvvia! La potenza del mio gioiellino può abbattere un’aeronave in due soli colpi! Ragazzo mio, devi sapere che…

Un rumore e un urlo dal piano inferiore interruppero la discussione. Discussione che stava prendendo una piega preoccupante, o interessante, o bislacca. Tipica del Professore. Che forse stavolta era andato un po’ troppo oltre.
Una voce femminile e diversi tonfi giunsero nuovamente alle orecchie dei presenti, e non ci volle molto prima che una testolina bionda facesse capolino dalla scala.

- Oh, Lyra! La mia nipotina, sei tornata! Lei è la mia nipotina, non è graziosa? Lyra, ci hai messo un’eternità!

- Nonno, non ho trovato nessuno, sei sicuro di quello che… oh.

Lyra, la sconosciuta di qualche sera precedente che aveva cercato una scusa per intrufolarsi in casa di Kaisa, era la nipote del Professore. Insomma, tutti sapevano che da lui ci si poteva aspettare qualunque cosa – tranne che ti dicesse il suo nome, quello mai – ma questo eccedeva le aspettative.

- Oh. Mio. Cielo.

L’ingegnera era totalmente incapace di pensare a qualunque reazione. Diversamente da Damasco, che prontamente puntò la pistola sottratta a Kaisa contro la nuova arrivata.

- Sei un agente governativo?

- Calma, ragazzo, calma… qui nessuno vuole farti nulla, siamo dalla tua parte.

Il Professore tentava di rimettere insieme la situazione, ma convincere l’ex-militare non era semplice.

- Sì, sono un agente governativo.

- Lyra!

- Va tutto bene, nonno. – tornò a rivolgersi a Damasco. – Sono un agente governativo, dicevo, e il mio incarico è quello di ritrovare il relitto della Scolopendra e assicurarmi che voi siate morto. In caso contrario devo recuperarvi e consegnarvi alle autorità per l’esecuzione.

- Wow, Damasco, non pensavo fossi messo così male. – esordì Kaisa.

- Professore, faccia qualcosa o il laboratorio…

- Calmo Robert, non succederà nulla.

- Allo stesso tempo – continuò Lyra – il Distretto di Samarcanda mi ha incaricato di liberarvi. Abbiamo quindi attaccato la Scolopendra con l’intenzione di affondarla e recuperare poi…

- Aspetta un momento. La fazione di Samarcanda?!

Lithium era la città d’origine di Damasco. Samarcanda era la sezione centrale di Lithium, dove stava il governo centrale. Lyra spiegò come il governo centrale avesse approvato l’uccisione del colonnello Portien, anche se, naturalmente, non poteva dare il proprio consenso pubblico ad un assassino. Così avevano voluto dimostrare la propria gratitudine in un modo un po’… inusuale.

- Dovevamo prendervi in consegna e farvi espatriare una volta recuperate le lance di salvataggio, ma con nostra sorpresa il Comandante vi aveva lasciato a bordo della nave…

- Sei fortunato a esser sopravvissuto alla caduta in seguito ai colpi del mio piccolo, qui… - disse il Professore dando colpetti affettuosi alla sua macchina.

- E’ fortunato a non esser stato colpito, piuttosto! E io a non essermi vista l’aeronave cadermi in testa! Ma che razza di salvataggio è?

- Questo perché vivi così isolata dal mondo!

Il “Ma da che pulpito” risuonò nella torre, seguito dall’abbandono di Kaisa della sala, andata a sbollire ai piani inferiori, dove non le sarebbe venuto l’impulso di strangolare il Professore, con le sue affermazioni così candide.
Damasco ancora fronteggiava Lyra, seppur dopo aver abbassato l’arma.
Per un attimo pensò agli stivali prestatigli dal Professore, che ancora indossava. Stivali simili a quelli degli alti ufficiali di Samarcanda. E alla nipote che proveniva dal mondo superiore. L’unico collegamento possibile erano i grandi ascensori a vapore che si trovavano in corrispondenza delle grandi città sottostanti, e la trafila per ottenere un posto era decisamente ardua.

- Quindi ora sarei libero?

- Esattamente. A questo proposito, credo che forse preferite rimanere qui?

Damasco non rispose. Si limitò a sorridere di rimando alla ragazza e a recuperare il suo giaccone, scendendo poi le scale di corsa.
Kaisa lo aspettava appoggiata allo Spitfire, gambe distese e mani incrociate a ciondolare.

- …Torni a casa? – gli domandò, una nota di finta indifferenza nella voce.

- No… ormai mi sono affezionato a quel vecchio divano.

- Ah, sì? È un peccato… sai, vorrei poterlo riutilizzare come semplice divano.

Una luce strana negli occhi chiari. Ironica, forse.

- Poi non è più comodo il letto?

Ammiccante, languida.
Un leggero sorriso ricambiato, l’accostarsi di Damasco, l’incontro delle loro labbra.

- Torniamo a casa.


***


- Ma Lyra, vai ancora in giro con quel trabiccolo? È un rottame!

- Piantala nonno, funziona ancora, questo è l’importante. Ora vado, devo inventarmi qualche balla da rifilare al ministero… ci vediamo!

Lyra baciò sulla guancia il Professore, dileguandosi veloce giù per le scale, continuando a inciampare ogni tanto. E Robert pensò che era il caso di cominciare a sistemare almeno i libri.
Fu così che lasciò solo il Professore a rimuginare, il vecchio colonnello in pensione con il pallino delle invenzioni, Arnald Socrates.
E davanti alla finestra, gli venne l’ennesima sua illuminazione, ripensando al relitto dell’aeronave affondata col suo nuovo pargolo.

- Ma certo! Scolopendra! Ti chiamerò Scolopendra, contento? E ora, santo mare, che fastidio questa barba. Ma dove ho messo il rasoio? Robert! Robert! Dov’è finito il rasoio? Robert!

E la notte calò sul cannone Scolopendra.






- Note dell'autrice -
E con questo capitolo si conclude Scolopendra, almeno la parte che ho mandato al concorso.
Ciò vuol dire che la storia continua, ho già scritto altri sei (SEI.) capitoli. Va un po' per le lunghe, ma ne sono così soddisfatta =w=
Nel frattempo Mitsutsuki, la giudice in carica del concorso, ha anche lasciato la recensione al primo capitolo, se vi interessa leggerla!
Per il restyo vediamo... cosa c'è da dire. Ah, già. Finalmente fa il uo ingresso in scena Lyra XD
Lyra è un personaggio che in questa prima parte non ha avuto troppo spazio, ma in seguito diventerà centrale come Kaisa e Damasco. E anche il Professore. Non è forse adorabile quell'uomo?;w;
Mi diverto troppo a farlo parlare, è una macchinetta.
Ma ora me ne starò zitta e cuccia, e vi lascerò al vostro da fare.

Grazie per aver letto, al prossimo capitolo!=D

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