Racconti D'Aveno

di Manuele93
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1x01: La Bieta ***
Capitolo 2: *** 1x02: I Tre Pi-NAH!! ***
Capitolo 3: *** 1x03: Cora a Cora ***
Capitolo 4: *** 1x04: Jingol Bellete ***
Capitolo 5: *** 1x05: Abbide ***
Capitolo 6: *** 1x06: Pinlokke Holmete ***
Capitolo 7: *** 1x07: Se Semo Amate Tante ***
Capitolo 8: *** 1x08: Evritinghe Canne Eppene ***



Capitolo 1
*** 1x01: La Bieta ***


Racconti D’Aveno

 

C'erano una volta nel lontano paese di San Cesc'ammare, una serie di abitanti che vivevano isolati dal mondo.

In “Racconti D’Aveno” vi racconteremo, piano piano, le loro vite, gli intrighi e le vicende quotidiane, di questi personaggi un po’ “particolari”.

 

1x01: La Bieta

 

In una mattina come tante in casa Marozzi, Giovanna stirava i panni del marito, quando improvvisamente il suo cellulare squillò. 

“Como se use sto cazze de cosA! Io spigne er bottona ma nun se sentA” – disse Giovanna mentre cercava di rispondere – “Pronto? Pronto, Tibberio? Sei te?” 

“Ao! Giovà me sentA? …me sentA?” rispose Tibberio. 

“Sine, te sentA!” 

“ProntE? T’ho dette Giovà che te deve comprà l’amplifE! Nun ce senta più come ‘na vorte.”

“Er sordo qua sei tene. Nun ce provane” – controbatté Giovanna – “Stai ar mercate Tibbè? Me chiami solo quanno stai la, mai ‘na vorta che me chiami pe dimme che me voi benA.” concluse Giovanna. 

“Si che te vojo benA, stupida. Senti… la comprave la bieta?” domandò Tibberio.

“Sineee! Oh sai che me piasciua la bieta! Quante vorte t’ho deo dine?” 

“Va bena, allora me manca er salamo, la bieta e er presciutto.”  

“Se sentime dopa Tibbè, sbrighete che deo fa er brodA!”.

I due chiusero il cellulare, anche se Giovanna trovò qualche difficoltà nel farlo.

 

Intanto Tibberio si mise in fila al banco dei salumi. Poco dopo si accorse che accanto a lui, c’era Ivano, un suo carissimo amico di infanzia.

“Ivano!” gridò Tibberio.

“Oddio! Chidè?*” disse Ivano spaventato. (*Chidè? = Chi è?)

“Ivano so io! Tibberio!”

“Tibbè! Nun t’avevo viste, che te possino! Che stai a fane?”

“Deo comprane er salamo pemmi-moje, te?”

“Eh, Carmelona mi ha chiesto de comprane er panA. Naa sopportave più, me comanna a bacchette!”

“Coma te capische! Mi moja me chieda sempre de piaje ‘abbieta. Nun me ne parlane.”

“Ecco, alla mia je servirebbero 'npo’ de verdure, pesa ‘na piotte* e mezze.” – disse avvilito Ivano – “da quando ha create quer concorse ‘Miss Carmelona’ nun cià più tempe pemmè, sta sempre a organizzà nuove edizionA!” (*Piotte = Dal romanesco “piotta” ovvero cento.)

“Ciò sone*, co mi moje stanno sempre a parlane de ste nuove CarmelonA, dicheno che so forti, io sinceramente nuo* mai capite ste concorse de bellezze.” (*Ciò sone = Lo so. *Nuo = Non le ho.)

“Già, come se semo ridotti! Te ricordi quanne giocavameno nel giardine de mi nonne co li sassi? …e quanno passavano le donnA e se le spizzevamo*, e le sognevamo da dietro li cespuglia?” disse Ivano. (*Spizzevamo = Guardavamo.)

“E chi so scordE! E quanno se guardevameno sur televisora li firme de Anna MagnanA? Quant’era bone.” rispose Tibberio.

“Pace all’anime sue, così bellona.”

“Serviamo il numerE, ventiquattre!” -

“Oh è er mie, se vedemio preste Ivà.”

“Ciao Tibbè, se sentimio.”

I due si salutarono, e Tibberio iniziò ad ordinare.

“So io er ventiquattre! Vorei due ette de salamo e une de presciutte. Grazia!”

Il salumiere diede a Tibberio la sua ordinazione, e andò a pagare.

“Salve, contanta o carte de credite?” disse la cassiera.

“Carte de credite.” rispose Tibberio.

La cassiera fece l’operazione e gli diede lo scontrino.

“Firmi quine.” disse la cassiera.

Tibberio firmò. Fece per andarsene ma la cassiera lo fermò e gli disse.

“Signore! Signore! Si è sbagliate, ha scritto Tibberio co due ‘b’, non co unE!”

Tibberio si avvicinò e chiarì la situazione.

“Signora, me scusi, ma i miei genitorA mi hanno registrate all’anagrefe cosìne: Tibberio, co du ‘b’, grazie comunquA! Arrivedercia.”

 

Tibberio arrivò fuori la porta di casa e suonò il campanello.

“Arive!” disse Giovanna sentendo suonare alla porta.

“Giovà, ecchete la spesE!”

“Grazia Tibbè…” – Giovanna rovistava nelle buste. – “…Ma l’hai prese ‘abbieta?”

“Oh Dio Giovà! Me so scordate!”

“Te possino caricatte!”

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Capitolo 2
*** 1x02: I Tre Pi-NAH!! ***


Racconti D’Aveno 1x02:

I Tre Pi-NAH!!

 

“Ivano… Ivano! IVA’! Iva-NOH!” chiamò Carmelona.

“Dimma” le rispose Ivano.

La prima cosa che dovete sapere di Carmelona, è che lei ha un tic.

“Ti ricorde che giorne dè oggi?”

“Oh Madonne! Nun t’ho fatte er regale p’anniversarie!”

“Ma che si cretine?! Se semo sposate a ‘goste*-EH!” (A ‘goste = Agosto).

Al pronunciare la fine di alcune parole, Carmelona, faceva scattare la testa verso destra. Mentre ciò accadeva, ripeteva l’ultima vocale della parola (A ‘goste-EH!).

“Eh… Ehm… compleanne de Fabio?!” tirò ad indovinare Ivano.

“None”

“Eh… Ehm… ‘amo comprate, un anno fane, er frighe nove?”

“Ecchè se festeggie-EH?!” domandò Carmelona.

“E io noo sone!”

“Ivà! Mo te tire n’infradita, stamo a dicembra, è l’8 dicembra, secondo tene… che demo fane?”

La seconda cosa che dovete sapere è che a Carmelona piaceva usare le “infradite” tutti i giorni dell’anno, lei diceva che si sentiva più fresca.

“Oddio, nun t’ho comprate l’ove de Pasque!”

“Iva-NOH!” – disse inferocita Carmelona – “L’albero de Natalo, demo fane l’albero de Nata-LOH!”

“Vabbè nun me lo potevi dine prime?”

Carmelona si tolse le infradito.

“La vedi queste? Io t’ha tire ‘nfronta-AH! Numme fane incazzane”

“Scusami ‘mora, vado subbite a comprane l’abbeto”

“L’abbeto? Io nuo vojo l’abbeto!”

“E como lo fame l’albere?”

“Lo fame! Io vojo… vojo… vojo ‘npi-NAH!”

“’Npina? Dollo trove ‘npina?” chiese disperato Ivano.

“O me trove ‘npina, o chiede er divorzie-EH!” lo minacciò Carmelona.

“Vabbena, vabbena. Ce prove.”

Ivano uscì di casa nel disperato tentativo di trovare un pino per Carmelona.

 

Subito dopo, la vicina di casa di Carmelona e Ivano, suonò alla porta.

“Arive-EH!” disse Carmelona camminando verso la porta.

“Carmela, che mi hai chiamato-to-to-to-to-to…?” disse Pina.

Pina è una donna che viene dal nord Italia, e vive con sua sorella Ada. Si è trasferita a San Cesc’ammare non appena finì la sua carriera da giornalista, pensando di trovare un po’ di pace. Naturalmente non sapeva che questo posto la avrebbe stressata, a tal punto da provocargli un grande disturbo, il quale le faceva ripetere come se ci fosse l’eco, la fine delle sue frasi senza neanche rendersene conto. Quando ciò accadeva la sua faccia restava inespressiva, rimanendo bloccata in uno stato di trans.

“Pina-AH!”

“Eh?!”

“Te si rincajate*!” (*Rincajate = Nuovamente “inceppata”).

“Ma io non me ne accorgo nemmeno-eno-eno-eno-eno-eno…”

“PinA!” – urlò Carmelona – “Insomma, mi stavi dicende?”

“Ti chiedevo, se mi avessi chiamato! Stavi strillando, Pina di qua, Pina di là! Io stavo facendo l’albero con Ada”

“Ciao Carmelò! Chemma ricconte?” disse Ada già dentro casa di Carmelona, anche se nessuna si era accorta che era entrata poiché era molto bassa.

“Uh Maronne mie! M’hai fatte prende ‘nu corpe-EH!” sobbalzò Carmelona.

“Si, ho già messo l’acque sur foche, dove lo tieni il tè?” domandò Ada.

“Brave! C’haveve proprio voje den’tè! Comunqua le bustina staveno dentre la scatola del pandore deddù* anni fane!” rispose Carmelona (*Deddù = Di due).

“Io me ne voglio andare da questo posto. Pensavo di rilassarmi, e invece mi sono trovata in una gabbia di matti! E la prima sei te Carmela, o Carmelona, o come ti fai chiamare tu, che gridi ogni giorno ed ogni notte, non dormo più! Adesso io vado a fare l’albero, e andrò da sola, oh mia cara sorella, tanto non arrivi nemmeno a mettere il puntale-ale-ale-ale-ale-ale…” urlò stremata Pina.

“PinA!” la chiamò Ada.

“Ciao.” rispose pina sbattendo la porta.

“Io nunno* capite questa perché me guarda sempre malo, me tratta malo, me vole ma-LOH!” (*Nunno = Non ho).

“Comprendila, è tanto che nun vede n’ome!” Ada cercò di giustificare la sorella.

Le due si presero il tè e iniziarono un lungo discorso sui regali di Natale. Al termine di questo Ada tornò a casa.

 

Poco dopo Ivano rientrò a casa.

“’Mmora… ‘mmora ‘mmora ‘mmoraaa…” disse Ivano entrando.

“Cazzo vone?”

“Perché fai cosine?” chiese Ivano.

“Perché tu m’hai fatto incazzane, poi è venuta Pina e ha fatto l’arroganta, quindi… me rode er cula!”

“Io sono andato in gira, ho cercato e cercato un pina, alla fine guarda… te n’ho presi tre!” – disse Ivano con enfasi – “Perché io te ame tante, perché nun vojo che vai dall’avvocate, perché sei l’amora della mia vita, perché senza di te nun sone nienta, perché io con tene mi senta un vero uome. Perché sei la cosa più bella, speciala, e grassa che c’hone!”

“Ma io mo’… che cazzo ce faccio co tre Pi-NAH?!”

“Che cazzo voi?!” gridò Pina dall’appartamento a fianco.

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Capitolo 3
*** 1x03: Cora a Cora ***


Racconti D’Aveno 1x03:

Cora a Cora

 

Il Natale si stava avvicinando anche a San Cesc’ammare, tutti erano alla ricerca degli ultimi regali. Le uniche due persone a cui non importava niente di questa “corsa frenetica” erano Ada e Pina. Loro, infatti, erano a casa impegnate in tutt’altro.

“Ripeti con mene… Io. Mi. ChiamE. PinA.” disse Ada alla sorella.

“Io mi chiamo pina” rispose scocciata.

“Noone!! Più impegne! Io nun t’ho chiesto nienta per Natalo! L’uniche regale che voje… è che te ‘mpari l’Aveno”

“Va bene... ci proverò solo per te” rispose Pina.

“None! Va benA! Quante volte te lo dei da fa ripetA?”

“Mi dispiace… ma nun ce riesco” le rispose Pina.

“Oddie! Brave! ‘nun’ hai dette ‘nun’, maronn’ che gioie! Mo pe premia, vai da Dora e compri li dorcia pe stasere!” esclamò Ada.

“Va ben…ben…be…benA!” concluse Pina.

 

Pina si avviò verso la pasticceria. Lì c’era Dora, la pasticciera.

Dora stava infornando i cornetti per Tibberio, che ne aveva ordinato una dozzina per Giovanna.

“Te ce la mette pure mpo’ de cioccolate sopre?” disse Dora.

“Sine, lo sai che me piasciuano cosine… Sei proprio una gran pasticciora!” rispose Tibberio.

“Perfette… te serva altra Tibbè?”

“Sine… ma che te so finiva i cornette co la bieta?”

“Sine! Me li si so magnate tuttI! Tu moja è venuta ha fatte la straggia” esclamò Dora.

Pina entrò nella pasticceria e salutò Tibberio.

“Ciao Tibbè! Come stai?” disse Pina.

“Ciao Pina! Tutta bena tene?” rispose Tibberio.

“Non c’è male... Tua moglie?”

“Eh… Bena, bena… litighiame ogni tante… però bena dai”

“Per fortuna, pensa se non vi parlavate più!”

“Si… menomalA”

In quel momento Dora interruppe la conversazione.

“Te serva artre Tibbè?” disse Dora.

“None, sto apposte” rispose lui.

Tibberio salutò Pina e tornò a casa.

“Allore PinA, che te serva?”

“Ciao Dora, io volevo i bignè-gnè-gnè-gnè-gnè-gnè…”

“…Pina? Che vone?” - disse con calma Dora – “PinA!!!!” gridò infine.

“Si! Eccomi, i bignè con la Crema”

“Cocchè?” urlò Dora.

“Con la crema!” ripeté Pina.

“Ehh?? Che ce vone?”

“La crema Dora, la crema!”

“Chedè? Che vone?” continuò a domandare Dora.

Pina iniziò a scaldarsi, ad un tratto capì.

“Colla creme!!!! La creme!” disse esausta Pina.

“Ahhhne! Dille prime” concluse Dora.

 

Pina prese i bignè e tornò a casa dalla sorella.

Mentre Pina aprì la porta di casa, sentì che alla televisione trasmettevano uno spot su “Miss Carmelona”.

-“Do you wanna be the NEW Miss CARMELONA 2013!?” –

Alla fine dello spot c’era un commento dell’organizzatrice (la tanto odiata vicina di casa di Pina).

-“E ti aspette-EH! Collu buffette*!” disse sorridendo Carmelona. – (*Buffette = Buffet)

Pina prese il telecomando e spense il televisore in un gesto di rabbia.

“Io non la posso vedere! La odio, non mi piace quella donna, e me la ritrovo sempre ovunquA! Si, l'ho detto… ovunquA! Stiamo in un paese nel quale neanche capiscono l’Italiano! Non posso più!” disse Pina infuriata.

“Dai… non te preoccupane, magnate nu bignette. E pone… te devo di na cose…” disse Ada.

“Dimm… dimmA” rispose Pina.

“Siamo state invitate al Natalo da Giovanna… e c’è pura Carmela… che fane? C’hanname? Io te rispette, e lo vojo passane co tene il Natalo, descidi tune”

“Si! Andiamoci, così almeno mi inventerò qualcosa per fargliela pagare a Carmelona! E’ più ricca di me, ha un marito che la amE, e non fa niente dalla mattina alla sera, è ingiusto!”

“Si, ma  non esagerara!” disse Ada preoccupata.

“La difendi sempreeeeee! Tu dovresti essere mia sorella! Invece difendi quella grassona!” rispose infuriata Pina.

“Carmateneeee! Non me fane incazzane che io so piccola bona e care! Ma se me incazze divente na jene!”

“Non me ne frega un fico secco! Lo so che mi vuoi bene ma la odio! La voglio morta!”

“Vabbena! Andiamo a dormira… magari ti tranquillizze” - Ada si sedette sul letto, si sdraiò, e con la mano iniziò a dare dei colpetti al letto incitando la sorella a mettersi vicino  a lei. – “Vieni quine, lo sane. Sone e sarone sempra tua sorelle. Daltronda a cosa serva una sorelle si nun affarte capira quande stai sbagliane. Io te vojo bena tu sei la persone che in piu de tutta mè state vicine naa vite mie, e quindi ora mettite qua, vicine ammia… io e tene… tene e mene… per sempra, Cora a Cora!”


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Capitolo 4
*** 1x04: Jingol Bellete ***


Racconti D’Aveno 1x04:

Jingol Bellete

 

Era il giorno di Natale a San Cesc’ammare, molti erano indaffarati nei preparativi.

Tibberio e Giovanna, quell’anno avevano invitato alcuni dei loro amici e parenti a pranzo da loro.

 

Ore 6.00, casa di Pina e Ada.

“Ada…” - disse sussurrando Pina. – “Ada… Ada sveglia!” – continuò aumentando il tono. – “ADA!” concluse urlando Pina, mentre scuoteva la sorella.

“Eehhne?? Chidè*?” - disse infastidita Ada (*Chidè? = Chi è?). Pina accese la luce della camera. – “Spegni sta lusciua!! Oddio, nce vedio piùne, spengi!!” gridò.

“Ada! Ho trovato un modo per fargliela pagare a quella cicciona di Carmela!”

“Ma so le sei de matine! M’hai svejato pe sta cazzate! A Natalo semo tutti più bona, ma sicuramente te si pure più cretine però è!”

“Ascoltami… ora esco, vado in  farmacia e compro delle cose” disse con un ghigno malvagio.

“Famarcie?? Ma a quest’ora so chiuse, è pure il giorno de Natalo!”

“Ci sono quelle che sono aperte tutta la notte. Io esco! E la mia vendetta arriverà”

“Ma… se volevi uscine… non potevi fallo e baste? Me dovevi svejane pefforze? Che cazze!” disse irritata Ada.

“Volevo condividerlo con te-te-te-te-te-te-te…”

“Che cazze… PINAH!!!!” gridò Ada.

“Si scusE… Ora vado”

Pina uscì di casa.

“La luscieeee!!!” urlò Ada.

 

Ore 8.00, casa Marozzi.

“Jingol bellete, jingol bellete, jingol odda uei. Ouasfan dedis durrai anna uan orsope slei-EHY!! Jingol bell…” canticchiò Giovanna mentre cucinava.

“Zittete! Che nun riesche a vedemmete er Grinneche in televisora” la interruppe Tibberio.

“Allora, io sto a cucinaveno, ecco. Si nun vole che canta, vieni quane a me dai na mane! D’altronda è stata tue l’idee de invitane il monde a casa nostre. Oh!”

“Lo sane che nun so bone a cucinave io!”

“Allora zittete e famme cantani” replicò Giovanna al marito.

“Sta stronze…” sussurrò Tibberio.

“Faccio finta de non avè sentine!” - gridò Giovanna dalla cucina. – “Armeno vieni quane e apparecchiano”

“Va bena! Ma poi me ‘o rivedo er Grinneche”

“Come devo fane co tenE! Solo perché perché te ama, solo perché te ama!” concluse Giovanna.

 

Ore 8.30, casa di Pina e Ada.

Pina rientrò nel suo appartamento.

“Ho comprato un po’ di roba! Adesso possiamo andare, sono pronta!” disse Pina.

“Andave? Andave dovA? So le 8.30!! All’una dovemo stane lane!” rispose Ada.

“Va bene, allora me guardo la televisione!”

 

Ore 11.00, casa di Carmelona.

“Fabbio!! Si pronte-EH!?” disse Carmela al figlio.

“A mà! Ma sto a fa colaziona con la mortadelle” rispose Fabio.

“Ma si te si magnate l’aroste prima?”

“A mà c’havo fame!”

“Te si che me dà soddisfaziona, no come qua rachitiche de tu sorelle! Da quando sta a Roma me è cambiate de botte, nun la riconosche più-NE!”

“Mamma! Che disciua? Io sto quine sa! Te sento!” disse Gianna alla madre.

“Testa abbenio! Così te ‘mpari a magnane!” - rispose Carmelona. – “Approposite, l’hai presi li pasticcina pe Giovanna?”

“Sine mà, ne ho presi sei chila! Dici che so poche?” disse Gianna.

“Certo che so poche, cretine! Un chilo t’ho dei magnane tene!”

“Va bene mà… tanto sto ‘nvacanze!”

“Mo si che me rende orgogliose-EH!” disse alla figlia.

“Vieni qua bella de papà che mamma nun te capisciua, io sine” disse Ivano.

“Papà, quanto me si mancato, il monde dell’avoro è brutte, nsacche” disse Gianna al padre.

“Papàà!! E’ finita ‘a mortazza*! E mo come famio?” disse Fabio (*Mortazza = Mortadella).

“Mo a rincopraveno bello de papà”

Fabio abbracciò Ivano.

“Va bena, allora, voi andate da Giovanna all’une… io ce vado mone che je do na mane” disse Carmelona uscendo di casa.

 

Ore 12.30, casa Marozzi.

“Giovanna! Chedè sto schife? Hai cucinate tutte caa bieta!” disse Carmelona.

“Ma a me me pisciua” rispose Giovanna.

“Ma che schife è il pandore con la biete?”

“Ma quell’è er dorcia che te freghe?”

“Va bè… come vo-NEH!”

“Shhh, che te strilla?! Sto quane!”

“Lo sai che c’ho er ticchete” concluse Carmelona.

 

Ore 13.00, arrivano gli ospiti.

Il campanello suonò.

“Arive!” disse Giovanna.

Lei aprì la porta e con molta sorpresa vide Franco.

“Giovanna! Sone venute, volevo fane una soprese a mi sorelle! C’è poste pemmè?”

“Frangooo!! Ce mancherebbie, c’è sempre poste per fratelle della mia amicona”

“Frango! Bello fratellone mio! Come stane? Te vedo bena, hai presi desciua chila è!” disse gioiosa Carmelona.

“Sorellina! Sine, sone ingrassate, guà che figurine!”

“Bello lui, quanto si bello, si popo mi fratello! Mo tutte le mie ‘Miss Carmelona’ te veranno appresse è! Vecchio mandrille”

“Eh sine...” concluse Franco.

“Paolo! Scendi da qua cammere, vieni a salutane!” disse Giovanna al figlio.

“Ecchime mà… ma è arivate Fabbio?”

“None, mo arive, ‘ntanto scende!”

 

Ore 14.00, il primo piatto.

Tutti erano seduti al tavolo, Giovanna servì i spaghetti con la bieta.

Paolo e Fabio, erano seduti uno di fronte all’altro, e tiravano a Pina i pezzetti di tovagliolo.

“Avete rotto le palle! Tutti e dua! Povera Pina!” disse Giovanna riprendendoli.

“Scusa mà, noo famo piùne” disse Paolo, mentre Fabio annuiva.

“Fabbio, nun fane cosine è! A casa c’abbuschi*!” disse Carmelona (*C’habbuschi = Ci prendi le botte).

“Va bene mà, è solo che Pina me pare morte! Nun soride mai, e quando parle naa capische” disse Fabio alla madre.

“Tale madre, tale figlio. Che maleducazione!” disse Pina.

“Comma t’ha permetta da offenda mi fie?” disse infervorita Carmelona.

“E’ un dato di fatto”

“Mo nun è perché tu era giornalista t’a dei tirane, te senta più intelligenta, te senta meja de mene, de mi fie, de mi marite, de mi sorelle, de mi fratelle, de mi zie, de mi nonne, de mi padre, de mi madre, de mi….EH! …Oh.” concluse Carmelona.

Il pranzo proseguì fra risate e litigi vari.

“Ma che sta a fane?” disse Ada sussurrando a Pina.

“Fatti gli affari tuoi” rispose Pina con la voce bassa, mentre metteva qualcosa nel bicchiere di Carmelona.

“Nun me fane fa brutte figura… Mannaggie ao!” concluse Ada.

“Allore, vorei la vostre attenziona, tranne quella de mi fia che è rachitiche. Vorei fa un brindisine a tutti, e malgrado qualche divergenze io ve voje tante bena a tutti, e dico TUTTI” disse Carmelona.

“Cin cinna!” risposero tutti, alzando il bicchiere.

 

Ore 15.00, il secondo piatto.

“Ecche il seconde piatte, queste ho fatte io! Pure er prime è! Ce fosse na vorte che m’aiute qeo sciagurate de mi marite” disse Giovanna.

“Ma che dè?” disse Ada.

“Sono invortini de tacchine e bieta” rispose fiera Giovanna.

“Bone! Ma n’antra vorta a bieta?” disse Gianna.

“Ma che si come tu madra??? Dimme che c’havete voi in quea famia contro la verdura!” si inferocì Giovanna.

“Nummi paragonare mai piùne a quea rachitiche de mi fie! E’ pure bella tiè, gua che schife! Da chi ha riprese nuo sone” le interruppe Carmelona.

“La smettete de litigane? Mia sorella e mia nipote che litigheno sempra! Nun se pone, nun se pone, nun se po-NE!” esclamò Franco.

“C’hai ragiona, è natalo dovremmo esse tutti più bona. Figlia mia, la cosa che ho sempre voluto dirti, che io sono… be io sono… io sono fie.. Oh maronne! Oh maronneee! Vado ‘nbagne!” disse Carmelona correndo in bagno.

Gli ospiti si preoccuparono e la figlia corse fuori dal bagno dalla madre. Intanto Pina, sorrideva sotto i baffi.

“Che cosa hai fatte?! Lo sono che sei state tene!” disse Ada sussurrando alla sorella.

“Tu madre s’è cagate sotto!” esclamò Paolo a Fabio ridendo.

In quel momento, Pina scoppiò da una fragorosa risata che fu interrotta da un calcio di Ada.

“Pina perché ride?” disse Franco.

“ Ehm… ehm… mi ha fatto ridere Paolo!” rispose Pina.

Intanto tornò Gianna al tavolo.

“Mi madre si sta sentendo malo, sarà la troppa bieta, non è abituate!” disse Gianna.

“Va bena, continuamio a mangiara!” disse Giovanna.

“So state io, jo messo un lassative ner bicchiero” disse Pina sussurrando alla sorella.

“Che stronze, però l’hai detto bena, in Aveno, quindi te posso perdonave!” rispose Ada.

 

Ore 18.00, il dolce.

Giovanna stava tagliando il pandoro alla bieta, in quel momento Carmelona tornava dal bagno.

“Uh maronne che cagate che ho fatte! Devono rimagnane chessò dimagrite!” - esclamò Carmelona. – “Però prime deve tornara a case, perché me deo cambiane ‘a mutande-EH!”

“Va bena ma fai preste, intante noi iniziame a giocame a tombole!” le disse Giovanna.

Carmelona uscì da casa di Giovanna, mentre Ivano prese la Tombola.

 “Mo ve levo tutti li sorda!” esclamò Ivano.

“Ce devi solo che da provane!” - rispose Ada. – “So campionessa mondiala de tombolona!”

“Papà me li dane un po’ de sorda pe giocane?” chiese Fabio al padre.

“Sine, ecche’li tiè!” rispose Ivano.

Ada si alzò dal tavolo e andò ad ammirare l’albero di natale di Giovanna.

“Maccocchè è fatte st’albere?” chiese Ada a Giovanna.

“E’ fatte colle verdure… guarde li funghetta, la bieta, li carciofina, li fagiolina, li pisellina, le rape, l’insalate, e… er salamo. Ma soprattutto, guarda che bello er broccole come puntalo!” disse orgogliosa Giovanna.

“Ammappete! Ma ‘nte se nvanno a malo la robbe?” chiese Ada curiosa.

“Si ma io le cambie ogni giorna!” chiarì Giovanna.

“Che robba!” esclamò Franco.

Giovanna si guardò intorno con un velo di preoccupazione.

“Ma Tibberio… ‘Ndo stane?”.

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Capitolo 5
*** 1x05: Abbide ***


Racconti D’Aveno 1x05:

Abbide

 

Il periodo Natalizio era ormai passato a San Cesc’ammare, l’anno nuovo era iniziato con tutto ciò che ne consegue. Gli abitanti dovevano ricominciare a lavorare e ad andare a scuola.

Quella mattina in casa Marozzi, Paolo venne svegliato dalle grida dei genitori.

“Io ancora nunn’ho capite do stave er giorne de Natalo!” disse inferocita Giovanna.

“Te l’ho detti, avevo una commissiona importanta da fare per il mio datori di lavore” rispose Tibberio.

“Ma a Natalo??”

“Sine, lo sane come è fatto Piero, mi ha dette che doveve per forze stuccaveno il muro che c’ha a casa sue. Siccome che lui è sinneghele* e nun c’ha fia!” (*Sinneghele = Single).

“Va bena, ma te tenghe d’occhie sa!”

Intanto Paolo entrò in cucina per farsi la colazione.

“Allora bello de mamme… T’ho preparate, l’aroste alla bieta, le stuzzichini co lo salamo, caso mai te viene famo. Anvede t’ho fatt’ pure la rima! E poi te prende due, tre, pure quattra merendina, non de piùne sinnò me diventi come Carmelona!” disse Giovanna al figlio.

“A mà! E’ troppe robbe, io ‘nmaa magne! C’ho sedisciui anni, e ancora me prepare le merendina?”

“Figlio mio! Ecch’è si grosse a sedisciui anni?! E poi si nun te vanne, dalli a Fabbio che de sicure lui li apprezze de piùne”

“Vabbena damme cinq’ueure*! E io me porte quello che te para” (*Cinq’ueure = Cinque euro).

“Si… mo pure cinq’ueure! Tanto lo sone che te ce compra le sigarette-te! Quindi none, simmai te vendi l’aroste alla biete, ma io i sordi ‘nti done!”

 

Intanto a casa di Carmelona.

“Maaaaaaaaaaaaaaa!!!!” gridò Fabio dal suo letto.

“Chidè!?” rispose Carmelona spaventata.

“A ma! Ho fatte ‘mbrutte sogne! Ho sognate che davanti a mene, avevo una tavolo imbandite con tutte le prelibbbatezzete, ma io… io… nun poteva, e nun riusciva a magnane nienta! Nun sai che paure mà, poi a un certe punte, me so viste allo specchie, ero secche. Secche, secche comm’ a mi sorelle! Che schife… mo’ c’ho fama però”

“Uh maronn’ che incubbbo! Nun te preoccupane fije mie, t’ho preparate il latte con 3 ciambellona dentra! E t’ho preparate pure il merendone da portane a scuole. Quindi vieni quane che famo colazio-NAH!”

Fabio arrivò in cucina e fece colazione con la madre. Poco dopo uscì di casa per andare a scuola.

Intanto Gianna tornò a casa dopo aver fatto jogging.

“A mà, so tornate! Me li hai presi i cereala?” disse Gianna.

“Dentre casa mie i cereala so bandi-TAH! Come li verduri” rispose Carmelona.

“Mamma! Ti preghe, a Natalo ho mangiate tutte solo pe tene, sei un ingrate! Solo quelli io t’ho chieste!”

“Comma te permetta de dimma che so n’ingrate! Io t’ho messe ar monde-EH!”

“Scusa mammì, ma sono ingrassate e nervose…”

“Proprio nun te riconosche! Ma comunqua sei mi fie e te voje bena”

“Fra le altre cosa, devo pura ritornara a Roma, devo scrivara alcuni artichele e presentarli al mio direttori! Ma… con tutto quello che me so magnate nun ja faccie, e poi… lo sai che me piasciua sta co tene e papàne”

“Lo sone, infatti me mancherai… dai, se vuoi te faccie i muffinne senza zucchere-EH! Solo pe tene”

 

Dovete sapere che nella classe di Fabio e Paolo, c’era un simpatico nonno come studente, il quale aveva ripetuto per molti anni, forse anche troppi, il terzo superiore. Come ogni classico nonno, aveva problemi di udito, e avendo pochi denti, sbiascicava e muoveva la bocca come se masticasse.

“Allore… oggi ho deciso di fane un teste a sorprese!” disse il professor Franchetti.

“Bubbù …Settete! Sorprese!!” disse Nonno ridendo.

“Nonno! Te mette la note, deve fare il serio!” lo minacciò il professore.

Paolo era il vicino di banco di Gina, la ragazza che gli piaceva. Mentre Fabio sedeva vicino a Nonno.

Il professore diede i test agli alunni che poco dopo lo iniziarono. Nonno iniziò a leggere il test che si basava sulla seconda guerra mondiale.

“Io ho fatt’a guere, c’ero pure io, all’epoca der Duci!” esordì Nonno.

“Nun strillare Nonno! Regolate l’amplife*!” gli disse Fabio (*Aplife = Aplifon).

“Eeehhh??? C’hai dette?”

“L’amplife No!!”

“Aaahne, c’hai raggiona”

Intanto Paolo cercava di copiare da Gina.

“Gina… Gina… sposta il braccie!” disse Paolo alla vicina di banco.

Il tic di Gina, consisteva nel bloccare le parole, ovvero, quando iniziava una frase non la finiva e con la mano avvicinava il pollice all’indice di scatto, come per prendere la parola “in corsa”.

“Nun me poi copiara smpR” le rispose Gina.

“Solo un poche, nun c’ho avute tempe per studiara”

“Nun me freghe nienT”

“Vabbena” disse stizzito Paolo.

“Nonno… Nonno… me dici la otto?” chiese Fabio.

“Ehh??”

“Nonno, la otto!”

“EEEhhhh???” disse gridando.

“Shhhh!! Zitto che ce metta la note!”

“Va bena sto zitto”

“Nooohhh!! La otto Nonno, non stare zitto!”

“La otto? Aahhne, lo poteve dire prime! Comunqua la otto è abbide!”

“Abbide? La ‘a’, la ‘b’, la ‘d’, o la ‘e’?”

“Abbide!” rimarcò Nonno.

“Ma nun esiste l’abbide!”

“Sine! L’abbide! So tutte giuste, tranne la ‘c’!”

“Vabbè Nonno lascia perda, grazia lo stesse”

“No bello de Nonno, fidete è abbide!”

“Ok, grazia Nonno!”

“Grazia de chene?”

“Grazia per la risposte!”

“Ehh?”

“La risposte Nonno, l’amplife!”

“L’ampl… l’ampl… l’abbide!”

“Ok, ho capito Nonno, l’abbide!”

“Eh… abbide! Quante volte t’ho deo dine?” chiese innervosito Nonno.

“Fabbio! Smettela che te sequestre er compite, e te mette due!” lo rimproverò il professore.

“Io j’ho dette de non strillane, questo chiede, chiede… me para che nce senta!” disse furbamente Nonno.

“Ma li mortè!” concluse Fabio.

Intanto nel banco a fianco.

“Te la posso dine una cose?” disse sussurrando Paolo.

“Adesso me la devi diN?” rispose Gina.

“Oh sai che oggi si proprio carine?”

“Solo oggi? Guarde che m’offenD!”

“No, si bella e ciacia sempra, ma oggia c’hai un non so chene”

“Che c’hone ogG?”

“Un non so chene!” disse alzando la voce Paolo.

“Paolo! Adesse ti ci mette pure tune?” esordì il professore.

“Sine, nun se sta zitte n’attiM!” disse scherzosa Gina, poi si girò verso Paolo e gli fece l’occhiolino.

“Me fai ‘mpazzine, quando fane cosìne!” gli disse Paolo.

 

A casa di Carmelona, la figlia stava preparando la valigia per tornare a Roma.

“A ma! Dova l’ho messe le mutanda nera?” chiese Gianna alla madre.

“Stann’ sur commodina-AH!” le rispose Carmelona.

“Ahne, ecche’le tiè! Mo posso pura andara... un ultime cosa, posso fara una telefonate al mio direttori per dirgli che sto arivaveno?”

“None, me serva il telefene di ca-SAH! Sto aspettaveno una telefonate”

“Va bena, allora ti salute. Salutame pura Fabbio!”

“Ok belle de mamma, ce sentiame quande arriva”

 

A casa Marozzi, Paolo era appena tornato da scuola.

“Mamma, c’ho fama! Che m’hai cucinave?” chiese Paolo.

“’More de mamma t’ho cucinave m’po de cosa, vie qua che magnave insiema” rispose Giovanna.

Intanto in camera da letto c’era Tibberio che parlava al telefono.

“Sine, te l’ho dette, Giovanna mi ha credute!”

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Capitolo 6
*** 1x06: Pinlokke Holmete ***


Racconti D’Aveno 1x06:

Pinlokke Holmete

 

“Pina! Pina!? ‘ndo stane questa?” borbottò Ada.

Ada non sapeva che Pina era in cantina, o meglio, quella che prima era una cantina diventò un laboratorio per studiare i possibili modi per far del male a Carmelona.

“Guarda tene si nun sta in cantine!” - aggiunse Ada, dirigendosi alla cantina. – “Pina! Stai in cantine?”

“Sine! Mo veng… venghe!” rispose Pina.

“Aspette sto arrivande io!”

Quando Ada entrò vide che la cantina era piena di schemi, articoli di giornale e foto riferite a Carmelona, al suo lavoro e alla sua famiglia.

“None! Fermete!” rispose Pina.

“Uh maronne! Che robbe! Chedè qua? Che si diventata Sherlockke Holmete?”

“Sto investigando, ehm… investigande, su Carmelona! Je vojo fa malO!”

“Comma si brava a parlà Aveno! Me rende talmente orgogliosa che quasi me scorde quante si cattive! Che poi te da quel nun so chene, quel savoir fere!”

“Alla fina, sono riuscite a capira come possa fare, ho proggettate una serie di scherzetta!”

“Uh maronne Pinlokke! Ma mo nun è che me fa diventane Wottsone?”

“Elementara Wottsone, elementara-ra-ra-ra-ra-ra….”

 

Intanto nell’appartamento a fianco.

“Oh iu nidi’s l’ove! Ta, ta ra ra rane! Oh iu nidi’s l’ove, l’ove, l’ove is oll iu nide!” cantava Ivano.

“Comm’a me piasciua sta canzona, me ricorde quando ero fringuella!” esclamò Carmelona.

“A Pàààà! Ma chedè! Ormai i Bittelesse so passati de moda, mo’ ce sta DJ Globulo, quella si chedè musiche!” intervenne il figlio.

“A Fabbio! Nun me fane incazzane, nun dine una cose del genera!” lo riprese il padre.

“Lascelo perdera, nun capisciua nient-AH!” concluse Carmelona.

“A Fa! Tu esce dopa?” chiese Ivano al figlio.

“Sine pà! Vado a studiane da Nonno… ha dette che me prepare pure la merende!” rispose il figlio.

“Va bena, allore a quanto para rimanghe da sole!” disse Ivano.

“Perché mamma ndo vane?”

“Ma nun l’ho capite, dice a fare le audiziona per Miss Carmelona!”

“Ma ultimamente nun ce va un po’ troppe?”

“E che ne sone io! Sempre impegnate, poi lo sai che a me nun me piasciua sto concorse. Me tiene lontane da tu madra, e a me me amanca”

“Uh maronne comm’ stai messe!”

“Eh, quande troverai l’amora della tua vito, ne riparleremo” concluse Ivano.

“Va bena, io esche!” disse Carmelona.

“Aspette mà che esche pura io” la interruppe il figlio.

“Va bena ma corra, che vade de fret-TEH!”

I due uscirono di casa, anche se in direzioni opposte, Carmelona era molto frettolosa.

 

“Ada! Ada! È uscite!” - disse Pina che era appollaiata alla finestra come i gufi. – “Annamio, annamio a casa sua!”

“Ma che ce annamio a fane?” rispose Ada.

“Wottsone! Devo attuara il mio piane malefiche!”

“Va bena, lo faccie solo perché se no te divente un’isterica! …E nun me chiamare cosine!”

Le due suonarono alla porta di casa di Carmelona, e Ivano le accolse dentro.

“A bello! Come stane? Che dice? Che m’aricconte? Come stane i fijo? Ndo è annata tu moja? Tu fije va bena a scuola? Dollo hai prese sto majona? Uh che bella tejera!” disse Ada.

“Uh maronne! Tutto ‘nsiema te deve risponda?” gli domandò Ivano.

“Eh… no… infatte! Pijamose nu tè, le bustina stanno sempra nella scatola del pandore de du anni fane?”

“None, aveme cambiate, lì ce sta il caffè mo!”

Pina e Ada si accomodarono, mentre il tè era sul fuoco.

“…e la tejera è un dono de famiglie che proviene dalla mia care nonnine defunte…” disse Ivano.

“Io vade n’attime ar bagne, mo torna!” lo interruppe Pina.

“Va bena, ma nun fa stronzate!” disse Ada alla sorella bisbigliando.

Pina andò in camera di Carmelona, tolse le coperte al letto e ci mise una sostanza urticante, poi lo rifece con cura, assicurandosi di non lasciare tracce, si munì di una lente di ingrandimento, e cominciò a cancellare le impronte digitali.

Successivamente si diresse in bagno, dove aggiunse al profumo di Carmelona l’aceto. Subito dopo prese il dentifricio e lo mischiò con dell’aglio.

Infine tornò dalla sorella e da Ivano.

“…majona è un regale de Natalo fatte da Carmelona pe mene, te piasciua?”

“Ammappate che bellu bagno che c’havete!” lo interruppe nuovamente Pina.

“Sine, collu lavoro de mi moja semo abbastanza messi bena de sorda!” gli rispose Ivano.

I tre continuarono a parlare ed infine Pina e Ada tornarono a casa.

 

Nel frattempo a casa di Nonno.

“Mi moja era na bella fringuellona, bellona, simpaticona, tutti che je annaveno appresse alli tempi mie” raccontava Nonno.

“Ho capite Nonno, me lo racconte sempra. Adesse studiame matematiche però” gli rispose Fabio.

“Ma è facile, è abbide! Dai lo sai che dua più dua fa abbide, quante volta te lo devo dine?”

“Nonno! Dua più dua fa quattre, nun po’ fane abbide!”

“Eh?!”

“Dicevo, fa quattre dua più dua”

“Eh?!”

“Nonno l’amplife!! Lo devi alzane!”

“Eh?! Chi è che c’ha er cane? Io ‘nce l’ho er cane”

“No! Nonno deve arzane l’amplife!”

“Eh?! Voi che te misure la pressiona? Te senta fiacche?”

“Nonno! None! Lascia perdene”

Fabio alzò l’amplifon di Nonno.

“Ahhhne! L’amplife!” concluse Nonno.

Fabio scoppiò in una fragorosa risata.

“Te l’ho mai dette che te voje bena?”

“Eh?!”

 

Pina ormai era dentro casa, e camminava mentre guardava dentro la lente di ingrandimento, per paura che Carmelona fosse entrata dentro casa sua. Ada intanto era dietro di lei, e insieme camminavano con circospezione.

“Aahhhhh!!!!” gridò Pina indicando il pavimento.

“Oddie!!!!! Chedè! Chedèssuccesse?” urlò spaventata Ada.

“Guarde! Ce stanno due mutandona! Sicure so de Carmelona!”

“Cretine! Levete quella lenta dalla faccie! So le mie, con la lenta le vedi più grandi! M’hai fatto dimagrine 10 chila dallo spavente!”

“Aah c’hai ragiona Wottsone, questa si che era na cose elementara-ara-ara-ara-ara-ara”

“Pina! Smettela de ‘ncajatte, nunè er momente!”

“Ok, allore continue l’idagine Wottsone”

“Numme chiamara così!” disse con voce stridula e irritata Ada.

 

Intanto Carmelona era tornata a casa, in realtà quel pomeriggio era andata a fare shopping per comprare un vestitino sexy.

“Amora, vai in camere che c’hone na sorprese da fatte-TEH!” disse con voce suadente Carmelona.

“M’hai comprate lu dvd delle partita di calce?” domandò Ivano.

“Tu vane, dopo vede!” concluse Carmelona.

Ivano andò in camera da letto. Intanto Carmelona era in bagno che si faceva bella.

Carmelona si mise il vestitino, e si spruzzò un po’ di profumo.

“Uh maronne… che strane, nun me lo ricordave così forte” disse riferendosi al profumo Camelona.

Poi prese il tubetto di dentifricio, ne mise un po’ sullo spazzolino e iniziò a lavarsi i denti. Successivamente sputò e si asciugò la bocca.

“Ma… che strane sapora, je devo dine a Ivano de nun comprane più sto dentifrice, forse saranno le erba” continuò a parlare fra se e se Carmelona.

Di botto spalancò la porta del bagno che dava direttamente sulla camera.

“Amora! Guarda come so belle! Ho comprate questo vestitine vedo ‘nvedo, do vedo? Vedo bene, vedo!”

“E che c’ha sto noma così lunghe sto vestite?” chiese curioso Ivano.

“Amora mettemise al letto a famise le coccola-AH!”

I due si misero sotto le coperte.

“Uh maronne! Chedè! Che prurite!” esclamò Carmelona.

“Uh maronne! Chedè sto prurite e sta puzza de soffritte?” concluse Ivano.

 

Intanto a casa Marozzi.

Tibberio entrò in casa e mise sul tavolo una busta.

“Che hai comprate a sto negozie de intime?” chiese Giovanna al marito.

“T’ho fatte ‘npensierine, t’ho comprate un vestitino vedo ‘nvedo, do vedo? Vedo bene, vedo!” rispose Tibberio.

“Che strane, in questi periode mi stai riempendo di regalo… Natalo è passato è! Ma che te devi fa perdonà qualcose?”


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Capitolo 7
*** 1x07: Se Semo Amate Tante ***


Racconti D’Aveno 1x07:

Se Semo Amate Tante

 

Giovanna è sempre stata una brava donna, una brava madre, una brava amica, ma soprattutto è sempre stata a fianco al marito, non ha mai dubitato di lui, e lo ha sempre sostenuto e amato fin dal primo giorno. Purtroppo nessuno sapeva, che a quella brava donna, madre, amica e moglie stava per cambiare radicalmente la vita.

Giovanna e Tibberio sono sempre vissuti a San Cesc’ammare, e fin da quando erano piccoli hanno sempre avuto una simpatia reciproca.

All’epoca del liceo questa simpatia si trasformò in un qualcosa di più che una semplice amicizia. Iniziarono ad uscire insieme e giorno dopo giorno i loro sentimenti crescevano sempre di più. Insomma, in poco tempo si innamorarono.

I due trascorrevano insieme tutte le giornate, sedevano vicini a scuola, e il pomeriggio “studiavano” insieme.

 

Era una giornata fredda a San Cesc’ammare, e proprio in queste giornate, Giovanna preferiva rimanere in casa. Giovanna è sempre stata di suo una persona molto malinconica, e quando il clima si imbruttiva la sua meteoropatia diventava più forte e la faceva sentire triste. Il suo miglior metodo contro la tristezza, era quello di pulire da cima a fondo tutta la casa.

Tibberio intanto sedeva sulla poltrona di casa mentre guardava la televisione.

“Tibbè, scanza li pieda! Fammi puline” disse Giovanna con una faccia smorta.

“Va bena, tanto volevo uscine…” gli rispose Tibberio.

“E dova vai?”

“Vado a comprane li dorcia, c’ho voja”

“Si vabbè mo li dorcia! Per una volte che stiamo a casa insiema senza Paolo, te devi uscine, co me nun cè stai mai, e… pura si me fai tanti regala io e te nun abbiamo più er rapporto de prime” disse Giovanna.

“Lo sane che nel momente in cui aveva più bisogne de te, io te sentive distanta, adesso perdonama ma nun riesche a statte vicine”

“Io ti sone sempre stata accante, e nun puoi dine che nun è vere, fin da quande ci siamo conosciute, abbiame sempra avuto un rapporte invidiabila, ora nun capische cosa è successe”

“Beh… nun lo sone, ora esche ti prende i dorcia pura a te”

 

Nel maggio del 1985 Tibberio affittò per telefono uno di quei piccoli aerei ai quali vengono attaccati degli striscioni.

Era un caldo pomeriggio di maggio, quando Tibberio telefonò a casa di Giovanna. Lei rispose.

“Amora! Affacciete alla finestre!” disse Tibberio entusiasta.

“Aspette che me sto a taja le unghia de li pieda” rispose Giovanna.

“Dai amora, smettila e affacciete”

“Ok, ma se è na stronzata domana te mene” disse Giovanna mentre si affacciava alla finestra.

“Hai viste?? C’è un aereo!”

“Sine… sta qua sopre, porta uno strisciona, c’è scritte ‘Lavandini da Pippo’… lo vede che domana te deve menara?”

“None! Aspette… Aspette che se gire!”

Sul retro del cartellone vi era scritto “Giovanna, mi vuoi sposaro?” quando lei lo lesse, si mise a piangere.

“Uh maronne! Che belle, sine che te voja sposara, sei l’amora della mia vita” disse in lacrime.

“Allora va bena! Arrive subita da tene, perché cosìne te do l’anelle e un basciuo“

I due si sposarono il 17 febbraio del 1986, in un matrimonio in grande stile e con molti parenti e amici. Naturalmente il menù era vegetariano nel modo che piaceva a Giovanna, a base di bieta, carciofini, broccoli e salame.

 

Tibberio entrò nel negozio di Dora. Una delle peculiarità di Dora era quella di accogliere sempre tutti con un gran sorriso, era un abile venditrice e ti faceva sentire a tuo agio.

“Tibbè! Allora come stane oggia?” Dora si rivolse a Tibberio con il suo classico sorriso.

“Un po’ malo, me senta un po’ trista…” rispose Tibberio.

“Lo sane che puoi contara sempra su di me, se ne vuoi parlane sai dove stone, finische di servira questi clienta e venghe da te”

Dora finì di servire i clienti, e si diresse verso Tibberio. In quel momento Ada entrò nel negozio e fece la fila.

“Ada! Ciao! Come si belle oggia, come stane tu sorelle?” chiese Dora.

“Tutto bena! Sto ‘na bomba! Ciao Tibbè fatte da mbasciuetto!” rispose Ada, e successivamente salutò anche Tibberio.

“Allora, io voglie unu pochine de bignette ar cioccolate, e un maritozzelo con la panne” disse Tibberio.

“Va bena, te ce li mette pure due bignette alla bieta pe tu moja?” chiese Dora.

“Metticili và…” rispose Tibberio scostante pensando alla moglie.

Dora impacchettò i bignè e glie li diede.

Intanto Giovanna stava sistemando i cassetti, vide un album fotografico e lo aprì.

Dentro c’erano le foto del loro viaggio di nozze d’argento.

 

Uno degli anni più tristi nella vita di Tibberio e in quella di Giovanna, fu proprio il 2011, l’anno in cui festeggiarono i loro 25 anni di matrimonio.

Il 17 febbraio di quell’anno, si risposarono in chiesa e successivamente partirono per il loro viaggio di nozze in Grecia. Quella fu forse la vacanza più bella di sempre per la coppia, ormai avevano un figlio di quasi 15 anni e staccare un po’ da casa gli fece bene.

Passarono due settimane all’insegna dello svago, ubriacandosi e ridendo come matti, girando per casinò o semplicemente rinchiudendosi nella loro camera d’albergo. Si sentirono nuovamente giovani, e il loro amore si fece sempre più grande.

Purtroppo non durò per molto, due giorni dopo che loro tornarono a San Cesc’ammare, il 5 marzo, la madre di Tibberio venne a mancare. Lui passò un periodo di dolore, si rinchiuse in camera, era sull’orlo di una depressione. Giovanna doveva fare i conti con i sentimenti che provava per la suocera, che lei considerava come una seconda madre, e con la depressione del marito. Tibberio era incontentabile, non voleva parlare con nessuno e accusava la moglie di essere distaccata, lei cercava di fare di tutto per aiutare il marito ma lui non se ne accorgeva, e la sofferenza di Giovanna divenne enorme. Il marito piano piano si cominciò a distaccare da lei, lasciando solo un dolce ricordo di quello che erano una volta.

Negli anni seguenti le cose non migliorarono, anche se Giovanna provava costantemente a ricucire il rapporto con il marito, mantenendo la dolcezza nelle parole e “viziandolo” quando gli portava la colazione al letto.

Naturalmente lui si riprese dalla depressione ma non riuscì più a capire la moglie, diventando incontentabile.

In un certo periodo della sua vita, Tibberio iniziò costantemente a fare regali alla moglie, illudendola che qualcosa si fosse ricostruito.

 

Giovanna aprì un cassetto, nel quale intravide dei documenti che pensava fossero importanti. I due mettevano sempre i fogli “da non perdere” in una cartellina.

Incuriosita li lesse, e vide che erano due biglietti per la Calabria, la cui data di partenza era fissata per l’8 aprile, esattamente la settimana successiva a quella corrente. In quel momento si emozionò, non pensava che il marito avesse deciso di portarla in viaggio, e ricordando la Grecia ne fu entusiasmata nel pensiero di poter rivivere un’altra volta quelle emozioni.

Il telefono squillò, e lei rispose.

“Pronte?” disse Giovanna.

“Giovàà!!! Come sta-NEH!?” chiese Carmelona.

“Mah… non c’è malo… tu che me disciua?”

“Nienta Giovà, lasciama perdera, la prossima settimane deve partira per andara in Calabrie… Lì faremo le audiziona per Miss Carmelona 2013”

“Davvera? Uh maronne! Forsa pura io ci vade, però nun sone sicure, forsa è una soprese”

“In che sen-SEH!? Vabbè, beata a chi te capisciua! Comunqua io ce vade l’otte aprila… tu?”

In quel momento un brivido percorse la schiena di Giovanna, e chiuse il telefono violentemente.


*Commento degli autori*

In questa puntata abbiamo voluto rivoluzionare tutto. La storia ormai sta prendendo forma, ed è proprio per questo che vi abbiamo voluto raccontare le vicende di questi due personaggi principali.

Volevamo far luce sul loro passato, ma sopratutto, volevamo fossero chiare le motivazioni per cui il rapporto di questi due personaggi è andato degradandosi con il tempo. La nostra è una fiction prevalentemente comica, ma come sempre la vita non è mai rosa e fiori, e purtroppo anche per i nostri personaggi è così. Continuate a seguirci!

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Capitolo 8
*** 1x08: Evritinghe Canne Eppene ***


Racconti D’Aveno 1x08:

Evritinghe Canne Eppene

 

“Questa è la notte giusta, la notte in cui i vostri desideri si avvereranno! La notte in cui vi innamorerete!! O la notte in cui vi stancherete dell’amore!! Eh si! Si! Su le mani! La notte in cui niente è proibitooo!!! E al mio tre voglio sentire un urlo…. Uno…. Due…. Treeee”

 

In quel momento la gente del “Aravenat” fece un grandissimo urlo da incendiare la pista.

Ebbene sì, San Cesc’ammare era l’unico paese ad avere la discoteca. Questo voleva dire che tutti i paesi vicini, passavano il venerdì e il sabato sera a ballare nella discoteca più grande del circondario.

“Allora?! Siete proonti?? Pronti?? Su le mani, perché arriva….. DJ GLO-BU-LOOOO!!!” disse il vocalist.

Si abbassarono i ritmi delle luci lampeggianti e partì il jingle.

 

“This is blood. From this moment, you can hear your heart squirm. From right now, everything can happen, everything can change. D-J Globulo”

 

“Uuhhh maronne! Quant’è brave!” disse una ragazza.

DJ Globulo, era uno dei più bravi e famosi DJ del momento. Si chiamava in questo modo poiché la sua faccia non la conosceva nessuno, infatti, in testa, aveva una grande palla rossa, che rappresentava un globulo rosso. Lui fece il suo debutto su Radio Arteria.

Quella sera all’Aravenat c’era Fabio, Nonno e Paolo.

“Che ha dette queste? Evritinghe-te-tetù canne….canne…can… Ao! Nun se fanno! E’ illegalo” disse Nonno, che si è sempre sentito giovane.

“Nonno tranquillo, lo sane che nun me drogame” gli rispose in modo confortante Fabio.

“Uff… questa nun la vede… io la voje vedene… ma arive? Che ti ha dette a te? Arive?” disse Paolo.

“Quante volte t’ho deo dine? Baste!! Nun ce pensane e divertite!” rispose Fabio.

“Ma io la ameee!!! Io la ameeee!!”

“Bello de Nonno, annamio a beve che ancora quello nun’è illegalo” disse Nonno.

“Va benia annamio, te che fai Fa?” domandò Paolo.

“Io rimane, e abballe” rispose.

Fabio rimase a ballare, ma non essendo capace, pestava i piedi a chiunque.

 

Intanto Nonno e Paolo erano arrivati al bar.

“Nonno… ordine tene… io prende un vodga lemmo’…” disse Paolo.

“Allore… io vorene un vodghene lemmo’ pella ‘mico mio. E Io pie, un Wischi invecchiate del 34” disse Nonno rivolgendosi al barman.

“Ma nun c’è l’hone” gli rispose il barman.

“Va bena… allora un ginne bielorussio de n’anne fane tane bune” disse convinto Nonno.

“Fane tane bune…. Mah… Vodghe lemmo’?”

“EH!?”

“Vodghe? Lemmo’?”

“Sì. Pella ‘mico mio!”

“Sì. Lo vone pure tune?”

“Va bena, va bena, è uguala vojo anave” disse frettoloso Nonno.

 

Intanto Gina arrivò con Milla e Camo, le sue due migliori amiche.

“Scè n’vedevo l’ore de venine quineZè, è ‘nzacco bello tutto qua” disse Camo.

“Sì, ci si divertene sempra quaN” disse Gina.

“Regà, me sente pesanta… ho magnate la peperonate…” disse Milla.

“Scè, magnà n’antro pone… scè… stai a uscìne fori dai legginZè” disse Camo.

“Fabbiooo!!! Sto quiN!!” disse Gina salutando Fabio.

Fabio le raggiunse e si salutarono.

“A Fa… lene è Camo…” disse Gina.

Milla era di spalle.

“Scè…. Zao! Piacene Camo” mentre gli porse la mano per stringergliela.

“E lene… è Milla…”

Milla si girò, da quel momento, Fabio la vide come Venere, la Dea della bellezza. Tutto si muoveva lentamente, quasi come in un film. La musica cessò, le luci si spensero, nella mente di Fabio c’era solo lei, Milla.

Il trambusto riprese non appena lei parlò.

“Piacene, Milla”

Fabio rimase imbambolato, non riusciva a dire niente, gli porse la mano tremante e lei la strinse. Poi riuscì a dire qualcosa.

“Pi…Pia…. Piac….. Piace….. mi piac… no! Piiiacere. Fabbio” disse impacciato.

“Scè, ma che c’ha quarche probleme? Scè, ricchiappete*!” disse in modo arrogante Camo, guardando Gina (*Ricchiappete = Riprenditi).

“Dane lascelo perdeR” rispose Gina ridacchiando.

Intanto Nonno e Paolo tornarono dal bar con i drink. Nonno era un po’ ubriaco.

“Sto vodghe lemmo’ come và… va giù come l’acque… va lemme lemmo…” disse singhiozzando Nonno.

Intanto Paolo vide Gina.

“Sei arrivate! Che belle che…. Che…. Ah… Io nun ti aspettave, che sorprese” disse Paolo.

“Sì… comunqua vi presente Camo e Milla…” disse Gina.

“EH?! No, ‘na voje a camomille! C’ho ‘rvorka lemmo’ns” ribadì Nonno.

Scoppiarono a ridere poiché Nonno era ormai, decisamente ubriaco.

“Vuoi ballane co mene?” chiese Paolo a Gina.

“Va bena… andiame… famme vedene che sai faN” rispose ammiccando.

“Scè vabbè. A me me tocca rimorchiane… scè… scè…. Scè…. Zè” ribadì Camo.

“Sivvone, balle co un bel madrillone come mene… nun te preoccupane, lo sone che sei piccole pemmene” disse Nonno scherzoso.

“Scè… vabbè… mejo de ‘gnenta. Annamio a ballanzè scateniamozì” rispose Camo.

Nonno e Camo iniziarono a ballare, o meglio, Nonno improvvisava un ballo. Gina e Paolo ballavano a fianco a loro.

“Rimaneme solo noi… che fame? C’ho fame” disse Milla.

“Pura ieee!!! Annamise a fane un gire. C’haveme tante ‘ncomuna, saa ‘ntendemo” propose Fabio.

“Annamie và! Annamie a cercare er paninario”

I due uscirono.

 

Intanto Gina e Paolo ballavano e si lanciavano sguardi molto intensi.

“Allore… coma te para sta feste?” chiese Paolo.

“Me para belle… belle… c’è un sacche de genta, e poi Dj Globulo è il mio preferiT” rispose Gina.

“Beh… pe mene… in mezza a tutta sta genta… quine… la più belle è sole une”

“Iiihh! E chidè?”

“Sei tene!”

“Ahne… ammappe quantì si belle quende dici ste coS” disse arrossendo.

“A me me piasciua… me piasciua tante”

I due si avvicinarono piano piano, arrivarono a pochi millimetri dalle reciproche labbra.

“Scè! Rigààà! Nonno nun sta tante bena… zè addormentato sul divenette!” li interruppe Camo.

“Svejelo! Cori!” disse Paolo.

“Scè… No… Nonno! Svejete!” disse Camo scuotendo Nonno.

“Ecchime, sone pronte, annamio a ballanio!” disse Nonno pimpante.

“Ma no, Nonno dobbiame andane vie” disse Paolo.

“Ma… ma… do stanne Fabbio e Milla?” chiese Gina.

 

Proprio in quell’istante i due tornarono con un panino in mano.

“Vieni quine, porpettona dea vite mie” disse Fabio a Milla.

Gli altri rimasero sconcertati da quella affermazione.

“Sei dorce coma un ripiene de cannoli” disse Milla.

“Sì… e lo sai perchène? Perchène tu si coma un cotechine a capodanne, la ciliegine sulle torti” disse Fabio.

I loro amici se li guardavo stupiti. I due erano mano nella mano, e prima ancora che potessero dire di aver visto proprio tutto quella sera, Fabio e Milla si misero l’ultimo pezzo di panino in bocca, e lo incominciarono a mangiucchiare insieme, avvicinando sempre di più le labbra l’uno con l’altra. Finirono per baciarsi. Quello che successe poco prima, solo loro lo sanno, e rimase un mistero.

“Scè… ma che davere? Questa sere ho viste abbastanzè!” concluse Camo.

Fabio accompagnò Milla a casa, loro due avevano molto in comune. Fin troppo.

Nonno e Camo, invece, tornarono per conto loro.

 

Intanto Paolo stava accompagnando Gina a casa.

“Comunqua… nun sone… forse è meja che nun se semio baciave” disse Gina.

“Perchène? Nun te piasciuo?” chiese Paolo.

“No… mi piasciui però sei anche un belle amiCH…”

“Allore, domani usciama… e vediama come vane…” chiese Paolo.

“Dici? Nun me sente sicure… e poi… domani dicheno che neviche!”

“Non nevica, cretini!” - (Cit.) – “Scuse… nun so nemmene perché l’ho dette… m’è uscite cosìne. Comunqua… che disciua? Ti vane?” disse Paolo.

“Boh… non lo sone… mi sente confuse”

“Dai… nun ti trove bena con mene?” chiese Paolo.

“Sine…” rispose Gina.

“Nun ti facce ridera?” chiese avvicinandosi a lei.

“Sine…”

“Nun mi hai dette che ti piasciuano i miei occhi?”

Ad ogni domanda, Paolo si avvicinava sempre di più a Gina. I due si fissavano le labbra, erano quasi incantati l’uno dall’altra. Erano come due calamite pronte ad unirsi.

“Sine…” disse lei con voce flebile, incantata dalle sue parole

“Nun pensi a mene qualche volte?”

“Sine…”

Le labbra dei due erano quasi attaccate l’una con l’altra, ci sarebbe stato il tempo di una sola altra domanda. E sarebbe stata quella giusta.

“Nun prove le stessa cosa che prove io? Nun te senta coma se ti mancasse il respira? Nun te….”

I due iniziarono a baciarsi.

“Sine.”

*Commento degli autori*

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