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Autore: Manuele93    04/01/2013    1 recensioni
Una storia completamente inventata, narra della vita in un paese di nome San Cesc'ammare.
Storie surreali e linguaggio paesano. Seguite le divertenti storie di questi personaggi decisamente fuori dal comune.
LA PRIMA STAGIONE E' COMPOSTA DA 15 EPISODI.
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Scritto da Manuele e Serena.
Genere: Comico, Commedia, Demenziale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Racconti D'Aveno'
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Racconti D’Aveno

 

C'erano una volta nel lontano paese di San Cesc'ammare, una serie di abitanti che vivevano isolati dal mondo.

In “Racconti D’Aveno” vi racconteremo, piano piano, le loro vite, gli intrighi e le vicende quotidiane, di questi personaggi un po’ “particolari”.

 

1x01: La Bieta

 

In una mattina come tante in casa Marozzi, Giovanna stirava i panni del marito, quando improvvisamente il suo cellulare squillò. 

“Como se use sto cazze de cosA! Io spigne er bottona ma nun se sentA” – disse Giovanna mentre cercava di rispondere – “Pronto? Pronto, Tibberio? Sei te?” 

“Ao! Giovà me sentA? …me sentA?” rispose Tibberio. 

“Sine, te sentA!” 

“ProntE? T’ho dette Giovà che te deve comprà l’amplifE! Nun ce senta più come ‘na vorte.”

“Er sordo qua sei tene. Nun ce provane” – controbatté Giovanna – “Stai ar mercate Tibbè? Me chiami solo quanno stai la, mai ‘na vorta che me chiami pe dimme che me voi benA.” concluse Giovanna. 

“Si che te vojo benA, stupida. Senti… la comprave la bieta?” domandò Tibberio.

“Sineee! Oh sai che me piasciua la bieta! Quante vorte t’ho deo dine?” 

“Va bena, allora me manca er salamo, la bieta e er presciutto.”  

“Se sentime dopa Tibbè, sbrighete che deo fa er brodA!”.

I due chiusero il cellulare, anche se Giovanna trovò qualche difficoltà nel farlo.

 

Intanto Tibberio si mise in fila al banco dei salumi. Poco dopo si accorse che accanto a lui, c’era Ivano, un suo carissimo amico di infanzia.

“Ivano!” gridò Tibberio.

“Oddio! Chidè?*” disse Ivano spaventato. (*Chidè? = Chi è?)

“Ivano so io! Tibberio!”

“Tibbè! Nun t’avevo viste, che te possino! Che stai a fane?”

“Deo comprane er salamo pemmi-moje, te?”

“Eh, Carmelona mi ha chiesto de comprane er panA. Naa sopportave più, me comanna a bacchette!”

“Coma te capische! Mi moja me chieda sempre de piaje ‘abbieta. Nun me ne parlane.”

“Ecco, alla mia je servirebbero 'npo’ de verdure, pesa ‘na piotte* e mezze.” – disse avvilito Ivano – “da quando ha create quer concorse ‘Miss Carmelona’ nun cià più tempe pemmè, sta sempre a organizzà nuove edizionA!” (*Piotte = Dal romanesco “piotta” ovvero cento.)

“Ciò sone*, co mi moje stanno sempre a parlane de ste nuove CarmelonA, dicheno che so forti, io sinceramente nuo* mai capite ste concorse de bellezze.” (*Ciò sone = Lo so. *Nuo = Non le ho.)

“Già, come se semo ridotti! Te ricordi quanne giocavameno nel giardine de mi nonne co li sassi? …e quanno passavano le donnA e se le spizzevamo*, e le sognevamo da dietro li cespuglia?” disse Ivano. (*Spizzevamo = Guardavamo.)

“E chi so scordE! E quanno se guardevameno sur televisora li firme de Anna MagnanA? Quant’era bone.” rispose Tibberio.

“Pace all’anime sue, così bellona.”

“Serviamo il numerE, ventiquattre!” -

“Oh è er mie, se vedemio preste Ivà.”

“Ciao Tibbè, se sentimio.”

I due si salutarono, e Tibberio iniziò ad ordinare.

“So io er ventiquattre! Vorei due ette de salamo e une de presciutte. Grazia!”

Il salumiere diede a Tibberio la sua ordinazione, e andò a pagare.

“Salve, contanta o carte de credite?” disse la cassiera.

“Carte de credite.” rispose Tibberio.

La cassiera fece l’operazione e gli diede lo scontrino.

“Firmi quine.” disse la cassiera.

Tibberio firmò. Fece per andarsene ma la cassiera lo fermò e gli disse.

“Signore! Signore! Si è sbagliate, ha scritto Tibberio co due ‘b’, non co unE!”

Tibberio si avvicinò e chiarì la situazione.

“Signora, me scusi, ma i miei genitorA mi hanno registrate all’anagrefe cosìne: Tibberio, co du ‘b’, grazie comunquA! Arrivedercia.”

 

Tibberio arrivò fuori la porta di casa e suonò il campanello.

“Arive!” disse Giovanna sentendo suonare alla porta.

“Giovà, ecchete la spesE!”

“Grazia Tibbè…” – Giovanna rovistava nelle buste. – “…Ma l’hai prese ‘abbieta?”

“Oh Dio Giovà! Me so scordate!”

“Te possino caricatte!”

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