Rosa antico

di bulmasanzo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** like a little detective in search of clues ***
Capitolo 2: *** you don't need to look back ***
Capitolo 3: *** nice to meet you ***
Capitolo 4: *** siblings ***
Capitolo 5: *** funfair ***
Capitolo 6: *** bounce for your life ***
Capitolo 7: *** busted! ***
Capitolo 8: *** unforgiven ***



Capitolo 1
*** like a little detective in search of clues ***


 

Aveva aspettato che Candace scendesse di sotto, lasciando incustodito l'accesso alla sua camera.

Vi si era intrufolato furtivamente e, senza nemmeno accendere la luce, aveva tirato via il cuscino dal letto e aveva afferrato la fotografia che vi era celata sotto.

Non la guardò subito, anche perché la penombra non gli avrebbe permesso di scorgere molto. Resistendo alla curiosità che da giorni lo stava divorando, se la nascose nella tasca dei suoi pantaloncini. Poi risistemò accuratamente il cuscino e lisciò le lenzuola. Non voleva lasciare tracce del suo passaggio. Aveva intenzione di rimetterla al suo posto prima ancora che sua sorella potesse accorgersi del furto. Anche se non era un furto.

Quando fu al sicuro, nella sua stanza, al riparo da occhi indiscreti, poté finalmente concentrarsi sull'uomo che vi era ritratto sopra.

Aveva una montagna di capelli tenuti leggermente sul lunghetto, rossi proprio come i suoi, che incorniciavano un viso largo sul quale spiccava un grande naso a punta proprio come il suo. Ma la somiglianza fisica si fermava lì. I lineamenti erano severi, il mento squadrato, gli zigomi un po' sporgenti e gli occhi sottili e arrabbiati, con le iridi di un verde intenso e sovrastati da due sopracciglia folte e scure.

Rimase a fissarlo per qualche minuto, voleva imprimersi nella memoria quella faccia perché non l'aveva mai vista prima. Ed era estremamente probabile che non l'avrebbe mai più rivista.

Linda aveva fatto in modo che qualsiasi immagine di quell'uomo sparisse dalla loro casa. Per evitare che Lawrence si sentisse in qualche modo minacciato dal suo ricordo, aveva detto, ma in realtà, anche se non lo aveva mai ammesso davanti ai suoi figli, lo aveva fatto perché lo odiava.

E non le si poteva dare torto.

Ma lui aveva scoperto che Candace, disobbedendole, ne aveva conservata una in grande segreto.

Era stato un caso, non aveva davvero voluto spiarla.

Aveva pensato di farle una sorpresa. L'idea gliel'aveva data proprio lei quando, al ritorno da una missione nello spazio, si era lamentata che una misteriosa forza aveva indotto il suo cellulare ad autodistruggersi per impedirle di beccarlo con la prova tangibile del filmino amatoriale che aveva fatto... Come se fosse stato veramente possibile.

Aveva così realizzato per lei un telefonino che avrebbe dovuto essere pressoché indistruttibile, ricreandone ogni minimo componente con un materiale ignifugo e impermeabile simile alla gomma. Una delle sue idee più pratiche, come amava definirla.

Aveva spalancato la porta, incurante del divieto che lei aveva imposto, sorprendendola così mentre la stava rimettendo al suo posto.

Lei si era arrabbiata e lo aveva cacciato via in malo modo, borbottando qualcosa sul bussare prima di entrare. Non le aveva nemmeno potuto consegnare il regalo, salvo poi farglielo trovare in un pacchetto accompagnato da una letterina di scuse, alla quale Candace aveva reagito con una crassa risata e un rassicurante abbraccio.

Dapprima, aveva pensato che quella che nascondeva non fosse altro che una foto di Jèremy alla quale doveva tenere più delle altre. Ma Ferb gli aveva fatto notare, con un'osservazione quasi oziosa, che Candace non avrebbe avuto nessun motivo per nasconderla, anzi lei le foto del suo ragazzo le metteva ben in mostra, perché era fiera di lui.

Allora di chi sarebbe potuta essere?

Per qualche assurda ragione, si era ritrovato a rimurginarci sopra fino a ottenere l'illuminazione. Non poteva trattarsi di nessun altro se non del loro padre biologico.

Perché quello era un argomento tabù.

Quando si era azzardato a chiederle qualcosa di lui, Linda aveva sempre cercato di evitare il discorso. Tutto ciò che era riuscito a tirarle fuori era che se n'era andato di casa senza una parola di spiegazione poco dopo la sua nascita, senza nemmeno regalare a suo figlio il più piccolo ricordo di lui. Quando aveva deciso di rinunciare completamente a loro, lui non aveva nemmeno compiuto il suo primo anno di vita. E adesso, era morto. Come, non lo aveva potuto scoprire.

Più lo guardava, più si convinceva che non voleva assomigliargli.

Non riusciva a concepire come avesse potuto abbandonarli, e continuava a chiedersi quale potesse essere il motivo per cui lo aveva fatto, senza mai venirne a capo.

Una cosa era certa, quando lui sarebbe stato abbastanza grande da sposarsi, non avrebbe mai e poi mai, per nessuna ragione, seguito il suo esempio.

Seppur profondamente delusa da quel suo atroce comportamento, Linda non si era rassegnata a essere una mamma single.

Si ricordava che usciva spesso con le sue amiche, ma a volte anche da sola. Non si faceva problemi a chiamare i nonni perché badassero a loro. Loro stessi l'avevano incoraggiata in quel senso.

Si truccava così attentamente.

Nonostante le sue responsabilità di madre, cui comunque non mancava mai, voleva ancora godersi la sua giovinezza. Anche a costo di incappare in un altro bastardo.

Per fortuna, durante uno dei concerti ai quali non poteva rinunciare, aveva incontrato Lawrence.

Phineas non aveva mai avuto nessun problema a identificarlo come il suo unico padre, così come gli era venuto naturale vedere in Ferb suo fratello.

Però per Candace non doveva essere stato altrettanto semplice. Lei, infatti, aveva già avuto una figura paterna. Cambiarla doveva essere stato un trauma, da cui doveva essere scaturito il bisogno di tenere quella foto. Ricordava che, all'inizio, lei piangeva, c'era voluto del tempo prima che riuscisse ad accettare quei due estranei dall'accento bizzarro come due effettivi nuovi membri della famiglia.

Improvvisamente, Phineas ebbe l'idea di scannerizzarsela, quella foto, per poterla stampare e conservare anche lui. Non vedeva niente di sbagliato in questo.

Se la ficcò nuovamente in tasca e si infiltrò nello studio di Lawrence, dove c'era il computer.

La stampante lavorò in un attimo, replicando alla perfezione l'immagine desiderata.

A quel punto, gli restava solo da rimettere a posto l'originale. Dovette sbrigarsi. Candace era ancora di sotto, ignara di tutto, che chiacchierava con la sua amica Stacy che era venuta a trovarla.

Ma non ci sarebbe voluto molto prima che la lasciasse e incominciasse a interessarsi di quello che stava combinando lui.

Lo faceva sempre.

Aveva appena pensato di averla fatta franca quando Candace gli ricomparve alle spalle.

“Cosa diavolo stai facendo nella mia stanza?” chiese prendendo il suo solito cipiglio rosso.

Phineas sfoderò la sua arma migliore, il suo sorriso, e cercò di fare finta di niente.

“Cercavo un...” iniziò, senza sapere come continuare.

“Un che?” fece la quindicenne, iniziando ad arrabbiarsi. Era così facile farla infuriare. Doveva decisamente inventare qualcosa per farla rilassare.

“Un puntale!” aveva detto la prima cosa che gli era venuta in mente e si era subito sentito stupido, ma oramai che l'aveva detto doveva continuare quella farsa “I miei si sono tutti sbrindellati.”

“Esci immediatamente!” gridò la ragazza “O te lo tiro in testa con tutta la scarpa dietro!”.

Ne era capace. Phineas decise che sarebbe stato meglio non sfidarla.

“Ciao, Phineas.” lo salutò Stacy con un mezzo sorriso imbarazzato mentre lui correva a rifugiarsi nella sua stanza.

Mesi dopo, quando l'estate era ormai finita e si avvicinava l'inverno, Ferb aveva trovato la fotografia scannerizzata nel mezzo delle pagine di un libro che Phineas non aveva mai letto.

Gli era bastato mezzo sguardo per intuire di chi si doveva trattare.

Aveva avuto voglia di chiedergli spiegazioni, perché l'avesse messa lì e soprattutto perché non gli avesse detto niente. Ma si era subito sentito un ipocrita.

Nemmeno lui gli aveva mai parlato di sua madre. Anzi, non ne aveva mai parlato con nessuno, neanche con suo padre. Anche se, in realtà, non aveva molto da dire a riguardo.

Non conservava che vaghissimi ricordi di lei, che non erano affatto piacevoli.

Chiuse di scatto il libro quando sentì Phineas entrare nella stanza dietro di lui.

Non voleva che credesse che si stesse impicciando dei fatti suoi.

 

 

 

 

- - -

Spazio autrice:

questa storia mi frullava nella testa da un po'. Magari, il primo capitolo non dice molto ma, se vi siete incuriositi, vi invito ad aspettare il secondo. E a recensire, tanto per dirmi che cosa ne pensate.

 

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Capitolo 2
*** you don't need to look back ***


Era entrato nella sua stanza camminando all'indietro perché stava reggendo un grosso scatolone pieno di cianfrusaglie, per lo più vecchie cianografie di progetti già realizzati e attrezzi che erano rimasti inutilizzati dalla fine dell'estate precedente.

“Mi aiuti a scegliere quelli che devo buttare via?” chiese sospirando.

Non gli piaceva separarsi dagli oggetti che possedeva, ma se era arrivato al punto di farsi rimproverare da sua madre per non aver messo in ordine, capiva che era proprio il momento di farlo. E poi, non avrebbe certo voluto ritrovarsi con un quintale di roba inutile.

Ferb non aveva risposto. Non era certo una novità.

Però non si era nemmeno mosso, non lo aveva ascoltato, non aveva agito. Era rimasto fermo al suo posto, come se ciò che stava facendo non lo riguardasse.

Si voltò, sorpreso dalla sua inattività.

Lo vide di profilo, seduto sul suo letto, con la schiena contro il cuscino e con un libro aperto in grembo, ma non stava leggendo. Non guardava nemmeno le pagine, i suoi occhi erano vitrei e lo sguardo si perdeva nel nulla.

Lasciò lo scatolone sul pavimento dove si trovava e borbottò un “lo facciamo più tardi” mentre andava a vedere cos'aveva suo fratello.

Dato che aveva già detto qualcosa, non credeva che non lo avesse completamente sentito. Poi il mistero si risolse da sé, quando si accorse che aveva le cuffie dell'iPod infilate nelle orecchie.

Poteva sembrare una scena casuale, ma per lui fu un campanello d'allarme.

Se si era isolato dal mondo, voleva dire che c'era qualcosa che non andava, qualcosa che lo turbava.

Non era facile accorgersene, visto che lui non manifestava mai i propri sentimenti e se ne rimaneva sempre in silenzio. Però, a dispetto della sua fama di taciturno, era troppo distante, molto più del solito.

Aveva sentito dire da chissà chi che, se si vuole che qualcuno sia assolutamente sincero con noi, bisogna prenderlo di sorpresa, chiedergli ciò che si vuole sapere quando meno se lo aspetta.

Per qualche stupida ragione aveva voluto dar conto a questa assurda teoria.

Così gli comparve a un centimetro dal naso, all'improvviso, prendendolo del tutto alla sprovvista, gli afferrò una mano e gli piantò lo sguardo dritto nelle palle degli occhi. Aveva già la bocca aperta, pronta, ma tutto quello che gli uscì fu un “Ehi” strozzato, perché a quel contatto lo aveva visto trasalire e guardarlo stravolto.

Ma era stato solo per un attimo.

Si era strappato via le cuffiette con un gesto rabbioso. La sua espressione l'aveva spaventato, ma era tornata immediatamente dopo a essere del tutto assente, era quasi come se non fosse neanche lì. E vide che c'era del rosso nei suoi occhi.

“Che cos'hai?” balbettò preoccupato “C'è qualcosa che non va?”

Fu come se la sua voce, dalla quale era trasparita un'inspiegabile angoscia, lo scuotesse.

Sfuggì alla sua presa e si lasciò cadere all'indietro sul letto, sospirando.

Gli tolse il libro che era rimasto in bilico sulle sue gambe, lo chiuse accuratamente e lo appoggiò sul pavimento.

Poi si andò ad accoccolare accanto a lui e ripeté la domanda più dolcemente.

Lui esitò ancora e poi fu preso da una specie di brivido. “Si sposa.” riuscì a dire.

Si era sentito gelare a quelle due piccole parole. “Chi?” chiese sbiancando.

Ferb smise di fissare il soffitto e chiuse gli occhi. “Mia madre.” disse.

Phineas ci impiegò qualche secondo per comprendere che non si stava riferendo a Linda. Era sempre stato abituato a considerarla come la mamma di entrambi. Era consapevole che, da qualche parte nel mondo, esisteva anche quell'altra donna, ragion per cui aveva utilizzato il singolare. Ma dato che non gliene aveva mai parlato, lui non aveva mai fatto domande.

“E quindi...” incominciò.

“Vuole che vada da lei. Per la cerimonia.”

“E tu non vuoi andarci?” chiese, dopo aver deglutito.

Ferb riaprì gli occhi e poi batté le palpebre una, due, tre volte. Ma non rispose.

“Ho capito.” disse Phineas, interpretando i suoi segnali “Non la conosci.”

Ferb fece segno di diniego. Sembrava combattuto.

“Però... non potrebbe essere un'occasione apposta per conoscerla?” disse, con cautela.

Ferb sembrò assorto per qualche secondo.

“Se mio padre fosse ancora in vita e mi chiedesse di incontrarlo, io credo che vorrei andare a conoscerlo...” continuò, anche se sapeva benissimo che ciò che aveva ipotizzato, oltre a essere impossibile, era anche improbabile. Non era esattamente la stessa cosa.

Nel nominare suo padre, il suo sguardo era andato inavvertitamente verso la libreria. Il libro in cui aveva nascosto la sua foto era ancora nel posto in cui lo aveva lasciato.

Lo sentì che si rotolava nel letto, che si girava verso di lui. E notò che in mezzo alla fronte gli si era disegnata una microscopica ruga di apprensione.

“Verresti insieme a me?” gli chiese con la sua voce dolce e profonda.

Non esitò nemmeno per un attimo. “Ma certo, fratello. Tutto, se ti rende felice.”

Per rispondergli non ci furono bisogno di altre parole, bastò un suo piccolo sorriso.

 

 

--- --- ---

Aveva riconosciuto immediatamente quella calligrafia indisciplinata e infantile, ma aveva sperato vivamente di essersi sbagliato.

Era rimasto per diversi minuti imbambolato a fissare il nome sulla busta senza potersi decidere ad aprirla. Non voleva aprirla.

Era stato tentato di gettarla via e di fare finta che non fosse mai arrivata.

Sarebbe bastato questo. Eliminarla, cancellarla, dimenticarla, proteggendo così suo figlio dalla verità, preservandolo da un'ennesima delusione che avrebbe potuto distruggerlo.

Sarebbe stato così semplice.

Ma anche così sbagliato.

La lettera emanava un profumo molto familiare, si stupì di ricordarselo ancora. Non pensava a quel profumo da anni, non credeva che gli si sarebbe potuto imprimere nella memoria a tal punto.

Pensava che il contenuto della busta non potesse arrivare a sconvolgerlo più del semplice fatto di sapere chi gliel'aveva spedita.

Ma si sbagliava.

Appena finito di leggere, era rimasto senza parole.

Il desiderio di stracciarla aumentò, trasformandosi quasi in un bisogno fisico.

E, insieme a esso, arrivò un'incommensurabile rabbia.

Non la stracciò, ma la strinse con forza tra le mani, sgualcendola tutta.

Decise che non gliel'avrebbe mostrata, non voleva rischiare di sconvolgerlo, si sarebbe occupato lui stesso di dirgli quello che c'era da dire.

Parlargliene fu una delle prove più difficili che avesse mai dovuto affrontare.

La sua reazione lo stupì, ma, a pensarci bene, non così tanto.

Non appena seppe un minimo di ciò che lo aspettava, quel ragazzino sempre calmo e tranquillo era rimasto agghiacciato. Sembrava che, da un momento all'altro, sarebbe scoppiato in lacrime.

Ma non successe, non succedeva mai. O, se succedeva, lui non lo aveva mai visto.

A parte quell'unica volta...

Voleva abbracciarlo e rassicurarlo, ma lui fuggì, si chiuse in camera.

Quando, dopo averlo pregato a lungo, riuscì a fargli riaprire la porta, scoprì che non aveva ancora potuto togliersi di dosso quell'aria terrificata, atterrita.

Ne conosceva benissimo il motivo, ma s'era sempre rifiutato di accettarlo.

Aveva tentato di nuovo di scappare, ma stavolta lui glielo impedì trattenendolo quasi brutalmente tra le sue braccia.

Smise di fare resistenza solo quando gli disse che non era per niente costretto ad affrontarla e che, se voleva, poteva dimenticarsi di ciò che gli aveva detto.

Ma si fece promettere che ci avrebbe pensato.

Il giorno dopo, gli si ripresentò con gli occhi rossi. Non aveva dormito, era rimasto sveglio tutta la notte a riflettere. Ma aveva la voce ferma quando dichiarò che non voleva scappare, che aveva intenzione di andare.

“Così ne approfitteremo per farci anche una bella vacanza natalizia tutti insieme!” aveva cercato di sdrammatizzare, senza riuscire però a strappare a suo figlio nemmeno un mezzo sorriso.

Il volo fu lungo e spossante, così come il cambio di fuso orario.

Gli aveva consigliato di addormentarsi per arrivare più riposato, ma sapeva di avergli chiesto qualcosa di impossibile, l'agitazione e il nervosismo erano troppi.

Ed era anche comprensibile. In fondo, stava per rivedere dopo tanto tempo la donna che lo aveva messo al mondo e rifiutato subito dopo.

L'aveva buttato via come un giocattolo con cui s'era stufata di giocare. Gli aveva fatto del male.

Non del male fisico, questo no, non glielo avrebbe mai permesso, ma sicuramente non era riuscito a impedirle di fargli del male psicologico. Sospettava che fosse proprio quella la causa per cui non parlava molto.

Non aveva ancora compiuto due anni quando, dopo un ennesimo litigio, se ne era andata di casa. E, disgraziatamente, tutto ciò era avvenuto davanti a lui.

Non sarebbe dovuto succedere davanti a lui. Avrebbe dovuto assicurarsi che non li vedesse.

Non riusciva a togliersi dalla mente il suo sguardo. Un bambino di quell'età non avrebbe mai dovuto avere quello sguardo. Era così piccolo, ma già così intelligente!

Dopo tanto tempo, non aveva ancora smesso di rimproverarsi per quella sua mancanza. Non avrebbe mai smesso.

Era sicurissimo che avesse capito esattamente quello che era successo, così come era sicuro che niente al mondo avrebbe mai potuto farglielo dimenticare.

Ma lui ci aveva provato. Doveva provarci. Per il suo bene. Non avrebbe potuto definirsi un buon padre se non ci avesse provato.

Si erano trasferiti in America immediatamente dopo, senza darle nemmeno il tempo di farle cambiare idea. Una vera e propria fuga.

Avevano entrambi sofferto molto per il suo abbandono.

Pretendevano di meritarsi un po' di felicità.

Linda era entrata nella sua vita e aveva ricoperto con estrema naturalezza il ruolo che sarebbe dovuto spettarle, e che invece era stato lasciato scoperto.

Non smetteva mai di ringraziare il Cielo per avergliela fatta incontrare.

Nonostante ciò, Ferb aveva cercato molte volte di contattare quell'altra donna.

Lui non glielo aveva impedito. Era pur sempre sua madre!

Ma i suoi tentativi disperati di ottenere un incontro con lei erano sempre stati ignorati.

Fino a quel momento.

Adesso ne conosceva la ragione.

Ferb si doveva anche essere domandato perché lo ricontattasse solo dopo così tanto tempo, erano già passati quasi otto anni.

Phineas e perfino Candace si dimostrarono più affettuosi del solito con lui, durante il volo. Cercavano di tranquillizzarlo in tutti i modi. Probabilmente non lo avevano mai visto così agitato e la cosa doveva spaventarli.

Il solo effetto che ottenevano, però, era di renderlo, se possibile, ancora più silenzioso, anche se i suoi occhi spaventati lo tradivano.

Ma non sospettavano minimamente che avrebbe potuto esserlo ancora di più.

Aveva volontariamente omesso la parte peggiore perché, avendo preso atto del modo in cui aveva reagito, temeva che, una volta saputo tutto, potesse crollare definitivamente. Non sapeva che in piccolissima parte ciò a cui stava andando incontro.

Per tutto il tempo si pentì di non averglielo detto, ma ormai era troppo tardi e di certo non glielo avrebbe rivelato mentre erano sull'aereo, a chissà quanti piedi di altitudine.

Pensava -o, meglio, sperava- che sarebbe stato più facile per lui se avesse assimilato lo choc a piccole dosi.

Non poteva comunque fare a meno di sentirsi terribilmente in ansia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio autrice: Ok, questo era il secondo capitolo. Ho cercato a lungo un modo migliore per esprimermi, ma questo è tutto ciò che sono riuscita a fare. Se volete, fatemi sapere che ne pensate. Volevo ringraziare quelli che hanno commentato il primo capitolo e volevo invitare l'utente Raven Cullen, che ha inserito la storia tra le seguite, a recensire, sempre che voglia farlo. Sappiate che accetto anche le critiche.

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Capitolo 3
*** nice to meet you ***


 

Nonostante l'agitazione, alla fine erano crollati tutti e quattro.

Phineas aveva reclinato la testa su un lato, poggiandola sulla spalla di Ferb, il quale invece si teneva tutto sprofondato all'indietro, mentre Candace si era raggomitolata sul sedile, tirando su le gambe. Linda invece era seduta composta e dritta, se non avesse avuto gli occhi chiusi e il respiro regolare, si sarebbe potuto pensare che fosse sveglia.

Sembravano così in pace. Non avrebbe voluto svegliarli, ma ormai la voce metallica della hostess aveva annunciato che erano arrivati.

Sembrava che Linda avesse un po' di nausea. Non era stata proprio entusiasta di partire insieme a loro. Certo, andare ad assistere alle nozze della prima moglie di suo marito non doveva sembrarle il massimo, come vacanza. Ma non avrebbe mai potuto lasciarli andare da soli.

Comunque, non s'era lamentata. E Lawrence non smetteva di apprezzarla per questo.

Quando riaprì gli occhi, l'impressione che gli trasmise era quella di essersi appena risvegliato da un incubo. Eppure, nel sonno gli era parso se non tranquillo, almeno un po' più calmo...

Invece Ferb era saltato su nel momento in cui gliene era stata data la possibilità, andando subito a recuperare la portantina di Perry.

S'era dimenticato di quale fosse la meta, ma ora che l'avevano raggiunta, era impaziente di farla finita. Non riusciva più a tenere a bada le forti emozioni che provava. Anche se faceva di tutto per non mostrarlo, aveva lo stomaco in subbuglio.

Tutto ciò che ricordava della sua madre biologica erano i suoi lunghi capelli mossi, il suo naturale profumo di rosa selvatica e, per qualche strano motivo, le sue mani, con quelle lunghe dita nervose e le unghie acuminate, laccate perennemente di rosso.

Aveva un'impressione molto vivida di quelle mani fredde e scheletriche che si stringevano intorno alle sue esili membra di neonato.

Molto probabilmente non si trattava di un reale ricordo, ma era un'immagine che era ritornata spesso, nei suoi sogni più inquieti e più inquietanti.

Non riuscì a riconoscerla quando la vide aspettarli all'aeroporto, ma seppe che era lei nel momento in cui Lawrence gli artigliò una spalla, in un involontariamente doloroso gesto di protezione.

Angelica. Era il suo nome, ma non rispecchiava per niente il suo aspetto volgare.

La montagna di boccoli verdi era raccolta disordinatamente in una crocchia sulla sommità della testa, sormontata da un cappellino dorato dal gusto decisamente kitsch da cui spuntavano alcune piume di struzzo. Era avvolta in un elegantissimo soprabito bianco immacolato, probabilmente un preludio dell'abito da sposa, e aveva al collo una vaporosa pelliccia di volpe grigia. I suoi occhi erano piccoli e insignificanti, assolutamente inespressivi, sembravano quelli disegnati male di una bambola scadente. Ed era truccatissima, sembrava che la sua faccia fosse più un impasto di cerone che vera pelle. Anche se da lontano poteva apparire come una bella donna, a osservarla da vicino ci si accorgeva della presenza di un migliaio di piccole rughe che le increspavano gli occhi e le labbra. Doveva già avere una certa età.

Gli venne in mente che -era assurdo!- non sapeva nemmeno quanti anni avesse. Ne dimostrava una quarantina, ma doveva essere più giovane.

Il suo sguardo era gelido, eppure aveva un nonsoché che sarebbe potuto sembrare dolce.

Nonostante il primo impatto che aveva avuto fosse stato di repulsione, Ferb le si avvicinò con il cuore in gola e la fissò senza aprire bocca.

Lei gli restituì lo sguardo ma poi, come se si sentisse disgustata dalla sua vista, rialzò decisa la testa. Non sembrava interessata a lui, sembrava che non fosse riuscita a riconoscerlo come suo figlio.

Non ne capì la ragione, ma provò una sensazione di freddo nei suoi confronti, era come se l'avessero costretta a incontrarlo.

Phineas avrebbe voluto correre da lui, ma Linda lo trattenne presso di sé tenendolo per un polso, voleva che rispettasse quel momento, quantunque fosse patente l'imbarazzo di entrambi.

Poi il silenzio fu rotto quando, da dietro la schiena della donna, fece capolino la testolina ricciuta di una bellissima creatura dalle guanciotte rosse e dagli enormi occhi vispi, che rivolse a Ferb un grande sorriso accompagnato da un allegrissimo “Ciao”.

Ma lui si limitò a fissarla, confuso.

Si girò verso Lawrence e lo vide fissare a sua volta la bambina mentre deglutiva a vuoto. Una specie di tristezza attraversava il suo sguardo. Sembrava quasi sull'orlo delle lacrime.

Ferb tornò a guardarla senza capire. Poteva avere al massimo otto anni...

Poi, un lampo di consapevolezza lo colpì e lo lasciò pietrificato sul posto.

“Mia madre me lo aveva detto che ci somigliavamo.” esclamò la bambina, che parlava un inglese scolastico piuttosto buono, appesantito però da un ingombrante accento. Lo stava guardando con un'aria estasiata. “Però non pensavo che eri così bello.”

Ferb guardò la minuscola manina che gli stava cortesemente tendendo. Alzò lentamente gli occhi verso la donna e notò lo stesso, insormontabile distacco di poco prima.

“Sono Bianca.” si presentò la bambina “Tua sorella.”

Qualcuno dietro di lui urlò, probabilmente era stato Phineas. Sfuggito alla presa della madre, gli era corso accanto e l'aveva investito mettendosi a urlare nelle sue orecchie.

“Una sorella?” gridava “Per quale motivo al mondo non mi era mai stato detto che tu hai una sorella?! Com'è possibile che non lo abbia mai saputo?”

La sua voce gli arrivava come se fosse lontanissimo, ma capiva alla perfezione ciò che diceva.

Era esattamente la stessa cosa che si stava domandando lui.

“Phineas, tesoro, non intrometterti.” intervenne Linda andando a riacciuffare suo figlio e tirandoselo gentilmente indietro.

“Ma...” iniziò lui.

“Non lo sapeva nemmeno lui.” disse Lawrence.

Invece tu sì, vero? Pensò Ferb girandosi a guardare suo padre serrando le palpebre.

Vederlo evitare il suo sguardo lo irritò non poco.

Un senso di umiliazione misto a nausea alterò le sue percezioni. Si sentì improvvisamente ingannato e deluso.

Avrebbe potuto mettersi a urlare. E perché no? Avrebbe avuto tutte le ragioni per arrabbiarsi. Avrebbe voluto mettersi a piangere per la frustrazione, per la rabbia. Avrebbe potuto mettersi a inveire contro quella sconosciuta che gli era stata presentata come sua madre, ma che non s'era mai comportata come tale, che aveva tenuto con sé quella bambina innocente mentre non era mai riuscita ad accettare lui. Avrebbe potuto odiare suo padre, che aveva sempre giustificato il suo abbandono nascondendolo dietro una sua presunta incapacità nel prendersi cura di un figlio.

E adesso, era palese che non fosse quello il motivo per cui non l'aveva voluto, per cui l'aveva lasciato andare senza combattere.

Come aveva osato portarlo lì senza dirglielo, senza prepararlo? Come aveva potuto mentirgli?

Ferb aveva decisamente voglia di voltare le spalle a quell'inaccettabile realtà e di tornarsene a casa.

Ma tutto ciò non sarebbe stato da lui.

Prese la manina morbida della bambina e le fece un leggero inchino “Molto piacere di conoscerti.” disse, baciandogliela, ma senza che le sue labbra toccassero la pelle, come gli era stato insegnato.

Lei ridacchiò deliziata “Sei proprio un gentiluomo.” disse. Nella sua voce dolce e variopinta si poteva leggere un profondo senso di gratitudine. Le sue guance si imporporarono ancora di più. Era veramente graziosa. Non somigliava affatto a sua madre, se non nei colori.

La donna li guardò appena. Lawrence le si rivolse con un imbarazzato “Ti trovo bene.” cui rispose con un impercettibile segno della testa.

Non ci fu nessun significativo scambio di sguardi, dalla faccia che mise su sembrava perfino annoiata.

Non aveva la più pallida idea di cos'altro dirle, almeno in quel momento. Erano stati lontani per così tanto che sapeva che non sarebbero più riusciti a ritrovare quella complicità che un tempo li aveva uniti, neanche se ci avessero provato seriamente. Così si interessò a Bianca.

Nei suoi occhietti c'era un timore riverenziale, ma gli sorrise amabilmente.

“Ti ho sempre immaginato così.” disse in tono giocoso “Sei bellissimo!”

“Grazie, sei tanto dolce.” disse Lawrence, stupito da quel complimento.

“Potreste andare a riposarvi adesso, sarete stanchi.” disse Angelica molto sinteticamente. Era la prima volta che apriva bocca, la sua voce era bassa e piuttosto comune, senza nessuna personalità, e il suo tono era affatto privo di emozione.

E altrettanto privo di emozione fu il tono di Lawrence quando le rispose che aveva ragione, che si era fatta una certa ora e che Bianca e Ferb avrebbero avuto modo di conoscersi meglio l'indomani.

Poi il brav'uomo trascinò via la sua famiglia.

Non aveva mentito, era davvero tardi e dovevano raggiungere il modesto albergo in cui avrebbero alloggiato.

La cena che servirono loro era insapore.

Phineas e Candace mangiavano in silenzio, ma si lanciavano sguardi di intesa in continuazione. Ferb non mangiava per niente. Gli s'era chiuso lo stomaco. Linda lo dovette supplicare, senza risultato. Andò a letto senza avere minimamente toccato il suo piatto. In effetti, ciò che c'era sopra non era nemmeno molto invitante.

“Sei ancora sveglio?” bisbigliò Phineas più tardi, nel buio della stanza che condividevano.

Gli rispose un mugolio discreto, confermandogli che lo era.

Ebbe uno scatto con cui si portò fuori dalle coperte e accese la luce.

Gli occhi spalancati di suo fratello sembravano luccicare per il riverbero.

“Non riesco a dormire!” esplose “Una sorella! Tu hai una sorella! Sono veramente sbalordito e senza parole!”

Il che ha del miracoloso, commentò sarcasticamente Ferb nella sua mente, senza abbandonare la posizione supina che aveva assunto.

“E papà non ce l'ha detto! Perché non ce l'ha detto?” continuò Phineas ribaltandosi sul letto, inquieto.

Non ce l'ha detto? A noi?

“Doveva dircelo! Penso sia una cosa stupenda!” esclamò.

Oh, certo, stupendo. Un'altra parente che non vedrò mai.

“Se solo l'avessi saputo prima...” Phineas si interruppe all'improvviso. I suoi occhi si spalancarono, segno evidente dell'eccitamento. Ferb aveva visto quell'espressione un centinaio di volte. Ma stavolta non riuscì a farsi coinvolgere. Sapeva benissimo quale fosse il vero motivo dell'entusiasmo di suo fratello. E lui stesso, un secondo dopo, gliene diede la prova.

“Meno male che non ho lasciato a casa i nostri attrezzi. Anche se penso che qui li vendano, da qualche parte...” sembrava molto ispirato. Come lo era sempre.

“Ti rendi conto che è completamente a digiuno di noi due? Dobbiamo assolutamente farle vedere qualcosa, non pensi che sarebbe carino? Dobbiamo fare qualcosa per lei!”

Ferb si accigliò, ma era sicuro che Phineas non si fosse nemmeno accorto che si stava irritando.

La vedeva solo come un'altra bambina senz'anima da sbalordire con le sue meravigliose invenzioni.

Un'altra Isabella.

“So cosa faremo domani, Ferb.” fece lui, ignaro di ciò che stava pensando “Costruiremo un gigantesco, enorme tappeto elastico...”

“Per favore, no!” lo aveva interrotto di colpo, in un modo che a lui stesso parve rude.

Phineas strabuzzò gli occhi, colpito.

“No? Come sarebbe a dire, no?”

“Sarebbe a dire no.” ripeté Ferb, con il tono di chi non ammette repliche.

Non ce la faceva più. Perché non riusciva a capire?

Era stata una giornata così piena di emozioni che stare lì a sentire i suoi farneticamenti era davvero troppo. Lo avevano portato sull'orlo dell'arrabbiatura.

Ma non si sarebbe arrabbiato. Perché lui doveva essere flemmatico.

Si voltò dall'altra parte per non vedere la sua faccia delusa. Non sarebbe riuscito a sostenerla.

Da parte sua, il bambino davvero non comprendeva perché avesse bocciato così risolutamente la sua idea senza nemmeno starla a sentire. Non era mai successo prima.

Eppure non pensava di aver detto niente di sbagliato.

Era rimasto immobile, sconcertato, incredulo.

“Ah... OK.” disse semplicemente, e si rimise mestamente sotto le coperte “Però penso lo stesso che dovresti fare qualcosa per lei.” si azzardò a dire mentre spegneva di nuovo la luce.

Ferb tornò alla posizione di prima. La delusione di Phineas, che aveva cercato di evitare di vedere, era trasparita ugualmente dalle sue parole. Anche se riteneva che fosse stato decisamente inopportuno, riconobbe la spiacevole sensazione che gli stava turbinando nello stomaco come un vero senso di colpa.

Dopo un po', Phineas ruppe di nuovo il silenzio.

“Ferb... lei non ha colpa.” disse. Il suo tono era supplichevole.

Forse, in quei cinque minuti in cui era riuscito a tenere chiusa la bocca, aveva riflettuto.

Gli rispose con un sospiro profondo ed esasperato.

Sembrò se lo fosse fatto bastare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Spazio autrice:

Ok, e questo era il terzo. Credetemi, ragazzi, se vi dico che io non odio Phineas, è solo che sono dell'opinione che alcune volte la sua voglia di costruire sia troppo esagerata. Anche se siamo nel contesto di un cartone che presenta normale l'esistenza di molte cose assurde, come una testa di bambino fluttuante... Vi ringrazio per aver letto, in particolare grazie a f9v5 e Whiteney Black per avere messo la storia nei preferiti. Ditemi che ne pensate del capitolo, se vi va.

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Capitolo 4
*** siblings ***


 

Era perfettamente consapevole del fatto che dentro la sua testa esisteva un intero, sconfinato e incomprensibile anche a se stessa mondo a parte. Lo aveva visto con i suoi occhi grazie a una di quelle diavolerie costruite da suo fratello. E, per quanto potesse sembrare assurdo, ciò che aveva visto le aveva fatto paura.

Era un mondo fatto soprattutto di ossessioni.

Dominavano le sue emozioni, dirigevano i suoi comportamenti esagerandoli, portandola a compiere spesso e volentieri dei colpi di testa. Le impedivano di divertirsi, di vivere spensieratamente la propria gioventù.

Era consapevole di apparire nevrotica agli occhi altrui, ma non riusciva a farne a meno. Erano più forti di lei, la inseguivano, la intrappolavano, la manipolavano, la divoravano.

E lei bramava veramente un attimo di respiro, un pizzico di calma, di pace.

Avrebbe tanto desiderato essere una ragazza normale, ma sapeva che le sue fissazioni non le avrebbero mai permesso di esserlo.

La terapia cui sua madre l'aveva costretta nel periodo successivo all'abbandono del padre non aveva mai saputo risolvere i suoi problemi, anzi li aveva addirittura acuiti.

A quindici anni, era ancora infantilmente attaccata al suo peluche preferito di Ducky Momo.

Si faceva continuamente prendere dalla paranoia di non piacere più al suo ragazzo, nonostante questi le avesse svariate volte fornito la prova di quanto la trovasse adorabile.

Ma la sua ossessione più grande era sempre stata quella di fare beccare i suoi fratelli dalla madre.

A volte le sembrava che la sua intera vita girasse attorno a quell'unica esigenza.

Una delle cose che le dava più fastidio, ancor più del fatto di fallire sempre, era il tono sempre così ironico con cui sua madre, anche se non esplicitamente, le dava della folle.

Le mandava dei segnali disperati che lei non coglieva mai.

Era troppo distratta, sicuramente Phineas aveva preso da lei quel lato del suo carattere.

Ciò che faticava a riconoscere era il motivo per cui ci tenesse così tanto a farli beccare e per cui poi restava sempre così tanto delusa quando non ci riusciva.

Lo aveva realizzato ormai da molto tempo, ma non era riuscita a rassegnarvisi.

Al di là della soddisfazione personale, era invidiosa del loro rapporto, della complicità che si dimostravano tra loro, ma che non avevano mai mostrato verso di lei.

Aveva vissuto come figlia unica per i primi cinque anni della sua vita. Poi era nato Phineas e, quasi contemporaneamente, suo padre se n'era andato.

Al suo posto erano arrivati Lawrence e quel ragazzino strambo. 'Strambo' era la parola con cui lo aveva istintivamente definito la prima volta che lo aveva visto. Con quel suo bizzarro ciuffo di capelli verdi in testa e con una cultura straniera sulle spalle, aveva avuto l'impressione che sarebbero stati completamente incompatibili.

Dopo otto anni di vita sotto lo stesso tetto, quella sua impressione iniziale non era ancora stata smentita.

All'inizio, aveva creduto che avere due fratellini al posto di uno solo sarebbe stata pressoché la stessa cosa. Ma poi s'era ricreduta.

Con Phineas era tutto diverso, da lui si sentiva per lo meno apprezzata. Probabilmente, era merito del sangue che condividevano.

Ma con Ferb non c'era quasi interazione.

I suoi silenzi l'avevano sconcertata, il suo humor sottile l'aveva fatta sentire un'idiota, la sua aria costantemente imperturbabile l'aveva irritata.

Eppure, in qualche modo, gli aveva voluto bene e l'idea di ottenere un rapporto con lui che potesse dirsi accettabile non solo la solleticava, ma le stava veramente a cuore.

Peccato che lui non si fosse mai prodigato in quel senso. Però, era anche vero che lei aveva fatto altrettanto.

Non si era mai sentita cercata da lui, sembrava che non avesse bisogno di lei.

Abituata a considerarlo invincibile, quando si erano trovati sull'aereo, diretti verso l'ignota madre biologica di lui, si era stupita di averlo visto tanto turbato.

Non era normale, non sembrava neanche vero.

Gli aveva messo una mano sulla spalla e aveva sentito una forte tensione che avrebbe avuto bisogno di sciogliere.

Ma se lui non chiedeva mai niente, lei non dava mai niente che non le fosse chiesto.

Non era per egoismo, ma per pura e semplice incapacità.

Quando quella bambina aveva fatto la sua inaspettata comparsa, si era chiesta come avrebbe reagito lei se fosse stata al suo posto. Decisamente, non come aveva reagito lui.

Era un mistero, un alieno che proveniva dal pianeta dei supertranquilli. O, per meglio dire, dal pianeta Inghilterra.

L'avrebbe tanto voluta avere lei, una sorella. Una confidente. Una spalla.

Una figura che in Phineas le era mancata ma che poi, fortunatamente, aveva ritrovato in Stacy.

L'intesa che c'era tra loro due era profonda, erano molto più che semplici amiche del cuore.

Un'intesa che la stessa Stacy non poteva dire di avere con la sua vera sorella.

Un'intesa che, nessuno avrebbe potuto negarlo, Ferb aveva con Phineas e con Phineas soltanto, nonostante l'assenza di un vincolo di sangue.

Ciò dimostrava che non era poi così fondamentale avere un legame di parentela.

Lo poteva dire senza timore di sbagliarsi, anche per via del rapporto che aveva con colui che ormai considerava a tutti gli effetti come suo padre.

Per quello che aveva imparato, il sangue non era altro che acqua.

Non sapeva perché avesse sentito il bisogno di andarlo a trovare nella sua camera d'albergo, ma era rimasta tutta la notte a pensare che avrebbe dovuto farlo.

Dato che, momentaneamente, Phineas non era con lui, e la cosa era piuttosto rara, s'era aspettata di trovarlo in totale inattività.

Ma avrebbe dovuto aspettarsi, da un uomo d'azione come lui, che lo avrebbe trovato seduto sul suo letto, con un dannato cacciavite in mano, intento a costruire qualcosa di piccolo e cubico.

Ci risiamo pensò.

Non appena era entrata, aveva interrotto il proprio lavoro e la guardava con aria interrogativa.

“Ciao.” disse sorpresa, raramente le aveva rivolto uno sguardo così diretto. “Mi stavo chiedendo se stessi bene...” farfugliò. Avrebbe dovuto prepararsi meglio il discorso, ma ormai si era avviata. “Sembravi così agitato. Dev'essere stato assurdo scoprire quello che hai scoperto...”

Ferb sospirò leggermente e girò gli occhi, come se trovasse patetico il suo tentativo.

Lei scelse di ignorarlo e di continuare “Se posso aiutarti in qualche modo, non hai che da dirlo...” dichiarò. Non era brava a fare la sorella maggiore. Ma ci voleva provare.

Ma sembrava che il suo fratellastro avesse improvvisamente perso interesse, perché era tornato a occuparsi della sua creazione senza degnarla nemmeno di una risposta monosillabica.

Dopo un breve silenzio, durante il quale aveva raccolto tutta la sua buona volontà, Candace decise di riprovare.

“Anche io sono stata abbandonata da un genitore, so benissimo come ti senti.” disse, tutto d'un colpo, come se avesse temuto di poter cambiare idea a metà frase.

Forse aveva osato troppo. Lei non poteva saperlo realmente. Tuttavia, era convinta di non avere mentito, perché tantissime volte aveva immaginato se stessa in quella sua medesima situazione e sapeva come si sarebbe dovuta sentire.

In fondo, c'era andata così vicino...

“Sei combattuto tra il volerle tendere la mano e il volerla mandare a quel paese.” continuò lei. “Non è così?”

Ferb aveva alzato la testa e la fissava con tanto d'occhi, come se fosse rimasto colpito da quello che aveva detto. Come se non volesse ammettere che aveva ragione.

Ma lei sapeva di aver fatto centro.

Solo che la sua intenzione non era stata certo di suscitare in lui quella reazione.

Lo vide deglutire e assumere un'espressione afflitta, incassando un po' la testa tra le spalle. Lo vide abbassare gli occhi e fissare un punto imprecisato di fronte a sé. Vide il suo labbro inferiore tremargli, poi glielo vide mordere nervosamente.

Finalmente, stava mostrando un'emozione davanti a lei senza nasconderla.

Ti prego, di' qualcosa... lo supplicò mentalmente. So che vuoi farlo.

A dispetto delle sue premesse, non resistette a lungo al silenzio.

“Ok.” disse alla fine, sconfitta, “Scusa. Cambio argomento... Che cos'è?” gli chiese indicando l'oggetto che aveva in mano.

Ferb lo sollevò per mostrarglielo, non sembrava altro che una scatolina.

“Carina, ma non ho ancora capito cosa sia.” ammise Candace, un po' irritata dal fatto che si ostinasse a non risponderle a parole.

Ferb aprì la scatola e nella stanza si diffuse una specie di musichetta dolce come una ninnananna. Ebbe appena il tempo di riconoscerla come una di quelle canzoncine per bambini che lui richiuse il carillon e ci avvitò sopra una decorazione celeste.

“È un regalo per Angelica?” chiese titubante. Non sapeva se chiamarla per nome fosse la cosa giusta da fare, ma le era venuto naturale.

Ferb scosse la testa.

“Per Bianca?” riprovò.

Ferb annuì.

“Oh! Ma che bel pensiero...”

Che bel pensiero! Non avrebbe potuto dire niente di più idiota.

Ferb posò sul letto il cacciavite e si mise in tasca l'invenzione, si alzò e la spinse dolcemente fuori dalla porta. Candace non poteva credere ai suoi occhi, ma aveva avuto l'impressione che stesse arrossendo.

Non la stava cacciando, come aveva creduto, la stava accompagnando di sotto, nella sala da pranzo dell'albergo.

Phineas era seduto al tavolo, impegnato a onorare la sua colazione, ma non sembrava per niente contento di quello che stava mangiando.

Appena li vide si alzò con un'aria luminosa dipinta sul viso. Poi sembrò ricordarsi di qualcosa, avvampò e il sorriso che aveva rivolto loro gli appassì sulle labbra.

“Che diavolo ti prende?” gli chiese con la sua consueta 'dolcezza'.

Lui scosse la testa e tornò a sorridere. Si pentì di avergli rivolto la parola, perché aveva iniziato a discutere di cose che per lei erano del tutto prive di interesse.

E lei avrebbe voluto parlare con Ferb. Ma lui l'aveva portata di sotto apposta per evitare di parlarle.

Il giovane inglese sembrava assorto mentre consumava, senza mostrare molto appetito, la sua colazione. Evidentemente, si stava preparando psicologicamente per incontrare di nuovo sua madre e sua sorella.

Un uomo dalla corporatura muscolosa era comparso dalla porta e si era avvicinato a passo felpato al tavolo al quale stavano i tre fratelli.

Aveva l'aria affaticata, il viso rosso e un po' di fiatone, come se avesse dovuto correre per raggiungerli.

Lo fissarono tutti e tre, chiedendosi se stesse cercando proprio loro.

“Flynn-Fletcher?” chiese lui, in tono incerto. Aveva una voce leggermente nasale, ma profonda.

Annuirono.

I suoi occhi scartarono Candace e si fermarono sopra ai due ragazzi “Chi di voi è Ferb?”

Phineas stava per rispondergli, quando Lawrence si interpose tra loro e rivolse al nuovo arrivato un “Prego?” che la colpì con la sua freddezza.

“Lei è il signor Fletcher?” chiese l'uomo, contrastando la sua diffidenza con un tono di inaspettata cortesia. “Buon giorno, io mi chiamo Godrov, Michael Godrov... sono il fidanzato di Angelica.” si presentò “Sono mortificato per il suo imperdonabile comportamento. Dopo avervi fatti viaggiare fin qui, non è nemmeno venuta a prendervi, non vi ha offerto ospitalità... Così sono venuto io.”

“Oh, lei è...” fece Lawrence come stordito. Era stato preso in contropiede, ma si riprese egregiamente. “Non si preoccupi, non c'è nessun problema.”

I due uomini si strinsero la mano. Con un solo sguardo si erano piaciuti.

Il signor Godrov si occupò di scortarli nella sua casa. Era enorme, sfarzosa, un castello. Doveva essere piuttosto ricco.

Durante il tragitto in auto -un'auto enorme- spiegò che quel giorno Angelica sarebbe stata impegnata in certi affari -del genere: provare l'abito da sposa, assaggiare la torta nuziale e scegliere i fiori con cui arredare la sala- dunque avrebbero potuto incontrarla solo più tardi.

La piccola Bianca scese le scale correndo, tutta contenta che fossero arrivati.

Indossava un abitino rosa che le svolazzava tutto intorno alle gambette.

Il suo futuro patrigno le scompigliò affettuosamente i capelli e le rimproverò di aver corso. Lei promise ridendo che non lo avrebbe fatto più.

Poi andò dal suo padre biologico rivolgendogli lo stesso caloroso saluto del giorno prima, ricevendo in risposta un buffetto. Già contenta di questo, si slanciò su suo fratello stringendolo in un tenero abbraccio, come se lo conoscesse da sempre.

Candace pensava che non glielo avrebbe ricambiato, invece lo fece, ma immaginò o, meglio, si augurò che lo avesse fatto più per gentilezza che per altro.

Bianca strillò quando si accorse di Perry, che se ne stava rannicchiato tra le braccia di Phineas, come se fosse terrorizzato dalla novità di trovarsi in un posto per lui del tutto nuovo.

Con sua grande sorpresa, vide Ferb prendere l'animale in braccio e incoraggiare la bambina ad accarezzarlo. Era come se cercasse uno spunto per socializzare con lei.

Per qualche motivo, non le piacque affatto l'idea che stesse mostrando più attenzioni verso quella bambina, una sorella biologica eppure una vera sconosciuta, dopo aver ignorato lei, una semplice sorellastra, che però invece lo conosceva da otto lunghi anni.

Ma poi le venne in mente che non doveva trattarsi solo di etichetta. Era andato lì con l'idea di essere accolto e invece aveva trovato un muro che era parso a tutti insormontabile.

Qualcuno, però, aveva compensato l'indifferenza di qualcun altro.

Passarono il resto della giornata insieme, lei fece da cicerone mostrando con orgoglio la sua gigantesca camera, arredata come quella di una vera principessa, e disse che avrebbero dovuto assolutamente andare tutti quanti al parco divertimenti. Ferb restò a bocca aperta quando usò quell'espressione, quella particolare espressione.

“Cosa c'è? Ho sbagliato?” fece lei un po' imbarazzata, pensava infatti di non avere utilizzato il termine giusto. Era probabile, si confondeva spesso.

“Al contrario, hai usato la parola corretta.” disse Phineas per lui “Ferb pensa che non si debba dire luna park.

“Meno male.” disse Bianca scoppiando a ridere.

Anche Phineas si mostrava molto amichevole con lei. Cercava, anche se forse inconsciamente, di impressionarla, d'altronde lo faceva sempre con tutti, anche se quella volta si sentiva un po' bloccato. Ma aveva intenzione di rispettare il volere di Ferb, che gli aveva espressamente chiesto di non costruire niente di grandioso, almeno per il momento. Compensava con la sua simpatia.

Ma sembrava che la bambina avesse occhi solo per Ferb. Gli si rivolgeva in continuazione, sembrava innamorata. Da parte sua, lui le rispondeva cordialmente, ma a volte gli uscivano solo dei monosillabi. Non perché fosse imbarazzato. Non era la timidezza la causa della sua abitudine di non parlare. A lui piaceva pensare a lungo alle cose che doveva dire, lei non gliene dava il tempo, ma si mostrava contenta lo stesso delle sue risposte.

Candace si era temporaneamente dimenticata di quello che era successo quella mattina. Quella bimba era dolce e divertente, un tesoro, le ricordava un po' Melissa, la recluta delle Fireside girls che l'ammirava tanto. Solo che Bianca non ammirava lei, ma Ferb.

Era giusto che fosse così, eppure la stava infastidendo il fatto che riuscisse ad attirare così bene la sua attenzione. Era gelosa, e non si era mai accorta di esserlo.

Alla fine Angelica tornò tardi, scusandosi. Ma le sue scuse sembravano forzate. Dalle occhiate gelide che lanciò a tutti loro, pareva che si fosse augurata di non trovarli lì, era come se li considerasse degli intrusi piuttosto che degli ospiti. Indossava lo stesso soprabito bianco del giorno prima e si era spruzzata addosso tanto di quel profumo che l'effluvio riempì tutta la stanza.

Dal modo in cui la guardò Ferb quando la vide arrivare, era chiaro che avesse qualcosa da dirle, doveva averla pazientemente aspettata tutto il giorno solo per poter ottenere un faccia a faccia con lei. Senza preavviso, andò a prenderle una mano, che lei ritrasse subito, come se si fosse scottata. Lui insistette, tirandola per una manica. Sbuffando e senza fare assolutamente niente per nascondere il proprio fastidio, si lasciò condurre in un'altra stanza.

Uscirono dopo appena cinque minuti e andarono in due direzioni opposte. Tutti li stavano guardando, interrogandosi su cosa potessero essersi detti, ma non avrebbero mai potuto saperlo.

Angelica si sistemò bruscamente una ciocca di capelli sfuggita alla crocchia dietro un orecchio e si schiarì la voce “Perché non restate per cena?” disse, forzando un sorriso. Probabilmente, non lo avrebbe mai proposto.

Bianca si mise a strillare di gioia “Io mi siedo accanto a Ferb!” dichiarò prendendolo per un braccio.

Lui non le sorrise, aveva assunto di nuovo la sua solita aria imperturbabile, sarebbe stato impossibile capire a cosa stesse pensando. Candace esultò segretamente per questo, ma subito dopo se ne sentì un po' in colpa.

Alla fine della cena -la quale fu decisamente più piacevole di quella della sera prima, anche se non ci voleva poi molto- Ferb pensò che fosse arrivato il momento di consegnare a Bianca il suo regalo.

Lei restò estasiata dalla musica e pretese che le insegnasse le parole della canzone.

Quando Candace lo vide darle il carillon, però, provò di nuovo una sensazione spiacevole allo stomaco che non voleva definire.

Ferb doveva essersi accorto che aveva cambiato faccia. Le sue emozioni trasparivano sempre, faticava a nasconderle.

Abbozzò un sorriso, non le sorrideva quasi mai.

Dopo quello che si era ritrovata a pensare, che si era vergognata di pensare, si stupì che lo stesse rivolgendo a lei e non a Bianca.

Era stato un gesto inaspettato, complice, in qualche modo. Era come se le avesse letto nella mente e ora stesse cercando di dirle che era tutto a posto, che non doveva essere gelosa.

Nel fare il primo passo, dopotutto, lei sapeva di non poter avere agito male.

Per la prima vera volta, lei gli aveva mostrato il suo interesse e la sua disponibilità, e ora lui, con quel semplice e rassicurante sorriso, che nascondeva in sé più di un centinaio di inutili parole, l'aveva ringraziata, le aveva detto che sapeva di poter contare su di lei.

Si era solo offerta nel momento sbagliato. Ma quando sarebbe arrivato quello giusto, sarebbe venuto sicuramente lui a cercarla.

Doveva solo aspettarlo.

 

 

 

 



 

 

 

 

 

 

 

 

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Note autrice: Con questo capitolo mi sono voluta concentrare su Candace perché, nella mia storia precedente, a mio avviso, non le avevo dato abbastanza spazio... penso sia assurdo il fatto che, nella serie, lei e Ferb non interagiscano quasi mai... A me pare di averla vista rivolgersi direttamente a lui solo in un paio di occasioni, una volta solo per urlargli di sbrigarsi a fare qualcosa... -.- Lasciamo stare... Ringrazio, come sempre, chi legge la mia storia, e grazie particolarmente al nuovo recensore Lily Juvenile. Come sempre, vi lascio l'invito a dirmi cosa ne pensate. Se non avete afferrato qualcosa del capitolo, basta che me lo chiediate.

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Capitolo 5
*** funfair ***



Candace stava gridando fino a farsi sanguinare la gola.

Non erano grida di rabbia, ma di terrore puro.

I suoi lunghi capelli arancioni volavano in tutte le direzioni, schiacciati dal vento gelido che le soffiava contro ogni centimetro quadrato della faccia.

Aveva un terribile fischio che le si insinuava dentro alle orecchie provocandole un dolore atroce.

La pressione le faceva strizzare gli occhi, tanto che faticava a tenerli aperti.

Il mondo le correva incontro avvicinandosi a una velocità folle, sempre maggiore.

Fu presa dalla nausea, la bile le stava salendo su per il lungo collo e lottava per uscirle dalle labbra, che lei serrò con uno scatto fulmineo della mandibola.

Inghiottì disperatamente e si aggrappò alla spranga quasi con le unghie.

Accanto a lei, Phineas non si stava divertendo di più.

Non urlava come aveva fatto lei, ma stringeva i denti, augurandosi che passasse in fretta.

Poi, in quell'orribile corsa verso la morte che sembrava non dover avere mai fine, ci fu una frenata improvvisa, per il cui contraccolpo entrambi i loro corpi vennero proiettati in avanti.

I loro visi sbatterono frontalmente contro la stessa asta di metallo che avrebbe dovuto servire per proteggerli.

Quando il fischio che la rintronava passò, riuscì a sentire un lamento sommesso.

Si voltò di scatto solo per vedere la faccia verde, dolorante e stravolta di suo fratello.

Il bambino si portò le mani a coppa sulla bocca, mentre un rivolo di sangue vivo gli colava giù per il collo. Gli occhi gli si riempirono istantaneamente di lacrime.

Candace sentiva ancora la testa che le girava violentemente e il cuore che tamburava a ritmo accelerato contro la gabbia toracica.

Non seppe mai da dove le venne la forza di alzarsi, liberare se stessa e Phineas dalle imbragature che li tenevano inchiodati a quella giostra maledetta, prenderlo tra le braccia e portarlo via.

Si stupì di quanto fosse leggero, chiunque avrebbe potuto sollevarlo senza problemi, anche qualcuno più giovane di lui.

Nonostante ciò, sentiva le proprie gambe molli che si piegavano sotto il suo peso, come fossero state di gelatina.

Lo fece sedere e si inginocchiò davanti a lui.

“Fammi vedere.” disse quando fu di nuovo in grado di articolare una frase.

Phineas allontanò le mani dal viso.

La sua bocca era piena di sangue, il labbro superiore era tumefatto e l'incisivo destro era scheggiato.

Eppure riuscì ad abbozzare una smorfia.

“Le peggiori montagne russe del mondo.” balbettò con un filo di voce impastato e tremante. “Non c'è paragone con quelle che abbiamo fatto noi in estate.”

“Potresti ripeterlo davanti alla mamma?” scherzò Candace.

Phineas ridacchiò debolmente, poi si sfiorò appena il labbro ferito con la lingua e subito impallidì per il dolore.

 

 

 

 

 

 

 

 

- - -

Non aveva aperto la porta della camera di Angelica per errore.

Si era trattato di un'azione compiuta consapevolmente e con uno scopo preciso.

Quello che non aveva previsto era che l'avrebbe sorpresa con addosso solo una leggera sottoveste rosa trasparente, seduta comodamente a gambe aperte su uno sgabellino di fronte a un enorme specchio incorniciato al tavolo dei trucchi, mentre si toglieva uno per uno i bigodini dalla testa.

Lei si accorse immediatamente della sua irruzione e si alzò di scatto, voltandosi a fronteggiarlo. Aveva già visto che si trattava di lui per via del riflesso dello specchio.

Ma se anche non lo avesse visto, non poteva dire di non esserselo aspettata.

“E allora, dove sono finite le tue tanto decantate buone maniere, Lawrence? Non si bussa più?” disse seccamente.

“Oh, scusami!” disse l'uomo voltando la faccia per non guardarla. Nel trovarla in deshabillé non aveva potuto fare a meno di arrossire “Ma avevo bisogno di chiederti qualcosa, e tu sei stata così sfuggente!”

Angelica si risedette e accavallò le gambe. Anche davanti a lui, sembrava in assenza totale di imbarazzo.

“Parla pure.” lo esortò in tono sprezzante, sciogliendo l'ultimo bigodino dai capelli “E, per piacere, non fare finta di arrossire, mi hai già vista in queste condizioni.”

“Sì, ma è stato molti anni fa.” farfugiò lui, ostinandosi a non guardarla.

“Otto.” precisò la donna “Non sono poi così tanti perché tu te ne sia potuto dimenticare.”

“Già, ma sembrano essere abbastanza per potere nascondere una figlia.” ribatté lui.

Lei fece una pausa, come se non si fosse aspettata quella risposta.

“La permanenza all'estero ti ha fatto diventare più reattivo?” disse gelidamente.

“Per favore, mettiti qualcosa addosso.” la pregò, ignorando quella battuta.

“Se proprio insisti.” disse lei. Si alzò, andò al suo armadio e ne tirò fuori una vestaglia.

Era chiaro che l'aveva presa in modo meccanico, senza scegliere, ma quando se ne rese conto mise su un sorriso storto, che in realtà era un vero ghigno.

“Ti ricordi di questa?” disse, mostrandogliela prima di indossarla.

Era un elemento che normalmente sarebbe passato inosservato. Invece, Lawrence la riconobbe subito e non poté impedirsi di lasciarsi investire da una valanga di ricordi.

Si stupì che ce l'avesse ancora. Era la sua preferita.

Quando stavano insieme, gliene aveva regalata una simile, piena di pizzi e ricami, di un colore rosso acceso, brioso, allegro, gioioso. Come inconsciamente le augurava di diventare.

Ma Angelica non aveva apprezzato e, senza nemmeno dirglielo, era andata al negozio e l'aveva cambiata con quella lì, di un rosa pallido, spento, smorto, triste.

Probabilmente, quel gesto non gli avrebbe dato troppo fastidio se, quando poi le aveva chiesto perché lo avesse fatto, lei non gli avesse risposto, con quel tono di voce così laconico ma al tempo stesso velenoso e acido, che lui non capiva un accidenti di moda.

Angelica aveva questa capacità innata di fare del male alle persone utilizzando delle semplici parole che magari, dette da qualcun altro, non sarebbero state in grado di offendere tanto.

Aveva lasciato correre, ma non era la prima volta che lei utilizzava quel tono. Segretamente, era stato sul punto di lasciarla.

Ma poi era rimasta incinta, così sospettosamente in fretta, e lui era stato spinto ad affrettare un matrimonio che non avrebbe voluto. O, per lo meno, non così presto.

Da allora, aveva sempre detestato quell'indumento. Lei lo sapeva e lo indossava lo stesso, specie quando litigavano, e loro litigavano sempre. Sapeva che in quel modo gli avrebbe dato fastidio.

Ci si era stretta dentro anche la prima notte di nozze, impedendogli di toccarla.

Se l'era messa pure quando l'aveva dovuta portare in ospedale per andare ad accogliere la cicogna.

L'aveva vista ripiegata accuratamente ai piedi del loro letto matrimoniale la volta in cui lei era stata talmente negligente da lasciare un febbricitante Ferb appena nato da solo in una culla spoglia, a piangere e a rigurgitare latte in continuazione per un'intera notte, con il rischio di soffocare nel suo stesso vomito.

L'aveva indosso persino quella volta, quella tremenda volta in cui, dopo una discussione più feroce del solito, l'aveva brutalmente tirato via dal suo lettino, svegliandolo, e per poco non lo aveva rabbiosamente scagliato per terra.

L'aveva fermata appena in tempo, era talmente piccolo che sarebbe sicuramente rimasto ucciso per colpa di quel gesto folle, assurdo, senza senso.

Era stata la prima volta in cui aveva manifestato un comportamento veramente violento verso il suo stesso figlio. E, anche se l'aveva perdonata, a fatica, dopo che lei aveva impetrato le sue scuse, si era assicurato che fosse anche l'ultima.

Il loro rapporto già difficile si era andato guastando sempre più, finché non era risultato impossibile da sostenere.

Eppure, non era stato quell'orribile episodio a causare la loro rottura.

Ricordava i disperati, terrificati, strazianti strilli di protesta che Ferb mandava quando lei cercava di farlo addormentare sul suo seno. Non c'era più riuscita. Si calmava solo se arrivava lui a cullarlo.

C'erano voluti mesi prima che se ne dimenticasse. Ma addosso gli sarebbe rimasta per sempre una paura tanto atroce quanto incontrollabile. La stessa paura che aveva rivisto affiorare nei suoi occhi quando era ricominciata tutta questa storia.

Infine, quella maledetta vestaglia era stata l'ultima cosa che aveva visto sparire di lei, quando aveva perso la sua stoica pazienza e le aveva finalmente urlato contro che se ne poteva anche andare di casa, che, per quello che lo riguardava, avrebbe potuto finire a vivere sotto un ponte, che lui e Ferb se la sarebbero facilmente cavata da soli senza il suo discutibile aiuto.

“Sì.” disse, stringendo i denti “Sì, mi ricordo benissimo.”

Lei rise, come se non capisse quello che pensava o, peggio, come se lo capisse e ritenesse tutto quanto molto divertente.

“Dovrei chiederti una cosa.” ripeté lui, deciso a non divagare.

“Spara.” disse lei stringendosi nelle spalle.

“Perché è dovuto passare tutto questo tempo prima che ti degnassi di dirci di Bianca?” chiese lui senza esitare oltre. Avrebbe dovuto essere la prima cosa da chiederle.

Lei si sedette di nuovo e rispose con un'altra domanda “Quando avrei dovuto dirtelo, scusa?”

“Non saprei. Ma se me lo avessi detto subito, forse avrei potuto provare a darti un'altra occasione...”

La donna rise ancora, ma senza gioia “Non dire stupidaggini. Eravamo incompatibili. E poi, ho scoperto che ero incinta solo dopo che eravate andati via.”

“Avresti potuto scrivermi una lettera...”

“Che differenza fa? Ognuno di noi ha la propria vita.” incrociò le braccia sul petto “Ti ho fatto un favore, pensa come sarebbe stato orribile dover restare insieme per forza con due bambini. Non avresti trovato la tua bella Linda.”

“Va bene.” disse Lawrence, anche se non era convinto “Ma, magari, io avrei potuto provare ad avere un rapporto con Bianca.”

Credeva a quello che diceva. L'idea di non avere abbastanza tempo per conoscerla meglio lo faceva arrabbiare. Anche se, naturalmente, lui non aveva colpa per non aver saputo prima di lei, si era sentito enormemente in difetto nei confronti di quella bambina così adorabile. Avrebbe voluto conoscerla, o almeno essere messo prima a parte della sua esistenza, ne avrebbe avuto tutti i diritti.

Quando aveva ricevuto quella lettera gli era preso un colpo. L'idea che potesse avere un'altra figlia non lo aveva mai nemmeno sfiorato.

Doveva essere stata un imprevisto capitato nel momento peggiore, quando ormai credevano che fosse tutto finito.

Era probabile che, se gli avesse detto subito di lei, lo avrebbe spinto a tornare. Sarebbe stato semplicemente assurdo, dopo tutto l'inferno che avevano vissuto insieme.

Non riusciva ad accettare l'evidenza. Tutto ciò che Bianca avrebbe saputo di lui sarebbe stato che era suo padre. E basta.

Il loro era un rapporto che non ci sarebbe mai stato, sarebbe stato difficile costruirne uno, neanche in modo discontinuo. Sua madre stava per sposarsi ed era probabile che, dopo quell'occasione, non si sarebbero mai più rivisti. Almeno, non tanto presto.

Ma quello che voleva veramente chiederle era un'altra cosa.

“A te sta a cuore che Ferb sia venuto qui? Perché non sembri per niente contenta, posso capire che tu non lo sia per me... eppure nella tua lettera avevi scritto che ci tenevi.”

La donna si strinse nelle spalle.

“Se avessi scritto che non ci tenevo non sareste venuti.”

“Dunque lo neghi?”

“No. Ma è stata Bianca a insistere. Una volta mi ero lasciata sfuggire che aveva un fratello... se solo non glielo avessi mai detto! Iniziò a fare l'isterica dicendo che doveva conoscerlo a ogni costo.”

“Sei sua madre. Perché l'hai accontentata? Potevi dirle di no.”

“Sarà un tesoro... ma, anche se non sembra, è orrendamente viziata. Ha minacciato di fare lo sciopero della fame se non lo avessi fatto. E così, per farla stare buona, le dissi che, semmai avessi deciso di sposarmi, lo avrei invitato al matrimonio... Poi, la proposta mi arrivò per davvero. E lei si ricordò subito di quello che le avevo detto e mi disse di farlo venire, a costo di non presenziare alle nozze. Non credevo che mi avesse presa così sul serio.”

“Eppure dovresti sapere che i bambini si ricordano sempre di tutte le promesse che gli si fanno.” disse Lawrence in tono di rimprovero.

Lei si strinse nelle spalle, come se tutto ciò non contasse molto “È stato un errore in buona fede.” disse “La cocciutaggine deve averla presa dal tuo lato della famiglia.”

Lawrence non era d'accordo su questo punto, ma lasciò correre.

“E non hai pensato che invece Ferb ci potesse tenere veramente a incontrare te?”

Angelica accavallò le gambe nell'altro senso e sbuffò di impazienza.

“Stai cercando di farmi ammettere che sarei stata una pessima madre per lui? Sì, sì lo sono! Lo avevamo già appurato! E allora?” sbottò, sostenendo fieramente lo sguardo ormai disgustato del suo ex marito. “Avrei anche potuto tenermelo, invece te l'ho lasciato portare via perché potessi trovargli la madre perfetta... E gliel'hai trovata, mi pare.”

“Aspetta...” fece lui, colpito da quanto aveva appena detto, credendo di aver capito male “Ho sentito bene? Tu volevi tenerlo?”

Lei ebbe una esitazione che durò solo per una frazione di secondo. Poi si mise a ridere di nuovo e, stavolta, nella sua risata c'era una nota di crudele sarcasmo.

“Sai, dovresti imparare a cogliere le sfumature.” disse “Io non ho detto che avrei voluto, ma che avrei potuto. Sei il solito tonto.”

Lui riconobbe che poteva aver ragione, forse era veramente tonto, dal momento che stava rinunciando a capirla.

Ma lei continuò a parlare.

“A cosa mi sarebbe servito, dato che avevo già la mia Bianca? Tu te ne sei andato con lui e io ho tenuto lei. Diciamo pure che si è trattato di una divisione dei beni.”

Quella estrema semplificazione lo lasciò sconcertato a dir poco.

Gli fece comprendere qualcosa a cui aveva avuto il terrore di credere.

Dunque, per lei Bianca non era altro che un sostituto, un premio di consolazione.

E sarebbe stato pronto a scommettere che era stata proprio quella bambina a insegnarle a fare la madre, anche se gli rimaneva il dubbio che ci fosse veramente riuscita. Sicuramente, era stata molto furba a convincerla in quel modo, ma si chiese se lui le avrebbe permesso di averla vinta.

Sentì come una fitta di rabbia al cuore e si rese conto che detestava la donna che aveva di fronte.

Si chiese come avesse fatto, a suo tempo, a farsi impalmare da lei.

Già allora, quella scaltra donna, nonostante la sua indubbia bellezza, mostrava sul corpo i segni di un invecchiamento precoce. Nell'ambiente dal quale proveniva, veniva ritenuto inaccettabile che una donna della sua età non fosse ancora sposata.

Lui era più giovane di lei, ingenuo e inesperto della vita. Le doveva essere apparso come un perfetto pollo da spennare, una facile preda.

Aveva avuto il dubbio che l'unico motivo per cui si era fatta mettere incinta da lui fosse accalappiarlo, per trovarsi una sistemazione. Non certo per amore, né nei suoi confronti, né verso il loro bambino.

Ferb per lei doveva essere stato solo uno strumento, da sfruttare per ottenere quello che voleva.

E aveva funzionato. Per appena due anni, che erano stati decisamente i peggiori delle loro vite.

Aveva preferito una tranquillità apparente a una felicità reale.

Voleva però credere che l'odio che poi aveva iniziato a provare nei suoi confronti non fosse stato programmato. Voleva credere che fosse il frutto di una presa di coscienza.

Perché si era accorta che le cose non stavano più andando come nei suoi piani, perché la sua vita, che già non poteva essere felice, non avrebbe più nemmeno potuto essere tranquilla, era solo diventata ancor più incasinata di prima. E insostenibile.

Paradossalmente, quell'odio che aveva nutrito nei confronti di una creatura innocente si era infine trasformato nella causa della loro separazione.

Così, lo aveva rifiutato, lo aveva lasciato a lui e non aveva più voluto saperne niente.

Si era veramente illuso che adesso avesse cambiato idea.

Perché avrebbe dovuto essere così debole, così leggera, così irresponsabile?

Non si rendeva conto di cosa sarebbe stato meglio?

Ora che aveva capito che invece non era per niente cambiata, non era cresciuta, non era maturata, si pentiva di aver trascinato laggiù la sua famiglia.

Aveva causato e continuava a causare in Ferb una sofferenza del tutto inutile, nuova, gratuita e decisamente evitabile.

E poi, Lawrence pensò al povero signor Godrov che stava per commettere il suo stesso antico errore.

Gli venne voglia di andarlo a cercare per dissuaderlo. Era ancora in tempo, in fondo.

Ma poi pensò anche a quella piccola bambola dai boccoli d'angelo che era sua figlia. Come poteva lasciarla da sola con quel mostro di madre?

Godrov l'avrebbe protetta e avrebbe compensato le qualità orribili della sua partner.

Anche se non poteva certo dire di conoscerlo a fondo, gli era bastato vedere il modo in cui la guardava mentre la rimproverava amorevolmente per fargli capire che l'adorava, per convincerlo che si trattava di una persona affidabile. Il tipo di persona a cui si sarebbe potuto tranquillamente affidare un figlio.

Pensò che Ferb era stato fortunato a non farsi rovinare da Angelica. Lo aveva portato via appena in tempo. Con il suo esempio, probabilmente non sarebbe stato la stessa persona. Magari avrebbe parlato di più, ma quello era l'aspetto del suo carattere che meno gli importava di modificare.

Angelica dovette sentire il suo disprezzo. Si alzò di nuovo, era chiaro che non fosse più a suo agio. “Senti, è già un miracolo che tu sia qui e che abbia visto Bianca. Perché non facciamo finta che abbiamo fatto pace e mi lasci sposare in pace?” disse.

Aveva parlato avvicinandosi e continuando a fissarlo negli occhi, ma lui la sentiva sempre più lontana da sé.

“Io ti lascerò pure sposare in pace...” disse, imbrogliandosi “Però tu non potresti, per favore, sforzarti di mostrarti almeno un minimo interessata a Ferb? Anche per finta, se ti pare. Ma lui ne ha bisogno.”

“È questo il punto! Perché?” fece lei in tono esasperato “Perché ci tiene tanto? Ha già Linda! Che cosa si aspetta da me?”

“Di certo non di essere preso in giro in questo modo.” Lawrence si rese conto che si stava arrabbiando. Ma non poteva perdere la testa. “Nemmeno io posso comprendere perché ci tenga tanto.” ammise. “Forse, non ti meriti il suo amore.” Respirò pesantemente per calmarsi, pensando di non poterne venire a capo.

Sembrò che lei stesse cercando le parole più pungenti che conosceva per contro ribattere, quando la porta della stanza si aprì di nuovo ed entrò Bianca tutta trafelata. Era in lacrime.

“Mamma!” piagnucolò correndole incontro, agitatissima.

“Cos'è successo?” disse la donna, seccata per quell'interruzione.

La bambina continuava a piangere e parlò in un modo così veloce e così impastato che Lawrence non capì niente. Dapprima sembrava che fosse successo qualcosa di grave, perché Angelica sgranò gli occhi. Poi però si rilassò, come se la bambina avesse fatto un dramma per nulla, e si voltò verso Lawrence.

“Pare che tuo figlio abbia avuto un piccolo incidente sulle montagne russe.”

“Chi?” fece lui, confuso.

“Come chi? Tuo figlio, quella specie di microbo sorridente con il nome complicato.”

“ Phineas? Che gli è successo?” si allarmò, ignorando il termine dispregiativo che aveva usato per riferirsi a lui.

“Non so. Pare si sia fatto male... non è che Bianca abbia parlato tanto chiaro.”

“Cielo!” gridò l'uomo preoccupatissimo precipitandosi fuori dalla stanza con le mani sulla testa.

Angelica lo guardò andar via e piegò il collo di lato, squadrandolo.

“Com'è diventato rumoroso.” commentò con tono impassibile “Vivere all'estero gli ha decisamente fatto male.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note dell'autrice: questo capitolo ha subito dei maltrattamenti inimmaginabili. È stato allungato, accorciato, spezzato, cancellato, riscritto, demolito, ricomposto... tutto perché non sapevo come esprimermi... Ma, alla fine, credo di essere riuscita a renderlo come volevo. Ringrazio Lenny96 per il suo commento e per aver messo la storia nei preferiti. Ovviamente, ringrazio anche tutti gli altri che leggono e recensiscono. Spero che questo capitolo non vi abbia fatto troppo schifo... Buon anno a tutti.

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Capitolo 6
*** bounce for your life ***



 

Continuava a passarsi ossessivamente la lingua sul dente ricostruito, come se non riuscisse a capacitarsi che potesse essere ritornato esattamente com'era prima che buona parte di esso saltasse via. Il labbro era ancora leggermente gonfio, ma ormai aveva smesso di fargli eccessivamente male. La pomata che ci aveva spalmato sopra per ridurre l'ematoma emanava un brutto odore di vasellina, cercava il più possibile di non toccarla.

Il signor Godrov era stato gentile fino alla nausea. Non solo si era offerto di portarlo personalmente dal dentista, ma aveva anche insistito per assumersi l'onere dell'intervento lampo per l'impianto della protesi.

Doveva essere stato addestrato a considerarsi responsabile dell'incolumità dei suoi ospiti, ragion per cui doveva ritenere imperdonabile quell'insignificante incidente.

Da ciò che gli avevano detto, pareva che non fosse la prima volta che qualcuno si faceva male su quella giostra. La spranga di sicurezza non era fissata bene, s'era staccata ed era stata risaldata un milione di volte.

Dovevano averla sistemata anche quella volta, ma evidentemente non avevano fatto un buon lavoro, erano stati superficiali, fregandosene se poi non avrebbe retto al contraccolpo della piombata.

Quando ci si era messo sopra, insieme a Candace, lui se n'era accorto.

Ma come avrebbe potuto immaginare che avrebbero aperto al pubblico qualcosa che potesse rivelarsi così pericoloso? Dovevano essersi dimenticati di metterli in guardia.

Candace aveva scampato il pericolo, ma s'era arrabbiata lo stesso, sosteneva che fosse una cosa inaccettabile e che avrebbero dovuto sporgere una bella denuncia. Non aveva ben capito contro chi volesse sporgerla. Forse esagerava. Lo faceva sempre.

Però non le si potevano dare tutti i torti.

Lui non era un espertissimo, eppure, quando si metteva a costruire qualcosa, c'era sempre Ferb che si premurava di verificare che fossero rispettate le norme di sicurezza.

Si trattava di un punto fondamentale, sul quale non ci si poteva permettere di scherzare.

Raramente avevano omesso questo controllo, e ne avevano pagato le conseguenze. Come quella volta in cui avevano costruito il loro primo razzo spaziale e disgraziatamente avevano finito per incendiare tutto il giardino.

Ma, spesso, è proprio dagli errori che si impara.

E loro non pretendevano di essere infallibili, anzi, avevano senz'altro ancora tantissime cose da imparare, da approfondire, da migliorare.

La piccola Bianca s'era spaventata a morte, quando s'era accorta che stava sanguinando.

Alla vista delle sue candide lacrime innocenti, la reazione che aveva avuto era stata insolita.

Gli s'era come scaldato il cuore, gli era venuta un'improvvisa voglia di rassicurarla.

Sapeva già, sin da quando l'aveva vista per la prima volta, di desiderare disperatamente di poterle mostrare quello che sapeva fare. Voleva piacerle, voleva che gli dicesse che era un tipo forte, voleva che lo ammirasse, voleva che lo guardasse allo stesso modo in cui istintivamente guardava Ferb.

Non si trattava di puro e semplice esibizionismo.

Pur essendo indiscutibilmente fiero delle proprie capacità, non era mai stato il tipo che si vantava troppo. L'orgoglio smetteva di essere una bella cosa, se si lavorava soltanto per esso.

Non si poteva esattamente dire che quella bambina lo avesse ignorato, ma di sicuro non gli aveva dato l'interesse che sentiva di meritare.

Ed era stata colpa di Ferb, che aveva frenato la sua creatività, impedendogli di costruire qualsiasi cosa. Non che ce l'avesse con lui, comprendeva il suo stato d'animo e sapeva benissimo che si trattava di un episodio isolato. Presto o tardi, gli avrebbe proposto lui stesso di fare qualcosa, di questo era assolutamente sicuro, perché sapeva che nemmeno lui era in grado di stare troppo a lungo con le mani in mano.

Eppure, c'era qualcosa lo rendeva impaziente.

La sensazione che provava era di stare sprecando tempo.

Non era più estate, la vacanza sarebbe stata molto corta... ma sarebbe sembrata lunghissima se non si fosse impegnato in qualcosa.

Erano partiti da meno di una settimana e già sentiva la mancanza di qualcuno che gli chiedesse di mostrargli quello che stava facendo.

Aveva bisogno di costruire, di inventare.

E, per reprimere o ingannare quella necessità, aveva cercato di sfogarsi nel disegno. Lui era piuttosto bravo a disegnare.

Ma tutto ciò che era riuscito a scarabocchiare era il progetto per il trampolino elastico. Aveva cercato il disimpegno, quindi non l'aveva fatto seriamente, su un supporto cianografico, ma aveva utilizzato un comunissimo foglio di carta. Nemmeno Candace sembrava essersi insospettita.

Ferb gli aveva già fatto capire quale fosse la sua opinione a riguardo.

Normalmente, non avrebbe mai voluto lavorare a un progetto indipendente, anche perché da solo non ne sarebbe probabilmente stato capace. Adesso, ancora di più rifiutava quell'idea.

Uscì da bravo dallo studio del dentista camminando dietro al signor Godrov e già si aspettava di ritrovarsi di fronte a un corteo di gente preoccupata per la sua sorte.

Rimase un po' deluso nel constatare che l'unico che era venuto a prenderlo era stato suo padre.

Lo salutò allegramente, mostrandogli il dente nuovo quasi con fierezza.

Ma Lawrence gli rivolse una rapida occhiata, giusto per sincerarsi che stesse bene, e subito si dedicò a ringraziare infinitamente il signor Godrov per averlo portato lì, dicendogli che non si sarebbe dovuto disturbare, che gli dispiaceva molto per avergli fatto perdere tempo, che avrebbe dovuto chiamarlo subito così ci avrebbe pensato lui e cose del genere.

Da parte sua, Godrov ribatté che non c'erano stati problemi, che veramente non era stato un disturbo, che sicuramente lui avrebbe fatto la stessa cosa per loro e così via.

Sembrava che non dovessero più smetterla di scambiarsi i convenevoli.

Mentre li osservava in silenzio andare avanti in quel modo all'infinito, sentì una bussata nella spalla. Si voltò e si trovò faccia a faccia con Bianca.

“Sei vivo!” gridò, chiaramente sollevata.

“Sì, sì che lo sono!” fece lui mettendosi a ridere per il modo bizzarro in cui era stato accolto.

“Spero proprio che tu non abbia riportato danni al cervello.” aggiunse Candace spuntando da un angolo.

“Non saprei.” disse Bianca dubbiosamente “La sua testa ha sempre avuto quella forma strana?”

“Oh, ce l'ha così da quando è nato.” rispose Candace in tono noncurante, suscitando una risata silenziosa da parte di Ferb a cui si unì, quasi a darle voce, il ringhio chiocciante di Perry.

Phineas era rimasto piacevolmente sorpreso nel vederli tutti lì.

“Ragazzi!” esclamò contento “Allora vi eravate preoccupati!”

“Abbiamo dovuto farlo.” disse Candace “Quando ti ho raccolto, sembravi più morto che vivo.”

“Sembravi un vampiro, con quel sangue in bocca.” strillò Bianca rabbrividendo al ricordo.

“Non era niente, guardate, è già tutto a posto.” fece lui mostrando loro l'incisivo.

Candace si era messa le mani sui fianchi.

“Bada.” gli disse “Che se ti fossi fatto male a casa, ti avrei già beccato.”

Phineas sorrise con i suoi bianchissimi denti nuovi “A casa non mi sarei fatto male.” dichiarò “Sono quelli del parco a essere degli incompetenti.”

“Pensi di essere più bravo di loro?” lo schernì la ragazza “Di professionisti che costruiscono giostre per mestiere?

“Ci puoi giurare, sorella!” disse in tono convintissimo “Quelle che abbiamo fatto noi sono state le migliori di sempre.”

A quello scambio di battute, Bianca era saltata su, colpita. “Voi avete costruito delle giostre?” chiese.

“Abbiamo costruito un sacco di cose.” confermò, contento di avere finalmente ottenuto la sua attenzione. “Anche le montagne russe, per ben tre volte. E nessuno s'è mai fatto male.”

“...Salvo una sorella trasformata in ornitorinco.” ricordò Candace in tono neutro.

La bambina alzò un sopracciglio, incredula. “Non è vero, mi state prendendo in giro...”

“Ma sì, sì che è vero!” aveva quasi urlato, temendo di aver già perduto il suo interesse “Vero, Candace?” cercò il suo appoggio.

“Come no?” disse la quindicenne “Mi ci ha fatto impazzire per un'estate!”

Bianca la guardò sorniona “Sì... come no.” ripeté scettica.

“Se non ci credi, chiedilo pure a Ferb!” aggiunse Phineas disperato, indicando suo fratello.

Sentendosi nominare, l'inglese si era come irrigidito. Ma annuì con decisione.

Era buffo come, senza nemmeno parlare, fosse stato in grado di convincerla.

Bianca era rimasta a bocca aperta. “Vi prego. Dovete farmelo vedere!” gridò emozionata.

“Che cosa?” fece Phineas confuso.

“Qualunque cosa!” disse lei, aprendo le braccia per sottolineare ciò che diceva “Costruite qualcosa per me?” fece mettendo su una faccia implorante, da cucciolo.

Phineas deglutì. Se fosse stata Isabella a chiederglielo, se fossero stati nel giardino di casa sua, non avrebbe esitato.

Ma lì era vincolato da una promessa.

Si girò verso Ferb, in realtà si era già sentito addosso il suo sguardo.

Lo fissava di rimando, accarezzando lentamente Perry sulla testa. I suoi occhi erano attenti e penetranti, di un blu che sembrava più intenso del solito.

Credette di cogliere un impercettibile segno di intesa nel suo sguardo altrimenti impassibile.

Continuando a guardarlo, si ficcò una mano nella tasca dei jeans e ne tirò fuori il foglietto di carta.

“Ah!” gridò Candace di colpo, facendoli trasalire, puntandovi contro un dito accusatore “Ero sicurissima che stessi tramando qualcosa! Era impensabile credere che non avessi ancora progettato niente...”

“Sì, beh... ” cominciò cautamente, spiegandolo “È un progettino da nulla che ho semplicemente schizzato...”

Bianca glielo scippò di mano e lo ripiegò con un movimento secco delle dita.

“No, non voglio che tu mi dica che cos'è.” rispose al suo sguardo frastornato, mentre un sorriso affettato, da furbetta, le incurvava le labbra all'insù “Sarà una sorpresa!”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note autrice:

Ok... mi rendo conto che questo capitolo è molto corto rispetto agli altri... ho tentato di espanderlo, ma non sono riuscita a trovare nient'altro da inserire, per il momento. Poi il mio computer è impazzito e ha rischiato di cancellarmi metà di quello che avevo scritto... già per essere scampata a questo, mi ritengo fortunata. Spero che vi sia piaciuto lo stesso. Mancano solo un paio di capitoli alla conclusione, spero che mi seguirete fino alla fine.
PS: avete notato che hanno messo l'opzione “inserisci personaggi” nella sezione di Phineas e Ferb? Qualcuno di voi potrebbe dare il voto a Lawrence, così aggiusto le info sulla storia? (Sì, lo so che sono troppo pignola, ma non so resistere a queste cose...)

Chiudo invitando a recensire (se vuole) l'utente Franciesco td che ha messo la storia nei preferiti.

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Capitolo 7
*** busted! ***


Erano impegnati in un lavoro di precisione e di ingegno, che chiunque, a parte forse solo loro due, avrebbe definito duro e faticoso. O, per lo meno, non lo avrebbe definito divertente.

Era come se fossero fuori dal mondo. Erano come due anime gemelle che si completavano, che si capivano sempre alla perfezione. Nella loro intesa, si rendevano superiori al resto dell'umanità.

Era dura credere che tra di loro non ci fosse nessun legame di sangue.

Per lui era quasi assurdo pensare che esisteva realmente chi si faceva pagare per fare le cose che per loro erano puro divertimento.

L'unica cosa che avevano mai chiesto in cambio era un sorriso, un complimento, uno sguardo d'ammirazione.

Qualcuno avrebbe potuto prenderlo per folle se avesse ammesso che riteneva rilassante un'attività come avvitare bulloni, assemblare pezzi con il saldatore o saggiare la resistenza di un gancio.

Eppure sapeva benissimo di non essere pazzo.

Anche se era stato lui a frenare gli entusiasmi di suo fratello, non aveva potuto non notare che tutto ciò gli era mancato.

Era dalla fine dell'estate che non avevano più costruito niente.

C'erano state altre priorità. La scuola, i compiti, la palestra, la vita sociale...

Era inutile negarlo, lui amava impegnarsi, soprattutto se si trattava di un progetto serio.

Soprattutto se lo scopo era far sorridere qualcuno che avrebbe potuto stargli a cuore. Bianca, ma anche qualcun altro.

Stava lavorando in silenzio e in fretta, ma si godeva ogni secondo, in attesa della soddisfazione che avrebbe provato quando la sua nuova sorellina avrebbe visto il frutto dei suoi sforzi.

Aveva già capito che tipo era, una che poteva sembrare zucchero, ma che in realtà era peperoncino. E gli piaceva. Sapeva già quale sarebbe potuta essere la sua reazione.

Essa non tardò ad arrivare e fu la parte migliore, vederla così contenta fu profondamente gratificante.

“È a dir poco fenomenale!” gridò la bambina, estasiata.

In realtà, lui pensava che non fosse niente di speciale, avevano fatto di meglio. Comunque, era stato piacevole farlo e, in più, aveva accontentato Phineas.

“Ma come ci siete riusciti?”

“Magia!” scherzò Phineas tendendole una mano. La fece salire lì con loro sul telone elastico e iniziarono tutti e tre a rimbalzare come delle palle.

Le sue risate gioiose li contagiarono presto, li ripagarono della fatica e dell'attesa, allentarono la tensione che s'era inesorabilmente accumulata in quei giorni.

Gli fecero dimenticare la delusione.

“Ragazzi, avete già finito?” disse Candace mostrandosi stupita, ma non doveva esserlo sul serio.

“Vieni anche tu!” la esortò Phineas, era scosso dalle risa al punto che quasi faticava a parlare.

“Nemmeno per sogno!” gridò la ragazza, trionfante “Non penserai che mi farò sfuggire questa occasione d'oro! Vi ordino di continuare a giocare mentre io vado a chiamare la mamma!”

“Ok!” le gridò dietro Phineas allegramente mentre lei correva via.

“Perché vuole chiamare la vostra mamma?” chiese Bianca candidamente.

“Per farglielo vedere. Magari stavolta ci riesce... ” rispose lui, altrettanto ingenuamente.

“Buona idea!” disse lei. Attraversando la rete di sicurezza, scese dal trampolino con un elegante salto e atterrò senza far rumore sull'erba morbida del prato “Vado a chiamare anche la mia... ” fece l'occhiolino a suo fratello. E anche lei sparì.

Ferb si lasciò cadere a braccia spalancate, frenando bruscamente il rimbalzo. “Oh, sì, che idea meravigliosa...” mormorò a voce bassa, appena percettibile, fissando il cielo sopra di lui.

Phineas gli ricadde accanto. Stava ancora ridendo, non si era accorto del suo improvviso cambiamento d'umore.

“Mamma, devi assolutamente venire a vedere!” urlò Candace continuando a tirare insistentemente la manica di Linda. “Presto! Prima che sparisca!”

L'avrebbe volentieri trascinata di peso, se ne fosse stata capace.

“D'accordo, arrivo!” esclamò esasperata la donna. “Però ti pregherei di non sgualcire il mio maglione, grazie.”

Nello stesso momento, Bianca apriva senza tante cerimonie la porta della camera di Angelica.

“Mamma!” gridò allo stesso modo di Candace “Vieni a vedere cos'hanno fatto Phineas e Ferb! È incredibile!”

“Non ora, piccola, sono molto impegnata, ho un sacco di cose da fare...” protestò Angelica, ma la bambina la strattonò con decisione.

“Andiamo!” gridò imperiosa “Non potrai credere ai tuoi occhi!” esagerò.

Si incrociarono nel vialetto, si scambiarono un'occhiata e corsero fianco a fianco all'inseguimento delle loro figlie.

Candace ghignava in un modo molto enfatico.

“Sua figlia è sempre così nevrotica?” disse Angelica, guardando schifata la quindicenne.

Linda serrò gli occhi. Come si permetteva, quell'antipatica? “Sua figlia non sembra da meno, in questo momento.” ribatté tagliente.

Angelica si zittì, irritata, e continuò a seguire la bambina.

“Ebbene, era questo quello che volevi mostrarmi?” disse Linda quando vide la strana costruzione nel giardino sul retro della casa.

“Sì, sì è questo!” esultò Candace. Non le sembrava vero che fosse ancora lì dove lo aveva lasciato, che non fosse misteriosamente sparito come capitava di solito.

Linda parve molto impressionata. “E cosa sarebbe?”

“Un tappeto elastico!” gridò Phineas rimbalzandole di fronte.

“E lo hai fatto tu?”

“No.” sorrise lui.

Candace lo aveva già guardato storto, pronta a dargli del bugiardo, ma lui cinse la spalla di Ferb con un braccio. “Lo abbiamo fatto insieme!” chiarì.

Linda chiuse con uno scatto la bocca che aveva lasciato aperta. Fissò i suoi figli sconvolta. Poi le sue guance diventarono rosse. “Ma ti potresti fare male! Vuoi spaccarti un altro dente?” disse a voce alta.

“Non c'è questo rischio!” rispose Phineas allegramente, senza immaginare certo di meritarsi un rimprovero “Il telaio è fatto di gomma. Se anche ci sbatti contro non ti puoi fare male perché è morbidissima e assorbe la sagoma del tuo corpo.”

“È geniale, vero?” si intromise Bianca con la sua stessa allegria “Non credi che sia grandioso, mamma?”

Angelica era rimasta immobile, ritta nel suo portamento fiero, e aveva osservato tutta la scena facendo scorrere il suo sguardo gelido tra il trampolino e suo figlio naturale.

Aveva incontrato i suoi grandi occhi e non sapeva come rispondere, anzi si rifiutava di rispondere a una simile espressione, così fastidiosamente carica di attesa.

Schioccò la lingua, in segno di impazienza.

A quel gesto, tutte le membra di Ferb furono attraversate da un brivido.
Già da quando era arrivata, aveva avuto l'impressione che fosse profondamente seccata.
Ma poi vide la sua espressione mutare.
Il fastidio era diventato dapprima incredulità, poi vero disgusto.
Sembrò che si fosse infuriata, senza nessun motivo apparente.

“Non ho tempo per queste sciocchezze.” disse freddamente, stizzita “Non credo di avere mai visto niente di più ridicolo in tutta la mia vita. Che grandissima perdita di tempo!”

Girò con decisione sui tacchi, gli diede le spalle e se ne andò senza dire nient'altro.

Ferb fissò la sua schiena mentre si allontanava e, più o meno nello stesso momento, sentì come una morsa che gli provocò un dolore fisico.
Era come se gli avessero appena dato una coltellata in pieno petto, ma sospettava che una vera coltellata non avrebbe fatto così male.

“Mamma!” aveva gridato Bianca correndole dietro, senza capire il motivo di quella risposta così acida.

Phineas aveva ancora il braccio attorno alla sua spalla.
Glielo afferrò e se lo tolse bruscamente di dosso, per potersi girare e perdere lo sguardo nella direzione delle due figure che fuggivano da lui.

Non era contrariato tanto per il fatto che avesse definito 'ridicola' la sua creazione. Non era per quello che aveva detto. Era stato per il tono con cui l'aveva detto, per l'atteggiamento che aveva assunto, da cui erano traspariti un enorme disprezzo per lui e un rifiuto totale di interessamento a quello che aveva fatto, a quello che lui amava fare.

Glieli aveva sbattuti in faccia senza alcun rimorso.

Quello stupido trampolino che aveva costruito sarebbe potuto essere qualsiasi altra cosa. Sarebbe potuto essere l'attrazione più pericolosa, più scassata e insignificante del mondo. Ma se anche fosse stato fatto male, rappresentava lui, tutta la sua passione, tutto il suo cuore, tutto il suo mondo.

No, costruirlo non era stata per niente una buona idea.

Forse era stato troppo ottimista, sperando che potesse davvero incoraggiare un suo avvicinamento.
Si stava rendendo conto che era assurdo quasi anche solo pensarlo.

Se una persona vuole dimostrarti il suo amore, se vuole farti vedere che ci tiene, farà un passo verso di te, ti verrà incontro.
Lei non ci aveva nemmeno tentato, non s'era neanche sforzata di fingere, non aveva accolto i suoi segnali. E sì che gliene aveva mandati tanti.

Forse non aveva voluto coglierli, per il semplice fatto che, in realtà, non aveva mai provato nemmeno un briciolo di amore per lui.
Lo aveva riservato tutto per Bianca. E per i bei soldoni del signor Godrov, per la sua villa, per la sua macchinona, per la bella vita che le aveva offerto.
Realizzò ciò che già sapeva, che lei viveva in un mondo completamente separato dal suo. E che a lui non avrebbe mai tenuto.

Ma allora perché si trovava lì?
Perché lo aveva fatto venire?
Perché gli aveva promesso una chimera, una cosa che non avrebbe mai potuto dargli?

“...Sto parlando anche con te, se non l'hai capito!”

Ferb si voltò. “Eh?” fece.

“Non mi ascolti?” riprese Linda severamente “Scendi dalle nuvole. Voi due siete in punizione!”

“Ma perché?” protestò Phineas debolmente “Non abbiamo fatto niente di male! Era solo un gioco!”

“Non mi interessa, non sono giochi da farsi alla vostra età. Non credete di essere un po' troppo giovani per queste cose?”

“No, non lo siamo!” rispose Phineas.

Candace stava improvvisando un balletto. “Vi ho beccati!” canticchiava.

La fissò quasi stravolto.

Possibile che nessuno di loro si fosse reso conto di quello che stava passando?

Ah, già, lui era quello che non mostrava mai i suoi sentimenti.

Guardò Linda negli occhi.

“Hai perfettamente ragione a preoccuparti.” disse nel tono più calmo che poteva “Noi però siamo molto più responsabili di quanto tu immagini. Se credi di doverci punire, noi lo accetteremo. Perché sappiamo che lo fai unicamente per il nostro bene. È quello che ci aspettiamo da nostra madre...”

Si zittì, improvvisamente sconvolto. Perché, nell'ultima parola che aveva pronunciato, la voce gli aveva tremato, non era proprio riuscito a impedirselo.

Perché diavolo non aveva parlato sinteticamente, come faceva sempre? Era molto più facile nascondersi dietro una frase breve.

Linda se n'era accorta.

Bastò questo per farle dimenticare all'istante la sua rabbia.

“Ferb...” iniziò in tono grave.

“No, per favore!” gemette lui. Era ridicola la velocità con la quale la sua voce si stava irrimediabilmente rompendo. Adesso non sarebbe più riuscito a dire niente di sensato.

Sentiva le lacrime che tanto a lungo aveva represso salirgli agli occhi.

Ma non poteva piangere. Non davanti a loro.

Doveva trattenerle, ingoiarle, ricacciarle indietro.

Era quello che aveva sempre fatto.

Ma forse, adesso aveva un motivo valido per smettere di farlo.

Linda si inginocchiò, scendendo fino ad arrivare a guardarlo all'altezza dei suoi occhi spauriti e gli mise le calde mani sulle spalle. Aveva capito tutto quello che gli frullava nella testa, ma non provava semplicemente pena per lui.

“Tesoro, va tutto bene.” disse “Non importa se lei non c'è. Ci sono io.” e lo abbracciò forte.

Non aveva detto niente di originale, niente di toccante.

Eppure non resse nemmeno per cinque secondi.

Si rilassò tra le sue braccia e tolse ogni freno alla propria più atroce e odiata inibizione.

Si era sciolto in un terribile pianto che era disperato e liberatorio, ma non inconsolabile.

Forse, aveva cercato di ottenere qualcosa che, dopotutto, aveva sempre avuto. E che avrebbe dovuto apprezzare di più.

Un fantasma opprimente che aleggiava su di lui fin da quando riusciva a ricordare se ne andò via, scorrendo insieme alle lacrime.

E il vuoto che lasciò si riempì istantaneamente di qualcos'altro.

Phineas si girò confuso verso sua sorella, quella scena per lui doveva sembrare incomprensibile.

Candace aveva già smesso di ballare da un pezzo. Si era sentita una vera carogna per averlo fatto. Ancora una volta, le sue ossessioni erano state più grandi di lei.

Si gettò in ginocchio accanto a Linda.

“Mamma!” gridò stupendosi di se stessa “Non punire i ragazzi! Non hanno mai avuto cattive intenzioni!”

“Ma certo che non li punisco.” la rassicurò la madre.

Ferb si volse a guardare la sua sorellastra, anche se aveva la vista offuscata dalle lacrime che tracimavano dalle sue ciglia.

Aprirono l'abbraccio anche a lei.

Candace ci si infilò trascinando con sé anche Phineas, che ancora non aveva capito nulla di ciò che stava accadendo, ma gradì ugualmente.
 

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Capitolo 8
*** unforgiven ***


Phineas guardava la fotografia di suo padre.

Era terribile da pensare, ma si sentiva fortunato per non averlo mai conosciuto.

Era arrivato a quella conclusione seguendo un semplice ragionamento, per il quale se una persona può rendersi capace di abbandonare le persone che ama e, soprattutto, se non fa mai niente per rimediare, probabilmente non merita nemmeno il perdono.

Lo aveva imparato di riflesso dall'esperienza di suo fratello, nel giorno delle nozze della sua madre biologica.

Linda gli aveva proposto di tornare a casa prima, ma lui aveva insistito perché restassero fino all'ultimo giorno.

Non aveva capito il motivo per cui, nonostante ciò che quella donna gli aveva fatto subire, avesse scelto di assistere alla cerimonia.

Forse, ed era probabile, lo aveva fatto unicamente per non deludere Bianca. L'unica che veramente lo voleva lì.

Angelica sembrava felice nel suo abito bianco con lo scollo vertiginoso e la gonna vaporosa dal lungo strascico. Il velo che portava in testa doveva misurare almeno una decina di metri e il trucco che aveva in viso era perfetto, doveva essere stato steso da un professionista da cinema. La faceva sembrare davvero molto bella.

Ma si trattava di una menzogna bella e buona che nessuno avrebbe mai avuto il coraggio di sbugiardare.

Bianca le faceva da piccola damigella e aveva tenuto l'estremità del velo più in alto che poteva, mentre lei avanzava con fierezza lungo la navata della chiesa, senza guardare in faccia nessuno.

La bambina indossava un vestitino in taffetà color glicine con la gonna corta che le lasciava praticamente nude le gambette tornite. I suoi capelli biondo-verde erano raccolti in un'acconciatura elegante ma sbarazzina, con dei nastrini viola che creavano un contrasto vivace di tinte.

Era più bella di sua madre. Eppure, sembrava a disagio.

Quando gli era passata di fianco, Phineas aveva notato che era rossa in viso, come se si vergognasse.

Allora le aveva rivolto un sorriso luminoso, incoraggiante, e lei gli aveva risposto a propria volta con un abbozzo di sorriso, soffermandosi per mezzo secondo, ma la sposa non aveva gradito quella seppur brevissima pausa e aveva tirato in avanti, costringendo la bambina a seguirla.

Lì, si era sorpreso a provare una punta di delusione, ma si era subito distratto.

Ferb, che era accanto a lui, gli aveva improvvisamente afferrato la mano e gliela stritolava, come se si fosse spaventato e cercasse conforto.

Sorpreso, si era girato a guardarlo, senza capire, aveva seguito il suo sguardo fisso e aveva fatto appena in tempo a incontrare l'occhiataccia inceneritrice di Angelica, la quale si voltava di nuovo, in fretta, in quell'istante. Come se non volesse ammettere che li aveva guardati.

La cosa non si era più ripetuta.

Ferb aveva assunto un'aria colpevole e frustrata, ma non aveva accennato a lasciare la sua mano, anche se non la strinse più come prima.

Certo, a lui non dispiaceva, gliela avrebbe tenuta anche per tutta la giornata, se fosse servito a farlo sentire meglio.

Poi l'aveva fatta scivolare sulle sue spalle e lo aveva stretto forte a sé, ma continuava a pensare che non sarebbe bastato.

Non si meritava tutto quell'odio, ma non sapeva in quale altra maniera aiutarlo.

La sala del rinfresco era arredata secondo un certo gusto, in un trionfo di calle e di narcisi che rendevano l'aria fin troppo profumata. Dovevano però aver spruzzato nell'aria qualche altra essenza, perché entrando, era stato colto da un lieve giramento di testa, causato da quell'effluvio così dannatamente intenso, ma aveva resistito.

Pareva che Angelica non avesse badato a spese, Phineas non aveva mai visto una torta nuziale alta e maestosa come quella che troneggiava al centro della tavolata, quasi volesse, da sola, adombrare il resto del cibo, che comunque era raffinato, abbondante e delizioso. Una miriade di gusti esotici, speziati e ricercati.

Di certo, significava che se lo poteva permettere, ma le quantità gli erano sembrate molto spropositate, sicuramente ce ne sarebbe stato un grande spreco.

Gli sposi di zucchero sulla cima della torta sfioravano il soffitto.

“La nostra torta non era così alta.” aveva osservato a bassa voce suo papà quando l'aveva vista.

Phineas non aveva capito bene a quale si stesse riferendo.

Ricordava vagamente il matrimonio dei suoi genitori, era molto piccolo, allora, e alle dimensioni non aveva nemmeno fatto caso.

Era sembrato che Lawrence stesse per aggiungere qualcos'altro, come per esprimere quanto ne fosse rimasto intimorito, ma sua moglie lo aveva fulminato con uno sguardo seccato e lui aveva saggiamente deciso di tenere per sé il resto dei commenti.

Naturalmente c'era un tavolo riservato per loro, ma era stato posto in un angolo, decisamente distante da quello degli sposi. Un'ennesima prova del fatto che non erano trattati realmente come degli ospiti, ma solo come dei tappabuchi.

Bianca era venuta a trovarli lì, si era addirittura portata il piatto e la sedia e si era seduta accanto a suo padre, di fronte a suo fratello. Con la sua presenza inaspettata, era stata una cena piacevole e il tempo era passato allegramente.

Gli era stato perfino permesso di bere dello champagne, non lo aveva mai assaggiato prima e non lo trovava nemmeno tanto buono, ma lo sorseggiava ugualmente perché gli piaceva che le bollicine gli facessero pizzicare il naso.

Il vero motivo della scelta di Ferb, di continuare a seguire quella farsa, gli fu chiaro alla fine della giornata, quando lo vide andare a passo deciso da Angelica, la quale era intenta a controllare l'etichetta posta sui regali di nozze che gli invitati le avevano lasciato, come se si volesse accertare della loro qualità.

Si era nascosto sotto uno dei tavoli, stavolta con la ferma intenzione di origliare.

Quando Ferb le si era avvicinato, l'aveva vista rabbrividire, disturbata. Era stata una reazione così evidente che gli era venuta un'improvvisa e stranissima voglia di buttarle addosso il resto dello champagne che aveva nel bicchiere che teneva ancora in mano.

“Congratulazioni.” aveva detto Ferb facendo finta di non averla notata “per essere diventata la signora Godrov. La ricchissima signora Godrov.” aveva precisato.

Lei era saltata su subito, offesa “Che cosa stai insinuando, pidocchio?” aveva sibilato.

Non doveva essere quello che si era aspettata che le dicesse.

Ferb aveva ignorato la sua domanda “Sai, è da quando sono nato che voglio dirti qualcosa. Non sapevo cosa, ma adesso che ho visto come sei, l'ho capito.”

Phineas aveva sobbalzato, non aveva mai sentito Ferb usare quel tono, doveva essere seriamente arrabbiato.

“E sei venuto a dirmela alla fine della festa per non rovinarmela? Oh, ma che gentilezza.” aveva detto lei sarcasticamente, era più fredda di un iceberg.

Ferb sembrò accusare il colpo, ma nelle iridi blu scuro dei suoi occhi c'era una fiamma strana, incerta e tremolante ma vivida, risoluta, che Phineas non aveva mai visto prima.

“Io non ti biasimo perché non mi ami.” continuò il piccolo inglese, che sembrava soffrire, sembrava schiacciato dal peso delle proprie parole “Ti auguro tutto il bene possibile. E spero veramente che questa tua specie di apatia nei miei confronti continui per sempre. Perché un giorno potresti svegliarti dal tuo mondo perfetto e accorgerti di quello che hai lasciato... Ma se quel giorno verrà, non potrai aspettarti più niente da me.” concluse.

All'inizio, sul volto di Angelica c'era solo fastidio. Ma pian piano si era trasformato in rabbia e poi in disagio.

Ebbe come uno scuotimento “Quel giorno non verrà mai.” disse, anche se fu chiaro che quella prospettiva avrebbe potuto preoccuparla.

Ma ormai, quello era un conto che Ferb aveva definitivamente chiuso.

Lo vide darle le spalle e seppe per certo che non si sarebbe mai più voltato.

Aveva lasciato a terra il bicchiere di cristallo ormai vuoto, era sgattaiolato via dal suo nascondiglio e lo aveva raggiunto.

Lui lo aveva guardato, sorpreso di trovarlo lì, e aveva capito che aveva visto tutto.

Per fortuna, non sembrava che se la fosse presa.

Gli aveva messo una mano sulla spalla, come prima aveva fatto lui, e senza che nessuno dei due dicesse una parola, se n'erano andati via insieme.

Ferb aveva chiesto a Linda di andar via ed era stato accontentato.

Non ce l'avrebbe proprio fatta ad assistere al resto del ricevimento, anche se oramai mancava pochissimo alla chiusura.

Erano tornati a Danville la sera dopo.

Bianca avrebbe voluto accompagnarli all'aeroporto, ma Angelica si era opposta in tutti i modi.

La bambina si era gettata tra le braccia di suo fratello e aveva iniziato a strepitare che non voleva lasciarlo, sembrava inconsolabile. Era incredibile che gli si fosse legata così tanto in così poco tempo.

Lui le aveva sussurrato qualcosa nell'orecchio e l'aveva fatta sorridere. Non avrebbe mai saputo come diavolo ci fosse riuscito.

“Ti scriverò ogni giorno.” gli aveva promesso lei, con gli occhietti castani che le brillavano.

Poi era venuta da lui e gli aveva dato, a sorpresa, un tenerissimo bacio sulla guancia.

“Grazie per aver fatto da fratello a mio fratello.” disse, ridacchiando per la ripetizione che aveva fatto “Voi due avete un grande talento, devi promettermi che continuerai a fargli creare quelle cose strabilianti, che non la smetterete mai.”

“Puoi scommettere che lo farò.” aveva risposto ridendo.

Sull'aereo, Candace e Ferb si erano addormentati appoggiati l'uno contro l'altra. Non glielo aveva mai visto fare prima.

Ma lui non era riuscito a dormire, si sentiva inspiegabilmente agitato.

Appena arrivato a casa, la prima cosa che aveva fatto, ancora prima di disfare la valigia, era stata prendere il libro e tirar fuori la fotografia dalle pagine.

La guardava e rifletteva.

Forse suo padre era uguale alla madre di Ferb, forse tutti quelli che abbandonano i figli poi non sanno più come amarli...

“Perché hai quella foto?”

La voce di Candace lo fece trasalire. Credeva di essere solo.

“Dove l'hai presa?”

“Non è la tua!” gridò nascondendosela dietro la schiena, temendo che gliela volesse togliere. “È la mia. La tua è ancora al suo posto.”

“Che ne sai tu di dov'è la mia? Sei entrato nella mia stanza?”

Lui si rese conto che ciò che aveva detto equivaleva a un'ammissione di colpa.

Fece: “Ops!” e si precipitò fuori dalla porta per sfuggire all'imminente ira di sua sorella.

“Aspetta!” Candace lo inseguì mentre correva giù per le scale e raggiungeva il salotto.

C'era Ferb lì in mezzo, girato di spalle. Non lo vide finché non ci andò a sbattere contro.

L'urto li buttò entrambi a terra.

Si rialzarono un po' doloranti.

La foto gli era sfuggita di mano ed era finita sotto il divano. Fece per tuffarsi a prenderla, ma Ferb si chinò, allungò un braccio e la raccolse prima di lui.

Candace piombò su di loro “Ti ho preso!” disse, afferrandolo per un polso “Adesso mi dici tutto.”

“Non arrabbiarti!” la implorò “Volevo soltanto vedere la sua faccia.”

La ragazza lo lasciò andare subito “Non sono arrabbiata.” disse. Sembrò addolcirsi. “Il tuo è un desiderio legittimo. Se volevi sapere qualcosa di lui, avresti potuto chiedermelo.”

“Davvero? Posso farlo ora?” le chiese timidamente.

Ferb gli riconsegnò la foto. Sembrava imbarazzato.

“Eccoti qua, Perry.” disse, individuando come un radar il piccolo monotremo in un angolo. Lo andò a prendere e se lo portò via in un'altra stanza. Aveva capito che in quel momento sarebbe stato meglio lasciarli da soli, perché avevano una cosa importante di cui discutere.

“Vieni.” sospirò Candace. Lo prese per mano e lo condusse di sopra, dentro la sua camera. Non lo aveva forse mai invitato là dentro.

Si sedettero sul letto. Lei tirò via il cuscino e prese la sua foto, come se volesse assicurarsi che fosse ancora lì al suo posto, come aveva detto Phineas.

“Allora... cosa vuoi sapere?”

“Non saprei. Forse ho paura a chiedere.” ammise lui.

“So cosa vuoi dire. Dopo aver visto la madre di Ferb, temi che potesse essere come lei, vero?”

Phineas alzò gli occhi, sorpreso che avesse intuito così bene il suo pensiero.

“Sì.” disse.

La ragazza si alzò e andò alla sua scrivania. Tirò fuori da un cassetto quello che sembrava un foglio di carta ripiegato varie volte.

“Su questo posso rassicurarti.” cominciò “Nostro padre non era come quel mostro di donna che abbiamo visto là. Lui ci voleva bene. Tantissimo.”

“Allora perché se ne è andato?” Phineas non aveva idea di volerne conoscere veramente la ragione, lo stava realizzando in quel momento. Senza darle il tempo di rispondere, le chiese quello che temeva veramente. “È stato per colpa mia?”

“Colpa tua?” ripeté Candace con un'aria scandalizzata. “No! Perché lo pensi?”

“Secondo te?” disse lui accompagnando quelle parole con un gesto molto teatrale ed eloquente “Insomma, devo credere che sia stato un caso che se ne sia andato proprio quando sono nato io? Magari lo ha fatto perché non mi voleva. Magari non ha accettato la mia presenza. Magari avrebbe preferito avere soltanto una figlia perché... per me non c'era abbastanza amore.”

“No, no e no!” esclamò Candace, a voce così alta da farlo sobbalzare. “Non pensarle nemmeno queste cose! Tu non c'entri, Phin, qui la situazione è completamente diversa.”

“Allora dimmelo tu quello che è successo.” riprese il bambino debolmente. Voleva capire, voleva sapere, anche se temeva di scoprire qualcosa che non gli sarebbe piaciuto “Dimmelo tu perché se ne è andato.”

“Per una ragione valida.” riprese lei, sedendosi di nuovo. “Questa foto non è l'unica cosa che ho tenuto di lui e non ce l'ho per caso. Me l'ha mandata lui... insieme a questa.”

Gli mostrò il foglio, era una lettera.

“Ti scriveva?” chiese, sorpreso “Non me lo hai detto.”

“Lo ha fatto una sola volta. Per spiegarmi, perché non lo odiassi.” sospirò di nuovo e fece una breve pausa. Sembrava che non fosse facile parlarne. Eppure, avrebbe dovuto essere tutto molto naturale.

“Phineas, nostro padre non voleva andarsene. È stata la mamma a cacciarlo di casa.”

Phineas sgranò gli occhi “Cosa?” sussurrò “Perché?”.

“Poco prima che tu nascessi, lui si innamorò di un'altra donna.”

“Cos'ha fatto?” quasi gridò Phineas “In quale mondo si potrebbe preferire un'altra donna alla nostra mamma?!”

Per lui era inconcepibile. Solo dopo si rese conto di quello che aveva detto.

“Aveva perso la testa!” disse Candace “Dovresti sapere che l'amore può portarci a compiere dei gesti assurdi... Potrebbe portarci a costruire un trampolino dopo che ci siamo scheggiati un dente...”

Phineas si sentì arrossire, ma tenne la testa bassa, sperando che non la notasse.

“Se quello era amore, cos'era quello che c'era con la mamma?”

“Era sempre amore. Può succedere che ci si innamori di due persone nello stesso tempo. Questo, però, mamma non lo accettò. Non riuscì a perdonarglielo, non riusciva più a stare insieme a lui. Il loro matrimonio non poteva più funzionare.”

Phineas si sentì come stordito, aveva avuto un lampo nella mente in cui aveva rivisto una giovane Linda che si truccava con rabbia di fronte a uno specchio e imprecava a bassa voce perché le lacrime le scioglievano in continuazione il mascara. Era stato in quel modo che aveva imparato le parolacce, salvo prendersi due sberle se si fosse azzardato a ripeterle.

“Aveva tutte le ragioni per essere arrabbiata!”

“Lo penso anch'io. Ma... non è stata colpa sua se si era innamorato.”

Phineas cercò di riflettere, ma si arrese subito “No, non lo capisco...”

“Forse sei troppo piccolo.” commentò Candace “Lo capirai meglio quando sarai più grande.”

Phineas sbuffò, odiava quando qualcuno metteva esplicitamente in dubbio la sua capacità di comprensione.

“E poi cos'è successo?”

“Andò a stare in un'altra città. La mamma lo voleva escludere completamente dalla nostra vita, ce l'aveva a morte con lui. Poi però, dopo un certo periodo, lui tornò e la implorò di permettergli di vederci. Lei si lasciò convincere, ma acconsentì solo per me, perché mi riteneva già abbastanza grande. ”

“Mamma non voleva che io lo incontrassi?”

“Avevi solo quattro anni!” esclamò Candace “Eri troppo piccolo, papà e Ferb già praticamente vivevano con noi. Non voleva confonderti.”

“E lo incontrasti?”

Candace scosse lentamente la testa.

“Ci eravamo accordati perché mi venisse a prendere, così potevamo passare una giornata insieme. Ero molto impaziente... ma lui non si presentò mai all'appuntamento.”

Phineas aggrottò le sopracciglia “Perché?”

“Ti ricordi di Bucky, il cane che avevamo prima di prendere Perry?”

Phineas annuì, confuso “Vagamente. Mamma lo ha portato a vivere nella fattoria del vecchio signor Simmons... Ma che c'entra?”

“Ci fu un incidente. Era scappato dal giardino, s'era messo in mezzo alla strada. Nostro padre stava venendo a prendermi ed era in macchina. Non so bene come fu la dinamica, ho capito solo che se lo vide addosso e sterzò per cercare di evitarlo... Era inverno e quella notte era nevicato. L'asfalto doveva essere bagnato, scivoloso...” La voce di Candace si era incrinata.

Phineas la fissò, spaventato per ciò che sarebbe arrivato dopo.

Ma voleva che finisse di raccontare.

“L'auto sbandò... e si andò a schiantare contro un muro. Successe tutto a distanza di soli tre isolati da casa nostra. Cercarono di salvarlo, ma l'urto... gli aveva spezzato il collo.”

Phineas si accorse di aver trattenuto il respiro. Lo tirò lentamente.

“È stato così che è morto?” chiese.

“Sì.” rispose semplicemente Candace.

In un modo così idiota?

“Ok...” fece, aveva chiuso gli occhi, sforzandosi di assimilare la scoperta “Questo è sconvolgente.” li riaprì di scatto “Quando avevi intenzione di parlarmene?”

“Non sapevo se spettasse a me dirtelo, io e mamma abbiamo sempre evitato il discorso, perché... volevamo proteggerti.”

“Proteggermi?” ripeté, incredulo. Si tirò in piedi sul letto, la sua voce si era alzata più del normale. “Da che cosa? Dalla verità? Non volevate che sapessi che mi aveva voluto bene? Preferivate che pensassi che non mi voleva? Che fosse come la mamma di Ferb?

“No, non volevamo questo. Siediti.” disse Candace prendendolo per le spalle e costringendolo ad abbassarsi di nuovo “Non volevamo che soffrissi come ho fatto io. Eri troppo piccolo per capirlo. Lo avresti odiato.”

Phineas la rivide, bambina, mentre piangeva sconsolata nel suo letto, abbracciata a un peluche. Aveva pensato che fosse perché non riusciva ad accettare Lawrence nella sua vita, ma ora capì il vero motivo. Aveva appena perso il suo vero padre.

Si calmò, si lasciò cadere in ginocchio.

“Mi dispiace di non avertene mai parlato. Probabilmente avrebbe dovuto farlo la mamma, ma per lei è così difficile.”

Phineas deglutì a vuoto. “Lo capisco.” disse.

Si sentiva come se la sua testa stesse per fondere. Troppe rivelazioni, tutte in una volta.

Appoggiò la testa sul fianco di Candace e lei gli accarezzò i capelli, pensosa.

“Devi solo capire che se è sparito completamente dalla nostra vita non è stato per colpa sua. Era una brava persona che ha fatto un errore. Ci amava... Se ne avesse avuto la possibilità ti avrebbe incontrato.”

“Avrei voluto conoscerlo.” sussurrò lui.

“Anch'io...” convenne Candace.

Rimasero qualche secondo in silenzio.

“Però il nostro papà è un valido sostituto, no?” fece poi la ragazza con una punta improvvisa di allegria.

Phineas la guardò “Sì che lo è.” sussurrò lasciandosi contagiare dal suo sorriso.

Ci fu un altro breve silenzio.

“Pensi che lui sarebbe contento di noi due?” chiese ancora, dopo un po'.

Candace aveva perso per un momento lo sguardo nel vuoto. Poi si mise a ridere.

“Beh, di me sarebbe fiero. Dopo averci tanto provato, alla fine ti ho beccato.” iniziò a punzecchiarlo con un dito, che lui allontanò infastidito, ma poi si mise a ridere con lei.

“Oh, credimi. Non solo per questo.” disse “Sei una brava sorella.”

Lo pensava sinceramente, ma Candace sembrava non essere dello stesso parere.

“Come fai a sembrare sempre così innocente?” gli chiese.

“Che vuol dire?” fece lui, confuso da quella domanda.

“Ecco, appunto...” La vide alzare bonariamente gli occhi al cielo “No, niente, lascia stare...” esitò “Comunque, grazie. Neanche tu sei poi così male, come fratello, dopotutto.”

Non era esattamente entusiasta di quel 'dopotutto', ma probabilmente quello era il massimo complimento che poteva aspettarsi da lei. Ma lo fece sorridere lo stesso.

Strinse affettuosamente il suo corpo magrissimo.

La sentì sbuffare, ma non lo respinse.

Almeno, non subito.

“Ok, fratellino, adesso basta fare gli sdolcinati! Vai fuori dalla mia camera!” sbottò improvvisamente.

Lo tirò giù dal letto e lo spinse via.

Ma lui sapeva benissimo che non doveva prenderla sul serio.

“Grazie per avermi detto di nostro padre.” le disse prima di andarsene, senza aspettare risposta.

Tornò nella sua stanza e vide il libro che aveva lasciato aperto sul suo letto.

Con un gesto automatico, allungò un braccio per rimettere la fotografia al suo posto.

Ma poi, a metà operazione, si fermò.

Perché la stava nascondendo? E a chi?

La guardò di nuovo, scrutò l'immagine di suo padre cercandovi qualche tratto che potesse riportare a lui, qualcosa in cui avrebbe potuto rivedere se stesso.

Era come se lo vedesse sotto un'altra luce, come se qualcuno avesse compiuto un miracolo, facendo in modo di avvicinarlo a lui, dall'Aldilà.

Credette di scorgere un guizzo di vita animare i suoi occhi.

Pensò che non sarebbe stata per niente male, incorniciata sul suo comodino.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolo autrice:

Vaaa bene, ragazzi. La storia è finita, spero di non aver deluso nessuno, ma come dico sempre, giudicate voi.
Grazie a tutti quelli che hanno letto e commentato, in particolar modo ringrazio il nuovo recensore cleliaduemilauno che ha messo questa e la precedente storia nei preferiti. Mi siete stati davvero di sostegno, anche se non ci crederete. Se volete, ricordatevi che siete ancora SEMPRE in tempo per dirmi cosa ne pensate, anche voi che non avete mai lasciato mezza recensione o voi che ne avete lasciata una sola.
Ricordiamoci che questa storia non è stata scritta a scopo di lucro e che tutti i personaggi ivi presentati (con l'unica eccezione di Angelica, di Bianca, di Michael Godrov e del papà di Phineas al-quale-non-ho-mai-trovato-un-nome) appartengono alla Disney. Già che ci siamo, aggiungiamo pure che: Qualsiasi riferimento a fatti o persone è puramente casuale. E siamo a posto.
Un saluto da Bulmasanzo

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