Love Is A Ruthless Game

di Aletheia229
(/viewuser.php?uid=252722)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Begin Again ***
Capitolo 3: *** Once Upon A December ***
Capitolo 4: *** Coming Home ***
Capitolo 5: *** Haunted (parte I) ***
Capitolo 6: *** Haunted (parte II) ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

Disclaimer: Nulla mi appartiene. Once Upon A Time appartiene a ABC mentre Peter Pan e tutto ciò che è collegato a esso appartiene a J.M.Barrie.


No one knows how you fell

No one there you'd like to see

The day was dark and full of pain


Odiava gli ascensori. Odiava il silenzio e la sensazione d’essere sempre osservata. Ogni volta che entrava in uno di quegli aggeggi aveva l’impressione che l’attenzione generale fosse indirizzata su di lei: neanche gli fosse cresciuta un'altra testa!

Odiava vedersi sempre in prima pagina, odiava tutti i rumor sul suo conto.

Odiava i bisbigli che la circondavano ed odiava le occhiate che le erano rivolte.

Odiava essere passata da “ragazza prodigio” a “ragazza miracolo”.

Odiava essere additata ogni volta che usciva per strada.

Odiava dover mantenere quel sorriso falso ventiquattro ore su ventiquattro, mentre dentro di lei stava urlando.

Odiava dover essere forte per amore di suo padre mentre tutto ciò che desiderava era sfogarsi, almeno per una volta.

Odiava se stessa per non essere riuscita a ricominciare, a lasciarsi il passato alle spalle.

Ma soprattutto odiava il fatto che nulla fosse cambiato mentre invece era cambiato tutto.


Per fortuna suo padre aveva avuto la brillante idea d’inserire un ascensore privato nella loro nuova casa. Beh, più che casa sembrava un quartier generale con tutti quei laboratori.

Quando le porte si aprirono Katherine si ritrovò a faccia con la novità più irritante: Abigail Stewart, la nuova compagna di suo padre.

<< Katherine >>

<< Abigail >>

Adorava metterla in soggezione. Quella donna faceva di tutto pur di accapparrarsi il suo favore: dal coprirla con suo padre al farle trovare il pranzo nel suo ufficio.

C’era un solo piccolissimo dettaglio che non sopportava: cercava di sostituire sua madre.

E se c’era una cosa che Katherine non aveva mai sopportato era un presenza femminile estranea nella sua vita. Si era sempre rifiutata di avere un medico donna, una parrucchiera donna, una cuoca donna, una donna delle pulizie ed altre donne intorno. Semplicemente riteneva che quei ruoli dovessero venire ricoperti da una persona soltanto: sua madre.

Non l’aveva mai conosciuta e sapeva che molto probabilmente l’aveva abbandonata davanti alla casa di suo padre per non doversi occupare di lei eppure non poteva fare a meno di voler bene a quella donna senza volto.

Aveva provato ad odiarla, con tutte le sue forze, ma non c’era mai riuscita.

Immaginava il suo sorriso, a quanto dovesse essere stato dolce, e i suoi occhi, diversi dai suoi. Immaginava come sarebbe stato averla nella sua vita, avere qualcuno con cui confidarsi, che sarebbe stato sempre presente e che l’avrebbe rassicurata che non era pazza. Che era davvero stata a Neverland e che tutto era reale. Che Killian era reale.

Infondo era stato il suo fermaglio a farla addormentare.

E guarda caso, l’ultima conversazione che aveva avuto con suo padre era stata appunto su di lei.




Londra, nove anni fa

La casa era piena di scatoloni. Ancora non riusciva a credere che stavano per trasferirsi. Di nuovo.

Ormai abitavano a Londra da anni, sei per la precisione. Passare dalla soleggiata Malibù alla piovigginosa capitale londinese era stato un trauma.

Suo padre aveva ritenuto fosse la scelta più saggia. All’epoca non era più una bambina e presto sarebbe diventata il bersaglio preferito dei giornalisti. Aveva sperato di evitarle tale tortura portandola all’estero.

Ma dopo tutto quel tempo aveva incominciato a sentire la mancanza della sua terra natia e quindi eccoli lì ad impacchettare tutto per poi partire verso la Grande Mela.

<< Che cosa manca? >> chiese Katherine a suo padre a colazione.

<< Il mio laboratorio e… la mansarda >> le rispose, l’ultima parte con voce titubante

<< Perfetto tu ti occupi del laboratorio ed io della mansarda >>

<< Non penso sia una buona idea >> la contraddì

<< E perché? >>

Lui respirò a fondo prima di risponderle << Alcuni degli oggetti, ecco, appartenevano a… tua madre >>.

Katherine chiuse gli occhi cercando di scacciare l’ondata di dolore che minacciava di travolgerla ogni volta che veniva menzionata la donna che l’aveva data alla luce. Dopo vent’anni non riusciva ancora ad accettare che l’avesse abbandonata. Era come se una parte di lei fosse convinta che da qualche parte anche sua madre si sentisse sola e sperduta come lei.

<< Parlami di lei >>

<< Katherine… >> incominciò suo padre ma lo interruppe << Ti prego >>.

<< Era una donna fantastica. Le assomigli molto, sai. Stesso colore di capelli, stessi lineamenti, stesso portamento. Avete anche la stessa espressione fiera. L’unica differenza sono gli occhi, quelli li hai presi da me.

<< Rivedo molto di lei in te. Avete la stessa bontà d’animo, la stessa gentilezza e la stessa comprensione verso gli altri. Purtroppo hai preso anche la sua testardaggine >>

<< Da che pulpito arrivano certe frasi >> scherzò lei.

<< Molto divertente. Vuoi che ti parli di lei sì o no? >>

Katherine fece segno di cucirsi le labbra.

<< Bene. Aveva un modo di rapportarsi con gli altri molto…particolare. Le piaceva avere il controllo su tutto, come qualcuno di mia conoscenza –questa frase gli procurò una linguaccia da parte della figlia-, ed odiava mostrarsi debole. All’apparenza era una donna forte ma in realtà era un uccellino in gabbia. Proprio come te. Delle volte ho paura di rivedere la sua sofferenza riflessa nei tuoi occhi >>.


New York City, presente

<< Se stai cercando tuo padre è nel suo laboratorio >> disse Abigail, capendo il motivo della sua visita.

<< Ti ringrazio >>

Aveva incominciato a dirigersi verso le scale che portavano al laboratorio di suo padre quando fu fermata sui suoi passi dalla voce della sua “futura matrigna”.

<< Katherine, io… >>

<< Abigail, non devi preoccuparti di me. Tu rendi mio padre felice. E se lui è felice, anch’io sono felice >> le rispose prima di lasciarsela alle spalle.

Era vero, non sopportava l’idea della sua presenza costante nella sua vita me non era così egoista da negare a suo padre la felicità che gli era mancata per vent’anni, o forse più.

Lui si era dedicato completamente a lei. Certo, non era un padre modello ma aveva sempre cercato di fare il massimo.


Quando gli era stata affidata era poco più che maggiorenne. Fino a quel momento la sua vita era incentrata esclusivamente sullo studio, spinto dalla voglia di rendere fiero quel colosso di suo padre, e all’improvviso si ritrovava con una neonata tra capo e collo.

Poi, con la morte dei suoi genitori, anche il peso dell’azienda era caduto sulle sue spalle e lui si era lasciato andare, passando il suo tempo tra alcol e donne.

Solo quando la possibilità di perdere Katherine gli era stata sbattuta davanti agli occhi aveva deciso di darsi una regolata. Per amore di sua figlia.

Ma questo non cambiava il fatto che dovesse occuparsi di una bambina piccola e di una compagnia da milioni di dollari nello stesso tempo.

Cercava di esserci il più possibile ma tra riunioni, progetti da presentare, concorrenza con altre società, viaggi internazionali ed eventi mondani il tempo era poco.

Per questo aveva deciso di inviare Katherine in un collegio privato a Parigi. Non voleva sbarazzarsi di lei, anzi, voleva darle la possibilità di una vita più felice, senza stress.

Infondo aveva solo sette anni.

Eppure nonostante la distanza, il poco tempo a disposizione e la mancanza di uno nella vita dell’altro il rapporto tra padre e figlia non si era mai indebolito.

Katherine amava suo padre e metteva la sua felicità dopo quella di lui.

Col tempo era diventato sempre più difficile cercare di rimanere al passo con lui ma lei cercava di fare del suo meglio.

Sentiva addosso il peso di dover camminare sulle sue orme, di avere una vita già scritta ma stringeva i denti e andava avanti. Per lui.

Per questo abituarsi a quella nuova vita le sembrava impossibile. Dopo aver rigato dritto per tutta una vita si era ritrovata improvvisamente a rompere tutte le regole in una volta. Ed ora si sentiva soffocare.


<< Non ti sembra di passare troppo tempo rinchiuso qui dentro? >> fu la prima cosa che Katherine disse una volta messo piede nella stanza. Suo padre era intento ad osservare degli schermi con almeno una decina di tazze di caffè intorno a lui.

<< Deduco che tu non sia neanche andato a letto. Ti ci vorrebbe una bella dormita. E già che ci siamo anche una lunga doccia rilassante >> disse sedendosi sul tavolo davanti a lui nella speranza di ottenere la sua attenzione.

<< Sì, sì. Hai ragione >>

<< Che bello essere presi in così tanta considerazione dal proprio genitore >>

<< Oh. Ciao tesoro! >> disse suo padre una volta accortasi della sua presenza

<< Come non detto >>

<< Scusami tesoro ma Richard mi ha inviato dei dati su cui è insicuro da controllare. È una cosa talmente strana >>


Richard era il migliore amico di suo padre. Era cresciuti insieme fin dall’asilo e nessuno era rimasto sorpreso dalla collaborazione tra i due.

Mentre suo padre era un genio dell’informatica Richard non aveva rivali nel campo della fisica e della chimica.

E nessuno era rimasto sorpreso quando entrambi avevano avuto dei figli in giovane età.

Richard Black era un donnaiolo fin dai tempi del liceo. Già a diciassette anni era stato con tutte le ragazze che frequentavano la sua scuola.

Quindi un figlio non era per niente una sorpresa. Ciò che aveva sorpreso era il fatto che fosse riuscito ad arrivare a vent’anni senza mettere incinta nessuna.

Thomas Reed invece era sempre stato un bambino prodigio. Sempre educato e composto tutti si aspettavano che mettesse su famiglia appena finito il college. Quando si era diffusa la notizia dell’arrivo di Katherine in casa Reed la sorpresa più grande era l’assenza di sua madre.

Entrambi provenivano da famiglie umili eppure rientravano tra i venti uomini più importanti e spesso le riviste si divertivano a dire che il loro successo era stato decretato dal destino.

Richard portava il nome di uno dei re inglesi più conosciuti mentre Thomas quello di una delle figure più importanti per la letteratura inglese. E come Thomas Becket anche lui non aveva esitato a prendere una direzione diversa rispetto a quella del padre. Se quest’ultimo era stato un pilastro della letteratura moderna, Thomas aveva intrapreso la via della tecnologia.


Katherine si sporse da dietro alla sua spalla per osservare i dati sugli schermi.

<< Da qualche giorno Richard ha incominciato a rilevare queste onde in una zona del Maine, vicino alla cittadina di Storybrooke per la precisione. L’unico problema è che non si sono mai viste ed ogni volta che cerco di analizzare i dati la mia strumentalizzazione impazzisce >>

<< Lo sapevo >> Katherine mormorò.

Sapeva che qualcosa stava cambiando. E che non era impazzita. Ed ora aveva quelle onde sconosciute come prova.

<< Cosa? >> le domandò

<< Nulla, tranquillo. Quindi che si fa?”

<< Tu non farai nulla. Probabilmente Richard ed io andremo sul luogo per approfondire le ricerche >>

Se è  ciò che penso io non troverete nulla penso Katherine.

<< Ma papà… >>

<< Niente ma, principessa. Questa questione non ti riguarda >> disse suo padre alzandosi dalla sedia.

<< Invece sì. Posso andarci io. Tu e Richard lavorate meglio quando siete circondati da tutti i vostri aggeggi... che non sono trasportabili >>

<< Non se ne parla nemmeno >> ribatté lui

<< Ma… >>

<< Non accetto discussioni su questo argomento. Hai dorm… sei rimasta in coma per otto anni >>

A Katherine non sfuggì la correzione. Lei diceva sempre di aver dormito perché sapeva di non essere entrata in coma. E lo sapeva anche suo padre. Non era a conoscenza di come facesse ma lo sapeva. Per questo continuava a correggersi.

<< Appunto! È ora che io faccia qualcosa. E poi un cambiamento d’aria mi farà bene >>

<< Non ti è bastato il cambiamento di look? >>

Lei scosse la testa muovendo così i suoi nuovi ricci biondi.


Un mese dopo essersi svegliata aveva deciso di cambiare immagine.

Da liscia era diventata riccia e da mora bionda. Aveva buttato tutti i vestiti da giovane donna in carriera, ossia camicie, polo e gonne, e li aveva sostituiti con jeans, felpe e magliette.

L’unica cosa che non era cambiata era la sua passione per le scarpe.

Quando suo padre la aveva vista per la prima volta lei aveva liquidato il tutto con un Vita Nuova, Look Nuovo.

La verità era che non sopportava la sua immagine riflessa nello specchio. Non riusciva più a riconoscersi.

Per questo aveva deciso di cambiare esteriormente, così come era cambiata all’interno.

Era troppo difficile guardarsi e ricordare tutte le volte che Killian le accarezzava i capelli.

Forse era a causa sua se si era fatta bionda invece che rossa o altro. Il suo capitano le aveva sempre detto di quanto le bionde non fossero il suo tipo (però una biondina quasi non li aveva fatti lasciare. No, ci era riuscita). Quindi forse inconsciamente aveva deciso di metterlo alla prova, se avrebbe potuto amarla anche se bionda.


Suo padre si limitò a sbuffare prima di alzare le mane in segno di sconfitta.

Katherine era già pronta a saltare per la gioia quando il suo entusiasmo fu smorzato da una semplice frase di suo padre: << Ha chiamato Alex >>

<< Lo sapevo che doveva esserci sotto qualcosa >>

Tom fece finta di non sentirla e riprese: << Dovresti richiamarlo. Non merita il comportamento che tu stai tenendo nei suoi confronti >>

<< Lo so ma… >>

<< Quel ragazzo ti ha aspettato per otto anni, lo sai? >>

Katherine abbassò lo sguardo a terra. Sì, lo sapeva. E sapeva che erano stati otto anni gettati al vento perché ormai lei non era più la stessa.

La faceva sentire in colpa pensare a ciò che lui aveva passato e ciò che lei gli avrebbe inflitto.

Alexander era il figlio di Richard e già alla loro nascita i loro genitori aveva pianificato il loro matrimonio. Erano cresciuti insieme e quindi per loro era stato normale scambiarsi il primo bacio e quando avevano deciso di mettersi insieme sembrava l’inizio di un finale da sogno.

Non si era presa gioco di lui, questo no. Era davvero stata convinta di amarlo.

Ma poi aveva aperto gli occhi e si era resa conto che il vero amore era tutta un'altra cosa.

Sapeva che avrebbe dovuto affrontarlo prima o poi ma non ne aveva le forze. Come poteva spiegare al suo fidanzato che era innamorata di un altro?



Parigi, nove anni fa

Quante ragazze sognavano di passeggiare per le strade di Parigi col loro principe azzurro e Katherine era una di loro. 

Con la piccola differenza che il suo sogno era divenuto realtà.

Passeggiare mano nella mano con Alexander la faceva sentire la ragazza più fortunata sulla faccia della terra. Era la prova esistente che il principe azzurro esisteva:  dolce, romantico, protettivo e comprensivo. In poche parole il ragazzo perfetto.

Sapeva che i loro genitori desideravano vederli insieme per unire finalmente le due famiglie ma non le importava. Per la prima volta era contenta di una decisione presa da suo padre.

Gli lasciò la mano e avanzò di qualche a passo prendendo in mano la macchina fotografica. Sapeva che odiava essere fotografato e lei adorava stuzzicarlo.

<< Katherine >>  l’ammonì.

<< Cheese >> e flash

<< Non cambierai mai. Ti fidi di me? >>

Lei annuì. Le chiese di chiudere gli occhi e lo sentì chiamare un taxi. La aiutò a salire e partirono per una destinazione sconosciuta.

<< Puoi aprire gli occhi >>

Obbedì e davanti a lei si estendeva Parigi al tramonto: una visione da togliere il fiato. Erano in cima alla Tour Eiffel all’ultimo piano.

Si girò alla ricerca di Alex e lo trovò poco distante da lei, in ginocchio con una scatola in mano.

Lei portò entrambe le mani davanti alla bocca: non poteva crederci.

<< Katherine Reed, ti amo, ti ho sempre amata e sempre ti amerò. Vuoi sposarmi? >> le chiese aprendo la scatola rivelando un bellissimo anello di fidanzamento.

<< Sì, sì, sì >> rispose offrendogli la mano sinistra.

Lui la prese, le infilò l’anello al dito e la baciò mentre intorno a loro gli altri visitatori si congratulavano.

Era perfetto.


<< Come hai potuto? >>

<< Alex? >>

<< Ti amo Katherine eppure tu ora sei insieme a quel pirata. Non significava nulla per te? >>

<< Tu sei stato il mio primo amore ma le cose sono cambiate. Io sono cambiata. Mi dispiace >>



Neverland, trent’anni fa

 << Cos’è tutta questa confusione? >> Wendy chiese a Killian.

Erano appena sbarcati dopo aver attraccato nell’ennesimo porto (e lei che pensava che non ci fossero villaggi a Neverland!) e la prima cosa che aveva notato era stato l’andirivieni della gente.

Tutti sembravano andare di fretta ed erano carichi di cesti.

<< Si sta avvicinando la Phileia >> le spiegò mettendole un braccio intono alle spalle

<< La che? >>

<< La festa degli innamorati >>

Si guardò intono ed in effetti si accorse della presenza di più coppie nelle vie del solito. Non che non ci fossero ma in quel mondo non si usava esternare in pubblico i propri sentimenti apertamente.

A meno che non si fosse un pirata.

<< E cosa si fa durante questa festa? >> gli domandò ancora

<< Si sta con la persona amata, la si coccola ed altre cose del genere >>

<< Non si dovrebbe farlo sempre? >> chiese retoricamente

Killian rise e si fermò per guardarla. Le alzò il viso e lo avvicinò al suo

<< Infatti io non mi tiro certo indietro, love >> disse.

E la baciò. Per la prima volta la baciò davanti alla sua ciurma, in pubblico. Lei non gli aveva mai messo pressione, sapeva che doveva mantenere l’immagine da pirata.

Ma adesso sentiva il cuore scoppiare di gioia. Era ufficiale, erano una coppia.

<< Ti amo, Killian >>


New York City, presente

<< Signore, c’è la signorina Watson in visita >> li avvisò il loro maggiordomo, Robert.

Grazie al cielo pensò Katherine. Incominciò ad avviarsi verso le scale quando la voce di suo padre la fece voltare indietro.

<< È un bravo ragazzo >>

<< Lo so >>



<< Tempismo perfetto >> disse abbracciando Elizabeth.

<< Fammi indovinare: l’ennesimo discorso di tuo padre sul “tuo comportamento deplorevole nei confronti di Alexander” >>

Katherine si limitò ad annuire prima di fare segno a Lizzie di seguirla al piano di sopra. Una volta giunta nella sua vecchia camera si sedette sul letto.

<< Vuoi parlarne? >> le chiese appoggiandole una mano sul braccio.

Lei aveva bisogno di parlarle ma poteva fidarsi?

<< Kat, ci conosciamo da anni. Lo sai che ti voglio bene e puoi fidarti di me >>

Elizabeth Watson era la nipote di Robert e quando era ancora piccola Katherine era solita prendersi cura di lei. Adorava quella bambina più piccola e per lei era come la sorellina che non aveva mai avuto.




Londra, undici anni fa

<< Katherine! >> urlò la bambina correndole incontro.

Lei s’abbassò appena in tempo per poi essere travolta da quel uragano con i ricci. La abbracciò e quasi non si sentì soffocare a causa della forza usata dalla piccola.

<< La perdoni, signorina >> disse Robert imbarazzato dal comportamento della nipotina

<< Non ti preoccupare, Robert. Mi fa piacere vederla >> rispose al maggiordomo.

Prese la piccola per mano e la condusse alla sua camera, dove si stava preparando per l’ennesimo evento con le ennesime persone. La bambina andò direttamente a sedersi al centro del letto mentre Katherine andava a finire di prepararsi.

Raccolse i suoi lunghi capelli scuri in una coda alta lasciando cadere libere solo alcune ciocche.

Si truccò e finì il tutto con un rossetto rosso scuro che prontamente le venne rubato da una manina.

Guardò divertita la piccola che cercava di usarlo prima di toglierlo dalle mani e di metterglielo lei stessa.

<< Ecco fatto! >> esclamò.

Elizabeth si guardò allo specchio prima di rivolgere un sorriso smagliante alla ragazza di fianco a lei.

<< Grazie mille! >> e l’abbracciò.

La Reed le scompigliò i capelli prima di prendere il vestito per quella sera dall’armadio e di vestirsi. Era un abito bianco senza spalline, stretto fino in vita si allargava poi leggermente fino al pavimento su cui poi continuava lasciando uno strascico dietro di sé.

<< Sei bellissima Katherine >> esclamò la bambina per poi aggiungere << Da grande voglio essere come te >>

La ragazza sorrise e disse << Da grande sarai mille volte migliore di me >> 


New York City, presente


Poi quando si era svegliata dopo otto anni la piccola che ricordava aveva ormai la sua stessa età. Era stata una delle prime persone che aveva visto ed era rimasta sorpresa nel constatare che l’affetto che provavano l’una verso l’altra non verso cambiato per nulla.



New York City, otto mesi fa

 

Finalmente si era decisa a lasciare la sua camera. Non poteva rimanere rinchiusa tra quelle quattro mura per sempre. Sapeva che non serviva a nulla, non l’avrebbe di certo riportata indietro o riportato lui da lei.

Scese lentamente le scale, cercando di trovare in qualche modo la cucina. 

Man mano che avanzava sentiva delle voci provenire da una stanza. 

Si affacciò alla porta e vide suo padre parlare con due persone, un uomo e una ragazza della sua età.

Decisa ad annunciarsi uscì dal suo nascondiglio e si schiarì la gola.

In un attimo si ritrovò in un abbraccio stritolatore.

<< Non hai la più pallida idea di quanto tu mi sia mancata Katherine! >> disse la ragazza.

Lei spalancò gli occhi: quella voce l’aveva già sentita ma nei suoi ricordi aveva un non so che di infantile

<< Elizabeth? >>


New York City, presente

Inoltre era diventata il suo punto di riferimento, il suo porto sicuro quando voleva scappare dalle pressioni della nuova vita.

<< Non so cosa o come ma sono sicura che in questi otto anni hai fatto tutt’altro che dormire >> continuò Elizabeth.

Katherine la guardò curiosa non capendo dove volesse arrivare.

<< Da quando ti sei svegliata sei completamente diversa. Esempio banale: non hai più toccato una mela, che era il tuo frutto preferito. Hai sempre gli occhi spenti e un sorriso sforzato, che non dovrebbero esserci. Ed ora Alex. Normalmente per prima cosa avresti dovuto voler vedere il tuo fidanzato. Invece lo stai evitando. Quindi deve essere successo qualcosa >>

Dirglielo o no? Poteva rischiare di essere presa per pazza?

<< Non sono ancora pronta per parlarne. Ma quando lo sarò sarai la prima persona a saperlo >>

Elizabeth le sorrise e prese qualcosa dalla borsa. Un giornale. Katherine alzò gli occhi al cielo, preparandosi mentalmente a chissà quale storia su di lei. Ormai ci aveva fatto l’abitudine.

<< Questa volta non parlano di te >> le disse Lizze passandole il giornale.

<< Sarebbe anche ora che la smettessero >>

Rimase sorpresa nell’apprendere che in prima pagina non c’era una sua foto ma quella di suo nonno.


Terminato l’edificio ispirato ai racconti di William Reed, l’uomo che ha cambiato l’infanzia di milioni di bambini. 

Ormai è ufficiale: tra poco i nostri bambini saranno in grado di tuffarsi in un’esperienza magica. Finalmente avranno la possibilità di entrare in contatto col quel mondo fatato di cui tutti sognano. Se ciò è possibile è grazie alla famiglia Reed che si è impegnata nella costruzione di questo paradiso per bambini. 

William Reed è l’uomo che ha cambiato profondamente l’immaginazione collettiva. Con le sue versioni di favole celebri ha ispirato molti scrittori e cambiato radicalmente l’universo fantastico dei nostri figli.




Los Angeles, ottant’anni fa

 

Il tredicenne si guardò intorno. Il luogo in cui si trovava era così diverso da casa sua. C’erano strane carrozze senza cavalli e strani palazzi più alti che larghi.

<< Ti sei perso, giovanotto? >> disse una voce alle sue spalle.

Il ragazzo si voltò e vide davanti a lui una signora anziana, con un abito verde, una borsa rossa ed uno strano cappello in testa.

Annuì semplicemente.

<< Come ti chiami? >>

Il ragazzo fece vagare lo sguardo intorno a sé, in cerca di una via di fuga o di qualcosa che potesse aiutarlo. Un cartello catturò la sua attenzione: William Shakespeare’s Romeo & Juliet.

Tornò a rivolgersi alla donna e rispose << William >>

<< Ed hai anche un cognome? >>

Lo sguardo del ragazzo cadde sull’enorme borsa che la signora portava al braccio.

<< Red >>

<< Reed, vorrai dire >> lo corresse lei.

<< Sì sì, Reed. William Reed >>


Eccomi qui! Di nuovo.

Ho deciso di rimboccarmi le maniche e di scrivere una storia a più capitoli su Hook e Katherine/Wendy.

Questo prologo è principalmente incentrato sulla figura della nostra protagonista e sul suo passato. Nell’idea originale Killian doveva venire solo nominato ma non ho saputo resistere ed ho inserito un flashback riguardante alla prima volta in cui Wendy gli ha detto di amarlo. Farà un’altra apparizione nel prossimo capitolo, nel quale scopriremo che cosa sta accadendo a Storybrooke.

In questo capitolo fanno la comparsa alcuni personaggi che era necessario introdurre. Infatti volevo dare più corpo al personaggio di Katherine, darle una storia. Non volevo che fosse un personaggio "campato per aria". Per il resto già dal prossimo capitolo verranno messi "in terzo piano" (nel secondo ci sono i personaggi secondari di OUAT).

Per coloro a cui la comparsa del personaggio di Alexander ha scaturito una serie di insulti verso la sottoscritta per aver posto un problema in più alla già complicata storia di Katherine e Killian dico questo: il suo ruolo era fondamentale affinchè anche Katherine avesse un passato amoroso abbastanza importante alle spalle ma la coppia principale rimane sempre la stessa: Killian/Wendy-Katherine

Ecco come li immagino io:

Thomas Reed: Robert Downey Jr.

Abigail Stewart: Nicole Kidman (Moulin Rouge)

Richard Black: Johnny Depp

Alexander Black: Tom Hiddleston

Robert Watson: Jim Broadbent 

Elizabeth Watson: Emma Watson

Donna Anziana: Maggie Smith

Inoltre (probabilmente a causa del continuo ascolto delle sue canzoni) ogni volta che mi metto a pensare a delle scene per la storia Taylor Swift mi appare prepotentemente nella testa ma voi potete continuare a far finta che Katherine abbia ancora il volto di Vanessa Hessler.

Per quanto riguarda il cambiamento fisico: mi è sembrato un qualcosa di naturale. Quando mancano delle certezze si ha il desiderio di cambiare, cosa che Katherine ha fatto.

Generalmente la storia sarà suddivisa in quattro parti:

La prima è composta da tre capitoli (di cui questo prologo è il primo), che servono per dare un sostegno alla storia: non voglio che sia solo una raccolta di capitoli messi insieme.

All'inizio di ogni capitolo riporterò dei versi di una canzone che mi ha ispirato. Per il prologo la canzone scelta è "By Your Side" dei Tokio Hotel: penso rispecchi lo stato d'animo di Katherine.

Nel capitolo appaiono alcuni personaggi appartenenti al mondo delle fiabe. Penso che siano abbastanza scontati (forse è perché so chi sono) ma vorrei sapere cosa ne pensate voi.

Durante la stesura del capitolo mi sono accorta che l'inserimento di spiegazioni all'interno del contesto rischiava di appesantire/confondere la storia per questo ho usato le linee per separare le spiegazioni dai dialoghi/dallo svolgimento della storia. fatemi sapere se vi sono servite o meno.

Mi scuso per eventuali errori e spero che questo capitolo sia stato all’altezza delle aspettative.

Sneak Peek dal prossimo capitolo: Begin Again

L’unica cosa a cui riusciva a pensare era l’ultima volta in cui era stato in una taverna come questa ed al suo fianco c’era Wendy.

Ricordava di come non riuscisse a toglierle gli occhi di dosso tanto era bella, di quanto fosse geloso ogni qual volta un qualche uomo cercava di avvicinarsi o la guardava oppure lei rideva a qualche battuta dei suoi compari.

Ricordava come era rimasto in un angolo a guardarla ammaliato mentre gesticolava con enfasi presa dal racconto.

E non poteva fare a meno di pensare a cosa avesse fatto per meritare il suo amore.

Lui era un pirata, un bugiardo, un assassino, un uomo senza scrupoli eppure era stato così fortunato da averla al suo fianco.    

Ed ora era di nuovo in una taverna, per la prima volta senza di lei.

xxAletheia

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Begin Again ***


Begin Again

Disclaimer: Nulla mi appartiene. Once Upon A Time appartiene a ABC mentre Peter Pan e tutto ciò che è collegato a esso appartiene a J.M.Barrie.





I’ve been spending the last eight months
Thinking all love ever does
Is break and burn and end
But on a Wednesday in a cafè
I watched it begin again
(Begin Again by Taylor Swift)


Katherine sapeva dove si trovava ancor prima di aprire gli occhi. Ormai quella stanza non le abbandonava più la mente, era un incubo costante.

Era una stanza rossa, senza porte né finestre. Le tende, anch’esse rosse, erano in fiamme.

Prese un respiro profondo prima di aprire le palpebre.

Andrà tutto bene, devo stare calma  pensò.

Cominciò a guardarsi intorno, nella speranza che qualcosa fosse cambiato.

Da quando si era svegliata ogni notte faceva sempre lo stesso sogno e nulla era mai cambiato.

Pian piano il panico prese il sopravvento mentre lei cercava di non perdersi d’animo.

Incominciò a correre verso l’altro lato della sala ma fu costretta a fermarsi quando le fiamme avanzarono. Si portò il braccio davanti al viso per ripararsi e fece un passo indietro.

Sentiva il cuore batterle all’impazzata nel petto mentre il respiro si faceva sempre più affannoso.

Continuava a girare la testa a destra e sinistra e a spostarsi all’interno della stanza.

Ad un tratto le sembrò di scorgere qualcosa in un angolo ma quando tentò di andare in quella direzione le fiamme la circondarono.


Katherine si svegliò di soprassalto, lanciando un urlo da far raggelare le vene. Portò una mano al petto e fece degli ampi respiri profondi, cercando di tranquillizzarsi.

Quegli incubi erano il motivo principale per cui aveva insistito tanto per un proprio appartamento. Non poteva correre il rischio di farsi scoprire da suo padre.

Si portò una mano tra i capelli e provò un dolore improvviso.

Accese la luce e notò una scottatura sul dorso della mano.

Gettò le coperte di lato e si diresse verso il bagno, dove prese il kit di pronto soccorso. Mise la mano sotto l’acqua fredda per alleviare un po’ il dolore e la fasciò con una benda dopo aver applicato una pomata.

Si appoggiò al lavandino, aspettando che i battiti tornassero regolari.

Quell’incubo era stato peggio degli altri. Le era sembrato così reale. E quella presenza. Era come se davvero fosse stata lì, se davvero ci fosse stata un’altra persona insieme a lei.

Una volta calmatasi decise di scendere in cucina a bere un bicchiere d’acqua.

Passando davanti al salotto per tornare in camera notò un libro sul tavolino. Lo prese in mano e si sedette vicino alla finestra, dove si mise a rileggere dello scontro tra Peter Pan e Capitan Uncino.

Ormai era un’abitudine. Ogni volta che si svegliava da un incubo, scendeva in cucina e poi andava in salotto dove si metteva a leggere.

La storia era così diversa da quella reale ma l’aiutava a sentirlo vicino. Si addormentava ricordando di quando fosse lui a cullarla e poi la mattina si svegliava con il libro stretto al petto.


Stava preparando la valigia. Non aveva idea di cosa portare con sé quindi aveva deciso di prendere solo l’indispensabile: vestiti, portatile ed ovviamente la sua copia di Peter Pan, insieme ad altri libri.

Era strano come si sentisse vuota ora adesso che era così vicina a trovare delle risposte, a ricominciare da capo. Nella mente continuavano a ricomparire i volti di suo padre, di Elizabeth, di Robert ed addirittura quello di Abigail.

C’era qualcosa che la frenava, che non voleva che partisse. E sapeva perfettamente cos’era.

<< Così te ne vai >>

Katherine piegò una maglietta e la ripose nella valigia, per poi voltarsi verso la porta.

Era esattamente come lo ricordava, solo più uomo. Stessi ricci biondi e stessi occhi ipnotici. Ma se prima il viso era ancora quello di un ragazzo adesso aveva un accenno di barba che lo rendeva più adulto, nonostante fosse sicura che il sorriso fosse rimasto lo stesso.

Sapeva che non sarebbe riuscita a partire finché non lo avesse affrontato. Non poteva lasciarsi questioni irrisolte alle spalle, non quando voleva cominciare una nuova vita.

Il vero motivo per cui lo aveva evitato fino ad allora era che aveva paura. Aveva paura di scoprire di provare ancora qualcosa per lui.

Ma quando dopo otto anni per la prima volta lo guardò negli occhi si accorse di non provare nient’altro che nostalgia per i tempi andati. Quando lui si arrampicava sull’albero di fronte alla sua finestra per intrufolarsi in camera sua e rimanevano a parlare per ore, finché non giungeva l’alba e lui ritornava a casa. Quando la abbracciava ogni volta che soffriva per l’assenza di sua madre e lui le assicurava che sarebbe andato tutto bene, che non aveva bisogno di quella donna perché aveva lui. Quando era scoppiata a piangere il giorno della partenza, terrorizzata all’idea di perdere il suo migliore amico a causa della distanza.


Malibù, quindici anni fa


<< Mi mancherai >>

<< Mancherai di più tu a me. Come farò senza di te? >>

La ragazza sciolse l’abbraccio per guardare per un’ultima volta il suo migliore amico. Non riusciva a credere con non l’avrebbe più rivisto. Forse stava esagerando, c’erano sempre le vacanze. Ma di certo non sarebbe stato come vederlo ogni giorno e sapere che le bastava percorrere duecento metri per trovare un appoggio.

Alexander c’era sempre stato per lei. Fin dall’asilo erano stati inseparabili. Avevano fatto tutto insieme, si erano anche dati il primo bacio. Addirittura erano stai insieme una volta, quando erano ancora un po’ più piccoli ma poi si erano resi conto che era troppo presto per accelerare i tempi.

Ed ora erano lì, davanti all’entrata di casa sua per salutarsi, mentre i loro padri caricavano le ultime cose sul camion.

Non riusciva a capacitarsi di quello che stava per succedere. Non era semplicemente possibile che loro due venissero separati, era come privare una persona del suo cuore. Non sarebbe sopravvissuta. Non senza di lui.

<< Hei, non fare quella faccia. Sono sicuro che a Londra farai un sacco di nuovi amici nel giro di una settimana. E poi ci sentiremo il più spesso possibile. Non è la fine del mondo >> cercò di consolarla Alex.

<< Promettimi che non cambierà nulla >> lo implorò con le lacrime agli occhi.

Non poteva sopportare il pensiero di perdere un'altra persona a lei cara.

<< Non importa quanto siamo lontani, io sono il tuo migliore amico. Lo sono sempre stato e sempre lo sarò >>


New York City, presente


Quando le cose erano ancora semplici, prima che i loro genitori incominciassero a spingerli l’uno tra le braccia dell’altro.

Con sollievo si accorse che anche nei suoi occhi era presente la stessa nostalgia.

<< Ho bisogno di cambiare aria >> gli rispose semplicemente.

Lui la squadrò da capo a piedi prima di guardarla negli occhi. Lei sostenne lo sguardo anche quando le si avvicinò.

<< Senza salutare? Sei la mia… >>

<< Mettiamo in chiaro una cosa. Io non appartengo a nessuno se non a me stessa. E se voglio fare qualcosa, la faccio senza renderne conto a nessuno >> lo interruppe bruscamente, chiudendo le mani a pugno.

Non voleva sentire quella frase. Quella parola, fidanzata, le ricordava le responsabilità di cui non aveva tenuto conto quando si era innamorata di Killian. Aveva sempre saputo che alla fine avrebbe lasciato Neverland eppure dopo il primo anno aveva smesso di pensare a ciò che l’aspettava a casa.

E sentire quell’aggettivo, mia, che troppe volte aveva sentito il suo capitano pronunciare le procurava delle fitte al petto.

Per non menzionare il suo caratteraccio. Lei era sempre stata indipendente, se l’era sempre cavata da sola. Non esisteva proprio che fosse ridotta ad un semplice oggetto da possedere. L’unica cui doveva qualcosa era se stessa. Tutti gli altri non potevano pretendere nulla, per quanto lei li amasse.

<< C’è un altro non è vero? >>

Katherine sentì gelarle il sangue. Non voleva che lo sapesse, non voleva ferirlo. 

<< Cosa te lo fa pensare? >>

<< Hai negli occhi la stessa luce che li illuminava quando ti ho chiesto di sposarmi >>

Lei abbassò il viso colpevole, cercando di evitare i suoi occhi che di sicuro l’avrebbero letta dentro. Si portò la mano tra i capelli, cercando di trovare qualcosa da dire che non suonasse troppo scontato o idiota.

<< Non indossi l’anello >> affermò.

Lei spostò la mano in tasca, cercando di nascondere ormai l’evidente. Dal suo risveglio non era più riuscita a portare quel gioiello. Le sembrava pesante come un macigno, come se volesse ricordarle la sua presenza, che troppo a lungo aveva rilegato in un angolo della mente. Oppure per farle notare che non dovrebbe trovarsi lì, sul suo anulare. Quindi aveva deciso di toglierselo, per essere un po’ in pace con se stessa. Per cercare di dimenticare almeno per un momento il guaio in cui si era cacciata.

Ma soprattutto per scacciare i pensieri di come sarebbe stato se quell’anello le fosse stato dato da Killian.

Andò verso l’armadio, dal quale cassetto prese una scatolina che porse ad Alexander.

<< Penso che questo debba tenerlo tu >>

Lui guardò la scatola per alcuni di secondi prima di riporla in tasca.

<< Quindi è per lui che te ne vai >>

Non era un’accusa, ma una semplice constatazione. Non le stava urlando addosso, cosa che lo aveva immaginato fare milioni di volte, ma manteneva un atteggiamento calmo, neanche rassegnato, come se già sapesse che sarebbe successo ed avesse accettato la situazione.

<< No, è per me stessa. Non posso vivere qui, non ce la faccio. Ogni secondo che passa sento d’impazzire >>

Lui la guardò fisso prima di sospirare, portandosi le mani tra i capelli, cosa che faceva ogni qual volta fosse agitato od indeciso. Quante volte glielo avevo visto fare ma lei non ne era mai stata la causa. Beh, c’è sempre una prima volta.  

<< Voglio essere sincero. Durante questi otto anni… >>

<< Ti sei visto con altre, lo so. È esattamente quello che volevo tu facessi >> continuò lei per lui.

L’aveva capito nel momento in cui aveva telefonato. In un’altra circostanza l’avrebbe considerato normale ma sapeva che otto anni prima se lei non si sarebbe fatta sentire per giorni lui avrebbe preso il primo volo per Londra per raggiungerla.

E quando aveva compreso che in quel periodo lui non era rimasto solo, si era sentita sollevata. L’ultima cosa che voleva era averlo condannato ad anni di solitudine per poi spezzargli il cuore. Lo conosceva abbastanza da sapere quando fosse testardo e quanto tenesse a lei. Ma sapeva anche che lui non era il principe azzurro, lei non era Biancaneve e loro non erano in una favola.

Quello di cui non era stata sicura erano i suoi sentimenti.

<< Ma tu sei stata l’unica davvero importante >>

<< è giunta l’ora di andare avanti. Devi andare avanti ed incominciare a scrivere un nuovo capitolo >> lei disse posandogli una mano sul braccio.

Con quelle parole lo sollevava dal peso di cui quell’anello era il simbolo. Gli accordava il suo permesso di lasciarla alle spalle.

<< Qualunque cosa accada non voglio che vent’anni passati insieme vadano gettati al vento. Puoi sempre contare su di me, come quando eravamo piccoli >>

<< Sei sempre stato il mio migliore amico >>

<< E ho intenzione di continuare ad esserlo >>

<< Nessun rancore, quindi? >> lei chiese per certezza.

<< Nessun rancore >> rispose sorridendole ed aggiunse << So cosa stai passando. Quello che mi ha fatto arrabbiare è stato il tuo comportamento, non l’averti fatta sentire. Sapevo benissimo già da prima che tu ti svegliassi che cercare di salvare questa storia ci avrebbe condannati ad essere infelici. Non si può vivere nel passato >>

Katherine sorrise forzatamente. Non era forse quello che stava facendo lei? Vivere nel passato. L’unico motivo per cui voleva andare a Storybrooke era la speranza di ritrovarlo. Non era riuscita a lasciarselo alle spalle, nonostante sapesse perfettamente che appartenevano a due mondi diversi.

Per un attimo vacillò. Era davvero una buona idea? Anche se lo avesse trovato, cosa sarebbe successo dopo?  Sarebbero stati insieme per un po’ e poi? Probabilmente lui sarebbe tornato a Neverland e cosa ne sarebbe stato di lei? Poteva abbandonare la sua famiglia per seguire l’uomo che amava? Poteva chiedere a Killian di rinunciare ad essere un pirata per rimanere con lei? Poteva vivere col peso di sapere di aver abbandonato le persone che l’amavano e di aver costretto Killian ad aver lasciato ciò per cui aveva sempre vissuto?


Era giunto il momento dei saluti. Finalmente stava per lasciare quella città che aveva ospitato la sua casa per otto mesi. Finalmente avrebbe ripreso in mano la sua vita.

Eppure, nonostante i bei pensieri che le occupavano la mente, il suo cuore era impregnato di tristezza ed indecisione. Era certa che se non avesse salutato tutti il più presto possibile non avrebbe lasciato la città.

Era sempre stato così. Al momento di compiere una decisione importante veniva afflitta da mille dubbi e pentimenti e le occorrevano un paio di giorni per ritrovare la pace.

Ma questa volta la posta in gioco era alta, molto alta. Si trattava della sua felicità, del suo futuro.

Le erano rimaste solo due opzioni: lasciarsi tutto alle spalle e ritornare a vivere come se nulla fosse mai successo oppure impegnarsi con tutte le sue forze per trovare un modo per tornare da lui.

Era certa che non sarebbe mai riuscita a scegliere la prim finché ci fosse stata anche solo una possibilità per la seconda.

Quindi adesso doveva salutare tutti, salire in macchina e partire.

<< Voglio un’email al giorno ed almeno una telefonata a settimana o vengo a Storybrooke a prenderti in calci >> la minacciò con le lacrime agli occhi Elizabeth mentre l’abbracciava.

Katherine ricambiò la stretta e cercò di imprimersi nella mente il calore emanato dall’amica. Era il suo sole personale.

Passò poi a Robert, che rimase sorpreso dal suo abbraccio, e ad Abigail, che salutò con una semplice stretta di mano.

Quando si ritrovò di fronte a suo padre, vacillò. Era la prima volta che si separavano. Certo, c’erano stati gli otto anni in cui aveva dormito ma lei non ne era stata cosciente. C’erano sempre stati l’uno per l’altra, erano una famiglia. Thomas e Katherine Reed. Nulla di più semplice.

Suo padre era l’uomo più forte che conoscesse eppure ora era con le lacrime agli occhi e il labbro inferiore gli tremava leggermente.

Lei gli gettò le braccia al collo e lui la strinse a sé, mentre piangevano insieme. Come padre e figlia.

<< Ti telefonerò tutti i giorni >> promise.

<< Sarà meglio oppure vengo e ti ritrascino a casa >>

Katherine ruppe l’abbraccio e si rivolse ad Abigail: << Prenditi cura di lui >>.

La rossa annuì e lei si ritrovò di fronte ad Alex l’ultimo da salutare.

Non si dissero nulla, si abbracciarono solamente. Katherine sapeva che se non lo avesse chiamato almeno ogni due giorni lui non avrebbe esitato, a differenza di suo padre, a riportarla a casa, avesse dovuto trascinarla. E poi glielo doveva. Alexander invece sapeva che nulla sarebbe servito a farla desistere o a ritardare il viaggio così come sapeva che si sarebbero sentiti molto presto.

Salutati tutti salì in macchina mentre Alex chiudeva il bagagliaio. Guardò tutti un ultima volta dallo specchietto retrovisore e poi partì.


Foresta Incantata, ventinove anni fa

Hook stava fissando il boccale di birra ancora pieno. Da quando aveva messo piede nella taverna la sua mente era infestata dai ricordi.

Ormai erano andati i tempi in cui non appena faceva il suo ingresso una ragazza veniva verso di lui con un boccale di birra e lui non si preoccupava di ubriacarsi, certo che il giorno dopo avrebbe trovato qualche ragazza senza importanza nel suo letto. Quando passava la serata a giocare a dadi o a raccontare le sue avventure.

Prima che una certa ragazza entrasse a far parte della sua vita.

L’unica cosa a cui riusciva a pensare era l’ultima volta in cui era stato in una taverna come questa ed al suo fianco c’era Wendy.

Ricordava di come non riuscisse a toglierle gli occhi di dosso tanto era bella, di quanto fosse geloso ogni qual volta un qualche uomo cercava di avvicinarsi o la guardava oppure lei rideva a qualche battuta dei suoi compari.

Ricordava come era rimasto in un angolo a guardarla mentre circondata da uomini, donne e bambini raccontava la storia di un pirata con una bussola unica che riusciva sempre a perdere la sua nave in un modo o in un altro. Era riuscito persino a farsi rinchiudere in un forziere.

Sapeva benissimo perché aveva scelto quella storia: voleva mettere a loro agio i frequentatori di quella taverna.

Rimaneva ammaliato nel guardarla mentre gesticolava con enfasi presa dal racconto.

E non poteva fare a meno di pensare a cosa avesse fatto per meritare il suo amore.

Lui era un pirata, un bugiardo, un assassino, un uomo senza scrupoli eppure era stato così fortunato da averla al suo fianco.    

Ed ora era di nuovo in una taverna, per la prima volta senza di lei. Non aveva neanche la sua ciurma a fargli compagnia poiché da tempo li aveva ormai abbandonati. Non era riuscito a trovare un motivo valido per cui rimanere a Neverland (in tutti quegli anni non aveva ancora trovato nulla) e quindi aveva deciso di tornare nella Foresta Incantata e di improvvisare qualcosa. Non è forse questo che fanno i pirati?

Eppure davanti a quella birra non riusciva a costringersi a concentrarsi su Rumpelstiltskin finché non udì una voce familiare.

<< Il pericoloso Captain Hook ridotto in miseria. Chi lo avrebbe mai detto? >>

<< Rumpelstiltskin >> mormorò tra i denti il pirata

<< Lieto di vedere che non ti sei dimenticato di me. Cosa ti è successo, dearie? >> lo canzonò l’Oscuro.

Killian cercò di calmarsi. Attaccarlo non sarebbe servito a nulla, aveva già accurato che il suo uncino non riusciva a ferirlo. Certo, mantenere la calma si stava rivelando più complicato del previsto.

Perdere la calma ti farà fare solamente qualche stupidaggine diceva sempre la sua Wendy Il modo migliore per uscire vincitori da una sfida è utilizzare il cervello. La forza bruta è prevedibile e inutile, l’astuzia è la vera arma vincente.

<< Hai forse perso qualcosa? >>

<< Non hai di meglio da fare? Che so, cercare tuo figlio? >> lo stuzzicò Jones. L’Oscuro fece finta di non sentirlo.

<< O forse qualcuno, dearie? >>

Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Il pensiero gli aveva attraversato la mente già diverse volte ma mai come allora gli sembrò così probabile.

Si alzò di scatto facendo cadere la sedia e strinse la mano intorno alla gola dell’Oscuro, che sorprendentemente non si oppose né cercò di liberarsi ma rimase impassibile  con un ghigno dipinto sul volto.  

<< Giuro che se le hai torto anche un solo capello trovare tuo figlio sarà l’ultimo dei tuoi problemi >> lo minacciò il capitano

<< Minacce a vuoto, dearie. Sono immortale, ricordi? >>

<< Ho già un motivo per ucciderti, non ho problemi nel farlo nel modo più lento e doloroso possibile >>

<< Quindi ho ragione. Qualcuno è riuscito per davvero ad occupare quel cuore arido. Sono sorpreso, dearie >>

Hook allentò la presa e lo lasciò andare sorpreso.

<< Non sei stato tu? >>

<< Deduco che lei non sia più con te e che tu abbia attribuito la colpa di ciò a me. Mi dispiace distruggere le tue convinzioni. In verità no, non mi dispiace. Quella ragazza ti ha abbandonato. Come avrebbe potuto un fiore come lei amare una bestia come te? >>

<< Tu non sai nulla dell’amore >> replicò Hook chiudendo la mano in un pugno.

Quando si era accorto della scomparsa di Wendy aveva pensato che ci fosse lo zampino di Rumpelstiltskin e quando gliel’aveva sentita nominare quella convinzione si era consolidata. In fondo gli aveva già portato via un amore, perché non farlo di nuovo. Eppure era sicuro che se fosse stata davvero opera sua lui non avrebbe esitato un momento a rinfacciarglielo.

Con sorpresa lo vide stringere i denti e il suo sguardo incupirsi. Senza dir una parola si dissolse in una nuvola di fumo viola, lasciandosi alle spalle un pirata più determinato che mai.

Quella reazione poteva dire una sola cosa: una donna aveva conquistato il cuore di Rumpelstiltskin. E Killian Jones avrebbe trovato quella donna e l’avrebbe strappata dalle sue braccia come aveva fatto con lui. Forse avrebbe anche trovato quella misteriosa arma magica di cui si mormorava.

O forse l’avrebbe usata per costringere l’Oscuro a riportarlo dalla sua Wendy.



Storybrooke, presente 

Appena superato il cartello “Benvenuti a Storybrooke” Katherine percepì il cambiamento nell’aria. C’era molta più elettricità che ti entrava nelle vene rendendoti più attivo e vigile.

Sperava solamente di essere sulla strada giusta. La cittadina dal nome particolare aveva attirato l’attenzione di suo padre e Richard da tempo. Ogni qual volta che qualcuno cercava di entrare avveniva qualche incidente proprio qualche metro prima del cartello. Nessuno la lasciava mai ed ora quelle onde. Sembrava quasi un mondo a sé. Proprio quello che stava cercando.

Quando gli alberi incominciarono a diradarsi la prima cosa che notò fu l’aspetto della cittadina: macchine, case e negozi sembravano usciti da un film ambientato negli anni ottanta. Sembrava quasi che la città fosse rimasta bloccata nel tempo.

Quando incominciò a vedere sempre più persone per la strada decise di parcheggiare e di guardarsi intorno.

Sentiva gli sguardi della gente su di sé ed incominciò a pensare che forse un nuovo inizio non sarebbe stato possibile. Poi si rese conto che molto probabilmente in cittadine così piccole e con la media di incidenti avvenuti non arrivassero molte persone dall’esterno.

Ciò che la colpì fu l’atmosfera, le ricordava Neverland. Un luogo dove i problemi sembravano non esistere e dove tutto era possibile se eri disposto a rimboccarti le maniche.

Più il tempo passava più Katherine sentiva nascere dentro di sé due sensazioni che aveva pensato di aver dimenticato: la speranza e l’euforia.

Sperava davvero di potersi gettare gli ultimi otto mesi alle spalle e di ricominciare da capo, senza nessuna pressione, o domande, o sguardi indagatori. Voleva poter essere di nuovo una ragazza qualunque che cercava di prendere il meglio della vita, voleva tornare ad essere la vecchia lei ma senza dimenticare la ragazza che era stata a bordo della Jolly Roger. Sperava di poter trovare un punto d’incontro tra le due e di ricominciare da lì.

Non sperava di poter ritrovare Killian, quello no. Sapeva che non poteva rimanere seduta con le braccia incrociate sperando in una manna dal cielo. Su quel punto la speranza non poteva aiutarla. Doveva darsi da fare e trovare un modo per ritrovarlo.

E qui entrava in gioco l’euforia. Con ogni passo lo sentiva sempre più vicino. Era sulla buona strada, il suo cuore lo sapeva, e non poteva fare a meno di pensare a quando si sarebbe ritrovata di nuovo fra le sue braccia, a quando sarebbero stati di nuovo insieme.

Troppo persa nei suoi pensieri non si era accorta di star continuando a camminare. Guardò intorno a sè e notò una torre con un orologio e lì si diresse. Sotto l’orologio c’era un’entrata a doppia porta chiusa quindi, cercando per qualcuno a cui chiedere informazioni, vide l’insegna di un bar,  che le fece ricordare che non aveva ancora mangiato nulla essendo partita di mattina presto per evitare il traffico.

Una volta entrata nel locale tutti gli occhi le si puntarono addosso e i soliti mormorii incominciarono a diffondersi.

Senza farci caso, essendoci ormai abituata, si avvicinò al bancone e si sedette su uno sgabello nel momento stesso in cui una ragazza le veniva incontro.

Era alta, con lunghi capelli scuri ed occhi nocciola che sembravano leggerti dentro. Fu colta alla sprovvista dal dolore che poteva leggerci dentro.

<< Posso portarti qualcosa? >> chiese abbozzando un sorriso

<< La specialità della casa andrà più che bene >> rispose Katherine sorridendo a sua volta.

Quando la ragazza tornò con la sua ordinazione Katherine fu stupita dal fatto che si fosse appoggiata al bancone, pronta per incominciare una conversazione.

<< Non ti ho mai visto da queste parti >> disse la bruna e alla ragazza parve di cogliere un significato nascosto

<< Sono appena arrivata in città >>

<< E cosa ti porta in una cittadina sperduta come Storybrooke? >> chiese assumendo un tono più serio.

Katherine rimase qualche secondo in silenzio valutando le sue opzioni. Poteva sbandierare tutto e di sicuro una mano le avrebbe fatto comodo oppure poteva nascondere il vero motivo dietro alla stessa scusa che aveva rifilato a suo padre.

<< Avevo bisogno di cambiare aria. Inoltre spero di ritrovare una persona a me cara che penso si trovi qui >>

La ragazza parve riflettere un momento per poi annuire.

<< Il mio nome è Ruby >>

<< Katherine >> rispose, stringendo la mano che Ruby le aveva offerto

<< Quanto hai intenzione di fermarti, se non sono troppo indiscreta >>

<< Penso un bel po’. Non ho alcuna fretta di tornare a casa >> disse sinceramente.

Ed era vero. La sua priorità era ritrovare il suo capitano ed una volta fatto ciò di sicuro non avrebbe lasciato la città tanto velocemente. Era decisa a recuperare ogni singolo momento andato perduto nel corso di quei otto mesi.

E se per qualche oscura ragione il destino voleva prendersi gioco di lei e Killian non si trovava a Storybrooke sarebbe comunque rimasta nella cittadina.

Da quel che aveva visto fino a quel momento ne era già innamorata: pace e tranquillità sembravano farla da padrone. Due elementi che ultimamente le erano mancati un po’ troppo e di cui aveva un disperato bisogno.

Inoltre le avrebbe fatto bene allontanarsi un po’ da suo padre, dipendere completamente e solamente da sé stessa e non doversi preoccupare degli altri.

Poteva essere tutto ciò che voleva: non c’era più nessuno a dirle cosa dire, cosa fare, come vestirsi, come comportarsi.

<< Hai un posto dove stare? >> le chiese Ruby distogliendola dai suoi pensieri

<< Veramente no. Ho davvero messo piede in città tipo mezz’ora fa e non ho ancora avuto il tempo di guardarmi intorno >> rispose sorridendo

<< Se vuoi sono sicura che Granny potrà affittarti una camera >>

Katherine era stupita. Nonostante i numerosi trasferimenti non aveva avuto molti amici e nessuno era stato così spontaneo in sua presenza come la ragazza che le era di fronte. Di solito tutti temevano il suo nome e la sua condizione sociale: era importante e di conseguenza pensavano fosse una ragazza con la puzza sotto il naso, pronta a sparare a zero su chiunque.

Non che avessero poi torto. Certamente non era un pezzo di pane, anzi generalmente al primo approccio era abbastanza fredda. La sua reputazione la precedeva di un miglio e lei aveva lavorato a lungo per procurarsela e per mantenerla. Era soprannominata “regina di ghiaccio” a causa della sua freddezza nei confronti degli altri e dei suoi atteggiamento da ape regina.

Ma il vero motivo per il suo comportamento era che aveva paura di essere ferita di nuovo. Non poteva permettersi il lusso di lasciarsi andare, di mostrarsi debole, rischiando così che qualcuno le sferrasse un attacco pronto a distruggerla.

Doveva sempre avere controllo su tutto in modo tale da non essere colta impreparata e pur di mantenere l’ordine delle cose era disposta a tutto, anche a rovinare la felicità di qualcun altro.

Eppure Killian era riuscita a scioglierla, a renderla più…umana. Adesso le era difficile pensare di utilizzare la stessa brutalità che la aveva caratterizzata in passato.

<< C’è qualcosa che ti turba >> affermò Ruby

<< Non sono abituata a questo tipo di atteggiamento. Di solito le persone mi stanno alla larga e di certo non si offrono di ospitarmi dopo cinque minuti che ci conosciamo >>

<< Fidati, se sei qui c’è un motivo ed io non sono nessuno per mettere i bastoni tra le ruote al destino. Inoltre so cosa vuol dire essere guardati con sospetto. Poi l’hai detto tu, hai bisogno di un cambiamento ed io adoro aiutare chi ha bisogno di ritrovare qualcosa. Nel tuo caso te stessa >>

Katherine sorrise e le due continuarono a parlare mentre Ruby si occupava di intanto in tanto dei vari clienti che entravano nel locale.

Parlarono di sport, moda, musica, cinema, natura, si raccontarono qualcosa delle loro vite e la bionda descrisse tutti i luoghi che aveva visitato.

La sera, dopo aver portato le sue valigie in camera, presero a parlare di qualsiasi cose gli passasse in mente e a ridere come matte finchè Ruby non le augurò buona notte e la lasciò ai suoi sogni


Primo capitolo vero e proprio.

Inizialmente ero un po’ incerta sulla lunghezza. Infatti doveva contenere anche un'altra parte che poi ho deciso di spostare nel capitolo successivo.

Ovviamente se voi non avete nulla in contrario a capitoli più lunghi e se questo vi è sembrato troppo breve non esitate a farmelo sapere.

Così come non dovete preoccuparvi di dirmi il vostro parere su questa storia.

Ho trascorso la notte passata a riflettere sulla trama, cercando di capire se fosse troppo scontata o irreale o altro.

Le recensioni sono davvero fantastiche come mezzo per risollevare l’animo di un autore. E per farlo scrivere più velocemente.

Seriamente, sono sopraffatta dai dubbi e vorrei sapere cosa ne pensate voi che leggete.

La canzone scelta per questo capitolo è Begin Again di Taylor Swift. I versi riportati ad inizio capitolo e la musica sono stati una grande fonte d’ispirazione.

La parte più difficile è stata la seconda, in particolare la caratterizzazione di Cappuccetto Rosso. Ho cercato in qualche modo di unire la personalità di Red con quella di Ruby tenendo conto anche del fatto che la maledizione è stata spezzata e quindi l’arrivo di un estraneo non doveva essere preso troppo alla leggera.

Perciò il prossimo capitolo partirà esattamente da qui, dal problema dell’arrivo di Katherine a Storybrooke.

Il mio obbiettivo è quello di essere il più realistica possibile riuscendo però nello stesso tempo ad inserire Katherine nelle dinamiche della cittadina.

Fatemi sapere cosa ne pensate.

Mi scuso per eventuali errori e per il layout. Ho cercato di sistemarlo ma nell'altro modo mi dava tutte le righe attaccate ed era difficile leggere.

Un bacio, Aletheia

Sneak Peek: Once Upon A December

Sentiva poco lontano da sé la voce di uno dei dignitari di corte elencarle tutti i crimini di cui era accusata.

Non che le importasse. Ormai il suo fato era stata deciso e sentire o meno tutte le scuse scelte dai due nuovi sovrani non avrebbe cambiato nulla.

“…condannata a morte”

Eccola, la frase fatale.

Il suo sorriso si ampliò. Finalmente il momento era giunto. Quella vita vuota e piena di sofferenza era finalmente giunta alla sua fine. Forse sarebbe riuscita a ricongiungersi con Daniel.

Sentì quella scusa patetica della Fata Turchina gettarle addosso un’altra manciata di polvere fatata affinché non avesse uno scoppio di magia spontaneo. Poteva addirittura sentirla sorridere mentre compiva quel gesto.

Sentì il materiale ruvido della corda entrare in contatto con la pelle del suo collo e delle mani spingerla in avanti.

“FERMI!” udì qualcuno urlare.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Once Upon A December ***


Once Upon A December

Disclaimer: Nulla mi appartiene. Once Upon A Time appartiene a ABC mentre Peter Pan e tutto ciò che è collegato a esso appartiene a J.M.Barrie.





Forse un giorno tornerò

Il mio cuore lo sente
Ed allora capirò

Il ricordo di sempre

Ed un canto vola via

Quando viene dicembre

(Quando viene dicembre - Anastasia)


Foresta incantata, trent’anni fa

Regina sorrideva. La vita aveva uno strano modo di divertirsi.

Si trovava al centro del cortile del suo castello, con le sue guardie intorno a lei, con le mani legate dietro alla schiena ed una benda sugli occhi.

La beffa nella beffa.

Giustiziata dalla sua figliastra nel luogo che l’aveva vista prima prigioniera e poi sovrana indiscussa.

Che ironia!



<< Mi dispiace, Regina >> le giunse la voce di Snow.

<< Risparmiati la farsa. Il popolo ti ama di già >> le rispose << Sappiamo entrambe che non potresti essere più felice di sbarazzarti di me >>

Biancaneve non rispose.




Sembrava che quella mocciosa avesse fatto dello scopo della sua vita distruggere la sua. Non le era bastato strapparle la felicità quando era ormai nel pugno della sua mano, non le era bastato averla rinchiusa tra le mura del castello di Leopold, non le era bastato costringerla ad una vita che non aveva mai desiderato adesso voleva strapparle anche l’ultima cosa che le era rimasto: il suo regno.

Quello stesso regno che lei aveva guadagnato di governare. Aveva passato anni al fianco di Leopold, offrendo sorrisi amari e parole dolci a quel l’uomo la cui unica colpa era stata non saperla amare. Aveva sopportato l’essere sempre paragonata alla prima regina, aveva sopportato l’essere messa da parte ogni volta che Snow faceva la sua apparizione.

Per anni aveva sopportato tutto ciò, aveva stretto i denti ed era andata avanti.

Finché arrivò al limite della sua sopportazione ed uccise Leopold.

Era l’unico modo in cui poteva essere libera.

No, quello era il suo regno.

Non aveva rubato la corona a Biancaneve o altro. Era stata la ragazza stessa a consegnare lo scettro nelle sue mani.

Lo aveva fatto nel momento esatto in cui aveva svelato il suo segreto a Cora, condannandola ad un destino peggiore della morte.

O forse addirittura prima, quando si era lasciata soccorrere.

Il quando non era importante, era importante il fatto che lei era la legittima sovrana. Era Biancaneve l’usurpatrice.

Ma nessuno di quegli sciocchi lo vedeva.




Sentiva poco lontano da sé la voce di uno dei dignitari di corte elencarle tutti i crimini di cui era accusata.

Non che le importasse. Ormai il suo fato era stata deciso e sentire o meno tutte le scuse scelte dai due nuovi sovrani non avrebbe cambiato nulla.

<< …condannata a morte >>

Eccola, la frase fatale.

Il suo sorriso si ampliò. Finalmente il momento era giunto. Quella vita vuota e piena di sofferenza era finalmente giunta alla sua fine. Forse sarebbe riuscita a ricongiungersi con Daniel.

Sentì quella scusa patetica della Fata Turchina gettarle addosso un’altra manciata di polvere fatata affinché non avesse uno scoppio di magia spontaneo. Poteva addirittura sentirla sorridere mentre compiva quel gesto.

Sentì il materiale ruvido della corda entrare in contatto con la pelle del suo collo e delle mani spingerla in avanti.

<< FERMI! >> udì qualcuno urlare

Dei mormorii confusi si diffusero tra gli spettatori di quel macabro spettacolo mentre un battito d’ali le si avvicinava.

All’improvviso gli occhi di Regina furono privati della benda e dovette sbattere le palpebre un paio di volte per abituarli alla luce.

Davanti a lei c’era una fata. Nulla di speciale, una semplice fata comune con un paio d’ali.

Eppure era riuscita a far raggelare sul posto la Fata Turchina, che ora la guardava con un misto di preoccupazione, paura e… rassegnazione?

<< Tutti hanno diritto ad una seconda possibilità e Regina non è da meno. Ha fatto molte cose orribili, i nostri nuovi sovrani non si sono risparmiati a sottolinearli tutti. Ma c’è qui qualcuno che le può puntare il dito contro? Penso proprio di no >>

Mormorii di disapprovazione riempirono l’aria ed alcuni incominciarono ad urlare “VOGLIAMO GIUSTIZIA!” o “A MORTE!”

<< Cosa suggerisci di fare? >> chiese una voce sovrapponendosi alle altre: il Grillo Parlante.

<< La magia le ha corrotto l’animo. Un mese in mondo senza di essa dovrebbe poterci dire se c’è speranza di redenzione >> spiego la fata.

Regina incrociò gli occhi di Snow e il suo sorriso si ampliò: alla bella principessa quest’idea non piaceva. La voleva morta, fuori dalla sua vita per sempre.

Ma forse c’era ancora una possibilità per Regina di uscire vincitrice.

<< Ti rendi conto di quello che ci stai chiedendo di fare, Dikaia? >> esclamò la Fata Turchina

<< Trenta giorni in un mondo senza magia. Né uno in più né uno in meno. Poi il suo fato sarà deciso >>



***



Biancaneve le porse una sacca il cui contenuto fu subito controllato da Regina, che lasciò scappare una risata divertita

<< Molto divertente, Snow >>

<< Chi lo sa, forse ti tornerà utile una volta rimesso piede nella Foresta Incantata >>

Fu un attimo e dalla piazza del castello si ritrovò in quella che pareva una stalla.

Regina notò che i suoi vestiti erano cambiati. Dal semplice abito grigio scuro che aveva indossato per l’esecuzione adesso indossa dei pantaloni ed una camicia.

Fece vagare lo sguardo intorno a sé e la sua attenzione fu catturata da un destriero poco distante da lei. Aveva il manto completamente nero ma la criniera e la coda erano bianche.

Gli si avvicinò ed incominciò ad accarezzarlo. Il cavallo all’inizio era un po’ riluttante a farsi toccare da un’estranea ma presto si lasciò andare al tocco esperto di Regina.

Era così intenta ad occuparsi del cavallo che non si accorse che qualcuno le arrivava alle spalle finché una voce non la fece sobbalzare. 

<< Tu devi essere nuova >>

Regina si voltò di scatto e i suoi occhi incrociarono quelli di un ragazzo più giovane di lei. Aveva i capelli castani e occhi color azzurri, che avevano una scintilla speciale.

Ma ciò che la colpì fu il sorriso.

Era un misto tra il sorriso più luminoso e il ghigno più terrificante.

<< Il mio nome è Tom. E tu saresti? >>

<< Perché dovrei rivelare il mio nome ad uno sconosciuto? >> chiese con aria altezzosa.

Come si permetteva di darle confidenza? Non sapeva chi era?

Qui non sono più la regina cattiva realizzò infine.

Ma non era dispiaciuta, come aveva pensato d’essere all’inizio. Era felice e speranzosa. Forse poteva iniziare tutto da capo

<< Giusta osservazione. Sai, sono sicuro non di aver mai visto la tua richiesta d’iscrizione al club quindi devi esserti intrufolata >>

Nei guai già il primo giorno pensò amaramente. Forse non sarebbe potuto cambiare mai nulla

Probabilmente la sua preoccupazione doveva essersi manifestata sul suo volto perché il ragazzo non perse tempo a rassicurarla.

<< Sei fortunata ad aver incontrato me. Da dove arrivi? >>

<< Da molto lontano >> rispose vaga

<< Perché ho come l’impressione che tu non abbia un posto dove stare? >>

Regina non gli rispose ma tornò la sua attenzione al cavallo.

<< Puoi venire a stare da me >>

Ma non demorde mai?

<< Non sei un po’ troppo giovane per me? >> gli chiese scherzando

<< Hei! Non ti sto mica chiedendo di venire a letto con me. E poi piaci a Pegasus e a lui di solito non piace mai nessuno >>




<< Papà, questa è Regina >> disse Tom incoraggiandola a fare un passo avanti.

Regina cautamente si avvicinò all’uomo che stava osservando fuori dalla finestra con un bicchiere in mano. Era vestito di tutto punto: un completo elegante, cravatta di raso e gemelli d’oro. Ad essere sinceri quell’uomo, semplicemente rimanendo accanto alla finestra, incuteva timore a Regina.

<< È un onore fare la vostra conoscenza, mio signore >> disse facendo un inchino.

Tom la guardo divertito, ritenedendo il suo comportamento quasi assurdo, ma il padre invece s’irrigidì per poi avvicinarsi di più per vederla meglio.

<< Una parola in privato, se permettete >> disse conducendola verso la stanza accanto.

<< Venite dalla Foresta Incantata, non è vero? >> chiese andando dritto al punto.

Regina lo fissò sorpresa, in quel mondo nessuno era a conoscenza della magia. Aprì la bocca un paio di volte cercando qualcosa da dire e l’uomo, capendo la difficoltà in cui la donna si trovava, cercò di toglierla d’impiccio.

<< Il mio nome è William Reed ma nel vostro mondo sono conosciuto come Baelfire >>




Storybrooke, presente



<< Allora? >> chiese Granny a Red

La ragazza, appena saputo dell’estraneità di Katherine dal loro mondo, non aveva esitato ad avvertire sua nonna, James e la fata turchina. Aveva addirittura chiamato Regina e il signor Gold, sapendo che avrebbero avuto bisogno di tutta la magia possibile per uscirne vivi.

<< Sembra a posto. Penso davvero che ci sia qualcosa che l’abbia spinta a venire qui. Magari appartiene al nostro mondo e lei neppure lo sa >>

La bionda le era sembrata davvero una ragazza normale, di cui non bisognava avere paura. Certo, non bisognava mai fidarsi delle apparenze, chiunque appartenesse al loro mondo lo sapeva bene.

Eppure qualcosa negli occhi della ragazza l’aveva convinta che non fosse un pericolo. In fondo quante persone potevano sapere cosa succedeva all’interno della città?

Le possibilità erano solamente due: o si era trovata lì per caso o davvero aveva a che fare con loro. Qualunque fosse era più che sufficiente per lasciarla in pace, secondo lei.

Ovviamente sapeva che gli altri erano di parere contrario, non avrebbero permesso a nessuno di venire a conoscenza della loro vera natura e di sicuro non avrebbero tenuto un profilo basso solo per permetterle di soggiornare a Storybrooke. Ma Red aveva già preso a cuore quella ragazza che le ricordava tanto una persona di sua conoscenza: lei stessa.

Entrambe, da quello che le aveva raccontato, erano guardate con sospetto dalle persone intorno a loro, con la sola differenza che Katherine voleva essere guardata così, o almeno le aveva fatto credere. Ma Red era un’esperta nel riconoscere le barriere che qualcuno ereggeva intorno a sè ed era più che evidente che tutto ciò che quella ragazza voleva era essere desiderata, amata, avere qualcuno su cui contare che non le mettesse troppa pressione; però c’era qualcosa che la bloccava, che non le permetteva d’essere se stessa e che l’aveva costretta ad innalzare quei muri. E la mora sapeva bene cos’era, perché anche lei lo aveva provato, anzi lo provava ancora: era la paura di essere giudicata, di essere ferita ancora, di lasciarsi andare anche solo per una volta per poi scoprire che tornare indietro non era poi così facile.

In lei rivedeva se stessa ed era per quello che era riuscita a legare con la ragazza così velocemente. Perché la capiva anche se non aveva detto nulla e sapeva che in lei avrebbe potuto trovare qualcuno che la capisse appieno. Snow non la giudicava ma non poteva sapere cosa voleva dire farsi del male per evitare che lo facesse qualcun altro. Ma Katherine sì, perché anche lei aveva scelto quella strada, glielo leggeva negli occhi, ma diversamente da lei, lei non aveva una Snow che potesse aiutarla a capire che delle volte lasciarsi andare è la cosa migliore da fare.

<< Dobbiamo costringerla a lasciare la città. Siamo nel bel mezzo del recupero di Sua Maestà e di sua figlia. Non possiamo interrompere tutto per paura che un’estranea venga a conoscenza dell’esistenza della magia >> propose la Fata Turchina, che ricevette un’occhiataccia da Red.

<< Ha ragione. Snow ed Emma sono la nostra priorità >> l’appoggiò James

<< E se fosse come la tua adorata figliola? >> chiese Regina, parlando per la prima volta avvicinandosi di più al gruppo

<< Che cosa intendi dire? >>

<< La signorina Swan ed Henry sono riusciti a superare la barriera poiché entrambi hanno un collegamento col nostro mondo: in questo caso tu e tua moglie. E se fosse lo stesso per lei? >> spiegò Regina

<< è possibile? >> chiese Red sorpresa, nonostante il pensiero avesse colto anche lei.

<< La magia qui è imprevedibile. È possibile che nel trasportare tutti in questo mondo dal nostro qualcosa sia andato storto e lei sia stata inviata in un luogo diverso. Oppure che sia legata a qualcuno che tempo fa è stato bandito qui >>

<< Oppure la barriera si è dissolta >> propose James, cercando di opporsi a Regina che incolpava ancora della perdita della sua famiglia.

<< Impossibile, dearie. L’avrei sentito, solamente una gran quantità di magia può distruggerla, ne so qualcosa. Sua altezza ha ragione, la ragazza deve aver un qualche collegamento col nostro mondo >>

<< Che cosa proponete di fare dunque? >> chiese Granny, stufa delle continue chiacchiere.

Non le piaceva il mondo in cui si stava discutendo di quella ragazza, come se fosse un semplice oggetto di cui sbarazzarsi. Nessuno meritava quel trattamento, nemmeno la regina, quindi tanto meno quella povera ragazza.

Inoltre aveva letto la preoccupazione negli occhi di Red. Per qualche motivo sua nipote si sentiva legata a quella ragazza e, cascasse il cielo, non avrebbe permesso nessuno di ferirla ancora.

<< La ragazza ha intenzione di fermarsi, non è vero? >> chiese Gold e Ruby annuì semplicemente.

<< Bene. Domani mattina inviala da me e allora sarò in grado di prendere una decisione >>

<< Con che scusa? >>

<< Ma l’appartamento dei Nolan, mi sembra ovvio >> disse

<< E se fosse interessata in qualche altra casa? >>

<< Non ci sono altre case >> rispose Gold, lanciando uno sguardo eloquente a tutti i presenti



Foresta incantata, trent’anni fa



Regina aprì gli occhi di scatto e s’accorse di non trovarsi più nella sua camera bensì in una foresta.

I trenta giorni erano scaduti.

Sentì come una mano intorno al cuore e respirare divenne difficile.

Per un momento fu tentata di accettare il consiglio offertole dalla figliastra poco prima di partire realizzando però di aver lasciato tutti i suoi averi nell’altro mondo. Pensò di agire alla vecchia maniera, un pugnale sarebbe stato ciò che le serviva ma un paio d’occhi azzurri la fecero tornare sui suoi passi.

Lei era la regina cattiva, non si sarebbe fatta sconfiggere così facilmente!

Si alzò in piedi e pensò al da farsi. Probabilmente Snow e il suo principe si trovavano al palazzo d’estate il che lasciava il suo palazzo libero.

Ma come arrivarci?

Si diede mentalmente della stupida. Era di nuovo nella Foresta Incantata il che voleva dire che aveva di nuovo a sua disposizione la sua magia.

In un battito di ciglia svanì circondata da fumo viola.



Camminò spedita tra i corridoi del suo palazzo senza degnare le guardie che s’inchinavano al suo passaggio.

Si fermò improvvisamente, colta da un forte giramento di testa. Subito una delle guardie le si avvicinò e l’aiutò a rimanere in piedi.

Una volta ripresasi riprese il suo cammino e si fermò solamente una volta giunta dinanzi al suo specchio.

<< Mostrami Biancaneve >>

Immediatamente sulla superficie comparve la figura della sua figliastra che quando si accorse dell’immagine della regina riflessa nel suo specchio assunse un’aria preoccupata.

<< Io lascerò voi in pace se voi lascerete in pace me. Ho altro di cui occuparmi al momento >> disse senza lasciarle occasione di ribattere.

Si diresse immediatamente nelle cucine e dare nuove istruzioni al cuoco.

Le cose stavano per cambiare, ne era più che certa.




Ormai aveva fatto l’abitudine alle nausee e ai forti mal di testa.

Ricordava di una volta in cui sua madre le aveva raccontato della sua gravidanza, di come era stata dolorosa segno della buona salute e della potenza dell’essere che cresceva nel suo grembo.

<< Sapete già se sarà maschio o femmina? >> le chiese il genio.

<< Sarà una femminuccia, me lo sento >>


Quattro mesi dopo, stremata come non mai, Regina stringeva tra le sue braccia la sua bambina, la sua Anastasia.

La neve imbiancava tutte le terre e lei era riuscita a crearne un po’ nella stanza in cui si trovavano, per dare a sua figlia un’idea dell’elemento in cui era nata.

Una dama entrò portando i doni di Regina per la sua piccola e li porse alla sua sovrana. La donna prese la collana con una pietra d’onice, in cui aveva fatto incidere la terra A, e la mise intorno al collo di sua figlia mentre faceva partire il carillon.

<< Questa dolce melodia è il ricordo di sempre. Tu con me, amor mio, quando viene dicembre >> cantò alla piccola Anastasia per farla addormentare.

All’improvviso le porte si spalancarono e fecero la loro apparizione Snow e Charming, seguiti da Red e sua nonna, i nani e quattro cavalieri.

<< Allora è vero >> mormorò Grumpy tenendo gli occhi fissi sulla bambina stretta tra le braccia della madre.

<< Beh, sono felice che vi siate presi il disturbo di venirci a trovare. Ora gradirei se ve n’andaste >>

Charming rinfoderò la spada e si avvicinò al letto tenendo gli occhi incollati sulla donna.

<< La bambina, Regina >> disse porgendo le braccia per prendere la piccola.

<< Prima dovrai uccidermi >>

In un attimo fu spinta contro i cuscini da quattro forti paia di braccia mentre James prendeva la bambina.

<< No! Cosa volete farle? >> domandò Regina col panico evidente nella voce

Fu Grumpy a risponderle << Sarà lei a pagare per i tuoi crimini >>

Regina sbiancò e cercò di divincolarsi dalla presa dei nani mentre osservava il principe passare sua figlia tra le braccia di Snow.

<< No, non potete farlo! NO! >> urlò mentre la lasciava andare e pian piano si allontanavano dal suo letto per seguire i due sovrani.

Regina si disfò delle coperte e tentò di alzarsi col suo risultato di cadere rovinosamente a terra

<< ANASTASIA! >>



***



La sala delle riunioni era piena di gente. I Charmings, Geppetto, i sette nani, Red e sua nonna, il Grillo Parlante, la Fata Turchina…non mancava nessuno.

La discussione era accesa, si doveva decidere del destino di un infante

<< Dobbiamo ucciderla >> decretò infine James.

<< Forse non ce ne bisogno. Forse potreste accudirla voi, come se fosse vostra figlia. Oppure potrei prenderla io >> cercò di proporre Red.

<< No, James ha ragione. Non possiamo correre nessun rischio. È la figlia di Regina, chissà di cosa sarà capace. Ed una volta scoperto che l’abbiamo separata da sua madre… >> intervenne Snow

<< Non esiterà ad ucciderci tutti quanti >> finì per lei Granny.

<< Allora è deciso >> annunciò James, brandendo un pugnale ed avvicinandosi alla culla in cui era stata riposta la piccola Anastasia.

Sollevò il braccio e si preparò a colpire quando la bambina aprì gli occhi.

Non pianse o nient’altro, si limitò a guardarlo con quei suoi occhi azzurri.

E la volontà gli venne meno.

<< Io…non posso farlo >> disse abbassando il braccio e gettando a terra il pugnale.

<< Qualcuno dovrà pur farlo >> intervenne la Fata Turchina

<< Rumpelstiltskin >> propose infine Grumpy




 Storybrooke, presente



<< Buon giorno! Come hai dormito? >> disse Ruby non appena Katherine fece il suo ingresso nel locale

<< Come fai ad essere così pimpante? >> chiese quest’ultima appoggiando la testa sul bancone, troppo assonnata per non resistere alla tentazione.

<< è un nuovo giorno e nulla è successo. Un buon motivo per essere raggianti. Tu invece hai una cera… >> scherzò la mora storcendo il naso e porgendole una tazza di caffè fumante

<< Molte grazie >> rispose sarcastica Katherine

<< Seriamente, tutto bene? >> chiese Ruby preoccupata, appoggiando una mano sulla sua.

In meno di ventiquattro ore le due avevano già legato, grazie a tutto il tempo passato a chiacchierare, e la Reed incominciava già a sentirsi un po’ a casa.

<< Sì, nulla che non posso gestire >> rispose con un sorriso forzato.

Aveva di nuovo avuto quell’incubo ed era sicura di aver visto qualcuno, una ragazza. Si era svegliata in preda al panico alle due di notte e non era più riuscita a chiudere occhio, troppo spaventata dall’idea di tornare in quella stanza.

Quindi si era messa a fare l’unica cosa che le era venuta in mente: pensare a Killian. Ovviamente ciò non aveva aiutato il suo morale, anzi, lo aveva peggiorato. Aveva sentito la sua mancanza maggiormente delle altre volte, aveva desiderato ritrovarsi tra le sue braccia mentre lui le sussurrava di stare tranquilla, che lui era al suo fianco e non l’avrebbe lasciata e che al suo risveglio lui sarebbe stato lì pronto a prendersi cura di lei.

<< Se vuoi parlare sono qui. Passando ad altro, che programmi hai per la giornata? >>

<< Pensavo di fare un giro in città. Magari trovare un appartamento e forse anche qualcosa da fare per occupare il tempo >>

Ruby, ricordando le parole di Gold della sera prima, si sforzò a parlale: << Se non mi sbaglio l’unico appartamento disponibile è quello dei Nolan. Si sono appena separati ed entrambi vivono da amici. Il proprietario è il signor Gold, il cui negozio è poco distante da qui, qualche metro dopo la biblioteca. Per quanto riguarda il lavoro cosa ti piace fare? >>

<< Mi piace leggere, mi ha sempre aiutato a non impazzire >>

<< Perfetto! La biblioteca sta per aprire e sono sicura che Belle accetterà la tua mano più che volentieri >>

Katherine la guardò indecisa, non credeva fosse l’idea più saggia. Non era brava a relazionarsi con le persone, Ruby era stata un’eccezione, e di certo lavorare a stretto contatto con questa Belle non sarebbe stato facile.

La mora scacciò il pensiero con la mano e la bionda si diresse fuori dal locale, verso il negozio del signor Gold.

 


Foresta incantata, ventinove anni fa



Snow avanzava lungo il lugubre corridoio con la bambina stretta tra le braccia e un pugnale legato alla vita. Teneva il viso alzato e si stava impegnando con tutte le sue forze per non abbassarlo.

Sapeva che se lo avesse fatto avrebbe fatto marcia indietro ed avrebbe tenuto la piccola con sè.

Ma sapeva anche che non poteva, era necessario sbarazzarsene.

Lei più degli altri sapeva di cosa era capace Regina. Quella donna era spietata e non si faceva scrupoli.

E se Anastasia, una volta cresciuta, avesse scoperto la verità sulle sue origini poteva decretare la fine della loro famiglia.

Non poteva permetterlo.

Per quanto quella piccolina fosse innocente non poteva rischiare di crescere un mostro.

Ma era difficile rimanere impassibili quando quella creaturina ti guardava con i suoi occhi azzurri come il cielo in estate.

Perciò tirò un sospiro di sollievo quando intravide le sbarre della prigione di Rumpelstiltskin.

<< Ma che sorpresa, dearie >> la salutò l’Oscuro

<< Saltiamo i convenevoli. Ho bisogno del tuo aiuto >>

<< Sono tutt’orecchi, dearie >> disse appoggiando le mani sulle sbarre.

Snow guardò la bambina e notò che si era addormentata. La scoprì del mantello con cui l’aveva coperta e la mostrò a Rumpelstiltskin.

<< Devi ucciderla >>

L’Oscuro sembrò preso in contropiede. Certo non si sarebbe mai aspettato una richiesta del genere da Biancaneve. 

<< E perché dovrei farlo? >>

<< Perché è la figlia di Regina >> Snow sapeva di averlo in pugno.

Se c’era qualcuno che odiava la sua matrigna più di lei quello era Rumpelstiltskin. Non si sarebbe di certo lasciato scappare l’occasione di ferirla nel modo più atroce.

<< Ma sia ben chiaro che tu sei in debito con me, maestà >>

Snow annuì e l’Oscurò si lasciò scappare una risata di soddisfazione.

La donna si avvicinò alle sbarre e l’uomo chiamò a sé la bambina che gli apparve tra le braccia.

<< Ora potete andare, mi occuperò io di lei >>

Lei gli porse il pugnale prima di voltargli le spalle e precipitarsi via di li.

Rumple appoggiò la bambina sul giaciglio che gli faceva da letto e prese il pugnale.

Con un ghigno sul viso lo portò sopra la sua testa e si preparò a conficcarglielo nel cuore

<< NO! >>

Si voltò di scatto e vide quella stessa fata che aveva salvato la vita della sua allieva.

Tale madre, tale figlia pensò divertito.

La scacciò con un gesto della mano per poi rivolgere di nuovo l’attenzione alla bambina.

Che nel frattempo aveva aperto gli occhi.

<< Impossibile >> sussurrò.

E poi la bambina svanì davanti ai suoi occhi.



***



Snow e James erano persi l’uno degli occhi dell’altro. Quello era il giorno più felice della loro vita. Finalmente sarebbe stati insieme per sempre. Come marito e moglie.

Potevano desiderare di più?

Circondati dalle persone che amavano il loro sogno stava per realizzarsi.

Avrebbero vissuto per sempre felici e contenti.

Avrebbero formato una famiglia, avrebbero cresciuto i loro figli e li avrebbero guardati mentre coronavano il loro sogno.

Tutto era perfetto e sarebbe continuato ad esserlo.

Peccato che non avessero tenuto in considerazione una certa regina.

Le porte del salone si spalancarono e Regina fece il suo ingresso. Tutti immediatamente si strinsero tra loro cercando di mettere più distanza possibile tra loro e la sua figura.

Il principe, ora re, sfoderò la sua spada e la puntò contro la donna.

<< Ma che bel quadretto felice >> disse Regina sorridendo.

Portò le mani davanti a se per poi riporle sulla sua gonna.

Le guardie allarmate dal gesto avevano sfoderato anche loro le spade che con un movimento della sua mano la sovrana fece dissolvere in polvere.

<< Non c’è motivo di usare la forza. Sono solo venuta a porgere le mie congratulazioni agli sposi. Immagino che vi stiate godendo il momento. Finalmente avete il vostro lieto fine >>

In un attimo il sorriso scomparve dalle sue labbra e il suo sguardo divenne di ghiaccio. Incominciò a camminare verso l’altare guardando intorno a sé

<< Presto tutto ciò che amate, ciò a cui tutti voi siete legati, vi sarà portato via >> incominciò.

Si fermò una volta giunta davanti ai due novelli sposi e continuò << Per sempre! E dalla vostra afflizione sorgerà il mio trionfo. Distruggerò la vostra felicità, ve lo prometto. Dovesse essere l’ultima cosa che faccio >>

E non potrete fare a meno di incolpare voi stessi parole mai pronunciate ma che della cui esistenza i due giovani erano pienamente consapevoli.



Storybrooke, presente



Nei pochi metri che percorse sentì un’angoscia dentro di sé mentre tutti i passanti le rivolgevano degli sguardi carichi di stupore misto a paura e rabbia.

Perciò fu terribilmente grata e tirò un sospiro di sollievo quando si chiuse alle spalle la porta del negozio.

Era un negozio di antiquariato, come quello in cui era solita trascorrere il suo tempo quando si trovava a Londra.

Il passato l’aveva sempre affascinata e trovarsi in mezzo a tanti ricordi d’anni ormai passati la faceva sentire a casa. C’era sempre un qualcosa in quegli oggetti che l’attirava, come se per qualche motivo lei non appartenesse quel mondo ma uno molto più simile al passato in cui le sarebbe piaciuto vivere.

Incominciò a guardarsi intorno, felice di aver ritrovato qualcosa della vecchia lei, assorbita completamente dai vari oggetti sugli scaffali finché una voce non la fece trasalire.

<< Posso aiutarla, cara? >>

Dietro al bancone si trovava un uomo in un completo costoso, con i capelli lunghi fino alle spalle ed un bastone appoggiato di fianco a lui.

Aveva l’aria di uno di quegli uomini con cui scontrarsi sarebbe stato fatale per chiunque. Era sicuro di sé, come se avesse potuto aver il mondo ai suoi piedi con un semplice schiocco delle dita eppure a Katherine non sfuggì lo stupore che attraversò i suoi occhi.

<< Lei deve essere il signor Gold >> disse avvicinandosi al bancone.

L’uomo annuì mentre lei si osservava intorno casualmente mentre riprendeva a parlare << Sono qui per l’appartamento dei Nolan >>

Dritta al punto pensò Gold, colpito dalla sicurezza che quella ragazza mostrava. Non capitava certo tutti i giorni che qualcuno fosse in grado di indirizzarsi a lui come se fosse un suo pari. Ma certamente da lei non si sarebbe potuto aspettare di meno.

<< Penso che la faccenda sia alquanto complicata >>

<< Mi dica un prezzo >>

Lui sorrise, non potendo fare a meno di analizzare gli occhi della ragazza.

La stessa identica scintilla, solo il colore è differente. Per il resto potrebbero essere i suoi

<< Non è così semplice. L’appartamento è inutilizzabile per qualche settimana >>

<< Non è un problema. Sono sicura che Granny non mi sbatterà fuori >> rispose Katherine abbozzando un sorriso che subito fu imitato dall’uomo.

<< Che ne dice di stringere un patto? >> propose Gold.

Katherine, incuriosita, gli fece cenno di continuare. Lui non perse tempo e fece il giro del bancone finché non le fu di fronte.

Quella era l’occasione per esserne certo, per riparare al suo unico errore.

<< Io le venderò l’appartamento se lei accetta d’essere ospite a casa mia per il tempo rimanente >>

La Reed lo guardò stupita. Pensava davvero che avrebbe accettato? Insomma, anche i bambini sapevano che dovevano tenersi alla larga dagli sconosciuti, figuriamoci andarci ad abitare insieme. Di certo non era così ingenua. Non era una ragazza alle prime armi; era stata in grado di far piangere le innumerevoli segretarie di suo padre con un semplice sguardo, di far perdere la sicurezza a coloro che volevano compare i diritti sul lavoro di suo nonno. Di certo non sarebbe stato un uomo qualunque a farla piegare.

Eppure, nel momento stesso in sui aveva pronunciato quella frase, lei sapeva di non avere scelta. Aveva letto la sfida nei suoi occhi come se fosse stato certo che lei avrebbe rifiutato. E se c’era una cosa che distingueva i componenti della famiglia Reed era il fatto che non si ritiravano mai da una sfida.

Leggendo dal suo viso che la decisione era testa presa, Gold le offrì la mano, che Katherine strinse senza esitazione.

E un fascio di luce scaturì dalle loro mani, unendole tra loro, sigillando un patto che nessuno avrebbe mai potuto spezzare.

Nel vedere la luce intorno alle loro mani unite Rumpelstiltskin fu riempito da una gioia che gli era stata estranea ormai da tempo e una lacrima sfuggì al suo controllo senza essere notata dalla ragazza che era rimasta estranea a quella manifestazione di magia.

Questo cambia tutto pensò Gold

In quel momento il campanello suonò, avvertendo i due di un’altra presenza all’interno del locale.

Sottraendo la mano dalla presa dell’uomo Katherine si voltò, incrociando gli occhi di una donna che poteva essere descritta in un unico modo: regale.

<< Allora abbiamo un accordo >> disse rivolgendosi a Gold, prima di andare verso l’uscita.

Per sbaglio sfiorò il braccio della donna e un’onda di magia si sprigionò dal punto in cui le due si erano toccate riempiendo di chiarore l’aria. E questa volta Katherine se ne accorse e lasciò che lo stupore si manifestasse sul suo volto prima di precipitarsi fuori dal negozio.

<< Cosa è stato? >> chiese Regina a Gold.

L’ultima volta che quel tipo di magia si era sprigionato da lei era stato con Daniel ed Emma era riuscita a farle ricordare come fosse quando aveva risvegliato Henry.

Ed ora un semplice tocco da parte di una sconosciuta era riuscito a produrre lo stesso effetto del bacio del vero amore.

Dire che era confusa e stupita era un eufemismo.

<< Quello era l’inizio di un’indissolubile alleanza. Quello è ciò che ha unito i nostri destini. Per sempre >>

A Regina non servirono altre parole per capire. Le era bastato notare la singola lacrima che rigava il volto dell’uomo che avrebbe dovuto essere il più crudele di tutti. Aveva sentito le voci e ciò che in passato le era sembrato una causalità le era stato chiaro, cristallino.

Perché nulla accade per caso, tutto aveva uno scopo.

Anche la sofferenza di cui era stata vittima per trent’anni, di cui finalmente poteva vedere la fine.

Si portò una mano sul cuore e pian paino un sorriso si fece strada sul suo volto, seguito da quello di Rumpelstiltskin.

Perché finalmente anche loro potevano avere il loro lieto fine, essere felici e tutto grazie agli errori da loro commessi: la promessa non mantenuta di lui e il sortilegio di lei.

Sarebbero stati uniti e non per ferire qualcuno ma semplicemente grazie ad una sola persona, che li aveva legati senza neppure saperlo

<< La mia bambina >>




Foresta Incantata, presente



<< Pensi che riusciremo a sconfiggere Cora? >> chiese Emma alla madre.

<< So che torneremo a casa >>

<< è tutta colpa mia. Se avessi creduto ad Henry non ci troveremmo qui >>

<< Se io non avessi detto a Cora del vero amore di Regina Cora non l’avrebbe ucciso, Regina non avrebbe voluto vendetta e il sortilegio non sarebbe mai accaduto. Possiamo trascorrere tutto il giorno cercando di capire perché dovremmo sentirci colpevoli ma non ci aiuterà a tornare a casa >> ribatté Snow, rifiutandosi di sentire certi discorsi uscire dalla bocca di sua figlia

<< È Regina. Regina, è lei che dovremmo incolpare >>

Snow la guardò con un sorriso malinconico prima di prenderle una mano fra le sue e dirle << Se c’è qualcuno che dovresti incolpare, quella sono io. La mia colpa non è solo legata all’uccisione di Daniel. Tutto ciò che Regina ha sempre voluto è ripagarmi con la stessa moneta. Lei ha perso sua figlia a causa mia, io avrei dovuto perdere la mia >>

Nessuna delle due donne si accorse della presenza di Aurora* poco lontana da loro e dello sguardo interessato che aveva rivolto loro.

E di certo non potevano immaginare che Hook e Cora avessero sentito ogni singola parte della loro discussione, e che quest’ultima fosse più determinata che mai ad arrivare a Storybrooke.

 


 




Ciao a tutti!

Questo capitolo è incentrato sulla figura di Regina e i primi approcci di Katherine con i due rimanenti membri della sua famiglia.

Eh sì, Katherine è proprio la figlia di Regina e la bisnipote di Rumpel.

E questo è esattamente ciò che mi ha tenuta sveglia.

Come idea mi sembra carina, a me piace, ma ho paura che sia troppo scontata/irreale/non-so-cosa

Devo ammettere che però l’idea non è completamente mia. Per la vicenda della doppia parentela sono stata ispirata dalle varie teorie che girano in rete secondo le quali Neal sarebbe Bae e di conseguenza Henry sarebbe il nipote di Gold, dei Charming e il figlio di Regina.

Però a me questa teoria non convince molto per il problema dell’età: per alcuni la soluzione è che Bae sia in realtà Peter Pan ma il problema è che lui è stato inviato in un mondo senza magia e l’isola che non c’è ha magia.

Okay, sto perdendo il filo del discorso.

Vorrei davvero sapere cosa pensate di questa faccenda visto che adoro l’idea di Regina come mamma e di Rumpel come nonno.

Spero di non aver offeso nessuno con il ritratto che ho dato di Snow e James. In un certo senso ho amplificato il loro comportamento di “The Cricket Game”. Forse nella Foresta Incantata non avrebbero tolto una bambina a sua madre ma a Storybrooke? Ho semplicemente trasportato nel passato il comportamento del presente.

La scelta dell’utilizzo dei nomi inglesi piuttosto che italiani è puramente personale. Se penso che nel contesto si adatti meglio il nome italiano utilizzò quello altrimenti la versione originale.

Altra notizia: FASE 1 COMPLETATA.

Abbiamo scoperto di più sulla figura di Katherine e l’abbiamo vista muovere i primi passi all’interno della cittadina.

Dal prossimo capitolo incomincia la Fase 2, detta anche Fase Ritrovamento. Già, nel prossimo capitolo il nostro affascinante capitano sbarcherà a Storybrooke ed ovviamente i due si rincontreranno.

Posso anticiparvi che non il prossimo, ma il successivo capitolo sarà incentrato completamente sui due piccioncini: flash-back dei loro tempi a Neverland e le loro interazioni nel presente.

Inoltre da questo capitolo in aventi potrebbe essere presenti avvenimenti dello show ma in ordine sparso. *In questo caso il momento madre-figlia è stato posticipato dopo che Aurora si è riunita al gruppo.

Mi scuso per eventuali errori e/o sviste e rinnovo l’incentivo a lasciare una recensione, anche piccola piccola.

A giovedì prossimo

Un bacio, Aletheia

P.S.

Piccola flash-fic sui pensieri di Rumpel http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1552361&i=1

 

Sneak Peek: Coming Home

 

<< Volevi davvero partire senza salutarmi? >> 

<< Purtroppo non è un viaggio rimandabile >>

<< Sembra incredibile ma mi mancherai >> disse la ragazza lasciandosi sfuggire una lacrima

<< Anche tu, piccola >> rispose Gold, asciugando la guancia della nipote

Si rivolse poi a Belle per scambiarsi un bacio d’addio e proprio in quel momento Hook emerse dagli alberi, con la pistola in mano e il dito sul grilletto.

Ma si sa, il destino ha un piano tutto suo e nell’esatto momento in cui il pirata premette il grilletto una forza sconosciuta spinse Katherine a spostare Belle ed abbracciare Gold.

----------------------------------------------------------------

<< Non so se dovrei baciarti o prenderti a schiaffi >>

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Coming Home ***


Coming Home

Disclaimer: Nulla mi appartiene. Once Upon A Time appartiene a ABC mentre Peter Pan e tutto ciò che è collegato a esso appartiene a J.M.Barrie.

 


But I know, no matter what it takes

I’m coming home, I’m coming home

Tell the world I’m coming home

Let the rain wash away

All the pain of yesterday

I know my kindom awaits

And they’ve forgiven my mistakes

I’m coming home, I’m coming home

Tell the world I’m coming

(Coming Home Part II – Skylar Grey)



 


Neverland, trenta sette anni fa


Katherine aprì piano gli occhi lasciandosi sfuggire un sospiro di dolore. Sentiva tutto il corpo indolenzito, come quando ci si sveglia dopo un giorno in cui non si è mai stati fermi.

Appoggiò i palmi al suolo e si sollevò in posizione seduta, guardandosi intorno. Si trovava in una radura illuminata dal sole e poteva sentire l’acqua scorrere vicino a lei.

Costringendosi ad alzarsi si fece strada tra gli alberi finché non giunse ad una cascata. Lì si avvicinò alla riva del lago ed incominciò a bere: era l’acqua più buona che avesse mai provato ma forse era dovuto al fatto che si sentiva come se non avesse bevuto da giorni.

Tutto il luogo irradiava una sensazione di pace. O almeno, le sembrò pacifica finché non vide riflessa nell’acqua l’immagine di un ragazzino con in mano un pugnale. Aveva capelli biondi spettinati, occhi verdi con una scintilla di furbizia ed era vestito una tunica fatta di foglie e liane.

Katherine si alzò lentamente e alzando le mani davanti a sé si voltò verso lo sconosciuto che la guardava con sospetto.

<< Cosa ci fa una ragazza a Neverland? >> domandò più a se stesso che a lei.

La ragazza in questione si irrigidì sul posto.

Neverland? pensò

Forse aveva capito male. Di sicuro non poteva trovarsi a Neverland, quel ragazzo la stava prendendo in giro. Insomma quella era un’isola inventata da James Matthew Barrie, il luogo in cui aveva ambientato le avventure dei suoi protagonisti: Peter Pan, Capitan Uncino, Campanellino, i Bimbi Sperduti e i tre fratelli Darling. Protagonisti di uno spettacolo teatrale, un libro e un film per bambini.

Non era reale, non poteva essere reale.

Lei era cresciuta leggendo le avventure del bambino che non voleva crescere, immaginando che un giorno sarebbe apparso alla sua finestra e l’avrebbe portata con lei sull’Isolachenonc’è, dove avrebbe nuotato con le sirene, passato sere con gli indiani, giocato con i Bimbi Sperduti e combattuto i pirati.

Quante volte aveva sognato di rubare l’uncino al Capitano e di darlo in pasto al coccodrillo, solo per poter vedere una di quelle scene esilaranti del film.

Ma poi era cresciuta, lasciandosi alle spalle la sua infanzia ed entrando nel mondo degli adulti.

Ed ora quel ragazzino voleva farle credere di trovarsi su un isola dove non esiste tempo, senza contare che suddetta isola era frutto dell’immaginazione di un uomo.

Doveva avere qualche problema: solo perché giocava ad essere Peter Pan non voleva dire che lo fosse.

E fu allora che lo vide: mentre con una mano brandiva il pugnale nell’altra stringeva un cappello verde con una piuma rossa.

<< Mi stai prendendo in giro >> mormorò

Il ragazzo la guardò confuso, prima di abbassare l’arma, apparentemente colpito dallo stato in cui si trovava lei.

<< Tu saresti Peter Pan? >> chiese incredula.

<< Il solo e unico. E tu sei? >>

In quel momento era sicura di sembrare un pesce. Continuava ad aprire e chiudere la bocca, troppo stupita per dire qualcosa.

Continuava a scorrerle nella mente le immagini dei vari film e rappresentazioni teatrali che aveva visto: dallo scontro con un Uncino al primo incontro di Peter e Wendy.

Wendy

<< Wendy, Wendy Darling >>


 

Storybrooke, presente

<< Chi sei? >>

Katherine interruppe la lettura dell’incontro tra Peter Pan e Wendy Darling e sollevò lo sguardo dal suo libro.

Seduto davanti a lei c’erano un bambino che nei giorni precedenti aveva visto spesso insieme al sostituto sceriffo.

Il figlio del sindaco, se non sbaglio. Henry Mills

<< Ciao anche a te >> disse sarcastica

La sua attenzione fu catturata dalle due persone che entravano nel locale in quel momento: Belle e il signor Gold, i suoi due nuovi coinquilini.

Salutò la ragazza, che ricambio il gesto mentre l’uomo fece vagare lo sguardo tra le due prima di condurre Belle ad un tavolo.

Faticava ancora a credere quanto fosse stato facile legare con i due. Gold le ricordava suo padre: entrambi avevano la passione per manufatti che non interessavano nessuno ed entrambi erano scostanti ma infondo dolci.

Invece Belle le ricordava la protagonista della “Bella e la Bestia”, personaggio in cui si era identificata molte volte.

Era forte e determinata, non si faceva mettere i piedi in testa facilmente e non gettava mai la spugna. Per non menzionare la sua passione per i libri.

Il giorno in cui Katherine si era straferita a casa del signor Gold, una settimana prima, la ragazza aveva cercato di iniziare una conversazione dopo essersi offerta (con scarsi risultati) di aiutarla a disfare i bagagli, incontrando però un muro. Eppure lei non aveva ceduto e quando aveva notato i libri che la Reed aveva portato con sé, facendo pressione sull’argomento, era riuscita nel suo intento.

<< Qui non c’è nessuna storia che possa ricollegare a te >>

La ragazza riportò lo sguardo sul ragazzino di fronte a lei e lo vide tirare fuori dal suo zaino un libro gigantesco per poi posarlo davanti a lui.

<< “C’era una volta”…sembra interessante >>

Lo sguardo di Henry si illuminò ed incominciò a sfogliare frettolosamente il libro finché non giunse ad una pagina che ritraeva quella che doveva essere una Biancaneve addormentata e il Principe Azzurro.

<< Racconta la nostra storia. Di come tutti i personaggi delle fiabe siano stati portati qui dalla regina cattiva con un sortilegio e le storie di ognuno >>

<< Frena un attimo, ragazzino. Mi stai dicendo che i personaggi delle fiabe, i protagonisti dei film Disney sono gli abitanti di Storybrooke? >>

<< No, non i personaggi Disney. Le loro storie non hanno nulla a che fare con i film. Sono completamente diverse >>

Quindi lui è qui

<< Loro chi sono? >> chiese indicando con un cenno del capo la coppietta poco distante

<< Belle e Rumpelstiltskin. La loro storia è quella della “Bella e la Bestia” >> le spiegò

Lei lo guardò incredula. Abitava con i suoi personaggi preferiti delle fiabe, non era possibile.

Beh, io sono innamorata di Capitan Uncino pensò lasciandosi sfuggire una risata

<< Ma Rumpelstiltskin non è … >> incominciò per poi interrompersi << Ti dispiace se do un’occhiata al tuo libro? >>

<< Per me va bene. A condizione che tu mi dica chi sei >>

In quel momento il sindaco fece il suo ingresso nel locale, seguita da un ragazzino biondo* che Katherine conosceva troppo bene e mentre quest’ultimo si diresse al bancone Regina andò verso i due.

<< Henry, ho bisogno che tu vada al negozio di Gold e ti prenda cura del nostro progetto >> disse appoggiando una mano sulla spalla del ragazzo, ignorando la presenza della ragazza.

Henry annuì e, prendendo il suo zaino, si diresse verso l’uscita, non prima però di aver abbracciato la donna.

Regina fece per andare da Gold quando venne fermata sui suoi passi da Katherine.

<< Sindaco Mills >>

La donna portò lo sguardo sulla ragazza e dovette combattere con ogni fibra del suo corpo contro il desiderio di abbracciarla.

Ma aveva paura, paura di rivelarle chi era in realtà la madre che non aveva mai conosciuto.

Aveva un passato orribile alle spalle: aveva causato dolore, inflitto tanta infelicità, aveva anche ucciso. Negli ultimi tempi aveva cercato di essere una persona migliore, una madre degna di suo figlio, di lasciarsi quel terribile passato colorato di rosso alle spalle.

Ma come poteva dire alla sua bambina chi era in realtà? Certo, lei a differenza di Henry non vedeva più il mondo in bianco e nero e forse l’avrebbe capita. Ma l’avrebbe perdonata? Sarebbe riuscita a guardarla negli occhi sapendo ciò che aveva causato? L’avrebbe accettata come madre?

Sapeva che anche Rumpelstiltskin si stava ponendo le stesse domande e proprio per questo aveva deciso di non dirle nulla, nonostante vivessero sotto lo stesso tetto.

<< Henry mi ha mostrato il suo libro. Ed ho ragione di credere che la mia presenza qui vi abbia messo in allerta >>

<< Certamente è stata inaspettata >>

<< Potete stare tranquilla, maestà. Io appartengo al vostro mondo >> disse prendendo il libro dal tavolo prima di uscire dal locale, lasciandosi alle spalle una Regina più che mai decisa a conoscere sua figlia.

<< Henry! >> disse quando raggiunse il ragazzino a poche decine di metri dal locale << Il tuo libro >>

<< Chi sei? >> le chiese

<< Sai chi è il ragazzo che è entrato dopo tua madre >>

<< Certo! Peter Pan! >>

Katherine gli lanciò un’occhiata eloquente e poteva quasi vedere gli ingranaggi del cervello mettersi al lavoro.

Finchè Henry non realizzò ciò che cercava di dirgli.

<< Tu sei Wendy! >>

Lei gli sorrise prima di andare verso la sua macchina, portando con sè il libro


 

 Neverland, trenta quattro anni prima

<< Peter, smettila! >> urlò Wendy.

Peter si fermò al centro della stanza, seguito a ruota dai Bimbi Sperduti che ora guardavano la loro mamma con gli occhi pieni di rimorso per averla fatta arrabbiare.

<< Tu dovresti essere una figura paterna per questi ragazzi! >> disse incrociando le braccia davanti al petto.

Peter assunse una sfumatura leggermente rossastra mentre si avvicinava lentamente alla ragazza.

I Bimbi, capendo che stavano per assistere all’ennesima lite tra i loro genitori, uno per volta sgattaiolarono fuori dalla stanza, lasciandoli soli.

<< Io li faccio divertire! Sono a Neverland perché nessuno si occupava di loro! >>

<< Non è che tu stia facendo un lavoro egregio >> ribatté lei

<< Mi sono sempre preso cura di loro, da molto tempo prima che arrivassi tu! Non ho bisogno di te! >>

<< Bene! >> disse, pestando un piede per terra e dirigendosi verso l’uscita di quella casa improvvisata.

Ultimamente lei e Peter non facevano null’altro che litigare. Lui era davvero l’eterno bambino. Doveva essere una guida per gli altri ma in realtà era il più infantile di tutti e il suo comportamento si scontrava sempre di più con quello adulto di Wendy. Lei non riusciva a sopportare di vedere quei piccoli alla balia di se stessi senza poter fare nulla. I primi tempi era stata troppo presa dal cambiamento e gli c’erano voluti due anni per accettare di trovarsi davvero a Neverland. Poi aveva aperto gli occhi e gli scontri erano incominciati.

Se prima lei e Peter erano indivisibili e dove andava l’uno andava l’altro ora più rimanevano lontani meglio era.

Raggiunta l’aria aperta tirò un sospiro di sollievo. Di sicuro rimanere un po’ da sola con i suoi pensieri le avrebbe evitato si strangolare Peter; poi sarebbe rientrata e si sarebbe riappacificati.

Purtroppo non aveva notato il gruppo di pirati intorno all’albero e specialmente quello alle sue spalle con una pietra in mano.

L’ultima cosa che sentì fu il grido di Michael. Poi tutto divenne nero.


<< Silenziose, non è vero? >>

Wendy chiuse gli occhi e strinse i pugni, contando fino a dieci prima di voltarsi.

Il Capitano la stava guardando col quel suo sorriso che le metteva voglia di prenderlo a schiaffi e le braccia incrociate.

<< Fidatevi, non volete sentirmi parlare >>

<< Invece sì, perché non ci raccontate una delle vostre storie? Infondo è per questo che siete qui >>

Wendy sorrise ed incominciò << C’era una volta un pirata che aveva rapito una giovane fanciulla. L’uomo la sottovalutava, troppo accecato dal suo ego. Ma avrebbe dovuto guardarsi alle spalle perché alla prima occasione la ragazza lo pugnalò alle spalle >>

Hook strinse la mano in pugno e serrò la mascella. Nessuno poteva prendersi gioco di lui, tanto meno una ragazzina. Le avrebbe fatto vedere chi comandava e il perché fosse ritenuto il più pericoloso pirata dei sette mari.

Le si avvicinò, intrappolandola tra lui e il parapetto.

<< Io sceglierei bene le mie parole se fossi in te >>

<< Non ho paura >>

Il pirata avvicinò il suo viso a quello della ragazza finché i loro nasi quasi non si sfiorarono

<< O sei coraggiosa o molto stupida. Io sarei propenso verso la seconda. Ti trovi su una nave piena di pirati che non godono della compagnia di una donna da molto tempo. Se potessi dare un consiglio a quella fanciulla le direi di non far arrabbiare il suo capitano >>

<< Non sei il mio capitano >>

<< Staremo a vedere >>


 

Storybrooke, presente

Katherine era in piedi in un angolo con solamente un bicchiere di scotch a farle compagnia.

L’attenzione dei presenti era tutta per Emma e Mary Margaret, ossia la Salvatrice e Biancaneve. Le due erano appena tornate dalla Foresta Incantata e amici e parenti non avevano perso tempo per organizzare una festa.

Ruby l’aveva invitata con la speranza che allargasse le sue conoscenze al di fuori di lei, Belle e Gold.

Stranamente però la ragazza non era dell’umore per una festa perciò aveva deciso di fare un salto, presentarsi alle due e poi darsela a gambe.

Peccato che Henry non fosse della stessa idea. Infatti l’aveva costretta a raccontargli tutto promettendole in cambio di mantenere segreta la sua identità fiabesca finché avesse voluto. Ovviamente lei aveva tralasciato alcuni dettagli, come l’innamorarsi di un certo pirata.

<< Ti hanno già detto che sei stupenda? >> disse Red avvicinandosi a lei.

Le rubò il bicchiere e Katherine sorrise all’amica. Non indossava nulla di stravagante, un semplice vestito a righe bianche e nere con lo scollo a barchetta e un paio di decolletè nere. Aveva lasciato i capelli ricadere morbidi sulle spalle e l’unica traccia di trucco sul suo viso era il rossetto rosso.

<< Veramente tu sei la prima >>

<< Sai, non ti ho incitato affinché tu rimanessi in un angola a guardare gli altri che si divertono >>

La bionda sbuffò e con la coda dell’occhio vide l’ex-sindaco guardare di sottecchi Henry. Si scusò con Red e andò a sedersi davanti alla donna.

<< Signora Mills >> la salutò, incerta se usare la sua controparte reale o il titolo fiabesco

<< Regina >>

<< Come scusi? >>

<< Chiamami Regina. E dammi pure del tu >> le disse sorridendole.

Ciò che la sorprese fu il fatto che quel sorriso non le sembrava per nulla forzato, come invece avrebbe dovuto essere vista la situazione in cui si trovavano. Lei era sola a “parlare” con una semi sconosciuta mentre Emma, verso la quale non doveva provare molta simpatia da ciò che Rumpel le aveva riferito, parlava tranquillamente e Snow e Charming, i suoi acerrimi nemici,  riprendevano il tempo perduto.

Eppure la regina non le sembrava più così triste, come se con il suo arrivo le avesse migliorato l’umore. Cosa davvero strana perché le due, a parte il breve incontro (se così si poteva definire) nel negozio di Gold e lo scambio di battute del giorno precedente, non si erano parlate mai molto.

E ciò che la colpiva più di tutto era il fatto che si sentisse attratta da quella donna, coem se una parte di lei la spingesse a cercarla, ad avere un qualche contatto con lei. Come se ci fosse un qualche filo invisibile che le legava insieme. E d era stato proprio questo filo a spingelrla a andare da lei.

<< Ritornerà >>

<< Come? >> chiese Regina, riscuotendosi da pensieri molto simili a quelli della figlia.

<< Henry. È solo una fase di passaggio. Prima o poi avrebbe espresso il desiderio di conoscere la sua madre biologica ma questo non vuol dire che lei, tu, non significhi più nulla per lui. È semplicemente confuso. Aggiungi il fatto che lui vede lei come l’eroina e te come il cattivo della storia e direi che può essere scusato >>

<< Non consoci il mio passato… >> rispose la donna, guardando le mani intrecciate sul grembo

<< Vero, ma ho visto la Regina di Storybrooke ed è evidente che tu ami tuo figlio. Col tempo tornerà sui suoi passi: non puoi cancellare dieci anni. È sempliecemnete preso dalla situazione e lo capsico >>

<< Cosa intendi dire? >>

<< Io non ho mai conosciuto mia madre. Mio padre è restio a parlarne e quando lo fa cerca sempre di mettere in risalto i suoi lati positivi ma una parte di me sa che mi ha abbandonato per non doversi prendere cura di me mentre l’altra non può fare a meno a essere in dissacorod con l’altra. Ma so che se mai la dovessi incontrare sarebbe come mettere la mia vita in pausa, non importerebbe più nulla a parte la sua presenza. Ma come tutto ciò che seduce prima poi verrebbe la fine, riaprirei gli occhi e, senza per questo lasciarla alle spalle, tornerei da mio padre, l’uomo che mi ha cresciuto e che ha fatto di me la persona che sono. Lo stesso varrà per Henry, ma non puoi chiedergli di scegliere tra voi due perché sarebbe come scegliere tra due parti di se stesso >>

Regina era senza parole. Nonostante Katherine pensasse che l’aveva abbandonata le voleva comunque bene, anche se non la conosceva. Cosa più importante, era disposta a conoscerla ed era del parere che il suo passato non contasse poi così tanto come aveva temuto.

Forse c’era una speranza per lei di riprendersi sua figlia, di recuperare i ventinove anni perduti.

Fu allora che si rese pienamente conto di chi le stesse davanti.

La ragazza di fronte a lei non poteva avere più vent’anni mentre Anastasia avrebbe dovuto averne quasi venti nove. Come era possibile? Lei aveva sentito la magia, di questo ne era sicura, così come era sicura che ci fosse qualcosa che le legava.

Quindi perché i conti non le tornavano? Forse, chiunque l’avesse salvata, l’aveva portata più avanti nel tempo?

No, era impossibile. Il tempo della Foresta Incantata viaggiava di pari passo con quello della terra.

All’improvviso l’immagine di un fermaglio con dei lapislazzuli le comparve nella mente e ricordo come Snow glielo avesse dato, forse con la speranza di potersi sbarazzare della sua matrigna una volta per tutte. E ricordò come lo avesse lasciato in questo mondo, nelle mani di Tom.

No, non anche lei. Non la mia bambina

<< è meglio che vada >> disse prendendo il cappotto e precipitandosi fuori dal locale, con la speranza di lasciarsi alle spalle la consapevolezza di aver condannato sua figlia al destino che aveva riservato a Snow White.

*****

<< Buongiorno! >>

Katherine distolse lo sguardo dal suo libro giusto in tempo per vedere belle scendere le scale già pronta per affrontare l’ennesima giornata. Lei invece era ancora in pigiama, seduta sul divano a gambe incrociate intenta a leggere per scacciare l’incubo della notte precedente.

<< ‘Giorno >>

<< Come è andata ieri sera? >> le chiese sedendole di fianco

<< è stato…interessante >>

In realtà era rimasta stupita dal comportamento dell’ex-sovrana. Temeva di aver detto qualcosa per farla arrabbiare. Aveva visto nei suoi occhi tanto disgusto e dolore prima che lasciasse il locale. E ciò che più la preoccupava era il fatto che ne era rimasta toccata, come se l’idea di far soffrire Regina la ferisse. Non riusciva a spiegarsi lo strano vortice di emozioni che provava in sua presenza. C’era sicurezza, indiscusso amore, protezione e comprensione. Gli stessi sentimenti che provava nei confronti di suo padre.

<< Cosa stai leggendo oggi? >>

Katherine alzò il libro, mostrandole la copertina.

<< Romeo e Giulietta. È una bellissima storia. Una volta l’ho letta a Rumpel* >>

<< La conosci? >> chiese stupita

<< Sì. In un certo senso mi sento un po’ Giulietta >>

<< A chi lo dici. Sia io che tu siamo innamorate di chi non dovremmo e di sicuro le nostre famiglie non approverebbero e cercherebbero di tenerci lontane da loro. Esattamente come la Capuleti >>

<< è per lui che sei a Storybrooke? Chi è? >> chiese, specchiando lo stupore che l’amica aveva espresso pochi minuti prima

<< Diciamo che il mio Romeo non è di certo l’uomo più raccomandabile. Ma io vedo un lato diverso, un lato che non mostra a nessuno… >>

<< Esattamente come Rumpelstiltskin >>

<< Lieto di essere l’oggetto delle vostre discussioni. Comunque, la colazione è pronta >> disse l’uomo in questione apparendo dalla cucina.

Le ragazze si guardarono, scambiandosi uno sguardo d’intesa e lasciandosi sfuggire una risata. Si alzarono insieme e, procedendo a braccetto, entrarono in cucina.

Katherine prese una tazza di caffè e si appoggiò al bancone, guardando gli altri due interagire tra di loro.

Erano così dolci, anche quando facevano qualcosa di così semplice come condividere una colazione.

Gli sguardi che si scambiavano, le loro mani che si sfioravano riempivano l’aria di amore. E nonostante fosse felice di vederli così innamorati e al settimo cielo non poteva fare a meno di invidiarli e a pensare di quando lei era al posto di Belle e Killian al posto di Rumpelstiltskin.

Ormai era a Storybrooke da più di una settimana e ancora non aveva sue notizie. Era sicura che se fosse stato nella cittadina trovarlo non sarebbe stato poi così difficile. Di certo non era il tipo da mantenere un profilo basso, anzi, adorava essere sempre al centro dell’attenzione e la notizia di un nuovo arrivo avrebbe dovuto giungerle.

Aveva paura, paura di essersi sbagliata, paura di averlo perso, di non rivederlo più.

Eppure Smee era lì, lo aveva intravisto una volta e proprio non riusciva a spiegarsi l’assenza di Hook. Se il suo braccio destro era a Storybrooke, dove diamine era il Capitano?

<< Che piani avete per oggi, mie care? >>

<< Riprenderò a sistemare la biblioteca >> rispose Belle

<< Chiusa nell’ufficio dello sceriffo. Di sicuro avrà un miriade di domande >>

<< Non è l’unica. Avuto degli incubi recentemente? >> le chiese Rumpel.

<< Nulla d’insopportabile >>

L’uomo si avvicinò ad una mensola e prese una boccetta contenente un liquido viola che porse alla bionda

<< Purtroppo non posso annullarli ma posso fare in modo che tu non cada in un sonno così profondo** da non doverti ritrovare in quella stanza >> disse lasciandole intendere che lui sapeva

Katherine prese la boccetta titubante e sotto lo sguardo fermo dell’uomo ne bevve il contenuto. Subito si sentì come se una secchiata d’acqua gelida le fosse stata lanciata addosso.

<< Forse è meglio che vada a prepararmi >>

*****

Belle era giunta al porto ma di un vascello pirata neanche l’ombra. Notò però tre gabbiani dal comportamento strano: uno addirittura era accovacciato in aria.

Dalla cassetta di fianco prese una manciata di sabbia e la gettò sul lato sinistro del ponte, individuando così degli scalini.

<< Trovato >>

fece attentamente un passo, poi un altro finché non attraversò una barriera e si ritrovò sulla famosa Jolly Roger.

Si guardò un attimo intorno, accertandosi che non ci fosse nessuno. Decise poi di scendere nella stiva, sperando di trovare lì lo scialle Bae.

Appoggiò la pistola e prese da uno scaffale un piccolo forziere. Lo aprì e al suo interno trovò un ritratto: si trattava di una ragazza cha a Belle sembrava fin troppo familiare. Aveva lunghi capelli raccolti in una treccia laterale, gli occhi esprimevano decisione mentre il sorriso dolcezza.

Diciamo che il mio Romeo non è di certo l’uomo più raccomandabile

Poteva essere? Era possibile che in qualche modo Katherine avesse conosciuto Hook e se ne fosse innamorata? Era possibile che l’uomo che aveva tentato di ucciderla e il cui unico scopo era vendicarsi di Rumpelstiltskin fosse a sua volta innamorato della nipote di quest’ultimo?

Certo, le sembrava assurdo, quasi impossibile ma tutto tornava.

Quello era il ritratto di una ragazza dannatamente simile alla bionda e lei le aveva detto che era arrivata a Storybrooke per cercare qualcuno dal suo passato. Però nella sua settimana di permanenza non l’aveva trovato ed ora era comparso Hook.

<< Stai cercando questo? >>

Belle si voltò di scatto e il suddetto pirata era lì, appoggiato allo stipite della porta con un ghigno trionfante dipinto sul viso mentre in mano stringeva lo scialle di Bae.

<< Quello non appartiene  a te >> disse indicandolo

<< Oh, da adesso sì >>

Belle lanciò un’occhiata alla pistola che era rimasta sulla mensola soppesando le opzioni che aveva davanti.

Poteva rimanere ferma dove si trovava e cercare di ottenere ciò per cui era venuta con la diplomazia ma sapeva che con quel pirata sarebbe stato inutile. Oppure poteva prendere l’arma e puntargliela addosso.

Si lanciò verso l’oggetto ma fu battuta sul tempo dal pirata che glielo tolse dal sotto al naso.

<< Mi cara Belle, saresti dovuta rimanere tra i tuoi libri >>

<< Non ho paura di te e non me vado senza quello >> disse indietreggiare << Non ha ferito Rumpel abbastanza? Hai rapito sua moglie! >>

Lui le si avvicinò pericolosamente finché i loro visi non furono separati da pochissimi centimetri. Eppure il fascino del bel capitano non aveva alcun effetto su di lei. Ma avendo il capitano così vicino per la prima volta riusciva a scorrere qualcosa nei suoi occhi che non fosse il desiderio di vendetta: riusciva a leggerci dentro solitudine, dolore e rimpianto e non poteva fare a meno di far vagare i suoi pensieri alla bionda che in quel momento probabilmente era interrogata dallo sceriffo.

<< Dimmi una cosa, tesoro. Se una donna viene da te, pregandoti di portarla via con te, è un furto? >>

<< Perché avrebbe dovuto andarsene? >> chiese a sua volta.

Proprio non riusciva a capire quella donna. Ci aveva provato, eccome se ci aveva provato, la sua natura la spingeva sempre a vedere tutto da ogni angolazione ma proprio non riusciva a comprendere le sue motivazioni. Come aveva potuto abbandonare suo figlio per inseguire una vita d’avventura al fianco di un pirata?

<< Perché lui era un codardo. E mi amava >>

<< Mi dispiace che sia morta. Ma vendetta? La vendetta non la riporterà indietro >>

Hook fece una smorfia e le sventolò la pistola davanti al volto << Morta, come se fosse stato un incidente. È ciò che ti ha detto. Ovviamente ha tralasciato il dettaglio più importante: le ha strappato il cuore e la polverizza proprio di fronte a me. Perché vuoi lottare per un uomo così? >>

Perché vedo ancora del buono in lui. Così come lei vede del buono in te. Ma il suo cuore è vero. Il tuo…il tuo è marcio >> rispose Belle alzando una mano verso il soffitto, spostando una trave che fece cadere il pirata nella stiva.

E mentre la giovane scappava su per le scale Killian rimase per qualche secondo immobile.

Così come lei vede del buono in te

Aveva visto il ritratto, il suo ritratto. L’unico ricordo, insieme alla sua sciarpa, che gli rimaneva di Wendy. La sua Wendy, la luce della sua vita, il fuoco che gli bruciava dentro. La sua anima, il suo cuore.

L’unica ragione per cui aveva smesso anche solo per un attimo di essere un pirata per essere semplicemente Killian, il suo Killian.

Ma andandosene gli aveva lasciato un vuoto nel petto che era stato riempito dall’odio e lo aveva reso un uomo peggiore del pirata che non si era fatto scrupoli a strappare una madre da suo figlio.

<< Non ne hai idea >>


Belle era  quasi sul punto di abbandonare la nave quando Hook le si parò davanti, comparendo dal nulla. Letteralmente.

<< Come, come hai… >>

<< Conosco questa nave come il palmo…beh, lo sai >> disse mostrandole l’uncino << Ti suggerisco di ridarmelo >>

<< O cosa? >> giunse una voce dalle spalle del pirata.

Voltandosi si ritrovò faccia a faccia con l’uomo verso il quale aveva giurato vendetta.

<>

<< Eppure, non puoi ancora uccidermi >>

Hook sogghignò prima di domandargli << Dietro a quale magia ti nasconderai oggi? >>

<< No, non magia >> e lo colpì in viso col bastone.

Il pirata cadde all’indietro e l’Oscuro non perse tempo ed incominciò subito a picchiarlo, facendogli perdere sangue.

Finché, dopo una manciata d’attimi in cui la furia aveva preso il controllo sul suo corpo, Belle gli si avvicinò e prendendolo per il cappotto disse << Rumpel, andiamo. Andiamo >>

<< Non ancora Belle >> rispose, preparandosi a sferrare un altro colpo

<< Questo è il motivo per cui sei venuto. Questo è ciò che ti riporterà da Bae >> cercò di persuaderlo mostrandogli lo scialle

<< Stai sprecando il fiato, tesoro. Non può resistere. Questa è la prova che non è un codardo >> s’intromise il capitano, che nonostante la situazione aveva un ghigno dipinto sul volto

<< Forse è meglio se ti volti, Belle. Non sarà un bello spettacolo >> e colpì di nuovo

<> disse Belle prendendolo per un braccio << Pensa a Katherine. Vuoi gettare davvero tutto all’aria per lui? Vuoi davvero perderla? >>

<< Fallo! Uccidimi! >> urlò Hook

<< No, questo è ciò che vuole! Distruggere ogni briciola di buono che c’è in te. Distruggere tutto ciò a cui tieni >> disse tentando di farlo ragionare.

Era così vicino a riunito la sua famiglia, non poteva gettare tutto al vento per colpa di un rancore passato o di un pirata.

<< Strappami il cuore. Uccidimi come hai fatto con Milah. E finalmente sarò riunito con lei >>

Belle lo guardò confusa. Quell’uomo teneva con sé il ritratto di Katherine eppure desiderava ritrovarsi con un'altra donna. Non riusciva a capire perché era sicura di aver percepito un livello tale di amore nelle parole della bionda che ogni opzione in cui il suo Romeo non ricambiava e anzi amava un’altra non era contemplata ed era sicura che Hook fosse l’uomo che aveva rapito il suo cuore.

<< Ha chiesto di morire, Belle >>

<< Rumpel, ascoltami. Potresti pentirtene >>

<< E come? >> chiese retoricamente. Non c’erano ragioni valide per cui avrebbe dovuto trattenersi dal togliere la vita a quell’essere. Se prima avesse potuto considerare l’idea per la sua amata e sua nipote ora non era nemmeno pensabile. Il pirata era diventato un pericolo per la sua famiglia ed andava eliminato.

<< Katherine. Sai perché è venuta a Storybrooke… >> incominciò per poi lasciare il discorso in sospeso affinché realizzasse da dolo cosa voleva dirgli.

E lo fece.

Gli tornò in mente la conversazione della mattina, su come entrambe amassero uomini visti di traverso ed una precedente, in cui aveva rivelato a Belle d’essere giunta a Storybrooke per ritrovare una persona, senza avere successo.

Ma ecco arrivare Hook, l’uomo che nessun padre vorrebbe per sua figlia. Poteva il destino prendersi così gioco di lui?

<< No, impossibile >> sussurrò, rifiutandosi di crederci

<< Temo proprio di no >>

Fissò un punto indefinito davanti a sé, pensando a cosa fare. Se le cose stavano davvero così non poteva ucciderlo rischiando così di perdere sua nipote ma non poteva nemmeno lasciarlo vagare a piede libero per la cittadina, lasciandogli magari l’opportunità di rivoltare Katherine contro di lui.

O peggio, di spezzarle il cuore.

Era rimasta solo una cosa da fare

<< Tu prendi la tua piccola nave e levi l’ancora, salpando verso i confini del mondo. Non voglio più vederti >>

***

Belle e Gold erano ormai al confine, uno da una parte l’altro dall’altra, entrambi in silenzio cercando le parole giuste da dirsi.

La ragazza aveva tentato di convincerlo a restare, ritenendo che Bae o chi per lui poteva essere chiamato da Katherine, a cui poteva domandare ogni cosa gli interessasse.

Ma lui non aveva sentito ragioni. Non voleva coinvolgere la nipote più del dovuto in quel mondo a cui però apparteneva fin dalla nascita. Temeva che se avesse scoperto la verità non solo avrebbe odiato lui e Regina ma anche se stessa e questo pensiero lo terrorizzava.

<< Vorrei davvero che tu potessi venire con me >> disse prendendole la mano

<< Non importa >> rispose con un sorriso malinconico

<< Perché? >>

<< Perché lo troverai. E quando lo farai io sarò qui ad aspettarti quando tornerai. Insieme a Katherine >>

Improvvisamente i due furono illuminati da un fascio di luce e la vettura della ragazza si parcheggiò di fianco all’auto di Gold.

La Reed scese dalla macchina e si avvicinò ai due

<< Volevi davvero partire senza salutarmi? >>

Una parte di lui si chiedeva se fosse davvero necessario. Infondo Belle aveva ragione. Katherine era lì e poteva chiedere a lei tutto ciò che gli interessava sapere su Bae. Magari lei avrebbe potuto farlo arrivare a Storybrooke, dove avrebbero potuto ricominciare da capo. Potevano essere una famiglia.

No, sapeva che era un viaggio che doveva compiere. Non era la meta in sé, che con l’arrivo della ragazza si era fatta sempre più vicina, ma era il viaggio, una metafora che indicava il percorso che lo avrebbe reso di nuovo degno di suo figlio.  

<< Purtroppo non è un viaggio rimandabile >>

<< Sembra incredibile ma mi mancherai >> disse la ragazza lasciandosi sfuggire una lacrima

<< Anche tu, piccola >> rispose Gold, asciugando la guancia della nipote

Si rivolse poi a Belle per scambiarsi un bacio d’addio e proprio in quel momento Hook emerse dagli alberi, con la pistola in mano e il dito sul grilletto.

Ma si sa, il destino ha un piano tutto suo e nell’esatto momento in cui il pirata premette il grilletto una forza sconosciuta spinse Katherine a spostare Belle ed abbracciare Gold, che la tenne stretta a sé quando la ragazza cadde in avanti mentre la pallottola la sfiorava di striscio.

<< Katherine? >> domandò preoccupato

<< Tutto a posto, mi ha solo sfiorato >> rispose portandosi una mano al fianco per coprire la ferita

<< Tu! >> ringhiò Gold indicando qualcuno alle spalle della bionda.

Katherine si girò e non poté credere ai suoi occhi. Davanti a lei si trovava il suo capitano, Killian, che nel rivedere il volto dell’amata fece cadere la pistola in terra.

Rumpel spostò la nipote di lato e creò una sfera di fuoco da lanciare contro il suo nemico.

<< No! >> urlò lei frapponendosi tra i due

<< Stava per ucciderti >>

<< Ma non lo ha fatto. E Belle è ferita. Devi portarla da Whale, non è vero? >> disse lanciando alla ragazza un’occhiata eloquente

<< Oh, sì. Devo proprio vedere un medico >>

<< Bene. Andiamo >> disse prendendo la nipote per mano

<< Io tornerò con la mia macchina. Voi andate. Affrettatevi >> disse spingendolo verso la sua macchina.

Quando i due si furono allontanati abbastanza lei si avvicinò a Killian che era rimasto immobile per tutto il tempo. Quando gli fu vicino il pirata alzo titubante una mano a sfiorarle il viso e lei le appoggiò sopra la sua

<< Non so se dovrei baciarti o prenderti a schiaffi >>

Il pirata decise per lei e in un attimo si ritrovarono entrambi nelle braccia dell’altro. Finalmente erano di nuovo insieme e quel bacio conteneva tutto ciò che provavano ma l’amore la faceva da padrone.

Killian non riusciva a crederci. Finalmente poteva baciarla di nuovo, stringerla di nuovo, ammirarla di nuovo. Era bastato un attimo e il suo cuore era tornato ad occupare il posto che gli spettava e il centro del suo mondo era tornato ad essere la ragazza tra le sue braccia.

Non sapeva come descrivere quel momento, era ineffabile.

Si sentiva scoppiare, pronto ad esplodere in ogni momento. Non era mai stato così felice, così…completo.

Quando si separarono Killian la tenne stretta a sé, con nessuna intenzione di lasciarla andare. Dopo trent’anni passati lontani non le avrebbe permesso neanche per un attimo di allontanarsi da lui

<< Perché stavi abbracciando il coccodrillo? >>

<< Rumpel…oh >> chiese per poi realizzare il vero significato della frase.

Sciolse l’abbraccio ed indietreggio, permettendo a Killian di vedere il suo sguardo ormai indurito

<< Wendy? >> le chiese confuso

<< Penso che sia meglio che tu trova un buon luogo per nasconderti perché la prossima volta che tenterà di ucciderti potrei non essere nei paraggi >> disse voltandogli le spalle e dirigendosi verso la macchina.

Lui la seguì e quando lei aprì la portiera lui la richiuse

<< Wendy, cosa succede? >>

Lei abbassò la testa e senza guardarlo rispose << Sono ferita. Ho bisogno di vedere un medico >>

E dandogli una gomitata lo fece allontanare, entrò in macchina e lo lasciò da solo.

Nel mezzo della strada, con una miriade di domande in testa e una fitta all’altezza del cuore.


 


Rieccomi!

Finalmente i nostri due protagonisti si sono rincontrati.

Ho scelto di concludere la scena così, con un finale un po’ amaro in quanto non volevo sfociare nel banale col solito “si ritrovano-si baciano-e vissero per sempre felici e contenti” ma forse ci sono cascata impiego.

Oppure più semplicemente la voce della mia prof d’italiano che spiega i romanzi di formazione in cui << l’eroe moderno affronta una serie di prove per la sua formazione culturale, religiosa, sociale e sentimentale che lo porteranno a passare da ragazzo a uomo adulto >> ha influenzato il corso del capitolo/storia. Infatti in un certo senso può essere letto come romanzo di formazione.

La canone iniziale pensò si addica al ritorno in scena di Hook ma anche al ricongiungimento di due, che in fondo sono tornati a casa.

In questo capitolo ha fatto la sua comparsa Belle (il mio personaggio delle favole preferito) con il quelle ritengo Katherine condivida molti aspetti. Inoltre si ha un altro momento tra la nostra protagonista e Regina.

Il prossimo capitolo sarà incentrato su Katherine e Killian con scene ambientate a Storybrooke e flashbacks dal passato.

Ho notato che il numero di visite degli ultimi due capitoli rispetto al primo sono diminuite. Ora, non so se è perché per leggere il nuovo capitolo aprite la prima pagina o perché lascia talmente desiderare che vi passa la voglia di leggere.

Vi chiedo di lasciare un commento anche breve per farmi sapere il vostro parere.

Anche se la storia non dovesse piacervi io la continuerò, perché penso che valga la pena scriverla (e leggerla) a prescindere dal fatto che sia mia; trovo che la trama sia buona.

Però magari andrei con più calma.

Inoltre ho creato una pagina facebook dove posterò news, anticipazioni, avvisi e tutto ciò che riguarda la storia http://www.facebook.com/pages/Aletheia-EFP/143277042497828?fref=ts

Se invece volete aggiungermi questo è il mio profilo http://www.facebook.com/aletheia.efp

Purtroppo da settimana prossima avrò il computer fuori caso quindi non so quando potrò aggiornare.

Mi scuso per eventuali errori.

Un bacio, Aletheia


*Ora, per quanto riguarda il sortilegio oscuro sono ancora abbastanza confusa. Da quel che ho capito Regina poteva portare a Storybrooke chi voleva lei. E qui la domanda sorge spontanea: che cavolo ci fa Spugna lì?

Allora ho pensato che magari Regina, visto che aveva un accordo con Killian e lui è sparito, abbia deciso di portare con sé ciurma, Bimbi Sperduti e Peter. Ovviamente questo si applica solo per la mia storia ed una semplice ipotesi applicabile a Spugna visto che non i è capito se quando Hook va da belle si è portato dietro tutta la ciurma.

**Gold è un esperto del sortilegio del sonno di conseguenza ritengo che per lui sia facile vederne i sintomi. Inoltre Snow nella 2x08 dice che se fosse riuscita ad addormentarsi profondamente sarebbe tornata nella stanza. Ho applicato lo stesso procedimento a Katherine, però in senso inverso





Sneak Peek: Haunted

<< Cosa vuoi che ti dica? Aspetta… Killian! Non hai la più pallida idea di quanto io sia felice di trovarti qui, mentre cerchi vendetta sul Rumpel per l’uccisione di Milah mentre io non ho fatto altro che disperarmi per la tua mancanza e lasciarmi la mia vita alle spalle per venire qui a cercarti. Meglio? >>

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Haunted (parte I) ***


Haunted Disclaimer:  Once Upon A Time appartiene a ABC mentre tutto ciò che non riconoscete appartiene a me.

 


 


 

C'mon, c'mon don't leave me like this 

I thought I had you figured out

Something's gone terribly wrong

You're all I wanted

C'mon, c'mon don't leave like this

I thought I had you figured out

Can't breath whenever you're gone

Can't turn back now

I'm haunted

(Haunted – Taylor Swift)

 

 


 


 Neverland, trentaquattro anni prima


 

Dire che era elettrizzata era un eufemismo.

Da giorni ormai Wendy passava a contare i minuti che la separavano dalla terra ferma. Perché finalmente, dopo quasi due mesi, Hook si era deciso a fare porto. Lei faticava ancora a capire perché ci avesse messo così tanto. Aveva riempito la stiva di provviste? Inoltre i pirati erano famosi per la loro reputazione di ladri e donnaioli quindi non poteva fare a meno di domandarsi come avessero fatto a resistere così a lungo.

Probabilmente il Capitano era davvero il pirata più temibile dei sette mari.

Peccato che lei lo vedesse solo come una spina nel fianco.

Ma le cose stavano per cambiare. Mancava a poco e si sarebbe lasciata il pirata, la sua ciurma e la sua nave alle spalle. Una volta a terra sarebbe sgattaiolata via mentre era occupato ad ubriacarsi o a flirtare con qualche donna poco raccomandabile. Poi si sarebbe inventata qualcosa. L’importante era liberarsi del suo fiato sul collo, che sentiva costantemente.

Non si fidava di lei. E come dargli torto? Primo: era una ragazza. Secondo: avrebbe fatto di tutto per farlo calare a picco.

Quindi perché diamine continuava a tenerla con sé?

Aveva ipotizzato che lui avesse intenzione di venderla al mercato nero oppure di utilizzarla come giocattolo. 

Ed era a causa dell’incertezza della sua posizione che era sempre un fascio di nervi. Non sopportava l’idea di diventare una bambolina inerme alle mercé di qualche depravato o di un uomo senza scrupoli o di qualche pirata. O peggio, di Hook.

Non poteva negare che fosse affascinante e che sapesse come parlare ad una donna, ma era talmente arrogante che il solo pensiero di dovergli stare vicina più del dovuto le dava la nausea. Il pirata era esattamente quel genere di persona che non poteva sopportare, anche se per certi versi si assomigliavano.

Credeva di avere il mondo ai suoi piedi e di poter ottenere tutto con un sorriso. Bè, si sbagliava di grosso. 

Certamente essere sempre l’oggetto dello sguardo del pirata non la faceva sentire meglio.

Nonostante avesse sempre amato le sfide si tratteneva dal provocarlo, temendo quello che sarebbe potuto succedere se avesse oltrepassato il confine.

Se ne stava sempre buona, parlando a malapena e quando parlava faceva di tutto per irritarlo, sperando così di allontanarlo. Eppure il pirata non smetteva di fissarla.

Era snervante.

Non vedeva l’ora di toccare terra. Finalmente si sarebbe liberata dalla sua presa asfissiante.

Ed esattamente per questo motivo non appena la nave entrò in porta Wendy si lasciò scappare un sospiro di sollievo. Era finita. Aveva tutta l’intenzione di lasciarsi alle spalle quella brutta parentesi della sua vita e soprattutto l’irritante presenza del Capitano.

Peccato che qualcuno non fosse dello stesso parere.

Infatti mentre cercava di mescolarsi ai pirati che si accingevano a lasciare la nave cercando di essere il più invisibile possibile, una voce la fece arrestare sui suoi passi, seguita a ruota da tutti gli altri.

<< Dove credi di andare, tesoro? >>

Wendy prese un respirò profondo e si voltò. E come aveva sospettato Hook era esattamente poco distante da lei, con le braccia incrociate sul petto ed uno sguardo di ghiaccio.

<< A fare un giro, mi sembra ovvio >>

<< Non mi pare di avertene dato il permesso >> replicò lui.

Dovette utilizzare ogni energia che aveva in corpo per non urlarle contro. Ma chi si credeva di essere? Non poteva fare quello che voleva. Quella era la sua nave, ergo lei apparteneva a lui, che le piacesse o meno. Doveva fare ciò che lui desiderava e di certo non desiderava che se n’andasse in giro.

Quella ragazza era davvero una spina nel fianco. Era in grado di farlo arrabbiare anche semplicemente respirando.

Non riusciva a spiegarsi perché diamine non si decidesse a lasciarla andare.

La presenza di una donna a bordo era l’ultima cosa che voleva, specialmente dalla morte di Milah. Pensare poi che la donna che amava era stata “sostituita” da quella ragazzina lo faceva impazzire.

Eppure il pensiero che lei mettesse il piede fuori dalla nave lo mandava in bestia e non sapeva perché.

Infondo sbarazzarsi di lei non doveva essere una cattiva cosa. Eppure era da quasi due mesi che cercava con tutte le forze di tenerla sulla nave.

E purtroppo doveva ammettere che la sua presenza non era poi così male.

Certo, sapeva essere irritante come pochi ma almeno era una piacevole distrazione. Forse era pure disposto ad ammettere a se stesso di gradire i loro battibecchi. Doveva essere sempre sull’attenti, pronto a ribattere in ogni momento e quello era un buon allenamento.

Il fatto che poi avesse un corpo con le curve al punto giusto e un sedere da favola era solo un bonus. Bonus che spesso aveva attirato la sua attenzione, visto che spesso si era soffermato a fissarla. Le lunghe gambe erano messe in risalto dagli stretti pantaloni di pelle ed uno dei motivi per cui adorava i vestiti delle donne della Foresta Incantata (che aveva portato con sé quando era salpato con Milah) era la capacità di mettere in mostra il loro decolletè, di cui la ragazza era ben provvista. I capelli, sempre raccolti in una coda alta, le lasciavano scoperto il collo e Hook si era spesso ritrovato ad osservarlo, pensando a come doveva essere baciare la sua pelle, che sembrava così morbida.

Sì, quella ragazza era davvero una tentazione per il Capitano e quando i suoi pirati l’avevano spinta sulla nave il suo primo pensiero era stato quello di portarsela a letto. Peccato che poi lei avesse aperto bocca ad avesse iniziato quel loro gioco di supremazia. Ammirava troppo la sua intelligenza e la sua arguzia per utilizzarla come un oggetto.

Ovviamente avrebbe sempre potuto cambiare idea e negli ultimi tempi il desiderio era stato forte. Ormai da tempo non giaceva con una donna ed averne una così attraente risvegliava i suoi istinti di uomo.

Per fortuna, ogni qual volta che raggiungeva il limite della sopportazione, lei sparava qualche commentino acido facendolo ritornare lucido.

Come in quel momento.

<< Non pensavo di averne bisogno >>

<< Sono il tuo capitano. Direi che ne hai bisogno >>

<< Non pretenderai che rimanga tutto il tempo sulla nave? >> chiese sbalordita.

Non poteva essere serio. Di certo non le avrebbe lasciato in mano la nave. Ma Hook non aveva l’aria di uno che scherzava.

<< Esattamente >>

<< Te lo scordi >> rispose lei, voltandogli le spalle ed avviandosi a scendere mentre i pirati si spostavano per lasciarla passare.

<< Questo è un ordine >> ribatté Hook, senza muoversi di un centimetro, non impressionato dal suo comportamento. Non le avrebbe dato la soddisfazione di vederlo arrabbiato.

Wendy tornò indietro e si parò di fronte al pirata, con le mani sui fianchi e mettendo apposta in mostra il petto.

<< E qual è la punizione per disobbedienza? Lasciarmi legata nella stiva? >>

<< Fidati, tesoro, ho delle idee migliori che comportano te legata >> rispose il pirata inumidendosi le labbra mentre lo sguardo si soffermava su ciò che la camicia aperta lasciava visibile.

Wendy scosse la testa e lasciandosi scappare un risolino incredulo interruppe quel loro ennesimo dibattito e scese dalla nave.

Smee si avvicinò al capitano che nel frattempo era rimasto fermo ad osservare la ragazza che si allontanava. Aveva un sorriso divertito dipinto sul volto e negli occhi si leggeva la sfida.

<< Capitano? >> chiese titubante per paura di scatenare la furia dell’uomo.

<< Mi piace, ha carattere. Ben fatto, Smee >> disse semplicemente, colpendolo sulla schiena per poi gettarsi all’inseguimento di Wendy.

Era certo che non l’avrebbe persa di vista per tutta la serata.


 



 

Storybrooke, presente

 

 

Quando Emma entrò nel suo ufficio era pronta a tutto tranne a ciò che vide. David l’aveva avvisata della miriade di fogli sulla sua scrivania che attendevano lei per essere controllati. Certamente non si sarebbe aspettata di trovare sopra suddetti fogli i piedi di Hook. Tanto meno il pirata, seduto tranquillamente sulla sedia, con le gambe tese davanti lui e le braccia piegate dietro il capo.

<< Ciao bellezza >> la salutò quando si accorse di lei.

Rimase immobile ad osservarla stupita. Come diamine aveva fatto ad arrivare a Storybrooke?

<< Mai sottovalutare un pirata >>

A quanto pare non si rendeva nemmeno più conto di quando parlava ad alta voce.

<< Dov’era Cora? >> gli chiese direttamente. Se lui era lì allora doveva esserci anche la donna ed al momento accertarsi della sua localizzazione era l’unica cosa che le interessava

<< Bell’ufficio. Noto che hai una passione per ammanettare la gente. Sei così anche in camera? >> disse facendo cenno con il capo alle manette appese al muro

<< Dov’era Cora? >> ripeté senza dargli corda

<< Devo dirlo, sei in forma. Tutti quei “Dov’è Cora?” con quella voce autoritaria >>

Emma rimase ferma, attendendo che si decidesse a risponderle. Il pirata doveva aver capito che aria tirava perché abbassò i piedi dalla scrivania per poi alzarsi ed avvicinarsi a lei

<< Non so dov’è Cora. Lei ha i suoi piani, io i miei. Ci siamo separati appena giunti in porto >>

Ma allora cosa voleva? Era nel suo ufficio per ricordarle come lo aveva abbandonato su quella pianta di fagiolo o semplicemente godeva a farla arrabbiare?

<< Cosa vuoi? >>

<< Mi dispiace ferire i tuoi sentimenti ma non sono qui per te. Ho bisogno di un’informazione >>

Certo, la sua vendetta nei confronti dell’Oscuro. E chi meglio della Salvatrice poteva aiutarlo? Peccato che lei non avesse alcun’intenzione di aiutarlo

<< Non ti aiuterò con Gold >> affermò decisa, preparandosi ad affrontare la resistenza del pirata.

Sorprendentemente Hook rise, gettando la testa all’indietro come se avesse detto la battuta più divertente al mondo.

<< Mi credi davvero così prevedibile? Rumpelstiltskin è l’ultimo dei miei problemi in questo momento >>

<< Allora cosa… >> incominciò confusa per poi essere interrotta

<< La ragazza che è con lui. Dove posso trovarla? >> le chiese impaziente.

Emma era sorpresa. Non si sarebbe mai aspettata di vedere Hook spazientito. Certo, non poteva sapere di che importanza fosse quell’informazione

<< Belle? >>

<< No, l’altra >> rispose sbuffando e gesticolando con la mano per farle capire di sbrigarsi

<< Katherine. Perché t’interessa? >>

Katherine pensò così si chiama qui.

Udendo quel nome gli tornò alla mente il momento in cui aveva preso in seria considerazione l’idea d’incominciare una relazione con lei. Era la sera del suo compleanno e l’averla così vicina l’aveva liberato da tutte le preoccupazioni. Era riuscito solamente a pensare a quanto volesse rimanere così per sempre.

E lei le aveva detto che il suo soprannome era Kat. Abbreviazione di Katherine. Quello era il suo vero nome.

<< Affari miei >> rispose secco

<< Un consiglio, lasciala perdere. Potrebbe essere molto… >>

<< Non m’interessa quanto possa essere pericoloso, mortale, suicida o che altro >> la interruppe << Dove posso trovarla? >>

Emma lo guardò, cercando di soppesare le sue varie possibilità. Da quel che aveva capito quella ragazza era estremamente importante per Gold, tanto da insistere affinché soggiornasse a casa sua. Nessuno sapeva il perché anche se sospettava che Regina era a conoscenza delle motivazioni dell’uomo.

Ma era sicura che la Reed non venisse dalla Foresta Incantata: David e gli altri erano stati preoccupati del suo arrivo. Quindi come poteva Hook, che non aveva mai lasciato il loro mondo fino a quel momento, conoscerla?

Anche se si fossero scontrati a Storybrooke, in presenza di Gold, certamente lui non sarebbe ancora vivo. Invece era lì in piedi davanti a lei, chiedendole di Katherine conoscendo il suo legame con Gold.

Una parte di lei si sentiva ancora in colpa per averlo raggirato e quella parte ebbe la meglio su quella razionale

<< La biblioteca, sotto la torre dell’orologio >>

 


 


Neverland, trenta tre anni prima

 

 

Era una notte tranquilla. Il silenzio era tale che anche a distanza di chilometri dalla costa il capitano poteva giurare di sentire i lamenti dei Bimbi Sperduti. Le stelle illuminavano la nave come se volessero proteggerla.

Ed Hook era certo che fosse così.

Fin da quando era arrivato gli era stato chiaro che l’isola avesse una propria vita. Nessuno poteva sperare di fare qualcosa senza il suo consenso. Ogni azione era influenzata dall’ambiente circostante. Che sfortunatamente sembrava avere una particolare predilezione per un certo moccioso.

Peter Pan e Neverland erano un tutt’uno. L’isola si comportava come una madre nei suoi confronti.

Per questo il pirata era certo che le stelle stessero osservando lui e la sua nave da vicino. Perché nonostante fosse passato ormai un anno Pan e i suoi fidi compari non smettevano un attimo di cercare Wendy.

E sapeva che la ragazza era pronta a raggiungerli in qualunque momento.

Se doveva essere sincero, non la capiva. Non capiva come di fronte ad una vita piena d’avventura lei potesse preferire occuparsi di quei mocciosi, il cui capo non aveva esitato un attimo a cacciarla. Milah non aveva esitato un attimo a lasciare la sua famiglia per seguirlo. 

E, sinceramente, non capiva perché, invece che essere nel suo letto a dormire, si trovasse sul ponte a rimuginare su Pan e la ragazza.

Probabilmente in quei 365 giorni gli era entrata dentro più del dovuto. Con le loro battutine erano capaci di sfondare i muri che entrambi avevano eretto per proteggersi. Era già capitato un paio di volte che con uno sguardo riuscisse a capire lo stato d’animo della ragazza, che così ostinatamente tentava di mostrarsi dura.

La sua presenza a bordo era un toccasana. Da troppi anni (non ricordava nemmeno più quanti) l’unico pensiero che aveva occupatola sua mente era la sua vendetta sull’Oscuro ma con l’arrivo di Wendy era come se avesse rivisto il sole dopo molto tempo. Si sentiva più vivo, desideroso dell’arrivo di una nuova giornata senza preoccuparsi di cosa sarebbe successo.

Gli costava ammetterlo ma quella ragazza pian piano stava riportando a galla l’uomo che era stato in principio, prima di Milah ed ancora prima che diventasse un pirata.

E fino ad allora non aveva mai realizzato quanto quell’uomo gli fosse mancato. Spesso si era ritrovato nella sua cabina con un dei libri di suo padre tra le mani, titubante nell’aprirlo ed ancora più spesso si era ritrovato immerso in quelle pagine che avevano accompagnato la sua adolescenza. Ultimamente non era strano ritrovarlo con lo sguardo perso nel vuoto mentre vagava tra i suoi ricordi. La memoria che conservava più gelosamente nel cuore era quella di sua madre. Poteva ancora sentirla cantare e poteva giurare che delle volte sentiva la sua voce portata dal vento.

Tutto questo a causa della ragazza. Nei suoi modi di fare riusciva a scorgere la sua famiglia ed era sicuro che se fosse stata presente quando era solo Killian Jones i suoi genitori non avrebbero esitato a spingerlo a chiederla in sposa. Era esattamente quel genere di compagna che aveva sempre immaginato al suo fianco prima che diventasse un pirata.

E il pensiero che quel ragazzino potesse riprendersela gli incendiava l’animo di rabbia. Non avrebbe mai permesso che lui gli portasse via ciò che era riuscito a farlo sentire di nuovo umano, di nuovo se stesso.

Non che avesse qualche buon motivo per odiare Pan; semplicemente fin da quando si erano incrociati dalla prima volta aveva provato un forte astio nei confronti del ragazzo.

Smee aveva avanzato l’ipotesi che il moccioso fosse semplicemente un “oggetto sostitutivo”: non poteva scaricare la sua rabbia su Rumpel allora utilizzava lui. Invece, secondo Jack, lui non sopportava l’idea che ci fosse qualcuno in grado di tenergli testa, non dopo tutto ciò che aveva affrontato.

La verità era che il ragazzino gli ricordava qualcuno che lui conosceva fin troppo bene: se stesso. Quando aveva la sua età si comportava in modo identico. Era arrogante, presuntuoso, sempre in cerca d’avventure ma con un grande cuore buono. E amava sua madre, più d’ogni altra cosa.

Lo invidiava; gli invidiava che lui potesse scorazzare per l’isola senza pensieri mentre lui aveva una montagna sulle spalle. Avrebbe dato qualsiasi cosa per scambiare le posizioni, per tornare bambino.

Per questo ogni volta che gli capitava a tiro faceva scontrare le loro spade; per rilegare in un angolo il pensiero di un bambino moro con gli occhi azzurri che giocava a fare il pirata.

<< Chi lo avrebbe mai detto. Anche il temibile Capitan Hook ha i suoi momenti di solitudine >> disse Wendy, appoggiandosi di schiena al parapetto, di fianco a lui.

<< Il capitano gradirebbe che il suo momento di solitudine rimanesse tale >> rispose senza guardarla, cercando di mantenere un tono freddo. In realtà la sua presenza non gli dava fastidio, anzi, gli dava un senso di sollievo sapere di non essere solo.

<< Ma se io accettassi le vostre condizioni, andrei contro alle mie morali. E non possiamo permetterlo. Non è vero, capitano? >>

<< Obbedire di tanto in tanto non ti farebbe male >> ribatté lui

<< Probabile. Ma certamente renderebbe la vita su questa nave terribilmente noiosa >>

Killian voltò il viso a guardarla e per un attimo fu abbagliato dalla sua bellezza. La luce della luna le illuminava il volto, mettendo in risalto i suoi occhi. Aveva i capelli scuri raccolti in una treccia laterale ed indossava un paio di pantaloni con una camicia bianca. Era semplice, eppure non gli era mai sembrata più bella.

Gli stava decisamente entrando dentro.

<< E come, di grazia, la vita di un pirata potrebbe essere noiosa? >>

<< Be, nessuno dei tuoi uomini ha, passami il linguaggio, le palle per tenerti testa. Io, al contrario, non mi faccio problemi e ti movimento la vita. Almeno ti do qualcosa da fare >>

<< Darling, sei su una nave di pirati non nel palazzo di una regina. Lasciati andare un po’, non preoccuparti delle apparenze >>

<< Stai sviando il discorso >> lo riprese

<< No, ti sto dando una lezione di vita. E comunque, non ti è mai passato per la mente che forse la tranquillità è esattamente ciò che voglio a bordo della mia nave >> rispose, calcando il mia. Sapeva che tanto non lo avrebbe mai visto come il capitano, ma solo come un altro degli uomini a bordo.

 << Tranquillità? A Neverland? Sto davvero parlando con l’uomo che per ben tre anni ha dato la caccia ad un gruppo di bambini? >>

Il pirata abbassò il viso a guardare le onde del mare che s’increspavano intorno alla nave, pensando che forse quei tre anni avevano dato i suoi frutti.

<< Sei sprecata con Pan >> mormorò sotto voce.

Era convinto di averlo detto talmente piano da essere l’unico a poter udire le sue parole ma si sbagliava perché sul viso della ragazza al suo fianco si dipinse un’espressione di stupore.

<< Mi sbaglio o voi capitano mi state dicendo che siete lieto di avermi a bordo? >>

<< Tienitelo stretto, perché non lo ripeterò una seconda volta >> ammise ammiccando verso di lei.

Wendy lo osservò per un po’ persa nei suoi pensieri. Hook la osservò a sua volta, curioso di sapere cosa passasse per la sua mente. Ad un tratto la ragazza sorrise, uno dei pochi sorrisi sinceri che le aveva visto da un anno a quella parte.

<< Mi piace questo lato, ti rende più…umano >>

<< E vulnerabile >> aggiunse lui, senza preoccuparsi del fatto che per la prima volta era sincero, anche se poco, con lei.

<< E di cosa dovrebbe aver paura lo spietato Capitan Hook a bordo della sua stessa nave? >> gli domandò prima di tornare sotto coperta.

Già, di cosa doveva avere paura?

 


 


Storybrooke, presente

 

 

La notte appena trascorsa era stata la peggiore in assoluto. 

Non aveva fatto visita alla stanza rossa, come Gold le aveva promesso, ma aveva avuto incubi peggiori.

Si era ritrovata a bordo della Jolly Roger ma c’era una presenza estranea, una donna senza volto: Milah. Era stata costretta a rivivere i suoi ricordi più importanti con la differenza che al suo posto c’era lei; e vedere Milah al fianco di Killian, mentre lei era ridotta a lavare il ponte l’aveva lasciata stremata.

Non era quindi una sorpresa che adesso si trovasse da Granny, con una tazza di caffè fumante davanti a sé e la testa tra le mani.

Era uscita presto, mentre Belle stava ancora dormendo e Gold era in cantina, perciò non l’aveva vista nessuno e non aveva dovuto subirsi le loro domande, sia sul suo stato sia sulla sera precedente. In compenso appena aveva messo piede nel locale Ruby le aveva lanciato un’occhiata inquisitoria ma non era dell’umore adatto per essere sottoposta ad un “interrogatorio amichevole”. Era ancora sotto l’effetto degli anti-dolorifici che le aveva somministrato Whale dopo aver disinfettato e fasciato la ferita.

Le aveva assicurato che non ci fosse nulla per cui preoccuparsi, probabilmente terrorizzato all’idea di cosa avrebbe potuto fare il suo coinquilino, visto che entrambe le persone a cui era legato erano rimaste ferite nella stessa notte.

Ma a dir la verità della ferità sul fianco non le importava nulla. Continuava a pensare a Killian e al fatto che si trovassero finalmente nello stesso luogo.

Era combattuta: da una parte voleva dimenticare la serata precedente e riprendere da dove avevano interrotto dall’altra voleva urlargli contro tutta la frustrazione che si era tenuta dentro. Nelle favole ti fanno credere che l’amore sia una cosa semplice ma non era così. La sua permanenza a bordo della nave di Hook era stata allo stesso tempo il periodo più bello ma anche più difficile della sua vita.

La presenza del capitano le faceva toccare il cielo con un dito ma il suo rifiuto ad aprirsi completamente con lei e il ricordo di Milah ancora presente l’avevano spesso messa a dura prova.

Per fortuna in quei momenti Jack, il secondo in comando nonché il migliore amico di Killian, era stato presente. L’aveva aiutata a lasciarsi scivolare tutto addosso e a ricordare che il capitano aveva scelto lei, che voleva stare con lei. Se non era ancora impazzita lo doveva a lui e di certo le sarebbe stato utile in quel momento.

<< Mi sembri parecchio sconvolta >>

Katherine alzò la testa di scatto e seduto di fianco a lei, con un braccio appoggiato sul bancone stava Jack, sorridendole, mentre ad un tavolo alle sue spalle erano seduti Cecco e Denteduro, che quando si accorsero del suo sguardo le fecero col capo un cenno di saluto.

Le era capitato d’intravedere Smee ma mai avrebbe pensato che tutta la ciurma si trovasse a Storybrooke.

<< Non posso crederci >> mormorò.

Era esattamente come lo ricordava. I capelli neri gli arrivavano un po' sopra le spalle e gli occhi erano ancora così scuri da rendere difficile la distinzione tra pupilla e iride. L’unica differenza era l’abbigliamento. Al posto dei pantaloni di pelle indossava dei semplici jeans sbiaditi ed invece della camicia una maglietta bianca con una giacca di pelle.

<< Deduco che tu lo abbia incontrato >>

<< Mi sei mancato anche tu >> disse sarcastica fingendo di non aver sentito la frase precedente.

Lui incominciò a fissarla, sapendo che prima o poi avrebbe ceduto e si sarebbe sfogata con lui, come ai vecchi tempi. Katherine sbuffò, alzando gli occhi al cielo, e si preparò mentalmente alla lunga chiacchierata che sarebbe iniziata da lì a poco.

<< Sì, l’ho incontrato. Immagino che lo stesso valga per te >>

<< A dir la verità no, ma ho visto la nave >> ripose, per poi aggiungere << Che diamine ci fai qui? Da sola? >>

<< Abbiamo avuto un piccolo diverbio >> ammise, bevendo un sorso di caffè per evitare di guardarlo

<< Fammi indovinare… Rumpelstiltskin, vendetta, Milah. Sempre le solite cose >>

<< Questa volta è diverso >> disse sospirando << Pensa ancora a lei >>

Jack si passò una mano tra i capelli, cercando le parole giuste da dirle. Era sempre stato a conoscenza dell’insicurezza della ragazza e della testardaggine del suo migliore amico ma sapeva che lui ne era davvero innamorato. Il più delle volte non lo aveva dimostrato e la scelta di ributtarsi all’inseguimento del coccodrillo non era stata per niente saggia ma lui l’aveva visto. Aveva visto quando la scomparsa della ragazza che gli stava a fianco lo avesse distrutto, come fosse diventato poco più di un burattino. Era rimasto senza voglia di vivere, finché non aveva deciso di riprendere la sua vendetta.

<< Wendy, quando sei sparita Killian ha smesso d’essere se stesso. Non dava più ordini e non usciva più dalla sua cabina, dove passava il tempo ad osservare il tuo ritratto con la tua sciarpa in mano. Non mi rispondeva più…era distrutto. Il non averti più al suo fianco lo aveva privato d’ogni energia, d’ogni cosa. Finché un giorno riemerse dalla sua stanza e ricominciò ad impartire ordini. Poi se ne andò all’improvviso, lasciandomi una lettera in cui spiegava come fosse tornato nella Foresta Incantata per vendicarsi e di come avesse lasciato a me il comando della nave >>

Katherine lo guardò sconvolta. Mai sarebbe riuscita ad immaginare Killian così come Jack lo aveva descritto. Lui si era sempre mostrato forte, non permetteva a nessuno di vederlo debole. Non riusciva a credere che la sua scomparsa avrebbe potuto ridurlo in tale modo. Ancor meno non riusciva a capire come avesse potuto tornare a pensare a Milah. Se davvero il non averla più accanto l’aveva distrutto così tanto da diventare impassibile perché se l’era lasciata alle spalle?

<< E perché lo avrebbe fatto? >> gli chiese

<< Ho una mia teoria a proposito. Secondo me aveva bisogno di uno scopo, di qualcosa che lo facesse tirare avanti e di sicuro non poteva essere lo scontro con Pan e i suoi compari quando questi non aveva smesso un attimo di cercarti. Quindi penso che lui abbia spostato la sua attenzione sul suo vecchio nemico, che fino a prova contraria non ha nessun collegamento con te e quindi affrontandolo non c’era il pericolo di rimanere ancora più ferito dal tuo ricordo >>

Katherine lasciò che le sue parole le s’impregnassero nella mente. La teoria di Jack aveva senso ed era di sicuro qualcosa che Killian avrebbe potuto fare senza problemi. Lei era sparita, lui ne era rimasto distrutto ed aveva bisogno di una distrazione. Tutto tornava.

Non poteva utilizzare Peter perché quest’ultimo non riusciva a passare neanche un minuto senza nominarla; non poteva utilizzare una qualche prostituta perché era innamorato di lei; non poteva neanche imbarcarsi in qualche avventura visto che aveva esplorato tutta l’isola insieme; l’unica opzione che poteva essergli rimasta era la vendetta, che risaliva a molto tempo prima del loro incontro ed allora lei non aveva alcun legame con Rumpel.

La situazione le era più chiara: era stata lei stessa a spingerlo in quella direzione.

Ma questo non poteva affievolire la sua paura o la sua rabbia, anzi, le aumentava. Sarebbe sempre tornato al passato ogni qual volta che avrebbero discusso?

<< Ho paura >> ammise infine

Jack le sorrise rassicurante, appoggiandole una mano sulla spalla.

<< È normale. Anche lui ne aveva >>

<< Cosa intendi dire? >> chiese confusa

<< Ricordi quando non ti faceva fare nulla? Aveva paura che ti potesse accadere qualcosa. Era terrorizzato dall’idea di perderti. Che tu, o lui, ci creda o no ogni giorno che passa io sono sempre più fermamente convinto che lui ti abbia amato fin dal primo istante >>

<< Da quando sei un filosofo? >> lo prese in giro, lasciandosi scappare una risata

<< Sono un amico >>

 

 


 

 

Nuovo capitolo!

“Haunted” sarà diviso in due parti. Originalmente doveva essere un unico capitolo ma mi sono un po’ lasciata prendere la mano.

Potrei affermare con certezza che il protagonista assoluto è Killian.

Se nei primi capitoli Katherine era sotto i riflettori questo capitolo è su entrambi, con particolare attenzione sul capitano.

Il cuore del capitolo è costituito dai flashback (che non sono finiti) mentre per quanto riguarda il presente possiamo vedere come i due protagonisti stanno affrontando il giorno successivo al loro ritrovamento.

Come potete notare alcune delle frasi del dialogo tra Hook ed Emma sono prese dalla 2x12 ma il contesto è diverso. se non fosse abbastanza chiaro, quando Hook saluta Cora una volta giunti in porto la donna non ha cercato di fermarlo. lui sapeva già dell'esistenza di Belle e quindi l'assenza di collaborazione tra i due (e quindi l'assenza di Archie). Per quanto riguarda il nostro amato Grillo, lui non è ancora stato rapito. Cora è ancora nell'ombra, cosa comprensibile visto che poco prima di arrivare a Storybrooke ha scoperto di avere una nipote. Deve rivedere i suoi piani.

Inoltre abbiamo l’introduzione di un nuovo personaggio: Jack (in onore di Jack Sparrow, s’intende ;) ) (a cui presta il volto Ben Barnes) di cui si scoprirà di più nella prossima parte. Ed oltre a scoprire di più su di lui sarà rivelato anche il passato di Killian, chi era prima di diventare un pirata (qui solamente accennato).

Mi viene difficile esprimere a parole il filo conduttore dell’intero capitolo ma penso che Taylor Swift ci riesca benissimo. “Haunted” riflette alla perfezione lo stato d’animo di Katherine ma soprattutto di Killian.

Nella seconda parte di questo capitolo i due si riaffronteranno e se finora Katherine poteva apparire una dolce fanciulla ferita dal prossimo tirerà fuori i denti e tornerà la ragazza di Neverland. Questo non vuol dire che i due rimarranno separati (anzi, tutto il contrario). Inoltre assisteremo al momento in cui finalmente Killian ha ammesso a se stesso di essere innamorato di Wendy.

Come potete notare il capitolo parte dalla mattina successiva al loro incontro. I loro pensieri immediatamente successivi si trovano in questa one-shot http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1596545

Inoltre vi ricordo la mia pagina fb http://www.facebook.com/pages/Aletheia-EFP/143277042497828

Vi scuso per eventuali errori e/o sviste.

Grazie a tutti voi che avete impiegato un po’ del vostro tempo per leggere.

Un bacio, Aletheia





Sneak Peek: Haunted (parte II)


Fu un attimo: si udì uno squarcio seguito da un ululato e poi la bestia cadde.

Killian, aiutato da Jack e Smee, spostò l’animale da sopra la ragazza e le offrì la mano per aiutarle ad alzarsi mentre cercava di tenere l’uncino sporco di sangue il più possibile lontano da lei.

Wendy accettò l’aiuto ma una volta in piedi non esitò a lasciarselo alle spalle e a dirigersi verso l’uscita.

Gli disse solo quattro parole << Sei un idiota Jones! >>

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Haunted (parte II) ***


Haunted (parte II)

C'mon, c'mon don't leave me like this 

I thought I had you figured out

Something's gone terribly wrong

You're all I wanted

C'mon, c'mon don't leave like this

I thought I had you figured out

Can't breath whenever you're gone

Can't turn back now

I'm haunted

(Haunted – Taylor Swift)


Neverland, trenta tre anni prima



<< Lo sai che Wendy ha tutta l’intenzione di venire con noi, vero? >>

Killian non si disturbò neanche a sollevare lo sguardo dalle carte. Sapeva a chi apparteneva quella voce: Jack, il suo secondo in comando; il suo migliore amico, secondo il medesimo, mentre per lui era una spina nel fianco peggio di Wendy, che però stava ben attento a non togliere.

I due erano cresciuti insieme e quando Killian, ormai pirata, era tornato a casa Jack non aveva esitato un attimo ad imbarcarsi con lui. Era l’unico che riuscisse a leggergli dentro e probabilmente lo conosceva meglio di chiunque, anche di se stesso.

<< Può pensare e fare quello che vuole, tanto non lascerà la nave >>.

<< Perché no? Potrebbe tornarci utile. È intelligente, astuta e con grandi rilessi… >> cercò di convincerlo.

<< Perché così ho deciso e la mia parola è legge a bordo di questa nave, chiaro? >> rispose autorevolmente.

Jack si limitò ad osservarlo con sguardo critico, come se stesse decidendo se dichiararlo danneggiato o irrecuperabile. Probabilmente la seconda. Se c’era qualcuno a cui il suo tono da capitano non faceva affetto quello era il moro. Poi c’era Wendy, ma ormai era scontato che lei si scontrasse su tutto con lui.

<< Sicuro di non aver sbattuto la testa da piccolo? Perché in tutta la mia vita non ho incontrato nessuno più testardo di te >>

Killian sospirò, avendo capito che ormai gli era impossibile leggere quelle dannate carte. Si rivolse verso l’amico cercando di mantenere un atteggiamento serio mentre un sorriso minacciava di comparire sul volto.

<< Io invece mi domando perché non ti abbia ancora gettato in mare >>

L’altro si limitò a scrollare le spalle << Semplice, perché sono il tuo migliore amico >>

Si guardarono, sfidando l’altro a gettare la spugna per primo, per poi scoppiare a ridere nello stesso momento.

Quando erano insieme non riuscivano mai a rimanere seri. Killian, per natura, adorava essere al centro dell’attenzione e fare lo sbruffone mentre Jack adorava prenderlo in giro. Ciò comportava situazioni esilaranti dove entrambi erano protagonisti.

<< Seriamente, lasciala respirare un po’. Se la vuoi davvero a bordo almeno considerala come un membro della ciurma. Oppure lasciala andare >> disse dopo aver ripreso fiato.

Killian lo guardò e capì di dover essere sincero. Perché lui l’aveva già capito. Aveva capito che non riusciva a considerarla come un sottoposto perché le era legato, molto più del dovuto, a tal punto da non volere che lei si mischiasse agli altri e per lo stesso motivo non poteva lasciarla andare

<< Non ci riesco >> ammise infine.

Jack lo colpì sulla spalla, facendogli segno di andare sul ponte. Lui annuì ed uscì dalla stanza, seguito dall’amico.

Sul ponte i suoi uomini si stavano preparando ad attraccare; chi si occupava delle vele, chi urlava direttive a destra e a manca, chi correva avanti ed indietro e chi stava affilando le spade. Poi c’era Wendy tranquillamente appoggiata al timone mentre guardava gli altri pirati. Si voltò nella sua direzione e gli rivolse uno sguardo di sfida: “Prova a fermarmi” dicevano i suoi occhi. Lui si rivolse a Jack che lo incoraggiò con un movimento del capo.

Killian sospirò e fece segno a Jack di dare l’ordine.

<< Gettate l’ancora! >>

In un attimo Wendy si materializzò davanti a loro. Il capitano la squadrò da capo a piedi: aveva messo da parte i completi succinti in favore di pantaloni e camicia, la spada era legata al suo fianco ed in testa indossava un cappello che, come gli aveva spiegato più volte, serviva affinché i capelli non s’impigliassero nei rami troppo bassi.

Appurato che il completo fosse adatto ad una scorazzata nella foresta, le diede il suo consenso, non senza richiami << Non ti allontanerai da me neanche di un millimetro, sono stato chiaro? >>

<< Non ho bisogno d’una balia >>

Il capitano lasciò cadere l’argomento e, portandosela dietro, scese dalla nave.

<< Uomini! Il nostro obbiettivo è l’oro. Ci sono molte leggende a riguardo, leggende il cui unico scopo è quello di tenere alla larga gli uomini; ma non importa quanto questa foresta sia insidiosa o che bestie dovremmo affrontare. Noi siamo i pirati più temuti dei sette mari. Per anni siamo stati messi alla prova ed ognuno di voi ha dimostrato di che tempra è fatto non una ma cento volte. E cento volte ancora! Non esistono uomini come noi in nessun mondo. I nostri nomi verranno scolpiti nella storia come coloro che hanno raggiunto i confini del mondo >> disse Killian, per incitare i suoi uomini.

I pirati lanciarono esclamazioni, sfoderando le loro spade e rivolgendole in alto.

Fece segno a Wendy, che durante il discorso era rimasta nelle retro vie, di raggiungerlo e poi incominciò a fare strada.

La foresta in cui si trovavano era davvero ritenuta essere ai confini del mondo: infatti si vociferava che quello fosse proprio il luogo attraverso cui i bambini dimenticati dai genitori arrivassero a Neverland. Era un portale tra l’isola, che a sua volta si collegava alle altre terre, e il mondo reale.

Le leggende narravano anche che ci fosse una caverna, nel cuore della foresta, in cui scorreva una cascata che formava un lago, al centro del quale c’era un isolotto. Lì c’era una montagna di monete d’oro alla cui cima era posto un forziere contenente il tesoro più prezioso d’ogni mondo.

Ma le leggende narravano anche d’una maledizione proveniente dal mondo reale. Si trattava infatti d’un tesoro atzeco, composto di 883 pezzi d’oro, consegnato a Cortèz per frenare il massacro delle popolazioni indigene. Ma l’avidità dell’uomo non aveva avuto freni così gli dei scagliarono un’orrenda maledizione. Ogni mortale che avrebbe sottratto anche solo uno dei pezzi dal forziere di pietra sarebbe stato punito per l’eternità: il bere non l’avrebbe dissetato, il cibo si sarebbe trasformato in cenere e la migliore compagnia del mondo non avrebbe appagato la sua lussuria. Quando poi la magia aveva abbandonato quel mondo il forziere era stato spostato nel luogo più vicino: Neverland.

Wendy la conosceva; infatti, come ogni cosa presente sull’isola, anche la maledizione era stata oggetto di libri. Ricordava ancora quando Richard glielo aveva regalato per il suo compleanno. Aveva letto ogni singola pagina più e più volte, arrivando ad imparare la storia a memoria. Perciò sapeva esattamente ciò a cui stavano andando incontro, a differenza di Hook, che sembrava non preoccuparsi della maledizione.

<< Non penso sia una buona idea >> cercò di farlo ragionare

<< E questo è l’esatto motivo per cui non volevo che tu venissi con noi >>

 Wendy lo superò di qualche passo per poi bloccarsi di fronte a lui, costringendolo a fermarsi.

<< Senti, dolcezza, non sarà di certo una stupida maledizione a fermarmi >> disse spazientito.

<< E se fosse vera? >>

<< è esattamente ciò che voglio >>

Quando lui e i suoi uomini erano arrivati a Neverland aveva subito appreso della maledizione e realizzato che era ciò che gli serviva per vendicarsi dell’Oscuro. Aveva trascorso molti anni in cerca della caverna, senza ottenere alcun risultato. Col tempo smise di cercarla così assiduamente, finché l’arrivo di Wendy non la tolse dai suoi pensieri. Ma un mese prima Campanellino era stata da lui, proponendogli un accordo: lui avrebbe dovuto lasciare in pace Peter e lei in cambio gli avrebbe indicato la strada per la caverna. Da quel giorno il pirata era diviso in due: una parte che desiderava proteggere la ragazza, l’altra che era ossessionata dalla maledizione.

Camminarono per circa mezzora; il capitano conduceva la fila con Jack e Wendy al suo fianco, seguito da Smee e gli altri. Nessuno parlava ma tutti i pirati continuavano a guardare prima il capitano e poi la ragazza.

Finalmente gli alberi incominciarono a farsi più radi ed arrivarono in prossimità della caverna.

<< Procuratevi delle torce >> ordinò.

Gli uomini si diedero subito da fare, staccando dei rami dagli alberi intorno a ai quali attorcigliarono pezzi di stoffa a cui diedero fuoco con dei fiammiferi. Smee porse una torcia al capitano che, passatola a Wendy e presala per mano, si addentrò nella caverna.

L’interno era un lungo corridoio stretto, le cui pareti di roccia erano umide a causa della presenza d’acqua.

Wendy non liberò la mano dalla presa del capitano ma la strinse maggiormente mentre cercava di calmarsi prendendo respiri profondi. Quella caverna non le piaceva e le piacque ancor meno quando giunsero alla fine del corridoio. Davanti a loro c’era un piccolo tratto di terra, dopo il quale l’acqua circondava un isolotto posto al centro. E senza dubbio davanti ai loro occhi si ereggeva una montagna di monete d’oro.

<< Smee, trova la barca >> ordinò.

Ma un forte vento giunse dalle loro spalle, spegnendo le torce. L’unica fonte di luce era l’apertura sopra le loro teste, dalla quale si poteva scorgere la luna. Erano in quella grotta da parecchie ore.

D’un tratto s’incominciò ad udire un leggero fruscio, come se qualcuno si stesse muovendo a cerchio intorno a loro. Wendy gettò la torcia a terra e sfoderò la spada, avvicinandosi ancora di più al capitano che le strinse la mano come per darle sicurezza.

Stava per lasciarla andare quando una voce interruppe il silenzio della caverna << Io sono la fame, io sono la sete. Se mordo qualcuno posso tenere la presa fino a morire,  e anche da morto dovranno strappare il boccone dal corpo del mio nemico e seppellirlo insieme a me. Posso resistere secoli senza mangiare, posso dormire notti e notti all’addiaccio e non congelarmi. E posso bere fiumi di sangue senza scoppiare. Preparatevi a morire! >> finì con un ruggito.

Dall’acqua emersero dei cadaveri che andavano verso di loro e tutti i pirati sfoderarono le loro spade. Tranne Hook. Il capitano invece aveva individuato la barca ed era deciso a raggiungere il centro della caverna. Non si preoccupò degli scheletri intorno a lui e le urla dei suoi uomini non riuscirono a fermarlo. Aveva occhi solo per il forziere.

Quando un cadere gli si avvicinò sfoderò la spada e gliela conficcò nel petto, inchiodandolo alla parete. 

Ormai era con un piede nell’imbarcazione quando Jack lo fece uscire dalla sua trance.

<< Killian! Wendy! >>

Fu come ricevere una secchiata d’acqua gelida. Il pirata si fermò all’istante e tornò a terra mentre con lo sguardo cercava la ragazza.

Incominciò a farsi strada tra i pirati e i cadaveri, senza curarsi di fermarsi ad aiutare i suoi compari. E poi la vide: aveva le spalle rivolte all’acqua, da cui stavano uscendo altri cadaveri e davanti a lei c’era una bestia nera, a metà tra lupo e uomo. Questa aveva le zanne spalancate verso Wendy che sferzò un colpo con la spada mirando alla testa. La bestia però catturò la lama e gliela strappò di mano facendola cadere a terra.

Fu un attimo: si udì uno squarcio seguito da un ululato e poi la bestia cadde.

Killian, aiutato da Jack e Smee, spostò l’animale da sopra la ragazza e le offrì la mano per aiutarla ad alzarsi mentre cercava di tenere l’uncino sporco di sangue il più possibile lontano da lei.

Wendy accettò l’aiuto ma una volta in piedi non esitò a lasciarselo alle spalle e a dirigersi verso l’uscita.

Gli disse solo quattro parole << Sei un idiota Jones! >>




Storybrooke, presente 



Katherine non era mai passata inosservata. In passato i lunghi capelli scuri, in contrasto con gli occhi azzurri, avevano attirato su di sé l’attenzione di ragazzi e l’invidia delle ragazze.

La sensazione di potere l’aveva sempre fatta sentire bene, completa, protetta. Aveva sempre fatto tutto il necessario per tenere tra le mani i fili che controllavano tutto ciò che la circondava. Si era imprigionata da sola.

La sua vita non era stata perfetta ma lei aveva preferito non vedere: era andata avanti sui suoi passi senza guardarsi indietro. In un certo senso spesso si era sentita come se quella era persona che era sempre stata destinata ad essere.

Ma poi la vera lei aveva preso forma nell’istante in cui aveva messo piede a Neverland. Niente più maschere, niente più bugie, niente più sotterfugi…era stata semplicemente se stessa.

Lei non era stata colpita dal sortilegio oscuro ma si sentiva esattamente come tutti gli abitanti della cittadina: da una parte c’era Katherine, la stronza senza cuore il cui unico desiderio era poter lasciarsi andare; dall’altra Wendy, la ragazza innamorata a cui non importava che difficoltà le proponesse la vita finché fosse stata al fianco del suo capitano.

Dal suo risveglio Wendy “aveva preso il controllo”: non era più riuscita a tornare la vecchia lei, ma in quel momento stava vacillando.

La conversazione con Jack l’aveva lasciata destabilizzata: era già distrutta e le sue parole non aveva fatto altro che confonderla ancora di più. Era fortemente tentata di abbandonare tutto, innalzare ancora una volta i muri intorno a lei e tornare ad indossare la maschera di sempre. Tuttavia c’era il pensiero di Killian che non le permetteva di farlo.

Chi l’avrebbe vista in quel momento, camminare a passo spedito per la via principale con la testa bassa, avrebbe capito all’istante che qualcosa non andava.

Tutto quello che voleva era arrivare alla biblioteca per poi cercare conforto tra i suoi amati libri. I libri non l’avevano mai delusa, a differenza delle persone: forse proprio tra quelle pagine c’era la soluzione a tutti i suoi problemi. Forse potevano dirle chi era davvero e cosa doveva fare.

Dire che giunta all’edificio aveva spalancato la porta era un errore. Si era letteralmente gettata all’interno, chiudendosi la porta alle spalle.

Subito chiuse gli occhi, cercando di darsi un contegno. Piano scivolò lungo al muro mentre l’ansia e la disperazione prendevano il sopravvento su di lei.

Non ebbe molto tempo per auto-commiserarsi poiché quasi all’istante due braccia forti si strinsero intorno a lei. Non aveva bisogno di aprire gli occhi per sapere chi fosse, le era fin troppo chiaro. Profumava come la brezza marina, mista alla menta: un odore che non aveva e mai avrebbe dimenticato.

Non era la prima volta che Killian la consolava, tenendola stretta e sussurrandole parole sconnesse solo per darle conforto con la sua voce, ma in quel momento Katherine non voleva essere consolata. Voleva sfogarsi, liberarsi di tutto ciò che l’aveva soffocata negli ultimi mesi. Ma non aveva le forze per cacciarlo e, anche se la sua presenza la costringeva a contenersi, doveva ammettere che le faceva bene, la faceva sentire a casa.

Nessuno dei due seppe per quanto tempo rimasero in quella posizione. Katherine era troppo presa dal turbino di emozioni che le occupava il petto mentre Killian aveva lo sguardo fisso in un punto indefinito sul muro mentre con la mano le accarezzava i capelli e ascoltava i loro cuori battere insieme.

Fu Katherine a spezzare la magia del momento. Aperti gli occhi ruppe l’abbraccio e si alzò senza degnarlo di uno sguardo. Killian tuttavia non si mosse, aspettando una qualsiasi reazione da parte di lei.

<< Vattene >> la voce era roca.

Il pirata non si scompose minimamente, prendendo il suo tempo nell’alzarsi.

<< Vattene >> ripeté un po’ più forte

<< Non ho passato trent’anni col il pensiero del tuo corpo freddo ed immobile a tormentarmi, temendo di averti perduta per sempre per poi sentirmi dire di andarmene >>

<< Che cosa vuoi che ti dica? >> chiese alzando di scatto la testa con la rabbia evidente nella voce. Poi continuò con un tono più basso << Aspetta, farmi riprovare >>.

Abbassò di nuovo il volto e quando ripose lo sguardo sul pirata aveva uno dei sorrisi più falsi che si fossero mai visti << Killian! Non hai minima idea di quanto mi faccio piacere ritrovarti qui, intento a dare la caccia al tuo coccodrillo per vendicare la morte del tuo vero amore >> pronunciò queste due parole con disgusto << mentre io ho trascorso gli ultimi otto mesi nella più completa disperazione per averti perduto ed ho lasciato la mia famiglia alle spalle nella speranza di ritrovarti >>

Il sorriso si spense e gli occhi s’inumidirono di lacrime << Meglio? >> chiese sarcastica.

Il pirata non si mosse né parlo. Si limitò a guardarla combattere contro se stessa per non crollare. Non che non avesse parole da rivolgerle o che non stesse morendo dalla voglia di stringerla di nuovo. Semplicemente la conosceva, forse meglio di chiunque altro e gli era chiaro che fosse sul punto di esplodere.

Nessuno era capace di contenere tutto dentro di sé e lei era diventata una bomba ad orologeria.

Voleva parlarle, chiarire come stavano davvero le cose, ma sapeva che finché non si fosse sfogata non l’avrebbe ascoltato.

Era pronto a ricevere tutti gli insulti che voleva rivolgergli, tutto il dolore che voleva infliggergli, consapevole che poi sarebbe spettato a lui rimettere i pezzi insieme e farla tornare la ragazza sorridente di cui si era innamorato.

E non gli importava, per niente. Era un pirata, senza dubbio, ma il suo stato sociale non gli impediva di amare, di prendersi cura di qualcuno al di fuori di se stesso.

<< è sempre stata lei. Sarà sempre lei >> lei incominciò a dire abbassando lo sguardo << è per lei che sei venuto a Storybrooke. È per lei che hai quasi ucciso Belle. Quasi ucciso me >> 

E finalmente si lasciò andare. Le lacrime incominciarono a bagnarle le guance e i singhiozzi a scuoterle il corpo. Killian non perse tempo e la attirò di nuovo a sé mentre Katherine si svuotava di tutto ciò che aveva minacciato di distruggerla.

<< Sono qui. Sono qui con te. Non ti lascerò andare >>

Ricordava ancora l’incidente delle sirene: l’ennesima volta in cui la sua distrazione avrebbe potuto costarle la vita. Ricordava come, tornati sulla Jolly Roger, fosse stata lei a consolare lui. Non aveva potuto scacciare dalla sua mente la sua immagine mentre veniva trascinata sott’acqua così lei aveva deciso di dargli qualcos’altro a cui pensare. E così avrebbe fatto ora lui.

<< Mi hai sempre accusato di non fidarmi abbastanza di te, di non essere mai stato completamente sincero. Penso sia giunto il momento di farti cambiare quest’idea >> si fermò un attimo per vedere se Katherine avrebbe reagito in qualche modo. 

Lei si strinse di più contro di lui, dandogli così il suo consenso a continuare. Lui aumentò la stretta e riprese << Non sono sempre stato un pirata, sai? >>

<< Ma davvero? E chi l’avrebbe mai detto >> scherzò alzando lo sguardo verso di lui, con un lieve sorriso sulle labbra.

Si allontanò di poco da lui, solamente la distanza necessaria affinché potesse asciugarsi le lacrime.

<< Non voglio costringerti a raccontarmi il tuo passato. So che… >> disse ma venne interrotta dal pirata.

<< No, non lo sai. Il passato è passato e nulla può cambiarlo. L’ho imparato troppo tardi. Ciò che voglio è lasciarci alle spalle questa parentesi e non potremo mai farlo se ci saranno ancora della barriere tra di noi >>

Katherine resse il suo sguardo, cercando qualche briciola d’indecisione o rimpianto o qualsiasi altra cosa che avrebbe potuto convincerla del fatto che lui non fosse sincero. Invece c’era solo determinazione e sapeva che poi non avrebbe potuto tirarsi indietro. Erano ad un punto di non ritorno: potevano solo andare avanti, abbattendo tutti i muri, oppure andare per strade diverse.

Aveva la netta sensazione che entrambi sapessero che la decisione era sempre stata una sola.

Ritornò a sedersi sul pavimento, facendo segno a Killian di sedersi di fianco a lei. Lui la guardò con un sopracciglio alzato ma fece come richiesto.

<< Tanto vale metterci comodi! >> spiegò << Allora. Rincomincia. C’era una volta… >>  

<< Evita >> disse lanciandole un’occhiataccia che ebbe come unico risultato il farla ridere. Si mise poi a fissare dinanzi a lui, cercando di rimettere insieme i pensieri. Katherine gli prese la mano e gliela strinse.

<< La mia famiglia e dio non eravamo dei reali e neppure dei nobili. Mio padre era un mercante che commerciava spezie e tessuti mentre mia madre faceva da insegnante ai bambini del villaggio. Il lavoro di mio padre ci permetteva di vivere bene, tutto sommato eravamo una delle famiglie più benestanti. Non avevo mai avuto preoccupazioni, la mia era stata un’infanzia felice. Pensa che spesso fingevo di essere un pirata >> disse lasciandosi sfuggire una risata amara, seguita da una un po’ più sincera da parte della ragazza.

<< Anche crescendo ho condotto una vita tranquilla. Trascorrevo le mie giornate aiutando mia madre con i bambini, imparando a maneggiare la spada, a cavalcare e cose del genere. Non avevo neanche la preoccupazione di trovare una moglie. I miei genitori non avevano una mentalità chiusa, anzi, mi avrebbero permesso di sposarmi solo per amore. Sono sicuro che ti avrebbero adorato >> disse spostando lo sguardo su di lei e stringendole la mano.

Katherine si morse il labbro, un po’ per l’emozione e un po’ perché non sapeva cosa dire. Non riusciva ad immaginare come fosse stato possibile per lui passare da una vita del genere a quella di un pirata.

<< Ovviamente la vita felice ha subito una brusca interruzione oppure non sarei qui con un uncino al posto della mano. Un anno le navi di mio padre che portavano il carico arrivante da Agrabah furono attaccate dai pirati. L’inverno precedente era stato particolarmente rigido e, avendo speso tutti i guadagni dell’anno, avevamo chiesto alcuni prestiti rassicurando che avremmo pagato con l’arrivo delle navi. Non potendo ripagare loro si preoccuparono da soli di riprendersi ciò che gli spettava. Un giorno tornai a casa e trovai mio padre steso nel vialetto, con il volto in una pozzanghera e la gola sgozzata. Mia madre morì qualche giorno dopo per il dolore. Allora decisi d’imbarcarmi su una nave che era appena giunta in porto, con lo scopo di vendicare la morte della mia famiglia. Da quella prima nave mercantile passai da un vascello all’altro finché non arrivai a bordo della nave di Barbanera. È stato lui ad insegnarmi tutto ciò che so sulla vita di un pirata. Alla fine l’allievo batté il maestro e diventai a mia volta il capitano della mia nave. Il resto è storia e poi sei arrivata tu >>.

Katherine era senza parole. Spesso si era ritrovata a fantasticare sul Killian pre-pirata ma mai avrebbe immaginato ciò. Ora capiva perché non aveva mai condiviso la sua storia con lei: era troppo doloroso.

Killian era molto orgoglioso e testardo ed uno dei suoi peggior difetti era il fatto di non riuscire a lasciarsi il passato alle spalle, la sua voglia di vendetta ne era una prova. E certamente dover ripensare a quella vita felice che poi gli era stata strappata per poi risvegliarsi ed accorgersi di essere un pirata con un uncino al posto della mano sinistra era più di quanto potesse sopportare.

<< Mi dispiace >>

<< Il passato è passato. Ora è arrivato il momento di lasciarcelo alle spalle e di ricominciare >> disse alzandosi. Le porse la mano come chiaro invito ad intraprendere quella nuova fase della sua vita con lui.

Lei non esitò ad intrecciare le loro dita. Come una volta.



Neverland, trentadue anni prima



Quella sera la taverna era affollata. Mercanti che conducevano i loro loschi affari, contadini che si distraevano dopo una pesante giornata di lavoro, uomini che si davano da fare con le prostitute mentre le loro mogli li attendevano a casa e ubriachi che intrattenevano gli altri con le loro idiozie.

Poi, seduto in un angolo con al suo fianco Jack, c’era Hook.

Il suo sguardo era diretto verso un gruppo di persone poco lontane dal punto in cui si trovava. I membri della sua ciurma erano raccolti intorno aWendy che, seduta sul tavolo, era presa dal racconto di una delle sue storie.

Sorrideva e con le mani faceva ampi gesti per dare enfasi al racconto e di tanto in tanto spostava una ciocca ribelle dietro l’orecchio.

Il pirata non poteva fare a meno di osservarla, di analizzarla in ogni singolo dettaglio.

Ormai erano lontani i tempi in cui mentiva a se stesso sostenendo che fosse una seccatura. Era fin troppo consapevole del fatto che lei fosse la padrona del suo cuore. Non riusciva ancora ad ammetterlo ma lo sapeva.

Lo aveva capito quella sera di qualche mese prima, mentre avevamo ballato al chiaro di luna. Quando l’aveva stretta tra le sue braccia gli era stato immediatamente chiaro che sarebbe dovuto essere sempre così. E quando si erano dati la buonanotte aveva giurato a se stesso che lei sarebbe stata sua.

Tuttavia la mattina dopo si era comportato come se nulla fosse accaduto, come se non avesse trascorso la notte sognandola. Aveva continuato a ripetersi che non era nulla se non una sensazione sgradevole.

Ma man mano che i giorni si erano susseguiti si era reso conto che stava combattendo una battaglia già persa in partenza.

C’era solo un piccolissimo dettaglio irrilevante: aveva paura. Aveva l’assoluto terrore di lasciarsi andare di nuovo e di rimanere ferito di nuovo. Non sapeva se sarebbe riuscito a sopravvivere se l’avesse persa. Gli bastava averla a bordo della sua nave, vederla sorridere e scherzare con lei. Gli doveva bastare. Perché nonostante si trovasse a Neverland ormai da decenni continuava a sentire la presenza dell’Oscuro e l’ultima cosa che desiderava era mettere in pericolo la sua Wendy.

Per questo motivo era seduto in un angolo lontano da lei, perché sapeva che se le si fosse avvicinato l’avrebbe monopolizzata e sarebbe stato chiaro a tutti che nutriva dei sentimenti profondi per lei che tuttavia cercava di soffocare.

Non poteva permettersi di avere una debolezza, doveva essere sempre vigile. Solo così sarebbe riuscito a proteggerla. E se si fosse lasciato coinvolgere troppo il suo giudizio sarebbe stato offuscato e non poteva lasciare che ciò accadesse.

Quando l’ennesima ragazza che aveva tentato di sedurre il capitano se ne era andata senza essere degnata di uno sguardo (troppo preso da una certa narratrice di storie) Jack decise di rompere il silenzio che aveva dominato la serata.

<< Ti sei deciso ad essere finalmente sincero con me? >>

Era giunto il tempo di gettare la maschera, non poteva più andare avanti così e ne era ben a conoscenza. Doveva prendere una decisione definitiva: dimenticarla o dichiararsi. La scelta era sempre stata una sola, fin dal primo istante in cui Wendy aveva messo piede sulla sua nave.

<< Anche a te erano giunte le voci sul suo conto. Si mormorava che fosse affascinante, intelligente, colta, gentile…al pari di una principessa. Ma nulla mi ha preparato alla sua bellezza. Una bellezza che viene dall’interno >> ammise, senza staccare gli occhi dalla figura della ragazza che si accingeva a terminare il suo racconto.

<< Ne sei innamorato? >> gli chiese Jack senza giri di parole, sapendone l’inutilità

<< Sì >>

<< Allora non lasciartela scappare >>



Storybrooke, presente



Erano nelle vicinanze del porto quando Katherine si fermò all’improvviso. Killian si voltò verso di lei confuso. Era sicuro di aver chiarito tutto, che non ci fossero più problemi ma qualcosa la turbava ancora.

<< Wen… Katherine? >> chiese, correggendosi a metà

Lei aveva lo sguardo perso nel vuoto. Dopo qualche secondo sbatté le palpebre un paio di volte riportando il suo sguardo su Killian. Gli bastò un istante per capire che cosa l’affliggeva.

<< Ti amo >> disse prendendole la mano e baciandole il dorso.

Con uno solo sguardo gli era stata chiara l’insicurezza che provava nei riguardi dei suoi sentimenti. Probabilmente aveva paura che non potesse amare questo nuovo lato di lei.

<< Ti amo. Non m’importa del tuo nome o del colore dei tuoi capelli, che per informazione ti rendono simile ad un angelo >> disse strappandole un sorriso << e neppure se in questo mondo ti comporti in modo diverso. Io ho visto la vera te così come tu hai visto il vero me e questo mi basta. Nulla che tu possa dire o fare cambierà ciò che provo per te. Mettitelo bene in testa >>

<< Dimostramelo >> sussurrò

<< Mi trovi estremamente d’accordo. Abbiano trent’anni da recuperare ed ho tutta l’intenzione di passare i prossimi giorni rinchiusi nella mia cabina >>.

<< Non voglio più sentirti parlare di vendetta nei confronti di Rumple >> disse lentamente, scandendo ogni parola così che non gli fosse possibile non capire o capire male. Sosteneva il suo sguardo, sfidandolo come era stata solita fare a bordo della Jolly Roger.

E proprio a causa delle loro esperienze passate che Killian sapeva che non aveva altra scelta che accettare. L’idea che il coccodrillo vagasse a piede libero e che fosse ancora vivo, felice gli faceva ribollire il sangue ma la sola prospettiva di perdere la ragazza che amava era mille volte peggio.

A causa di quell’uomo aveva perso molto. Aveva amato Milah e per un determinato periodo di tempo si era convinto che lei fosse stata il suo vero amore. Poi era arrivata Katherine e si era reso conto che l’amore che aveva provato per Milah era nulla in confronto al misto di emozioni che gli metteva in subbuglio l’animo quando Katherine gli era accanto.

Ciò non voleva dire che l’avesse dimenticata o altro. Milah sarebbe rimasta per sempre una parte importante della sua vita e ne avrebbe conservato il ricordo in nome dell’amore che li aveva legati.

Ma aveva passato anni meditando vendetta e non avrebbe permesso all’Oscuro di stappargli la felicità ancora una volta. Un giorno quel che legava, per qualche strano motivo, Rumplestiltskin e Katherine si sarebbe spezzato ed allora lo avrebbe ucciso, vendicando così la morte di Milah.

Ma fino ad allora non gli avrebbe concesso nessun vantaggio, nessuna influenza su Katherine e sulla loro relazione.

<< D’accordo. Hai la mia parola >>

Katherine lo studiò per poi decidere che era sincero. Intrecciò di nuovo le loro dita e riprese a camminare in direzione della nave.

A bordo li attendevano tutti i membri della ciurma, ognuno con in mano una bottiglia di rum per festeggiare il ritrovamento del loro capitano e della sua compagna. Smee porse una bottiglia a Killian mentre Jack a Katherine.

<< Attendiamo ordini, capitano >> affermò il nostromo, seguito da esclamazioni e cenni di consenso.

<< Mio caro Smee, tu e gli altri avete ancora questa notte per ubriacarvi e divertirvi. Da domani si torna al lavoro >> disse alzando la bottiglia e bevendone un sorso abbondante e a lui si unirono i presenti.

Mentre i pirati incominciavano a festeggiare e a riprendere il contatto con il loro stato di contrabbandieri Killian preferì rimanere con Katherine che l’aveva osservato per tutto il tempo con un sorriso sulle labbra.

Le cinse la vita con un braccio e le sussurrò nell’orecchio << Bentornata a casa >>.







Nuovo capitolo!

Mi scuso per la settimana di ritardo ma purtroppo ho avuto alcuni impegni che mi hanno tenuto lontano dal computer. Lo stesso succederà la prossima settimana, perciò molto probabilmente l’aggiornamento salterà.

Oggi abbiamo scoperto il passato di Killian: devo dire che non mi piace come l’ho scritto ma spero che l’idea sia stata apprezzata.

Al contrario penso che i flashbacks siano le parti scritte meglio.

Nel capitolo sono presenti citazioni tratte da “Pirati dei carabi: la maledizione della prima luna”, “Harry Potter: il principe mezzosangue”, “Le cronache di Narnia: il principe Caspian” e “I Tudors”.

I prossimi capitoli vedranno i nostri protagonisti alle prese con le rivelazioni dei vari segreti quindi questo è un punto di non ritorno.

Fatemi sapere cosa ne pensate tramite le recensioni.

Mi scuso per eventuali errori

Un bacio, Aletheia

P.S.

Vi ricordo la mia pagina autore su Facebook http://www.facebook.com/pages/Aletheia-EFP/143277042497828

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1537786