Summer

di _Trixie_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Di costumi, guardie e castelli ***
Capitolo 2: *** Di scii, montagna e oceano ***
Capitolo 3: *** Di viaggi, anniversari e occhi ***
Capitolo 4: *** Di acqua, tuffi e sorrisi ***
Capitolo 5: *** Di scommesse, inviti e labbra ***
Capitolo 6: *** Di imbarazzo, curve e attese ***



Capitolo 1
*** Di costumi, guardie e castelli ***


 

Titolo: Di costumi, guardie e castelli
Autore:_Trixie_
Fandom: Grey’s Anatomy.
Personaggi: Calliope Torres, Arizona Robbins, Addison Forbes Montgomery, Sofia Robbin Sloan Torres.
Pairing: Callie/Arizona.
Genere: fluff, romantico, slice of life.
Rating: verde.
Disclaimer: Personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò che deriva dalla trama ufficiale da cui ho elaborato la seguente storia, non mi appartengono e non ne detengo i diritti. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro. 
Tabella: Estate.
Prompt: 01. Castelli di sabbia.
Note: Finalmente questa raccolta si è scritta, con gran sollievo di Msstellina! Tra un tango e l'altro sono riuscita a trovare il tempo ;D
Vi ricordo Winter e Spring, nate per la stessa Challenge, Fluff Fest Challenge, indetto sul forum di EFP e mi scuso per l’attesa, ma spero che ne sia valsa la pena.
Nel banner che vedete all'inizio la parte a destra con Callie e Arizona (a dire il vero, Sara Ramirez e Jessica Capshaw) è un fotomontaggio. La piccolina è la figlia di JCap e il fotomontaggio non è mio, ma l'ho trovato per caso tra le foto di google ;D Il resto del banner è mio :)
E per finire, grazie a K., che si presta sempre come cavia <3
Buona lettura! ;D
 

Di costumi, guardie e castelli

 
 
Amavo il sole, i climi caldi, Calliope in costume, la sabbia, i colori vivaci, Calliope in costume, l’acqua cristallina, il tramonto dagli scogli e Calliope in costume.
Così, mi ero lasciata convincere a trascorrere una settimana a Los Angeles con Callie e Sofia, ospiti di Addison Montgomery.
Mi ero categoricamente rifiutata di permettere a nostra figlia di salire su un aereo, così avevamo preso il treno, meno veloce, ma più sicuro.
Arrivammo a Los Angeles di sera e mi aspettavo un’accoglienza discreta da parte di Addison, considerando le storie che circolavano su di lei a Seattle, e di certo non che lasciasse cadere a terra di schianto la sua borsa per precipitarsi ad abbracciare mia moglie.
Attonita, guardai Sofia, che dall’alto dei suoi sette anni mi restituì uno sguardo curioso, senza lasciare la presa della mia mano.
«Callie, è passato così tanto tempo da quando ci siamo viste l’ultima volta!» disse Addison, senza lasciare la presa su Calliope, gesto che mi irritò non poco.
«Almeno sette, da quando hai fatto nascere Sofia!» rispose Callie, sciogliendosi gentilmente dall’abbraccio dell’altra con mia grande gioia.
«Eccola qui, la piccola Sofia» aggiunse poi, indicando nostra figlia ad Addison. «E lei è Arizona, mia moglie, te la ricordi, vero?»
«Certo che me la ricordo, è un piacere vederti di nuovo» confermò la donna, cui tesi la mano in segno di saluto. Inaspettatamente, Addison abbracciò anche me, facendomi spalancare gli occhi dallo stupore e irrigidire per quel contatto inaspettato. L’abbracciai a mia volta pacatamente, senza mai lasciare la mano di Sofia e lanciando uno sguardo interrogativo a Calliope, che rispose con un’alzata di spalle e un sorriso.
«È-è un piacere anche per me» balbettai confusa, prima che Addison mi lasciasse per rivolgersi a Sofia.
«E tu sei Sofia! Come sei diventata grande!» esclamò.
«Io lo so chi sei. Sei la zia Addison, vero?» domandò Sofia con voce infantile.
Addison rimase sorpresa nel sentirsi chiamare zia, ma sorrise compiaciuta e annuì, accarezzando la guancia di Sofia.
Per fare addormentare nostra figlia, Calliope di sera le raccontava storie che prendeva ispirazione dalle nostre vite. E così c’erano il principe, oltreché zio, Tim e il cavaliere George che combattevano insieme le forze del male, la fata Izzie che uccideva draghi sputa fuoco, la maga e zia Addison alla disperata ricerca della felicità, la dolce regina Lexie e soprattutto papà Mark, il re che proteggeva la sua bambina con spada e scudo.
«E sai tante cose di me?» domandò Addison.
«Sì, so tutto di te» si pavoneggiò Sofia, mentre la donna di fronte a lei mimò un’espressione esageratamente stupita.
«Bene, vogliamo andare? Sarete stanche» propose poi rivolgendosi a noi.
«Ma certo» esclamò Calliope, recuperando le nostre valige, che Addison ci aiutò a trasportare fino alla sua auto fuori dalla stazione, sotto il cielo stellato di Los Angeles.
 
La mattina dopo il nostro arrivo fui svegliata da un raggio di sole che mi colpì il volto. Allungai la mano in cerca di Callie e accarezzai la sua schiena nuda prima di abbracciarla e stringerla a me.
«Buongiorno, bella addormentata» sussurrai nel suo orecchio, quando capii che si stava svegliando anche lei.
«Buongiorno, che ore sono?» chiese, voltandosi verso di me e baciandomi dolcemente le labbra.
Svegliarsi la mattina con lei accanto era una delle cose più belle della mia vita.
«Non lo so, le otto, credo» risposi. «Un sole così a Seattle capita una volta all’anno».
«Credevo ti piacesse il clima di Seattle» protestò lei, stirandosi, per quanto le consentisse il mio abbraccio.
«Certo che mi piace il clima di Seattle, ma ogni tanto un po’ di sole fa bene!»
«Sofia dorme ancora?» chiese poi, lanciando uno sguardo alla piccola camera attigua alla nostra, sufficiente solo a contenere un letto e un armadio. A Sofia era piaciuta subito, forse perché Addison l’aveva riempita di peluche e giocattoli vari apposta per lei.
«Quando ho saputo che sareste arrivate non ho resistito alla tentazione di viziarla» si era giustificata.
«Sì, non sento rumori» risposi, tendendo l’orecchio. Da quando Sofia era entrata a far parte delle nostre vite il mio udito si era acuito in maniera incredibile.
«Forse dovremmo scendere a fare colazione» disse Callie.
«O forse potrei fare colazione qui con te» proposi io, mordendole una guancia e strappandole una risata che considerai un assenso alla mia proposta.
 
Scendemmo in cucina solo un’ora più tardi dal nostro risveglio e solo perché si era svegliata anche Sofia.
Trovammo Addison ai fornelli e io accolsi come una benedizione il sapore di caffè che mi invase la narici.
«Spero di non avervi svegliate» disse, girandosi verso di noi.
«Zia Addison!» esclamò Sofia correndole incontro. Tra le mani aveva un cavallo di peluche, uno dei regali che aveva scovato nella stanza.
«Buongiorno, tesoro» le sorrise la donna, scoccandole un sonoro bacio sulla guancia.
Io e Callie indossavamo ancora il pigiama, che a dire il vero avevamo messo quella mattina, ma Addison portava un copricostume dai colori vivaci. I medici andavano al lavoro vestiti così, lì a Los Angeles?
Lei dovette cogliere la mia occhiata interrogativa, perché mi sorrise.
«Mi sono presa qualche giorno di vacanza» disse. «Pensavo che sarebbe stato carino passare la giornata in spiaggia. Così aiuterò Sofia a costruire un bel castello di sabbia. Hai voglia, Sofia?»
«Possiamo farci anche le scuderie?» chiese lei, che nel frattempo aveva preso posto a tavola, dove Addison aveva già preparato tutto per la colazione. Io mi sedetti accanto a mia figlia.
«Certo che possiamo!» rispose la padrona di casa.
«Hai bisogno di una mano, Addison?» si offrì Calliope, ma la donna rifiutò e le disse di sedersi.
«Sto spettando che il cappuccino che ti ho preparato sia pronto» disse con un sorriso. «Con tanta schiuma e poco zucchero, vero?» domandò poi, stupendomi. Dopo tutti quegli anni si ricordava ancora i gusti di mia moglie.
Anche Calliope si stupì, ma annuì e si sedette dall’altro lato di Sofia.
«E per te, Arizona? Latte, caffè, cioccolata, spremuta?» domandò.
«Del caffè andrà più che bene» risposi, stupita della sua ospitalità.
«Perfetto, e per Sofia?»
La bambina guardò Calliope, che sorrise, poi guardò me, mordendosi il labbro. Anche mia moglie aveva l’abitudine di fare quel gesto quando doveva chiedermi qualcosa di scomodo.
«Cioccolata, mamma?» domandò Sofia. Adorava la cioccolata e se fosse stato per lei si sarebbe nutrita solo di quella. Per questo motivo a colazione evitavamo di concedergliela, ma per qual giorno decisi di fare un’eccezione.
«Cioccolata» acconsentii con un sorriso. «Ma non farci l’abitudine!»
«Tuo marito dorme ancora? E tuo figlio?» chiese Callie, come folgorata da un ricordo.
«Oh, no, i miei uomini sono fuori città per almeno altri due giorni» disse Addison, portando a tavola il cappuccino di Callie e una brocca di spremuta che aveva appena tolto dal frigorifero. «Sono dai genitori di mio marito da una settimana. Non ho potuto raggiungerli per via di un caso che stavo seguendo e anche se mi mancano, non mi dispiace aver avuto una scusa per non sopportare mia suocera e i suoi consigli» spiegò.
Quando anche la cioccolata di Sofia fu pronta si sedette con noi con un caffè tra le mani.
Discorremmo del più e del meno fino a quando l’insistenza di Sofia per andare a giocare con la sabbia non ci costrinsero a salire per prepararci.
Misi il costume a Sofia, che tornò subito da zia Addison per andare in spiaggia senza perdere un minuto più del necessario e poi guardai Calliope indossare il suo, ritenendomi la persona più fortunata del mondo.
«Arizona, non ti cambi?» chiese lei, accarezzandomi i capelli.
Ne avevamo parlato tanto a Seattle. Mettere un costumo significava esporre letteralmente alla luce del sole la mia protesi. Ormai l’avevo accettata come parte della mia vita, ma mi infastidiva ancora non poterla coprire agli occhi altrui.
«Sì, certo» risposi a Callie. «Raggiungi Sofia e Addison, arrivo subito».
«Prenditi tutto il tempo che ti serve» mi disse, baciandomi sulle labbra prima di uscire.
Con il cuore pieno di gratitudine per Calliope recuperai il mio costume e lo stesi sul letto, osservandolo a lungo.
Venni distratta dalla risata cristallina di Callie dopo qualche minuto e mi affacciai alla finestra, che deva sulla spiaggia.
Anche Addison e Sofia stavano ridendo, attorno a un cumolo di sabbia che stentai a riconoscere come un castello.
Provai un’inspiegabile fitta di gelosia nei confronti di Addison e delle sue lunghe gambe, così vicina a Calliope e a Sofia, a godere della loro compagnia. La parte razionale di me sapeva che non c’era pericolo, sia perché Addison era felicemente sposata e fortunatamente etero, sia perché Callie non mi avrebbe mai tradita.
Ma la parte irrazionale di me era furiosa per la vicinanza di quella donna e temeva che quegli occhi lucenti e quelle gambe, che a me mancavano, sarebbero bastati a portarmi via Callie.
Distolsi lo sguardo con un sospiro e lo riportai al costume.
Lentamente mi spogliai e indossai il costume, poi mi osservai allo specchio.
Gemetti, nel vedere quel pezzo di metallo e plastica che era diventata la mia gamba.
La risata di Calliope mi raggiunse ancora e insieme alla sua anche quella infantile di Sofia.
E io me le stavo perdendo.
Fu così che decisi.
 
Quando arrivai vicino a loro, l’aspetto del castello di sabbia non era per nulla migliorato. Mura fragili e torri pendenti si susseguivano e si confondevano gli uni nelle altre.
«Mamma!»
Sofia fu la prima a vedermi, poi anche le altre due donne alzarono il viso verso di me.
Calliope aprì la bocca, come per rimproverarmi, ma poi la richiuse.
Sapevo cosa avrebbe voluto dirmi. Avevo indossato il costume come promesso, ma avevo anche messo un paio di lunghi e leggeri pantaloni, dalla stoffa impalpabile ma sufficienti a nascondermi le gambe.
La guardai con sguardo supplicante, perché quello era il massimo che potevo fare, almeno per il momento e non mi andava affatto di litigare con mia moglie.
«Va bene anche così» disse lei sorridendo.
«Andiamo nell’acqua, adesso?» chiese Sofia prima che potessi rispondere.
«Perché non vai con zia Addison?» propose Callie. «Mentre io e la mamma rimaniamo qui a fare la guardia al castello?»
«Va bene, zia Addison? La sanno fare bene la guardia?» domandò Sofia dubbiosa.
Addison rispose annuendo e ci fece l’occhiolino, prima di correre con la piccola verso il mare.
«Scusami» dissi, prima che Callie potesse parlare.
«Per cosa?»
«Per i pantaloni. Lo so, ti avevo promesso che non avrei fatto storie per il bikini, che non mi sarei vergognata davanti ad Addison, ma…» iniziai a spiegarle, afferrando la paletta di plastica di Sofia e iniziando distrattamente a riempire il secchiello.
«Arizona» mi fermò lei. «È tutto a posto, davvero. Mi privi della bellissima visione del tuo fondoschiena, ma posso sopportarlo, davvero» scherzò.
«Grazie» risposi semplicemente, continuando a riempire il secchiello con più vigore.
«Sofia sta dando filo da torcere a Addison» osservò Callie divertita.
«Quella bambina è un uragano» commentai con un sorriso.
«Forse le ricorda il suo primo aborto».
«Cosa?» domandai stupita, non capendo a cosa si riferisse. Non credevo che Addison avesse mai abortito, anzi, ero convinta che avesse sempre desiderato un figlio con tutta sé stessa.
Rovesciai velocemente il secchiello colmo di sabbia e lo sollevai con attenzione, mentre Callie parlava.
«Molti anni fa rimase incinta. Di Mark. Allora era ancora sposata con Derek e, per quanto volesse un figlio, lo voleva di Derek, non di Mark. Così abortì. Mi disse che secondo lei sarebbe stata una bambina. Non ha mai superato davvero la cosa» spiegò Callie, con una punta di amarezza.
«È molto triste» mi limitai a dire.
«Accidenti!» esclamò dopo qualche secondo Callie, guardandomi. «Come diavolo hai fatto a fare una torre così precisa?! Sono ore che noi ci proviamo, ma…»
«Ma il vostro castello sembra più una rovina» commentai.
«Non è vero!» protestò piccata, spostando lo sguardo dalla mia torre al loro disastroso tentativo. «Ok, forse ha bisogno di essere sistemato».
Risi.
«Un chirurgo ortopedico che non sa costruire un castello di sabbia! Io mi vergognerei!» la stuzzicai.
«Non prendermi in giro!»
«D’accordo, vuoi vedere come si costruisce una vera opera d’arte con la sabbia?» domandai, avvicinandomi a lei. «Osserva la tua stupenda moglie e impara».
Mi aiutò a spianare il suolo dove sorgevano le sue rovine di sabbia, poi costruimmo il nostro castello, insieme, una torre alla volta. Non ci furono incidenti di percorso, se non quando mi sedetti per sbaglio su una torre, troppo concentrata sulle labbra di Calliope per badarvi attenzione.
Gli occhi di Sofia si illuminarono quando tornò con un gelato tra le mani e Addison distrutta che arrancava per mantenere il passo con lei.
«Ho visto che stavate… emh, facendo un’ottima guardia al castello, così ho pensato di prenderle un gelato» ci spiegò Addison, facendomi arrossire lievemente, mentre Calliope si limitò a sillabare un grazie.
«Ma sembra ancora più bello di prima!» esclamò Sofia, dopo un accurato esame allo nostra opera.
«Hai visto, zia Addison? Le mie mamme fanno proprio la bella guardia al nostro castello!» 

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Capitolo 2
*** Di scii, montagna e oceano ***


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Titolo: Di scii, montagna e oceano.
Autore:_Trixie_
Fandom: Grey’s Anatomy.
Personaggi: Calliope Torres, Arizona Robbins.
Pairing: Callie/Arizona.
Genere: fluff, romantico, slice of life.
Rating: verde.
Disclaimer: Personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò che deriva dalla trama ufficiale da cui ho elaborato la seguente storia, non mi appartengono e non ne detengo i diritti. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro. 
Tabella: Estate.
Prompt: 02. Vacanze
Note: Contesto generale/vago, prima della nascita di Sofia. Calliope e Arizona non riescono a decidersi riguardo la meta della loro sospirata vacanza dopo un anno di lavoro.
Buona lettura ;D 
 

Di scii, montagna e oceano

 
 
«Arizona, andiamo! Perché non mi puoi far felice almeno questa volta?» si lamentò Callie per l’ennesima volta.
«Non ho la minima intenzione di trascorrere le uniche due settimane all’anno che ho a disposizione per una vacanza in uno sperduto albergo da quattro soldi su stupide montagne canadesi, Calliope! Lo sai che amo il sole, l’oceano, la sabbia calda sotto i piedi!» esclamò Arizona, infilandosi a letto accanto alla fidanzata.
«Ma non siamo mai andate in montagna» protestò Callie. «Non puoi sapere se ti piace o meno».
«Non so sciare, odio il freddo e preferisco vederti addosso un bikini invece che una tuta da sci» elencò Arizona sulla punta delle dita. «La montagna non mi piace. E men che meno canadese!»
«Non andiamo oltre confine, allora!»
«Non andiamo in montagna, allora!»
«Sono solo due settimane. Che passerai con me, come puoi dirmi di no?» andò di nuovo all’attacco Callie, decisa ad averla vinta.
Le piacevano davvero le sue vacanze con Arizona, le passeggiate in riva al mare, i fuochi d’artificio a mezza notte, il servizio in camera a qualsiasi ora.
Ma per una volta voleva cambiare e provare qualcosa di nuovo con lei.
«Così: no, Calliope».
«Una volta mi hai detto che mi avresti inseguita in capo al mondo, pur di stare con me» le ricordo Callie. Era una mossa sporca, un colpo basso da sferrare alla fidanzata e lo sapeva bene, ma Arizona non le aveva lasciato alternative.
«Callie, così non è giusto! Non puoi rinfacciarmi le mie stesse parole!» protestò Arizona.
«Hai cambiato idea? Ti lasceresti scoraggiare da un po’ di freddo?» incalzò Callie.
«No, certo che no!»
«E allora dove è il problema! Che montagna sia! Domani mattina prenoto l’hotel e-».
«Oh, no, no, no! Vuoi sciare durante le vacanza? D’accordo, scierai, ma lascia fare a me!» esclamò Arizona. Si sporse verso la moglie per lasciarle un delicato bacio sulle labbra e poi spense le luci, sprofondando velocemente nel sonno.
 

Qualche mese dopo.

 
«Arizona. Siamo a Santa Cruz. Avevamo deciso per la montagna, quest’anno» sbottò Calliope, non appena atterrarono sul suolo californiano.
«No, Calliope, tesoro, ti ho promesso che avresti sciato» la corresse Arizona, sorridendo con tanto di fossette.
Sapeva bene di aver giocato sporco, ma era stata Callie a iniziare e lei si era solo adeguata.
«E quando mai hai visto qualcuno sciare a Santa Cruz?»
«Un sacco di gente scia a Santa Cruz!» protestò Arizona.
«Non c’è neve a Santa Cruz! Santa Cruz è calda, Sant Cruz non è in montagna, Arizona» disse Callie, come se stesse spiegando qualcosa di molto complesso a una bambina.
«Lo so, Calliope. Per questo ho fatto io la tua valigia, per essere sicura che portassi indumenti adatti» risposa Arizona con lo stesso tono, mentre percorrevano l’aeroporto affollato di vacanzieri per uscire e cercare un taxi.
«Ah, l’hai fatto per questo? Credevo che l’avessi riempita di vestiti sexy da farmi indossare!»
«Anche, infatti temo che dovremmo fermaci a comprarti qualche maglietta e un paio di pantaloni» avvertì Arizona, mentre con una mano fermava un taxi.
L’uomo alla guida le aiutò a caricare le valigie sull’auto, poi si diresse nel centro città, verso l’albergo che Arizona aveva prenotato.
 
Calliope dovette attendere solo qualche ora per scoprire il concetto dell’azione sciare che aveva la sua fidanzata.
Dopo pranzo Arizona bendò gli occhi di Callie e la guidò per un lungo tratto, fino a quando Calliope non sentì la sabbia calda sotto i piedi e il rumore delle onde in lontananza.
«Ok, ferma qui, pronta?» disse Arizona, parandosi davanti a Callie.
«Sì, Arizona, ora puoi togliermi questa benda?»
Arizona tornò alle spalle della fidanzata e armeggiò con il nodo della stoffa, strappando un lamento di dolore a Callie quando le tirò i capelli per sbaglio.
Quando finalmente Calliope riacquistò la vista rimase senza parole.
«Volevi sciare? Bene, siamo iscritte a un corso di scii d’acqua!» esclamò Arizona, osservando la fidanzata a bocca aperta.
«Tu…» iniziò Calliope. «Tu sei incredibile».
«Ascolta. Io odio la montagna. Ma amo te. E lo so che non è esattamente quello che vorresti e che io non sono perfetta come meriteresti, ma, ti giuro, Calliope, che voglio renderti felice. E ti seguirei anche sulla cima dell’Himalaya se fosse necessario per stare con te, ma ora possiamo stare insieme sulla spiaggia di Santa Cruz. Possiamo rimanere qui insieme? Ti va di rimanere qui con me?»
Callie non rispose e per un momento Arizona temette di doverla davvero seguire in capo al mondo. Ma poi l’altra annuì e la strinse tra le sue braccia, la baciò senza dire una parola.
Arizona lasciò cadere la benda che stringeva ancora tra le dita per poter affondare le dita nei capelli di Calliope.
«Lo prendo come sì» disse poi, quando rimasero senza fiato.
«Sì, Arizona, ti amo anche per i colpi bassi che mi tiri. Anche se non ho la minima intenzione di fare scii d’acqua» la mise in guardia Calliope. «Ho in mente un modo migliore per trascorrere queste due settimane» aggiunse poi, strappandole un bacio leggero a fior di labbra e abbassando furtivamente la mano fino al sedere della fidanzata.
«Grazie al cielo! Perché la storia dell’iscrizione al corso era un bluff!»

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Capitolo 3
*** Di viaggi, anniversari e occhi ***


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Titolo: Di viaggi, anniversari e occhi.
Autore:_Trixie_
Fandom: Grey’s Anatomy.
Personaggi: Calliope Torres, Arizona Robbins, Sofia Robbin Sloan Torres.
Pairing: Callie/Arizona.
Genere: fluff, romantico, slice of life.
Rating: verde.
Disclaimer: Personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò che deriva dalla trama ufficiale da cui ho elaborato la seguente storia, non mi appartengono e non ne detengo i diritti. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro. 
Tabella: Estate.
Prompt: 03. Mare
Note: Sofia ha oramai trent’anni, aspetta il suo secondo bambino e sa badare a se stessa. L’amore di Callie e Arizona ha resistito per tutto questo tempo, ma hanno ancora un piccolo sogno da realizzare e la loro piccola Sofia coglie al volo l’occasione del loro trentesimo anniversario di matrimonio.
Buona lettura! ;D
 

Di viaggi, anniversari e occhi

 
 
Era il nostro trentesimo anniversario di matrimonio e nostra figlia Sofia ci aveva promesso una sorpresa per quel giorno speciale.
Sobbalzammo entrambe nel letto quando sentimmo il campanello suonare.
«Che ore sono?» biascicò Arizona sciogliendosi dall’abbraccio in cui ci eravamo addormentate per voltarsi a guardare la sveglia.
«Le due!» gemette poi. «Chi suona il campanello alle due di notte?» 
Mi alzai sbadigliando e gettandomi sulle spalle una vecchia vestaglia, ma nonostante questo rabbrividii.
«Arrivo!» bofonchiai risentita, quando il campanello suonò di nuovo.
Feci scattare ogni interruttore che trovai al mio passaggio, stringendo gli occhi perché non rimanesse accecata dalla luce improvvisa. All’ingresso, lasciai agganciata la catena della porta e sbirciai dallo spiraglio.
«Chi diavol… Sofia?!» esclamai, nel riconoscere mia figlia fuori dalla porta. Mi affrettai a richiudere la porta, sganciare la catena e spalancarla.
«Cosa ci fai qui? Tutto a posto? Arizona, c’è Sofia!» disse, urlando l’ultima frase a beneficio di mia moglie.
«Sofia? Sta bene?» gridò lei, allarmata.
«Sì, sto bene, mamma!» rispose Sofia, prima di abbassare il tono di voce e rivolgersi a me. «Ma non gridate così forte o sveglierete tutto il palazzo».
«Ti rendi conto di aver appena rimproverato la tua vecchia madre, vero?» domandai divertita, chiudendo la porta alle sue spalle e accompagnandola in salotto.
Arizona ci raggiunse e ci sedemmo tutte e tre sul divano.
Sofia era incinta del suo secondo bambino e Arizona non perse occasione per appoggiare la mano sulla pancia di nostra figlia e sentire se scalciava.
«Non dovresti vagare nel bel mezzo della notte nelle tue condizioni» disse a Sofia. «Vero che non dovrebbe, piccolino? Rispondi alla nonna, tesoro» aggiunse, rivolta al nipote ancora non nato.
«Dove è Jack?» chiesi io, scuotendo la testa divertita in direzione di Arizona, ma rivolgendomi a Sofia.
Jack Dewar era il marito di nostra figlia e faceva il pompiere.
«Questa notte è di turno» spiegò Sofia. «Mamma, non è detto che sia un maschietto, lo sai» disse ad Arizona.
«Certo che è un maschietto, fidati. Ho forse sbagliato quando è nata Eva?» ricordò a Sofia, parlando della sua primogenita.
«No, mamma, ma non puoi…»
«Posso, invece. Sarà un bellissimo maschietto! Ma perché sei qui?» domandò poi, come folgorata da un dubbio.
«Oh, sì, auguri per il vostro trentesimo anniversario!» esclamò, prima di mettersi ad armeggiare nella sua borsa.
«Grazie, tesoro» dissi io, sporgendomi sopra di lei per baciare Arizona.
«Auguri, amore» bisbigliò lei al mio sorriso. Le sue labbra erano ancora morbide nonostante tutti gli anni che erano passati e anche se il suo viso era ricamato da numerose rughe, aveva ancora quelle sue fossette che mi facevano impazzire.
«D’accordo, avrete tempo più tardi per le sdolcinerie!» ci interruppe Sofia. «Guardate!»
Ci mise sotto il naso due biglietti aerei.
Guardammo Sofia con sguardo interrogativo, così lei riprese a parlare.
«È il mio regalo per il vostro anniversario! Andate in Spagna, signore, due settimane di spiaggia, sole e tutto il resto».
«In Spagna?» gli occhi di Arizona brillarono.
Aveva sempre voluto andare in Spagna, fin da quando l’avevo conosciuta, ma per una ragione o per l’altra quel viaggio era sempre stato rimandato.
C’era stata l’Africa, la nascita di Sofia, l’incidente aereo di Arizona e la sua paura di volare e poi, quando la superò, ci fu il matrimonio di Sofia e la nascita di Eva.
In trent’anni non avevamo trovato il tempo, o forse il coraggio, di realizzarle il piccolo sogno della Spagna.
«Partite alle dieci, dovreste preparare i bagagli, vi do una mano!» annunciò Sofia, alzandosi di scatto e dirigendosi nella nostra camera.
Quando riuscimmo a scrollarci di dosso lo stupore io e Arizona la raggiungemmo, incredibilmente felici di essere arrivate fino a quel punto e orgogliose, come solo le mamme possono esserlo, di aver cresciuto una figlia tanto adorabile.
 
Una volta arrivate in Spagna, Arizona non mi lasciò nemmeno il tempo di disfare le valige.
«Calliope, avremo tempo dopo, per quello! Vieni, mi porti a vedere il mare?» mi incitò tendendomi la mano sulla porta della nostra camera d’hotel.
Aveva conservato quel suo atteggiamento da bambina e le piccole rughe attorno ai suoi occhi luminosi e ancora giovani non facevano altro che sottolineare la gioia di vivere che ancora conservava.
Negli ultimi anni aveva però iniziato ad appoggiarsi al bastone, così la raggiunsi e lentamente raggiungemmo l’ascensore. Arizona non voleva ammetterlo, ma io sapevo che l’unica causa del suo affaticamento nel camminare era dovuto alla protesi.
Tenendoci per mano percorremmo quelle poche strade che ci separavano dal Mediterraneo.
«Arizona!» esclamai indispettita, quando la colsi lanciare uno sguardo di apprezzamento a una giovane mora che le passò accanto.
«Che c’è? Sto solo apprezzando gli intrattenimenti locali» mi sorrise, regalandomi un bellissimo paio di guance con fossette.
Mi fermai per strapparle un bacio a fior di labbra e quando svoltammo l’angolo ci trovammo di fronte il mare, in tutta la sua bellezza.
Ancora più bella era Arizona, con la bocca aperta dallo stupore e gli occhi spalancati.
«Andiamo» la incitai, tirandola dolcemente per mano.
Giunte in prossimità del bagnasciuga, entrambe togliemmo le scarpe per la prima volta da quando eravamo partite, per godere della sensazione della sabbia sotto i piedi.
Era una spiaggia libera, come intuii guardandomi attorno, e i bagnanti si stavano allontanando per la cena, essendo ormai il tramonto.
«Callie, potresti aiutarmi a togliere la protesi?» mi domandò Arizona, cogliendomi di sorpresa.
«Cosa? Certo! Ma perché?» chiesi, mentre si allontanava per sedersi sulla spiaggia asciutta. La seguii, poi chinai di fronte a lei e la aiutai a togliere la protesi.
Nel corso degli anni era diventata un’azione familiare, per me. Spesso, quando tornava a casa troppo stanca dal lavoro, la aiutavo a toglierla prima di dormire.
«Voglio mettere i piedi, voglio dire, il piede, nel mare, mi accompagni fino a lì, Callie?» spiegò titubante, ma io annuii. Era raro che Arizona togliesse o mostrasse le protesi in pubblico, anche se ormai la spiaggia era pressoché deserta e i pochi rimasti non badavano a due vecchie turiste che da offrire avevano solo ricordi.
«Forza, vieni» le dissi, aiutandola ad alzarsi e cercando di prendere su di me la maggior parte del suo peso.
Lentamente, arrivammo fino al mare e la sentii ridere non appena l’acqua fredda del mare ci bagnò le caviglie.
«Perché non ci sediamo qui? Ha davvero tanta importanza se i vestiti si bagnano?»
Scossi la testa e la aiutai a sedersi, poi mi misi dietro di lei circondandola con le braccia e le gambe.
«Ti amo, Calliope» mi disse, guardandomi per un secondo con i suoi occhi senza tempo, che erano quelli del nostro primo bacio, del nostro matrimonio, della prima recita di Sofia.
Erano gli occhi dell’Amore.
«Ti amo anche io, Arizona». 

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Capitolo 4
*** Di acqua, tuffi e sorrisi ***


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Autore:_Trixie_
Fandom: Grey’s Anatomy.
Personaggi: Calliope Torres, Arizona Robbins.
Pairing: Callie/Arizona.
Genere: fluff, romantico, slice of life.
Rating: verde.
Disclaimer: Personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò che deriva dalla trama ufficiale da cui ho elaborato la seguente storia, non mi appartengono e non ne detengo i diritti. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro. 
Tabella: Estate.
Prompt: 04. Tuffi
Note: Vorrei solo ringraziarvi per le bellissime recensioni che mi lasciate ad ogni capitolo, davvero, voi sì che sapete come rendere felice una fanwriter! ;D
Spero che anche questo capitolo vi piaccia, buona lettura!
 
 
 

Di acqua, tuffi e sorrisi

 
Aveva l’abitudine di andare in piscina almeno un paio di volte la settimana, di più quando i suoi turni avevano durate accettabili.
«Nuotare mi rilassa» mi diceva con un sorriso. Io mi limitavo a scrollare le spalle, senza capire come dell’attività fisica potesse aiutare il suo corpo a rilassarsi, dopo aver passato ore in sala operatoria.
Un giorno come tanti altri passai di fronte alla piscina in auto, con il baule carico della spesa appena fatta. Fosse stato per Arizona ci saremmo nutrite di pizza e take-away ad ogni pasto.
La riconobbi, nel via vai di gente che entrava e usciva dall’ingresso del basso edificio, e senza quasi riflettere rallentai la macchina, accostai e parcheggiai.
Aspettai qualche minuto per essere sicura di non incontrarla, poi la seguii all’interno della piscina. L’odore di cloro mi invase le narici non appena misi un piede all’interno, cogliendomi di sorpresa.
Mi guardai intorno spaesata, senza sapere dove andare. L’atrio era piccolo, con una grande vetrata da un lato che dava sulle piscine, e il soffitto basso. Un cartello alla mia destra puntato verso una stretta scala recitava tribune.
Un uomo anziano mi superò e salì le scale e io, fingendo sicurezza, lo imitaii. Arrivata in cima mi ritrovai in una stanza non dissimile dall’atrio sottostante, con un’intera parete di vetro. C’erano anche diverse sedie dall’aria decisamente scomoda, cui non mi sarei mai riferita con il termine tribune. Molte erano occupate da gruppetti di donne impegnate in concitate discussioni, che rivolgevano ogni tanto uno sguardo indagatore verso il basso, dove probabilmente i loro figli seguivano qualche corso.
Mi sedetti nel luogo più appartato possibile e guardai verso la piscina, alla ricerca di quei capelli biondi a me tanto familiari. Passarono alcuni minuti prima che riuscissi a scorgerla. Camminava leggerla sul bordo della vasca più grande, coperta solo dal costume intero che le avevo regalato lo scorso Natale.
Aiutandosi con la scaletta entrò in acqua e, anche se eravamo incredibilmente lontane l’una dall’altra, potrei scommettere che le venne la pelle d’oca, dal modo in cui si strinse per un attimo le braccia intorno al corpo, prima di prendere coraggio e immergersi completamente. Si diede una breve spinta con le gambe e poi iniziò a nuotare, percorrendo la piscina da un capo all’altro, roteando ritmicamente le braccia, sbattendo con forza le sue belle gambe, prendendo respiro con regolarità.
Sorrisi mentre la osservavo percorrere una vasca dopo l’altra, instancabile, fermandosi solo per brevi secondi tra lunghi intervalli di tempo.
Non mi accorsi di essermi incantata se non quando una donna mi urtò passandomi accanto.
«Mi scusi, sono così sbadata!» esclamò, voltandosi verso di me.
«Non si preoccupi» sibilai a denti stretti, simulando un sorriso e nascondendo l’irritazione per essere stata distratta dall’osservare la mia ragazza.
«Non l’ho mai vista da queste parti» disse, simulando un tono di casualità.
«Infatti, è la prima volta che vengo» ammisi, lanciando rapide occhiate alla piscina dove Arizona stava ancora nuotando.
«Suo figlio ha appena iniziato un corso?»
Evidentemente la sua smania di pettegolezzi non conosceva pudore.
«No» risposi brusca. «Ho accompagnato la mia fidanzata».
Il che eraquasi vero.
La vidi storcere il naso e lanciarmi un’occhiata di disprezzo, prima che si allontanasse senza aggiungere una parola.
Al mio cervello occorse qualche istante per elaborare la reazione di una cittadina di Seattle del ventunesimo secolo. Aveva problemi con le relazioni omosessuali.
Quella constatazione mi provocò più sorpresa che rabbia, lasciandomi poi rassegnata e amareggiata. La ristrettezza mentale delle persone è spesso causa di dolore. Il lo sapevo bene, metà della mia famiglia faticava a parlare di me senza provare vergogna.
Scossi la testa, allontanando quella donna dalla mia mente per concentrarmi sull’unica che amavo.
Gemetti quando non la ritrovai in acqua. La piscina si era lentamente svuotata, i nuotatori rimasti erano una manciata, il sole stava tramontando e gli ultimi raggi illuminavano delicatamente l’acqua.
Preoccupata che anche Arizona avesse deciso di andarsene, percorsi la piscina in lungo e in largo con gli occhi. Infine la scorsi, con mio grande sollievo, sulla cima del trampolino più alto, pronta a tuffarsi.
La osservai incuriosita unire le mani sopra la testa e flettere le ginocchia, ma a quello che vidi dopo non ero affatto preparata.
Si tuffò con una grazia disarmante, lanciandosi sicura verso la piscina. Durò un battito di ciglia, ma bastò per lasciarmi a bocca aperta. Quando infine toccò l’acqua, immergendosi in essa e sollevando più schizzi di quanto avrei creduto possibile per la sua esile figura, fu come se si fosse tuffata nel mio cuore, sollevando una gioia che si trasformò in un sorriso sul mio volto.
Guardai ammaliata Arizona uscire dall’acqua e camminare velocemente sul bordo della piscina, facendo un cenno di saluto al bagnino prima di sparire oltre una porta che nascose il suo corpo perfetto ai miei occhi.
Rimasi seduta immobile ad accarezzare il ricordo di quel suo tuffo per qualche minuto, prima di trovare la forza di alzarmi e aspettare Arizona all’ingresso della piscina.
L’attesa mi parve interminabile e quando finalmente la vidi, con i capelli ancora umidi e gli occhi lievemente arrossati, non le diedi il tempo di stupirsi prima di baciarla. La sentii rispondere dopo un secondo di smarrimento e quando infine mi separai da lei, il suo sorriso mi scaldò il cuore.
«Calliope! Cosa succede?» domandò smarrita.
«Ti ho visto. Ti ho visto tuffarti, intendo, e anche nuotare. E sei stata così… incredibile, Arizona» spiegai, prima di lasciarle ancora un bacio a fior di labbra.
La vidi arrossire e mordersi le labbra. Il modo in cui ancora reagiva ai miei complimenti mi scaldava il cuore.
Mi prese per mano e insieme uscimmo dalla piscina.
«Perché la prossima volta non vieni con me?» propose. «Non a vedermi, ma a nuotare» specificò poi.
«Perché non potrei reggere il confronto con la tua resistenza fisica. Anche se in costume sono molto più sexy io» la stuzzicai, mentre mi dirigevo verso l’auto. «Sei a piedi?» aggiunsi poi, guardandola.
«Sì, sono a piedi. Ed è inutile che fingi, so che sei rimasta senza fiato non appena mi hai vista».
Le risposi con una smorfia divertita, ben sapendo che aveva ragione, mentre le aprivo la portiera dal lato del passeggero.
Mi misi dal lato del guidatore e misi in moto.
«Pensa in che situazione mi trovo io, che rimango senza fiato anche quando indossi una vecchia tuta» sospirò sconsolata, prima di sporgersi verso di me e baciarmi di nuovo.
Decisi immediatamente che da quel momento in poi l'avrei accompagnata in piscina ogni volta che fosse stato possibile.
 

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Capitolo 5
*** Di scommesse, inviti e labbra ***


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Titolo: Di acqua, tuffi e sorrisi
Autore:_Trixie_
Fandom: Grey’s Anatomy.
Personaggi: Calliope Torres, Arizona Robbins.
Pairing: Callie/Arizona.
Genere: fluff, romantico, slice of life.
Rating: verde.
Disclaimer: Personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò che deriva dalla trama ufficiale da cui ho elaborato la seguente storia, non mi appartengono e non ne detengo i diritti. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro. 
Tabella: Estate.
Prompt: 05. Scommessa
Note: Un po’ in ritardo rispetto al solito, lo so, comunque… Buona lettura :D
 
 

Di scommesse, inviti e labbra

 
L’orribile situazione in cui mi trovo è nata da una stupida scommessa, proposta in un momento di follia.
 
Eravamo sedute in salotto, a goderci una tranquilla serata in famiglia. Come al solito, Sofia si era ben presto addormentata tra me e Calliope e mia moglie l’aveva portata in braccio fino alla camera poco dopo l’inizio del film animato che aveva deciso di farci guardare.
Quando tornò sul divano accanto a me, sotto una vecchia coperta infeltrita, facemmo zapping per qualche minuto e poi sintonizzammo la televisione su una scontata commedia romantica, non trovando di meglio.
Ricordo poco o nulla di quel film, impegnata come ero a fingere di essere una liceale alla sua prima cotta in compagnia di mia moglie, ma una cosa la ricordo bene: gli inviti spediti dai protagonisti per il loro matrimonio.
«E comunque» commentò a mezza voce Callie al termine del film, «quegli inviti rosa salmone erano orrendi».
«Scherzi?» domandai confusa spegnendo la televisione e troncando così sul nascere i titoli di coda.
«Ti prego, Arizona, non dirmi che ti sono piaciuti!»
«Certo che mi-, ovvio che-, Callie, mi stai prendendo in giro?» balbettai.
«No, non ti sto prendendo in giro. Erano… rosa».
Rimasi in silenzio, scrutando il suo bel volto contratto in una smorfia.
«Gli inviti del nostro matrimonio, Calliope» dissi freddamente. «Erano rosa».
«No! Non avrei mai scelto il rosa» rispose indignata. «E non avrei mai permesso di farlo nemmeno a te!»
«Certo che me l’hai permesso!»
«No, affatto! Erano bianchi! Ai tempi ho dovuto giocare la carta del dolore alla cicatrice, per averla vinta a riguardo» ricordò Calliope, pensierosa, cogliendomi di sorpresa.
«Hai finto che-, ok, non è questo il punto, ne riparliamo più tardi. Ma gli inviti erano rosa, Callie, con le scritte in oro» insistetti con la mia proverbiale testardaggine.
«Erano bianchi, ma avevo ceduto sul colore d’oro delle scritte».
«No!»
«Sì!»
«Scommettiamo!» dissi e, in quell’istante, firmai inconsciamente la mia condanna.
«Sul serio, vuoi scommettere?» chiese Calliope, alzando uno solo dei suoi sopraccigli con fare scettico.
«Certo, tanto non c’è alcuna possibilità che perda! Cosa vuoi scommettere? Chi perde fa il bucato per un mese? Pulisce la casa da cima a fondo? Diventa la cameriera dell’altra?» buttai lì con noncuranza.
«L’ultima è particolarmente interessante, ma no, tesoro, non voglio farti diventare la mia cameriera personale» rifletté lei. E poi vidi quel lampo nei suoi occhi, quello che mi dice che ha avuto un’idea geniale, che puntualmente si trasforma in una gran catastrofe per me.
«Tango, donna. Se vinco, prendiamo lezioni di tango!»
«Non se ne parla neanche. Io non ballo il tango!» protestai.
«Credevo fossi sicura che gli inviti fossero rosa. Ammetti che erano bianchi, Miss So-Tutto-Io?»
«No!»
«Che tango sia!» esclamò trionfante.
Mi aveva messa con le spalle al muro, lei e quelle sue labbra che più volte mi avevano distratto durante una discussione e che mi impedivano di sfruttare le mie abilità retoriche.
«D’accordo» dissi. «Ma se sarò io a vincere, come sicuramente accadrà, farai il bucato per un anno, Calliope».
«Un mese»
«Almeno dieci!»
«Tre»
«Otto»
«Cinque»
«Sette»
«Sei»
«Sei» acconsentii infine. Addirittura due mesi in più di quanto pensavo di ottenere dalla contrattazione. Evidentemente non ero l’unica ad essere distratta dalla propria moglie.
«Fantastico, nell’album di nozze dovrebbe essere rimasto un invito. Vado a prenderlo, se sei pronta a sostenere il peso della sconfitta».
«Sappi che mi cambierò due volte al giorno d’ora in avanti» minacciai, dopo un breve cenno d’assenso. «E non sbirciare il colore senza di me!»
Callie uscì dal salotto e tornò dopo pochi minuti stringendo tra le mani il nostro album, regalo di Mark.
«Bene» disse, tornando seduta accanto a me.
«Bene» la imitai.
Calliope aprii l’album, fece scorrere le pagine velocemente. Trovò l’invito e me lo sventolò sotto il naso.
«Scritte oro, sfondo bianco» bisbigliò a pochi centimetri dalla mia bocca.
Piccata e risentita, avrei solo voluto mordere quelle sue invitanti labbra che tanto amavo, mentre si premuravano di farmi sapere che il tango era uno dei balli preferiti da Calliope.
 
Amo Calliope e amo passare il tempo con lei.
Ma non amo il tango e non amo nemmeno il sedicente ballerino professionista che ha le mani sui fianchi di mia moglie e un piede tra le sue gambe.
È la nostra terza lezione, ma fin dalla prima Callie si è rivelata una ballerina nata e l’insegnante non se l’è fatta scappare, ballando con lei con la scusa di offrire a tutte le coppie un buon esempio.
«Signor Hernandez» sibilo il suo nome, accostandomi a mia moglie non appena la musica finisce e gli altri applaudono. «Non so se Calliope ha accennato alla cosa, ma sfortunatamente questa sarà la nostra ultima lezione. Ci trasferiamo» improvviso, cogliendo di sorpresa tanto l’uomo quanto mia moglie.
«Arizona-»
«Callie, hai voluto aspettare fino all’ultimo, ma domani partiamo, lo sai. Non c’è più tempo. Signore, è stato un piacere averla come maestro» mento, porgendo la mia mano all’uomo, che la stringe confuso.
«A-arrivederci» balbetta Callie, afferrando a sua volta la mano del signor Hernandez.
«Calliope, mi mancheranno i tuoi passi» esclama l’uomo, ma non lascio il tempo di rispondere a mia moglie e la trascino via.
«Cosa ti è preso?» mi bisbiglia, mentre usciamo dalla sala da ballo.
«Volevi che ballassi il tango, l’ho ballato. Ma non chiedermi di stare a guardare mentre braccia non mie ti stringono!»
«Scommettiamo che-»
«No, Calliope, basta scommesse» la fermo, chiudendomi alle spalle la porta della sala e il signor Hernandez. Mi sporgo verso Callie per morderle il labbro e strapparle un’esclamazione sorpresa.
«Sul serio fingevi riguardo il dolore alla cicatrice?» le chiedo poi, confusa.
«Oh, mi fa un male incredibile anche ora. Non è che avresti un altro di questi tuoi dolci morsi per farmelo passare?»
 
 
NdA
Ok, il riferimento al tango è relativamente casuale, e alcune di voi sanno di cosa parlo!
L’ispirazione, devo ammetter

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Capitolo 6
*** Di imbarazzo, curve e attese ***


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Titolo: Di imbarazzo, curve e attese
Autore:_Trixie_
Fandom: Grey’s Anatomy.
Personaggi: Calliope Torres, Arizona Robbins.
Pairing: Callie/Arizona.
Genere: fluff, romantico, slice of life.
Rating: verde.
Disclaimer: Personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò che deriva dalla trama ufficiale da cui ho elaborato la seguente storia, non mi appartengono e non ne detengo i diritti. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro. 
Tabella: Estate.
Prompt: 06. Imbarazzo
Note: Ok, l’ultima shot, che decisamente non si voleva scrivere. Spero che sia valsa l’attesa, buona lettura! ;D
 

A K. che ama tanto l'estate perché
può venire a trovarmi ogni volta che ne ha voglia.
 

Di imbarazzo, curve e attese

 
Imbarazzo è quella fastidiosa sensazione di disagio e turbamento che ti fa sentire completamente inadeguata alla situazione.
 
Ricordo i miei sette anni, quando ero una bambina con i capelli neri, l’apparecchio ai denti e l’unica della mia classe a non sapere andare in bicicletta senza le rotelle laterali.
Una domenica mattina, stanca di sopportare le prese in giro degli altri bambini, chiesi a papà Carlos di toglierle.
«Vuoi che ti insegni ad andare senza rotelle, Callie?» mi chiese preoccupato, allacciandomi il caschetto di protezione sotto il mento.
Avevo fatto no con la testa, poi avevo portato la mia bicicletta fuori dal garage, sotto gli occhi vigili di papà che ancora stringeva la chiave inglese in una mano e una rotella nell’altra.
Decisa, ero salita in sella e sistemato uno dei miei piccoli piedi su un pedale, l’altro ancora saldamente ancorato a terra. Respirai, incapace di ammettere con me stessa di essere terrorizzata di cadere.
Dopo pochi minuti, staccai anche il secondo piede da terra e provai a pedalare. Non doveva essere poi così diverso con o senza rotelle, no?
Non mi mossi nemmeno di un metro prima di cadere rovinosamente di lato, sbucciandomi un gomito e un ginocchio. Sentii degli oggetti cadere a terra e in pochi secondi mio padre mi fu accanto per consolarmi.
«Non è niente, tesoro, passerà, è solo un graffio» diceva, cercando di calmarmi.
Ma per ogni lacrima che mi asciugava altre due erano pronte a fare capolino dai miei occhi disperati.
Non piangevo per il dolore al braccio o alla gamba. Piangevo perché mi sentivo incapace e inadeguata, inferiore agli altri bambini della mia età. E mio padre non riusciva a capirlo.
 
Avevo tredici anni la prima volta in cui saltai di proposito una giornata scolastica.
Odiavo la mia nuova scuola. Tutte le ragazze della mia età avevano un fisico longilineo e la pelle liscia, senza imperfezioni. Io ero l’esatto opposto, con quelle curve che credevo non dovessero esserci e quei fastidiosi punti nero cui si univa occasionalmente qualche brufolo a peggiorare la situazione. E come se non bastasse si metteva di mezzo anche mia sorella Aria, con il suo fascino esotico: occhi grandi e verdi, pelle ambrata, lunghi capelli castani, lisci e lucenti.
«Callie, perché non provi questa crema?» mi diceva ogni tanto, presentandosi davanti a me con un tubetto in mano e la faccia completamente ricoperta della suddetta crema.
«Forse» rispondevo, prima di chiudermi in camera chiedendomi cosa ci fosse di sbagliato in me.
Perché non potevo essere come tutte le altre ragazze? Una bellezza convenzionale, ecco cosa volevo essere, nulla più, nulla meno.
Per questo, il giorno della mia foto scolastica, mi finsi malata. Né mio padre né mia madre sospettarono nulla. Avevo ottimi voti e non parlavo mai del mio disagio con loro, era decisamente una di quelle conversazioni scomode e imbarazzanti che avevo tutta l’intenzione di evitare, perciò non ebbero motivo di non credermi.
Mi sentivo come il brutto anatroccolo e mi chiedevo se per me sarebbe mai arrivato il momento di trasformarmi in cigno.
 
Persino prendermi una cotta per Erica mi mise in imbarazzo. Crescere in una famiglia cattolica e praticante certo non mi aiutò ad accettare la mia sessualità.
Il problema era che non sapevo nulla di omosessualità, certo non l’omosessualità in quanto tale.
Perché è l'ignoto che temiamo quando guardiamo la morte e il buio, nient'altro.*
Il sentirmi ignorante, il non essere all’altezza, il trovarmi in una posizione di svantaggio, mi infastidiva e mi metteva a disagio in maniera così profonda da spingermi a chiedere aiuto a Mark Sloan.
Eravamo amici, ma ciò non significa che non mi sentissi terribilmente in imbarazzo quando gli dissi che là sotto non sapevo proprio come fare.
 
Ma poi arrivò lei.
E con lei toccai il fondo del baratro dell’imbarazzo.
Tutto iniziò quando mi baciò, nonostante di me conoscesse solo pettegolezzi e, al giorno d’oggi, non mi ha ancora voluto confessare che genere di informazioni su di me avesse a disposizione.
Ma fui io stessa l’artefice della situazione più imbarazzante della mia vita, quando, drink in mano e sorriso sexy stampato in faccia, blaterai un insensato discorso sull’esperienza, di cui ora non ricordo nemmeno il filo conduttore e il cui scopo era fare colpo su di lei. Certo, non avevo programmato che accanto ci fosse la fidanzata, anche se avrei dovuto prevedere una situazione del genere.
Credo, comunque, di aver pareggiato i conti quando mi invitò ad uscire con lei in ascensore, con quel suo tono da so-tutto-io di classe A che a volte usa ancora e che mi fa diventare matta perché, per quanto lei possa essere irritante in quei momenti, rimane pur sempre la mia Arizona.
 
Così ora capisco, mentre sistemo le nostre biciclette dopo una gita nelle campagne fuori Seattle, che forse sbucciarmi un ginocchio ed essere presa in giro a sette anni è servito a permettermi di trascorrere una bellissima giornata con la mia ragazza, che è già salita nel nostro appartamento per ordinare la pizza.
E, se il mio intuito non mi inganna, sono pronta a scommettere che la mangeremo a letto, probabilmente nude dopo una doccia fatta insieme. Perché, lo sanno tutti, l’acqua è un bene prezioso e non va affatto sprecata.
Non sarò imbarazzata di mostrare il mio corpo ad Arizona, che adora tracciare la linea delle mie curve con un dito, come se fossi il tesoro più bello del mondo. Né mi sentirò a disagio quando mi insegnerà un nuovo modo per muovermi là sotto.
Adesso mi rendo conto che il mio passato, ogni singolo avvenimento di gioia o di dolore, serviva a portarmi esattamente dove sono ora, dove non c’è imbarazzo né sensazioni striscianti di disagio, dove posso essere Calliope e non vergognarmi di nulla.
Perché sono felice, solo tra le braccia di Arizona, perciò, sul serio, il mondo può aspettare in eterno.
 
 
NdA
Ok, mi sono resa conto che in effetti il tono del discorso di Callie è molto più colloquiale di quello che adotto in genere quando uso la prima persona. E devo ancora decidere se è un bene o una male.
In ogni caso, siamo arrivati, nonostante qualche ritardo, alla fine di Summer, perciò ci rimane una sola stagione. Non so ancora quando pubblicherò il primo capitolo dell’ultima raccolta, ma spero presto ;D 
Prima che mi dimentichi, la citazione è tratta da Harry Potter, ma credo che alcuni l’abbiano riconosciuta!
Un’ultima cosa, anche se in effetti è la più importante, vorrei tanto ringraziarvi di nuovo per le bellissime recensioni!
A presto,
Trixie :D 

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