You are the hole in my head
You are the space in my bed
You are the silence in between what I thought
And what I said
You are the night time fear
You are the morning
When it’s clear
When, it’s over you’ll
start
You’re my head
You’re my heart
Florence
and the machine – No light no light
Un
solo sasso può dividere un intero specchio, renderlo di
minuscole schegge che
prima facevano parte di un’unica superficie liscia e che
invece dopo
quell’unico lancio, quell’unico forte impatto, era
cambiata per sempre.
Non
puoi tentare di rimetterne a posto i pezzi, non puoi fare proprio un
bel
niente.
La
soluzione c’è, è una sola: comprare un
nuovo specchio.
Era il finire del
ventitreesimo giorno di luglio.
Un tramonto rosso
sangue si perdeva dietro l’orizzonte
del grande parco di Hikarigaoka, dal quale Sora lo stava osservando
rapita.
Osservava i bambini
giocare tra l’erba e le mamme
chiacchierare tranquille. La vita nel suo vecchio quartiere scorreva
come
sempre.
Guardò
l’orologio. Stava aspettando Joe che si era
appositamente liberato prima dai soliti impegni universitari per
aiutarla a
rifinire le ultime cose per la sua festa.
Perché tra
qualche ora Sora avrebbe compiuto
ventitré anni.
L’idea della
festa era stata di Mimi ovviamente.
Lei non si era dimostrata né entusiasta né
contraria, un po’ come faceva
ultimamente. Accettava gli eventi così come la vita li
proponeva al suo
sguardo.
Vide Joe spuntare dal
viale e agitare un braccio
in segno di saluto. La sua tracolla trasbordava di libri mentre lui
quasi
cadeva in una rientranza del terreno.
- Scusa il ritardo,
dannata metropolitana – esordì
trafelato, gettandosi sulla panchina accanto a lei.
Sora gli sorrise.
– Tu e la metro di Hikarigaoka
non andate molto d’accordo*-.
Joe scosse il capo.
–Direi proprio di no. Allora,
dovrebbe essere tutto pronto e la torta arriverà alle 23.00 in
punto. A te sta
bene?-
La ragazza
sospirò, tornando a guardare davanti a
sé. Improvvisamente si era scurita e Joe si rese conto tardi
del perché.
- Sora…-
mormorò.
- Si Joe, è
davvero perfetto. Anzi grazie per
l’aiuto che mi stai dando, sul serio- si voltò a
guardarlo e poggiò una mano
sul suo ginocchio, stringendolo in segno di riconoscenza.
Ripresero a parlare, ma
il ragazzo capì bene dove
la mente della sua amica si trovasse in quel momento.
Era lontana di un anno,
quando nella sua vita
c’era ancora l’unica persona che avesse mai amato e
che probabilmente avrebbe
amato fino alla fine.
Scava come le onde del
mare sugli scogli, man mano
che avanza la terra si ritrae sempre più. Corrode, il
passato, corrode fino in
fondo in silenzio, avanza strisciando come la marea di notte.
Rewind
24
Luglio, un
anno prima.
Ventidue
candele
accese davanti a lei le restituivano immagini in penombra dei suoi
più cari
amici pronti a festeggiarla.
“Il
desiderio mi
raccomando!” esclamò Mimi sovrastando le voci
degli altri e facendola ridere.
Il
suo sguardo
era calamitato in quello di Taichi, proprio di fronte a lei, che la
guardava
con una scintilla – la solita, mai sopita scintilla-
divertita negli occhi
mista ad un senso di pienezza che solo lui le dava.
Mentre
le ultime
note dell’improvvisata canzoncina augurale finivano, la
festeggiata pensò a
quel pomeriggio, quando aveva fatto l’amore con lui in camera
sua, in silenzio
e sospirando.
Quel
ti
amo sempre impacciato nonostante quasi gli
otto
mesi di coppia fissa, era stato il regalo più bello.
Quando
soffiò le
candeline, Sora aveva solo una cosa da desiderare: che tutto quello non
cambiasse mai.
Play
Non era stata
accontentata.
Solitamente,
dimenticava presto i desideri
espressi al momento del soffio delle candeline ma quell’anno
era diverso.
Quando tutto era
crollato, si era sentita quel
desiderio marchiato a fuoco sulla pelle come indelebile segno
dell’egoismo del
tempo.
A volte le mancava come
manca il respiro
sott’acqua.
Era una sensazione
avvolgente, all’inizio: si
sentiva intorpidita, intontita, inconsapevole della realtà.
Poi tornava la
mente, tornavano i sensi, tornava il dolore e l’asfissia.
Si aggrappava a
ciò che le rimaneva con le unghie,
se lo faceva bastare perché cazzo, aveva ancora chi le
voleva bene.
L’aveva
rivisto.
Non era quello il vero
problema: i problemi
venivano dopo. Si ripresentavano sottoforma di sensazioni che la
facevano
oscillare da stati di quieta sopravvivenza di giorno a lucida
consapevolezza di
notte.
Ne taceva gli aspetti
crudi, andava avanti facendo
leva su tutte le cose belle che le erano rimaste.
La crepa
c’era, la crepa si allargava ma lei
continuava a buttarci su l’argilla.
Un anno in
più, tra qualche ora.
Un anno in
più che l’avrebbe allontanata in modo
simbolicamente definitivo da un’età che le aveva
fatto solo male.
E’ da egoisti
voler cancellare tutto? Da quando
lei era diventata così? Preferire di non aver vissuto niente
per non avere
nostalgia di nulla.
Riemerse dai suoi
pensieri e trovò Joe a fissarla
in silenzio. Abbassò lo sguardo, sentendosi quasi colpevole.
-Non ti preoccupare-
sentì mormorare l’amico, -
non puoi controllarti sempre, Sora-.
Lei sospirò
e Joe riprese a parlare. – Ho sempre
avuto una mente razionale, e questo lo sapete tutti. In ogni situazione
mi
sforzavo sempre di pensare più al lato pratico che alle
implicazioni
sentimentali e simili, ma…- fece una pausa, quasi a
soppesare le parole,
consapevole del loro potere. – Ma quando vedevo quello che
condividevate tu e
Tai ho messo in discussione più di una volta il mio modo di
pensare-, ammise
alla fine.
Sora sollevò
lo sguardo su di lui, sorpresa. Joe
ricambiò la sua occhiata dietro le grandi lenti. Fece un
piccolo sorriso. – Non
fare quella faccia. Osservarvi per me era… speciale. Non so
come, ma faceva
sentire completo anche me, faceva sentire completi tutti
perché tutti sapevamo
che era giusto e…beh, bello-.
Sora allungò
una mano sul suo braccio e lo strinse
forte. Quelle parole le stavano facendo bene e male allo stesso tempo,
ma
sentirle da Joe, da una delle persone più sincere e genuine,
era qualcosa di
prezioso.
-Non so come tu faccia
ad andare avanti, anche se
il tuo andare avanti è spesso lento e pieno di crepe. Hai
vissuto la pienezza e
adesso stai attraversando il vuoto ma non ti sei arresa. Hai una
grandissima
forza dentro di te ed io volevo solo ricordartelo-.
Lo abbracciò
di slancio senza pensarci due volte. Sulla
sua spalla Joe aveva gli occhi lucidi ma finalmente era riuscito a
dirglielo. Sentirsi
mormorare nell’orecchio grazie
fu la
migliore prova di quanto le sue parole fossero riuscite ad arrivare al
cuore dell’amica.
Quando Yamato
bussò a quella porta, le nocche gli
sembrarono roventi già al primo tocco.
Non si aspettava
niente, in realtà. Mimi l’avrebbe
ucciso se avesse saputo le sue intenzioni per quell’afoso
pomeriggio e per
questo aveva deciso di tenerla all’oscuro.
Sapeva di trovarlo in
casa, a quell’ora non usciva
mai, lui. Forse non si era ancora svegliato.
Attese paziente per una
manciata di minuti ed
infine sentì la chiave girare nella toppa
dall’altro lato e la porta si aprì
lentamente davanti a lui.
L’interno era
buio, non riuscì a distinguere
perfettamente i contorni della figura davanti a lui, ma poteva
ripercorrerne i
tratti ad occhi chiusi per quanto bene lo conosceva.
Conosceva, appunto. Il
passato era d’obbligo perché
del ragazzo che lo guardava senza battere ciglio non sapeva niente.
Spalancò di
più la porta e gli voltò le spalle. Era
il suo modo di invitarlo ad entrare.
L’ultima
volta che Yamato aveva messo piede in
casa Yagami era da poco finito il funerale.
Era tutto perfettamente
in ordine, pulito ed
incredibilmente immobile.
Tai era in abito
formale, in silenzio come sempre
in quei giorni, le stampelle vicino a lui e Sora gli carezzava la testa
assorta.
Era l’ultima
scena che aveva di quella casa, l’unica
forse degna di essere ricordata.
Adesso era un posto
completamente diverso. Tai
aveva acceso la luce, visto che le tapparelle erano tutte serrate e non
passava
nemmeno un filo di luce e il puzzo di fumo era insopportabile. Lo vide
mentre
apriva una birra e cominciava a berla, senza nemmeno chiedergli se ne
volesse
una anche lui. A giudicare dalla quantità di bottiglie
sparse sul pavimento,
non doveva essere nemmeno la prima.
- Hai intenzione di
parlare o sei venuto solo a
contare le birre?-
Yamato lo
ignorò. – Sai che giorno è oggi-.
Lo sentì
ridacchiare. – E allora?-
-Non fare la parte
dello strafottente, non freghi
nessuno-, gli rispose il biondo puntando gli occhi nei suoi.
– E allora
potresti anche venire, stasera-.
Tai ricambiò
il suo sguardo. – E hai fatto tutta
questa strada per venire a dirmi questa stronzata?-
L’altro lo
ignorò nuovamente.- Non mi frega se non
vuoi farti vedere dagli altri, ma a lei lo devi. E da qualche parte in
quello
che ti rimane nel cervello, lo sai anche tu-.
Taichi
sbatté la birra sul tavolo con violenza e
si avvicinò a lui con grandi falcate. In un attimo gli fu
addosso, le mani ad
arpionargli il colletto della camicia bianca. –E tu chi cazzo
sei per venire qui
a dirmi cosa devo a chi, mh?-
Yamato
ridacchiò sarcastico. Si era immaginato
quella reazione, l’aveva vista e affrontata già
troppe volte. – Sono lo stupido
che crede ancora in te, coglione-.
Nonostante se
l’aspettasse, la violenza con cui il
pugno di Tai lo colpì sulla guancia lo lasciò
tramortito. Non si fece pregare e
gli restituì il favore un attimo dopo.
-Che cazzo stai facendo
della tua vita, me lo
dici?- gli urlava pugno dopo pugno. Tai, sicuramente reduce da una
sbronza,
sembrava non rispondere a dovere.- Quando la smetterai di accusarti?-,
domandò
ancora sbattendolo con la schiena contro il muro.
Tai si toccò
la guancia e ritrasse subito le dita
per il dolore.
Matt si sentiva la
faccia scoppiare e le nocche
ardere ancora di più. Rimasero fermi uno di fronte
all’altro, ansimando,
ascoltando solo i respiri della loro rabbia.
-Va via, Matt-.
Forse fu il modo in cui
lo disse, sussurrandolo,
che colpì Matt dritto al cuore.
Si girò
verso la porta e mentre aveva la mano
sulla maniglia si fermò, quasi in procinto di dire qualcosa.
Avvertì lo sguardo
di Taichi sulla sua nuca ma alla fine uscì senza
più voltarsi indietro.
Si era defilata dalla
sua stessa festa con la
scusa di andare in bagno. Era andato tutto bene: le risate, la
torta… quest’anno
niente desiderio.
Il suo pensiero volava
agli assenti, li vedeva
negli occhi di tutti, quella sera.
La busta da lettera che
aveva trovato nella
cassetta quando era rientrata a casa pesava più di qualsiasi
pietra e forse
sarebbe riuscita a colmare la distanza di uno di loro. Recava
l’indirizzo di
Kyoto e sapeva che a Kyoto risiedevano solo due persone di sua
conoscenza.
E lei non la sentiva da
mesi.
Tk diceva che stava
migliorando, la sua schiena
era ormai quasi completamente guarita, nonostante qualche dolore che
ogni tanto
tornava a tormentarla. Il problema era il resto.
Si sedette sul bordo
della vasca e con dita
incerte aprì la busta.
Una foto
uscì fuori e Sora la prese al volo prima
che toccasse terra.
Sorrise.
Ritraeva lei e Hikari
qualche anno prima, si
abbracciavano sotto il viale dei sakura** fioriti.
Era un giorno
qualunque, ricordava quel momento. Erano
usciti tutti e tre a fare una lunga passeggiata, per inaugurare quella
stagione
così magica. Taichi si era fermato all’improvviso,
aveva chiesto a sua sorella
di passargli la sua macchinetta e click, aveva scattato. Era una foto
così
genuina e semplice e allo stesso racchiudeva una parte del suo cuore.
Lei e Tai
non stavano ancora insieme, in quel periodo. Avevano aspettato
così tanto e
adesso…
Sora
sospirò. Girò la fotografia e riconobbe
subito la scrittura di Kari.
“Buon
compleanno, Sora.
Io sono
lì, vicino a te, batto le
mani mentre spegni le candeline ed esprimi il tuo desiderio.
Sorridi.
A presto,
Hikari”
Sorridi.
La
sensibilità di Kari non smetteva
mai di stupirla, anche a distanza.
Un lieve bussare alla
porta la
riportò alla realtà di colpo, ma non se ne
dispiacque. –Arrivo-.
-Apri Sora-,
mormorò Mimi e lei
avvertì una nota di agitazione nella sua voce.
La padrona di casa
infilò la busta
nella tasca e si affrettò ad aprire.
La faccia di Mimi
parlava da sola. –Cosa…-
-C’è
Tai fuori-, sospirò. Vide la
sua migliore amica spalancare gli occhi. – Ha un labbro
spaccato e un livido
enorme sulla guancia. Molto simile a quello che sta sfoggiando Matt
stasera-,
aggiunse assottigliando gli occhi.
-Vado… vado
di là-, mormorò la
festeggiata e Mimi annuì senza aggiungere altro.
Quando aveva visto Tai
dietro la
porta d’ingresso non credeva ai suoi occhi.
Il primo impulso era
stato quello di
spingerlo via e di piazzargli uno schiaffo. Solo dopo, quando lui aveva
alzato
la faccia, aveva notato lo zigomo gonfio.
-Non avvisare nessun
altro. Mi mandi
Sora? Aspetto qui,- aveva concluso guardandola senza espressione.
E per una volta Mimi
Tachikawa restò
senza parole.
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Note:
* Mi riferisco al noto
incidente
della metropolitana di Tokyo.
** I sakura sono
ovviamente i
bellissimi ciliegi giapponesi che fioriscono verso marzo/aprile.
SPAZIO AUTRICE:
Ebbene si, in punta di
piedi ma sono
tornata.
E’ passato
più di un anno dall’ultimo
aggiornamento, e dire che non era mia intenzione far passare
così tanto tempo è
superfluo ormai. In questo anno sono successe tante cose, eventi che mi
hanno cambiata
non so ancora se in bene o in male, altre cose per fortuna positive si
che mi
hanno aiutata a risollevarmi poco alla volta. Non voglio stare ad
ammorbarvi,
perciò io vi chiedo scusa per l’attesa e spero che
in qualche modo sia riuscita
a farmi perdonare con questo capitolo. Ho voluto dare una parte di
rilievo a
Joe perché ahimè, l’ho sempre
bistrattato nelle mie storie e lo sapete. Lo so,
è chiuso sul più bello ma non sono riuscita a
trattenermi. La storia credo si
concluderà prima del previsto, non voglio tirarla per le
lunghe anche se non so
dirvi ancora bene in quanti capitoli. Spero di ritrovare tutti voi che
mi avete
sempre seguita.
A presto!
Sabrina
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