Dopo il crepuscolo vien la notte

di Phantom13
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***



Dopo il crepuscolo vien la notte


 

 Fonte ispiratrice:
(...) un individuo che, suo malgrado, viene d’improvviso e senza motivo apparente estirpato dal suo contesto e proiettato in una dimensione più grande di lui. Una situazione non preventivata né preventivabile e che, nonostante questo, per onore, per fede o per affetto, il ritrovato eroe decide ugualmente di affrontare, lasciandosi dietro tutto e tutti. E’ l’eroe foscoliano che vive del suo dolore e non trova pace; l’eroe che dall’odio verso chi gli ha fatto del male ottiene la spinta per andare avanti, per continuare a respirare, mentre cerca un senso alla sua vita che pare essergli sfuggita di mano. Link ha conosciuto la corruzione nel profondo dell’animo, ormai il male è parte integrante e gli ingenera forza; con la morte nel cuore, ma con coscienza delle proprie capacità ed una scintilla di speranza sempre accesa, ecco che troverà il modo di ribattere colpo su colpo le avversità. 

Spaccato di una recensione, www.spaziogames.it, The Legend Of Zelda, Twilight Princess
(http://www.spaziogames.it/recensioni_videogiochi/console_nintendo_wii/5658/the-legend-of-zelda-twilight-princess.aspx)



 

Capitolo 1

Link spalancò gli occhi svegliandosi di botto. Si ritrovò seduto senza sapere esattamente come, lasciando ricadere sulle gambe il lenzuolo ormai zuppo di sudore. Respirava rapidamente con i residui dell’incubo ancora davanti agli occhi, il suo petto si alzava e si abbassava al ritmo frenetico dei polmoni. Lentamente, Si portò una mano tremante sulla fronte, chiudendo forte gli occhi, mentre ancora il cuore batteva troppo in fratta. Si impose di regolare il respiro, di cacciar aria in gola più lentamente, cercando in tutti i modi di calmarsi.
Gli occhi color del cielo dell’hylian scivolarono sulla mano sinistra rilucente di luce. La triforza brillava violentemente, quasi bruciandogli la pelle. Stancamente, Link si prese la mano con l’altra, accarezzandola nella speranza che il dolore passasse.
No, assolutamente non poteva andare avanti così.
Un’altra fitta si aggiunse a quella sulla mano, che ormai si stava estinguendo. La spalla, dove Ganondof durante l’ultima battaglia gli aveva assestato un fendente tanto forte da spaccagli quasi la clavicola. La ferita era del tutto guarita e cicatrizzata, da un anno e mezzo, ormai, ma quando sognava quei momenti …
Link alzò lo sguardo, fuori dalla piccola finestra accanto al letto. Era ancora notte, del sole non si intravvedeva che una pallida ombra ad est eppure di già un uccellino un po’ troppo mattiniero cinguettava con eccessiva allegria sul ramo spinoso di un pino. Rimettersi a dormire era fuori discussione. Link si trascinò fuori dal letto, togliendosi una fastidiosa ciocca bionda da davanti agli occhi e infilandola dietro all’orecchio, il piccolo orecchino azzurro lì attaccato tintinnò lievemente.
Con uno spaventoso cigolio di vertebre, Link si mise in piedi. Un lieve stiracchiamento di spalle e il giovane hylian stava scendendo per la doppia scala a pioli che, con un pianerottolo intermedio, portava al piano di sotto, una scala che ben più di una volta si era rivelata un ostacolo insormontabile alla mattina, un nemico ostico che di tanto in tanto ancora gli causava lividi sul fondoschiena.
Senza nessuna traccia di appetito, mise sui residui del fuoco della sera precedente una pentola con un po’ di latte di capra. Voltandosi verso il tavolo si accorse di non aver sparecchiato, il suo piatto e le posate erano ancora lì, esattamente dove le aveva lasciate. Sbuffò. Di pessimo umore si rese conto di essere in mutande. Era estate e faceva un caldo infernale, nulla di strano nella vana ricerca di un po’ di fresco. Recuperò un paio di pantaloni da una sedia sotto la scala e se li infilò senza particolare vitalità sbuffando di nuovo.
Tornò a controllare il latte chiedendosi poi perché mai l’avesse messo a scaldare se già faceva così caldo. Con un’alzata di spalle, recuperò dalla brace il pentolino e ne versò il contenuto nella prima tazza che gli capitò a tiro. Reperì un tozzo di pane e cominciò a fare colazione. Se prima di appetito ne aveva poco, ora era scomparso del tutto.
Vivere da solo a volte poteva rivelarsi una noia, ma in altri momenti non era poi malaccio. Si poteva fare tutto con il proprio ritmo, senza doversi adattare per assecondare eventuali membri della famiglia. A volte si ritrovava a pensare come sarebbe stato condividere la tavola, il bagno, la casa con qualcuno. Concludeva quasi sempre con un sospiro e la consapevolezza che lui di certo non avrebbe potuto immaginarlo.
Non gli pesava, vivere da solo. Aveva compagnia, la sua famiglia era tutto il villaggio, gli amici non gli mancavano. Stava bene.
Se non fosse stato per quegli incubi e la triforza che continuava ad accendersi senza una causa apparente bruciandogli di tanto in tanto la mano.
Mentre masticava pigramente il pane, guardò distrattamente la sella di Epona, depositata vicino alla porta insieme alle briglie, alla spada e allo scudo. La sella aveva urgentemente bisogno di una ripulita. Per quanto riguardava la spada …
Avrebbe dato qualsiasi cosa, qualsiasi, per riavere indietro la sua vita. Per togliersi di dosso quei maledetti Triangoli Sacri. Per tornare a doversi occupare solo delle capre, riducendo i suoi problemi ad un micio scomparso o ad una cesta smarrita invece di continuare a fare spoletta tra il castello e quel villaggio che gli era tanto caro.
Ovviamente, la sua vita non era sua. Era semplicemente un filo di una trama ben più grande chiamata comunemente destino. Lui era l’eroe prescelto dalle dee, lui era il salvatore, colui che risolveva qualunque problema. Come poteva permettersi di desiderare una vita normale?
E che palle! Proprio lui dovevano scegliere le tre Dee? Con tutti i ragazzi di Hyrule proprio a lui doveva toccare?
Ovviamente sì.
Link ingoiò l’ultimo pezzetto di pane, finì l’ultimo sorso di latte e tornò in piedi. Prese la tazza e la ripose senza particolare cura vicino al lavandino. Già che c’era fece lo stesso con il piatto vuoto della cena. L’idea di lavarli non gli passò neanche per l’anticamera del cervello. Tutta la sua concentrazione era puntata sulle  immagini appese dietro al tavolo, al muro di legno. Ilia che teneva in mano un capretto appena nato, Colin che rideva, Epona da puledra, due capre che dormivano assieme. Il suo sguardo tornò alla spada. La sua spada. Quella che gli aveva dato Moy. Non quella che gli avevano dato le Dee. La Spada Suprema era di nuovo nella foresta, nel suo secolare piedistallo, a far da posatoio agli uccellini di bosco.
Si ricordò che doveva pulire la sella di Epona. Un’attività che, sommato tutto, era piacevole. L’unica che non era mutata nella sua nuova condizione da eroe.
La cosa che odiava davvero di questo ruolo capitatogli tra capo e collo era il modo in cui tutti lo guardavano, con quell’aria di sacralità mista a venerazione. Passino pure le responsabilità, il senso del dovere, le battaglie. Odiava quando lo guardavano in quel modo. Lo odiava davvero. Nel villaggio si erano tutti impegnati per trattarlo come sempre. Aveva risposto volentieri alle mille domande di Colin e degli altri bambini quando gli avevano chiesto di raccontargli nei minimi dettagli tutte le sue avventure. Ci aveva impiegato una nottata intera ma l’aveva fatto, e gli era anche piaciuto farlo. Non gli piaceva, però, come le occhiate di tutti continuavano a cadere immancabilmente sulla sua mano sinistra, o come a volte non venivano a svegliarlo la mattina per aiutare con il bestiame per lasciarlo dormire di più, cosa che prima non si sarebbero mai sognati di fare.
Non aveva mai chiesto nessun trattamento di riguardo, anzi, voleva il perfetto opposto. Ma ciò pareva impossibile da realizzare. Pure per Zelda. Erano stati parecchio affiatati, loro due, durante la battaglia finale o anche prima, quando il Crepuscolo avanzava. Ma ora, anche lei lo trattava come se fosse un essere superiore, una sorta di divinità in terra. Inutile dire quanto ciò lo ferisse. L’unica che non aveva mai smesso di trattarlo come sempre – oltre ovviamente alla fida Epona – era Ilia, cosa per la quale le era immensamente grato. E anche qualcosa di più.
Doveva lavare la sella di Epona.
Cercando di rimanere focalizzato su quel semplice dovere, cominciò a guardarsi intorno alla ricerca di una maglietta, una qualunque maglietta. Ne trovò una bianca, senza maniche. L’ideale. Se la infilò, attraversò tutta la casa fino ad arrivare alla fatidica sella. La prese, poggiandosela su un braccio, afferrò una sacca con gli strumenti per pulire e inforcò la porta. Altre scale a pioli ostacolarono il suo cammino, ma l’hylian non si lasciò abbattere. Con un agile balzo si ritrovò a terra.
Le orecchie della cavalla bruna-rossiccia guizzarono verso l’alto quando il suo amato Link atterrò. Tempo di muovere un piede ed Epona gli era già di fronte, tutta festosa. Nitrì in saluto. Link le sorrise, accarezzandola con la mano libera sul naso.
-Ciao, sorellina. Come stai? Dormito bene?-
Epona scosse la testa, sbuffando.
-Lo prendo come un sì. Andiamo a farci un bagnetto, voi?-
Lo zoccolo del cavallo divelse con gioia diverse zolle di terriccio.
-Perfetto. Andiamo.-
Con il peso della sella su di un braccio, cavaliere e cavallo si incamminarono verso la fonte.
A piedi nudi era un piacere camminare sull’erbetta fresca, umida di rugiada. Un po’ meno piacevole fu quando Epona gli addentò la casacca, strattonandolo all’indietro con fare giocoso mandandolo per poco gambe all’aria. Link però non s’era lasciato abbattere e aveva risposto con una sonora tirata d’orecchie provocando la gioia della giumenta.
La sorgente arrivò in un baleno. Depositata la sella vicino alla riva, estrasse una spazzola dalla sacca, la bagnò nell’acqua e strofinando il cuoio della sella cominciò a pulirla dai residui di fango e sangue secco. Sì, sangue. C’era tanto da fare di quei tempi, un sacco di mostri infestavano varie aree del regno e la necessità di distruggerli era tale che combattere a cavallo era spesso l’opzione scelta più di frequente.
La cavalla osservava tutto il trafficare dell’hylian con curiosi occhi luccicanti. Con il muso diede una spintarella alla schiena del suo cavaliere che rispose con un –Buona, dai. Un po’ di pazienza.-
L’ingegnoso equino gli tirò di nuovo la maglia e anche i capelli. A quel punto, Link abbandonò un attimo il suo lavoro. Con atteggiamento giocosamente arrabbiato si voltò verso la giumenta che, tutta felice per aver ottenuto il suo scopo, fece un piccolo salto, impennandosi. Link si alzò in piedi decidendo di attaccare. Saltò letteralmente addosso alla cavalla, ignorando l’imbarazzante disparità di dimensioni. Le si aggrappò alla schiena mentre Epona balzò di nuovo trottando verso l’acqua. Lì una brutta sorpresa attendeva il giovane hylian. La trappola della cavalla aveva funzionato: Epona cominciò a calciare l’acqua, spruzzandosi tutta e lavando di conseguenza il poveretto che le era sulla schiena. Link fece così la doccia, quella mattina. L’eroe, però, non si lasciò inzuppare gratuitamente. La fece pagare alla cavalla, aggrappandosi al suo collo, tirandole all’indietro la frangia e drizzandole la testa. Epona nitrì, impennandosi per un attimo. Poi si lasciò cadere a terra, sdraiandosi e affondando definitivamente il suo cavaliere nelle acque turchine della fonte. Link riemerse poco dopo, sputacchiando e tossendo, con tutti i capelli negli occhi.
-Va bene. Hai vinto.- biascicò Link, passandosi una mano tra i capelli e rivoltandoli all’indietro.
Epona nitrì, suggellando la vittoria. L’hylian, fradicio, si rialzò, tornando alla sella, tutta puntinata di gocce che la furiosa lotta aveva provocato. Ora era tutta splendente. Con occhio critico, squadrò la cavalla, ancora sdraiata in acqua che con aria che lei riteneva sbarazzina lo stava spiando. Link le voltò le spalle dando gli ultimi ritocchi alla sella fino a quando ritenne che fosse del tutto pulita.  
Gocciolanti, cavallo e cavaliere tornarono a casa. Ma Epona, ancora insoddisfatta, rimase per tutto il tempo con i denti ancorati alla maglia di Link.
-Ma che cos’hai questa mattina, si può sapere?- ridacchiò il ragazzo, respingendo di nuovo il morbido naso della giumenta.
Ricevette un basso suono gutturale in risposta.
-Va bene. Non me lo vuoi dire. Che cavalla antipatica!-
In forma di lupo, loro due avevano potuto parlare. Era stato forse il momento che gli era piaciuto di più, poter parlare con la sua fida compagna di avventure. Avevano raggiunto un nuovo legame, passando ad uno stadio successivo della loro amicizia. Ora, anche se la forma di lupo non era più raggiungibile senza Midna, comunicavano lo stesso in un modo intrinseco e viscerale che nessuno dei due era realmente capace di comprendere. Un livello di contatto spirituale che permetteva al cavaliere di fare la lotta con il suo destriero, come due bambini, senza alcun tipo di problema.
Tornati a casa, Link si impegnò a risalire l’ostica scaletta a pioli, lasciando la sella ad asciugare su di una staccionata. Il sole ora accennava a far capolino da dietro le montagne.
Dentro, Link si diede ad una frenetica caccia ad un asciugamano. Incredibile! Per quanto fosse diventato abile a trovare minuscole chiavi argentee in labirinti di estensione inimmaginabile, trovare un semplice asciugamano era sempre rimasta una sfida insuperabile.
Trovò il mimetico pezzo di stoffa accartocciato sotto ad una pila di libri. Come ci fosse finito lì rimase un mistero per l’hylian ora intento ad asciugarsi.
Tutta la tetraggine di quella mattina era scomparsa, volatilizzata. E per questo si doveva ringraziare Epona. Link sorrise, mentre passò ad asciugarsi, per quanto possibile, i capelli. I vestiti fradici finirono appesi a sventolare fuori dalla finestra mentre l’eroe si infilava la sua leggendaria tunica verde. Pantaloni, stivali maglia bianca, cotta di maglia, tunica, cintura con le sacche porta oggetti, cinturone a tracolla per la spada, protezione per gli avambracci, guanti, cappello a punta, spada, scudo. Tutto pronto.
Non senza un sospiro, Link uscì nuovamente di casa. Qualche giorno prima aveva ricevuto una lettera da parte di Zelda nella quale gli chiedeva con ogni gentilezza di venire a corte. Un altro mostro imbizzarrito che terrorizza un qualche paesello sperduto in campagna, aveva pensato Link. In ogni caso, alla chiamata della Principessa di Hyrule non si poteva non rispondere.
Fuori di casa, però, una persona lo aspettava.
Gli occhi smeraldini di Ilia sorrisero.
-Ciao. Già sveglio?-
-Per forza.- rispose Link, ricambiando il sorriso. Aveva ancora i capelli piuttosto bagnati, una goccia gli scivolò sul naso.
Con il solito balzo, l’hylian neutralizzò la scala atterrando proprio davanti all’umana. Era ovvio che lei era lì per augurargli buona fortuna e per ricordargli di fare attenzione. Fin ora l’aveva sempre fatto, senza mai mancare una singola volta. E Link adorava che lei lo facesse.
Gli occhi color del cielo si immersero in quelli verde foresta. –Fa’ attenzione e vedi di tornare sano e salvo. Me lo prometti?- disse difatti lei.
-Te lo prometto.- rispose di rito lui, sorridendo di nuovo.
Si abbracciarono. Link chiuse gli occhi, assaporando il tocco lieve di Ilia.
A malavoglia, si staccarono. Si guardarono per un altro po’ poi Link si voltò andando da Epona che stava beatamente sterminando un gruppetto di fiorellini ed erbette di bosco senza mostrare la minima pietà. Le legò sul dorso la sella, stringendo tutte le cinghie, le mise sul capo le briglie, in bocca il morso.  
Ilia gli si avvicinò.
-Dove andrai, oggi?-
-Ancora non so.- rispose, avvicinandosi alla ragazza e lasciando Epona al suo massacro di vegetali innocenti. –Per ora so che devo andare da Zelda a sentire qual è il problema. Poi vedremo.-
-Ah.- fece Ilia, abbassando gli occhi, ora velati di tristezza. –Almeno, sarai qui per l’ora di cena?-
Link rise. –Non so, davvero. Spero di sì, però.-
Ilia alzò piano gli occhi. –Fa’ attenzione.-
-Sempre.- rispose Link, sorridendo. –Ora devo andare, altrimenti da Zelda non ci arriverò più.-
-Non è educato far attendere una Principessa.- convenne Ilia.
-Ciao, allora.- la salutò Link con la mano.
-Ciao …-
L’hylian si voltò verso la cavalla, prese la rincorsa e le saltò in groppa da dietro, appoggiandosi con le mani sul fondoschiena della cavalla e allargando le gambe. Colta di sorpresa, la bruna giumenta partì al galoppo abbandonando il suo spuntino, sparendo il un lampo tra gli alberi, in un frastuono di zoccoli, lasciandosi dietro Ilia, a guardare con il cuore sospeso quella manciata di foglie che le avevano nascosto alla vista il suo caro amico d’infanzia.
L’aria era piacevolissima sulla pelle e il verde della foresta era una benedizione. Il sentiero scorreva sotto le possenti zampe di Epona che facevano tremare la terra. In un baleno superarono il ponte di legno che conduceva al villaggio di Tauro, raggiunsero la Fonte di Firone, curvarono a sinistra e raggiunsero quello stranissimo individuo i cui capelli erano un mistero senza ombra di soluzione. Era mattina prestissimo eppure quello era già sveglio, accoccolato al suo solito tronco. Non appena vide chi gli stava venendo incontro, schizzò in piedi, salutandolo con la mano.
Link non si fermò. Piegato nel galoppo in avanti sul collo di Epona ebbe giusto il tempo di muovere una mano in saluto, prima di uscire dal campo visivo del venditore d’olio per lanterne.
Rallentò appena la corsa quando la verde piana di Hyrule gli si srotolò davanti. Il castello, ancora parzialmente in riparazione, si stagliava maestoso come sempre in fondo al mare d’erba costellato di scogli d’alberi. Link lo osservò per un attimo, impregnato del rosso fiammeggiante del sole nascente, le guglie rilucenti come torce. Affondò gli stivali nei fianchi di Epona, tirando al contempo le briglie all’indietro. La cavalla si impennò fendendo con gli zoccoli l’aria mattutina che già accennava a perdere la sua frescura. Al segnale di Link, Epona si slanciò al galoppo, correndo a perdifiato attraverso la pianura, sfrecciando sull’erba, puntando al castello.




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Angolo autrice:
Salve gente! questa è la prima ff che scrivo. spero che per ora vi piaccia. un commentino mi sarebbe immensamente gradito. nessun obbligo ^.^ semplicemente conoscere i vostri pareri mi farebbe piacere :)
Io amo The Legend Of Zelda, lo adoro e il miglior modo per rendere omaggio ad una serie tanto - è il caso di dirlo - leggendara era scriverci una bella fan fiction ("bella"sta a voi deciderlo :D). Twilight Princess, per quanto strano possa sembrare, è lo Zelda che mi ha lasciato di più. Il perchè non lo so nemmeno io, ma è così. quanto ho fantasticato su quel gioco! quante ore passate a sognare! e allora, mi sono detta, perchè non rimboccarsi le maniche e scribacchiare quelle storielle inventate la notte tardi prima di prendere sonno? 
in questa mia ff cercherò di raggrupparle tutte, sperando di riuscire a crearci attorno una trama decente.
Ho la brutta abitudine di aggiornare in maniera assai irregolare, quindi, abbiate pazienza ^.^
detto ciò ...
saluti a tutti!
alla prossima!!

un bacione
Phantom13
 
PS: io ho giocato la versione per il wii, quindi tutti i riferimenti di luoghi e posizioni saranno invertiti rispetto alla versione per game cube.
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

A clouded sky
a troubled past
good things never seem to last
...


Che cosa avessero da guardare lui non lo sapeva.
Era arrivato ad borgo di Hyrule passando dal portone sud, il più maestoso dei tre. Aveva spronato Epona su per gli appositi passaggi per equini tra le rampe di scale, aveva superato la zampillante fontana di un azzurro impossibile e aveva raggiunto il ponte levatoio. La cavalla era ancora là davanti, forse invece era tornata sul prato, in fondo, a completare la colazione che era stata brutalmente interrotta. Aveva anche incontrato Xenia, venendo. L’aveva trovava accoccolata nel bel mezzo di una chiazza di fiori di prato, nel fantomatico regno degli insetti, la ragazzina aveva regalmente alzato la testa verso di lui, gli aveva fatto un breve inchino con il capo per poi salutarlo con la mano. L’aveva trattato così da sempre, quindi nulla di per sé era cambiato.
Non così si poteva dire di tutte le persone del borgo che ora lo stavano guardando, meravigliate. Non erano occhiate lunghe, le loro, solo fugaci sguardi della durata di qualche secondo ideate per appagare l’insaziabile curiosità che li doveva senz’altro rodere di vedere dal vivo il leggendario eroe. Occhiate rispettose, piene di venerazione e silente ringraziamento, lievi e rapidi inchini, riguardose riverenze.
Di per se non avrebbe dovuto reagire così male ai gentili modi di quelle persone che in fondo stavano solo esprimendogli il loro ringraziamento per aver salvato loro e tutto il regno. Non avrebbe dovuto esserci qualcosa di strano in ciò, a tutti fa piacere venir ripagati per i proprio sforzi.
Ma ai suoi occhi, tutto quel ringraziamento non faceva altro che incollargli addosso ancor di più quel ruolo di eroe che lui non aveva mai voluto. Gli Spiriti della Luce gli avevano praticamente infilato a forza la tunica verde, trasformandolo da lupo a persona, appioppandogli di conseguenza tutte le responsabilità che essa si trascinava dietro da millenni: “va’ e salva Hyrule. Ma sta attento che c’è un’entità malvagia che vuole farti la pelle”.  Certo, all’epoca l’unica sua preoccupazione era riportare indietro Ilia e i bambini di Tauro ma la guerra per Hyrule l’aveva combattuta lo stesso. L’avevano spedito in un’avventura mille volte più grande di quanto lui avrebbe mai potuto immaginare. Egoisticamente, però, nell’intimità del suo cuore, tutto quello che lui aveva voluto davvero era salvare le persone a lui care. Solo quello: preservare quella vita pacifica che esisteva un tempo. E per fare ciò l’avevano costretto ad abbandonarli, abbandonare quelle persone e quella vita. L’avevano costretto a lasciarseli dietro.
Ora come allora.
E questo non riusciva a perdonarlo. Ma non era solo il risentimento verso la Principessa e anche un po’ verso la Triforza stessa, qui si parlava anche di altro, il vero problema del quale non riusciva a liberarsi.
Aiutare chi aveva bisogno gli era sempre piaciuto, non si sarebbe mai lamentato di ciò. Ma gli dava davvero fastidio che ora tutti continuassero a pretendere miracoli da lui, sebbene di minacce non ce ne fossero più. Tutti, Zelda compresa, avevano la convinzione che se ci fosse stato lui non avrebbero più avuto nulla di cui preoccuparsi. Ecco cosa odiava di quegli sguardi: sotto al ringraziamento e al rispetto vi era un non indifferente strato di vulnerabilità. Lo guardavano come se fosse il salvatore piovuto giù dal cielo per proteggerli. Niente di più infondato! Triforza del Coraggio? Certo, ma quante volte, mentre combatteva bestie enormi e ripugnanti, avrebbe giurato che il suo cuore non avrebbe retto dalla paura?
E quante volte, per le attuali richieste di aiuto della Principessa e del suo popolo, era stato costretto a lasciarsi di nuovo dietro le persone che amava? Aveva promesso già due volte a Colin di portarlo a pesca ma in entrambi i casi una lettera dal Castello aveva mandato all’aria i loro piani. Allo stesso modo, era stato costretto a mancare al compleanno di Ilia. Ora come allora …
Con il costante timore che qualcosa andasse storto e che lui ci lasciasse la pelle, diceva addio ai suoi amici alla mattina quando, montata Epona, correva da Zelda e ringraziava con tutta l’anima le Dee quando tornava a casa la sera. E non era detto che ci tornasse incolume. O che ci tornasse affatto.
Insomma, l’unica cosa che lui voleva davvero era quella che nessuno poteva dargli: rivoleva indietro la sua vita di prima. Ma anche se le richieste di aiuto dal borgo fossero diminuite, la ferita lasciata dall’avanzata del Crepuscolo non si sarebbe rimarginata. Non era una ferita fisica, era soltanto una sensazione, un’odiosa sensazione che gli impediva di assaporare di nuovo un semplice pomeriggio passato a far la guardia alle capre sdraiato sull’erba. Un’avventura di quelle proporzioni gli aveva mozzato la possibilità di avere di nuovo una vita normale.
Ogni notte sognava battaglie, ogni giorno si aspettava nemici dietro agli angoli, ogni giorno scalpitava se rimaneva fermo più di due minuti. Quando l’azione ti entra dentro, non se ne va più. Quando vivi una tale avventura, sai che non c’è via di ritorno, che la tranquillità non sarà più un’opzione percorribile.
Donandogli la Triforza, le Dee avevano cancellato dalla sua vita quella dolce, monotona parola chiamata “normalità”. Gli avevano strappato la speranza di un futuro.
Tutto quello che vedeva davanti a sé era una continua battaglia, una continua irrefrenabilità che l’avrebbe costretto a galoppare ininterrottamente per le piane di Hyrule a caccia di mostri e avventure mentre tutto ciò che voleva il suo cuore era essere a casa.
E ci aveva provato, a rimanersene buono e fermo. Ma tutto quello per cui aveva combattuto, la pace, ora gli sembrava infinitamente sbiadita, annebbiata, tetra. Non faceva per lui.
Da quando si assaggia la guerra, la pace sta scomoda.
Il colore del buio non si dimentica.
-Ehi, roccia!-
Link sobbalzò, abbassando lo sguardo sul piccolo goron che lo guardava con occhietti brillanti. Certo, si disse, il figlio del venditore di acqua termale. Uno dei pochi fatti positivi della sua forzata carica di eroe era che si era fatto un sacco di amici stranieri delle più svariate etnie. Tra goron, zora, skull kid, eterei, bizzarri yeti delle nevi, fate e addirittura bulblins, che giurarono fedeltà a “colui che è dotato di coraggio”, ce n’era davvero per tutti i gusti.  Si avrebbe anche dovuto aggiungere la Stirpe dell’Ombra ma … loro non erano più contattabili.
-Ciao.- lo salutò indietro con un sorriso.
-Vieni spesso da queste parti, ultimamente.- ridacchiò il piccolo ammasso di pietre, tutto felice.
-Non per scelta mia.- si sentì dire prima di riuscire a tapparsi la bocca.
-Come mai?- chiese il piccoletto, che pesava minimo dieci volte lui.
-Lascia stare.-
Il goron sembrò affranto, i suoi occhietti neri si puntarono a terra. –Senti!- si riprese in un lampo. –Vuoi un po’ di acqua termale? È appena arrivato un nuovo carico dal Monte Morte! Ne vuoi un po’?-
Link sorrise. Non se la sentì di dire di no. –D’accordo.- disse, frugandosi nella bisaccia alla ricerca di un’ampolla vuota. La trovò e la consegno al piccoletto che, saltando bellamente la fila di gente, la consegnò al padre.  Mentre il mastodontico goron riempiva l’ampolla con una grazia impensabile, Link tirò fuori le rupie per pagare.
-No!- strillò il piccolo goron. –Per roccia è gratis, l’acqua.-
Gli occhi blu dell’hylian si serrarono. –Se non prendi queste rupie non ti parlerò mai più.-
Il messaggio parve far effetto. L’aria mortificata del piccolo goron e la sua fulminea reazione a prendere le rupie che Link gli stava porgendo gli fecero capire che aveva capito. Gli sorrise. –Non voglio trattamenti speciali.-
Il piccolo goron sorrise pure lui, mostrandogli una fila spaventosamente lunga di denti spaiati. –Va bene, roccia. Capito! Volevo solo farti un favore, io.-
Link si inginocchiò abbassandosi alla sua altezza e mettendogli una mano, quella con la Triforza, sulla testa a mo’ di carezza. –L’unico favore che voglio è quello di venir trattato normalmente. Va bene?-
Il piccolo goron annuì con convinzione anche se l’hylian non era convinto che avesse afferrato davvero. Gli venne ridata l’ampolla piena e, salutati i due, Link si avviò per la via del mercato.
Si impegnò a smettere di notare le occhiate e i saluti della gente, ma non gli riuscì troppo bene. Tentò invece di concentrarsi sulla magnificenza del borgo.
La via del mercato era in assoluto la più bella. Brulicante di vita, un viavai continuo di gente gonfiava l’aria di chiacchiericci. Le bancarelle variopinte spandevano tutto attorno ondate di profumi, fiori, pane, frutta. I venditori chiamavano i passanti con forti grida, attirandoli verso le proprie mercanzie. Due soldati passarono di lì, ridendo si infilarono nella strettoia che portava alla taverna di Telma.
L’unico inconveniente era che bisognava far attenzione a dove si camminava. Link schivò per un soffio una bassa vecchietta che, cieca come una talpa, non aveva neanche fatto finta di accorgersi di lui.
Un altro aspetto positivo della marea di gente del mercato era che lui si mimetizzava meglio, le persone non lo notavano nella moltitudine.
Il sole era alto nel cielo, scintillava prepotente oltre i tetti di legno delle alte case del borgo, caratterizzate da marcate intelaiature dello stesso materiale. Una vitalità difficile da trovare altrove. Lo stomaco gli mandò un cocente brontolio. Non era ancora mezzogiorno ma ci mancavano poche ore e dalla colazione era passato troppo tempo. l’ultima bancarella, quella del panettiere, cascò a fagiolo.
Link si avvicinò, tirò fuori le rupie e si prese una bellissima, abbronzata, crocchiante michetta fresca fresca. Mentre il buon umore tornava in lui e il buon pane andava a consolare il suo desolato stomaco, Link raggiunse la piazza centrale.
La fontana con il sacro simbolo di Hyrule scintillava come se fosse stato argento liquido anziché acqua quella che spruzzava nell’aria. tutt’attorno la gente camminava e correva, ognuno impegnato nelle sue faccende. Piccoli grappoli di passanti si fermavano a chiacchierare benigni, altri si appostavano al bar, seduti sulle sedie, al riparo dal sole sorseggiavano fresche bevande. Molti, notò con un sorriso Link, si fermavano al negozio che Birbo aveva aperto. Gli affari andavano alla grande, pareva.
Lui però non si fermò. Andò dritto, superando la bottega, passando davanti alla banda che ogni singolo giorno allietava la piazza con canti e canzoni, puntava al castello. Le guardie ai lati della via gli fecero il saluto, battendo a terra le loro lance. Link in risposa abbassò lievemente il capo.
Raggiunto il portone, due guardie lo aprirono per lui.
Lo spettacolo dall’altro lato lo lasciò a bocca aperta, esattamente come la prima volta. Il corpo centrale del castello svettava fiero verso il cielo, stendendo le sue braccia di pietra verso le mura esterne, dalle torri secondarie. Il sole giocava, tra quei raggi di pietra, rimbalzandovi contro e andando ad impigliarsi nei cespugli del giardino.
Era cambiato, però, quel castello dai tempi in cui Ganondorf per poco non lo conquistò. Ora tutte le impalcature di legno edificate dai bulblins erano sparite, non c’erano più quelle mostruose creature alate a solcare i cieli. Le uniche impalcature erano quelle adibite per terminare di ricostruire le parti danneggiate, gli unici a volare erano i piccioni. A terra non zampettavano più viola bokoblins, camminavano solamente servi, cameriere e nobili figuri. La nobiltà di Hyrule ora era tornata ad abitare quel castello e Link si sentì automaticamente fuori posto.
Il suo titolo di eroe prescelto dalle dee gli conferiva ovviamente uno status diecimila volte più alto del loro, ma a lui non piaceva identificarsi in quel leggendario individuo nel quale ancora non si riconosceva. Ancora non ci aveva fatto l’abitudine, credere di essere davvero l’erede di tutti gli eroi delle favole gli era ancora inconcepibile, per quanto strano. E pensare che la sua battaglia l’aveva già combattuta. Eppure quando pensava a sé stesso si vedeva semplicemente come Link, il giovane contadino guardiano delle capre di Tauro, non come l’eroe prescelto dalle dee e detentore della Triforza del Coraggio. Inutile dire che si sentiva decisamente a disagio nell’aristocrazia di Hyrule. Specialmente quando i nobili, a differenza dei popolani, lo guardavano con gelosia. Sì, gelosia.
Una novità anche più odiosa.
I nobili gli facevano tornare la voglia di rivedere le occhiate inzuppate di aspettativa del popolo. Gli aristocratici vedevano in lui un mezzo per elevare le loro figlie, per guadagnare fama e titoli. Uno squallido indicibile. Invidia, i loro figli, tutti dieci volte più perfetti di quanto fosse Link, avrebbero potuto essere loro gli eroi prescelti. Incomprensione, come poteva quel semplice campagnolo esser stato scelto quando i loro figli no? Cosa aveva lui di così speciale?
Questo vedeva Link nei loro occhi. Ed era diecimila volte peggio degli sguardi speranzosi dei popolani nei quali si identificava diecimila volte meglio.
Sospirò. In un modo o nell’altro, ecco perché gli risultava enormemente antipatico venire al borgo. Dopo essere stato al castello, però, le vie cittadine non erano più un problema. Rimpiangeva il tempo in cui la gente che lo incontrava per strada lo chiamava semplicemente “spadaccino” e l’unico merito che aveva era quello di aver salvato un bambino zora portandolo a Calbarico.
Scrollando la testa, raggiunse il portone principale. Un soldato lo informò che era atteso e lo accompagnò alla sala dove si trovava la Principessa. Per quante volte Link fosse già stato in quel castello, mai una volta era riuscito a non meravigliarsi che là, dietro quel muro, dietro quell’angolo, vi fosse una stanza che non aveva mai notato. Quel posto era semplicemente enorme. Come facesse Zelda a raggiungere la sala pranzo prima di morir di fame rimaneva un mistero.
La prima cosa che notò quando raggiunsero la saletta secondaria, ovviamente munita di trono, era che la Principessa di Hyrule, detentrice della Triforza della Saggezza, non era sola.
Tre individui mai visti prima le stavano al fianco.
-Ben arrivato.- lo salutò lei con un sorriso tirato.
 

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Di questi giorni mi sento inspiegabilmente triste ... prometto che i prossimi capitoli saranno più allegri. Questo in particolare mi serviva come sfogo ... i prossimi saranno più allegri.
beh ... ci si vede ... 
Phantom13

PS: all'inizio del capitolo ho messo un pezzo di una poesia. Non l'ho scritta io, non è opera mia: l'ho semplicemente ricopiata da internet. L'autore non so chi sia, ma tutti i diritti vanno a lui o lei. Nei prossimi capitoli ci sarà la continuazione. 
traduzione della poesia per chi di inglese non ci capisse nulla: un cielo nuvoloso/ un passato tormentato/ le buone cose non sembrano mai durare/ ... 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

...
Love followed by pain
Wind followed by rain
Sadness flow
...

-Ben arrivato.- lo salutò lei con un sorriso tirato.
Link piegò leggermente la testa di lato, cercando di capire cosa stesse succedendo, o meglio, chi fossero quei tre individui al fianco della regnante di Hyrule. Non era la prima volta che Zelda lo chiamava per chiedergli aiuto, ma fin ora l’aveva sempre fatto sola. E il modo in cui quei tre, che a giudicare dagli abiti non potevano essere altro che nobili, lo guardavano non gli piaceva affatto.
In dubbio se salutare la principessa nel solito modo o in quello più formale, optò per la seconda opzione tralasciando il solito “Ciao Zelda!”.
-È un piacere incontrarvi, Vostra Altezza.- disse con voce piatta, accennando ad un inchino. Gli occhi dell’hylian tornarono a fissarsi sui tre intrusi.
-Il piacere è tutto mio.- ricambiò Zelda, lievemente a disagio. Conosceva Link troppo bene per non capire che la presenza degli ospiti non gli era gradita neanche un po’. E Link non era tipo che si faceva problemi a dire direttamente in faccia alla gente quello che pensava. Per evitare disastri, si affrettò a presentare all’Eroe Prescelto dalle Dee i tre aristocratici.
-Vorrei presentarti Lord Gannel, Lord Jeffer e Lord Venel. Signori della Casata di Montebrullo.- in ordine, i tre fecero una breve referenza all’Eroe.
Il primo era il più anziano, e anche il più arrogante. Avrebbe potuto essere, e probabilmente era, il padre degli altri due. I capelli completamente ingrigiti accuratamente pettinati contrastavano parecchio con quelli bruni-dorati dei due giovani.
Link li guardò uno a uno, senza sapere esattamente che fare. Per colmare l’imbarazzante silenzio, si sentì dire. –Piacere di conoscervi.- a che serviva dir loro il suo nome? Tutti lo conoscevano.
Lord Gannel fece un passo avanti. –Per noi è un onore incommensurabile potervi incontrare faccia a faccia. Siamo onoratissimi, davvero.-
Lo sguardo ora piuttosto disperato di Link andò a cercar aiuto presso Zelda. L’intrinseco legame tra Saggezza e Coraggio permise alla principessa di leggere alla perfezione i pensieri che passavano ora nel cuore e negli occhi di Link: “Non dirmi che mi ha fatto alzare alle cinque e mezza del mattino e fatto attraversare mezzo regno soltanto per presentarmi tre spocchiosi aristocratici, vero? VERO?!”
Una lieve sorrisetto mezzo colpevole piegò le labbra di Zelda. “Se ti avessi detto prima che qui c’erano anche loro non saresti mai venuto”.
Link sbuffò. “Verissimo”.
-Terminate le formalità.- intervenne Zelda, infondendo un’ondata di indicibile speranza nell’Eroe con le spalle al muro. –Passiamo ora ad analizzare il vero problema.-
La Triforza del Coraggio scintillò sulla mano del suo Detentore, anche gli occhi dei tre nobili scintillarono, puntandosi sul Simbolo Sacro.
-Il Principe Rals del Reame degli Zora mi ha inviato un messaggio.- disse Zelda. –Dice che una strana creatura mai vista prima ha scatenato il panico tra la sua gente. Questo tre giorni fa.-
-Capito. E io devo andare a controllare.- concluse Link. La solita solfa, insomma.
-Esatto.- le mani aggrovigliate della Principessa erano sintomo che non era ancora finita. E Link ebbe l’orribile presentimento che i tre ospiti c’entrassero parecchio.
-Lord Gannel, qui, mi ha cortesemente pregata di chiederti se tu saresti gentilmente disposto a farti accompagnare da uno dei suoi valorosi figli.-
La mascella di Link ricadde all’ingiù senza possibilità di appello. Ma che diamine …?
-No. Fuori discussione.- disse, chiaro e diplomatico.
-Ma…- tentò di intromettersi Gannel
-Un no è un no. Punto e basta. Non voglio tirarmi dietro ragazzi in cerca di gloria. No, no e no! Io lavoro da solo. Ho sempre lavorato da solo e sempre lo farò. Dall’inizio dei tempi è sempre stato così e non cambierà oggi. Risposta definitiva: no.-
Gli occhi blu fissi su Zelda le ricordarono terribilmente quelli da lupo. Sospirò, sapeva che la risposta sarebbe stata quella ma dir di no a Lord Gannel era stato impossibile. Lui aveva insistito, tirando il ballo i pregi della sua famiglia e un antico debito con la casata reale. Ma, in cuor suo, Zelda aveva sperato che Link moderasse almeno un pochino i toni, quando si sarebbe rifiutato. Ovviamente, l’idea che uno di quei “ragazzini” che avevano per altro la sua stessa età lo accompagnasse era stata troppo da sopportare anche per lui. La Portatrice della Saggezza non potè fare a meno di sentirsi in colpa nei riguardi di Link: non avrebbe neanche dovuto permettere che Gannel pensasse una cosa del genere, figurarsi poi arrivare a proporla al diretto interessato.
Comunque, se lei era abituata ai rari ma violenti sfoghi di Link, lo stesso non si poteva dire dei tre aristocratici.
A migliorar la situazione, Venel tentò di prender parola. –Io e mio fratello non siamo “ragazzi in cerca di gloria”.- sentenziò, irritato.
-Ah, no?- ringhiò Link. –E allora ditemi, vi prego, per quale sciagurata ragione volete venire con me?-
Uno strano silenzio avvolse le lingue degli interpellati.
-Non di certo per stringere amicizia.- sbuffò ancora Link, incrociando le braccia. Se fosse stato lupo, ora avrebbe avuto il pelo della schiena ritto, la coda alta, e i denti ben in mostra con le orecchie piegante indietro. L’ultima cosa che voleva era avere quegli avvoltoi addosso pure mentre lavorava, lavoro che già di per sé odiava. La Triforza si accese, fu un solo lampo, rapido e veloce, ma bruciante e doloroso. Link strinse i denti.
Venel aveva gli occhi bassi. –Noi volevamo solo … portare onore alla nostra famiglia.- la delusione nella sua voce, fece sbuffare Link.
-I morti non portano indietro onore alle famiglie.- disse piano. –Non rifiuto la vostra offerta per cattiveria, solo ho la certezza che chiunque di voi volesse venire con me non farebbe altro che cacciarsi in guai seri. Molto seri che probabilmente vi costerebbero la vita.-
E lo diceva per esperienza personale. Già per lui tornare a casa vivo era un’impresa, a volte, figurarsi poi dover proteggere qualcun altro!
Venel non alzò lo sguardo dal pavimento. Se nel padre e nel fratello Link vedeva solo costernata indignazione, in lui vi era pura delusione. Quel ragazzo, che per altro aveva circa la sua stessa età, ci teneva davvero ad andare con lui.
Link sospirò. Non si poteva permettere compagni di squadra.
Con Midna era stato diverso. Lei non si intrometteva, lei lo seguiva e basta con la promessa che l’avrebbe aiutato e lui avesse aiutato lei. Patto equo. E la Principessa del Crepuscolo, poi, non aveva mai avuto bisogno di essere protetta, cosa che non si poteva dire di quei ragazzi che ora gli stavano di fronte.
Sospirò di nuovo. Possibile che non riuscissero a capire che la Triforza era una maledizione e non una benedizione?
Improvvisamente, quella stanza gli stette troppo stretta. –Meglio che vada, ora. Devo anche andare in città a fare rifornimento e non mi va di perdere altro tempo. Signori, è stato un piacere.- breve inchino ai tre, inchino più profondo a Zelda. I loro occhi si incontrarono. “Scusami, non era mia intenzione, loro …”
“… loro hanno incastrato pure te, Saggezza.”
Lei gli sorrise debolmente, lui debolmente rispose.
Link se ne andò. Solo quando fu fuori dalla porta realizzò che aveva appena trattato a pesci in faccia tre degli esponenti più elevati della nobiltà di Hyrule. Sospirò, forse, la Triforza stava invadendo la sua vita con un’energia superiore a quanto avesse creduto. Eppure, là dentro aveva avuto come la sensazione che non fosse stato lui a parlare, ma qualcuno molto più grande di lui che in lui albergava. Se fosse stata proprio la Triforza o qualcos’altro, non poteva dirlo.
Prima di avviarsi per il corridoio, riuscì a sentire delle voci provenire da dentro. –Vostra Altezza, non era nostra intenzione offendere l’Eroe Prescelto dalle Dee. Pensa che si sia arrabbiato tanto?-
-Io vi avevo avvisato che non avrebbe gradito.-
L’ultima a parlare era stata Zelda. Link si sentì sorridere. Un po’ gli fece quasi pena. Povera Zelda, costretta a stare con tipi del genere per tutto il tempo.
 
La piazza del Borgo diede il suo saluto al superstite del Castello. Link respirò a pieni polmoni, assaporando la libertà faticosamente riottenuta.
I supplizi erano finiti, ora era venuto il momento di una cosa che gli era sempre piaciuta: andare a fare rifornimento!
Attraversò la piazza, passando di fianco al colonnato. Sotto al portico un gruppo di musicisti suonava. Erano sempre lì, tutto il giorno, ad allietare i passanti e raccogliere qualche monetina. La gente chiacchierava per strada, altri invece si limitavano a seguire imperterriti la loro via, impegnati nelle loro faccende. Un trio di comare parlottavano davanti ad un grande portone di legno, stavano parlando del Lago Hylia.
Link le superò e raggiunse la sua prima meta. Il negozio di Birbo era pieno zeppo di gente, come sempre. tutti felici e allegri che canticchiavano o ballavano. Lui andò dritto al bancone e si fece dare delle bombe. Ne comprò dieci, riempiendosi così di nuovo la sacca apposita. Non che ne utilizzasse molte, di bombe, ma non si poteva mai sapere. Pagò e uscì.
Il pensiero di come il piccolo bimbo di Tauro fosse riuscito a metter su una simile attività commerciale nel cuore di Hyrule lo fece sorridere.
Ora doveva andare a comprare le frecce. Ma non le avrebbe comprate lì, nel negozio di Birbo. No, il suo speciale fornitore di dardi non era il compaesano bensì un grosso, roccioso Goron. Il motivo? Si trovava meglio con le sue frecce rispetto che con quelle di Birbo. Una piccolezza, nulla di serio.
Attraversò la piazza, passando davanti alla fontana. Un altro trio di donne chiacchierava, appostato sul bordo di pietra. Raggiunse il bar, sul lato est della piazza; lì salì le scale e raggiunse un tetro portone in legno massiccio. Afferrò la maniglia con entrambe le mani e, dato un forte spintone, entrò dentro. La penombra che regnava all’interno lo accecò, all’inizio, mentre l’odore di umidità e muffa lo afferrava alla gola. Non era un negozio tanto in vista, quello, e non aveva assolutamente nulla di bello, né dentro né fuori. Ma serviva allo scopo, se ci si doveva cimentare in un’avventura.
Ignorando le scatole di legno depositate perennemente davanti alla porta in una chiazza di muschio tanto folta da sembrare erba, Link svoltò a destra passando davanti ad un muro pieno di bandi strappati. Gli angoli dei pezzi di carta che un tempo avrebbero dovuto riportare una qualche notizia, rimanevano appiccicati al muro di pietra, senza che nessuno si prendesse la briga di toglierli. E non era solo quel muro ad esserne infestato, ma bensì tutto l’edificio. Link si era sempre chiesto che cosa vi fosse lì dentro prima che vi arrivassero loro.
Due Goron, un adulto e un bambino, lo salutarono con entusiasmo, come sempre. Link scambiò con loro due parole di saluto e poi salì le scale di pietra, abbandonando il tetro spazio circolare del piano inferiore. Sopra, non era meglio che sotto. Uno stretto corridoio, incrostato dei soliti parassiti cartacei già incontrati prima, era “abbellito” dalle finestre che lanciavano all’interno lame di luce polverosa, vorticante di moschini. Un bambino Goron stava seduto là, nel bel mezzo del passaggio, in una posizione alquanto annoiata. Quando Link passò, quello schizzò in piedi, tutto raggiante. –Ehi, roccia! Ti serve dell’olio per lanterne? Ne ho di nuovo, appena arrivato!-
Link gli sorrise. –Ma sì, dai! Non ne ho quasi più.-
Il piccoletto, tutto raggiante, servì il cliente, lasciandosi poi ricadere a terra, sbeccando le lastre di pietra del pavimento. –Alla prossima, allora! Torna quando voi.-
Link lo salutò e proseguì per il corridoio, fino a raggiungerne il fondo. Un balcone sporgente sulla piazza della fontana dominava imponente su tutta la gente sottostante, che da lassù assomigliava solo ad un mucchio informe di formiche. Il castello di Hyrule svettava contro il cielo con una magnificenza e una potenza che altrove proprio non si poteva trovare. Silenzioso, Link si accostò al Goron che lì stava appostato, con le braccia conserte, a guardare serio le guglie della fortezza oltre lo stemma dorato sulla sommità della fontana cristallina.
-Ciao, roccia.-
-Ciao.-
-Finite le frecce?-
-Sì.-
-Tutta la faretra?-
-Sì.-
-Perfetto.-
Sessanta frecce nuove fiammanti, con gli spennacchi intagliati di fresco, vennero sistemati nella faretra di Link che pagò subito il massiccio Goron. –Grazie.-
-È sempre un piacere, roccia.-
 
Nella via del mercato, Link si procurò una pagnotta e una mela che vennero prontamente infilate in saccoccia. Il viaggio fino ai monti del nord era lungo e una merenda non faceva mai male. Parlando di cibo, Link constatò che era quasi mezzodì. E il posto che meglio si prestava per tale necessità unita ad una buona dose di informazioni hyruliane era uno solo.
La viuzza laterale che conduceva alla trattoria di Telma era sempre più spenta e buia rispetto al resto del borgo. Link non vi badò. Saltò via di rito i gradini, atterrando direttamente nello spiazzo incassato davanti alla trattoria, sotto al livello della strada. La porta si aprì con un cigolio e le calde luci del “rifugio” accolsero l’avventore. Telma alzò pigramente lo sguardo dal bicchiere che stava pulendo dal suono dei campanelli sopra la porta. Uno smunto “buongiorno” le uscì dalla bocca ma quando si accorse di chi era entrato, il suo spirito risorse tutto di colpo. –Link! Quanto tempo! Come stai, eh? Sempre in giro a caccia di mostri?-
-Ora come ora sono a caccia di cibo ma sì, la mia attività sostanzialmente non è cambiata.-
-Che ti va per pranzo?-
-Mi affido a te.-
La donna rise. –Come vuoi, caro. Va’ pure a sederti.-
Link diede una malinconica occhiata al tavolo isolato, scostato dagli altri, quello dove Moy e gli altri erano stati accampati per giorni, quando il pericolo minacciava Hyrule. Quanti ricordi …
Il piatto fumante arrivò in un baleno. Seduto ad uno dei tavoli vicini alla porta, Link contemplò la bistecca in salsa ai funghi.
-Allora? Bella, non trovi?- si gongolò Telma.
Link si buttò all’assalto. –Non solo bella, ma anche buona!-
-Quello era ovvio, tesoro!- rise lei. Link la guardò sorridendole. Una cara persona davvero, quella donna, che si era rivelata un’ottima alleata in più di un’occasione.
Finito di mangiare, il giovane hylian si accostò al bancone per pagare.
–No, no!- si affrettò lei. –Non voglio soldi dagli amici.-
Link esitò. –Ma…-
-Niente ma! Se non lo fai, mi offedo.-
Lui sorrise. –D’accordo, hai vinto.-
Telma annuì, facendo tremolare i suoi capelli rosso cupo. –Scommetto che però non sei qui solo per il pranzo, vero?-
Link sorrise. –Sai qualcosa di un certo mostro presso i Monti Zora?-
Lei si accigliò. –No. Non credo di aver sentito uccellini cantare a tal proposito. Perché? Stai andando là?-
-Esatto.-
-Mi tieni informata, però, vero?-
-Come sempre.-
Intanto, Telma versò un po’ di sidro in un bicchiere e glielo porse. –Un po’ di energia prima della battaglia, ti va?-
Link non rifiutò.
 
Rifocillato per bene, Link risalì i gradini della trattoria per poi sbucare nell’afflusso di gente della strada del mercato. Con la pancia piena, tutto il mondo gli sembrava più luminoso.
Ora, però, doveva andare davvero.
La porta ovest si prestava meglio. Avrebbe dovuto attraversare tutta la città ma fa niente, un po’ di digestione prima della cavalcata a due ore e mezza fino ai monti.
Prese una via laterale, poco frequentata, che portava dritta dritta all’ambulatorio, proprio di fronte all’uscita che voleva lui.
La guardia davanti al portone gli fece il saluto, Link piegò appena la testa in risposta.
Il vento soffiava forte sul ponte levatoio occidentale, un vento forte e giocherellone che giocò con i suoi capelli, sollevandogli il copricapo a punta. Camminò ancora un po’, superando il passaggio a galleria e raggiungendo la piana di Hyrule.
Il cielo azzurro come non mai scintillava quasi sopra la marea d’erba frusciante, intaccata di tanto in tanto da ruderi di muri antichi e palizzate lignee più recenti, da chiazze di terra nuda o di roccia e da isolate polle di acqua piovana. Il ponte di Oldin si stagliava magnifico come sempre nel bel mezzo dell’immenso spazio aperto, mezzo diroccato, con le sue colonne ormai in rovina, aggrappato da un lato all’altro di una voragine nera che squarciava il suolo. Le rocce rosse del Monte Morte tra le quali era incassato Calbarico parevano quasi carboni ardenti, gettati per puro caso sul manto verde. Link li guardò per un attimo, quegli speroni di roccia rossa che svettavano squadrati contro il cielo, proprio come se qualcuno gli avesse per davvero conficcati a terra a forza. Appena dietro di essi, il vulcano nero, grondante di lava, invadeva il cielo, vomitando in esso nubi su nubi di nera cenere e vapore.  Ancora più in dietro, le vette e le cime di altre montagne si riuscivano appena ad intravvedere, rosse come quelle di Calbarico, ma tanto lontane che finivano per confondersi con il cielo e con le nubi del Monte Morte. Nel perfetto opposto, oltre il ponte di Oldin, le montagne azzurre e grigie degli Zora occupavano allo stesso modo il cielo, soltanto con colori opposti, freddi, che nulla avevano di caldo. Le montagne di fuoco contro quelle di ghiaccio, in mezzo un manto di erba verde e una fossa nera. Tutti i colori del mondo giacevano lì.
Link si perse a guardare il paesaggio. Gli riusciva sempre incredibile notare ogni giorno quanto quel regno, quella terra fosse variopinta e colorata. Era fortunato a vivere lì e avrebbe dovuto sentirsi onorato anche di doverla proteggere, quella terra. Qualcosa in lui fece attrito.
Onore, sì. Onere, sì.
Portò alle labbra il fischietto di terracotta che gli aveva regalato Ilia e chiamò Epona. La cavalla sbucò al galoppo spianato da un piccolo ponte di legno a metà tra quello dove si trovava Link e il passaggio naturale di pietra che portava al villaggio giacente ai piedi della montagna.
Epona lo raggiunse, si impennò in saluto.
-Ciao, sorellina. Come stai?- disse lui, accarezzandole la testa.
Lei sbuffò con il naso, scuotendo la criniera. 

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Salve, gente! 

Tanto per cominciare, vorrei seriamente ringraziare coloro che hanno lasciato un piccolo commento. e un grazie va anche a tutti quelli che hanno avuto la pazienza e la voglia di seguire questa mia ff ^^
un grande GRAZIE a tutti!


Non mi sono fatta più sentire per un bel pezzo ma proprio mi era scappata l'ispirazione. Ora è tornata, speriamo che resti :)
Allora, questo capitolo è stato un po' lunghetto, che dite? spero che vi sia piaciuto, in ogni caso. Non ero per nulla sicura quando l'ho postato, ma spero che vada bene.  Vi dico fi da subito che non l'ho riletto, quindi è possibile che ci siano ripetizioni o errori di battitura (non ne potevo più!) vogliate quindi perdonarmi. 
Beh, allora, i tre tizi all'inizio, inutile dirlo, torneranno, purtroppo. ma non subito, quindi ce li toglieremo di torno per un po' ^^
e che ci sarà mai di tanto terribile sun monte degli Zora? aspettate e vedrete ^^
la traduzione della poesia all'inizio per chi di inglese non ci capisse niente: l'amore seguito dal dolore/ il vento seguito dalla pioggia/ la tristezza scorre/ 

e con questo è tutto
lasciate un commentino, se vi va ^^ l'autrice ringazia :D
alla prossima!

Phantom13

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Salve, gente! Phantom13 è viva, anche se non si sarebbe detto. Non mi facco più sentire da tantissimo tempo da queste parti, lo so, e per questo vi chiedo scusa (se dovete dare la colpa a qualcuno, datela alla mia disetrice ispirazione, che mi ha abbandonata sul più bello). Ma ora vi porto qui un nuovo capitolo, un po' piu corto degli altri ma spero altrettanto bello. le cose finalmente cominciano ad entrare nel vivo! Perdonatemi se ci sono ripetizioni o errori di battitura, eccezzionalmente questa volta non ho riletto interamente ciò che ho scritto (non ne potevo semplicemente più!). Ma spero ne sia uscito comunque un capitolo leggibile.
Ora vi lascio!
Enjoy! 



Capitolo 4
...
I don't know
If the sun will shine
Again 
...

 

Gli zoccoli di Epona solcavano, miglio dopo miglio, le magiche terre di Hyrule. Avevano calpestato l’erba della piana occidentale, avevano cozzato contro le pietre del Ponte di Oldin, sospeso su un baratro senza fondo a metà tra le montagne rosse dei Goron e quelle grigie degli Zora, e ora stavano rumoreggiando per la gola incassata tra le rocce, ai piedi dei monti settentrionali, prima della pianura attraversata dal fiume nascente nel Reame Zora. In quella stessa gola era possibile trovare l’entrata al Villaggio Dimenticato, dove una certa vecchia signora abitava ancora, l’ultima della propria stirpe.
Ma a Link non importava gran che di quel paesaggio che aveva già visto troppe volte. Spronò Epona al galoppo, mentre qualche verdeggiante bulblin camminava a passo lento, in cima alle pareti rocciose che infossavano la strada, guardando con distratti occhi rossi il cavaliere che là sotto galoppava.
La pianura settentrionale, punteggiata di scure rocce, spaccata a metà dal gelido fiume montano e attraversata per l’altro senso dal possente ponte di pietra per superare il corso d’acqua, si srotolò davanti agli occhi dei due viaggiatori. Erano proprio sotto alle radici dei Monti, sui quali vivevano gli Zora. Tetri nuvoloni gonfi di pioggia ne avvolgevano la cima, ma ancora il biancore delle nevi e dei ghiacci lassù presenti erano visibili.
Prima del ponte, l’hylian vestito di verde, diresse la sua cavalcatura su per un sentiero affondato tra le rocce, che si inerpicava su per il fianco della montagna. Epona sbuffò ma senza protestare eseguì. Gracili staccionate pericolanti accostavano quei passaggi impervi, Link sapeva dove andare. Qualche ragno pattinatore rosso o blu si avvicinò loro, frinendo. Bastò un lieve colpetto ai fianchi della cavalla per travolgerli e lasciarseli ammaccati alle spalle. Gli occhi azzurri di Link intanto scandagliavano le rocce tra le quali passavano, cercavano attentamente un segno. E il segno lo trovarono senza particolari problemi. Un piccolo anfratto ombroso tradiva la presenza di una grotta, piccola, quasi mai notata, una volta coperta da un macigno franato da chissà dove.
Lì davanti, Link fece arrestare Epona. Smontò di sella e diede una pacca affettuosa sul muso della sua cavalcatura. –Tu aspetta qui, eh?- le disse.
In risposta ricevette uno sbuffo, come sempre.
Link scavalcò il piccolo ammasso di detriti che ostruiva in parte l’entrata e si infilò dentro. Non seppe dire per quanto camminò esattamente, ma il pavimento di roccia si faceva sempre più in salita.
Finalmente, il famigliare lucore lo avvisò che era quasi arrivato. Ancora qualche passo e fu fuori, direttamente del Regno degli Zora.
Pareva una grotta alla quale mancasse il soffitto, il luogo in cui le pacifiche creature acquatiche di Hyrule avevano trovato la loro dimora. Una grotta incassata sotto la pelle della montagna nella quale uno squarcio rivelava il cielo. Ondate di pioggia entravano, battendo incessantemente la superficie della pozza d’acqua nella quale fluivano numerose cascate, per altro rumorosissime, che sbucavano dal corpo stesso della montagna, incrostata di stalagmiti, andando a formare quella limpida pozza sottostante. Link rimase un attimo fermo a guardare i giochi d’acqua. Un dettaglio però lo fece raggelare.
Non c’erano Zora.
Quella era la loro dimora, avrebbero dovuto essercene a decine. Eppure quelle acque solitamente ribollenti dei loro schizzi di pinne erano ora desolatamente vuote. L’hylian aggrottò la fronte.
Era vero, dunque, che su là qualcosa non quadrava.
Ora lui si trovava circa a metà dell’altezza complessiva, sotto una specie di porticato naturale si stalattiti e stalagmiti. Dall’alto, di Zora proprio non se ne vedevano. Socchiuse gli occhi, accarezzando con una mano l’elsa della spada. Se di zora non ce n’erano, pure presenze malvage erano del tutto assenti. Ciò non cambiava il fatto che gli abitanti erano scomparsi. Forse, pensò, si erano rintanati nella sala del trono, in cima alla cascata più grande di tutte. Ma nutriva i suoi dubbi.
Sospirando, mantenendo al contempo tutti i sensi all’erta, cominciò ad incamminarsi, o meglio, arrampicarsi da una sporgenza all’altra mirando alla cima della cascata. La pozza secondaria sopraelevata alla prima, nella quale presidiava il regnante, Rals, e tutta la sua corte, era vuota, esattamente come sotto. Nessun anima viva né morta.
Link deglutì, osservando la piccola pozza. Sperò che gli zora non fossero stati divorati tutti da una qualche mostruosa creatura. Si mise in ascolto ma nessun suono raggiunse le sue orecchie appuntite. Lì non c’era proprio niente. Ma allora perchè aveva quell’orribile sensazione?
Si voltò lentamente verso lo sbocco della piccola sala del trono. Guardava fisso l’aria, come se da un momento all’altro vi fosse apparso uno spettro assetato di sangue. Ma nulla accadde. Link aggrottò la fronte, sempre sospettoso. Lentamente, cominciò a muoversi tornando sui suoi passi. Il suo istinto raramente sbagliava …
Per scendere si tuffò semplicemente, lasciandosi portate dalla cascata. Con un tonfo atterrò nella pozza sottostante, riemergendo un po’ più in là. Raggiunse la riva e un’idea gli balzò alla mente. Il passaggio che conduceva al ghiacciaio gli soffiò in faccia aria gelida, come ad invitarlo ad entrare. Link esitò un attimo, attendendo che i propri vestiti smettessero almeno un poco di asciugare.
Lentamente, con le dita ben strette sull’elsa della spada, si avviò in quella direzione, entrando nella galleria incrostata di ghiaccio. L’aria scese drasticamente, mentre il vento ululava come un lupo ferito, correndo da un lato all’altro del passaggio naturale, ringhiando.
Link capì qual’era il problema quando giunse dall’altro lato. Una tempesta dalla potenza mai vista prima spazzava con furia i pendii della vallata nascosta e intasata di neve che conduceva alla vetta dei Monti. Il nevischio veniva sbattuto ovunque dalle ventate impazzite, le folate gridavano intrecciandosi tra loro e abbattendosi ovunque con rabbia. Link rimase interdetto. Non riusciva nemmeno a distinguere la superficie del lago che doveva trovarsi là sotto dalla semplice neve che volava nell’aria.
Di una cosa era certo: quella tempesta non era naturale. No. una simile violenza era troppo pure per quel luogo che andava famoso per le sue bufere.
Avrebbe tanto voluto andare a controllare come stessero la coppia di yeti che abitavano lassù in cima, ma, ora come ora, con le sue sembianze umane non sarebbe andato lontano. Neanche da lupo, però, ebbe il dubbio che ci sarebbe riuscito.
Rabbrividendo, girò sui tacchi. Rimanere lì non aveva senso, se non a procurarsi una polmonite.
Con piacere tornò nell’aria tiepida delle sorgenti zora. Incredibile come un semplice strato di roccia potesse separare due climi tanto diversi.
Accadde in un attimo.
La triforza sulla mano si accese di botto. Link digrignò i denti, mentre la luce divina gli bruciava la mano con foga disperata. Nello stesso istante lo sentì arrivare. Le sue orecchie, dall’udito più fine di quello di un semplice umano, lo avvertirono. Ma troppo tardi.
Qualcosa lo colpì da dietro, scaraventandolo a terra.
L’unica cosa che riuscì a vedere fu una scia di fumo nero librarsi in aria. Un acutissimo stridio lo tramortì.
Un dolore lancinante gli percorse tutte le membra. I muscoli gli si tesero, tutti insieme, in un unico spasmo. Link gridò, tenendosi forte la mano, che poco ci mancava avrebbe cominciato a sanguinare. La triforza brillava come non mai, luce e dolore.
Divenne tutto buio.
 
Rinvenne qualche ora dopo, a giudicare dalla posizione del sole. Provò a rialzarsi. Non ci riuscì.
La testa gli pulsava dolorosamente, tutto il corpo gli faceva male. Respirò a pieni polmoni, rimanendo semplicemente immobile. Cos’era appena successo, non lo seppe dire.
Provò di nuovo a tirarsi in piedi ma si accorse che il suo copro gli rispondeva in modo sbagliato. O meglio, non come si sarebbe aspettato che facesse.
Scivolò e ricadde a terra.
Un guaito gli uscì dalla gola.
Link si bloccò di colpo, realizzando. Questa volta non ebbe problemi a scattare in piedi, siccome aveva capito come fare. In piedi. Forse non era il modo corretto di dirlo. Le zampe in questione erano quattro.
Link si diede un’occhiata, piegando in dietro la testa.
Eh, già.
Pelo nero, una coda, la solita catena alla zampa anteriore destra, zanne scattanti, orecchie pelose e muso sorpreso.
Era tornato ad essere lupo. 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Lo so, sono in vergognoso ritardo. Non ho scusanti: linciatemi pure, se volete! 
Vi chiedo umilmente venia per questa ignominosa assenza: tra la scuola, le altre fic, o impegni privati non mi sono più fatta sentire per un periodo davvero troppo lungo.
Ma, infine, sono riuscita a portarvi un capitolo leggibile. Spero vi piaccia (e spero anche che mi perdonate per il silenzio di questi mesi). 
in questo capitolo, la storia comincerà ad entrare nel vivo :) e farete anche conoscenza con il mio personalissimo modo di vedere il rapporto tra Zelda e Link in Twilight Princess, che (sempre secondo me) è assai diverso dagli altri giochi in quanto tra i due non vi è nessun tipo di rapporto emotivo percepibile e... Ma ora basta, Phantom! Taci e lascia leggere i lettori! Smettila con le tue farneticazioni insensate!!
solo sappiate che (e forse avrei dovuto dirlo un po' prima -.-') il mio modo di sentire The Legend of Zelda è un po' diverso da come solitamente dovrebbe essere. Specialmente se si tratta di Twilight Princess (ed ecco perchê è il mio gioco preferito ^.^).
Ora la finisco davvero con le ciancie e vi lascio leggere! 
scusate ancora per il ritardo! 


 
Capitolo 5
...
Nodoby can save me
now



 
Link rimase completamente immobile, con lo sguardo puntato a vuoto davanti a sé.
E questo che diamine significava?
Respirò a fondo, riprendendo pieno possesso di quel corpo da lupo, allo stesso modo con il quale si riprende famigliarità con un vestito non più indossato da tempo.
Pelliccia, più calda di qualsiasi mantello; artigli, leggermente graffianti contro la roccia a bordo della Sorgente Zora; coda, sventolante in fondo alla schiena; muscoli, tesi e pronti a scattare; orecchie, dritte e dieci volte più sensibili delle sue da hylian; zanne, acuminate e taglienti pronte a dar battaglia a chiunque si presentasse come suo nemico; naso, che riceveva mille impulsi odorosi dei quali prima non s’era minimamente accordo.
Link si girò, piano, tutti i sensi all’erta, alla ricerca di quell’ombra che l’aveva sorpreso e tramutato in lupo. Ma ovviamente, quella si era dileguata da tempo. Alzò verso l’alto la testa, annusando l’aria. Nulla di nulla.
Frustrato ringhiò piano, sfoderando i canini scintillanti.
Altro che!
Questa proprio non ci voleva!
Non che gli fosse del tutto odiosa la sua ritrovata condizione di lupo. Ma era accaduto nel momento meno agevole. Per sicurezza, per accertarsi di non avere piste da seguire, odorò per l’ultima volta l’aria, che profumava solo di acqua di fonte, minerali, muschio ed alghe. Esitò ancora, nonostante tutto. Indeciso sul da farsi.
Doveva assolutamente trovare il modo di avvisare Zelda che c’era una misteriosa ombra che vagava per Hyrule. Ma, ora come ora, comunicare con la Principessa a suon di uggiolii e guaiti non era neanche pensabile. Del resto, non era nemmeno possibile attraversare tutto il centro del borgo in forma di lupo.
Come fare?
Dirigersi alla Foresta Sacra e tentare di nuovo il miracolo della Spada Suprema?
Sbuffò, abbassando il capo. Già. Andare alla foresta, cercare la spada. Galoppare di nuovo fino da Zelda, farle il resoconto sul Monte Zora. Tornare a casa per la cena in tempo per non far infuriare Ilia … più facile sconfiggere Ganon utilizzando una canna da pesca.
Link digrignò di nuovo le zanne. Arrivare puntuali: impossibile. Ma lui era l’Eroe Prescelto Dalle Dee e se si impegnava, poteva fare tutto! Anche questo!
Ma per riuscirci, doveva sfruttare la sua conoscenza del regno di Hyrule. Quindi, il modo più rapido per attraversare l’intera regione era utilizzare l’acqua.
Un rapido, gorgogliante, corso d’acqua correva da un capo all’altro di Hyrule, dalle montagne al lago. E dal lago alla foresta non avrebbe impiegato moltissimo. Qualche ora di più per tornare fino al castello e poi di nuovo a Tauro.
Link alzò lo sguardo verso il cielo, controllando la posizione del sole, per quanto lo ristretto spicchio azzurro sopra alle sorgenti gli permetteva di vedere.  Approssimativamente, mancavano tre ore al tramonto, magari quattro.
Forse, e solo forse, ce l’avrebbe fatta.
Non aveva tempo da perdere.
Con uno spaventoso cigolio d’ossa, si mise in cammino, fendendo l’aria con la coda sottile. Il trotto da lupo, confessò intimamente a sé stesso, gli era mancato.
Lingua a penzoloni, Link ora correva a bordo del fiume, seguendone la diramazione che l’avrebbe portato fino alla capanna di Nola. Da lì si sarebbe tuffato e si sarebbe lasciato portare dalla corrente fino a valle, nel lago Hylia.
La capanna della noleggiatrice di canoe e di sua sorella pescatrice non tardò a farsi vedere, aggrappata contro il fianco della montagna, in una piccola valletta incassata tra i pendii scoscesi, edificata su sottili lingue di roccia ammantate d’erba. Link zampettò rapidamente fino al margine della diramazione del fiume che l’avrebbe portato fino al lago e vi si tuffò.
L’acqua gelida parve attaccarglisi alla pelliccia trascinandolo con forza verso il basso. Ma fu solo un attimo. Link cominciò ad annaspare alla maniera dei cani, tenendosi a galla senza particolare fatica e lasciando fare alla corrente tutto il resto.
Il viaggio fu breve.
Con una piccola cascata il braccio del fiume si immergeva nello spettacolare lago, sovrastato dal mistico ponte di pietra, dalle arcate di sostegno mezze diroccate e troncate. La placida distesa d’acqua scintillava al sole del pomeriggio morente, in lontananza, in cima alla parete di roccia, la sabbia rossa del Deserto Geld volava al vento in una nube improbabile dal colore di rame.
Link non si perse troppo in contemplazioni paesaggistiche e prese a nuotare con foga puntando verso riva, ad una delle croste di pietra che si accavallavano le une sulle altre ai margini del lago, creando uno spettacolare quanto artistico labirinto di punte e zanne rocciose. Pericolanti ponti di legno invasi di muschio collegavano alcune di tali sporgenze e fu proprio su uno di quelli che il lupo si ritrovò a correre qualche attimo dopo, approdato sulla terra ferma.
A differenza degli esseri umani e degli hylian, i corpi dei lupi erano stati progettati per la velocità di caccia e per la resistenza. Quindi, Link non impiegò più che una manciata di secondi a raggiungere il limitare della frastagliata parete che aveva ingoiato e ospitato l’acqua del lago, bacino e riserva di Hyrule.
Ma, quando si ritrovò a dover spiccare un balzo per superare uno dei molti avvallamenti presenti tra le sponde del lago, con la coda dell’occhio intravide un rapidissimo movimento sotto di lui.
Atterrò malamente, graffiando in terreno con gli artigli. Con un unico movimento, il lupo si voltò, accorrendo al bordo della fessura, già con le zanne sfoderate, in caso si fosse trattato di un nemico. Ciò che si annidava là sotto, però, non era un nemico.
Era uno Zora.
Rannicchiato appena sotto il pelo dell’acqua, si teneva forte le ginocchia, tremando come una foglia.
Link rimase interdetto, guardando dubbioso l’abitante dei fiumi che a sua volta si accorse di essere osservato. Lentamente lo Zora alzò gli occhi, raggelando alla vista del grosso lupo nero che gli restituiva lo sguardo.
Lo Zora si mosse, come per fuggire, attendendo una mossa da parte del suo presunto aggressore. Un gemito attirò l’attenzione di Link che si accorse della presenza di altri Zora, quattro, tutti accucciati, vicini gli uni agli altri, nascosti dai corpi di roccia alle rive del lago e dalle ombre che essi gettavano sull’acqua.
Tutti i loro vacui occhi colmi di terrore puro erano puntanti sul lupo nero. Una silente accusa verso l’unico che ironicamente avrebbe potuto aiutarli ma che ora, per loro, non era altro che il prolungamento del loro incubo.
Link a malincuore si voltò per andarsene, optando per l’evitare di terrorizzare ulteriormente quei poveretti. Per l’ennesima volta si chiese cosa fosse esattamente quell’ombra di prima, che aveva spaventato a quel modo gli Zora. E, soprattutto, come fosse stata capace di tramutare lui in lupo.
Con simili pensieri in testa, l’Eroe Prescelto risalì a grandi balzi le pareti scavate dal lago, che ora lo abbracciavano, infossandolo sotto la terra.
 
Non concesse pietà ai propri muscoli. Condusse il suo corpo da lupo ad un nulla dal collasso, ma Link non si fermò neanche per un attimo. Continuò a correre ininterrottamente dal Lago Hylia fino al limitare dei boschi a lui famigliari. Attraversò di volata la pianura meridionale del regno, si addentrò tra gli alberi, sfrecciando davanti al solitario venditori di lanterne, che inorridì alla vista della belva in corsa. Bruscamente, Link aveva curvato, addentrandosi nella grotta che portava alla distesa di tronchi prima del tempio. La nebbia velenosa che lì aveva albergato era scomparta, restituendo al bosco quell’area, tornata fresca e pura.
Correndo, con i polmoni in fiamme, Link andò oltre, raggiungendo infine l’allungata radura di fronte al Tempio della Foresta e al largo ceppo d’albero lì vicino.
Con un agile balzo il lupo vi fu sopra e solo allora si concesse un minimo di riposo.
Ora avrebbe dovuto balzare su un baratro di vuoto dal fondo invisibile. Fallire il salto per mancata forza gli sarebbe stato fatale.
Mentre ansimava, studiava al contempo le grondanti radici del ceppo d’albero che costituiva il corpo del Tempio, analizzandone le sporgenze alla ricerca di luoghi d’appiglio per il disperato tentativo di aggirare il promontorio oltre al quale aveva residenza la foresta Sacra.
I minuti gocciolavano, il vento giocava tra le fronde degli alberi.
Link sbuffò, intaccando con gli artigli la superficie del tronco mozzo. Era pronto.
Balzò.
Un brivido gli corse lungo la spina dorsale, durante gli interminabili attimi nel quali sotto alle sue zampe regnava incontrastato il vuoto. Si permise di riprendere fiato solo quando atterrò sull’improbabile piattaforma creata con le radici dell’albero-tempio.
Un altro salto fino ad in’altra radice e agli occhi azzurri del lupo nero apparve il passaggio di roccia che conduceva alla Foresta Sacra, chiamata anche Lost Wood. 
Non fu difficile per lui compiere quell’ultimo balzo e nemmeno i due successivi per superare i ponti di legno mangiati dalla muffa che conducevano all’entrata vera e propria della Foresta.
La freschezza di quelle fronde nascoste gli conquistò i polmoni, il profumo di tronchi, foglie e rocce bagnate gli afferrò l’olfatto. Un’aria di ombroso silenzio regnava tra quegli alberi, tra quei giganti verdi destinati all’eterna immobilità, tra i cui rami gocciolavano i raggi morenti dell’astro del cielo.
Link zampettò in avanti, raggiungendo la Pietra del Tempo, che si trovava a pochi passi di distanza, quella con la Triforza incisa sopra. Si sedette ed ululò quella melodia che aveva creduto di aver dimenticato ma che invece mai se n’era andata dalla sua memoria.
Lo Skull Kid arrivò in un attimo, fedele al richiamo. Con la sua tipica risatina e il suo fruscio di foglie secche, il piccolo guardiano della foresta labirinto fece il suo ingresso, scendendo dalle cime degli alberi con la leggerezza di quelle stesse foglie di cui sembrava esser fatto. La sua lanterna di fuoco fatuo scintillò piano, nelle ombre della foresta. Il ghigno spettrale di quell’arruffo di foglie vivente non era cambiato di una virgola, ma la luce che brillava nei suoi occhietti era invece mutata.
-Rovine del Tempo?- chiese, con una voce inconsistente quanto perforante.

Qualche tempo dopo…

Zelda si voltò di scatto quando un esausto e ansante Link entrò nel piccolo salotto, situato tra le file di scaffali della biblioteca del Castello. La principessa, che si stava godendo una rilassante lettura, sollevò un sopraciglio all’espressione da temporale di Link.
-Cosa ti è mai successo?- domandò, richiudendo il voluminoso libro dopo aver infilato tra le pagine un segnaposto di pelle.
Link fece segno di no con la testa. –Tante cose.- rispose, con voce rotta. Per un attimo la Principessa si preoccupò che qualcosa di grave fosse successo, ma era certa che se così fosse stato, l’espressione dell’Eroe Prescelto sarebbe stata molto più sconvolta invece che frustrata com’era ora.  
-Sembra che tu abbia attraversato tutto il regno a corsa.- commentò Zelda facendo dell’ironia che, sciaguratamente, si avvicinò troppo alla realtà dei fatti.
-Appunto!- sbottò Link, crollando sulla prima sedia che gli capitò a tiro. –E le scalinate di questo castello non aiutano!-
Era proprio sfinito, pensò Zelda, cominciando lievemente a preoccuparsi.
-Ma cos’è accaduto?- chiese di nuovo.
Link roteò gli occhi verso di lei.
Le raccontò tutto, della fonte degli Zora, dell’ombra misteriosa che l’aveva attaccato e tramutato in lupo, degli abitanti del fiume rifugiati nel lago.
La Principessa rimase in silenzio, rimuginando. L’unico suono rimasto nella stanza, era il respiro accelerato dell’hylian stremato.
-Qualche idea?- chiese lui.
Zelda si portò una mano vicino alle labbra, con aria pensierosa. –Ganondorf non è stato.-
-No.- confermò Link. –Non era la sua aura, quella che ho sentito.-
-Zant?-
Link esitò. –Ma è morto.-
-Lo so.- disse piano lei. –Ma avrebbe potuto essere la sua energia, quella che ti ha tramutato? L’ha già fatto altre volte. Anzi, è stato l’unico ad esserci mai riuscito.-
Link sospirò. –Non ne sono sicuro. Non te lo so dire.-
-Credi che attaccherà di nuovo?-
-Non so se quello che ha fatto fin ora si possa definire attacco. In sostanza non ha ferito nessuno: ha solo spaventato gli Zora. Con ciò non voglio di certo dire che sia un bene lasciare scorrazzare questa cosa per il Regno.-
-Fin tanto che non sappiamo cosa sia di preciso, non possiamo comunque agire.-
Cadde di nuovo il silenzio mentre i due finirono inevitabilmente per guardarsi reciprocamente. Compagni di un destino condiviso da millenni a quella parte; condannati a dover combattere un’eterna battaglia senza fine nel nome della Triforza; qualche volta erano stati amici, altre volte qualcosa di molto di più, ma non quella volta. Entrambi avevano la consapevolezza di essersi già conosciuti in ère già morte.
Ma, in quel momento, in quell’occasione, in quel presente, avevano già avuto il tempo di costruirsi una vita, prima che le rispettive Triforze si fossero risvegliate. Cosa che, con i rispettivi legami e le rispettive famiglie, impediva a quel destino, che li aveva chiamati alla battaglia senza chieder loro il permesso, di governare ulteriormente le loro relazioni private.
Erano coscienti del fatto di conoscersi da secoli e secoli, ma quella volta sarebbe stato diverso: le vite già iniziate, una a Tauro, l’altra a Corte, richiedevano a gran voce di venir concluse.
Quindi, né Coraggio né Saggezza, almeno per quella volta, avrebbero incrociato i loro cuori: la Triforza si era svegliata nei due portatori troppo tardi, non nell’età fanciullesca, com’era accaduto tutte le altre volte, bensì già da adulti. Altri affetti, altri progetti erano in corso. E quel destino triplice non aveva il diritto di unire a forza i loro sentimenti, poiché nelle altre Leggende così era accaduto.
Un anno e mezzo prima, quel Link e quella Zelda non si erano mai visti prima. E, a parere di lui, nemmeno avrebbe dovuto succedere. Erano alleati, compagni. Ma null’altro.
-Devo tornare a casa.- disse piano Link, distogliendo lo sguardo. –Ho promesso a Ilia di non fare tardi.-
-E io ho una cena importante con gli aristocratici giunti qui l’altro giorno.- confessò lei, con un lieve sorriso.
Si alzarono entrambi, un po’ in imbarazzo.
-Domani torno e riparleremo di questa faccenda con più calma.- disse Link, muovendo qualche passo verso la porta. Zelda ascoltò per un attimo il suono della cotta di maglia dell’hylian e delle cinghie che reggevano spada e scudo sulla sua schiena.
Quel suono! Quante volte l’aveva già sentito! Ma quei ricordi non erano suoi. Scosse la testa, ricacciandoli indietro.
-Nel frattempo, se mi si presenterà l’occasione, farò qualche ricerca.- propose lei.
-Sarebbe una buona cosa.-
 
 
Si sfilò senza un minimo di cura spada, scudo, cinture varie, copricapo, tunica e cotta di maglia, rimanendo dunque in camicia e pantaloni. Si stravaccò sul divano, permettendosi un profondo sospiro, reclinando la testa indietro.
Gli facevano male tutti i muscoli. E aveva una fame da lupo! Era proprio il caso di dirlo.
Guardò con occhio critico il pentolino sul focolare spento. No, era troppo faticoso.
Rinunciò, permettendosi ancora qualche attimo di tregua.
Si ritrovò ad osservare l’elsa della Spada Suprema, vicino alla sella di Epona depositata accanto alla porta.
Già.
Vista la circostanza particolare che si era creata, aveva preferito impugnare di nuovo la Lama Sacra, rinunciando temporaneamente alla sua vecchia e fidata spada. Se un’ombra senza nome si stava aggirando per le terre di Hyrule, era meglio essere armati a dovere, per quanto la cosa potesse dargli fastidio.
Sembrava quasi scaricare su quella spada la colpa di tutto ciò che gli era successo.
Qualcuno bussò lievemente alla porta.
Link si tirò su in piedi, ignorando il pericoloso cigolio di vertebre e articolazioni. Gemendo, raggiunse la maniglia e aprì la porta.
Era Ilia
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Avevo detto che avrei aggiornato a breve ... 
Phantom merita una grandegrande punizione. Troppo tempo passò dall'ultimo aggiornamento!!!
Ora, però, finalmente il nuovo capitolo è pronto!!
Casomai vi interessasse saperlo, questo è il capitolo che mi è piaciuto di più dall'inizio di questa storia ^v^ Phantom si dichiara pienamente soddisfatta del risultato.
Non so se anche voi la penserete come me, ma io semplicemente ADORO questo capitolo ^v^ che, bisogna dirlo, gode di un'atmosfera più "rilassata" e "famigliare" rispetto al resto della storia u.u 
ora la smetto di cianciare e vi lascio alla lettura.
Come sempre, Phantom ce la mette tutta!!!

Ancora, scusatemi davvero per il ritardo XD



 
Capitolo 6


 
Ci furono due, anzi, tre sensazioni brutalmente contrastanti che si impossessarono dell’animo di Link, quando aprì la porta e si ritrovò a fissare i grandi, dolcissimi occhi color foresta della sua migliore amica.
La prima sensazione era di immensa gioia, un calore che partiva da cuore e si espandeva per tutto il resto del corpo.
La seconda sensazione era di gelo. C’era una ragazza (quella ragazza) alla sua porta e lui era praticamente in mutande. Non letteralmente, ma quasi. I pantaloni c’erano, ma tutto il resto della sua figura era talmente stropicciato da renderlo ben oltre l’impresentabile, circa come se fosse stato effettivamente in mutande.
La terza sensazione era di rabbia verso sé stesso per la sua prima e seconda reazione. Loro erano sempre stati amici, avevano sempre condiviso tutto. Quindi non c’era motivo di sentirsi tanto raggianti e tanto umiliati per averla ora davanti agli occhi. E non c’era motivo di essere così apprensivo circa il proprio aspetto e la propria presentazione dinnanzi ad un soggetto femminile.
Fra le tre fazioni si scatenò una vera e propria battaglia, all’interno del cranio dell’hylian, che si manifestò esteriormente con interminabili secondi di silenzio.
-Ciao, Link!- ruppe il ghiaccio lei. –Ho visto Epona sotto casa tua, e così ho pensato che fossi tornato.-
-Sono giusto sceso di sella cinque minuti fa.- riuscì a gracchiare Link. –Entri?- chiese l’hylian, facendo un gesto con una mano verso l’interno della sua modesta casetta ancorata alla base del grosso albero secolare che torreggiava sul villaggio di Tauro.
Iria sorrise, annuendo.
-Se mi concedi un minuto, mi metto dei vestiti decenti e mi rendo presentabile.- disse Link, ridacchiando.
Iria sbattè le palpebre. Poi rise. –Come vuoi, a  me non cambia di certo. Volevo solo vedere se stessi bene e, magari, anche scoprire se ti va di venire a cena da noi.-
Ecco. Da quanto la prima preoccupazione di due amici di infanzia, che si incontrano a fine giornata, è quello di verificare se l’altro è sopravvissuto o meno?
Solitamente, si chiede com’è andata, ti sei divertito, cos’è successo. Non “volevo controllare che il cavallo non fosse tornato a casa per abitudine, ma che sulla sella c’eri anche tu”. Forse, era semplicemente lui, un po’ troppo paranoico .
-La cena sarebbe davvero un’ottima idea.- lanciò uno sguardo sconsolato verso il focolare spento. –Proprio non avevo voglia di cucinare.-
Iria rise. –Sempre il solito pigrone, eh?-
A Link scappò un sorrisetto mesto. –E chi ha voglia di cucinare dopo una giornata passata a correr da un capo all’altro del Regno?-
Ogni volta che incrociava quello sguardo, quegli occhi di smeraldo di Iria, la sua mente non faceva mai a meno di ricordargli quanto poco era andato vicino dal perderla per sempre. Rivide in un lampo l’immagine soffusa di lei che cadeva, con una freccia conficcata nella schiena.
Scosse la testa, attraversando la stanza in direzione della cassapanca con i vestiti. Sentì Iria sedersi sul divano, abbandonandosi ad un profondo sospiro.
Loro due erano sempre stati uniti. Fin dall’età di tre anni, quando il capovillaggio trovò un piccolo bimbo hylian abbandonato in una cesta davanti ai cancelli di legno della Fonte. Da quel giorno, lui e la piccola Iria erano diventati inseparabili.
Battaglie di fango, nascondino tra i cespugli, bagni nel fiume, agguati alle capre, scherzi a chiunque capitasse a tiro, rapine ai biscotti, battute di pesca, assalti a orde di mostri immaginari, fendenti di spade di legno, pomeriggi passati sdraiati nell’erba di un prato, evasioni notturne per andare a dormire a casa dell’altro, condivisione delle seguenti punizioni, sostegno reciproco, cieca fiducia, indissolubile affinità, amicizia eterna, per sempre e comunque. Pomeriggi, mattinate, giornate, notti, serate, primavere, estati, autunni, inverni.
Poi lui era diventato grande abbastanza per poter aiutare gli adulti con i raccolti nei campi e con le capre. Il tempo insieme era diminuito, ma nulla di insostenibile. Poi era cresciuto ancora e il lavoro era aumentato e i momenti di svago ridotti nuovamente, ma il loro legame era rimasto immutato. Al contempo, la sua natura di hylian si aguzzava: maggior agilità, udito più fine, maggior resistenza, la Triforza …
Lui era diventato un uomo che lavorava, lei una donna, forse un po’ troppo ribelle, ma pur sempre una deliziosa creatura.
Poi erano arrivati i bokoblin ed era nato il più grande disastro delle loro vite. Lui aveva indossato la Tunica Verde ed era diventato praticamente un semi-dio, lei era rimasta invisibile. Lontana. Link, per quanto si malediceva continuamente per questo, non osava avvicinarsi a lei. Aveva sempre paura che qualcuno o qualcosa l’aggredisse con l’intento di ferire lui.
Aveva l’ossessione che lei potesse rischiare di nuovo la vita, come già era successo, per colpa sua.
Dubbi non espressi da entrambe le parti. Erano cambiati moltissimo tutti e due, ne erano coscienti. Ma non ne parlavano. Sapevano, e basta. A loro bastava uno sguardo solo per leggere l’animo dell’altro.
Quella comunicazione interna sviluppatasi nel tempo di una vita. Quella loro affinità.  Le parole non erano necessarie per comunicare.
Lui non osava avvinarsi per il rischio di metterla in pericolo?
Lei aveva il costante terrore che il suo migliore amico, il suo Link, non tornasse a casa la sera, che incontrasse un mostro più ostinato degli altri, di ritrovarlo morto da qualche parte o non ritrovarlo affatto, di vederlo tornare grondante di sangue.
Iria aveva, in cuor suo, a consapevolezza del fatto che Link non voleva quella vita. Ed era ciò che distruggeva nel profondo il cuore di Iria. Vedere il suo migliore amico soffrire in silenzio e non sapere cosa dire per aiutarlo. Né Link sapeva come fare per rassicurarla.
Avevano patito entrambi molti dolori, durante la disavventura che aveva coinvolto l’intera Hyrule. Si erano presi un pomeriggio, che era stato protratto fino all’alba, per raccontarsi esattamente ogni dettaglio che avevano vissuto.
Iria voltò indietro la testa, intravvedendo la sagoma di Link che estraeva una maglia dalla cassapanca. Quando lui si sfilò la giubba che già indossava, la ragazza rabbrividì quanto vide le tre cicatrici parallele, lasciate da una grossa zampata artigliata, che gli attraversava quasi per intero la schiena.
Non fece domande, semplicemente, si volse in avanti, posando distrattamente gli occhi sulla tunica verde, abbandonata sull’altro versante del divano. Poco oltre, la Spada Suprema infoderata, vicino alla sella di Epona.
Quante cicatrici …
Troppe.
Un tempo il suo migliore amico aveva gli occhi color dell’acqua del torrente che tagliava in due Tauro. Un azzurro liquido, dolce, morbido, che rifletteva le volte del cielo. Poi, dopo, quell’azzurro si era indurito, l’acqua del fiume era ghiacciata, nel cielo s’era fatto inverno.
Cicatrici sulla pelle, cicatrici sul cuore.
Lui era cambiato. Gli occhi erano il primo indizio, la postura era il secondo.
Camminata era più silenziosa, rapida, cauta. Il passo di chi è pronto ad attaccare e venir attaccato.
La schiena era più dritta, le braccia più forti, muscoli più delineati. E la Triforza sul dorso della mano.
Una luce arcana gli splendeva nelle pupille, ora, ombre di ricordi di ère passate, saggezze di altri mondi, ombre di battaglie e spade incrociate.
Là in mezzo, da qualche parte, c’era anche lui, il suo migliore amico, oltre che l’Eroe.
A lei andava bene comunque, quando incrociavano gli sguardi, in lui risorgeva il suo amico. A lei bastava quello, era sufficiente riavere per sé il suo Link, anche se per la maggior parte del giorno vestiva i panni di un altro. A volte, agiva in modi che il Link della sua infanzia non avrebbe nemmeno mai contemplato. Certi atteggiamenti, certi movimenti, i sensi sempre pronti a scattare.
Era cambiato.
La disavventura con il Crepuscolo l’aveva cambiato.
Ma, del resto, non si diceva proprio che ogni singola cosa, ogni singolo essere vivente cambia e muta nel corso della sua esistenza?
Guardando Link, in altre occasioni, con indosso quella tunica verde, aveva realmente compreso e assimilato il fatto che lui era diventato un uomo fatto e finito. Non più un ragazzino. Un uomo. Hylian, nel suo caso, ma comunque un uomo. Era un guerriero.
Esperienze a tonnellate, battaglie senza numeri, gli occhi di chi a visto e di chi sa.
La spensieratezza e l’innocenza erano solo ricordi lontani di una vita passata.
Ma quello valeva circa per tutti, lì a Tauro. In altre zone di Hyrule, invece, non s’erano nemmeno accorti del rischio mortale che avevano corso. Ma rendevano onore ugualmente al portatore della Triforza.
-Pronto.- annunciò Link, comparendole davanti, vestito di nuovo civilmente.
Lei gli sorrise, sentendosi ancora un pochetto in colpa di esser piombata lì a quel modo, senza preavviso alcuno, prendendo il Leggendario Eroe di sorpresa.
Uscirono.
L’aria fresca della sera punse loro il viso mentre il cielo infuocato dal tramonto cominciava a spegnersi. Dopo il crepuscolo venne la notte.
Loro camminavano sull’erba, muovendosi verso la casa del capovillaggio. Non c’era anima viva per le vie di Tauro, tutti erano rintanati a casa, seduti attorno ai tavoli, pronti a consumare la cena con i loro cari. Innumerevoli fragranze inondavano quella quiete serale, sottili strisce di fumo si levavano dai vari comignoli. Lame di luce colavano fuori dalle finestre o dalle imposte accostate o da sotto gli stipiti delle porte, lasciando intuire alla fantasia il tepore che doveva per forza regnare all’interno. L’acqua del fiume frusciava placida mentre un soffio di vento agirò le cime dei grossi pini, alle loro spalle.
Loro due camminavano, vicini.
-Qual è stata, questa volta, la ragione per cui ti hanno chiamato al Borgo?- chiese Iria.
Link volse appena la testa verso di lei, decidendo in fretta se dirle tutto o meno. Esitò un attimo, prima di rispondere. –Gli Zora hanno avuto un problema, un mostro è entrato nel loro territorio e ha fatto prender loro una paura tremenda. Quando sono arrivato io, però, non c’era più nessun mostro. Solo acqua.-
-Ah.- Iria alzò il naso verso il cielo, già punteggiato dalle prime stelle. –Quindi te ne vai anche domani?-
-Già.-
Una pausa.
-Tornerai per cena?- chiese ancora Iria.
Link sorrise. –Non so. Forse. Dipende.-
Attraversarono il piccolo ponticello di legno che univa i due lembi di Tauro, tagliati dal ruscello. Appena oltre, v’era la casa di Iria e Bob, il capovillaggio.
Salirono i tre gradini che conducevano all’uscio, bussarono lievemente ed entrarono.
La visione di Bob, con tutta la sua massa, agghindato in un grembiule ricamato a fiori, intento a rimestare in un pentolone colmo di stufato, lasciò interdetto Link. Il mastodontico capovillaggio si voltò dalla brace e sorrise ai due nuovi arrivati.
-Ah! Iria aveva visto giusto, allora: sei tornato davvero!-
Link sorrise. –Ho fatto giusto in tempo a scender da cavallo ed entrare in casa che tua figlia ha bussato alla porta.-
Bob rise di gusto, con quel suo profondo vocione. –Resti a cena, dunque? Ovvio che sì, altrimenti Iria non sarebbe mai riuscita a farti uscire di casa. Avrai fame, presumo.- Link allungò il collo, studiando il contenuto della pentola e constatando che il capovillaggio aveva decisamente toppato le dosi: quello stufato sarebbe bastato per tutto l’esercito di Hyrule. Altro che per loro tre soli! Bob continuò, sorridendo, gioviale. –Dovrai pazientare ancora un attimo, purtroppo. Non è ancora pronto.-
-Nessun problema.- Link fece un gesto con la mano. –Credo di avere ancora un certo margine di autonomia prima di crollare a terra.-
Bob rise ancora. –E bravo il mio ragazzo!-
Iria, qualche passo più indietro rispetto a Link, aveva seguito con occhi scintillanti l’intera conversazione, spostando lo sguardo da uno all’altro. Un timido sorrisetto le aveva piegato le labbra senza motivo. Nessuno dei due uomini, però, parve notarlo.
Lentamente, si mosse avanti e, sfruttando una piccola pausa del dialogo, sfiorò con le dita una manica a Link. –Vieni su?- gli chiese, accennando alle scale che portavano in camera sua. –Vorrei farti vedere una cosa che ho trovato proprio oggi frugando in cantina.-
Gli occhi azzurri dell’hylian si voltarono verso di lei. –Certo.- sorrise.
Bob ridacchiò –Vi chiamerò quando sarà pronta la cena.-
Ma i due erano già arrivati a metà della scala che cingeva il fiano dell’ampia stanza che fungeva da salotto, da cucina e da camera da letto del capovillaggio. Ovviamente, lo spazio a disposizione era davvero molto rispetto a quello delle altre abitazioni, più piccole di quella grande casa. A volte, quasi fin tropo grande per due sole persone, diceva talvolta Iria quando si faceva cogliere dalla malinconia al ricordo della madre, defunta ormai da quasi quindici anni.   
Raggiunsero il piano superiore, occupato da una libreria, da un piccolo tavolino con seggioline, e dalla camera di Iria. Il letto foderato da una trapunta rosea era situato proprio sotto una stretta finestrella, sul cui davanzale la ragazza aveva sistemato un vaso contenente un unico, ricurvo fiore. Una vecchia bambola di pezza giaceva sul cuscino, una posizione di grande onore. Link sorrise, ricordando i pomeriggi di pioggia che aveva passato in quella stanzetta con Iria, a sfogliare libri, a raccontarsi storie di paura. Ricordò anche, forse con una punta di reticente timore, tutte le volte che la ragazzina l’aveva forzato a giocare a prendere-il-tè con lei, cosa che lui aveva sempre rifiutato e che aveva generato risse furibonde.
Notò con stupore il rozzo cavallino di legno* sulla mensola della libreria ai piedi del letto di Iria. Gliel’aveva intagliato lui, quel cavallo, come regalo per il decimo compleanno di Iria. Sorrise. Non sapeva che lei l’avesse ancora.
Iria, intanto, si era inginocchiata davanti al comodino e, apertone un cassetto, aveva estratto un polveroso ammasso di pagine rilegate da una copertina di cuoio talmente malconcia che ci sarebbe stato da stupirsi che fosse rimasta integra fino a quel giorno.
La ragazza si sedette sul bordo del letto, invitando Link a fare lo stesso. Hylian e umana guardarono affascinati il vecchio manoscritto. –Cos’è?- chiese Link, sfiorandolo con un dito. Non era tanto spesso, come libro, sembrava più un vecchio quaderno per appunti.
Lo sguardo di Iria si fece malizioso. Lei già sapeva la risposta, ma voleva tenerlo sulle spine. Con lentezza snervante aprì cerimoniosamente il libro, mostrando al trepidante amico il contenuto.
Era illustrato. All’interno, sulle sgualcite pagine giallognole vi erano rappresentati, con inchiostro ormai in parte sbiadito, archi e frecce di tutti i tipi immaginabili, accompagnati da descrizioni a parole, talvolta lunghe appena poche righe, altre volte interi paragrafi.  
Link sgranò gli occhi, vivamente sorpreso da ciò.
Erano illustrate le piante migliori con cui fabbricare un arco. Tutti i tipi di rami e legni per ottenere ogni tipo di arco immaginabile, dal più rigido, al più morbido, dalla corta o dalla lunga gittata. Alcune pagine erano dedicate alla dimensione dell’arco, i pro e i contro di quelli corti e di quelli lunghi in rapporto ai tipi di risultati ottenibili e alla prestanza fisica dell’arciere.
Poi il libretto spiegava come costruirlo, l’arco, e istruiva sulla tecnica migliore per scegliere e tagliare il ramo che sarebbe in seguito divenuto l’arma. Nelle pagine successive v’erano disegni e spiegazioni scritte su come fabbricare la corda, con attente raccomandazioni al riguardo, sia sulla scelta del materiale che sull’accuratezza della fune a dipendenza della gittata che si vorrebbe ottenere. Poi si passò alle frecce e i vari modi per costruirle. Erano disegnate le varie aste, le tecniche di lavorazione, di taglio, e le piante da cui trarre il legno necessario. Il tutto sempre accompagnato da descrizioni a parole oltre che tramite miniature. C’erano poi i vari tipi di punta applicabili alla freccia: quelle d’osso, quelle di metallo, quelle di pietra, quelle di legno. V’erano anche accurate istruzioni su come renderle aguzze senza creare squilibri durante il volo. C’era anche una serie di miniature riguardanti il modo di legare la punta all’asta della freccia, diverse tipologie di nodi e legacci.
Il pennacchio del dardo occupava in spiegazioni e disegni circa quattro o cinque pagine. Tutti i tipi di penne utilizzabili, i vari tipi di uccello, i pro e i contro di ogni penna rispetto all’altra, la rigidezza o la flessibilità di queste e le rispettive gittate, i modi migliori per sagomare e fissare le penne alla arte terminale della freccia.
E poi si passava agli aspetti pratici. Come tenere la freccia, le misure precauzionali da prendere, la posizione ideale di un arciere, come situare braccia e gambe prima e dopo e durante lo scocco. Gli appunti poi deviavano su osservazioni di tipo meteorologico, quindi come impostare il tiro a seconda del vento, dell’umidità, della posizione del sole, della vegetazione circostante.
Gli occhi di Link scintillavano sempre più, man mano che voltava le pagine, avidamente, curioso sempre più. Va bene che lui aveva già avuto occasione di conoscere in prima persona l’arco, ma non s’era mai soffermato su quelle infinite sfaccettature, si tipi di legno o di penne. In quel libro erano racchiusi anni di esperienza e osservazioni di un arciere che, anni e anni prima, era passato o addirittura vissuto a Tauro.
Svogliava il libro, come incantato, mentre Iria studiava lui con la stessa attenzione. Ci aveva visto giusto, allora, pensò la ragazza, a Link quel piccolo libro piaceva moltissimo.
-È meraviglioso- commentò semplicemente l’hylian, ammaliato.
-Sapevo avrebbe suscitato il tuo interesse.- disse piano Iria.
-Come l’hai trovato?- domandò Link, alzando lo sguardo dalle carte sgualcite per la prima volta da quando il libro era stato aperto.
-Te l’ho detto. Frugavo in cantina e m’è capitato per le mai. Anzi, a dir la verità m’è caduto in testa, e ancora non ho capito da dove.-
Gli occhi dell’hylian lasciavano chiaramente intendere che volesse chiedere qualcos’altro, così come quelli di Iria tradivano un secondo intento ancora non espresso, nel mostrare all’amico quel ritrovamento. Nessuno dei due ebbe però il tempo di parlare. Dal piano di sotto giunse il vocione di Bob. –La cena è pronta!-
I due si guardarono ancora per un po’, promettendosi silenziosamente di tornare sull’argomento più tardi. Si alzarono e si avviarono alle scale, il delizioso profumo di stufato, di funghi e di castagne li investì.
Lo stomaco dell’Eroe ululò senza ritegno. Iria ridacchiò. –Sei proprio al limite, amico mio.-
Link storse il naso, con fare giocosamente offeso.
Iria rise. Si sedettero a tavola, constatando con gioia le abnormi dimensioni delle porzioni situate in ogni piatto. Stufato di cervo, con salsa ai funghi e di castagne, accompagnato da patate.
Senza pudore alcuno, si gettarono tutte e tre all’arrembaggio.
 

* il cavallno di legno nella camera di Iria, così come il fiore sul davanzale della finestra (e forse anche la bambola, ma di quest'ultima non sono così certa) esistono davvero all'interno del gioco. La prossima volta ce inserte il disco di Twilight nel vostro Cube o nel Wii, fate un salto nella cameretta della dolcissima Iria a dare un'occhiata ;) 
Lode eterna agli "arredatori" di The Legend Of Zelda! Ogni volta che si gioca a Twilight, si scoprono cose nuove ^v^ 
solo i migliori riescono a fare ciò. 
ok, ora la smetto -.-' 

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