Let's Cupid!

di Yvaine0
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tre caffè mattutini e una missione da compiere ***
Capitolo 2: *** Principalmente di maniaci (e) caparbi ***
Capitolo 3: *** Ragazzi irlandesi e logopedisti ritardati ***
Capitolo 4: *** Scortesie per gli ospiti (da parte degli ospiti) ***
Capitolo 5: *** Fangirlando col Disnerd ***
Capitolo 6: *** Casa dolce casa ***
Capitolo 7: *** Una (a)tipica serata al Beard ***
Capitolo 8: *** Pronti, partenza, via di corsa! ***
Capitolo 9: *** Non c'è due senza quattro ***
Capitolo 10: *** Insicurezze - niente più, niente meno ***
Capitolo 11: *** Allarme rosso: invasione in corso! ***
Capitolo 12: *** Nerdily ever after ***



Capitolo 1
*** Tre caffè mattutini e una missione da compiere ***


Disclaimer! Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere delle entità realmente esistenti citate, nè offenderle in alcun modo. Tutti i fatti narrati sono puramente inventati o sola fonte di ispirazione.

Let's Cupid!

Quando un amico impiccione non è abbastanza



 

Capitolo 1
Tre caffè mattutini e una missione da compiere

 
 
«Non sono il tipo, Liam».
Uno sbuffo. «Il problema credo sia un altro: non hai capito cosa intendo. Devi solo fermarla e chiederle il suo parere. Lo farei io, ma...»
«Ma sai quanto la tua idea sia stupida».
Il suo piano era geniale, non avrebbe lasciato che il solito cinismo di Zayn lo smontasse del tutto. Era per il suo bene, dopotutto. «... ma non credo avrebbe senso. Voglio dire, non sarebbe credibile se uno studente di un altro dipartimento la fermasse in corridoio e le chiedesse... E poi, insomma, io cosa c'entro?»
«La cosa non ha alcun senso, infatti».
«Non essere così scettico, devi solo chiederle aiuto! Non puoi pretendere... insomma, come pensi di fare, altrimenti? Le nostre sarebbero sempre e solo supposizioni, mai nessuna certezza. Le ragazze le capiscono, queste cose. Io non sono una ragazza, anche se posso cercare di pensare come una di loro. Non mi riesce nemmeno bene a dirla tutta».
«Non sono così disperato!»
«Ma è un peccato, Zayn! E se avessi qualche possibilità di riuscirci? Non puoi mandarla in fumo solo perché “non sei il tipo” da fermare una ragazza in corridoio!»
Un sospiro. «Ecco, a proposito di fumo: ho bisogno di una sigaretta». Zayn si alzò pigramente dal divano, già intento a cercare l'accendino nella tasca dei pantaloni. Aveva fatto solo qualche passo, quando Niall era entrato in salotto, aveva allargato le braccia, attento a non far cadere il sacchetto di patatine stretto in una mano, e aveva ridacchiato: «Avete finito di sussurrarvi nelle orecchie, finalmente? Di Louis e Harry ne basta una coppia, grazie!».
Un sorriso ironico comparve sul volto mulatto di Zayn, mentre usciva scuotendo il capo. «Siete tutti fissati» borbottò.
 
 
Poche cose importavano a Dixie, quasi nessuna. La lista dei suoi interessi, se si escludeva tutto il tempo che passava a sguazzare nel mondo delle fanfiction e dintorni, si riduceva alla lettura e ai videogiochi. Non era circondata da molte persone e quelle poche che riuscivano a ricambiare la sua “entusiasta sopportazione” - come la chiamava lei - con la stessa moneta erano i suoi fratelli, un ragazzo irlandese -suo fedele compagno di XBox – e un paio di psicopatiche, fangirlanti compagne di vita. La sua cerchia di conoscenti era perfettamente ristretta, conteneva il numero giusto di persone in grado di impedirle di poltrire per il resto della sua esistenza davanti ad un computer e contemporaneamente lasciarle il tempo necessario a studiare e non rimanere troppo indietro con gli ultimi aggiornamenti delle sue fanwriter preferite. Per questo, quando un ragazzo dall'aria non troppo sveglia l'aveva fermata in corridoio, all'università, dicendole: «Tu devi essere Dixie, giusto? Ho bisogno di chiederti un favore, se hai un minuto», lei aveva frettolosamente risposto con un pragmatico «Magari più tardi, d'accordo?», senza nemmeno fermarsi a chiedersi che intenzioni avesse. Dixie aveva imparato un sacco di cose nel corso della sua vita – le più incredibili leggendo assurde fanfiction e ragionando per antitesi, per lo più – e tra queste c'era anche il non fare favori a perfetti estranei che non salutano né si presentano, ma sembrano conoscerti. Specie se hanno la camicia abbottonata fino all'ultimo bottone. Quale ragazzo si allaccia la camicia fino all'ultimo bottone? (*)
«Un nerd» aveva risposto prontamente Ruth, quando Dixie si era seduta accanto a lei borbottando quella stessa domanda retorica.
«Non esistono i nerd, lo sai».
Ruth si sistemò gli occhiali grandi sul naso e lanciò un'occhiata distratta all'aula. C'era ancora gente che entrava, questo significava che avevano ancora un po' di tempo per parlare. «E tu cosa saresti, allora?» domandò con una vena ironica nella voce.
Vedere l'amica sistemarsi gli occhiali ricordò a Dixie che, se non voleva scarabocchiare un foglio alla cieca per tutto il tempo, avrebbe dovuto indossarli anche lei. «Il termine corretto è fangirl, suppongo. Ma non mi piacciono le etichette».
Ruth alzò gli occhi al cielo, giochicchiando pigramente con la sua preziosa matita HB2, che mai e poi mai doveva mancare nella sua borsa, qualunque cosa lei si accingesse a fare. Rigirarsi quella matita tra le mani era il suo hobby numero uno, come diceva sempre Dixie.
Grandi occhi blu contornati da spessi occhiali tondi, un caschetto castano e l'aria costantemente annoiata. Se questi tratti fossero stati abbinati ad una gonna scura e all'immancabile golfino arancione, Ruth Hawks sarebbe stato un perfetto cosplay vivente di Welma di Scooby Doo. Erano l'abbinamento dei suoi nome e cognome – che suonava così buffamente simile a “rutto”, come a Dixie piaceva sottolineare -, un maggiore gusto nel vestire, in stile pratico ma allo stesso tempo un po' eccentrico, uno spiccato senso dell'umorismo, il fisico atletico e la passione per lo sport in ogni sua forma a salvarla da quel triste paragone.
«Ai nerd non piacciono le etichette. Forse hai trovato un tuo simile» la prese in giro, guadagnando in tutta risposta uno sbuffo. Il tipo di sbuffo che segnava la fine di una conversazione e l'inizio di una lunghissima fase di sospiri e sbadigli.
Se Ruth era sempre attiva, nonostante l'aria costantemente annoiata, Dixie era l'opposto. Specie nella fascia oraria che andava dalle sette di mattina – e lei non vedeva quell'ora assurda da quando aveva fatto il dritto leggendo l'ultimo libro di Harry Potter, probabilmente, visto che si svegliava alle sette e quarantacinque, in perfetto ritardo sulla tabella di marcia – all'ora di pranzo, il momento del terzo caffè della giornata, quello decisivo.
La mattinata di Dixie veniva scandita dai caffè.
Il primo, appena sveglia, preso di corsa mentre si vestiva e preparava la borsa - contemporaneamente; il secondo tra la prima e la seconda lezione della giornata, motivo per cui entrava puntualmente in ritardo ed era costretta a sedersi al posto peggiore – proprio davanti, al centro dell'aula, nel punto esatto in cui gli insegnanti tendevano a fissare lo sguardo quand'erano sovrappensiero; il terzo, opportunamente offerto da qualcuno stufo di vederla sbadigliare – più precisamente Niall Horan – all'ora di pranzo, segnava l'inizio della sua giornata.
 
Come Niall realizzò quel giorno – proprio come tutti quelli precedenti, da quando conosceva Dixie -, la caffeina non le faceva granché bene. Dopo aver trascorso l'intera mattina in stato semi-comatoso, una volta riempito lo stomaco e ingurgitato il terzo caffè della giornata, scoppiava di vitalità in maniera quasi imbarazzante. Senza “quasi”, a detta di Ruth, ma Niall non aveva mai fatto troppo caso a ciò che era imbarazzante, non quando qualcuno gli andava a genio. E Dixie gli andava a genio. Iniziava a parlare a raffica, sparando una battuta – squallida – dopo l'altra, in preda a chissà quale euforia, e per una buona mezzora non c'era nulla da fare per placarla. A parte forse metterla di fronte alla tabella di marcia per i lavori di casa, perché a quel punto tornava ad afflosciarsi, ma la sua vitalità si trasformava in lagnose obiezioni e cantilenanti lamentele. Proprio come Ruth aveva pianificato di fare quel giorno.
«Lavare i piatti: non ti sto chiedendo molto».
Erano al McDonald più vicino all'università, pronti a fare incetta di grassi e carboidrati prima di fiondarsi a vivere intensamente la seconda metà della loro giornata da universitari. Era stato facile trascinare con sé l'irlandese fino a quel posto, non diceva mai di no quando si trovava di fronte all'opportunità di fare il pieno di cibo spazzatura a basso costo. Ruth solitamente era contraria a pasti così poco salutari, ma era anche vero che non era umanamente possibile negare qualcosa a quei due biondi ricattatori – be', lei per lo più -, specie quando facevano gli occhioni dolci.
Dixie sprofondò un po' più sotto il tavolo, scivolando sulla sedia con aria da condannato a morte. «Mi chiedi poco? È una settimana che nessuno lava i piatti!» protestò in tono afflitto.
«Questo perché era compito tuo, ma hai temporeggiato! Come al solito, aggiungerei».
Come al solito, aggiungerei. Dixie fece una smorfia contrariata e scimmiottò l'amica sottovoce. «Ma, scusa, – insistette poi, scovando un minuscolo e improbabile fascio di luce a cui aggrapparsi, in mezzo alla buia prospettiva delle faccende domestiche. - non sei tu quella che ama gli sport? Lavare i piatti di una settimana è una specie di sport estremo: fa proprio al caso tuo!».
Ruth le rivolse un'occhiata scettica e scoppiò a ridere. «Be', ci hai provato» rispose, a mo' di consolazione.
«E ha funzionato?».
«No».
«Ma Ruthie!» Dixie sospirò affranta. Non poteva certo obiettare dicendo che quel giorno era mercoledì e al mercoledì veniva aggiornata quella fanfiction tristissima, piena di sentimenti struggenti, che la faceva tanto deprimere ma al contempo emozionare – la sua amica non comprendeva certe priorità. «Niall, di' qualcosa!» supplicò infine, non sapendo come argomentare.
Ma Niall non stava affatto prestando attenzione al loro battibecco; teneva lo sguardo fisso su qualcosa alle spalle di Ruth, qualcosa – o qualcuno – che aveva tutta l'aria di essere molto interessante, vista la sua espressione assorta.
«Niall?» lo chiamò Dixie, notando che non sembrava averla sentita.
Lui mormorò il suo assenso, nonostante non avesse la più pallida idea dell'argomento di conversazione, senza distogliere lo sguardo da quel qualcosa o qualcuno. Poi ad un tratto, quando Ruth stava per assestargli un calcio da sotto il tavolo, stufa di essere ignorata e curiosa di sapere cosa stesse succedendo, Niall si alzò di scatto, attirando su di sé gli sguardi basiti delle due ragazze.
«Se vi chiedono di me, dite che non mi avete visto! Sono morto, ho la polmonite... inventate qualcosa di tragico!» Detto ciò, sgattaiolò fuori dal McDonald con l'aria furtiva di una faina e la grazia di un ippopotamo in dolce attesa – inciampò in un paio di sedie e quasi travolse un bambinetto che giocava sul pavimento con la sua macchinina, prima di sparire dalla loro visuale.
Ruth e Dixie, per qualche motivo, non erano mai mentalmente molto attive dopo pranzo. Sicuramente dopo una scorpacciata di schifezze al fast food, la pesantezza del loro stomaco si ripercuoteva sulle loro facoltà cerebrali; ecco perché fissarono l'uscita per qualche lungo istante, cercando di capire cosa fosse successo, prima di intuire che se avessero voluto una risposta, sarebbe bastato loro voltare il capo e scoprire cosa stesse fissando l'irlandese poco prima. Questa fu infatti la prima azione di Ruth, che ruotò di novanta gradi sulla sedia per poter vedere un paio di ragazzi – che aveva già visto da qualche parte, anche se non avrebbe saputo dire dove – che discorrevano tra loro. Uno era totalmente impassibile, mentre l'altro, quello che parlottava concitato, aveva... «La camicia abbottonata fino al collo!» squittì Ruth, ricordando i borbottii di quella mattina della sua amica.
«Di cosa stai parlando?» sospirò Dixie, completamente dimentica del suo incontro mattutino. Non che la sua memoria fosse un colabrodo, ma se di qualcosa non le importava particolarmente, tendeva a rimuoverne il ricordo. Motivo per cui non era mai stata un asso a scuola e per cui aveva imparato a non fingere che qualcosa le interessasse quando non era così.
«Credo di aver appena visto il tuo amico nerd» la informò Ruth, senza smettere di guardare sfacciatamente in direzione dei ragazzi. Dixie si limitò a roteare gli occhi e a borbottare un distratto «Ti ho già detto che lo stereotipo di nerd sfigato non esiste nella realtà», mentre già la sua attenzione era convogliata verso il cartoccio delle patatine abbandonate sul tavolo da Niall, che il suo stomaco stava reclamando a gran voce.
«Oddio, mi hanno visto. Si stanno avvicinando. Oddio, li stavo fissando! Che figura di merda, che figura di merda, che figura di merda, che fig-».
«Ruth! Se ti dico che lavo i piatti, smetti di lagnarti?». Dixie non riusciva proprio a capirla quando faceva così. Perdeva la sua aria costantemente annoiata solo per ficcanasare, fare sport e farsi prendere dal panico per le piccole cose. Non voleva nemmeno sapere di cosa stesse farneticando in quel momento, aveva due preoccupazioni più grandi: mangiare le patatine lasciate da Niall e procurarsi al più presto il famoso terzo caffè della giornata.
«Scusate, questi posti sono occupati?»
«No, sedetevi pure. Noi tanto ce ne stavamo andando!»
Dixie guardò incredula la sua amica, decidendosi finalmente a distogliere la propria attenzione dalle patatine, di cui per altro aveva la bocca strapiena. Davvero se ne stavano andando? E le sue patatine? «Ah, sul serio?» domandò scioccamente, senza riuscire a trattenersi.
«Sì, sul serio», Ruth la fulminò con lo sguardo e Dixie ricordò di essere una buona amica: non sarebbe stato carino protestare e farle fare ulteriori figuracce. Anche se forse sarebbe stato divertente. Senza “forse”. «Sì, sì, sul serio – ripeté, questa volta con più convinzione. Si alzò e prese a recuperare le sue cose, proprio come stava facendo Ruth. - Il nostro amico ha appena dato di matto, dobbiamo andare a controllare che non faccia qualche sciocchezza» spiegò rapidamente. Alzò lo sguardo per rivolgere un sorrisetto di scuse ai nuovi arrivati e con suo sommo stupore scoprì che, sì, quello che aveva chiesto il permesso di sedersi con loro era proprio il ragazzo dall'aria non troppo sveglia e con la camicia chiusa fino all'ultimo bottone che l'aveva fermata quella mattina all'università.
«Oh, peccato» disse, imbronciandosi e assumendo un'aria ancora più tenera e svampita insieme.
«Sarà per un'altra volta, eh!» esclamò, recuperando il cartone di patatine ormai semivuoto giusto in tempo, prima che Ruth la trascinasse fuori dal McDonald.
 
«Inizia a starmi simpatica» commentò Zayn, divertito, sedendosi al tavolo ormai vuoto. Vuoto per modo di dire, perché i vassoi e i rifiuti delle ragazze ingombravano ancora la superficie in plastica.
«Non avevo dubbi» commentò Liam, sconsolato, sedendosi al posto che aveva visto occupare Niall poco prima. Impilò i vassoi e li mise dal lato opposto del tavolo: li avrebbe riposti lui una volta finito di mangiare.
Non era un tipo che demordeva facilmente, ma era assurdo che per due volte quella ragazza l'avesse liquidato senza nemmeno dargli la possibilità di presentarsi o dirle cosa volesse. Due volte nella stessa mattinata, per di più.
Sbuffò e questo fece ridere Zayn. «A proposito – continuò ad infierire quest'ultimo. - Qual è delle due?»
«La bionda. Niall continua a svicolare e lei non rende le cose facili. Due biondi fuori di testa che scappano appena mi vedono: sarebbero una gran coppia. Ma non mi arrendo. Dixie sarà felice di darci una mano, appena riuscirò a parlarle».
Zayn inarcò le sopracciglia. Aiutarli? Ma lui non aveva proprio nulla a che spartire con quella ragazza, era Liam ad essersi fissato con quella storia. «È da ieri che cerchi di estorcergli inutili informazioni su di lei e quell'altra tizia. Sembri uno psicopatico, nemmeno io ti risponderei».
Oh, be', ovviamente, pensò Liam. Zayn era sempre pronto a prendere le difese di Niall, in ogni circostanza. Qualunque cosa l'irlandese potesse combinare, Zayn sarebbe stato pronto a giustificarlo e prendere le sue parti. «Dovresti essere geloso» buttò lì Liam con aria divertita, sorseggiando la sua pepsi ghiacciata.
«Perché?»
«Il tuo amato passa più tempo con la biondina che con te. E non fa che parlare di quella Noreen...»
Fu il turno di Zayn per sbuffare. «Vuoi darci un taglio? Sono etero, Liam».
«Ho letto da qualche parte che a volte c'è un'eccezione a...»
«Vuoi darci un taglio?»
«Fammi finire! A volte anche gli etero provano attrazione verso qualcuno del loro stesso sesso. Questo non significa che siano...»
«Liam, a proposito di sesso, credo che dovresti trovarti una ragazza».
Ma a Liam non importava di ciò che credeva Zayn, in quel momento l'unica cosa che voleva era che smettesse di interromperlo e lo lasciasse finire il suo discorso. «Non ho bisogno di una ragazza, sto bene così, ora. Stavo dicendo che...».
Zayn rise forte, cogliendo la palla al balzo: «Va bene anche un ragazzo, allora, basta che tu smetta con questa storia!» lo prese in giro.
L'amico abbozzò un sorrisetto tirato e finse una risata. «D'accordo, allora, la smetto. Ma quando ti renderai conto di essere attratto da Nialler, non chiedere il mio aiuto».
Zayn scosse il capo, sorridendo ironico. «Senza offesa, amico, ma non l'ho mai fatto».
«Questo è un colpo basso – commentò Liam, imbronciandosi appena. Mise in bocca una patatina, osservando di sottecchi l'altro che scuoteva il capo con un sorrisetto irriverente stampato in faccia. - Io ci so fare con le donne».
«Già, come no. Ora mangia e sta' zitto».
 
«Niall!»
Uscita dal McDonald, Ruth notò subito la figura del ragazzo irlandese procedere a passo spedito lungo il marciapiede. Era ancora piuttosto vicino all'entrata del fast food e stava galoppando verso di loro. Questo le lasciò intendere che, probabilmente, il ragazzo era scappato dapprima nella direzione sbagliata e ora stava tornando sui propri passi per correggersi e tornare in facoltà. «Niall!» ripetè, sfiorandogli un braccio con una mano, mentre le passava davanti.
Il biondo sobbalzò, quando si sentì toccare, e si voltò verso di loro. Sgranò gli occhi, poi le riconobbe e tirò un sospiro di sollievo: «Vi hanno chiesto di me?» domandò.
Dixie mise in bocca una patatina e si strinse nelle spalle. «No» disse solo, con noncuranza.
«Ah, no?» Niall si scompigliò i capelli con entrambe le mani, preso in contropiede. Perché non l'avevano fatto? Forse non si erano accorti che quello seduto al tavolo con Ruth e Dixie era proprio lui. Magari, una volta tanto, la fortuna stava girando dalla sua parte. In ogni caso era meglio non calcare troppo la mano, non si può mai contare troppo sul caso. «Va bene, andiamocene, prima che ci vedano» suggerì, lanciando una rapida occhiata alla porta a vetri dell'ingresso. Persino da lì riusciva a vedere la testa di Liam muoversi febbrilmente, mentre parlava a raffica di qualcosa di cui, a giudicare dall'espressione annoiata di Zayn, all'altro non importava assolutamente niente.
Senza aspettare la risposta delle due ragazze, Niall si incamminò di gran carriera, ansioso di lasciarsi alle spalle quel luogo il più in fretta possibile.
Ruth rimase interdetta qualche istante, poi partì all'inseguimento, e Dixie, suo malgrado, dovette rimandare lo sgranocchiamento di altre patatine ad un secondo momento, costretta a camminare il più in fretta possibile per non rimanere indietro. Non sopportava l'idea di rimanere indietro.
«Hey, voi! - sbuffò, mentre cercava di raggiungerli. - Mi aspettate o prendo un taxi?»
«Corri!» la incoraggiò Ruth, esortazione che causò l'allegra e fragorosa risata del ragazzo, prima ancora che Dixie la fulminasse con lo sguardo. Ciònonostante i due non accennavano a rallentare e, sebbene questo fosse totalmente contrario ai suoi principi, Dixie si vide costretta ad accennare una corsetta per recuperare terreno.
«Si può sapere qual è il tuo problema, Niall Horan?» domandò, una volta riuscita a fiancheggiare gli altri due.
«Non ho nessun problema, semplicemente credo che... Non avevo voglia di vederli, ecco».
«No – la bionda si sistemò gli occhiali sul naso, scosse il capo e li dovette sistemare nuovamente. - Non hai capito: qual è il tuo problema? Perché mi fai correre prima ancora di aver presto il terzo caffè della giornata?» chiese, serissima.
E allora Niall scoppiò a ridere di nuovo, e, presa a braccetto prima una e poi l'altra ragazza, si avviò a passo sostenuto verso il bar più vicino trascinandosele dietro: «Venite, offro io!».
Mai, mai, a Dixie era parso di sentire parole più belle di quelle. Be', mai quel giorno, per lo meno.





(*) La faccenda della camicia abbottonata fino all'ultimo bottone non è del tutto farina del mio sacco. L'ho letta in una delle fanfiction di Egg___s. Credo "69 cose che odio di te", ma non ne sono certa. Quello che so è che è qualcosa che ho letto di sfuggita in una delle sue fanfiction e mi è rimasta impressa fin dal primo momento. Per correttezza, ci tenevo a segnalarlo. 

Buongiorno! 
Questa storia viaggia nella mia mente bacata da secoli, Dixie è piuttosto insistente e, se sono riuscita a tenerla a bada fino a dopo la maturità, ora non ne vuole sapere di rimanere rinchiusa nei miei appunti; ecco dunque che viene qui a rompervi le scatole. XD
Ci tengo a precisare che quale sia "la faccenda" che preme a tanto a Liam si capirà solo nel prossimo capitolo, dove quel disgraziato di Zayn si lamenterà un po' e metterà le cose in chiaro.
Probabilmente alcune di voi sono ancora accigliate per aver letto questa frase: "
«D'accordo, allora, la smetto. Ma quando ti renderai conto di essere attratto da Nialler, non chiedere il mio aiuto»". Ebbene, non allarmatevi: Zayn ci spiegherà tutto. Intanto posso assicurarvi che questa storia non tratterà slash (ovvero di coppie omosessuali).
Credo sia tutto.
Spero davvero che a qualcuno di voi sia piaciuto questo capitolo; stranamente io ne sono soddisfatta. :)
Per domande, segnalazioni, quattro chiacchiere o qualunque cosa, potete contattarmi su Facebook (qui e qui), su Twitter (@yvaine0mich) e Ask.fm. :)
Grazie a tutti quelli che hanno letto. :3

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Capitolo 2
*** Principalmente di maniaci (e) caparbi ***



 
Capitolo 2
Principalmente di maniaci (e) caparbi


 
Liam era sempre stato un tipo caparbio. Non zuccone, secondo Zayn, ma caparbio: determinato, testardo, volenteroso, instancabile; quando si poneva un obiettivo, sarebbe stato capace di provare a raggiungerlo anche mille volte, finché non ce l'avesse fatta. Poi il fatto che fosse anche uno zuccone, era un altro paio di maniche. Lui principalmente era caparbio.
Quel giorno era il suo turno di fare la spesa e per questo motivo Liam si trovava al supermercato meglio fornito della città per fare compere. Considerati gli esami che il suo coinquilino avrebbe dovuto dare nelle settimane seguenti, calcolò che avrebbe dovuto comprare qualcosa in più piuttosto che qualcosa in meno. Era certo, infatti, che Zayn fosse rimasto indietro con lo studio e la settimana seguente non avrebbe avuto un minuto libero per andare a fare rifornimento. Ecco, quindi, che lo spirito di responsabilità di Liam si faceva sentire. Perché oltre che caparbio, Liam era anche estremamente responsabile. Ed estremamente tonto, a detta dei suoi amici, ma lui era fermamente convinto del contrario. Sì, okay, non era proprio la persona più sveglia della terra, a volte tendeva a perdersi nei suoi pensieri, ma non poteva definirsi nemmeno stupido.
Mentre camminava tra gli scaffali del supermercato, Liam osservava distrattamente il post it appiccicato al manico del carrello che stava spingendo, per assicurarsi di non dimenticare nulla. Aveva studiato la lista nella spesa tutta la mattina, per cui era certo di non aver commesso errori di quantificazione o dimenticato di scrivere alcunché.
Due pacchi di carta igienica. Meglio tre forse, si disse, mentre gettava gli involucri nel carrello.
Magari anche qualche pacco di fazzoletti, in caso a qualcuno fosse venuto il raffreddore.
Spuntò le due voci dalla lista e poi cambiò corridoio, dedicandosi finalmente al cibo. Servivano diverse confezioni di pasta. Una di maccheroni, un'altra di spaghetti... Curioso quanto la ragazza bionda che aveva appena superato somigliasse all'amica di Niall con cui non era ancora riuscito a parlare.
Oh, dannazione, era lei!
«Dixie!» esclamò, girando su se stesso per poter scorgere meglio la ragazza.
Questa sobbalzò, sentendosi chiamare, e si sistemò gli occhiali sul naso mentre lo guardava spaesata. «Ci conosciamo?» domandò lei freddamente.
Lui sorrise, era felice di trovarla in quel posto. Si era presentato alla sua facoltà almeno altre tre volte, negli ultimi giorni, senza mai incontrarla. Aveva bisogno di parlarle, di chiederle aiuto, quell'incontro fortuito era stato un vero colpo di fortuna.
«No, a dire il vero. Che caso incontrarti qui!»
Lei inarcò un sopracciglio e tornò ad osservare le diverse confezioni di maccheroni, valutando quale fosse quella che più faceva al caso suo. «Già, è davvero strano incontrare sconosciuti al supermercato» convenne con indifferenza e un tono che a Liam parve decisamente sarcastico.
Ridacchiò, leggermente in imbarazzo. «No, non intendevo questo, – si affrettò a correggersi: - Ti stavo cercando. È da qualche giorno che ti aspetto in facoltà ma non ti ho più incontrata dopo... be', dopo il giorno del McDonald. Ti ricordi?»
Liam osservò la ragazza perdere lo sguardo nel vuoto, poi prendere un respiro profondo e rimettere al posto giusto sullo scaffale la scatola blu di maccheroni che stava soppesando. «Ah – mormorò, collegando finalmente il volto del ragazzo alla persona che aveva incontrato due volte pochi giorni prima. Lo stesso ragazzo che aveva visto più volte cercarla nei corridoi della facoltà e che, turbata dalla sua presenza, lei aveva opportunamente evitato. - Sì, mi ricordo» rispose. Dopo tutto, osservò Dixie, era strano vederlo in felpa, ormai si era abituata ad identificarlo con quella camicia a quadri allacciata fino all'ultimo bottone.
Era il caso di mettere le cose in chiaro una volta per tutte, si disse. Per cui incrociò le braccia sotto al seno per darsi un'aria più autorevole e si schiarì la gola. Stava per parlare, quando si rese conto che forse mettere in mostra il petto di fronte ad un maniaco non era un'operazione molto saggia; quindi le incrociò precisamente sul seno, come a nasconderlo.
«Senti, ascoltami bene, perché non te lo ripeterò più, - premise, guardandolo dritto negli occhi. - Cerca di starmi lontano. Non so cosa tu ti sia messo in testa, non so perché tu mi stia pedinando da giorni, ma devi smetterla. Non voglio più trovarti sulla mia strada per nessuna ragione al mondo, ci siamo intesi?»
Liam rimase a bocca aperta, udendo quelle parole. Il suo sorriso si spense e sul suo volto prese forma un'espressione assurdamente attonita. Non poteva essere vero. «Cosa? - bofonchiò, quando intuì che forse era il caso di rispondere, anziché rimanere lì a fissarla come uno stoccafisso. - Credo che tu abbia frainteso, io non...»
«No, invece ho capito benissimo – lo interruppe lei, alzando una mano per zittirlo. - Davvero, non ti conviene darmi fastidio. Conosco persone che potrebbero farti pentire in tre secondi di essere diventato un maledetto maniaco e non solo per vie legali. Quindi addio» concluse. Detto ciò, prima che Liam potesse anche solo metabolizzare le sue parole, abbandonò il carrello con la spesa e se ne andò di gran carriera.
In tutto ciò, Mister Caparbietà rimase immobile, impalato con aria stupita per quelli che parvero lunghissimi minuti, mortificato e sconvolto.
 
«Un maniaco?» ripeté Niall sconvolto, lasciando cadere il joystick dell'Xbox sul pavimento.
Dixie annuì, ma non mise in pausa la partita. «Già. Sono giorni che mi segue dappertutto, mi aspetta all'entrata dell'università e... - si interruppe per concentrarsi meglio sul videogioco e poi: - Livello completato!» gridò con entusiasmo, alzando un pugno in aria.
«Sì, bene, bravissima, – tagliò corto Niall, togliendole il controller dalle mani. - Un maniaco?» domandò di nuovo, senza badare all'occhiata offesa che gli aveva appena rivolto la sua amica. Quella ragazza era totalmente incosciente. Diceva di essere stata pedinata da un maniaco con tutta la naturalezza del mondo e continuava a concentrarsi con più attenzione sulla martona di Metal Slug che non di ciò che le era successo. E, cavolo, Niall aveva la pelle d'oca.
«Sì, ma stai calmo, – gli intimò lei, dopo aver sospirato per l'esasperazione: perché quel ragazzo doveva essere sempre così apprensivo? - Gli ho detto di starmi lontano».
«Ah, certo, ora sono molto più tranquillo. Sai, pensavo che fossi semplicemente scappata dal tuo stalker, invece mi dici che ti sei fermata a dirgli di lasciarti in pace. Sì, questo mi rassicura davvero, grazie mille» disse contrariato. Incosciente? No, Dixie era molto più che incosciente: era una completa deficiente!
La ragazza lo fissò qualche istante, attonita. Dopo aver rimuginato un po' sul discorso dell'amico, mentre lui borbottava tra sé con stizza, inarcò le sopracciglia e: «Quello era sarcasmo, Niall?» domandò in tono divertito. Non che Dixie non avesse colto l'ironia nella sua frase, ma il solo fatto che Niall Horan avesse fatto del sarcasmo era qualcosa di sorprendente. Dixie era orgogliosa di lui, doveva ammetterlo.
Niall, al contrario, dovette trattenersi dall'urlare in preda alla frustrazione, quando rispose: «Sì!». Si alzò dal divano, scompigliandosi i capelli, e prese a misurare la stanza a grandi passi, parlando tra sé e sé. «Greg, ti prego!» sbottò poi, quando Dixie, per niente colpita dalla sua reazione, si impossessò del suo controller e riprese a giocare. «Mi sembra di avere a che fare con una bambina!»
Il fratello maggiore, dall'altra stanza, si limitò a ridere. «Dixie, sei sicura che fosse un maniaco? Magari ci stava solo provando...» suppose con pragmaticità. Greg Horan, dall'alto della sua esperienza di trentenne, aveva imparato a riconoscere un malinteso. Aveva anche imparato a conoscere Dixie, in quegli ultimi anni, la regina dei fraintendimenti, ed era ormai sicuro del fatto che, se lei non si preoccupava, voleva dire che una parte di lei sapeva di star esagerando. D'altra parte era anche vero che quella ragazza, come diceva suo fratello, era una grandissima incosciente. Aveva preso l'hakuna matata de Il Re Leone un po' troppo alla lettera.
«Sono sicurissima! - obiettò Dixie in tono offeso. - Aveva la camicia abbottonata fino all'ultimo bottone e mi fissava con aria ebete. Sì, okay, magari ci stava provando, ma è questo che fanno i maniaci, no?»
Si udì una sedia strisciare sul pavimento, poi, mentre Niall ancora camminava avanti e indietro affogando nella propria preoccupazione, Greg si affacciò alla porta del suo studio e fece capolino: «No – la corresse. - I maniaci ti seguono fino a casa e ti spiano dalle finestre, non ti aspettano fuori da scuola. Ti importunano, ti telefonano con l'anonimo e, soprattutto, non ti chiedono cortesemente “Ehi, ci facciamo due chiacchiere?”».
«Sì, ma la camicia...»
«Dixie, anche io allaccio la camicia fino all'ultimo bottone!»
«Ma tu sei … grande».
«Stavi per dire 'vecchio', vero?»
«Sì».
Greg sospirò, poi sorrise con aria consapevole. «Apprezzo la sincerità» replicò, per poi andarsene e tornare alla sua precedente occupazione. «E, diamine Niall, smetti di fare l'isterico!» gridò dall'altra stanza.
Dixie annuì energicamente, del tutto d'accordo con lui. «Oh, finalmente qualcuno che ragiona!»
Ma Niall Horan non aveva alcuna intenzione di smettere di preoccuparsi. Non era isterico, non era un tipo che si faceva prendere facilmente dal panico... Okay, magari sì, ma il suo farsi prendere dal panico concerneva l'allontanarsi dalla situazione pericolosa e rimanere a guardarla da lontano, senza parlare, muoversi né quasi respirare; quello che stava facendo in quel momento, trattandosi di lui, poteva tranquillamente considerarsi reagire.
«Dixie, ascoltami» ordinò poi, sedendosi sul divano accanto a lei. Alla ragazza, anche se a Niall sarebbe piaciuto, non passò nemmeno per la testa di smettere di giocare; «Ti ascolto» gli concesse però.
L'altro decise di accontentarsi. Annuì tra sé, convinto della soluzione che aveva trovato a quella strana situazione e proclamò: «D'ora in avanti tu non andrai più in giro da sola. Siamo intesi?».
«Okay» fu la mansueta e inaspettata risposta di Dixie.
Così inaspettata, che Niall si convinse che non avesse capito. «Davvero?» chiese conferma.
Lei annuì. «Sì, certo, perché questo significa che tu - o chi per te - mi scarrozzerai in giro ogni santissimo giorno».
E Niall non poté fare a meno di alzare gli occhi al cielo a quella risposta.
 
«Sei un idiota».
Liam scosse ostinatamente il capo, ancora incredulo da ciò che era successo e aveva appena raccontato al suo amico. «Mi ha preso per un maniaco» ripeté, sconcertato.
Zayn rise, poi gli posò una mano sulla spalla con fare incoraggiante. «Ti avevo detto che pedinarla era una pessima idea».
«Non la stavo pedinando! - lo corresse subito l'altro, sulla difensiva: - L'ho incontrata per caso, al supermercato!»
Zayn alzò gli occhi al cielo, poi lanciò una breve occhiata ai cancelli del parco, controllando che Niall non stesse arrivando. Non era che non si fidasse di Liam, sapeva che lui non era in grado di mentire e, anche se fosse stato in grado di farlo, era troppo gentile per farlo. Solo che a volte sembrava davvero stupido. Certo, anche la ragazza che riusciva a scambiare Liam per un maniaco non doveva brillare di intelligenza – un maniaco? Liam? Con quell'espressione da tonto e l'aria da boy scout? -, ma Zayn lo aveva detto fin dall'inizio: tutta quella pagliacciata era un'idiozia bella e buona. «Sei comunque un idiota» aggiunse quindi.
Tutto era iniziato con un sogno di Niall, che l'ingenuo irlandese aveva ben pensato di raccontare ai suoi grandi amici. Aveva sognato Zayn. Aveva sognato di baciarlo e di... be', farci cose. Aveva mangiato pesante, si era giustificato; probabilmente non avrebbe mai più mangiato così tanto la sera prima di un esame, aveva bofonchiato tra le risate, paonazzo in volto.
Zayn, quando l'aveva saputo, aveva riso. Riso fino alle lacrime, certo che avrebbe preso in giro Niall per quella storia fino alla fine dei suoi giorni.
Invece Liam, che secondo Zayn aveva davvero bisogno di una ragazza, aveva cominciato a straparlare. Anzi, a strapensare. Solo che quando Liam pensava troppo, finiva con l'ossessionarsi – lui e la sua maledetta caparbietà. Ecco perché un paio di giorni dopo, quando Niall aveva ammesso di aver di nuovo sognato qualcosa del genere a proposito di Zayn, Liam aveva deciso di parlare con Dixie per decidere se Niall avesse davvero una cotta per il suo amico; l'irlandese non parlava con loro ragazzi di sentimenti, cotte e cose del genere, motivo per cui doveva necessariamente parlarne con le ragazze – o col fratello, ma Liam sapeva che Greg non avrebbe mai sputato il rospo contro il volere di Niall. A nulla erano valse le proteste di Zayn, a nulla era valso spiegargli che Niall aveva semplicemente pensato troppo a quel sogno strano finendo per suggestionarsi e sognare di nuovo la stessa cosa. A nulla. Liam aveva di fatto trascinato Zayn al McDonald per attaccare bottone con Dixie, poi l'aveva seguita in facoltà e ora rischiava una denuncia per stalking. Era palesemente un idiota.
Ma Zayn, si disse, era ancora più idiota, perché nonostante fosse stato determinato fin dal primo momento a non prendere parte a quella buffonata, ora ci era finito dentro con tutti i piedi, visto che purtroppo non poteva lasciare che Dixie denunciasse Liam per molestie. Forse non averlo tra i piedi per un po' non sarebbe stato troppo faticoso, convenne mentalmente, ma era anche vero che poi Zayn avrebbe dovuto pagare l'affitto da solo.
«Ma smettila – lo rimproverò Liam, interrompendo così la serie di borbottii a proposito di quanto sarebbe stato bello che lo sbattessero in gatta buia. - Intanto questo idiota ha trovato un altro indizio».
A Zayn sarebbe tanto piaciuto voltarsi e prendere a testate la quercia cui era addossata la panchina su cui sedevano, ma aveva ancora un minimo di dignità e in più c'era una ragazza parecchio carina dalla parte opposta del parco che aveva attirato la sua attenzione. Senza smettere di fissarla, quindi, ficcò una mano in tasca alla ricerca del pacchetto di sigarette, pronto a sopportare con l'aiuto della nicotina l'ennesima geniale idea di Liam James Payne. «Sentiamo».
«Noreen!»
«Noreen – ripeté Zayn, lo sguardo ancora fisso sulla ragazza che leggeva. Quel nome non gli diceva niente. - Qualcuna ha attirato la tua attenzione, finalmente?» domandò, speranzoso.
Liam rise e scosse il capo: «Non la mia, quella di Niall» precisò con un filo orgoglio. Non era stato facile estorcergli quell'informazione; aveva dovuto coinvolgere Harry e parlare con lui di ragazze per ore – e Liam non aveva molte cose da dire, perché era un tipo da relazione seria e non ne aveva nemmeno avute molte – prima che Niall si lasciasse sfuggire il nome di Noreen.
«Cosa?» domandò di nuovo Zayn, distogliendo finalmente lo sguardo la tizia seduta sul prato per concentrarsi si di lui.
Liam sorrise trionfante: da un lato aveva fatto un macello con Dixie, ma dall'altro aveva fatto un'importante scoperta. «Noreen».
Zayn prese un respiro profondo e, un pessimo dubbio in mente, si voltò verso l'amico. «Liam, davvero, ora ho bisogno che tu ti concentri un attimo. Puoi farcela?»
L'altro alzò gli occhi al cielo per la teatralità che trasudavano i comportamenti dell'altro, poi annuì: «Ti ascolto».
Gli posò entrambe le mani sulle spalle e lo guardò dritto negli occhi. «Io sono etero. Niall è etero. Smettila con questa storia!» sillabò, sperando che per una buona volta il suo amico afferrasse il concetto.
Contrariamente alle speranza del ragazzo, Liam scoppiò a ridere di cuore, poi mise a sua volta una mano sulla spalla di Zayn e: «Lascia perdere questa storia. Noreen. È di Noreen che dobbiamo occuparci ora».
«Noreen?» Zayn non capiva e non era sicuro di volerlo fare.
«Sì, Noreen. – L'altro ragazzo annuì energicamente, perfettamente convinto di ciò che stava dicendo. Era tutto perfetto, questa volta non poteva sbagliare. - Aiuteremo Niall a conquistarla, così finalmente si leverà dalla testa quest'ossessione di essere inopportuno e troppo sbagliato per piacere a qualcuna».
«Non ci lascerà mai mettere il becco nei suoi affari. E soprattutto, Liam, noi non dovremmo affatto ficcanasare».
Liam scosse il capo, saltando in piedi: «È per il suo bene!» esclamò con enfasi.
«No, è per la tua idiozia!» lo corresse Zayn in un sospiro.
L'amico rise e gli diede una pacca sulla spalla. «E poi naturalmente Niall non lo verrà a sapere».
Naturalmente, ripeté l'altro tra sé.
 
Nella prossima vita, si promise Zayn mentre aspettava di scorgere una testa bionda in corridoio, avrebbe dovuto scegliere più attentamente i propri migliori amici. In primo luogo avrebbe evitato gli irlandesi che facevano sogni a luci rosse su di lui, ma soprattutto avrebbe dovuto assolutamente stare lontano dai ragazzi dal sorriso dolce e l'aria tonta, perché portavano solamente guai. Specie se erano caparbi.
Non sapeva spiegarsi come fosse finito nei pressi della macchinetta del caffé del secondo piano, in facoltà, ad attendere una ragazza per sistemare un guaio combinato da Liam. Da che mondo era mondo, era Liam quello che trovava soluzioni ai problemi degli altri e non il contrario. Quando esattamente i loro ruoli si erano invertiti?
Sbuffò per la terza volta, mentre rificcava il cellulare nella tasca dei jeans. Quell'ala dell'edificio era frequentata da un sacco di gente che non moriva dalla voglia di incontrare, non vedeva l'ora di andarsene a casa. Sarebbe proprio stato curioso di sapere dove diavolo si era cacciata quella ragaz-... Oh, eccola.
Quando Zayn vide Dixie allontanarsi dalla sua amica bruna e, grazie ad un gigantesco colpo di fortuna, da Niall, per raggiungere le macchinette – e quindi anche lui –, aspettò che gli altri due fossero spariti dietro l'angolo per avanzare di qualche passo nella sua direzione. «Dixie, giusto?» Non si stupì quando lei si paralizzò in mezzo al corridoio, per poi riconoscerlo e alzare gli occhi al soffitto con esasperazione. «No, ti prego, basta. Per colpa di quell'altro è un miracolo se posso andare a prendermi un caffè alla macchinetta senza guardie del corpo...».
Zayn abbozzò un sorrisetto di scuse e non fece domande, sebbene non avesse capito nulla di quel breve discorso. Be', che con “quell'altro” intendeva Liam. Questo era abbastanza. «È proprio di lui che devo parlarti» ammise, scrollando le spalle. Un lato di lui sperava che lei lo mandasse al diavolo, così da potersi levare il problema e dire di averci provato, ma di aver fallito. «È un totale cretino e ha lasciato che fraintendessi le sue intenzioni. In realtà noi siamo amici di Niall e...»
Dixie non protestò quando quel ragazzo con gli occhiali e i pantaloni troppo larghi la seguì e si mise in coda al distributore assieme a lei. Nel momento in cui però udì quel nome tanto famigliare, non riuscì a trattenere un'espressione sospettosa. «Amici di Niall? Niall... Il nostro Niall?».
Zayn inarcò le sopracciglia. Niall non era di certo un nome comune, quanti mai ne poteva conoscere? In ogni caso, per chiarezza, confermò: «Niall Horan, l'irlandese».
La ragazza avanzò nella fila e prese a rovistare nel porta monete alla ricerca della cifra necessaria per il suo indispensabile secondo caffè della giornata. «Non mi ha mai parlato di te o del maniaco».
Maniaco? Qualcosa gli diceva che si riferiva a ...
«Liam. Il suo nome è Liam» la corresse, soffocando una risatina che però a Dixie non sfuggì. «E io sono Zayn. Sono... frequento Architettura. - aggiunse a mo' di giustificazione per la sua presenza lì. - Il punto è che Niall non sa che noi... che Liam si è messo in testa di parlare con te, ecco».
Dixie fece una smorfia poco convinta e si sistemò gli occhiali sul naso, alzando finalmente il naso dal suo portafogli, qualche moneta stretta tra le dita di una mano. «Perché?» domandò solo.
Dritto al punto. Zayn si grattò una guancia, affondò nelle mani e, «Perché, vedi...», fu così che si ritrovò a spiegare, mentre la ragazza prendeva il caffé al distributore, come la rinnovata personalità da ficcanaso di Liam l'avesse spinto a cercare Dixie, nella speranza di poterle estorcere qualche informazione su una certa Noreen.
«Noreen, eh?» Dixie annuiva, mentre rimescolava il caffé con la bacchetta in plastica, e a quel cenno Zayn non poté che illudersi di essere giunto a una delle risposte che il suo amico tanto bramava.
«La conosci?» domandò speranzoso.
Lei parve sorpresa almeno quanto Zayn, quando alzò lo sguardo per incontrare il suo; «No, mai sentita nominare» ammise con semplicità. Un'altra cosa che Zayn non sapeva, infatti, era che Dixie annuiva praticamente sempre: quando era sovrappensiero e quando stava effettivamente prestando attenzione al suo interlocutore. Era un'abitudine che Niall trovava divertente e Ruth irritante, ma Dixie continuava a farlo a prescindere dai loro giudizi.
E Zayn sospirò: perché capitavano tutte a lui?
 
Un baccano insopportabile proveniva dalla cucina del piccolo appartamento condiviso e Dixie non faceva che sbuffare da quando era iniziato. Niall ridacchiava sottovoce ogni volta che lei espirava bruscamente, divertito dalla sua insofferenza. Nel mentre sottolineava qualche parola qua e là sulla pagina del volume che stava studiando.
I pomeriggi di studio a casa delle ragazze finivano sempre così, quando anche la loro coinquilina era in casa: Dixie si innervosiva, Niall rideva, Ruth cercava di rimetterli in riga mentre il suo carlino, Asterix, russava sommessamente steso sotto il tavolo. Il lato più bizzarro della situazione era che a fine seduta Dixie era sempre quello che aveva studiato di più, a dispetto di tutte le sue continue lamentele.
«Dixie, smettila» la rimproverò Ruth nel bel mezzo di un invito poco carino della ragazza ad eliminare definitivamente la coinquilina. Be', uno dei tanti inviti a toglierla di mezzo, ecco. Non che lei fosse mai seria, quando proponeva certe cose, sebbene la sua espressione fosse sempre delle più credibili, ma, appunto, aveva un'aria così severa mentre sibilava certe frasi, che a Ruth metteva la pelle d'oca.
«È lei che dovrebbe smetterla» replicò Dixie con la sua solita aria annoiata.
La lei in questione non era altri che Barbara Tanner, per gli amici Babs - e per Dixie “Quella”, “Lei”, “L'altra” o un qualunque altro pronome, tanto meglio quanto più la definizione era impersonale.
Babs era il genere di ragazza che, volontariamente o meno, diverte tutti. Tutti tranne Dixie, che nutriva una sorta di incontrastabile avversione per la sua massa cespugliosa di capelli biondo rossicci, la sua altezza, per i suoi enormi occhi blu e la sua incorreggibile goffaggine.
Ruth aveva tentato svariate volte di farle notare quanto Babs cercasse di rendersi utile, essere disponibile ed effettivamente portasse allegria nell'appartamento, ma Dixie proprio non riusciva a vedere al di là di tutto il baccano che faceva quando lavava i piatti, dei continui guai, della sua voce stonata che cantava a squarciagola a tutte le ore del giorno e, soprattutto, non riusciva a togliersi dalla testa la propria action figure di Batman senza più un braccio.
Ruth era costernata e non sapeva decidersi: era più ridicolo che Babs rompesse tutto ciò che toccava o che Dixie proprio non riuscisse a perdonarle di aver fatto cadere quella stupida bambola mentre spolverava?
Niall rideva, quando veniva preso il discorso, mentre Dixie si indispettiva e le ricordava di aver pagato trentaquattro – trentaquattro! – sterline ad un vecchio approfittatore in un mercatino dell'usato per quell'action figure – e, appunto, non era una stupida bambola: ma un'action figure, un modellino da collezione. Una versione quasi introvabile di Batman, risalente a chissà quanti – be', Dixie lo sapeva – anni prima, che “quella sciocca capellona” aveva fatto cadere della mensola, quando nemmeno sarebbe dovuta entrare in camera sua.
Era del tutto inutile cercare di farle capire che Babs stava solo cercando di essere gentile: Dixie era quanto di più testardo esistesse al mondo, quando voleva – e in questo caso non solo voleva, ma lo riteneva assolutamente necessario.
«Oh, andiamo, non sta facendo nulla di male, sta semplicemente...»
«Distruggendo casa. Proprio come ha mutilato il mio Batman».
Ruth sospirò. Non riusciva a rassegnarsi alla naturalezza con cui la sua amica faceva i capricci pur continuando ad apparire matura e posata. Be', posata... limitiamoci a definirla apparentemente matura. «Dixie, credo che dovresti proprio metterci una pietra sopra».
La ragazza tolse gli occhiali e si stiracchiò; «A Babs, intendi?» domandò come se niente fosse.
La risata di Niall esplose fragorosa senza alcun preavviso, presto seguita da un rumore di cocci rotti e un «Ops!» mortificato proveniente dalla cucina.
Ruth si paralizzò un momento sul posto, mentre Dixie roteava lentamente gli occhi, la testa leggermente piegata all'indietro, assumendo un'aria un tantino inquietante. «Un giorno o l'altro quella farà la stessa fine di Batman» commentò sottovoce, ma non abbastanza perché Ruth non la sentisse.
Questa si alzò dalla sedia e puntò un dito contro la bionda, stizzita: «Se solo avessi lavato tu i piatti, com'era tuo compito...» sibilò, lasciando poi la frase in sospeso per correre in cucina a valutare l'entità dei danni causati da Babs.
Niall ridacchiava ancora, quando Ruth sparì dietro l'angolo, e si beò dell'espressione del tutto indifferente di Dixie alle parole appena udite. Era evidente che non si fosse affatto pentita di aver rifilato alla coinquilina il faticoso lavoro che spettava a lei, dopo aver procrastinato per ben tre giorni. Senza fare una piega, quindi, inforcò nuovamente gli occhiali e tornò a concentrarsi sul proprio libro di testo.
Niall scosse la testa, pervaso da quella tipica sensazione di familiarità che respirava quando qualcuna delle persone che lo circondavano faceva esattamente ciò che ci si aspettava da loro. Piegò quindi a sua volta la testa sul volume e subito si paralizzò sul posto, inquietato da un familiare suono di violini. Si accigliò, dunque, prima di riconoscere The Avengers Theme suonato da Taylor Davis: la suoneria del cellulare di Dixie.
A lasciarlo perplesso, comunque, fu l'espressione indecisa che comparve sul volto della ragazza, mentre il nome di “NOAH” lampeggiava sullo schermo del suo cellulare e una fotografia del soggetto in questione copriva lo stemma di Hogwarts che era impostato come salva-schermo. «Dixie?» dovette richiamarla, prima che lei si decidesse e rispondesse alla chiamata di suo fratello. La osservò sbuffare, poi afferrare il telefono e aprire la comunicazione. «Pronto?» soffiò, alzandosi in piedi e avviandosi verso il balcone. Le battute seguenti furono precluse all'udito di Niall dalla porta a vetri che lei si chiuse alle spalle.
«Che ne è stato del solito “Che la forza sia con te”?» si informò la voce profonda del maggiore dei fratelli Dixon.
Dixie fece una smorfia e tossicchiò una risatina, mentre misurava la superficie piastrellata a piccoli e frenetici passi.
«Quello è il saluto di congedo» spiegò con una tranquillità che al momento non aveva.
«Giusto, come ho fatto a non ricordarlo? - Noah rise, poi tornò a rivolgersi alla sorella: - Come stai?»
«Bene. Tu? A casa tutto bene? Stavo studiando».
Dixie sarebbe stata abile a mentire, se solo fosse stata abituata a farlo. Era il genere di persona che avrebbe potuto mentire senza problemi, ma era così disinteressata al parere altrui che di solito preferiva di gran lunga dire la verità. Ecco perché quelle domande di cortesia, seguite dalla precisazione di avere da fare, permisero al giovane uomo di capire al volo che qualcosa non andava. Dixie era pigra, da quando aveva fretta di tornare a studiare?
In ogni caso Noah aveva un messaggio da recapitarle e non si sarebbe lasciato liquidare così facilmente. «Tutto bene, ma è molto tempo che non ti fai viva. Mamma vorrebbe fossi a cena da noi, la prossima settimana».
«Non posso, ho un esame».
Noah rimase in silenzio qualche istante, un silenzio carico di rimprovero, prima di riprendere a parlare: «Non ti ho nemmeno detto il giorno» le ricordò.
«D'accordo, quando?» gli concesse lei, sbrigativa.
«Giovedì» la sfidò allora il fratello, leggermente innervosito.
Dixie sorrise trionfante: «Venerdì ho un esame!» gli comunicò, intimamente soddisfatta di non aver nemmeno avuto bisogno di inventare una scusa.
Ascoltò il secondo silenzio carico di sottintesi e il sospiro di suo fratello, poi si sentì obbligata ad aggiungere: «Mi dispiace, Noah». E in parte era vero. Non aveva nessuna voglia di tornare a casa, ma le dispiaceva seriamente che le cose stessero così. Un tempo adorava tornare tra le mura domestiche e una parte di lei lo adorava ancora.
«Anche a me. E mamma non ne sarà felice».
«Lo immagino» disse solo.
Noah prese un respiro profondo, poi si decise a pronunciare le parole di rimprovero che si era ripromesso di non rivolgerle: «Spero davvero che tu non lo stia evitando, perché non è scappando che risolverai la situazione».
Dixie si morse il labbro inferiore, colpita da quell'accusa. Aveva centrato il punto, oltre tutto. «Non c'è nessuna situazione da risolvere» borbotttò comunque, ostinata.
E anche questo era vero. «Appunto. Senti, cerca di farti viva ogni tanto, okay?».
«Va bene».
«Parlo seriamente».
«Sì, Noah, ho capito. Dammi solo un altro po' di tempo».
«D'accordo. È normale che ti serva tempo. Ci sentiamo presto, okay? Ti lascio studiare».
La ragazza sospirò e annuì, pur sapendo che il fratello non poteva vederlo. «Certo. Grazie, Noah».
«Dixie?»
«Sì?»
«Ho fiducia in te».
 
Quando Dixie tornò in casa, Ruth era di nuovo seduta al tavolo. Solo un briciolo della confusione che le agitava il battito cardiaco traspariva dai suoi occhi castani, che si affrettò a schermare con gli occhiali da vista.
«Tutto bene?» domandò Ruth, a cui Niall aveva rivelato il mittente della chiamata.
Lei annuì e abbozzò un sorriso: «Sotto con il Surrealismo!» proclamò con falsa allegria, afferrando un evidenziatore verde.




Tadadadann! Questa volta mettiamo un altro po' di carne al fuoco. :)
In questo capitolo immagino abbiate capito qual è stata la causa scatenante di tutta la vicenda e quali fossero le intenzioni di tonto!Liam (XD) quando aspettava Dixie in facoltà.
A proposito di questo, è bene che io chiarisca una cosa che potrebbe causare confusione e non so se riuscirò a inserire nel testo - perché, poi? -, ovvero le facoltà frequentate dai ragazzi.
Come Zayn ha precisato, lui frequenta Architettura; Ruth, Niall e Dixie studiano Storia dell'Arte. Liam studia Logopedia (*coffcoff*), ecco perché la presenza in facoltà di Zayn è giustificata e quella di Liam, invece, insospettisce Dixie: Liam proviene da un altro dipartimento.

Oh e... Dixie e il fratello. Si accettano supposizioni sul perché non vuole tornare a casa! Sono curiosa di conoscere le vostre spiegazioni. XD Detto questo, avevo qualcos'altro da specificare, ma non ricordo cosa, quindi chiudo il becco. Per qualunque domanda, non esitate: non mordo e rispondo a tutti. :) 
Potete trovare tutti i miei contatti sul mio profilo, se vi interessano, non fatevi problemi a contattarmi.
Be', grazie per essere arrivati fino a qui e avermi dato fiducia. :)



 

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Capitolo 3
*** Ragazzi irlandesi e logopedisti ritardati ***


Capitolo 3
Ragazzi irlandesi e logopedisti ritardati

 

 

Il pub era pervaso dal tipico chiacchiericcio del sabato pomeriggio; solo un'offuscata luce grigia proveniente dall'esterno e le lampade al neon illuminavano l'ambiente caotico e familiare, pregno di odori forti di alcolici e cucina del locale. Fuori il cielo svuotava le proprie cataratte sull'Inghilterra, del tutto incurante dei pochi cittadini senza ombrello.

Meno che di chiunque altro al temporale in atto importava del giovane irlandese biondo, che interruppe la sua corsa fatta di passi pesanti proprio davanti alla porta in vetro del pub, balzò sullo zerbino verde, ansioso d'entrare, e, quando questo scivolò per via dell'acqua che vi era filtrata sotto, quasi cadde col sedere per terra, raddrizzandosi grazie ad un agile scatto all'ultimo momento.

Quando fece il suo ingresso nel locale, dunque, i suoi vestiti sciupati grondavano acqua, il freddo era penetrato quasi fino alle ossa, ma questo non gli impedì di scoppiare a ridere nel momento stesso in cui incontrò gli sguardi basiti delle due ragazze sedute al tavolino più vicino.

«Niall!» esclamò Ruth, sorpresa di vederlo lì tutto scompigliato, i capelli biondi che ricadevano fradici sulla fronte e la felpa verde che... be', era ormai più simile ad una spugna per lavare i piatti.

«Buongiorno!» trillò invece Dixie, sfoggiando un sorrisetto ironico.

Niall battè i piedi sul pavimento per liberare le scarpe da ginnastica da un po' d'acqua, frizionò i capelli con il cappuccio fradicio della felpa, poi si rassegnò all'inutilità del suo tentativo e le raggiunse al tavolo, raggiante come solo lui sa essere nel bel mezzo di un acquazzone: «Giornata bagnata, giornta fortunata!» rispose, accompagnando quelle parole con una linguaccia indirizzata a Dixie.

«Quella è la sposa» lo corresse lei.

Niall ridacchiò, mentre scostava la sedia e ci si gettava sopra scompostamente. «Già» confermò. «E non sembra un doppio senso allucinante?» aggiunse, agitando le sopracciglia con fare ammiccante.

Dixie lo guardò con superiorità, mentre Ruth dovette mascherare una risatina con un colpo di tosse:

«Si può sapere,» cambiò tuttavia argomento. «Com'è possibile che tu sia sempre senza ombrello?»

Il ragazzo si scompigliò i capelli, ridacchiando. Non era che dimenticasse sempre l'ombrello, semplicemente accadeva molto spesso e, ogni volta, veniva giù il diluvio universale – era più efficace della danza della pioggia, a detta di Zayn, ma questo non lo disse.

Come amava ricordare Dixie, comunque, Niall, da bravo irlandese qual era, non aveva paura di un paio di gocce d'acqua: cos'era la pioggia? Non di certo un problema per il fisico robusto di un uomo nato e cresciuto in Irlanda. Come diceva? Polmonite? Ma lui era irlandese! L'essere irlandese era una risposta adatta a qualunque problema.

Niall non riusciva a smettere di ridere quando la sua amica partiva con quel sarcastico elogio al testardo orgoglio tipico dei suoi compatrioti, tuttavia non smentiva mai, perché, andiamo, era pur sempre irlandese.

La sua risata chiassosa si placò solo quando una cameriera mora si fermò accanto al loro tavolo per prendere le ordinazioni; allora anche Dixie chiuse il becco e afferrò in fretta e furia il menù, appena ricordatasi di aver fame e dover scegliere qualcosa da mettere sotto i denti.

«Come va, ragazzi?» esordì la ragazza in tono amichevole.

Niall, Ruth e Dixie facevano tappa fissa in quel pub ogni lunedì, mercoledì e giovedì sera a cena, più ogni volta che c'era qualcosa da festeggiare o, semplicemente, che come quel giorno ne avevano voglia. Questa routine proseguiva da più o meno un anno, dopo essere iniziata quasi per caso per colpa di Dixie, che proprio non ne voleva sapere di preparare la cena, ai tempi di quella grandiosa fanfiction a capitoli su Star Trek, aggiornata ogni settimana proprio in quelle sere. Dixie aspettava l'aggiornamento tutto il pomeriggio, leggeva, poi convinceva Ruth ad andare a mangiare al pub, coinvolgendo anche Niall per impedirle di trascorrere l'intera serata a lamentarsi. Questo almeno per quanto riguardava lunedì e giovedì, perché al mercoledì c'era Game of Thrones e non era umanamente possibile chiedere a Dixie di anteporre qualcosa al suo appuntamento fisso con quella serie.

Fin dalla prima sera, comunque, era sempre stata la stessa ragazza a presentarsi al loro tavolo sfoggiando un sorriso timido ma amichevole per accoglierli e “prendersi cura degli svitati”, a detta sua.

«Hey! Va alla grande!» rispose Niall a voce troppo alta, facendo girare un paio di turisti tedeschi seduti ad un tavolo. Ruth e la cameriera risero.

«Gli ombrelli sono troppo mainstream per te?» scherzò la seconda ragazza, accennando all'aria da pulcino inzuppato di Niall.

Questi ridacchiò e si spettinò ulteriormente i capelli, senza tuttavia rispondere.

Dixie, al contrario, aveva tutta l'intenzione di riattaccare con il suo sarcastico elogio alla follia irlandese e l'avrebbe senz'altro fatto, se solo Ruth non l'avesse freddata con un'occhiataccia: «Non ti azzardare!» la rimproverò, puntandole conto l'amata matita HB2 con cui aveva scarabocchiato fino a quel momento la tovaglietta di cartone su cui posava il coperto. Così lei mise il broncio, premiò la sua amica con un'imitazione stizzita, che sembrò divertire la cameriera, e ordinò il suo spuntino.

«Per me una pinta di Guinnes e un cheese burger!» disse Niall, quando fu il suo turno.

«Guinness?» La cameriera posò il blocco note sul tavolo per legarsi meglio i capelli con il suo vecchio elastico troppo lento, senza riuscire però ad evitare che alcune ciocche le ricadessero scompostamente ai lati del viso. «Non dirmi che sei irlandese!»

Niall rimase a bocca aperta, preso in contropiede da quella frase. Spinse la sedia all'indietro, perché dondolasse solamente sulle gambe posteriori e «Veramente... Veramente sì» ammise, senza preoccuparsi di celare la sua confusione.

Lei abbozzò un sorriso divertito e inarcò le sopracciglia: «Ma non mi dire!» insistette.

Lui batté le palpebre ancora un paio di volte, sentendosi addosso l'inconfondibile sensazione di essersi perso qualcosa. Ma ... cosa?

«Norah è ironica, Nialler» gli rivelò infine Ruth, più misericordiosa delle altre due ragazze.

«Oh» commentò a quel punto, arrossendo su guance e orecchie.

Era sempre stato così: aveva qualche serio problema a capire ironia e sarcasmo, sia a coglierli che a interpretarli. Era più un tipo da umorismo spicciolo, terra terra.

“Un tipo da doppio senso e battuta oscena,” lo etichettava di solito Louis in tono di superiorità.“Un vero irlandese”.

«Norah è crudele» aggiunse poi, mettendo un adorabile broncio. Questo tuttavia non durò che un paio di secondi, sfociando invece in una delle sue solite risate rumorose. Certe situazioni lo facevano sentire molto stupido.

Mai stupido come sembrò Dixie subito dopo, comunque: «Norah!» strillò infatti ad occhi sgranati, saltando sulla sedia – Niall pensò che se avesse indossato gli occhiali, sicuramente sarebbero caduti per quello scatto. Non si curò degli sguardi ora puntati tutti su di lei, concentrandosi invece su quel pensiero che le era balenato in mente sentendo il nome di quella ragazza, che, in effetti, conosceva da tempo e a cui forse avrebbe dovuto pensare un po' prima. Santo cielo.

«Sì?» domandò la diretta interessata, aggrottando le sopracciglia.

Questo colse Dixie di sorpresa: «Cosa?».

Interrogò con un'occhiata divertita Ruth, la quale aveva un'aria più incredula della sua. «Mi hai chiamata tu».

Dixie le sorrise con sfacciataggine. Sì, forse era il caso di inventare una scusa per la figura da cretina che aveva appena fatto. «Sei molto espressiva» buttò lì, quindi, come se quello fosse un commento coerente con la conversazione. E probabilmente, essendoci di mezzo lei, lo era. In ogni caso era stata sincera: Norah era davvero, davvero espressiva.

«Ah. Ehm, grazie» replicò lei, incerta.

Rivolse un'altra occhiata dubbiosa a Ruth, che dopo aver scrollato la testa disse: «Dixie è... be', è Dixie».

Norah ridacchiò, coprendosi il volto con il blocco note, poi annuì comprensiva: «Lo so, lo so. Dixie è Dixie ed è una svitata. Niall è Niall ed è irlandese» elencò, sorridendo al diretto interessato, il quale aprì la bocca per replicare, ma fu bloccato da uno starnuto e scoppiò a ridere con lei. Con ancora la risata incastrata in gola, la ragazza tornò a rivolgersi a Ruth: «E tu ami circondarti di persone molto normali» scherzò, per poi tornare al suo lavoro. «Cosa ti porto?»

Quando la cameriera si fu allontanata, Ruth puntò il suo sguardo severo direttamente in quello castano e svagato della sua migliore amica: «Non ho intenzione di chiederti che cosa ti è preso questa volta» annunciò. La sua frase lasciava comunque intuire tutti gli impliciti rimproveri che il caso richiedeva, solo che Dixie non li colse, del tutto convinta che il caso non ne richiedesse nemmeno uno, se non un invito a Niall affinché ricordasse l'ombrello la volta seguente.

Quella rivelazione, comunque, a lei piacque parecchio: «Meraviglioso!» esultò, felice di essersi tolta di impiccio: se Ruth non avesse fatto domande, lei non avrebbe dovuto cercare di eludere la verità di fronte a Niall. In altre parole, non avrebbe dovuto comunicargli che il suo amico Liam era un ritardato di prima categoria e che forse era anche il caso di affidarlo ad un bravo psichiatra.

«Mer-...» Ruth non credeva alle sue orecchie. «Meraviglioso

«Sì» rispose Dixie candidamente. «Anche perché non te l'avrei detto» aggiunse abbozzando un sorrisetto.

«Ah! Buono a sapersi».

Non era che Dixie non avesse colto il tono offesso dell'amica, non era che non sapesse di aver usato le parole sbagliate per rispondere alla sua richiesta di spiegazioni, semplicemente sapeva che non si trattava di nulla di grave. Ruth si arrabbiava continuamente con lei; ammutoliva, non le rivolgeva uno sguardo né una parola per un po', poi lei diceva qualche sciocchezza delle sue e Ruth proprio non riusciva a fare a meno di commentarla, lasciandosi così alle spalle la rabbia e facendo sì che lo sguardo di Niall rimbalzasse dall'una all'altra mentre battibeccavano allegramente su qualche altra cosa. Come diceva sempre lui, Ruth e Dixie avevano qualche serio problema di comunicazione, ma a loro andava bene così.

 

C'erano giorni in cui il quarto caffè della giornata veniva bevuto per disperazione. Era il caso di quei caffè comprati da Starbucks alle sette di sera, quando Ruth e quell'altra stavano già preparando da mangiare e Dixie, dopo un pomeriggio di studio intensivo, fuggiva dall'appartamento per ricaricare le pile con una buona dose di caffeina. Casualmente accadeva solo qualche giorno prima di un esame, l'unico periodo in cui Dixie si ritrovava a fare i conti con la propria pigrizia. Quello che per lei corrispondeva allo studio intensivo era qualcosa di estremamente opinabile, comunque: chiunque altro l'avrebbe considerata una normalissima sessione di studio pomeridiano, ma per Dixie si trattava di una sgobbata infernale. Be', per lo meno per i suoi standard.

Dixie non era abituata a fare fatica; la fatica era qualcosa di fastidioso e a volte persino doloroso, qualcosa per cui nutriva la stessa repulsione che provava nei confronti di chi digita uno spazio prima delle virgole – ed era pressoché inquantificabile. Riteneva che far fatica fosse una qualche forma di masochismo, motivo per cui evitava senza alcun rimorso ogni forma di sport e attività che richiedesse un impegno costante.

La fortuna – aiutata dalle pressioni dei fratelli maggiori perché i genitori le lasciassero frequentare l'università che preferiva – aveva voluto che lei fosse una studentessa di Storia dell'Arte e nutrisse un forte seppur contenibilissimo interesse per tutto ciò che la riguardava, specialmente fumetti, manga e fan art – quando lo sottolineava, però, la gente era solita reagire storcendo il naso, per qualche strano motivo. E Dixie aveva il privilegio di essere tra le persone che assorbono con estrema facilità ogni informazione riguardante i propri interessi.

Ecco spiegato il motivo per cui, mentre Niall e Ruth sudavano sui libri ogni santo giorno, a lei bastava leggere le informazioni perché si radicassero nella sua memoria. Circa. Giunta ad un paio di giorni dall'esame, infatti, si ritrovava sempre a dover ristudiare tutto per memorizzare date, nomi di battesimo, luoghi, una montagna di piccoli dettagli fondamentali, che lei tendeva a tralasciare perché, semplicemente, non le importavano. E come sappiamo Dixie non riusciva a trattenere una sola informazione di cui non le importasse.

Bastava nominare uno stile archittettonico, una scuola o un artistista e lei era in grado di sciorinare tutto ciò che di più importante c'era da sapere a riguardo: caratteristiche, curiosità, opere maggiori e principali e persino quelle che di solito venivano considerate meno importanti, se le erano piaciute. Il tutto omettendo ogni singola data più precisa di “circa durante la prima (o seconda) metà del tale secolo” oppure “dopo questo fatto, credo. Per forza di cose, insomma: qui se ne nota l'influenza, quindi...”. Persino i dettagli irrilevanti c'erano tutti, mancavano solo quelli fondamentali.

Non che a quel punto, pochi giorni prima di un esame, si ammazzasse di studio – e cos'era lei, masochista? -, ma doveva mettere in ordine un sacco di informazioni in pochissimo tempo e si ritrovava a studiare addirittura per tre ore la mattina e quattro il pomeriggio, certe volte.

Ecco perché anche quel giorno alle sette di sera, quando aveva sentito Ruth dirigersi verso la cucina, aveva borsa e cappotto, infilato le scarpette da ginnastica – che aveva comprato in quanto comode e non con l'intenzione di fare ginnastica – e si era fiondata in strada diretta allo Starbucks più vicino.

Aveva trotterellato allegramente per i marciapiedi della città, felice di essersi allontanata da quei volumi che avevano reclamato la sua attenzione per ben quattro ore – e mezza, visto che quando dopo pranzo aveva ricevuto una chiamata di sua madre aveva deciso di mettersi a studiare per poterla liquidare in fretta e senza menzogna alcuna.

Quando era entrata nello Starbucks, poi, aveva notato un ragazzo dagli occhi blu, che era certa di aver già visto da qualche parte, cercare di estorcere il numero di telefono della dolce e posata Eleanor, la sua commessa di fiducia.

Il suo primo pensiero, appena la vide, fu che a lei Eleanor piaceva, perché se era vero che Dixie con le stampe dei fumetti sulle magliette non era decisamente una tipa da Starbucks, era altrettanto vero che Eleanor era esattamente una ragazza da Starbucks. Non avrebbe saputo cosa significasse essere una “ragazza da Starbucks”, ma era una sensazione che aveva avuto fin da quando avevano parlato per la prima volta e lei, che udendo le lamentele di Ruth a proposito di quanto il caffè le facesse un brutto effetto, aveva suggerito di sostituire il suo espressio lungo con un Frappuccino. Dixie aveva riso a quel suggerimento, ma per non offenderla aveva ordinato entrambe le cose – e il Frappuccino era toccato a Niall. Fin da quel momento, infatti, aveva deciso che quella ragazza sarebbe stata una perfetta protagonista per una delle Real Person Fiction che ultimamente intasavano l'archivio di fanfiction su cui leggeva nel tempo libero – e, sì, ne aveva letta qualcuna per curiosità, finendo per shippare i protagonisti della boyband del momento fra loro.

Il suo secondo pensiero fu che, proprio come nelle fanfiction, anche nella realtà vedeva sempre più spesso i clienti invaghirsi delle commesse dei bar. E fu proprio questo a riportarle alla mente Niall, Norah e quell'enorme ritardato che si faceva chiamare Liam.

Ecco che dunque, del tutto dimentica del suo quarto caffè della giornata, salutava Eleanor con la mano, che si era poi direttamente tuffata all'interno della borsa alla ricerca del cellulare, ed usciva dal locale.

Il primo ostacolo che incontrò, una volta avuto il telefono tra le mani, fu ricordare come diavolo si chiamasse quel ragazzo che l'aveva fermata alla macchinetta in facoltà un paio di giorni prima. Constatato di non averne la minima idea e deciso di non avere la minima intenzione di scorrere l'intera rubrica, ricordò di avergli fatto uno squillo perché memorizzasse il proprio numero. Dunque aprì la lista delle chiamate effettuate ed ecco, proprio sotto il nome di Niall, quello del tizio: Zayn.

Sfiorò lo schermo in corrispondenza di quella parola e poi portò l'apparecchio all'orecchio.

Dovette attendere più di venti squilli prima che qualcuno le rispondesse con uno stravolto: «Mmh?».

Ormai si sa che Dixie è il genere di persona che andava dritta al punto, vero? «Cos'hai detto che studia il maniaco?» Be', circa.

«Cosa?» chiese la voce dall'altra parte del telefono. Ci fu un attimo di silenzio, durante il quale probabilmente il ragazzo controllò il nome sul display, poi tornò a parlare: «Ciao, Dixie».

«Ciao, Zayn» rispose lei con tranquillità. «Non hai risposto alla mia domanda» gli ricordò poi.

«Sì, ehm. Logopedia, Liam studia Logopedia».

Allora ricordava bene. Strano in effetti, si rese conto: se l'era ricordato davvero. «E come hai detto che si chiama la ragazza di Niall?»

«Mh... Noreen, no?»

Dixie ridacchiò, scrollando il capo. «No. Norah» lo corresse.

«No,» obiettò lui. «Liam ha detto che si chiama Noreen». Ne era sicuro al cento per cento: aveva ripetuto quel nome così tante volte, in quei giorni, che aveva rischiato di sognarsi la notte questa ragazza di nome Noreen pur non avendola mai vista. E non sarebbe stato un bel sogno, lo sapeva.

Dixie sbuffò: perché doveva insistere? Lei la conosceva! «Ti assicuro che si chiama Norah. Lavora al nostro pub, l'abbiamo vista ieri e ho collegato i due nomi. Il tuo amico maniaco dev'essere anche ritardato, comunque. Sei proprio sicuro che faccia Logopedia?».

Zayn rimase in silenzio qualche istante, poi prese un respiro profondo e poi, con un respiro profondo, prese coscienza del fatto che con quella scoperta la sua pace – durata appena qualche ora – sarebbe finita. «Norah?» chiese conferma un'ultima volta.

«Sì, Norah! Norah Car-... qualcosa. Carson. Carsen. Car...pe diem».

Zayn, seduto per terra accanto al divano da cui era appena caduto per riuscire ad acciuffare il telefono, alzò gli occhi al cielo: «Oh, sì, questo è davvero incoraggiante».

 

Quando alle cinque del pomeriggio di giovedì Norah vide entrare nel pub Ruth e Dixie, si aprì in un gran sorriso e le salutò con la mano, da dietro il bancone; la sua espressione si fece tuttavia confusa poiché al loro seguito, al posto di Niall, entrarono due ragazzi alti, mori e decisamente poco irlandesi. La cosa la destabilizzò a tal punto che dovette guardare il calendario per assicurarsi che quel giorno fosse davvero giovedì. E lo era: ma ... Niall? Scrollò la testa, ricordandosi di farsi gli affari propri. Aspettò dunque che si accomodassero ad un tavolo dal lato opposto della saletta rispetto a lei, poi portò i menù come ogni volta.

«Buongiorno!» salutò fingendo naturalezza. Non aveva idea del perché quella situazione la turbasse tanto, ma aveva una strana sensazione. Era come se nel pub assieme a loro fosse entrata un'atmosfera di cambiamento e Norah non era sicura di amare i cambiamenti. «Vi lascio i menù» comunicò loro, posando una pila di quattro fascicoli in carta riciclata sul tavolino.

«Grazie mille» le rispose con un sorriso gentile uno dei due ragazzi, quello con i capelli più corti, l'unico il cappotto ancora indosso.

Che si trattasse di un appuntamento?, si domandò lei a quel punto. Strano però, osservò: ragazze e ragazzi si erano sedute ai lati opposti del tavolino e tutti erano rigidamente seduti nelle loro postazioni, attenti a non avvicinarsi troppo le une agli altri.

Dixie alzò lo sguardo dal giubbotto che aveva appena sistemato sullo schienale della sedia e le rivolse un sorrisetto amichevola: «Tu sei sempre di turno, eh?» le domandò ironica.

Norah ricambiò con una smorfia e annuì: «Be', se voglio portare a casa un gruzzoletto...» rispose stringendosi nelle spalle. «Tornò fra poco» si congedò poi, per dirigersi ad un altro tavolo.

Attorno ad esso, nel frattempo, piombò un silenzio denso di imbarazzo. La situazione era più o meno la seguente: Dixie teneva lo sguardo fisso sul menù, non sapendo bene come affrontare la situazione; Zayn lanciava continue occhiate verso la cameriera, chiedendosi se fosse davvero la ragazza di cui avrebbero dovuto parlare quel giorno; Liam dal canto suo si sentiva un po' in soggezione di fronte alla persona che lo aveva preso per un maniaco, qualche giorno prima. E Ruth... be', Ruth non aveva la minima idea del perché la sua amica l'avesse trascinata al pub, dove aveva fissato un appuntamento con quei due sconosciuti incrociati una volta per caso al McDonald – perché, sì, li aveva riconosciuti e ricordava ancora piuttosto bene di essersi fatta sorprendere a fissarli.

Quindi Dixie fissava la lista delle pietanze, Zayn guardava Norah, Ruth si fissava le mani incrociate in grembo e Liam alternava occhiate a tutti i presenti, in attesa che succedesse qualcosa.

Ci vollero quasi cinque minuti perché Dixie, per prima, chiudesse il menù e comunicasse: «Credo che prenderò un hamburger».

Ruth aggrottò le sorpacciglia dietro gli occhiali spessi. «Alle cinque di pomeriggio?»

L'altra scrollò le spalle e posò gli avambracci sul tavolo. «Voi non prendete niente?» domandò agli altri.

«Alle cinque del pomeriggio?» ripeté Ruth. Sembrava che come al solito Dixie avesse dimenticato un piccolo dettaglio fondamentale della faccenda e credesse di poterlo ignorare.

«Ho capito, Ruthie: sono le cinque del pomeriggio. Vuoi prendere il tè? Possiamo prendere il tè, se proprio ci tieni».

«Non mi importa niente del...» interruppe la frase con uno sbuffo, roteando poi lentamente gli occhi. Okay, si disse. Non si sarebbe lamentata oltre, ma non avrebbe voluto sentire storie quella sera quando sarebbero tornati al pub per cena e Dixie non avrebbe avuto fame. Non voleva sentire volare una mosca nemmeno quando, una volta tornate a casa, il suo stomaco sarebbe stato vuoto e lei non avrebbe trovato nulla da mangiare in casa. E sarebbe successo, come ogni volta. «D'accordo, come ti pare» concluse, cercando di mantenere la calma.

«Quindi, ehm» iniziò Liam; si schiarì la voce e si sistemò sulla sedia, prima di proseguire. «Che si fa?» domandò, continuando a far balzare lo sguardo tra i presenti.

Zayn interrogò a sua volta Dixie con lo sguardo e lei, tranquilla come sempre, annuì. «Sì, ehm, la ragazza è lei» spiegò, accennando alla cameriera che avevano visto poco prima.

Lo disse con tanta naturalezza che Zayn si chiese se non lo stesse prendendo in giro. Purtroppo, però, ci aveva di nuovo visto giusto. «Stai scherzando?»

Lei lo guardò interrogativa. «No, perché?»

«Tu...» Sbuffò, esaspetato. «Sono circondato da cretini, a quanto pare» e a quel punto gli sembrò sentir mormorare un “Ti capisco” da parte della ragazza bruna che Dixie aveva portato con sé – probabilmente si trattava di qualcuno che, come lui, era stato coinvolto in quella storia senza possibilità di replica.

A quelle parole Dixie lanciò una lunga occhiata a Liam, lo studiò per qualche istante per poi ripetere l'operazione con Zayn. «Be', i cretini in questione sono in buona compagnia» commentò poi, senza preoccuparsi di risultare scortese. D'altra parte, quel tizio non aveva esitato a darle della cretina, quindi ricambiare il favore era il minimo che potesse fare.

Zayn rimase a guardarla in silenzio qualche istante, mentre Liam boccheggiava.

«Come, scusa?» farfugliò quest'ultimo. Liam era sempre stato un ragazzo cortese ed educato ai limiti della sopportazione di quasi tutti i suoi coetanei – e al limite della coglionaggine, a detta di Louis –, motivo per cui non riusciva a capacitarsi del fatto che due perfetti estranei si insultassero a vicenda senza un valido motivo.

Zayn, al contrario, si sciolse in una risata sommessa, che ruppe il ghiaccio formatosi tra loro. «Touché» convenne poi, sistemandosi a sua volta sulla sedia. «Ciò non toglie che parlare della faccenda proprio qui sia un'idea stupida».

Dixie aprì bocca per replicare, ma non trovò proprio nulla di intelligente da dire, se non un secondo «Touché», pronunciato con una vena ironica. La realtà era che sperava Norah non fosse di turno almeno quel pomeriggio, ma doveva aver commesso un errore di calcolo.

Solo a quel punto, quando Zayn rise per la seconda volta, Liam si decise a prendere l'argomento per cui si erano riuniti: «Quindi... Quindi quella ragazza è Noreen? In carne ed ossa?» si informò leggermente confuso. Era strano anche per lui pensare di averla trovata senza troppe difficoltà solo pochi giorni dopo averla sentita nominare per la prima volta.

«Ecco, a questo proposito...» Zayn si voltò verso il suo amico, ricordandosi solo in quel momento di avere un correzione da fargli.

Non fece in tempo a dire nulla, però, ché Dixie lo interruppe: «No» rispose solo, impassibile.

Liam aggrottò le spesse sopracciglia e spinse leggermente in fuori il labbro inferiore con aria confusa: «N-no?» balbettò, chiedendo la conferma di Zayn, il quale, dopo aver rivolto un'occhiata contrariata alla ragazza, si spiegò meglio: «Sì, è lei. Il problema è che non si chiama Noreen».

A quel punto Dixie ritenne opportuno porre la domanda che la assillava dal giorno precedente; ignorando quindi il fatto che Zayn stesse ancora parlando con il suo amico, puntò gli svagati occhi nocciola dritto in quelli di Liam e domandò a voce alta: «Tu sei proprio-proprio-proprio sicuro di studiare Logopedia?».

«Io... be', sì, ne sono sicuro» farfugliò lui, lasciando defluire la sua attenzione da Zayn, per concentrarla solo su quella strana ragazza. Lo metteva in difficoltà. Non che lui fosse particolarmente spigliato, di solito, ma lei lo fissava con l'aria di chi viene da un altro pianeta e ogni volta che parlava lo spiazzava con la propria schiettezza e noncuranza. Era sicuro che ci fosse un termine preciso con cui definire una persona del genere, ma al momento gli sfuggiva.

«Ne sei sicuro al cento per cento?» insistette lei.

«Io, ehm, credo di sì».

«Credi

Ruth a quel punto rivolse un'occhiata esasperata alla sua amica, prendendo parola ad alta voce per la prima volta da quando si erano trovati tutti insieme: «Dixie, ma cosa stai dicendo?». Possibile che dovesse sempre farsi riconoscere per la svitata che era? Non che per lei fosse un problema, ormai la conosceva, ma trovava indisponente la maniera sfacciata con cui si rapportava persino a degli estranei.

«Okay, hai ragione» soffiò lei, accompagnando quelle parole con un'occhiata irritata alla sua amica. Ecco che dunque Dixie si preparava a fraintendere per la seconda volta i rimproveri dell'amica: «Andiamo al sodo: come si procede? Che si fa?» domandò, alternando occhiate tra i due ragazzi.

Ruth alzò gli occhi al cielo, mentre Liam «Che si fa?» ripeteva, confuso.

Zayn si accigliò, sorpreso dal concentrato di demenza che gli si presentava davanti – e accanto. «Niente, non si fa proprio niente» decretò in tono risoluto, battendo le mani sui jeans. «Ora abbiamo visto chi è: il massimo che si possa fare è portarlo qui più spesso del solito e sperare che lui si faccia avanti».

«Niente?» Liam si voltò di scatto verso il suo migliore amico, sconvolto da quelle parole. «Stai scherzando, vero? Lui non si farà mai avanti! Dopo tutto quello che abbiamo fatto, ora siamo qui e non...»

L'altro bloccò il flusso potenzialmente interminabile delle parole di Liam con un'occhiata eloquente e un cenno infastidito della mano. «Tutto quello che abbiamo fatto?» domandò retoricamente.

«Okay, e va bene: tutto quello che tu hai fatto!»

Ecco un altro che non faceva che fraintendere le parole altrui! «No, Liam». Zayn scosse il capo e prese un respiro profondo, in modo che al suo cervello arrivasse abbastanza ossigeno da permettergli di essere paziente ancora per un po', mentre le ragazze si limitavano ad osservare la scena in silenzio. «Questi non sono affari nostri. Mi sono lasciato coinvolgere solo per evitare che ti denunciassero per stalking, ma ora la faccenda si conclude».

«Questo perché tu non hai capito cosa ho intenzione di fare!» A Liam sembrava di sognare. Il suo amico stava davvero prendendo in considerazione l'idea di mollare tutto? Proprio ora che avevano trovato la ragazza e degli alleati, ora che erano sul punto di ideare un piano geniale per spingere Niall e Noreen – ops, cioè, Norah – l'una tra le braccia dell'altro? Non se ne parlava nemmeno.

Zayn sbuffò. «Parlo seriamente, Liam: non sono affari nostri» disse, sperando che la discussione potesse concludersi in fretta. Non sapeva nemmeno perché avesse accettato di incontrarsi con quella ragazza. L'aveva fatto per Liam, probabilmente, o forse perché per un attimo si era davvero lasciato coinvolgere in quell'idiozia, per via di tutto l'entusiasmo dimostrato dal suo coinquilino quando gli aveva raccontato della telefonata. In ogni caso, ora Zayn aveva le idee chiare e sapeva cosa avrebbe fatto a riguardo: un bel niente.

A quel punto, successe qualcosa che nessuno, a parte forse Ruth, si aspettava: Dixie si schiarì la voce e, quando si fu voltato a controllare cosa volesse, scrutò a lungo Zayn con aria severa. «Ovvio che sono affari nostri» lo corresse, come se a lui fosse sfuggito un dettaglio fondamentale – ironia della sorte.

«Come?»

Lei si strinse nelle spalle e annuì, come a palesare l'ovvietà della faccenda. La sua aria annoiata dimostrava quanto il suo ragionamento fosse scontato e in teoria non richiedesse di essere espresso ad alta voce. «Niall è nostro amico: questi sono chiaramente affarri nostri».

Chiaramente. Zayn osservò la serietà di Dixie, poi l'espressione speranzosa di Liam e infine sbuffò. «Dimmi che almeno tu la pensi come me» soffiò poi, rivolto all'unica presente che non aveva ancora detto la sua in proposito.

Ruth rimase a bocca aperta, sentendosi chiamata in causa. Boccheggiò un istante, imbarazzata dal trovarsi di fronte a quello sconosciuto piuttosto attraente, che chiedeva il suo parere. Grazie al cielo lei non era il tipo di ragazza che andava nel pallone di fronte ad un bel faccino, ecco che quindi si schiarì la voce e si sistemò gli occhiali sul naso, per poi ammettere: «Non ho la minima idea di cosa stiate parlando».

L'espressione stupita di Zayn a quella risposta fece sospirare Ruth: era evidente che questi due ragazzi non conoscessero Dixie e il suo straordinario – chiamiamolo così – modo di rapportarsi alle persone. Quando si aveva a che fare con lei, non si sapeva mai come sarebbero andate le cose, si aveva un'unica certezza: lei avrebbe detto tutto ciò che le passava per la testa e qualcuno avrebbe fatto una figuraccia. Le figure di merda erano comprese nel pacchetto, quando si usciva con Dixie.

Quello che Ruth non sapeva, era che anche la compagnia di Liam comprendeva clausole simili.

«Ovvio!» sbuffò a quel punto Zayn, accasciandosi sulla sedia. Era bastata quella reazione per fargli capire di avere a che fare con due pazzi furiosi e una povera vittima inconsapevole, innocente quanto lui. Vagliò in fretta le varie possibilità che lo avrebbero potuto attendere e in breve poté giungere alla conclusione che tutte portavano allo stesso identico risultato: sarebbe successo un casino.

 

 

 

 
Buongiorno!
Parto con lo chiedere scusa per non aver risposto alle recensioni allo scorso capitolo, lo farò domani, promesso!
 
Prima di passare ad un commento sul capitolo, voglio ringraziare tutti voi che mi state dando fiducia e vi siete avventurati nella lettura. In particolare spupazzo virtualmente Flà, perché se lo merita sempre, perché è fin troppo gentile con me e pare aspettasse questo capitolo. :3
Poi – yay! - spupazzo anche Jun, che non mi aspettavo passasse a leggere questa storia, e ieri mi ha fatto gongolare da matti con i suoi tweet! Non hai idea di quanto mi abbia fatto piacere sapere che tu abbia letto. :3
 
Okay, ehm, ora passiamo al capitolo. Cosa succede qui? Be', tutto e niente. Abbiamo la comparsa di Norah (che personalmente mi piace molto, nella sua normalità), abbiamo Niall che arrossisce ogni due per tre (o tre per due?), abbiamo una Ruth rassegnata, uno Zayn sempre più vicino a strapparsi i capelli per la disperazione e poi Liam. Io... ho un problema con Liam. Ho un problema perché mentre scrivo di lui, mi viene voglia di strizzargli le guance e chiedergli se sa di essere scemo da paura. Questo però non dovrei dirlo, perché altrimenti passo davvero per scema.
Mi sarebbe piaciuto riuscire a spiegare meglio in questo capitolo le reazioni di Liam di fronte a Dixie, ma, dannazione, non ci sono riuscita. Sperando di farcela nelle prossime puntate (?), provo a darvi questa chiave interpretativa:
• Liam è fondamentalmente tonto. Gentile, cortese, impacciato, goffo.
• Dixie è schietta. È arguta, noncurante e dice tutto quello che pensa, anche a costo di essere scortese; è sincera fino allo stremo. Come Liam ha notato – cosa che conferma il fatto che non sia poi stupido come sembra, in fondo – sembra che Dixie venga da un altro pianeta: vive in un mondo tutto suo. Credo – spero – che la cosa si noti quando va in giro da sola ed entra da Starbucks: tutto ciò che pensa è legato ai suoi hobby, persino inquadra le persone in base agli stereotipi dei personaggi delle fanfiction. Questo non significa che sia stupida: è acuta e intuitiva, ma vive nel suo mondo, distaccata dalla realtà. In parte questo la aiuta nel suo essere sempre sincera e incurante del giudizio altrui.
Non so se si nota, ma tengo un sacco a lei. XD
Basta, ora smetto. La logorrea che avete appena notato è dovuta al ciclo, giusto perché lo sappiate: questo supplizio non vi toccherà ad ogni aggiornamento. XD
 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto almeno un po'. Alla prossima! :)

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Capitolo 4
*** Scortesie per gli ospiti (da parte degli ospiti) ***


Nota: Prima di lasciarvi alla lettura, vorrei specificare che nella seconda metà del capitolo troverete una conversazione in chat tra alcuni personaggi. Ci tengo a sottolineare che ci ho pensato un sacco, prima di decidermi a postarla così; ho cercato di fare del mio meglio per rendere la cosa meno noiosa, inserendo anche delle parti di narrazione. Inoltre le emoticon, le maiuscole e la punteggiatura mancanti (all'interno della chat) sono errori voluti, per caratterizzare il modo di scrivere dei vari personaggi e definire ulteriormente le loro personalità. 
In caso qualcuno non lo sappia, premetto che "rotfl" e "asd" sono due sinonimi di "LOL". "Asd" indica una risata gongolante o serafica, mentre "rotfl" è un acronimo di "Rolling on the floor laughing" ("rotolo sul pavimento ridendo"). Così, giusto per essere chiari. :) (Thank you, my dear Wikipedia! ♥)
Bene, buona lettura! Ci vediamo in fondo! :)




 

Capitolo 4

Scortesie per gli ospiti (da parte degli ospiti)


 

Un'imprecazione colorita in un marcato accento irlandese rimbalzò tra le pareti dell'appartamento un po' troppo spoglio, seguita dalla risata di scherno di un altro appassionato di calcio.
Niall Horan era un ragazzo autoironico e positivo, ma questo non gli impedì di bersagliare il suo carissimo amico Louis con un'occhiata truce e una serie di improperi.
Avere Louis Tomlinson a portata d'orecchio durante una partita importante che il Derby stava miseramente perdendo era una disavventura che non avrebbe augurato a nessun tifoso, nemmeno a quell'idiota che gli aveva versato una birra addosso l'ultima volta che aveva guardato un incontro al bar.
Poco importava che, secondo Zayn, Louis fosse così petulante solo con loro due, Niall quel giorno sopportava la sua presenza anche meno del solito. Il fatto che fosse stato invitato a vedere la partita con loro per pura codardia, infatti, aumentava anche il disagio causato dalla sua irritante mania di sfottere il Derby e tutti i suoi tifosi – specialmente Niall.
Era chiaro come il sole che Liam e Zayn lo avessero invitato solo per evitare di parlare di ciò che era successo quel giovedì sera, quando Niall aveva fatto il suo puntualmente ritardatario ingresso al pub, trovando Dixie e Ruth in compagnia dei suoi migliori amici.
Non ci sarebbe stato nulla di strano in proposito, se solo lui non avesse trascorso gli ultimi quattordici mesi a tenere le ragazze lontane dai ragazzi, che di tanto in tanto chiedevano di loro. Non perché Niall fosse un tipo geloso, affatto – be', non per quanto riguardava gli amici, per lo meno; insicuro, piuttosto. Viveva nel timore che, essendo circondato da persone fantastiche, se queste si fossero incontrate lui avrebbe finito per non poter reggere il confronto.
Questa naturalmente era una di quelle cose che non avrebbe mai detto ad alta voce, ma anche una delle paura che lo avevano spinto a non lasciare mai che le ragazze e i ragazzi si incontrassero. Quando Dixie lo aveva salutato agitando una mano e accolto con un «Ho scoperto che il mio stalker è amico tuo!», si era sentito un immenso idiota e non aveva osato aprire bocca per lamentarsi, troppo impegnato a cercare di mettere insieme i pezzi del puzzle: come si erano conosciuti? Cosa ci facevano lì?
Qualche risposta gli era arrivata, durante la serata: aveva capito che il tizio che pedinava Dixie altri non era che quello zuccone di Liam e che Zayn l'aveva conosciuta quando era andata a parlarle per evitare che denunciasse il loro amico per stalking. Aveva scoperto che Dixie aveva organizzato quell'uscita con loro due all'insaputa di Ruth, che, più o meno, ne sapeva quanto Niall di tutta la situazione – “più o meno”, aveva rettificato Dixie, guadagnandosi ad un'occhiataccia da parte di Zayn e Ruth.
Alla fine, almeno a se stesso doveva ammetterlo, si era persino divertito. Ci aveva messo un po' a combattere il disagio che aveva accompagnato l'inaspettata scoperta, ma poi, quando si era accorto che, Dixie a parte, nessuno monopolizzava l'attenzione, si era sentito rincuorato. A dire il vero nemmeno Dixie era stata il centro dell'attenzione, quella sera – non di tutto, per lo meno: era chiaro, infatti, che Zayn avesse imparato in fretta ad ignorare le sue freddure e a liquidare le sue domande apparentemente – e non – inopportune con poche parole ed un'occhiata scettica. Proprio come Ruth faceva da anni.
Certo, non si poteva dire lo stesso di Liam: ogni volta che Dixie interrompeva la conversazione per rendere nota una delle sue considerazioni fuori dagli schermi, lui ci rimaneva di sasso; non tanto interrogandosi sulla plausibilità di ciò che aveva detto, sembrava piuttosto chiedersi da dove le nascessero certi pensieri.
E, okay, si era divertito Niall, ma non l'avrebbe mai ammesso. Forse il fatto che avesse pianto dal ridere e lo avessero dovuto accompagnare a casa sbronzo erano segnali eloquenti della sua approvazione verso quel giovedì sera diverso dal solito, ma c'erano comunque un sacco di cose di cui avrebbe voluto parlare ai ragazzi, un sacco di domande a cui non poteva dare risposta per via di Louis. Voleva capire perché si fossero incontrati senza di lui; era troppo strano perché fosse davvero tutta una coincidenza come aveva cercato di fargli credere Zayn e per di più la faccenda gli puzzava: perché, altrimenti, Liam e le ragazze avrebbero lasciato parlare lui? Perché Dixie, la schiettezza personificata, non aveva messo becco nella questione, se non per rifilare frecciatine a Liam?
Inoltre anche solo il fatto che avessero invitato Louis a vedere la partita bastava ad insospettirlo.
Sbuffò, quindi, palesando la sua inquietudine.
Liam si grattò un braccio, a disagio, mentre Zayn alzava gli occhi al cielo. Niall capì che stava per dire qualcosa, ma non poté scoprire cosa, perché Louis lo precedette: «Avete presente la commessa dello Starbucks sulla Queenway?» domandò, sfoggiando un sorrisetto impertinente dei soliti.
Niall sospirò e «Sì» rispose. Mentre tornava a guardare la partita, decise di aggiungere un aneddoto interessante per ricordare a Liam e Zayn che il discorso “giovedì sera” non era affatto chiuso: «Carina, eh? Cerca sempre di rifilare un frappuccino invece del caffè a Dixie».
A quelle parole Liam sobbalzò, rivolgendo un'occhiata preoccupata a Zayn, che dal canto suo stette ben attento ad evitare il suo sguardo, impassibile nella sua esasperazione: avrebbe dovuto smettere di pensare a quella faccenda.
«Ah sì?» squittì, poi per darsi un tono si schiarì la voce. «E come si chiama?» aggiunse in tono più tranquillo. Non era possibile che avessero sbagliato cameriera, no? Anche perché nessuno, prima di Dixie, aveva mai parlato di una cameriera. Eppure Niall l'aveva definita carina. Doveva forse cambiare i piani? Niente più Noreen, né Norah? Era la ragazza di Starbucks, ora, quella da spingere tra le sue braccia?
L'irlandese scrollò le spalle con disinteresse. Si protese in avanti, posando gli avambracci sulle ginocchia, e «Boh» grugnì, di nuovo concentrato sulla partita.
«Eleanor» rispose invece Louis, compiaciuto. «Sono riuscito a farmi dare il suo numero proprio qualche giorno fa. In pratica...».
«Ah, tipo giovedì?» lo interruppe Niall in un tono ironico che allarmò non poco il povero Liam. Era così impegnato a preoccuparsi e a studiare un nuovo piano per poter incontrare di nuovo Dixie, che non si accorse che la vena acida del suo amico era rivolta a lui e Zayn, non a Louis e alla sua nuova conquista.
Oh, un attimo, si corresse mentalmente: anche Ruth; dovevano incontrare Dixie e Ruth. A scopo puramente tecnico: dovevano aggiornare i piani e la tabella di marcia – della quale per il momento non c'era traccia alcuna. Perché, insomma, non aveva alcun motivo di voler incontrare Dixie. Era una ragazza strana, troppo strana per i suoi standard. Non che Liam avesse degli standard, ma se anche ne avesse avuti, lei sarebbe stata fuori dai suoi schemi. Era una persona così eccentrica come non ne aveva mai incontrate prima, lo disorientava e dava parecchio filo da torcere al suo spirito empatico. Perché era sempre stato un tipo empatico, anche se Zayn definiva la sua empatia difettosa: coglieva le emozioni altrui, sì, ma le interpretava sempre nel modo sbagliato. Aveva a cuore i sentimenti delle persone, aveva sempre cercato di fare del suo meglio per aiutarle, rendersi utile, farle sentire meglio. Era quello il motivo per cui voleva a tutti i costi trovare una ragazza a Niall: il suo amico si sentiva sempre così inopportuno e al di sotto degli standard di tutte, che non si rendeva conto della persona fantastica che effettivamente era. Era troppo impegnato a sentirsi inutile per accorgersi di avere tutte le carte in regola: era divertente, spontaneo e sincero; non sapeva mentire nemmeno quando era necessario; era goffo e un po' imbranato, ma premuroso, estroverso, dolce e affettuoso.
Be', almeno credeva lo fosse, perché, sia chiaro, a lui non importava sperimentare il lato dolce e affettuoso di un suo amico, quello lo lasciava alle ragazze.
Checché ne dicesse Zayn, Liam si era ficcato in quella situazione solo per fare del bene a Niall, che da solo non si sarebbe mai dato una mossa. Era sicuro di star facendo la cosa giusta, motivo per cui non sarebbe tornato sui propri passi, nonostante tutte le proteste del suo migliore amico.
D'altro canto, invece, non aveva la minima idea di cosa spingesse Dixie ad appoggiare quella che Zayn si ostinava a definire una follia. Lo aveva detto, quel pomeriggio, mascherando il tutto con freddure e citazioni, ma Liam non riusciva a capirlo. Aveva una voglia matta di chiedere a Zayn cosa significcasse che “una fangirl è sempre pronta per shippare un nuovo pairing”, ma non aveva ancora trovato il momento giusto, visto che ultimamente il suo coinquilino si portava gli appunti anche a tavola, al gabinetto e a letto – e venivano ficcati in malo modo sotto al cuscino quando gli occhi non stavano più aperti.
Così, mentre Liam partiva per la tangente assieme ai suoi pensieri, Louis rispose sorpreso: «Sì, tipo giovedì. Come lo sai? Mi spii, per caso?»
Niall ridacchiò, scuotendo il capo: «Non oserei mai, Tommo. Giovedì è stata una giornata piena di novità, pare».
Zayn sogghignò, senza però rispondere; era divertente vedere un Niall Horan così acido, specie perché non lo era mai, nemmeno quando il loro amico Tomlinson calcava un po' troppo la mano con le prese in giro. Doveva proprio esserci rimasto male, quando si erano autoinvitati alla sua cena del giovedì al pub con le ragazze. Assurdo.
«Ma davvero?» Louis si illuminò: aveva già in mente la battutina seguente con cui punire il povero Niall per aver interrotto il suo racconto riguardante Eleanor, la cameriera carina dello Starbucks sulla Queensway. «Il Derby ha, tipo, vinto una partita giovedì?» lo sfidò, pungente.
Zayn si lasciò sfuggire una risata a quel punto, mentre Niall iniziava a recitare una serie di imprecazioni a mezza voce, che poco dopo Louis si premurò di definire “tipiche, per un irlandese”.

«Senti, Nialler...»
Niall drizzò le orecchie e alzò la guardia, quando Liam parlò. Aveva usato il suo tipico tono da “so che stai per arrabbiarti”, un tono che anche dopo una pizza, una pinta, l'insperata vittoria del Derby e l'uscita di scena di Louis gli faceva venire voglia di arrabbiarsi a prescindere da tutto. «Sì?» domandò dunque, già sulla difensiva.
Lo sguardo di Zayn si staccò dagli appunti che stava sfogliando, per seguire quello di Niall verso Liam, curioso e, soprattutto, sospettoso.
«Be', mi chiedevo, visto che ormai abbiamo conosciuto le tue amiche, non è che si potrebbe...» si bloccò a metà frase, timoroso della reazione dell'altro e intimidito dal suo sguardo diffidente. Da quando Niall era diffidente? E perché Zayn lo fissava con quell'aria divertita – non aveva da studiare lui?
«Cosa?»
Perché quel tono brusco? Che aveva fatto di male? Aveva semplicemente avuto un'idea! «Uscire tutti insieme» concluse infine. Di fronte all'espresione accigliata di Niall, tuttavia, si affrettò ad aggiungere: «Una volta o l'altra. Se vuoi. Ma anche no, ecco, è solo un'idea. Forse una pessima idea. Anzi, sicuramente: non so nemmeno perché l'ho detto, ecco».
La risatina nervosa di Liam, le sopracciglia di Niall sempre più aggrottate, poi Zayn scoppiò a ridere di cuore, accasciandosi sul tavolo della cucina.
«Zayn?»
«Liam ha una cotta per Dixie!»
«Cosa? Non è vero!»
«Sì, che è vero!»
«No, non è vero!»
«Oh, andiamo, ma se non le hai tolto gli occhi di dosso un attimo...»
«Questa è una bugia!»
«Liam!»
«Solo... Solo... Solo perché è bizzarra! La stavo ascoltando, niente di più».
«Naturalmente».
«Non essere sarcastico!»
«Non essere stupido, allora».
«Zayn!»
«Liam!»
Niall osservava la scena con un sopracciglio inarcato e un sorrisetto divertito in volto. Aveva provato, in un primo momento, a rimanere serio, ma non era affatto semplice quando Liam arrossiva e boccheggiava, mentre Zayn pilotava tutto soddisfatto un battibecco da undicenni alle prese con la prima cotta, quella che non si vuole ammettere per nessuna ragione al mondo perché, andiamo, sono femmine e che schifo. Rimase ad ascoltarli per un po', in silenzio, beandosi di quella scena ridicola finché non riuscì più a trattenere le risate. A quel punto scoppiò fragorosamente come sempre, attirando gli sguardi degli altri due; Zayn sorrideva compiaciuto e Liam sembrava desiderare di venire inghiottito dal pavimento, rosso come un pomodoro.
«D'accordo, d'accordo» accettò infine, quando si fu calmato. Come poteva, dopo tutto, negare qualcosa a Liam Payne con il suo adorabile broncio infantile, sapendo inoltre che si era preso una sbandata per la sua amica? Nemmeno Louis Tomlinson e il suo cinismo sarebbero stati in grado di dirgli che, no, non avrebbero permesso che Liam vedesse di nuovo Dixie. «Ma alle mie condizioni».
Liam rimase in silenzio per un po', cercando di non suonare troppo entusiasta per la piccola vittoria ottenuta, ma i suoi occhi parlavano per lui a chi lo conosceva bene. «Quali condizioni?» domandò infine, quando decise di essere stato in silenzio abbastanza a lungo da simulare disinteresse.
Niall scambiò un'occhiata divertita con Zayn, che come lui credeva poco alla nonchalance di Liam, poi decretò, contando sulla punta delle dita: «Punto primo: sarò io a parlarne con le ragazze» e questo, lo sapeva, era pura questione di puntiglio. In quanto amico comune, voleva essere lui a fare da tramite tra i due gruppi, anche perché in cuor suo ancora temeva di venire esclissato dal carisma altrui. Per lo stesso motivo, aggiunse anche il «Punto secondo: verrete a casa mia. L'ultima cosa di cui ho voglia è passarvi a prendere in macchina e aspettare secoli che siate pronti a uscire».
Liam si accigliò: «Perché dovresti aspettare che noi ci prepariamo? Noi siamo uomini» osservò, il labbro inferiore spinto leggermente fuori e le sopracciglia aggrottate. Molto virile, in effetti.
Era lampante che non conoscessero bene Ruth e Dixie: non erano il tipo di ragazze che si specchiavano mezz'ora e si impegnavano per sembrare sempre carine e impeccabili. Soprattutto Dixie. Soprattutto quando la aspettava una serata a casa di amici – di Niall. «Fidati di me».
Se le ragazze facevano tardi, la colpa era sicuramente di Dixie e di un episodio di qualche serie TV di cui doveva proprio vedere la fine o di qualche nuova fanfiction appena scoperta che l'aveva assorbita completamente. In alternativa, anche se succedeva di rado, era probabile che Asterix fosse scappato o Babs avesse distrutto qualcosa di importante – tipo un'altra delle action figures di Dixie.
«Perché non va bene qui, allora?» domandò invece Zayn.
«Voi avete la Wii».
«E allora?»
«Ottima domanda, chiedi a Dixie, quando ti capita» tagliò corto; abbozzò un sorrisetto, sapendo quale sarebbe stata la risposta a quel quesito, poi continuò il suo elenco: «Punto terzo: voglio sapere che cosa ci facevate al pub con loro giovedì sera» proclamò, guardando prima uno e poi l'altro con serietà.
E a quel punto Liam sbiancò e fece aderire la schiena allo schienale della sedia, come se volesse mettere più distanza possibile tra sé e Niall.
Zayn, invece, sbuffò: «Volevamo dimostrare a Dixie che Liam non è un maniaco, te l'ho detto» rispose semplicità.
«E Ruth?»
«Non è che potessi obbligarla a venire da sola, no?»
«E tu, Liam, perché la seguivi?»
Il diretto interessato arrossì nuovamente. «Non la stavo seguendo!» guaì, messo con le spalle al muro. Sembrava proprio che nessuno volesse credere alla sua innocenza, nemmeno uno dei suoi migliori amici. «Io, ehm...» Non sapeva come rispondere, tuttavia; non senza ammettere di star ficcando il naso negli affari altrui.
Fu Zayn a soccorrerlo, suggerendogli spassionatamente: «Digli del telefono, avanti».
Niall si accigliò. «Telefono?»
«Io, ehm, potrei aver spiato la tua rubrica per scoprire che faccia avesse Dixie» sputò tutto d'un fiato, sempre più a disagio e rosso in volto.
«Tu cosa?» abbaiò allora Niall, incredulo e piuttosto offeso da quella rivelazione. Da quando il responsabile ed educato Liam Payne si prendeva certe libertà? Okay, capitava spesso che gli rubasse il cellulare per scrivere frasi idiote a suo nome su Facebook, ma non pensava potesse arrivare a ficcanasare nei suoi affari. «Come diavolo ti è venuto in mente?»
Liam spalancò la bocca, non sapendo bene come giustificare il proprio gesto sconsiderato. Santo cielo, solo in quel momento si rendeva conto di quanto fosse stupido ciò che aveva fatto. E irrispettoso, anche. Oh, cielo. «Io, insomma... Scusami, è che...»
«Oh, dai, era solo curioso» intervenne Zayn, cercando di minimizzare la faccenda. «Ne hai sempre parlato con tanta segretezza, nemmeno la loro identità fosse un segreto di stato, che era ovvio che prima o poi qualcuno avrebbe cercato di scoprire qualcosa di più».
Se quella prima parte del racconto era vera, sotto un certo punto di vista – Liam aveva spiato il cellulare di Niall per scoprire l'identità di Dixie e poterla trovare a scuola –, giungeva però a quel punto il momento delle menzogne, in cui qualcuno doveva giustificare il suo pseudo-stalking nei confronti della ragazza, senza rivelare quanto fosse idiota Liam – non che Niall non lo sapesse, ma era compito di Zayn, in quanto migliore amico, cercare di salvaguardare quel minimo di rispettabilità che ancora conservava. E, be', sapeva di non poter prentendere che Liam-Boy-Scout-Payne mentisse. «Mi ha accompagnato in facoltà un giorno, l'ha vista e ha cercato di attaccare bottone. Chiaramente è un imbranato, per cui lei l'ha liquidato in due secondi».
«Hey!» protestò il diretto interessato, imbronciandosi ancora di più.
Zayn gli rivolse un'occhiata divertita, per poi continuare. «Sai che è caparbio, no?»
«Zuccone» lo corresse Niall contrariato, mentre Liam si accasciava un po' sul tavolo, come a nascondersi.
«Entrambe le cose» gli concesse il primo. «Quindi è tornato qualche altra volta, ma lei l'ha evitato. E infine c'è stato l'equivoco al supermercato... ma questo già lo sai».
Calò il silenzio nella spoglia cucina di quell'appartemento un po' troppo vuoto. Un silenzio che pesava da morire sulle spalle di Liam, il quale si spalmava sempre di più, secondo dopo secondo, sul tavolo. Zayn sosteneva lo sguardo di Niall, mentre questi rifletteva sulla plausibilità del racconto.
I conti tornavano quasi del tutto; il tutto era così assurdo che non potevano che essere vero. Liam aveva insistito un po' troppo, Dixie aveva frainteso e, come sempre, esagerato. Tutto quadrava. Per di più, strano ma vero, sembrava che Greg ci avesse visto giusto: il maniaco non era un maniaco, ma solo un ragazzo che ci stava provando con Dixie. Assurdo.
«D'accordo» accettò Niall infine, dopo aver respirato a fondo per fare ulteriore chiarezza in mente. «Domani ne parlo con loro e poi vi faccio sapere».


Il trillo sommesso che annunciava un nuovo messaggio ricevuto in chat dovette ripetersi almeno sei volte, prima che Dixie se ne accorgesse. Anche a questo punto, tuttavia, la ragazza evitò di cliccare sull'icona di Skype e aprire la conversazione, troppo presa dalla lettura di un'intervista ad uno degli attori protagonisti della sua serie preferita, di cui stavano finalmente registrando una nuova stagione.
Il rumore risuonò altre volte ancora, prima che Dixie, spazientita, si decidesse a cliccare sull'icona e a leggere, dopo uno sbuffo, ciò che Niall e Ruth – stesa sul letto in camera propria – sentivano il bisogno di comunicarle con così tanta urgenza.

15:23 Niall Horan: avete visto la partita del Derby ieri?

Dixie alzò gli occhi al soffitto: stavano davvero parlando di calcio? Sbuffò e – blablabla – fece scorrere la conversazione verso il basso senza leggere nulla, finché il suo sguardo non cadde sul proprio nome scritto circa... venti volte? Controllò le battute inviate prima di quella sfilza di “Dixieeee”, dunque:

15:29 Niall Horan: i ragazzi mi hanno chiesto di organizzare una serata tutti insieme...

15:29 Niall Horan: voi che ne dite?

15:29 Niall Horan: se non volete, non è un problema, se ne faranno una ragione

15:29 Ruth Hawks: Mmm...

15:30 Ruth Hawks: Non credo ci siano problemi. :)

15:30 Ruth Hawks: Che ne dici, Dixie?

15:31 Niall Horan: …

15:31 Niall Horan: Dixie?

15:31 Ruth Hawks: Dixieeeee!

Dixie, Dixie, Dixie, blablabla, il suo nome scritto ventimila volte, le lamentele dei suoi adorabili amici a proposito della sua mancata risposta. Come se fosse colpa sua se aveva trovato quell'intervista solo in quel momento. Alzò di nuovo gli occhi al soffitto, poi si sistemò gli occhiali sul naso e tornò a leggere, saltando però una ventina di righe:

15:37 Niall Horan: ahaha è la solita! Lol

15:37 Niall Horan: ma è al computer?

15:37 Ruth Hawks: Ovvio che è al computer.

15:37 Ruth Hawks: È sempre al computer!

15:38 Niall Horan: ahahahahahahah

15:38 Niall Horan: DIXIEEEEEEEEEEEEEEEEE

15:38 Niall Horan: DDDDIIIIIIIIIIIIXXXXXXXXXXXXXXXXXXXIIIIIIIIEEEEEEEEE

15:41 Niall Horan: Dixie, guarda, c'è uno Hobbit!

15:43 Ruth Hawks: ...

15:44 Ruth Hawks: Niente, eh?

15:44 Ruth Hawks: Non attacca, peccato: è stata un'idea davvero brillante.xD

15:45 Niall Horan: lol cosa cavolo sta facendo?

15:45 Ruth Hawks: Legge?

15:46 Niall Horan: legge sempre, quella.

15:48 Dixie V. Skywalker: Qualcuno vi ha mai fatto notare quanto siete petulanti?

15:48 Niall Horan: dixie si può sapere dove diavolo ti sei cacciata? Ruth vai a chiamarla, fa' qualcosa!

15:48 Niall Horan: Oh, ciao Dixie!

15:49 Dixie V. Skywalker: Ripeto: sei petulante.

15:49 Niall Horan: non è vero!

15:49 Niall Horan: ci sei per una serata con i ragazzi, Dixie?

15:50 Dixie V. Skywalker: Dovreste smettere di nominarmi: sciupate il mio nome.


Dixie udì la risata di Ruth proveniente dalla stanza accanto e non poté fare a meno di sorridere compiaciuta.
Mentre Niall già stava digitando la sua protesta all'ennesima mancata risposta, rifletté rapidamente sulla proposta fatta loro e scoprì, con non poca sorpresa, di non essere solo d'accordo, ma di averne addirittura voglia. Una minuscola parte di lei aveva captato qualcosa di interessante in Zayn e Liam. Si era divertita il giovedì precedente e quasi desiderava poter tornare a prendere in giro Liam “Il Maniaco” Payne, che ogni volta non capiva lo scherzo o si imbronciava, rimastoci male, e cercare di tirar fuori il lato da fanboy di Zayn “Bitch Please” Malik – perché Dixie era assolutamente certa che ne avesse uno e voleva a tutti i costi vederlo: non era possibile che fosse così impagliato.
Non lesse nemmeno le proteste dei suoi amici, ma digitò il suo responso:

15:52 Dixie V. Skywalker: Ci sto. Dove/come/quando?

15:53 Niall Horan: davvero?

15:53 Dixie V. Skywalker: No, ovviamente scherzavo. Per chi mi hai presa?

15:53 Niall Horan: Sabato sera da me? Sarà come una serata delle nostre.

15:53 Niall Horan: no, aspetta, quindi sì o no?

15:53 Dixie V. Skywalker: Secondo te? :rotfl:

15:53 Ruth Hawks: Sì, Niall, sì! V. stava solo scherzando!

15:54 Dixie V. Skywalker: …

15:54 Ruth Hawks: Che c'è?

15:54 Dixie V. Skywalker: Lo sai benissimo che c'è.

15:54 Ruth Hawks: Se lo sapessi non chiederei, non ti pare?

15:55 Dixie V. Skywalker: Da quando mi chiami “V.”?

15:55 Ruth Hawks: Era per non sciupare il tuo nome, ovviamente. ;)

15:55 Dixie V. Skywalker: …

15:56 Ruth Hawks: Pizza, film e videogiochi, quindi Niall?

15:56 Dixie V. Skywalker: …

15:57 Niall Horan: ahahahahahahah!!! sìsì

15:57 Dixie V. Skywalker: …

15:57 Ruth Hawks: SMETTILA!

15:57 Dixie V. Skywalker: …

Dixie rise, vedendo Ruth digitare qualcosa dopo la sua ennesima serie di puntini di sospensione. Adorava farla innervosire, ma, per non calcare troppo la mano, si affrettò ad aggiungere la sua conferma:

15:58 Dixie V. Skywalker: Questa volta porto Kingdom Hearts, Metal Slug mi ha rotto! E cerca di ordinare una pizza decente, una volta tanto.

Ruth cancellò il messaggio appena digitato e l'amica la sentì gridare dalla stanza accanto: «Ti sei salvata in corner!»
Ridacchiò, poi tornò alla chat e all'organizzazione di quel sabato di sera, che, se da un lato non sarebbe stato diverso dai soliti, dall'altro sarebbe stato profondamente differente. Non sarebbero stati solo loro tre, quando qualche eventuale comparsa di Greg, ci sarebbero stati anche gli amici di Niall.
Lei e Ruth ne avevano parlato proprio quel giorno a pranzo: “i ragazzi”, come li chiamava lui, erano sempre stati una sorta di leggenda metropolitana per loro; ne sentivano parlasse spessissimo, ma non li avevano mai visti né incontrati, non sapendo di chi si trattasse, per lo meno. Per un certo periodo, all'inizio, avevano addirittura pensato che non esistessero un Liam o uno Zayn, che fossero solo bugie che Niall raccontava per non passare per uno sfigato – ed era stata un'idea di Dixie, naturalmente. Non ci era voluto molto perché loro capissero che Niall non sapeva mentire, comunque, e allora intuirono che il loro amico preferiva tenere i gruppi separati e nient'altro. Dunque non avevano mai insistito.
Il giovedì precedente avevano entrambe, comunque, avuto l'impressione che Niall non fosse molto felice del loro incontro, motivo per cui non avevano neanche pensato di mantenere i contatti con i ragazzi al di fuori della loro missione ai danni – ehm, in favore – di Niall.
Dixie era di natura curiosa, motivo per cui, anche se Ruth le aveva caldamente sconsigliato di farlo, quel pomeriggio domandò a Niall cosa l'avesse spinto a organizzare quella serata. Nessuno si stupì quando lui ammise che l'idea era stata di Liam. E Dixie si ritrovò a nascondere un sorrisetto compiaciuto, per qualche assurdo motivo sul quale non si interrogò nemmeno un istante.

16:41 Dixie V. Skywalker: Si può sapere perché sei fuggito in quel modo dal McDonald la settimana scorsa, allora?

16:42 Niall Horan: Ehm

16:42 Niall Horan: c'erano i ragazzi.

16:42 Dixie V. Skywalker: Questo lo abbiamo notato.

16:43 Niall Horan: Liam mi assillava da una settimana con 'sta faccenda di

16:43 Niall Horan: be', di una ragazza.

16:43 Niall Horan: credevo che la prendesse per una di voi due e si facesse strane idee

16:43 Dixie V. Skywalker: Quale ragazza???

16:43 Ruth Hawks: Già, quale ragazza?

16:43 Niall Horan: E ha chiesto di voi infinite volte nelle ultime settimane

16:44 Dixie V. Skywalker: Ottimo tentativo di sviare il discorso, Niall, ma non attacca.

Specie perché le ragazze sapevano benissimo per quale motivo Liam avesse chiesto al suo amico di loro.

16:44 Niall Horan: be', ehm... Norah

16:44 Niall Horan: ma non fatevi strane idee!

16:45 Niall Horan: qualche tempo fa io, Liam e Harry parlavamo di ragazze e stavano insinuando che io fossi passato all'altra sponda. Così ho ammesso che una bottarella a Norah la darei

16:45 Niall Horan: ahahahahahahah

16:46 Dixie V. Skywalker: Quindi ti piace Norah?

16:46 Niall Horan: non è che mi piaccia, ho solo detto che è carina e un pensierino ci si fa! :$

16:46 Dixie V. Skywalker: Sì, ma ti piace o no?

16:47 Niall Horan: ma che domada è?!

16:47 Dixie V. Skywalker: Una normalissima!

16:47 Ruth Hawks: Dai, Dixie, smettila

16:47 Ruth Hawks: sono affari suoi, dopo tutto.

16:48 Niall Horan: Ecco, sono affari miei!!!

16:48 Dixie V. Skywalker: Insomma, ti piace e avevi paura che Liam ce lo dicesse, non è così?

16:48 Niall Horan: Cosa?! No!!!

16:48 Dixie V. Skywalker: Sì, invece, e lo sai anche tu.

16:48 Dixie V. Skywalker: Perché non ce l'hai detto? >.>

16:50 Niall Horan: perché tu sei impicciona esattamente quanto Liam, ecco perché.

16:50 Niall Horan: e avresti ficcato il naso, fatto domande scomode e mi avresti messo di fronte a lei.

16:50 Niall Horan: so che lo farai, ora che lo sai.

16:51 Dixie V. Skywalker: Touché. :asd:

16:51 Niall Horan: eh??

16:51 Ruth Hawks: Dixie!! o_o'

16:51 Dixie V. Skywalker: Niente, niente: a volte dimentico che non sei scemo come Babs. :asdasd:

16:51 Dixie V. Skywalker: Comunque, sei un imbecille, Niall.

16:52 Ruth Hawks: Dixie! Non essere scortese!

16:52 Dixie V. Skywalker: Avresti dovuto dircelo! Tanto in un modo o nell'altro l'avremmo scoperto.

16:52 Niall Horan: lol forse hai ragione

16:52 Dixie V. Skywalker: Giusto, Ruth. Niall, scusami.

16:52 Niall Horan: Figurati lol

16:53 Dixie V. Skywalker: ...

16:53 Dixie V. Skywalker: Niall, posso dirti una cosa?

16:54 Niall Horan: Cosa?

16:54 Dixie V. Skywalker: Sei un imbecille.

E fu così che, quasi per caso, le ragazze ebbero la conferma di ciò che Liam aveva solo intuito: Niall aveva davvero una cotta per Norah e, come al solito, Dixie aveva compreso i suoi comportamenti meglio di chiunque altro.
Ruth, stesa sul letto nella propria camera, fissava distrattamente lo schermo del PC con un sorrisetto storto dal sapore amaro in volto. Avrebbe voluto che Dixie quella volta si fosse fatta gli affari suoi. Non ci voleva la sua sorprendente intuitività, e tantomeno le ricerche di quel Liam, per capire che Niall aveva una cotta per Norah. Erano secoli che lei se ne era accorta, ma faceva finta di niente, illudendosi scioccamente che fosse una cosa passeggera. Magari lo era, ma ora che Dixie e Liam si erano fissati su quella faccenda non poteva più sperare che tra i due non succedesse nulla, non poteva più fare affidamente sulla loro timidezza.
Sbuffò. Tolse gli occhiali e stopricciò stancamente gli occhi, chiedendosi per quale motivo se la prendesse così tanto. Rimandò dunque per l'ennesima volta il momento in cui avrebbe ammesso a se stessa i propri sentimenti per Niall e si alzò dal letto per indossare degli shorts e una felpa.
«Vado a correre!» gridò, poi, chiudendo il portatile senza nemmeno disconnettersi o salutare.
«D'accordo, cerca di non morire assiderata!» le rispose la voce di Dixie da dietro la porta socchiusa.
Sorrise; la sua amica aveva un modo tutto suo di preoccuparsi per lei. «E tu studia!» si raccomandò. Al contrario dell'altra, Ruth non aveva alcun problema a far vedere quanto ci tenesse all'amica e a romperle le scatole con le proprie raccomandazioni, i rimproveri e i tentativi di portarla con sé a fare attività fisica.
«Certo, certo, ora stacco» fu la disinteressata risposta di Dixie.
Così Ruth alzò gli occhi al cielo, recuperò l'iPod sulla scrivania, salutò Asterix con un paio di carezze e un bacio sulla testa, poi, lasciandolo steso sul divano a grugnire scontento, uscì di casa con gli auricolari nelle orecchie.

Nel frattempo, nella chat di Skype:

17:02 Dixie V. Skywalker: Ruth è completamente fuori di testa.

17:02 Niall Horan: Perché, che ha fatto?

17:02 Dixie V. Skywalker: È appena uscita a correre. Con questo freddo! Ti rendi conto?

17:03 Niall Horan: Ti hanno mai fatto notare quanto tu sia dannatamente pigra?

17:03 Dixie V. Skywalker: … touché.







Hiyaaa!
Rieccomi, dopo un po' di tempo. Be', che dire... altra carne al fuoco?
Mi fa piacere vedere che qualcuno mi segue e che continuate a darmi fiducia, mi fa un sacco piacere, non so come ringraziarvi. :)
Poi, ecco, visto che l'ho fatto volevo mostrarvi questo:



D'altra parte non mi piace, per cui non lo inserirò. XD

Spero che il capitolo vi sia piaciuto, comunque. :) Questo era quello in cui - palesemente - avevo meno cose da far succedere. I prossimi spero siano migliori. ^^

 

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Capitolo 5
*** Fangirlando col Disnerd ***


*Disnerd è il "nerd Disney". Ci sono rimasta malissimo scoprendo che anche i membri di quel fandom hanno un nome, ma poi mi ci sono affezionata e... be', "Fangirlando col disnerd" è il titolo del capitolo. :)



 
Capitolo 5
Fangirlando col disnerd
 
 
Greg Horan era sempre stato una persona razionale. Al contrario del fratello, raramente si faceva prendere dal panico o dall'emozione del momento; era un tipo riflessivo. Analizzava bene i pro e i contro prima di prendere una decisione, ragionava sulle cause e sugli effetti delle proprie azioni e non esagerava quasi mai.
Ecco perché, quando Niall alle due del pomeriggio di quel sabato si trascinò fuori dalla propria camera con aria da zombie e, ficcatosi una mano dentro i pantaloni del pigiama per sistemare le mutande sul sedere, si stupì di non trovare la colazione in tavola, Greg non fece commenti, si limitò a fargli notare l'ora.
Non fiatò nemmeno quando lui imprecò lamentandosi del mal di testa post sbornia che lo accompagnava nel suo vagabondare per casa, né quando si attaccò alla bottiglia del succo di frutta e la abbandonò vuota sul mobile della cucina.
Si sorprese compostamente quando Niall gli comunicò nel bel mezzo di uno sbadiglio che: «Questa sera mi serve casa libera».
E anche in questo caso non disse nulla, se non un «Come, scusa?».
Niall ci pensò su un istante, mentre si scompigliava i capelli e decideva fosse il caso di farsi una doccia, poi rispose in un altro sbadiglio: «Pulita, se possibile».
Greg si irrigidì sul posto – ovvero il divano – udendo quelle parole. Strinse i pugni sulle ginocchia, si voltò a guardare l'altro e poi, da bravo fratello maggiore, semplicemente gli scoppiò a ridere in faccia. «Buona fortuna con le pulizie, allora!» gli augurò. «Visto che stasera vuoi la casa libera, credo che mi fermerò da Denise» gli comunicò. Poi, per confermare ciò che aveva detto, si alzò per recuperare il cellulare e telefonare alla propria ragazza. «Hai ospiti?» gli domandò, mentre componeva il numero.
Niall si trascinò fino al divano, borbottando – perché, andiamo, non era carino ridere di lui così forte pur sapendo che aveva un mal di testa infernale!–, poi si degnò di rispondere: «I ragazzi. E le ragazze».
Greg aggrottò le sopracciglia. Non che a lui cambiasse qualcosa, ma... «I ragazzi o le ragazze?»
«Tutti».
«Tutti?»
Niall sbuffò e si lasciò cadere disteso tra i cuscini. «No, solo Liam e Zayn».
«Ah» borbottò il maggiore, confuso. Credeva che Niall non avesse intenzione di far incontrare “i ragazzi” e “le ragazze”. Li aveva tenuti lontani fin dal primo momento, cosa gli aveva fatto cambiare idea? Con una certa dose di disapprovazione si rese conto che il telefono di Denise era ancora spento. Il suo primo pensiero fu che, come Niall, avesse fatto le ore piccole il giorno prima. Il secondo consistette nel ricordarsi di avere piena fiducia in lei e non arrabbiarsi. Ripose dunque il cellulare in tasca e domandò al fratello: «Come stai?».
«Sfasciato».
Be', sì, questo era piuttosto evidente, pensò, ma non infierì.
«Ti ricordi il maniaco di Dixie?» chiede Niall in tono monocorde.
Greg si accigliò, rivivendo mentalmente l'accaduto solo la settimana prima. «Sì, certo» confermò. «Non avrà mica dato altri problemi?»
Niall ridacchiò piano, interrompendosi poi una smorfia per via del doloroso pulsare delle sue tempie. «Era Liam».
«Che cosa
 
 
Ruth rise, quando Niall sospirò e mormorò un'imprecazione tra i denti serrati. Era appena morto di nuovo, dopo aver ottenuto da Dixie la possibilità di giocare due volte di fila, a patto che però riuscisse a sconfiggere il boss del livello: Malefica. Ora, dunque, toccava tre volte a lei secondo una logica che solo Dixie conosceva, ma che aveva facilmente raggirato Niall, fin troppo sicuro delle proprie capacità una volta tanto.
«Sei uno sfigato» lo etichettò Dixie spassionatamente, porgendogli poi una mano perché lui le consegnasse il joypad. Aveva portato, come era stato pattuito, Kingdom Hearts; nonostante si trattasse di un gioco individuale, Niall e Dixie erano soliti portare avanti assieme anche le partite a giochi di quel genere, alternandosi al comando, a patto che nessuno dei due giocasse mai senza l'altro. E, sì, a volte Dixie violava questa regola, ma evitava di salvare la partita così da poter lasciare giocare Niall appena si sarebbero visti.
Mentre era il turno della ragazza, dunque, Niall incrociò le braccia e sbuffò di nuovo, seccato. Se lei passava il tempo a dare consigli e ordini all'altro, mentre giocava, lui si limitava ad osservarla e a sbuffare.
Ruth ridacchiò e osservò: «Dai, Nialler, sconfiggere draghi è roba da principi, no? Se ce l'ha fatta il principe Filippo...»
«Filippo è una mezza sega» sbuffò il ragazzo contrariato, sprofondando un po' di più sul divano. Non riusciva mai ad accettare la sconfitta di buon grado. Secondo Dixie era il suo essere irlandese ad imporgli di lamentarsi, in questo forse riusciva a rattoppare alla bell'e meglio il suo orgoglio ferito.
Lei, d'altro canto, amava infierire: «Ma lui ci è riuscito, ad uccidere il drago».
«Chiudi il becco, subdola sobillatrice!»
Dixie scoppiò in una risata allegra, pur non perdendo concentrazione. «Subdola sobillatrice? Io?»
Ruth sghignazzò. «Devi ammetterlo: sei un po' subdola» commentò.
Niall annuì lentamente, convinto. «Mi hai raggirato con quello stupido compromes-- HAH! SEI MORTA!» gridò all'improvviso, puntando l'indice di una mano contro il televisore e l'altro contro l'amica. «Sei morta! Sei morta, morta, morta, morta, mortamortamorta!» canticchiò entusiasta.
La ragazza ridusse gli occhi a due fessure e tolse gli occhiali con stizza per lanciarli in grembo a Ruth. «Taci!» lo ammonì piccata, mentre strofinava le mani sui jeans per asciugarle e avere una presa migliore sul joypad. «Mi hai distratto con le tue stupide farneticazioni. Ora ti faccio vedere io». Stava per riavviare un'altra partita, impettita e determinata a fare del proprio meglio, quando: «Ehm, Ruthie, ridammi gli occhiali, non ci vedo» ricordò.
«Forza, Dixie» la incoraggiò l'amica, consegnandoglieli con un sorriso divertito. «Se ce l'ha fatta il principe Filippo...»
Niall le rivolse un'occhiata divertita e scuotendo il capo soffiò una risatina. «Che problemi hai con questo principe?» le domandò con le sopracciglia che si muovevano su e giù, impazzite, come succedeva ogni volta che il ragazzo ci teneva a sembrare brillante.
Ruth si strinse nelle spalle, un sorriso abbozzato ad incresparle le labbra e il caschetto di capelli scuri che si muovevano con lei. Quella sera, visto che non partecipava mai attivamente alle serate giochi, aveva lasciato i spessi occhiali dalla montatura quadrata sul tavolo e per questo i suoi blu sembravano appena più piccoli del solito. Ma ugualmente luminosi, specie quando si imbarazzava. «Non lo so è che... è sempre stata la mia fiaba preferita, quella di Aurora».
Niall sorrise, ma non fece in tempo a commentare, perché bussarono alla porta. E il fatto che bussassero, ma non suonasse il campanello un po' insospettì il padrone di casa, che comunque si premurò di guardare le amiche – o meglio Dixie – per ricordare loro: «Cercate di non essere acide».
Mentre Ruth inarcava un sopracciglio a labbra strette, con un'espressione che sembrava tanto dire “Ah, io?”, il silenzio cadde sul salotto. Un silenzio di attesa, di passaggio tra quel loro ormai ben conosciuto equilibrio e una nuova situazione che sarebbe venuta a crearsi. Una serata delle loro che all'improvviso non era più solo loro, ma di loro e qualcun altro.
Per riscuoterli dal torpore occorse che Zayn, dall'altra parte della porta chiusa, sbuffasse: «Niall, non fare l'idiota, si sentono i rumori del combattimento fin da qui fuori. Vuoi aprire?»
Fu così che il padrone di casa scoppiò a ridere chiassosamente e si avviò a passi svelti verso la porta di ingresso, mentre Dixie, la fronte corrugata e qualche parola di incoraggiamento per il suo alter ego digitale che le sgusciava via dalle labbra, premeva i pulsanti del joypad con una rapidità tale che Ruth non riusciva a credere che non fosse in grado, come cercava di farle credere, di camminare un po' più veloce quando erano in ritardo per qualcosa. Lei, che pure era un tipo attivo e vitale, non sarebbe mai riuscita a mettere tanta energia dello schiacciare degli stupidi bottoni.
La situazione cambiò, comunque, quando i ragazzi fecero il loro ingresso in sala con le pizze. Nel momento stesso in cui Liam le salutò, Dixie smise di premere i pulsanti, perse le sguardo nel vuoto e, subito dopo, sibilò un'imprecazione colorita per cui si premurò di scusarsi. Se il suo comportamento sorprese non poco Ruth, che al ritorno a casa le avrebbe fatto mille domande a riguardo, non toccò minimamente Niall, il quale invece posò le pizze sul tavolino e si lasciò cadere sul divano al suo fianco annunciando: «Sei morta di nuovo! Morta, morta, morta!».
«Che cosa macabra da dire» commentò Liam, le sopracciglia aggrottate, mentre agganciava il cappuccio del giubbotto all'appendiabiti accanto a quello di Ruth. Quando si sedette accanto a quest'ultima, le riservò un sorriso gentile – e lei non poté non pensare che, al contrario di quanto sosteneva Dixie, quel tipo era proprio un ragazzo d'oro.
Zayn gli rivolse un'occhiata divertita. «Liam, stanno parlando di videogioco» gli spiegò.
L'altro spinse il labbro inferiore leggermente in avanti, le sopracciglia aggrottate per il disappunto. «Lo so, ma comunque non suona bene» insistette.
Dixie sbuffò, rifilando una gomitata nelle costole di Niall, quando questo cercò di rubarle il joypad dalle mani. «Tocca ancora a me, imbroglione!» gli ricordò con una vitalità fuori dal comune: niente risvegliava quel po' di energia accumulata con tutti quei caffè e le ore passate a far nulla come un po' di sana competitività davanti ai videogiochi, spiegò Ruth ai ragazzi. Certo, se fosse stata davvero sana e non ossessiva, forse, sarebbe stato meglio, ma non poteva lamentarsi.
«Già, non puoi lamentarti» le fece eco l'amica, solo apparentemente disattenta alla conversazione; «Almeno io non distruggo tutto ciò che tocco» aggiunse, in un chiaro riferimento a Babs.
Zayn distolse lo sguardo dalla ragazza che aveva appena parlato, un sorrisetto ironico in volto, per posarlo sulla più civile delle due amiche: «Vogliamo sapere a cosa si sta riferendo?».
Ruth rise, accompagnata da Niall, che tuttavia non smetteva di guardare lo schermo con interesse, in attesa che il personaggio del videogioco morisse di nuovo.
«Fidati: sentirai questa storia talmente tante volte che in futuro mi ringrazierai per non averla raccontata anche stasera».
«Ti credo sulla parol-» stava rispondendo l'altro, quando fu interrotto da un'esclamazione rabbiosa e dall'esplodere di un'altra risata firmata Horan.
«Stupida strega dei miei stivali!»
«Ehi, principessa, non scaldarti tanto: uccidere draghi è notoriamente un lavoro da uomini!» infierì Niall con un sorrisetto irriverente e gli occhi brillanti di soddisfazione, mentre sfilava il joypad dalle mani dell'amica.
Dixie strinse le labbra e lo spinse con forza addosso a Zayn, che si limitò a sgranare gli occhi e ad esibire un'espressione divertita di fronte a quella scena, proprio come tutti gli altri.
«Be', se è un lavoro da uomini dovresti lasciare giocare uno dei tuoi amici, Nialler: non è roba per te».
Liam tirò un fischio sommesso a quelle parole, scoppiando poi a ridere. «Questa brucia, amico!» commentò tra le risate.
Niall tuttavia non si lasciò scalfire da quelle parole; la conosceva come le sue tasche e sapeva quanto ne risentisse il suo orgoglio ogni qual volta non riusciva a sconfiggere qualcuno ai videogiochi. Dixie sembrava essere del tutto sprovvista di spirito competitivo, di solito, ma diventava totalmente un'altra persona appena le si dava tra le mani un controller di qualunque tipo. Ecco che dunque riavviò la partita sorridendo soddisfatto dall'aver riconquistato il joypad e il controllo della consolle.
«Siete al livello di Malefica? È un tipetto tosto. Volete che vi insegni qualche trucco?» propose Zayn. Si sistemò meglio contro il divano, posando un braccio sullo schienale, proprio dietro alla postazione di Niall.
Lo sguardo indignato che gli rivolse Dixie avrebbe dovuto farlo vergognare, forse, ma causò solo una risatina nel ragazzo. «Quale persona sana di mente userebbe dei trucchi per battere un boss bruciando tutto il divertimento e la soddisfazione?»
Zayn si strinse nelle spalle come se niente fosse. «Io».
«Credevo fossi un appassionato di videogiochi» replicò lei in tono di accusa.
«Lo credevo anche io. Non lo sono più?»
«Un vero appassionato non ricorre a trucchi» lo rimproverò.
Lui sbuffò, divertito. «D'accordo, niente trucchi, signorina “seguiamo le regole”. Di questo passo vi ci vorrà un bel po', prima di fare fuori Malefica».
La ragazza scrollò le spalle e tornò a guardare lo schermo, per controllare come se la stessa cavando il suo compagno e rivale. «È una bella gatta da pelare, ma ne vale la pena. Malefica è il miglior cattivo Disney di sempre».
Liam si ritrovò a sorridere tra sé, a quel commento. Aveva sempre pensato la stessa cosa. E l'avrebbe anche detto, se solo non si trovasse ancora così in soggezione di fronte a Dixie.
In compenso ci pensò Ruth a dire la sua: «Il miglior cattivo per il miglior classico».
«Non diciamo sciocchezze. La Bella Addormentata nel Bosco è tra i cartoni più barbosi mai creati. Vogliamo parlare dello spessore di un personaggio come Aurora?».
«Rosaspina» la corresse l'amica, guadagnandosi così un'occhiata truce.
«Che sia Aurora o Rosaspina – e poi, pff, che nome idiota! - rimane un'inutile principessa che non fa che cantare e dormire. Più inutile di lei esiste solo Biancaneve» concluse con convinzione Dixie.
Zayn guardò Liam, sapendo che l'argomento rientrava nei suoi interessi, e non si stupì nel vederlo osservare le ragazze con aria divertita e attenta, pur non avendo ancora messo becco nella conversazione. Ma l'avrebbe fatto, di questo era certo. Se non aveva intenzione di farlo, comunque, lo avrebbe obbligato lui a dire la sua, perché, andiamo, quando gli sarebbe ricapitata di nuovo l'occasione di poter fare conversazione con Dixie, riguardo a qualcosa che le interessava, per di più, senza fare la figura del perfetto idiota? Zayn era il migliore amico di Liam e, in quanto tale, avrebbe dovuto proteggerlo dagli insulti e non rivolgergliene, era vero, ma quello era un dato di fatto: se Liam normalmente non spiccava per il proprio acume, nelle quattro volte che aveva incontrato Dixie era risultato rintronato oltre ogni previsione. Sorprenderli a giocare a Kingdom Hearts era stato proprio un colpo di fortuna: ora avevano pare per i denti di tutti.
«E a te quale classico piace, sentiamo?» domandò allora Ruth, infastidita dalla durezza con cui la sua amica aveva distrutto il suo classico preferito.
«Aladdin, naturalmente» rispose, togliendosi gli occhiali.
A quel gesto, Zayn controllò di nuovo la reazione di Liam, che osservava la ragazza con attenzione, le labbra leggermente dischiuse e l'aria assorta. Non avrebbe saputo dire se fosse più interessato a Dixie, alla sua opinione o all'opinione di lei in quanto tale. Probabilmente tutte e tre le cose insieme.
«Aladdin» ripeté Ruth con scetticismo. «Ti piace Aladdin? Non ti facevo tipo da storie romantiche».
Dixie sbuffò, sciorinando con convinzione e apparente cognizione di causa una spiegazione sulla complessità dei vari personaggi, l'efficacia di alcuni stratagemmi utilizzati per narrare la storia e l'interessante ambientazione in cui la vicenda era narrata. A sentire lei sembrava che quello fosse proprio «Il miglior film di animazione di sempre».
Ruth levò il dito indice della mano destra con fare consapevole: «Secondo solo a Il Re Leone» aggiunse.
Dixie rimase in silenzio un istante, poi annuì. «Dopo Il Re Leone» confermò. Poi fece una smorfia, nel momento in cui le venne un dubbio: «1993?»
Zayn si accigliò e, contemporaneamente a Ruth, domandò: «Cosa?»
«Il Re Leone è del 1993, no?» chiese conferma la bionda, inforcando di nuovo gli occhiali per assicurarsi di vedere bene le espressioni degli altri.
Liam, che fino a quel momento era rimasto in silenzio ad ascoltare, quando notò che Zayn stava per dare una conferma pur non avendone la minima idea, parlò: «'94» la corresse. Per quanto il suo amico fosse intelligente, pensò con una punta di dispiacere, non era proprio un ragazzo da film Disney. Non ne capiva la vera magia, proprio come Niall, che si rifiutava categoricamente di guardarne uno persino quando li scovavano in televisione facendo zapping. Insensibili.
«Non saprei» commentò infatti Zayn, alternando sguardi tra lui e Dixie.
«Non era una domanda» specificò allora Liam, annuendo tra sé. «Il Re Leone è del 1994».
Il moro si strinse nelle spalle, poco interessato. «Mi fido».
«E il migliore film Disney di sempre, dopo Il Re Leone, è Toy Story» aggiunse Liam, compiaciuto di poter finalmente partecipare alla conversazione senza sembrare un totale cretino, parlando tuttavia un po' troppo veloce, come succedeva spesso quando era concentrato o in imbarazzo – e in quel caso valevano un po' tutte e due le eventualità. «1995» specificò per rincarare la dose.
Zayn sogghignò, senza sapere se trovar più divertente la sua espressione da bambino orgoglioso oppure quella sentitamente impressionata con cui Dixie stava fissando Liam. Forse lo erano entrambe in egual misura.
Mentre ringraziava mentalmente Ruth per aver portato avanti l'argomento, Zayn incontrò proprio lo sguardo di quest'ultima, che sembrava compiaciuta almeno quanto lui, forse appena un po' più incuriosita.
Quando si guardarono Ruth impiegò solo un istante per interpretare l'espressione del ragazzo e fare due più due; non solo Dixie aveva perso la concentrazione sul videogioco sentendo la voce di Liam, ma lui pendeva dalle sue labbra, si imbarazzava e cercava di fare colpo su di lei: tra i due non poteva che esserci del tenero! Okay, forse quella definizione era un po' prematura: c'era del tenero in incubazione.
A quel punto, quell'occhiata scambiata quasi per caso, divenne di intesa; strano ma vero, Ruth e Zayn capirono al volo quale fosse la cosa da fare.
Quando infatti Dixie («Però, Manny, sei informato!») si complimentò con Liam, un sorrisetto ad incresparle le labbra fini e un sopracciglio inarcato, e lui ammise di essersi fatto una cultura negli anni passati, attaccando un'argomentazione bislacca e sconclusionata – che, però, a giudicare dall'espressione della bionda sembrava interessante – sul perché Toy Story fosse il suo film d'animazione preferito, si offrirono volontari per andare in cucina a prendere bicchieri, bibite e posate, lasciandoli così da soli a chiacchierare. Be', più o meno soli: erano comunque in compagnia di Niall Horan e dei suoni della battaglia che lui stava combattendo. Seduto sul divano, si sporgeva sempre più avanti verso il televisore mano a mano che giocava, come se volesse entrarci. Tanto che, quando finì per impedire a Dixie di vedere Liam in faccia, lei si alzò, lo fulminò con lo sguardo, fece il giro del divano e si sedette sull'altro, andando così ad occupare il posto di Ruth proprio accanto al suo interlocutore.
 
Zayn e Ruth in cucina non parlavano. Evitavano l'una lo sguardo dell'altra, a disagio, un sorrisetto soddisfatto identico ad incrinare loro le labbra, mentre cercavano i bicchieri nella credenza e le posate nel cassetto. Quando si resero conto che entrambi erano vuoti, i loro occhi saettarono verso il lavandino stracolmo di stoviglie sporche e ammassate lì da chissà quanto tempo. I loro sguardi risalirono il baratro della sfortuna per incontrarsi a metà strada tra l'uno e l'altro. Di lì, per forza di cose, i loro sorrisi si trasformarono in un risolino e una smorfia disgustata, mentre il silenzio si spezzava: «Che schifo» brontolò Zayn. Aveva sempre nutrito un certo disgusto per i piatti sporchi; non per nulla nell'appartamento condiviso aveva a malapena un forno funzionante, ma non poteva mancare la lavastoviglie – a cui era addetto Liam.
Ruth alzò gli occhi al cielo; non capiva perché fossero tutti così restii all'idea di lavare i piatti? «Io lavo e tu asciughi?» propose, mentre già stava indossando i guanti di lattice che pendevano da sopra il rubinetto.
Zayn non poté far altro che annuire; osservò Ruth aprire l'acqua e iniziare a lavare. Non aveva la minima idea di cosa dire, non era mai stato un gran campione di conversazione e, per di più, Ruth aveva un'aria distaccata e annoiata che lo faceva sentire di troppo. Fortunatamente a lui il silenzio era sempre piaciuto, per cui si limitò a starle accanto e ad asciugare i piatti mano a mano che lei li sciacquava. Questo, almeno, finché un grido di giubilo non esplose nella sala, facendoli sobbalzare:
«HAH! È CREPATA! HAH! È CREPATAAAA! L'IRLANDESE VINCE ANCORA! BEST MATCH EVER
«Ancora?» sentirono domandare Dixie in tono piccato, probabilmente contrariata dall'essere stata battuta o, chissà, magari dall'interruzione della sua conversazione con Liam. «A me sembra proprio una novità, invece».
Zayn e Ruth in cucina non riuscirono ad impedirsi di scoppiare a ridere. E furono proprio le grida di Niall a rompere la tensione che si era creata tra loro.
«Come ti ha trascinata in questo casino?» chiese Zayn, un sorriso appena accennato in volto, mentre strofinava un bicchiere con un panno di stoffa già bagnato.
Ruth si sistemò gli occhiali sul naso col dorso di una mano e scrollò le spalle. «Dixie? Lei non ti trascina nelle sue idee bislacche: ti ci ritrovi dentro con tutte le scarpe prima ancora di accorgerti che ha in mente qualcosa» commentò in tono divertito. Ed era vero: così era stato quando aveva deciso di fare una maratona di film di Harry Potter, quando si era ritrovata al cinema per vedere Lo Hobbit senza nemmeno sapere di aver accettato; la volta in cui la sua amica l'aveva portata a Holmes Chapel – una minuscola cittadina del Cheshire di cui Ruth nemmeno conosceva l'esistenza – per incontrare una ragazza di sedici anni conosciuta online, tale Margot. E lo stesso era avvenuto in quei giorni, quando Ruth aveva incontrato due sconosciuti senza sapere il perché e aveva dovuto farsi spiegare da loro il motivo di quell'improbabile riunione. Avrebbe mentito dicendo che quel suo modo di fare non la infastidiva, ma era anche vero che Dixie era fatta così e la vita di Ruth era movimentata anche e soprattutto grazie a lei. O per colpa sua, a seconda dei risvolti delle situazioni.
Zayn stava ridendo, quando Ruth ricollegò il cervello alla realtà. «È un tipetto tutto particolare, eh?»
«Lei è un casino con gli occhiali e le gambe – gambe quasi nuove e usate poco, visto che passa tutto il suo tempo seduta ad una scrivania o stesa sul letto». Poi, resasi conto che si stava lamentando della sua migliore amica con uno sconosciuto, decise di cucirsi la bocca e passare il testimone. «E tu, invece? Mi sembravi abbastanza contrario alla “missione cupido”» domandò, lanciandogli un'occhiata divertita di sottecchi.
Zayn fece una smorfia e si grattò una guancia. «Be', dico solo che Liam si è messo in testa di parlare con Dixie e dopo tre giorni stava già rischiando una denuncia per stalking».
Ruth scoppiò a ridere di gusto. «Sì, forse la tua presenza al suo fianco è necessaria».
Lui ridacchiò a sua volta. «Ancora mi chiedo come sia arrivato a vent'anni con la fedina penale pulita».
«Sembra un tipo a posto, a dire il vero. Non so come Dixie lo abbia scambiato per un maniaco...»
«Questa la so!» Zayn scoppiò a ridere, scrollando il capo. «È un idiota patentato specializzato nel dire sempre la cosa sbagliata. Probabilmente se ne è uscito con una frase come “Ti aspettavo da tanto tempo, ora ci facciamo una bella chiacchierata” o... Boh, che ne so. “Il ragazzo che è sopravvissuto è venuto a morire!”».
Fu il turno di Ruth di ridere. «Se avesse detto la seconda, dubito che lei lo avrebbe allontanato».
Zayn fece una smorfia, come se si fosse appena ricordato di un dettaglio fondamentale: «Sì, giusto: Dixie è una nerd».
«Fangirl» lo corresse Ruth automaticamente, mentre passava a lavare qualche piatto. Al silenzio confuso che seguì, si spiegò meglio: «Dice che i nerd non esistono».
Zayn sogghignò, divertito e incredulo. «È assurdo. Se i nerd non esistono lei cosa...?»
«Una fangirl. Per quanto mi riguarda sono esattamente la stessa cosa, ma tu non vuoi che lei cominci a parlare a vanvera per spiegarti le differenze, immagino».
«Non credo di volerlo, no, ma sono sicuro che prima o poi per colpa di Liam ci delizierà con questo argomento». E risero di nuovo.
 
«E poi Louis l'ha guardata le ha detto: “Ma dici a me?”» Niall scoppiò in una risata fragorosa, lasciandosi cadere all'indietro contro lo schienale del divano, il volto contorto da un moto ilare senza freno alcuno.
Liam, seduto ancora accanto a Dixie con il cartone della pizza sulle ginocchia, rideva come un bambino, in maniera così buffa che lei si ritrovò ad osservare il suo sorriso, che le ricordava così tanto quello sdentato di un neonato, con un'espressione divertita e scettica insieme.
Così, mentre Niall faceva baccano, Liam retrocedeva all'età di un anno, Zayn scuoteva il capo sorridendo con la lingua tra i denti e gli occhi socchiusi e Ruth si beava della risata del primo, Dixie si ritrovò ad aggrottare le sopracciglia, concentrata nel tentativo di riconoscere una canzoncina che dal nulla si stava insinuando nell'aria della stanza.
«Che c'è?» le domandò Ruth, la prima ad essersi accorta della sua espressione assorta.
Dixie si strinse nelle spalle. «C'è una canzone che conosco. La senti? Cos'è?»
Niall si asciugò le lacrime agli occhi e si tirò su a sedere sul divano. «Guarda che la TV è spenta» le fece notare, la voce ancora incrinata dalla risata.
Fu Zayn a rispondere al loro dubbio: «È... Ghostbuster?» azzardò, chiedendo poi la conferma di Liam con lo sguardo.
Quando lui annuì, Dixie parve realizzare come stavano le cose. «Oh, porca miseria!» sbottò, saltando in piedi. «È il mio telefono!»
Niall ridacchiò. «Ghostbuster? Seriamente?»
Dixie gli rivolse un'occhiata truce, mentre tuffava le mani nella borsetta abbandonata sul pavimento sotto il tavolino. «Ti senti nella posizione di criticare, Justin Bieber?»
Liam scoppiò a ridere di gusto, puntando gli indici contro il padrone di casa: «Beccato!» esclamò, mentre Niall borbottava qualcosa di sconnesso, imbronciato, e dava un morso ad uno spicchio di pizza.
Dixie si ritrovò a sorridere tra sé, mentre prendeva in mano il telefono; sorriso che tuttavia si spense nel momento stesso in cui lesse il nome sul display: Gordon. Sbuffò, sentendo improvvisamente tutta la leggerezza acquisita durante la serata scivolare via.
Il telefono smise di suonare e lei chiuse gli occhi per recuperare la tranquillità necessaria a richiamare, nonostante le tremassero le mani.
«Dixie, tutto bene?» le chiese Ruth, facendo per alzarsi in piedi.
L'altra forzò un sorrisetto e annuì. «Sì, certo. Scusate, devo richiamare» annunciò.
Niall scambiò un'occhiata preoccupata con Ruth, ma poi annuì. «Puoi andare in camera mia» propose. Lei stava già avviandosi, quando il ragazzo si sentì in dovere di aggiungere, imbarazzato: «Io, ehm, c'è sicuramente della biancheria sporca sul pavimento, ma tu scavalcala...».
 
Dixie sedeva ai piedi del letto sfatto di Niall, il più lontano possibile da quei boxer che aveva effettivamente lasciato cadere nel bel mezzo della stanza. Fissava i poster e i biglietti dei concerti appesi alle pareti, mentre ascoltava il monotono suono della linea telefonica, in attesa che Gordon rispondesse, ma sperando allo stesso tempo che non lo facesse. Speranza vana, ovviamente.
«Dixie!» La voce profonda di suo fratello risuonò allegra all'interno della cornetta e lei non poté fare a meno di abbozzare un sorriso.
«Ciao, Gordon! Scusa, sono a casa di amici e non sono riuscita a rispondere».
«Amici?»
«Sì, di Niall».
Gordon rise. «Salutami l'irlandese!» esclamò allegramente. «Mi pareva strano che la mia sorellina uscisse il sabato sera!»
Lei soffiò una risatina; «Dovrei sentirmi colpita in qualche modo? Giusto per informazione» domandò.
Il fratello rise di nuovo. «No, ma certo che no. Senti, come vanno gli esami?»
«Non c'è male».
«Quello di ieri? Noah ha detto che ne avevi uno. Come è andato?»
«Abbastanza bene, tutto sommato» rispose lei con scarso entusiasmo.
«Quanto “abbastanza”?»
«Sessantasette».
Gordon emise un fischio dritto nella cornetta, che obbligò Dixie ad allontanare il ricevitore dalle orecchie, infastidita. «Ma sei scemo?»
«Lo sono sempre stato» rispose lui, ridendo. «Be', ottimo lavoro! Mamma sarà soddisfatta di sapere che almeno hai avuto un buon motivo per piantarci in asso giovedì».
La ragazzo sospirò. Sapeva che sarebbero andati a parare lì, in un modo o nell'altro. «Sì, ehm... Mi dispiace, ma...» bofonchiò, non avendo la minima idea di come continuare la frase. Fortunatamente non ne ebbe bisogno.
«Senti, lascia perdere» la interruppe Gordon con il suo solito entusiasmo. Dixie non aveva idea da dove lo prendesse quell'entusiasmo, specie negli ultimi anni. Le sarebbe piaciuto essere forte come lui, ma dubitava seriamente di esserne in grado. «Ora facciamo così, che ne dici? Domenica prossima per pranzo sei da noi. Okay?»
Domenica? Tutta una domenica a casa dei suoi genitori? Con quell'isterica di sua madre, il suo insofferente padre, quell'impiccione di Noah, l'irritante Adam e... Gordon? Tutta una giornata? Perché, lo sapeva, a casa Dixon un pranzo non era mai solo un pranzo. Era una maratona di una serie TV divertente ma poco coinvolgente, che ti risucchia ma ti annoia terribilmente. Un enorme controsenso, qualcosa in grado di far impazzire chiunque, lei in primis e non in senso positivo.
«Che ne dici di venerdì?» rilanciò in tono speranzoso.
«Venerdì mattina la mamma lavora» le ricordò.
Dixie rimase in silenzio qualche istante e quando parlò Gordon stava già ridendo, consapevole di quale sarebbe stata la risposta: «Appunto» dissero di fatti in coro, lui divertito e lei colpevole.
«D'accordo, allora cucino io» concluse la trattativa il fratello maggiore.
Dixie sospirò e stiracchiò un sorriso. Forse non sarebbe stato così male, se le avessero tenuto lontana sua madre almeno qualche ore. «Sono lì per le dieci e ti do una mano».
«Perfetto. Vieni in macchina?»
Dixie si sentì la terra mancare sotto i piedi a quella domanda, pronunciata proprio da Gordon, e ringraziò il cielo di essere seduta o temeva sarebbe caduta. Sapeva che quella non era una frase buttata lì per caso, per pura curiosità: era un test. Un test che valeva molto più di un sessantasette ad un esame universitario. Prese un respiro profondo, prima di dare il suo responso con voce ferma e assolutamente naturale: «Sì, ovvio».
«Perfetto. Allora ti lascio. Ci vediamo presto, Dixie».
«D'accordo. A presto. Che la forza sia con te!»
«E con le mie rotelle!» Quando lei riattaccò, suo fratello stava ancora ridendo di cuore, nonostante il suo, di cuore, stesse battendo all'impazzata al pensiero di tornare a casa. Di tornare a casa guidando da sola.
 
A nulla erano valse le proteste e le minacce di Niall Horan; nel suo appartamento alle dieci e quaranta di un sabato sera di Ottobre si era trovato costretto a guardare un maledetto cartone animato della Disney, circondato da ventenni esaltati e soddisfatti di quella scelta. Niall, dal canto suo, ce l'aveva messa tutta per dimostrare il proprio disappunto: era partito col protestare a gran voce, aveva messo alle votazioni quella scelta per poi risultare l'unico contrario – non senza la solidarietà di Zayn, però. Aveva messo il broncio e commentato con sufficienza e scetticismo ogni singola scena del cartone, sbuffando sonoramente ogni volta che i personaggi iniziavano a cantare; ma a nulla era valsa la sua pacifica ribellione. Proprio in quel momento i titoli di coda de “La Bella e La Bestia” stavano scorrendo sullo schermo del televisore.
«Credo di non aver mai detestato nessuno così tanto» rese loro noto il padrone di casa, carezzando distrattamente la schiena di Ruth, che singhiozzava al suo fianco con il volto nascosto tra le mani per l'imbarazzo e gli occhiali abbandonati in grembo.
Zayn ridacchiò. «Nemmeno Louis durante le partite del Derby?» lo provocò. E Niall a quel punto fu costretto ad ammettere che forse loro quattro si aggiudicavano solo un secondo posto sulla sua scala dell'odio.
«Oh, avanti, Ruthie, smetti di frignare!» sbottò Dixie, accovacciata sul divano. Lasciò scivolare i piedi giù dai cuscini fino al pavimento e stiracchiò a schiena.
Liam, gli occhi lucidi almeno quanto quelli di Niall, si imbronciò un po', mentre la giustificava: «È uno dei film Disney più commoventi, cerca di capirla».
Lei si voltò a guardarlo con un sopracciglio inarcato. «Lo dici solo perché anche tu sei sul punto di scoppiare a piangere».
E questa volta fu Niall a gridare «Beccato!» indicando l'amico con l'indice di una delle mani, mentre con l'altra ancora accarezzava la schiena di Ruth cercando di confortarla. Come se ci fosse bisogno di farlo, pensò Dixie scuotendo il capo.
«Anche tu hai gli occhi lucidi, comunque» ci tenne a precisare Zayn, osservando Niall di sottecchi. Lui boccheggiò qualcosa, poi sbuffò. «Perché ve la prendete sempre con me?» domandò, scoppiando poi in una chiassosa risata delle sue.
Dixie si strinse nelle spalle, ma evitò di rispondere, quando il telefonino riposto nella tasca dei jeans vibrò l'arrivo di un nuovo SMS. «Oh, è La Piattola» osservò tra sé e fece per rimettere l'apparecchio a posto senza nemmeno leggerle il messaggio.
«Dixie!» sbottò Ruth scocciata, asciugandosi in fretta le lacrime con il dorso di una mano.
«Cosa c'è?» replicò l'altra sulla difensiva.
«E se Babs avesse bisogno di qualcosa?»
Lei non ci pensò nemmeno su, si limitò a fare una smorfia di noncuranza. «E chi se ne frega?»
«Non essere ridicola!»
Così Dixie, sbuffando sotto lo sguardo divertito dei presenti e quello severo di Ruth, mentre Niall se la rideva, estrasse di nuovo il cellulare e lesse il contenuto del messaggio. A quel punto sbuffò nuovamente. «Non so se è più ridicola quella faccina con il naso, i ventimila punti esclamativi o il fatto che quella cretina si sia chiusa fuori di casa dopo aver portato a spasso il tuo cane» comunicò infine a Ruth.
«Si è chiusa fuori?»
«No, la domanda giusta sarebbe: “Perché ha portato a spasso una salsiccia che rantola di sabato notte?” Ho sempre detto che le manca qualche rotella».
«Dixie, smettila!»
«Okay, scusa: più che una salsiccia è una crocchetta di pollo con le zampe» si corresse la bionda. E mentre Ruth decideva di ignorarla e comunicava ai presenti che sarebbero tornate a casa, Liam la sentì borbottare un ultimo “Zampe fin troppo corte, ma credo si possano considerare zampe”, prima di alzarsi in piedi.
Prima che Liam potesse rendersene conto, le ragazze avevano raccattato le loro cose, abbracciato Niall, salutato ed erano uscite dall'appartamento. C'era un pensiero però che continuava a rimbombargli in testa da quando era finito il film, ma che la presenza di Dixie al suo fianco l'aveva spinto ad inghiottire a fatica come un boccone troppo grosso. Un boccone che, tra l'altro, gli era persino andato di traverso.
 
Ruth stava telefonando a Babs, per informala del loro imminente arrivo, mentre camminavano spedite lungo il marciapiede, quando Dixie, che si guardava attorno in silenzio, si sentì chiamare.
Si voltò all'indietro, lasciando che Ruth continuasse a camminare assorta nella propria conversazione telefonica, e riconobbe Liam Payne, che le correva incontro con urgenza. Lei si grattò distrattamente un braccio, aspettando sul posto che lui la raggiungesse.
«Dixie!» esclamò lui sollevato, il respiro solo leggermente accelerato rispetto a come sarebbe stato quello di lei, poco abituata all'attività fisica, se avesse fatto venti metri di corsa.
La ragazza inarcò le sopracciglia e stirò un mezzo sorriso incerto. «Liam» lo salutò.
«Dixie» ripeté lui, ricomponendosi.
Lei attese una reazione per qualche istante, mentre lui si guardava attorno come in cerca di una via di fuga. In che guaio si era cacciato? Era riuscito a fare la figura dell'idiota pronunciando solo due parole – anzi, una sola per due volte.
Dixie si voltò a controllare che Ruth non si fosse allontanata troppo, trovandola solo qualche metro più avanti, che la guardava e continuava a parlare al telefono.
«Che c'è?» lo invitò infine, puntando lo sguardo nocciola in quello di lui, dello stesso colore.
La poca sicurezza che Liam era riuscito a racimolare mentre lei guardava altrove svanì all'istante e si sentì piccolo e indifeso di fronte a quella ragazza. Senza occhiali era ancora più... più... sconvolgente. Perché Dixie non era particolarmente bella o appariscente di per sé, no, ma Liam la trovava sconvolgente. Aveva dei lineamenti delicati e comuni, occhi castani e un caschetto spettinato di capelli biondi. Aveva lo sguardo annoiato e le sopracciglia sempre pronte a scattare verso l'alto, la bocca piccola ma la lingua pungente. Era una ragazza normale, ma così eccentrica da sconvolgerlo completamente.
«Io...» Si scompigliò con un gesto imbarazzato i capelli corti e abbozzò un sorriso. Se aveva già fatto la figura dell'idiota non aveva nulla da perdere, no? «Pensavo che... Potremmo vederci, un giorno o l'altro» domandò quindi, parlando come sempre un po' troppo in fretta, ma senza tuttavia mangiarsi le parole. Forse. Il silenzio in risposta lo stava convincendo del contrario. Si schiarì la voce dunque e aggiunse più lentamente: «Che ne dici?».
Dixie fissava il vuoto con gli occhi appena un po' sgranati; aveva l'aria assorta, mentre soppesava le parole di Liam. «Oh» mormorò, giusto per fargli intendere di averlo ascoltato, in un vano tentativo di prendere ancora un po' di tempo prima di dare una risposta. La verità era che, al di là di ogni aspettativa, quella proposta la mandava su di giri; era quasi felice che gliel'avesse chiesto, nonostante non se lo aspettasse. Era felice quanto lo sarebbe stata per una dedica speciale a suo nome all'inizio di una fanfiction appena pubblicata da JeanStark96. Sorrise, dunque e annuì. «Sì, non è una cattiva idea» rispose, tornando a guardarlo negli occhi.
Liam batté le palpebre un paio di volte, poi mise su quel sorriso da bambino che a Dixie faceva venire voglia di ridere. «Noi due. Da soli, intendo» specificò. Non riusciva a credere che quella fosse la risposta al suo invito; forse lei aveva frainteso.
Dixie alzò gli occhi al cielo. «Lo so, l'avevo capito» confermò, soffocando una risatina.
«Oh. Fantastico. Cioè... wow. Okay. Quindi...» Non sapeva cosa dire.
«Il mio numero ce l'hai. Magari ci sentiamo» lo congedò lei, iniziando ad indietreggiare, per raggiungere l'amica.
«Sì. Ce l'ho. D'accordo. Ehm, ci sentiamo».
«Sì. Ciao, Liam».
«Okay. Okay, ehm, grandioso. Ciao, Dixie. Buonanott- ehi, avete bisogno di un passaggio?»
«No, va bene così, abitiamo vicino».
«Okay, allora... buonanotte!»
«Buonanotte».




Credo di aver fatto più ricerche per questa fanfiction che per qualunque altra. XD In ogni caaaaso, parto con le precisazioni tecniche: come ho scritto sopra, il Disnerd è il "Disney nerd", l'appassionato/esperto del mondo Disney. Insomma, chi di voi a cliccato mi piace alla pagina di Impero Disney su facebook? Quasi tutti i mod, sono Disnerd. :D Anche io sono un po' Disnerd, per colpa loro. Awww, quanto li amo. :3
Comunque, punto secondo: i voti degli esami. Non avevo la minima idea di come funzionasse l'università nel regno unito, ecco perché ho cercato informazioni a riguardo; questo sito mi ha fornito, con la premessa che i voti vanno da zero a cento, questa tabella su cui basami: 

"0-40 insufficiente (meno di 18)
41-50 sufficiente (18-21)
51-60 buono (22-25)
61-70 ottimo (26-29)
70+ eccellente (30-30L)". 

Ppppoi. Kingdom Hearts è un videogioco molto famoso, basato su un trio di personaggi guerrieri e ambientato in vari regni Disney, se non erro. Alcuni dei personaggi che si possono usare come guerrieri, nel corso del gioco, sono Pippo, Paperino e Topolino, mentre, appunto, Malefica è una dei boss dei vari regni. In realtà non so se sia particolarmente difficile da battere, so che io ci giocavo con la PSP di mio fratello e sono rimasta bloccata proprio nel suo livello, tanto che alla fine ho abbandonato il gioco. XD Per maggiori informazioni, wikipedia è nostra amica (mia di sicuro). :D
Ho detto tutto, no? Uhm. Il Re Leone è davvero del '94 (come me, aw :3) e Toy Story del '95, anche se in Italia è uscito nel '96 (Wikipedia dixit, l'unica data che ricordo è quella del Re Leone, per forza di cose XD).
Oh, a proposito di '96... Tenete a mente JeanStark96, perché se riesco a fare ciò che voglio, presto la conoscerete. Niente di importante, ma è una cosa curiosa e vorrei proprio parlare anche di lei. Anche se qualcosa è già stato accennato. ^^
Ppppoi. Ecco, passiamo al capitolo. Un'altra telefonata da casa, un altro momento di crisi per Dixie. Cosa ne pensate? Cosa avete intuito? Eddaaaai, anche se sbagliate tanto non ve lo dico, quindi fatemi sapere le vostre teorie! :D Anche perché questa volta si dice qualcosa in più sulla situazione, anche se per lo più sono accenni. 
Ora, questo lo ammetto perché dalle recensioni qualcuno inizia a parlarmi (e vi adoro per questo **) delle coppie che shippa e voglio ammettere che in questo capitolo ho shippato davvero tutti con tutti. Ahimè, spero di riuscire ad orientarmi, almeno alla fine! ahaha XD
Per concludere, vorrei ringraziare tutti voi che avete letto, recensito e inserito la storia nelle liste, ma soprattutto Aries-chan, che mi ha betato il capitolo. Graaaaaazie! ♥

Per qualunque cosa mi trovate qui, qui e qui. :D

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Capitolo 6
*** Casa dolce casa ***


NOTA: C'è chiaramente un problema di HTML, ma non ho voglia di correggerlo.
In ogni caso non dà problemi alla lettura, quindi spero mi perdonerete. ^^



Capitolo 6
Casa dolce casa
 
 
 
La risata della ragazza giungeva leggermente metallica attraverso il microfono del cellulare. Ruth
alzò gli occhi al cielo, quando un anziano signore si voltò a fulminarle con lo sguardo per la terza
volta. Non che conversare tramite Face Time con una ragazzina del Cheshire fosse esattamente
normale, quando si sedeva al tavolo di un pub ad aspettare che portassero le ordinazioni, ma era
anche vero che ormai succedeva abbastanza spesso e i clienti avrebbero dovuto essersi abituati alle
video chat tra Pixie_Skywalker – nickname nato da un'adorabile errore di distrazione al momento
della registrazione su fanfiction.net– e JeanStark96, con una ragazza troppo normale a far loro da
spettatrice.
Peccato che la ragazza normale avesse avuto tutta l'intenzione di fare una chiacchierata con la
propria migliore amica e non con lei ed una sconosciuta in diretta via Facebook a disturbare. Dixie
nell'ultimo periodo sembrava non capire mai quale fosse il comportamento giusto da tenere nei suoi
confronti. O forse la stava evitando di proposito. A Ruth la faccenda iniziava a star stretta; la sua
amica era forse troppo presa da tutto il resto per ricordarsi di lei? C'era la faccenda di Niall, c'era
Liam, c'era Zayn, c'era Margot, c'erano le sue stupide fanfiction, c'erano gli esami, la famiglia,
Adam, Gordon, la madre. E Ruth? Si era forse dimenticata di quella persona che continuava a
impedirle di andare fuori strada, mentre viaggiava con la testa tra le nuvole, e perdere del tutto il
senso della realtà finendo per farsi male? Anche lei, ogni tanto, aveva bisogno della sua migliore
amica, pensò, chinandosi per accarezzare la testa di Asterix, seduto sotto il tavolo.
«Dici che ha le piattole?»
Udendo quelle parole Ruth si accigliò e si concentrò di nuovo sulla conversazione. «Cosa?»
bofonchiò, confusa.
Dixie ridacchiò, mentre la includeva nel campo visivo della videocamera. «Jean ha notato che nelle
foto Liam tiene sempre le mani...» Fu solo per pudore che non completò la frase, guardando però
eloquentemente verso il basso.
«Sul pacco!» esclamò invece Margot a gran voce, che di pudore sembrava sol che sprovvista, da
brava sedicenne esagitata qual era.
Ruth ringraziò il cielo che il volume del cellulare non fosse molto alto, ma controllò comunque la
reazione dell'anziano signore che continuava a controllarle e, ovviamente, proprio in quel momento
le stava guardando scandalizzato. Imbarazzata, si schiarì la voce e posò lo sguardo su Dixie: «Quali
foto?»
«Jean è una brava spia: le basta un nome e scopre ogni cosa su più o meno qualunque». Ruth
apprezzava davvero tanto – ma davvero, eh! - la dedizione con cui Dixie parlava della sua amica di
rete, ma a volte credeva che la cosa sfiorasse il ridicolo. Tanto per cominciare, perché si ostinava a
chiamarla Jean, se conosceva il suo vero nome? Inoltre chiunque era capace di digitare “Liam
Payne” su Google e rintracciarne il profilo Facebook.
«Gli avete spiato le foto?» domandò in tono a metà tra il divertito e l'accusatorio.
«Gli ha spiato le foto» ci tenne a precisare Dixie, come a voler rimarcare come al solito il suo
disinteresse nei confronti di Liam. Disinteresse così evidente che aveva accettato di uscire con lui,
anche se non avevano ancora fissato l'appuntamento.
Margot squittì il suo disappunto, presa alla sprovvista da quell'improvvisa accusa. «Ehi, non si tratta
di spiare: il tizio ha il profilo completamente pubblico!» si difese.
A Ruth venne spontaneo ridere. Nonostante al momento fosse poco contenta dell'interferenza di
quella ragazzina, lei le stava simpatica. Era divertente e piuttosto matura, sapeva sempre come
sdrammatizzare la situazione. Inoltre, abilità non da poco, riusciva a focalizzare l'attenzione di
Dixie sul punto della questione, poiché era l'unica tra i suoi amici a parlare davvero la sua lingua.
«Passami qualche link in chat, così ci facciamo due risate sulla nuova fiamma di questa fangirl»
propose allora, ottenendo così persino la soddisfazione di vedere Dixie arrossire, sebbene cercasse
di mostrarsi indifferente guardandosi attorno con falsa disinvoltura.
E a quell'incoraggiamento, Margot trillò un'esclamazione di gioia e tornò ad armeggiare al
computer per inviare fotografie al cellulare di Ruth, che nel frattempo se la rideva. Fu proprio
mentre loro due ridevano di una foto di Liam con una parrucca bionda e una tutina da ginnastica
rosa risalente al precedente Halloween, che Norah fece la sua comparsa reggendo due cappuccini e
un piatto di patatine fritte – pessimo abbinamento per chiunque, una routine per Ruth e Dixie–, non
senza inciampare nel cane che faceva capolino da sotto il tavolo.
«Ecco a voi, rag-- Oddio, e quel tipo chi è?» domandò divertita la cameriera, sbirciando il telefono
di Ruth, che se la stava ridendo alla grande.
Dixie fece una smorfia: «La didascalia dice “Leeroy, il coreografo gay”» spiegò, mentre Margot,
dal telefono, strillava abbastanza forte da essere udita un «È il nuovo ragazzo di Pixie!», che la
diretta interessata ignorò prontamente.
«Il tuo ragazzo?» Norah le rivolse una rapida occhiata divertita, a cui l'altra risposte scuotendo
placidamente il capo, poi tornò a concentrarsi sulle foto, appostata dietro la sedia di Ruth.
«Scusami, e quel tizio nerd? Chi è?»
Fu Margot a rispondere con prontezza: «È taggato come Harry Styles» comunicò loro.
Norah tirò un fischio sommesso, poi rise. «Harry Styles? Quel Harry Styles?»
Ruth annuì. «Credo di sì: che io sappia Niall gira spesso con lui e Liam. Conciato così è più carino
del solito, devo dire – non che ci voglia molto, eh» aggiunse, lanciando un'occhiata di scherno a
Dixie, ora del tutto concentrata sulle patatine fritte.
«Io trovo che abbia sempre un certo fascino, invece» commentò Norah, mentre strizzava gli occhi
nel tentativo di riconoscere qualcun altro dei presenti nella foto di gruppo. «No, okay», si illuminò
ad un tratto; «voglio assolutamente sapere chi è quello vestito da donna!»
«Zayn» rispose Ruth prontamente. «Ed è pure attraente, cavolo!»
«Quindi uno di quei due ciccioni dev'essere Niall».
«Oh, sì» confermò Margot, che dal pc controllava i tag di quella stessa foto. «Niall è quello...»
«Biondo» completò Norah.
Ruth sorrise. «Con la pinta in mano, ovviamente» concluse, e insieme risero.
«L'ultimo è Louis Tomlinson» continuò la ragazzina in videoconferenza, senza sapere che
quell'ultimo particolare a loro non importava.
«Non ho idea di chi sia» ammise Dixie, mentre sgranocchiava una patatina precedentemente intinta
nel cappuccino – con sommo disgusto del solito anziano signore seduto al tavolo accanto.
Margot rimase in silenzio un paio di istanti, mentre Ruth e Norah facevano supposizioni su come
doveva essersi comportato Niall nei panni di “Harvey il produttore cinematografico”, cliccando qua
e là, poi diede il suo responso: «Louis Tomlinson, laureando in Legge, impegnato. È anche
parecchio carino, Pix, dovresti fartelo presentare».
«Ma figurati» sbuffò l'altra, sgranocchiando.
«Ehi, a proposito di Niall». Quando Dixie udì Norah pronunciare quelle parole, distolse del tutto
l'attenzione dalla propria merenda per concentrarsi su di lei, che stava dicendo: «Avete rimpiazzato
Niall con questi altri due ragazzi? Povero irlandese!»
Dixie non riuscì a trattenere un sorrisetto, mentre rispondeva: «Oh, no, nessun rimpiazzo.
Un'alleanza, piuttosto». Precisazione che le valse un'occhiata truce da parte di Ruth.
Norah inarcò le sopracciglia, affondando le mani nella tasca del grembiule verde della
divisa. «Alleanza? Cosa state combinando?»
Asterix uscì da sotto il tavolo e le si sedette sul piede per poi grattarsi, accompagnando il tutto con una serie di bassi grugniti che ne determinavano l'impegno; questo provocò l'apparizione una comica espressione tra il disgustato e l'intenerito da sul viso della cameriera.
Le risposte che giunsero contemporaneamente alle sue orecchie, dunque, furono due: «Niente» e
«Cupidiamo!», più una risata squillante e un po' metallica proveniente dal cellulare di Dixie.
«Cupi-che?» domandò la cameriera confusa; non sapeva se guardare (male) quello stupido –
disgustoso– cane oppure quelle ragazze bislacche che sembravano non raccontargliela giusta.
Ruth respirò a fondo e scosse il capo. «Niente, lasciala perdere».
«Be', Pix» infierì di nuovo Margot. «Visto che il tuo nuovo hobby è fare da Cupido, puoi sempre
presentarlo a me, quel Louis Tomlinson».
«Ma hai detto che è impegnato» le fece notare Ruth, ridacchiando.
«Oh, sì, giusto. Peccato» bofonchiò lei allora, scontenta. «Ha persino il profilo privato» si lamentò.
A quel punto successe qualcosa che nessuna delle ragazze si aspettava. Norah si schiarì la voce e,
mentre abbracciava il vassoio su cui aveva portato le ordinazioni, mantenne lo sguardo basso e
parlò con un sorrisetto imbarazzato a incrinarle le labbra: «A proposito di Cupidi... Secondo voi
avrei qualche infima speranza che Niall accettasse, se un giorno o l'altro gli chiedessi, di uscire?»
Il cuore di Dixie balzò dritto nella sua gola, quello di Ruth sprofondò giù nello stomaco.
 
Casa Dixon era un edificio davvero poco curato situato nella tranquilla periferia di una piccola
cittadina vicino a Sheffield, nel nord della Gran Bretagna. Aveva poche stanze e troppi piani ed era
sempre vuota nonostante la famiglia fosse composta da fin troppi membri. I vicini di casa più
altolocati – e gran parte dei Dixon ancora si chiedeva che diavolo ci facessero in quel quartiere, se
erano altolocati – erano soliti lamentarsi del baccano che proveniva dal lato occidentale della casa,
lo stesso che poteva vantare la presenza di garage e della gran parte delle camere da letto dei figli.
I signori Dixon erano un uomo e una donna piuttosto distinti, così come Noah, il maggiore dei
fratelli, che in ventotto anni di vita non aveva mai piantato grane né infastidito i vicini. La stessa
cosa non si poteva della restante componente della famiglia.
Come se un moccioso dai biondi capelli ricci e un sorriso birichino da fare impallidire persino
Dannis la Minaccia non fosse stato abbastanza per etichettare i Dixon come una catastrofe formato
famiglia, loro avevano da offrire anche la coppia di ragazzini più insopportabili di tutto il nord
dell'Inghilterra. Lui, Gordon, era un ragazzetto smilzo dai capelli castano chiaro fin troppo lunghi e
riccioluti e con abbastanza fegato da sgattaiolare nei cortili dei vicini e fare disastri; lei, Violet, una
ragazzina troppo alta rispetto ai suoi fratelli, con gli occhiali da vista e una cortissima zazzera
bionda, aveva la faccia tosta necessaria a suonare i campanelli e tenere occupati a suon di
chiacchiere i padroni di casa mentre l'altro compiva il misfatto.
Gordon e Violet Dixon erano sempre stati l'incubo dell'intero vicinato, a partire da quando avevano
sei anni e si intrufolavano nelle serre del signor Kensington fingendo si trattasse del Bosco
Smeraldo, fino a quando lui non ne ebbe diciassette e lei quindici e, dopo aver introdotto i conigli
dei Tanner nell'orto del suddetto anziano signore appassionato di botanica, dovettero spendere tutti i
loro risparmi per risarcirlo delle piante rovinate. Era stato quando Gordon era diventato
maggiorenne, quindi, che i due fratelli avevano smesso del tutto di fare dispetti ai vicini; lui aveva
intrapreso con più serietà la propria carriera scolastica e Violet, dopo aver tentato più volte e
compreso che il piccolo Adam non era predisposto alla collaborazione, aveva abbandonato le
proprie aspirazioni vandaliche per scoprire una nuova passione: il fan service. Il rapporto tra loro,
però, non era affatto cambiato: non esisteva discussione familiare in cui Dixie, decisamente più
brava del fratello a parole, non corresse in sua difesa e, allo stesso modo, Gordon appoggiava con
convinzione e fierezza tutte le assurde pretese della sorella – come, ad esempio, quella di
attraversare l'intera Inghilterra da sola in auto per andare alla Premiere di Harry Potter e i Doni della
Morte parte II, trascorrendo così due giorni in mezzo alla strada e sotto la pioggia ad aspettare di
vedere i membri del cast e quella che lei chiamava “zia Jo”. Gordon e Violet erano quelli con il
gruppo di amici in comune, quelli delle lunghissime partite ai videogiochi, quelli che convincevano
Noah a far loro i compiti di matematica in cambio di qualche sostituzione nei turni per i lavori
domestici.
Violet e Gordon erano gli stessi che, quando Adam aveva cominciato a creare problemi nel
vicinato, lo avevano indirizzato verso scherzi più divertenti che pericolosi, dandogli dritte su come
non farsi beccare e sfidandolo a combinare marachelle più grosse delle loro. Adam, naturalmente,
non si era mai posto il problema; loro erano due e lui uno: anche un suo insuccesso, siccome
solitario, sarebbe stato una vittoria sulle azioni di una coppia.
Dixie ce l'aveva fatta, pensò, mentre parcheggiava la sua Ka blu notte nel parcheggio pubblico nella
strada adiacente a quella di casa sua.
Era tutta intera, non aveva causato incidenti. Certo, Ruth aveva dovuto ascoltare tutti i suoi sbuffi,
le imprecazioni e i suoi deliri in viva-voce, ma era arrivata a destinazione senza troppi problemi. In
fin dei conti, guidare da sola non era poi così diverso dal guidare in compagnia – ed era la stessa
cosa che le aveva detto Ruth prima di partire, ma lei non le aveva prestato attenzione.
Con le gambe che ancora tremavano, tirò il freno a mano, un sospiro di sollievo, spense la macchina
e scese. Poi, mentre chiudeva lo sportello, ricordò di dover prendere le chiavi e latrò una risatina
isterica a mezza voce. Le recuperò, dunque, fece scattare la serratura e prese a camminare sul
marciapiede.
Mano a mano che si avvicinava alla casa in cui era cresciuta, Dixie si guardava intorno,
riconoscendo luoghi, oggetti e dettagli; le venivano in mente aneddoti legati ad ognuno di essi.
Quello che vedeva, per esempio, era l'albero su cui Noah si era arrampicato per sfuggire alla furia di
mamma, quando aveva dodici anni e appena distrutto un soprammobile in salotto; Dixie allora ne
aveva solo cinque e quell'impresa le era sembrata incredibile – e a ventuno ancora le sembrava tale,
ma per pura pigrizia.
Quel signore alla finestra, invece, era niente meno che Albert Kensington, lo stesso a cui lei e
Gordon avevano devastato il giardino per anni. Lo salutò con la mano, azzardando un sorrisetto
amichevole, a cui il vecchio rispose con un burbero cenno del capo, dopo aver roteato gli occhi;
aveva scritto in volto: “Ecco che torna il disastro numero due, povero me”.
Dixie ridacchiò, senza smettere di camminare. Una volta giunta davanti a casa, diede una nostalgica
occhiata alla facciata di assi di legno, un tempo dipinte di bianco e ora scrostate, poi scavalcò
goffamente il cancelletto in ferro battuto e trotterellò fino alla porta sul retro.
Se c'era una cosa che odiava, quando tornava in quel posto, era suonare il campanello e aspettare
che qualcuno andasse ad aprire le porta – cosa che richiedeva sempre troppo tempo, quando sua
madre non era in casa, perché i suoi fratelli erano tutto fuorché attivi e scattanti, specie se avevano
la possibilità di poltrire su un divano. Insomma, era casa sua, diamine, che bisogno c'era di bussare?
Ecco perché si chinò di fronte all'arbusto sempreverde nel vaso accanto all’entrata, cercò la chiave di casa tra i rami, poi aprì la porta e la rimise al proprio posto.
Dal piano superiore giungeva chiassosa la musica sparata a tutto volume dalle casse dello stereo di
Adam; ecco quale fu la prima cosa che percepì, forte e chiara, appena fatto il proprio il proprio
ingresso. Non che da fuori non si sentisse, ma dentro il rumore era a malapena sopportabile, come
da copione.
La seconda paradisiaca sensazione fu il profumo di caffè proveniente dalla cucina. Lo respirò a
fondo, mentre toglieva le scarpe abbandonandole accanto alla porta assieme a quelle – enormi– dei
suoi fratelli. Sorrise mentre come se niente fosse attraversava il corridoio, lanciava il giubbotto sullo
schienale del divano in salotto e poi si dirigeva in cucina per prendere una tazza di caffè. Fu proprio
mentre beveva l'espresso, che qualcuno fece il suo ingresso nella stanza.
Noah entrò ciondolando e si paralizzò sul posto non appena la vide appollaiata sul mobile della
cucina. «Ma che caz-... Vee!»
Dixie salutò con la mano, finendo di bere, poi posò la tazza e gli sorrise.
«Ehilà, fratellone!»
«Quando sei arrivata? Da quanto sei qui?» Noah affondò le mani tra i capelli e la guardò
sconcertato. Perché faceva sempre certe cose, prendendolo di sorpresa?
«Un minuto fa, più o meno. Sono stata attirata qui dal caffè».
Noah aggrottò le sopracciglia e poi si rilassò con un sospiro.
«Sei peggio di un cane antidroga» commentò divertito «E quello era il mio caffè» aggiunse in tono di rimprovero. Rimprovero che naturalmente la sorella ignorò con tranquillità.
«Era buono» si congratulò, invece. «Allora, dove sono tutti? A parte Adam, perché la sua presenza si sente».
L'uomo alzò gli occhi al soffitto, mentre lei vagava per la stanza aprendo sportelli alla ricerca di
qualcosa da mettere sotto i denti. «Si può sapere perché non suoni il campanello?»
«Perché è casa mia. Oh, eccole!» trillò con entusiasmo quando trovò una confezione delle sue
merendine preferite dentro la credenza. Dixie sapeva quale discorso suo fratello aveva intenzione di
intraprendere, motivo per cui cercava di prendere tempo occupandosi di piccole cose – tipo il suo
nutrimento e il secondo caffè della giornata.
«Dovresti ricordartelo più spesso, allora. Mi fa piacere che tu sia venuta».
Lei fece una smorfia. «Finché mi rifili colpi bassi non posso rifiutare».
Noah rise fragorosamente. «Guarda che non ho chiesto io a Gordon di chiamarti!»
«Bugiardo».
«Lui voleva vederti, come tutti noi».
Dixie sbuffò. Si sforzava di ignorare quella leggera nota di rimprovero nella voce di suo fratello, ma
proprio non ci riusciva; nemmeno sapeva se ci fosse davvero o la sua fosse solo paranoia. Una parte
di lei, infatti, sapeva benissimo che rimanere lontana da casa più tempo possibile non l'avrebbe
affatto aiutata a superare l'accaduto; così facendo stava solo rimandando il momento della resa dei
conti.
«Lui dov'è?» domandò quindi. In fin dei conti, era tornata a casa praticamente solo per i suoi
fratelli, tre delle poche persone di cui le importava davvero.
Era tutto così diverso, quando era a casa. Non era mai se stessa, non la “se stessa” che era con gli
amici. Era uguale, ma completamente differente.
Noah sorrise e le si avvicinò, per poi scompigliarle i capelli in maniera affettuosa, cosa che ormai
non riusciva a fare frequentemente come un tempo.
«Al piano di sopra con Olly, va' a salutarlo».
Dixie fece una smorfia ed annuì. I momenti prima di rivedere Gordon per la prima volta dopo un po'
di tempo erano sempre un po' traumatici; sentiva un nodo alla gola, l'ansia arrotolarle le interiora, i
ricordi che bussavano insistentemente alla memoria, anche se si sforzava di allontanarli. Mentre
saliva le scale diretta al piano superiore, mentre cercava di non guardare il montacarichi che
avevano montato dopo l'incidente, mentre tentava di svuotare la mente e non farsi prendere da
inutili ansie, le mani le tremavano leggermente.
Aperta la porta del corridoio, fu la musica assordante proveniente dalla camera di Adam a schiarirle
le idee. Prese un ultimo respiro profondo e poi si diresse a passi incerti proprio lì dentro, dove
sapeva di poterlo trovare. Fatto il suo ingresso nella stanza, poi, il sorriso stiracchiato che era
riuscita a stamparsi in volto scomparve, lasciando il posto ad un altro molto più spontaneo ed
intenerito: i riccioli biondi di Adam sbucavano, racchiusi in una terribile coda di cavallo, da dietro
la spalla di Olly, che, seduto sul letto con l'inseparabile cappello in testa, se ne stava chino per poter
spiare lo schermo del pc portatile sulle gambe del primo; infine Gordon, come sempre adagiato
sulla sua Porsche – come la chiamava lui –, rideva fragorosamente per qualunque cosa stessero
guardando.
Dixie alzò gli occhi al cielo, divertita da quella scena di quotidianità che non vedeva da un pezzo e,
senza farsi troppi scrupoli, girò la rotella del volume dello stereo fino a sfiorare lo zero. «Spero che
tutta questa concentrazione non sia dovuta ad un buona slash, altrimenti mi vedrei costretta a farvi i
complimenti» commentò in tono annoiato, appoggiandosi al muro.
I ragazzi, voltatisi verso di lei più sorpresi dall'improvvisa sparizione della musica, che non perché
avessero sentito la sua voce, si stupirono di trovarla lì.
«Vee!» esclamò Gordon per primo, raggiante, riconoscendola. Il sorriso di Gordon, secondo Dixie,
era uno degli spettacoli più belli al mondo. E, sì, magari aveva i denti un po' storti, magari lei era un
po' di parte, ma quel sorriso era sempre spontaneo, così felice, contagioso. Non poté fare a meno di
sorridere un po' di più anche a lei.
«Ti stavamo aspettando!»
Dixie inarcò le sopracciglia, mentre lui faceva dietro-front guidando da solo la propria sedia a
rotelle.
«Ma davvero?»
«No, non è vero» rispose atono Adam, sporgendosi un po' perché l'amico del fratello non lo
coprisse del tutto. «Speravamo rimanessi laggiù». Olly rise a quelle parole e Dixie, dopo essersi
gettata malamente a sedere sulle ginocchia di Gordon per abbracciarlo e farsi dare un passaggio –
così aveva borbottato facendolo–, puntò un dito contro il fratello minore. E, no, non si trattava
dell'indice.
A quel gesto, naturalmente, Olly rise forte. «È sempre un piacere vederti, Vee» commentò con uno
dei suoi tipici sorrisi smaglianti, sistemandosi il cappello sulla testa.
La ragazza passò un braccio attorno alle spalle del fratello maggiore, non senza prima lasciargli una
leggera sberla sulla nuca. «Piacere mio, Niall».
«Oliver» la corresse Gordon con una risatina, mentre con una leggera spinta la minacciava di
spingerla sul pavimento. Dixie sbuffò e alzò gli occhi al cielo, del tutto incurante dell'aver appena
sbagliato il nome del migliore amico di suo fratello – nonché suo buon amico da tutta la vita.
«Allora, me lo dite cosa stavate facendo con quel computer?»
«I biglietti per Taylor Swift» fu la repentina risposta di Oliver. Dalla sua espressione era evidente si
stesse ancora chiedendo perché lei da qualche anno non facesse che chiamarlo Niall. Anche se
nessuno si era mai dato la pena di spiegarglielo, comunque, la risposta ai suoi dubbi era piuttosto
semplice: Olly Murs era la principale motivazione per cui Violet Dixon, da matricola universitaria,
aveva stretto amicizia proprio con Niall Horan e non, per esempio, con Joanne Preston, sua
compagna di banco alla prima lezione. Fin da quando l'aveva visto la prima volta, infatti, era
rimasta sconcertata dalla pazzesca somiglianza tra il suo amico d'infanzia e quello sconosciuto:
stessa gestualità, stesse espressioni, stesso sorriso, stessi atteggiamenti e stessa difficoltà nel
comprendere l'ironia – come avrebbe però scoperto solo in seguito. Non appena lo aveva sentito
parlare, certo, si era vista costretta a convenire che l'accento fosse totalmente differente; ciò non
toglieva però che la sua prima impressione nei confronti di Niall Horan fosse stata positiva. La
speranza che i due si somigliassero anche caratterialmente, aveva spinto Dixie a rivolgergli la
parola appena gliene si era presentata l'occasione e di lì, vista la naturale socievolezza di Niall e
l'eccentricità di lei, tutto era proceduto in discesa; Niall le aveva presentato la sua Xbox, Dixie le
aveva dichiarato amore eterno, Ruth, capitata a sedere accanto a loro ad una lezione di storia
dell'arte medievale, si era ritrovata a non poter più fare a meno della risata dell'uno e del sarcasmo
dell'altra. Erano bastati un paio di mesi perché Violet passasse dall'affitta-camere dalla parte
opposta della città all'appartamento che tuttora condivideva con Ruth, facendo tappa ogni paio di
giorni sul divano dei fratelli Horan a far visita alla loro Xbox.
Dixie rise di cuore, alternando occhiate ad ognuno dei ragazzi presenti. «Taylor Swift?»
Adam sbuffò e si alzò dal pavimento, gettando malamente il portatile sul letto. «Qual è il tuo
problema?» brontolò contrariato.
La sua espressione corrucciata, la risatina che scosse Gordon e quella che obbligò Oliver a mordersi
le labbra per non essere liberata suggerirono alla ragazza la giusta interpretazione di quella
situazione. Rise di nuovo, dunque, e decise di infierire ulteriormente: «State chiusi qui dentro ad
ascoltare Heavy Metal a tutto volume, mentre cercate i biglietti per il concerto di Taylor Swift. Che
c'è che non va in voi?»
A quel punto Olly non riuscì più a trattenersi e si accasciò sul letto tra le risate. «Chiedi a Addie».
Dixie si lasciò sfuggire una singhiozzante risatina sorpresa. «Come. Scusa?»
Adam incrociò le braccia e alzò spassionatamente gli occhi al cielo. «Punto primo: non è
divertente» iniziò, fulminando tutti i presenti con lo sguardo. «Punto secondo: non è colpa mia se la
mia ragazza ha dei pessimi gusti musicali» aggiunse rivolto alla sorella. «E punto terzo» concluse in
direzione di Olly: «nessuno mi ha mai chiamato Addie in tutta la mia vita, quindi dacci un taglio».
«Ex ragazza» lo corresse il maggiore.
«Punto quarto: vaffanculo!»
La risata di Gordon fece tremare Dixie insieme al suo petto. «Addie però è un bel soprannome. Un
po' femminile, ma...»
«Si intona ai tuoi riccioli d'oro, Addie» convenne lei spensierata. Di tutta l'agitazione di poco prima
non c'era più nemmeno l'ombra nella sua mente. Tutto sparito, come ogni volta.
Adam si esibì in una falsa risata, nascosta al loro udito da quella rumorosa di Olly – che fece
sorridere nostalgicamente Dixie al ricordo della propria infanzia e di quel Niall Horan che aveva
lasciato nelle mani di Zayn Fanboy Malik e Liam Ritardato Payne.
Il fratello minore sbuffò di nuovo e si appoggiò mollemente con le spalle al muro, accanto alla
finestra. «Bentornata, Vee. Quand'è che te ne vai, di preciso?»
La ragazza gli fece l'occhiolino da dietro gli occhiali da vista e si alzò dalle gambe di Gordon per
correre ad abbracciare Adam. «In teoria questa sera, fratellino, ma visto che ti sono mancata così
tanto magari rimango un paio di giorni!»
Lui, in tutta risposta, bofonchiò una protesta e si affrettò a spingerla lontano da sé.
«E levati, sanguisuga!»
«Sanguisuga io?»
Il tono di Dixie era oltraggiato, mentre incrociava le braccia e si sporgeva leggermente all'indietro, assumendo le stesse postura ed espressione di Adam. «Io? Ma davvero? E dire che avevo sempre pensato fosse Gordon quello appiccicoso» commentò, sistemandosi gli occhiali sul naso.
«Perché io?» domandò il diretto interessato; la sorella lo degnò appena di un'occhiata accesa di
scherno, poi tornò a rivolgersi all'altro.
«È meschino, non trovi anche tu?»
Oliver sogghignò. «A dire il vero Adam stava usando la carta di credito di Gordon per comprare la
prevendita del concerto» osservò, ma lei lo ignorò.
«È il classico aiutante del protagonista che si rivela un doppiogiochista: è sempre carino e
coccoloso e disponibile e poi... BOOM! “Kayley non è la tua ragazza, è la tua ex!”»
Adam fece una smorfia, sentendosi ripetere quella frase.
Gordon invece ridacchiò. «In effetti continuo a chiedermi perché tu voglia comprarle i biglietti, se
non state più insieme».
Olly aggrottò le sopracciglia con una smorfia confusa e divertita che si sarebbe adattata
perfettamente anche al volto di Niall. Fu anche con la stessa limpidezza dell'irlandese, dunque, che
fece per dare una risposta a quel quesito: «Be', ma proprio perché vuole riconq-...» Risposta che
nessuno riuscì ad ascoltare.
«Non lo vedi? Ti prende anche in giro!» trillò Dixie, additando il fratello maggiore, senza lasciare
che l'amico potesse finire la frase. «Cosa gli hai promesso, in cambio della carta, Adam? Lavatrice?
Lavastoviglie?»
«Una settimana di spazzatura» rispose quello, imbronciato; iniziava a capire dove sua sorella
volesse andare a parare, così come Gordon, che aveva ora gli occhi blu sgranati e un'espressione a
metà tra il divertito e lo scandalizzato.
Sul volto di Oliver comparve un – ennesimo – sorrisetto divertito, udendo quelle parole: aveva visto
la scena che stava per ripetersi di lì a poco così tante volte, da quando Dixie aveva cominciato
l'università, che non potevano più essere contate sulle dita. Era lo sfogo della vena dispettosa di
Violet Dixon, che veniva a galla ogni qual volta, dopo un certo periodo di tempo, si ritrovava tra i
propri fratelli: niente poteva impedirle di arrecare loro un immenso e insopportabile fastidio.
Quando assisteva ad uno di quei momenti, Olly non sapeva se rallegrarsi di essere figlio unico o
ingelosirsi del meraviglioso e discutibile amore fraterno che legava quei quattro.
«Dixie, no!» sbottò Gordon, una nota di incredulità nella voce profonda.
Lei rise, sfrontata, e posò una mano sulla spalla di Adam. « “No” cosa, fratellone? Ti sembra giusto
importunare così il povero Addie, girare il coltello nella piaga?» Inarcò le sopracciglia e fece una
smorfia di finto disappunto; il suo tono ne tradiva il divertimento. «Questo è davvero meschino da
parte tua».
«Sei un'infame!» esclamò Gordon tra le risate. «Non hai pietà di me, che sono pure infortunato?»
La ragazza si strinse nelle spalle con aria colpevole. «Mi spiace, ma no. Tu ne hai pietà, Adam?»
Il minore si staccò dal muro con un gesto fluido di cui Dixie aveva letto mille e mille volte nelle
fanfiction, attribuito al figo di turno – pensiero che le fece venir voglia di ridere.
«In realtà mi fate un po' pena tutti e due» sciorinò allora con lo stesso tono annoiato che generalmente contraddistingueva anche lei, solo un po' più sprezzante. «Dopo diciotto anni che mi conoscete, pensate davvero che io avrei davvero portato fuori la spazzatura al posto suo?»
«Oh-oh». Dixie ridacchiò. «Abbiamo un traditore qui» osservò, gettandosi a sedere sul letto accanto
a Oliver, che le passò un braccio attorno alle spalle scuotendo il capo con fare divertito e allo stesso
tempo rassegnato. «Bentornata» le sussurrò con fare fraterno; lei rispose con un sorriso
riconoscente.
Fu con il successivo «Che cosa hai detto, merdina?» e il conseguente «Hai capito benissimo,
stronzo» che Gordon sulla sua sedia a rotelle partì all'inseguimento di Adam, minacciando di
azzopparlo – Dio solo sapeva come. E Dixie rise, rise fino alle lacrime assieme ad Olly, finché suo
fratello minore non si fu rifugiato al piano di sotto, dove l'altro non poteva seguirlo con facilità. E
rise anche quando Gordon le diede della subdola infame, quando lei si alzò in piedi e lo fece girare
su se stesso sulla sedia rotelle, del tutto incurante delle sue proteste, fino a che non la implorò di
smettere o avrebbe rimesso la colazione sul pavimento.
Quando Noah si affacciò alla porta della stanza, trovando la sorella seduta sul pavimento, scossa da
un folle attacco di ridarella, e Gordon che imprecava a mezza voce e lamentava lo stomaco messo
sottosopra, non poté che sorridere soddisfatto, scuotendo il capo. Lo aveva sempre sostenuto: Violet
poteva farsi chiamare in un altro modo, poteva trascorrere tutta la sua vita lontano da casa,
circondarsi di gente nuova, affogare nel mondo virtuale, tentare di dimenticare l'incidente, non
guidare più la propria auto, ma questo non sarebbe mai stato abbastanza. L'unico modo per superare
davvero l'accaduto era vivere fianco a fianco della loro famiglia, convivere con l'eccessiva
apprensione della loro madre, con i sospiri del padre, i brontolii di Adam, la paranoia di Noah, la
sedia a rotelle di Gordon; accettare passo a passo i cambiamenti.
Gordon Dixon aveva una moto sportiva, anche se, per ovvi motivi, non poteva più guidarla. Ci
erano volute settimane di continue pressioni e insistenze da parte della sorella, perché i suoi genitori
accettassero di comprargliela in occasione del suo ventunesimo compleanno. Era stato così felice di
veder realizzato quel desiderio che lo tormentava fin da quando era solo un bambino, che per mesi
non andò da nessuna parte se non in sella alla moto, qualunque fossero le condizioni climatiche. Nel
giro di pochi mesi Gordon non era stato in grado di guidare più niente che non fosse la sua sedia
rotelle.
L'incidente era avvenuto a seguito di un venerdì sera in giro con gli amici; il luogo d'incontro era un
noto locale nel centro di Sheffield e, nonostante piovesse, Gordon aveva insistito per andare in
moto. Noah aveva affiancato i genitori nel sostenere l'assurdità di quella decisione, Violet, invece,
com'era ovvio che fosse aveva fatto pressione perché lo lasciassero fare: lei l'avrebbe seguito in
macchina assieme ad Olly. E così era stato: Dixie guidava l'auto che seguiva la moto di Gordon,
quando a seguito di un sorpasso pericoloso le ruote non avevano fatto presa sull'asfalto e lui era
caduto, rimanendo paralizzato dalla vita in giù.
Era stato Olly a chiamare l'ambulanza, i genitori, a raccontare a tutti l'accaduto. Era stato Olly a
riaccompagnarla a casa e ogni giorno in ospedale per fare compagnia a Gordon. Era stato lui a
sostenere – per quanto valesse – la sua decisione, quando aveva scelto di allontanarsi da Sheffield
per frequentare l'università. Ed era Olly l'unico a comprendere più degli altri come si sentisse Violet
riguardo all'accaduto: erano stata lei a premere perché gli fosse regalata la moto, lei a convincere i
genitori a lasciarlo uscire con quella nonostante la pioggia; erano stati loro a sognare quella terribile
scena per notti e notti.
Adam si gettò sulla sedia a capotavola sbuffando e puntellò i gomiti sulla tavola. «Cosa si deve fare
in questa casa per aver qualcosa da mangiare?» domandò contrariato, mentre già estraeva il
cellulare dalla tasca dei jeans troppo larghi.
Dixie distolse lo sguardo dalla PSP con cui Gordon stava giocando. «Alzare il culo e preparare
qualcosa?» suggerì, in bilico sulle gambe posteriori della sedia, mentre si dondolava tenendo una
mano ancorata al tavolo.
Il fratello minore le rivolse un'occhiataccia. «E tu perché non sei in cucina, allora?»
Lei rise sprezzante e si lasciò cadere rumorosamente sulle quattro gambe della sedia. «Oh, io non
abito qui, tesoro».
La risata di Noah si fece udire sprezzante fin dal salotto. «Non hai detto proprio questa mattina che
questa è casa tua?»
La ragazza sbuffò sonoramente, ignorando la risatina e il “Touché” di Gordon. «Per tua
informazione ho ordinato la pizza mezz'ora fa» gridò in tutta risposta.
«Pizza per pranzo? Che schifo!» si lamentò Adam.
Dixie alzò gli occhi al soffitto e si voltò a studiarlo con aria professionale. Lo guardò per qualche
lungo istante, durante il quale lui si esibì in mille smorfie infastidite, poi diede il suo responso: «Se
fossimo in una fanfiction, Adam, tu saresti uno di quei personaggi secondari insopportabili che
nessuno trova simpatici. Ed è un peccato, perché in realtà sono geniali nella loro malcelata
insicurezza» sciorinò con noncuranza.
Adam le rivolse un'occhiata sconcertata, poi fece una smorfia di disapprovazione. «Mi stai dando
dell'insicuro? Tu a me? Oh, questa è bella».
Lei si strinse nelle spalle. «Stavo parlando di fanfiction, tecnicamente» lo corresse.
Il ragazzo borbottò qualcosa e si alzò in piedi, già stufo della presenza della sorella maggiore.
«Qualcuno dovrebbe tirarti giù dalle nuvole, sai, svitata?»
Dixie aggrottò le sopracciglia. E dire che a diciotto anni, di solito, i ragazzi uscivano
dall'adolescenza e con essa anche dalla fase di insofferenza nei confronti di qualunque essere vivente non coetaneo; che Adam fosse rimasto un po' indietro con i lavori?
«Perché? Quassù si sta così bene!»
Gordon rise, senza distogliere lo sguardo dalla propria partita a Assassin's Creed. «Però su una cosa
il piccoletto non ha tutti i torti».
La ragazza sgranò leggermente gli occhi, guardò divertita il fratellino quando lui ricordò al
maggiore di essere parecchio più alto di lui, poi tornò a concentrarsi su di lui. «E perché mai?»
«Dovresti trovarti un ragazzo, forse. Olly è ancora single, sai? Sareste una gran coppia!»
Dixie scoppiò a ridere di cuore. «Olly?! Ma non dire sciocchezze!»
Gordon fece una smorfia e scrollò le spalle. «Be', era un esempio...» bofonchiò.
Adam si fermò sulla porta, un attimo prima di sgattaiolare al piano di sopra; si girò, dunque, giusto
in tempo per sputare un acido: «Andiamo, Gordon, sii realista: quale uomo si interesserebbe a
quella svitata? Rincoglionirebbe chiunque con chiacchiere su Doctor When e-»
La ragazza si voltò sconcertata verso di lui, come se avesse appena pronunciato la peggior
bestemmia mai udita da anima viva: «Santi numi, Adam, è Doctor WHO!»
Lui sbuffò e la fulminò con lo sguardo, prima di tornare a rivolgersi al fratello. «È così petulante
che a chiunque si ammosc-...»
Gordon ridacchiò di nuovo e guardò il più piccolo dal basso, con un sorrisetto malevolo. «Tu sì che
puoi dare consigli di cuore, vero, Addie? Con Kayley è andata così bene...!»
Adam si paralizzò sul posto, oltraggiato da quella risposta indelicata, ma, prima che potesse
esplodere in una serie di epiteti poco carini nei confronti del fratello, Dixie disse qualcosa che lo
sconvolse a tal punto da fargli dimenticare l'indignazione: «Per vostra informazione, io sto uscendo
con qualcuno».
Nella cucina cadde un silenzio carico di incredulità, interrotto solo dai suoni attutiti del televisore
nell'altra stanza. Adam sgranò gli occhi blu e inarcò le sopracciglia, Gordon si lasciò cadere la PSP
in grembo, lo sguardo perso del vuoto, mentre Noah si catapultò in cucina. «Stai uscendo con un
ragazzo che esiste davvero?» domandò affannato, affacciandosi alla porta.
Dixie aggrottò le sopracciglia, vagamente offesa da quella reazione scandalizzata. «Ovviamente»
rispose, piccata, ma senza perdere la sua solita aria annoiata. «Okay, tecnicamente non siamo
ancora usciti insieme da soli, ma ci stiamo mettendo d'accordo, ecco» aggiunse fissandosi le mani
strette in grembo.
«Un ragazzo vero?» domandò di nuovo Noah, cosa che fece sbuffare la sorella.
«Non è Pinocchio, se è questo che ti preoccupa!»
«Hai il ragazzo?» chiese subito dopo Gordon, incredulo quanto i fratelli. Erano tutti così concentrati
sulla rivelazione di Vee, che nessuno si accorse del rumore delle chiavi che giravano nella toppa del
portone di ingresso.
Dixie non riuscì ad impedirsi di arrossire, a quella domanda. «Non stiamo insieme, mi ha solo
chiesto di uscire!»
E fu questa la frase che la signora Dixon udì pronunciare dalla voce della sua unica figlia nel
momento in cui mise piede in casa dopo una mattinata di lavoro. La frase che diede inizio ad un
imbarazzantissimo interrogatorio che avrebbe tenuto occupata la famiglia per tutta la giornata.
 
 
 
Buongiooorno!
Parto con lo scusarmi con eventuali Pixie_Skywalker e Jeanstark96 iscritte a fanfiction.net; nel caso esistessero davvero, si tratta esclusivamente di una coincidenza. Al contrario, ovviamente, fanfiction.net esiste davvero: è un archivio internazionale di fanfiction che però, a quanto ne so, non ospita RPF (real person fiction). Questo significa che quando all'inizio Dixie parla di storie “sulla boyband del momento” c'è un errore (mio). Oppure che è iscritta anche su AO3 (che è, come è ovvio, un altro archivio internazionale) e le ha lette lì. E in questo caso mi scuso con eventuali iscritte a questo secondo sito con i nickname sopracitati. *sospira* Mamma, che fatica. u.u
In secondo luogo, ma non per importanza, ringrazio mamma Aries Pevensie per avermi betato il capitolo. È scontato che io vi suggerisca di fare un giro fra le sue storie, ma vi invito comunque a farlo. ^^ (Tra l'altro, guardate che presentazione figa le ho fatto. ♥)
Poi, mmmm. Forse dovrei scusarmi per il ritardo, ma come qualcuno sa, sto attraversando un periodo di cambiamento e, anche se al momento ho parecchio tempo libero, la cosa non durerà per molto, almeno finché non mi sarò abituata ai ritmi universitari. Santo cielo, pregate per me, che sicuramente non ho la fortuna di Dixie e non mi basta così poco per memorizzare le cose – anche se il problema dei dettagli è di entrambe.
Oh, e questo è il capitolo in cui si scopre la banalissima storia della famiglia Dixon! ...più un piccolo particolare sul nome proprio di Dixie che non so se qualcuno aveva già intuito. XD Ebbene sì, Dixie si chiama Violet, anche se nessuno la chiama così. Per lo più è “Dixie” o “Vee” per tutti.
Ma torniamo a Gordon. Ve lo aspettavate, vero? Il timore della guida di Dixie è provocato naturalmente dall'incidente a cui ha assistito e il suo distacco dalla famiglia sono causati dai sensi di colpa. E poi c'è Olly, che, dai, adoriamolo tutti insieme. *_*
Basta, smetto di farneticare. Spero che il capitolo non sia malaccio e a qualcuno piaccia. :)
A presto – spero!
Oh, e grazie a tutte le ragazze che mi hanno scritto o letto. Siete adorabili, tutte. ♥

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Capitolo 7
*** Una (a)tipica serata al Beard ***


"Io non ho ancora capito chi starà con chi. Se Ruth con Niall o Niall con Norah e Ruth con Zayn o Zayn con Dixie e Liam con...da solo. Quindi devo dire che non vedo l'ora di sapere come va a finire, perché voglio saperlooooooo!

Un bacio enormissimo alla mia Poop!!! Ti voglio un sacco bene e non devi dimenticarlo per niente al Mondo. u.u "

Come si fa a non adorare questa personcina? ♥ Grazie di tutto cuore, honey. Di ogni cosa. :3

Prima di tutto, questa volta, se NVU vuole, non dovrebbero esserci pasticci di html. In compenso sono molto insoddisfatta della mia ispirazione ultimamente, quindi chiedo scusa in caso il tutto stia peggiorando di volta in volta. 
Perdonatemi se questa volta non risponderò alle recensioni. È una cosa infame, io per prima detesto quando la gente non lo fa, mi passa la voglia di recensire - ecco perché se reagirete allo stesso modo vi capirò. Vi ringrazio comunque per avermi lasciato il vostro parere, grazie di tutti quei mi piace che mi piacerebbe un sacco sapere da chi provengono. Grazie a tutti. ♥
Vi lascio al capitolo, che spero vi piaccia un po' più di quanto è piaciuto a me. :)
P.S. Sì, l'Ed di origini irlandesi coi capelli rossi e la chitarra è chi pensate che sia. ♥

 

 

 

Capitolo 7
Una (a)tipica serata al Beard

 

Se stavi passando per la città un sabato sera e volevi trascorrere una serata diversa dalle altre, fuori dal comune, magari anche alternativa, di quelle che ti lasciano così scioccato da farti chiedere se tu sia ancora sul pianeta terra, allora ti conveniva stare lontano dal Beard. Se invece tutto ciò che cercavi si poteva riassumere nella canonica formula “musica, birra e irlandesi”, il Beard era proprio ciò che faceva al caso tuo.
“Oh, andiamo, so che non hai niente di meglio da fare” erano quelle le parole confusamente scritte in una grafia disordinata sulla lavagnetta fuori dalla porta; quella che dovrebbe attirare clienti annunciando offerte speciali, ma, nel caso del Beard, faceva storcere il naso a tutte le signore di mezza età “con un bastone nel didietro” – così le definiva il proprietario – che passavano di lì borbottando qualcosa che poteva somigliare a “covo di ubriaconi”.
La prima volta che Niall le aveva portate al Beard, Dixie era rimasta eccessivamente affascinata dalla facciata in mattoni fin troppo comune dell'edificio, dalla sua porta a vetri un tempo dipinta di blu notte e ora a macchie marroncine dove la vernice era saltata via. Trovava che ci fosse qualcosa di epico nella fotografia del ragazzo dai capelli rossi e la barba incolta che mostrava il dito medio appiccicata con lo scotch al cartello di benvenuto, ma, soprattutto, nell'insegna luminosa in gran parte fulminata. Le uniche lettere con i led ancora funzionanti erano due e il fortunato risultato dell'incuria del gestore era in questo caso una fin troppo azzeccata coppia di parole: un luminescente “ED” ed un oscuro “BAR”. Inutile dire che quando aveva scoperto che il ragazzo dai capelli rossi che aveva salutato calorosamente Niall al loro ingresso si chiamava proprio Ed, aveva riso fino alle lacrime, piegata in due su uno degli sgabelli. A Ed, quella ragazza strana, era piaciuta fin da subito. Ecco perché Dixie poteva vantarsi di essere tra le poche persone a cui offriva da bere ogni volta – anche se non senza chiedere scherzosamente qualcosa in cambio.
Una delle cose migliori del Beard – oltre che l'insegna, l'incuria e il carattere eccentrico di un luogo di cui a nessuno importava – era il karaoke. Dixie, come tutti gli esseri umani dotati di un minimo di buon gusto, a detta sua, amava il karaoke. C'erano svariati motivi per cui apprezzarlo; uno tra tutti era che, per quanto il luogo fosse tranquillo e non molto frequentato, era comunque sempre pieno di orecchie indiscrete e, almeno, le si teneva impegnate intontendole a suon di canzoni stonate e acuti che avrebbero potuto sbriciolare i boccali sul bancone. Un altro buon motivo era sicuramente, per Dixie, il fatto che il karaoke avesse occupato quasi tutti i venerdì e sabato sera al liceo, nella piccola cittadina in cui era cresciuta; tra basi e canti stonati aveva trascorso i momenti più belli della sua adolescenza.
Quella sera erano seduti ad uno dei tavolini più vicini al palco e alle casse, dai quali lo starnazzare di una signora bionda e sbronza che stava cercando di cantare era udibile fin troppo forte e chiaro.
«Guarda che non c'è niente da ridere» stava facendo notare Dixie a Niall. Una frase del genere, in effetti, perdeva del tutto il proprio significato, se pronunciata in direzione di un ragazzo che, come Niall, faceva delle risate il proprio pane quotidiano – pane, birra, caffè, ossigeno... insomma, ne campava.
Ruth, era palese, non la pensava affatto come lei; nascondeva le risate dietro il proprio boccale e gli occhiali non le schermavano abbastanza il volto per celarne il divertimento. «A dirla tutta...» ebbe il coraggio di abbozzare, ma, prima di poter formulare una frase completa, optò per tornare a sorseggiare la propria birra ed evitare di girare ulteriormente il coltello nella piaga. Saggia scelta.
Niall non fu altrettanto discreto. Piegato in due sul tavolo, scosso come sempre dalle risate, lasciò cadere un pugno sulla superficie in legno e poi guardò di sottecchi l'amica: «Ti hanno fatto il terzo grado! Su Liam! E nemmeno uscite insieme! Devi essere proprio cotta, se ti sei messa in una situazione simile!»
Dixie si premurò di fulminarlo con lo sguardo, offesa da quell'insinuazione, e fece una smorfia infastidita. «Non c'è nulla da ridere» ripeté. Aveva fatto male, molto male, a raccontare ciò che era accaduto a casa, una volta che sua madre era entrata sentendola parlare di Liam. Eppure ne era stata così sciocca e si era vergognata così tanto che aveva sentito il bisogno di raccontarlo ai suoi amici – visto e considerato che Gordon si era preso il disturbo di farlo sapere ad Olly la sera stessa.
Così, indispettita dalle ulteriori prese in giro di quelli che avrebbero dovuto difenderla e supportarla – tsk, e avevano davvero il coraggio di definirsi amici suoi?-, volle infierire: «Non vedo l'ora di vedere la reazione dei tuoi adorati compari quando sapranno di Norah. Ti auguro un interrogatorio terribile almeno la metà di quello di mia madre».
Ruth quasi si strozzò quando udì quelle parole, e Niall trattenne il fiato. Solo quando la ragazza smise di tossire – non senza che lui le rivolgesse una breve occhiata preoccupata–, Dixie si rese conto di aver calcato un po' troppo la mano sulla sua piccola vendetta.
«Norah?» ripeté infatti Niall a mezza voce, sorpreso, mentre Ruth esplodeva in un indignato «Dixie!».
La ragazza in questione si lasciò cadere contro lo schienale della sedia e massaggiò le tempie doloranti – non per via dello stress, della pseudo-musica o della stanchezza, ma semplicemente per aver dimenticato gli occhiali a casa e sforzato la vista tutto il giorno. «Fate finta che io non abbia detto niente, okay?» tentò con un sorrisetto tirato.
«Troppo tardi». Ruth parlò per tutti e due, lo sguardo duro e freddo come raramente lo aveva visto.
Fu allora, più o meno, che capì di aver davvero passato il limite. Era stata così presa da sé nell'ultimo periodo di aver perso un po' – parecchio – di vista la sua migliore amica. Il che, sì, era proprio un bel problema.
Sospirò e, continuando a guardare Ruth come in cerca del suo appoggio, rispose alla domanda che le era stata posta. «Insomma, sì. Lei potrebbe aver chiesto di te negli ultimi giorni». Quello che le annodava lo stomaco doveva proprio essere senso di colpa.
Niall si rizzò a sedere diritto sulla sedia. «Davvero?» chiese conferma, un'espressione incredula in viso. Si stava parlando di Norah. Insomma, Norah! Poteva davvero aver chiesto di lui? E per cosa, poi? Per uscire? Con uno come lui? Assurdo.
Dixie distolse lo sguardo dall'amica, dopo averla vista sospirare in silenzio. «Potrebbe» ripeté con insistenza.
«Okay» le accordò Niall con impazienza; l'ultima cosa di cui aveva voglia era uno degli stupidi giochi di parole della sua amica. Aveva chiesto di lui o no? «Potrebbe aver chiesto di me in quali termini?»
Fu Ruth a rispondere: «Pare che possa essere interessata ad uscire con te. Potrebbe chiederti di uscire, un giorno o l'altro». Fece una breve pausa, durante la quale trovò la forza di concludere l'opera: «La domanda è: accetteresti?»
Niall faceva saltare lo sguardo limpido e luminoso dall'una all'altra, alla ricerca di certezze. «Vuole uscire con me?» chiese ancora, senza sapere quale delle due guardare.
Dixie prese la propria pinta tra le mani e si perse osservando le luci che giocavano sulla schiuma. «No».
E d'un tratto lui seppe chi guardare. «No?» ripeté incredulo. Lo avrebbero fatto impazzire, se avessero continuato a confonderlo in quel modo.
«No». Forse c'era ancora una speranza di mettere una toppa sullo strappo appena causato, pensò Dixie. Avrebbe anche potuto mentire o distorcere leggermente la verità e rimettere in ordine le cose. Era ancora possibile, no? Una parte di lei sapeva bene che era troppo tardi per ricucire la ferita che aveva sicuramente inferto a Ruth, ma forse c'era ancora un minuscolo spiraglio di possibilità, poteva ancora provarci. Il suo lato razionale, stufo di quel continuo arrampicarsi con gli specchi, le fece notare in maniera spicciola di aver combinato un casino, di quelli stupidi, evitabili e dannosi. Proprio nel suo stile.
Niall si accigliò. «Dixie, sì o no?»
«Tecnicamente no».
«Tecnicamente. E in pratica?»
«In pratica nemmeno. Lei ci ha chiesto...»
Ruth posò con più forza del dovuto il boccale sul tavolo e sbuffò. «Dixie, dacci un taglio» la interruppe, per poi rivolgersi al ragazzo: «Sì, Niall, sì. Sarebbe carino se facessi tu il primo passo, comunque, alle ragazze piace».
Dixie aveva voglia di prendersi a schiaffi. Nel tono della sua amica era palese quanto le fosse costato pronunciare quelle parole; era lei, in tutta probabilità, a desiderare che Niall facesse la prima mossa – per invitare lei ad uscire, e non Norah o chiunque altro. Si congratulò con se stessa per la cecità; ma dove aveva avuto la testa ultimamente? C'era stato l'esame, la preoccupazione per lo stalking da parte di Liam, la telefonata di Noah, poi quella di Gordon, Zayn, Noreen, l'uscita, Niall, Norah, la serata a casa sua, quel piano che tutto d'un tratto non sembrava poi così geniale, la proposta di Liam, Liam, Liam. Tutto era partito da lui. Quel beota avrebbe fatto bene ad uscire dalla sua testa al più presto, perché le stava incasinando la vita, pur non accorgendosene. Quasi riusciva ad immaginare l'espressione spaesata e adorabile che avrebbe di certo messo su se solo lei gli avesse riversato addosso quell'accusa. Santo cielo, avrebbe dovuto smettere subito di pensarci.
Niall, nel frattempo, proprio non riusciva a capire. «Mi state prendendo in giro? Norah vuole uscire con me o no?» domandò, le sopracciglia aggrottate e un'espressione concentrata che riuscì ad intenerire le ragazze.
«Dovresti chiederlo direttamente a lei» suggerì Ruth, ignorando lo sguardo dispiaciuto che ora Dixie le aveva incollato addosso. Una parte di lei era furiosa: perché si accorgeva delle cose sempre troppo tardi? Non poteva ricordarsi di lei prima di trovarsi d'accordo con Liam, prima di scoprire l'interesse di Norah, prima di aver sputato in faccia a Niall la verità?
E l'astuto commento del ragazzo a tutta la faccenda, dopo che ebbe svuotato la propria pinta di birra in un paio di sorsi e si fu abbattuto goffamente contro lo schienale della sedia, fu un laconico e sorridente: «Porca vacca, non ci credo».

«Le hai chiesto di uscire, quindi?»
Liam arrossì mentre camminava lungo il marciapiede. Perché finissero sempre per andare in giro a piedi nonostante fossero tutti e tre auto-muniti ancora non gli era chiaro. In un modo o nell'altro ogni sabato sera finiva con loro che vagabondavano senza meta per la città; iniziava a farci l'abitudine.
Quella volta si stavano dirigendo pigramente – e in perfetto ritardo – verso il Beard, il piccolo bar disastrato in cui lavorava Harry Styles da qualche mese a quella parte, alle dipendenze di un ragazzo di origini irlandesi che sembrava conoscere bene anche Niall.
Dopo un intero pomeriggio di insistenze da parte sua, infatti, Louis aveva sbattuto l'iPhone sulla tavola dell'appartamento semi vuoto di Liam e Zayn e aveva abbaiato il suo consenso ad andare a sentirlo cantare, più per esasperazione che per altro. Harry aveva sorriso entusiasta mostrando le fossette e Louis aveva finto di essere davvero irritato, voltando il capo dall'altro lato.
A volte Liam si chiedeva se lui e Zayn fossero mai davvero interpellati quando si riunivano per organizzare una serata tutti insieme. Zayn, dal canto proprio, se ne infischiava, beandosi invece dell'inimitabile capacità di Harry di essere più petulante di Louis, quanto voleva, senza mai perdere la propria simpatia.
Louis fece schioccare sonoramente le dita a pochi centimetri dal volto del ragazzo per richiamarlo alla realtà; quello stesso gesto gli avrebbe assicurato come minimo un'occhiataccia irritata da parte di Zayn, ma ormai sappiamo che Liam Payne è troppo gentile per rivolgere occhiatacce a chiunque non se le meriti – e per qualche strano motivo Louis sembra non meritarle mai, secondo lui.
Si affrettò invece ad annuire, quasi dispiaciuto della propria distrazione.
«E ha accettato?» continuò Louis guardandosi attorno con naturalezza. Liam non capiva se gli interessasse davvero o meno e fu proprio per questo che parlò rivolto a Zayn. «Incredibilmente sì».
E Zayn pensò che “incredibile” era proprio l'avverbio giusto per descrivere il fatto che Dixie avesse davvero accettato. In cuor suo, non aveva saputo se sperarci o meno, quando l'amico era uscito di corsa dall'appartamento di Niall: Dixie era una ragazza particolare, fuori dal comune, eccentrica, ironica e del tutto incostante, non era certo fosse ciò che faceva al caso di Liam.
«Oh, ma è grand- … Ma che merda!» Il commento entusiastico di Louis sul successo dell'amico venne bruscamente interrotto da quello sulla facciata del palazzo in cui era situato i Beard.
Zayn invece ridacchiò divertito, leggendo l'insegna. «“Bar”. “Ed”. Ehi, ma Ed non è il nome dell'amico di Harry?»
Louis fece una smorfia e, buttandosi in mezzo alla strada fortunatamente deserta per attraversare, ebbe la spavalderia di gridare una conferma, ma anche che «Solo Harold può lavorare in una topaia simile!».
Liam sobbalzò a quelle parole e ringraziò il cielo che la musica all'interno del bar fosse così alta da poter essere udita da fuori, poiché questo significava che era impossibile che l'Ed in questione, proprietario del locale, potesse aver sentito.
«Bella roba» ripeté il ragazzo con fare contrariato, una volta entrati. Perfettamente in ritardo sulla tabella di marcia, trovarono una donna bionda spalmata su uno dei tavoli più vicini alla porta a ridere come un'ossessa tra sé e sé e l'esibizione di Harry già in atto. «C'è un gran casino qui dentro e non c'è nemmeno tanta gente. Ripeto: solo Harold poteva lavorare in un posto del genere».
Solo a quel punto Zayn si decise a far ciò che tratteneva da quando Tommo era passato a prenderli a casa; gli assestò un'indelicata pacca sulla spalla e commentò in tono canzonatorio: «Avanti, amico, la tua brunetta può aspettare ancora qualche giorno». In fondo tutti e quattro – okay, forse Liam poteva essere escluso dalla selezione – che il motivo per cui Louis aveva tanto da lamentarsi quella sera era la cameriera dello Starbucks a cui voleva tanto chiedere di uscire.
Lo stesso Louis, dal canto proprio, si prese la libertà di ridergli in faccia. «Dici così solo perché non l'hai vista». Poi, come se niente fosse, tornò a cercare lo sguardo di Liam. «Allora, la tua lei com'è?»
Lui sorrise, mentre camminavano tra i tavoli alla cercando uno libero abbastanza vicino al parco – erano andati lì per supportare il loro amico Harry e come minimo era necessario che avessero un buon posto, così da vedere e farsi vedere. Con l'unico scopo di infastidirlo, aveva specificato Louis quando Harry aveva avanzato quella richiesta.
Così, assorto nella ricerca di parole che fossero abbastanza per descrivere la ragazza di cui aveva la testa piena nell'ultimo periodo, quasi non si accorse di Zayn che esclamava sorpreso «Ehi, c'è Niall!». Quasi, però, perché l'attimo dopo il suo sguardo aveva identificato il profilo ridente dell'irlandese e, soprattutto, la ragazza bionda che al suo fianco stringeva le mani l'una nell'altra all'altezza del petto. «È lei» osservò a mezza voce, gli occhi sgranati per la sorpresa.
A quella rivelazione Louis decise che, tutto sommato, la serata non poteva andare tanto male quanto aveva pianificato. Forse aveva perso un'occasione per uscire con Eleanor, ma in compenso sembrava aver tra le mani una situazione altrettanto interessante.

«Guardali, guardali, guardali, guardali, guard-- !»
«Li vedo, Dixie, li vedo!» sbottò Ruth mal celando una nota di divertimento. Le diede una leggera spinta, sporgendosi dalla propria sedia fino alla sua, come eloquente ed amichevole invito a chiudere una buona volta il becco. Non sapeva nemmeno lei il perché, ma rimanere arrabbiata a lungo con quella ragazza sembrava impossibile; non era colpa sua se combinava dei guai, semplicemente viveva nel suo universo parallelo e, certe cose, non le notava. Un po' come Babs, in fondo, ma questo era meglio non farglielo notare.
Un altro degli aspetti positivi del karaoke al Beard, secondo Dixie, era senza dubbio alcuno Harry Styles. Aiuto barista, oltre che buon amico di Niall, era la principale – e forse unica– attrazione del bar. C'erano lui, la sua voce e la chitarra di Ed, che quando iniziavano a dare spettacolo diventavano l'unico suono udibile all'interno del locale, oltre a qualche parola cantata sottovoce – o meno – dal misero pubblico di fronte a cui si esibivano.
Harry Styles, a detta di Dixie, era il massimo. Potenzialmente sarebbe potuto diventare il ragazzo perfetto per chiunque: aveva quelle sue fossette e i ricci e la voce profonda! Era così alto che finiva per piegarsi un po' su chiunque si trovasse davanti, oltre che così gentile che ogni volta finiva per invischiarsi in assurde reti di presunti interessi reciproci con vari clienti – di ambo i sessi e di ogni età. Era fantastico, a detta sua.
Quando Niall era venuto a conoscenza dell'interesse nascente di Dixie nei confronti del suo amico, aveva anche pensato di presentarglielo e lasciare che quei due svitati se la sbrigassero da soli – perché, oggettivamente, Harry era così eccentrico e buono da poter sopportare e tener testa persino a qualcuno come lei –, salvo poi scoprire che tutta la passione della si limitava ad un, testuali parole, “selvaggio shipping”.
«Che cosa?!» aveva domandato Niall sconvolto, dopo aver sentito quelle parole riferite ad uno dei suoi migliori amici. «Che cosa?!» aveva ripetuto poi, sgranando gli occhi e sporgendosi sul tavolo verso Dixie – che ogni volta per qualche motivo finiva seduta proprio di fronte a lui.
Lei aveva sorriso raggiante e gli aveva indicato Ed e Harry che si esibivano insieme, facendosi al contempo boccacce e dispetti reciproci. «Ho una nuova OTP!» era stata la sua emblematica risposta.
Quella sera, a distanza di almeno un paio di mesi dalla scoperta del Beard e del potenziale di Harry Styles, Dixie ancora non riusciva a fare a meno di pensare a quanto quel ragazzo fosse perfetto per stare in una coppia. Davvero non riusciva a credere che fosse single – e Niall aveva riso forte e a lungo quando lei aveva ammesso la sua perplessità. Oltre al suo essere shippabile, comunque, apprezzava diverse qualità in Harry. Prima di tutto era un cantante pazzesco, aveva un voce profonda, armoniosa e coinvolgente; in secondo luogo sembrava davvero un ragazzo d'oro, anche se non aveva ancora trovato l'occasione per parlarci. Aveva l'aria di una persona sveglia, magari avrebbe pure scoperto che si appassionava ai videogiochi, conoscendolo.
Era da quando Harry era arrivato al Beard di corsa, con il respiro affannato ed un ritardo di parecchi minuti sull'inizio del proprio turno, che Dixie blaterava a proposito di quanto lo avrebbe visto bene in una qualunque fanfiction; Niall aveva smesso di ascoltarla da quando erano saliti sul palco, concentrato piuttosto sugli accordi improvvisati da Ed alla chitarra. Sapeva bene che Ruth aveva molta più pazienza ed esperienza di lui riguardo a certe cose – che aveva declassato nella sua testa come “roba da femmine” - e lasciava fosse lei ad occuparsene. Onestamente, la musica gli interessava molto di più dei “discorsi da fangirl”, che davvero ancora faticava a capire, nonostante conoscesse Dixie da un bel po' di tempo. Era così concentrato sul suono della chitarra leggermente scordata di Ed, che si spaventò a morte quando Louis gli abbatté con forza il palmo di una mano sulla schiena. «Ehilà, Nialler!»
Dixie nemmeno si accorse che Ruth stava prestando più attenzione alle inaspettate imprecazioni di Niall che a lei e nemmeno al fatto che si fosse alzata per cedere il proprio posto a qualcun altro e prendere un'altra sedia, tanto era presa dal proprio fangirling acuto.
Era più forte di lei: quando vedeva Harry Styles non riusciva a non inserirlo in un ipotetico contesto alternativo, affibbiargli un compagno o una compagna ogni volta differenti e immaginare come si sarebbe comportato in questa o quella situazione. Harry Styles era un maledetto personaggio, non poteva essere vero: era troppo fantastico per non essere frutto della mente di qualcun altro.
Stava appunto osservandolo e spiegando a Ruth quanto quelle sue fossette ispirassero tanto, tanto, tanto, ma tantofluff, quando si voltò per cercare una conferma nello sguardo dell'amica e si rese conto che la persona seduta accanto a lei non era affatto una ragazza. Qualcosa dentro il suo stomaco esplose fastidiosamente in uno sfarfallio allegro, che risalì fino al volto, dove si palesò con un diffuso rossore. «Liam!» si lasciò sfuggire in tono sorpreso.
«Fluff? Di cosa stiamo parlando esattamente?» domandò questi confuso. Dixie arrossì di più, quando lo vide aggrottare le sopracciglia in un'espressione così... maledettamente tenera. Non ebbe nemmeno la possibilità di mentire a se stessa: era già bell'e fregata, per dirla in termini tipici dei Dixon – o “cotta a puntino”, se proprio si voleva usare le parole di Olly.
Tirandosi una ciocca di capelli dietro un orecchio, comunque, trovò il tempo di ringraziare il cielo di non aver parlato di quanto il fisico e la voce di quel Harry ispirassero p0rn. «Fluff!» ripeté con ovvietà, poi ridacchiò. «Si usa per descrivere scene dolci o tenere».
Liam sgranò leggermente gli occhi. «Davvero si usa?» chiese. Non aveva mai sentito utilizzare quel termine.
Dixie si strinse nelle spalle e annuì. «Nel fandom, sì».
«Fandom». Gli stava venendo il serio dubbio che stessero parlando due lingue differente. Ne ebbe la conferma quando la ragazza scoppiò a ridere e gli fece l'occhiolino: «Devo insegnarti un bel po' di cose, Manny!». E lui era sul punto di domandargli cosa significasse il modo in cui l'aveva chiamato, ma lei lo precedette: «Che, se lo stai chiedendo, è l'abbreviazione di maniaco. È un po' più simpatico di Stalkie, non trovi?»
Liam rimase immobile per un istante, guardandola incredulo, poi rise, mentre Harry cantava con la solita passione Isn't she lovely di Stevie Wonder. Sì, lo era.

Non era affatto semplice sedere in sette attorno ad un tavolo per quattro, in un locale così piccolo e chiassoso come il Beard, ma ancora un volta la voglia di stare insieme e lo spirito di adattamento tipico di un gruppo di ragazzi intorno ai vent'anni avevano fatto miracoli. Ecco che quindi Dixie era appollaiata sulle gambe di Ruth, proprio di fronte ad Harry Styles, su quelle di Niall, mentre Louis e Zayn avevano preso posto in sedie rubate ad altri tavoli.
«Sto solo dicendo, Harold, che è inutile tenere il bar aperto se entrambi i baristi passano il loro tempo a giocare sul palco scenico».
Quello era un momento di estrema difficoltà per Dixie. Si sentiva una bambina in un negozio di caramelle e non aveva idea di dove guardare o chi ascoltare. Proprio davanti a lei Harry Styles era impegnato in un delirante battibecco con quel tale Louis, il personag- ehm... la persona più sfrontata che avesse mai incontrato, mentre proprio nel posto al suo fianco Liam stava spiegando a Ruth chissà cosa. Ed era maledettamente combattuta: il tono di voce concitato e le espressioni da bambino di Liam la attraevano come un magnete, ma d'altro canto Harry e Louis era la coppia più shippabile dell'intero universo.
«Giocare? Sei solo invidioso. Perché non vieni tu a giocare con me sul palco, Lou?»
Dixie saltò sul posto udendo quelle parole. Erano palesemente un doppio senso. Non potevano non essere un doppio senso, no? Ruth, che aveva subito il contraccolpo del suo salto, la fulminò con un'occhiata e un discreto invito a stare ferma e buona.
«Ma hai sentito!» squittì Dixie con un'aria così afflitta e un tono così basso e acuto che in tutta probabilità l'altra non riuscì nemmeno ad udire. A dispetto di ogni apparenza, Ruth capì benissimo e rise. «Sì, ho sentito, ma stanno scherzando».
L'altra incrociò le braccia e aggrottò le sopracciglia. «Questo lo so» precisò, contrariata. Perché tutti credevano che non conoscesse la differenza tra realtà e finzione? «Ma li shippo».
Liam si grattò la testa e quel movimento attirò l'attenzione di Dixie, che quella sera sembrava fin stranamente più attenta al mondo che la circondava piuttosto che alle propri elucubrazioni mentali. «C-cosa vuoi fare?» domandò sgranando un po' gli occhi, confuso. La ragazza rise, intenerita dalla totale ignoranza di Liam riguardo al linguaggio da fangirl, e lui indovinò la risposta a quella domanda: «È un'altra di quelle parole di cui devi spiegarmi il significato, vero?»
Lei annuì. «Esatto. Forse dovrei darti lezioni».
Il ragazzo sorrise allegro. «Potresti insegnarmi la tua lingua aliena venerdì prossimo al cinema» buttò lì con una naturalezza che Dixie non si era aspettata da lui. Rimase infatti immobile a guardarlo per qualche istante, poi abbassò lo sguardo e sorrise tra sé, sorpresa ed emozionata da quella proposta. «Perché no» mormorò una volta trovato il coraggio di tornare a guardarlo negli occhi castani. Era possibile che fosse appena arrossita di nuovo? Stava rischiando l'autocombustione, se lo sentiva.
Il sorriso di Liam si allargò ancora, entusiasta di quel nuovo successo. Se prima aveva accettato di uscire con lui un giorno qualunque, ora avevano un vero appuntamento! Sentì la soddisfazione gonfiargli il petto mentre lo stomaco era agitato dal familiare svolazzare delle farfalle. Non riusciva a smettere di guardarla e sorridere. Dixie era la persona più svitata e incomprensibile del pianeta, diametralmente opposta a lui; forse era proprio questo il motivo per cui moriva dalla voglia di scoprirla, capirla, indovinarla.
«Ti vanti sempre della tua abilità con le mani!» La frase appena pronunciata da Harry risuonò un po' troppo in un miracoloso momento di silenzio nel locale, portando l'attenzione di tutti a focalizzarsi su di lui, che, una volta resosi conto di ciò che aveva appena detto, arrossì violentemente. «Okay, detta così suona molto male».
Louis sogghignò, mentre tutti gli altri al tavolo scoppiavano a ridere. «Harold, potresti anche evitare di cantare le mie lodi in un luogo pubblico» lo prese in giro, accompagnando la frase con un occhiolino.
A quel puntò Harry, che stava ridendo istericamente per l'imbarazzo, boccheggiò. «Parlavo del pianoforte! Stavamo parlando di musica!» guaì in un disperato tentativo di togliersi di impiccio.
Louis piegò il capo da un lato: «Ho mai detto qualcosa di diverso? Che mente perversa, Harry!».
«Oh, ma andiamo!» protestò un'ultima volta lui, prima di nascondere il suo reale divertimento dietro un poco realistico broncio e alzarsi dalle ginocchia di Niall per tornare al lavoro.
«Questo era Harry Styles, ragazzi e ragazze,» commentò Zayn sorridendo sornione. «Colui che se può scegliere la combinazione sbagliata di parole, lo fa».

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Capitolo 8
*** Pronti, partenza, via di corsa! ***



Capitolo 8
Pronti, partenza, via di corsa!

 
Nell'appartamento le cose stavano andando in maniera piuttosto strana quel lunedì mattina; mentre un insolito silenzio che proveniva dalla stanza vuota di Babs, uscita praticamente all'alba - secondo il parere di Dixie-, la cucina era più affollata e rumorosa del solito, a causa della presenza di una sola persona, la quale, per giunta, era viva e vegeta nonostante non avesse ancora bevuto il primo caffè della giornata.
«Scuuusami, Ruthie! Scusa, scusa, scusa, scu-»
L'insistente richiesta di perdono della ragazza fu brutalmente interrotta dallo sbuffo esasperato di Ruth. «Avanti, ora smettila. Ti ho già detto che non è un problema».
Dixie comunque non era tipo da chiudere il becco così in fretta, specie se si considerava che una volta tanto la sua (non iper-, ma pur sempre) attività non era stata indotta dalla caffeina ma da un sovraccarico emotivo. Un sovraccarico tale che le aveva impedito di dormire, come dimostravano i cerchi scuri che le contornavano gli occhi. «Sì, invece».
Ruth alzò gli occhi al soffitto. Forse avrebbe preferito che la sua amica continuasse a non accorgersi delle ferite causatele nell'ultimo periodo, se l'alternativa era quella che le si stava presentando. «Forse» le concesse; «ma ormai il danno è fatto, quindi dispiacersi è inutile» osservò acutamente, mentre posava la propria tazza nel lavandino e recuperava la giacca di lana dallo schienale di una delle sedie, decisa a dirigersi in facoltà il più in fretta possibile.
«Mi dispiace comunque» obiettò Dixie nello stesso tono infantile che di solito usava per i commenti adoranti riguardo ai suoi pairing preferiti, Margot e Harry Styles.
L'amica si sistemò gli occhiali sul naso, mantenendo un certo contegno di fronte a quella sceneggiata messa in piedi con l'unico intento di intenerirla e spingerla a perdonarla – cosa che ufficialmente aveva già fatto, sebbene la ferita nel suo intimo ancora bruciasse. Evitò il suo sguardo, mentre borbottava sottovoce: «È il minimo».
Dixie trattenne il fiato e si imbronciò con aria colpevole. Questa volta l'aveva fatta davvero grossa, non sarebbe stato facile rimediare.
«Scusami» ripeté, in tono più serio, consapevole dei propri sbagli, approfittando di un momento in cui lei stava spiando la sua reazione per guardarla dritto negli occhi; era sincera. Estremamente stupida e distratta, ma sempre sincera. «Davvero» aggiunse per rincarare la dose.
Fu allora che Ruth si sciolse nel primo sorriso spontaneo della giornata e annuì frettolosamente come a chiudere alla svelta quella conversazione fin troppo difficile per entrambe – l'una aveva bisogno di non pensare a certe cose, mentre l'altra avrebbe dovuto smettere di piangere sul latte versato. «Per farti perdonare, oggi pomeriggio mi accompagni a correre» decise.
Dixie, il petto alleggerito di una parte del peso dei sensi di colpa, sgranò gli occhi ed ebbe anche il coraggio di protestare: «Cosa?! Ruthie!».
Lei sorrise, soddisfatta di quella reazione, e approfittò del suo silenzio sconvolto per infierire ulteriormente: «E mi racconterai di Liam».
«Ruthie!» la richiamò di nuovo Dixie, implorante. Ebbe però il buon senso di non domandare cosa avesse fatto di male per meritare una tortura simile; servire su un piatto d'argento ad un'altra il ragazzo a cui la propria migliore amica non voleva ammettere di essere interessata era una di quelle colossali bastardate che lei per prima non avrebbe mai perdonato a nessuno. Ruth doveva essere proprio una santa per averlo fatto, o anche solo starci provando. «In alternativa non potrei, non lo so... Lavare i piatti al posto suo per una settimana?»
L'altra sorrise. «Se vuoi anche per un mese, ma verrai comunque a correre con me e mi racconterai di Liam».
Si susseguirono una serie di sguardi imploranti e determinarti, di bronci, occhioni dolci e sorrisetti indifferenti, poi Dixie si abbandonò ad un sospiro prolungato, che segnò la vittoria di Ruth in quello scontro silenzioso.
«Grande!» esultò quella infatti, sorridente. «Ora muoviti o faremo tardi a lezione».
E Dixie sospirò di nuovo. Sperava solo che almeno Niall avesse la decenza di offrirle il caffè, considerato il casino causato dalle sue questioni di cuore.
 
Dixie mal sopportava diverse cose, tra cui spiccavano senz'ombra di dubbio l'esercizio fisico, gli animali capricciosi o privi di personalità e le persone che sbagliavano i nomi dei personaggi delle opere più famose. Per questo motivo era inevitabile che l'idea di andare a correre al parco con Ruth e Asterix non la entusiasmasse affatto. Dopo quasi venti minuti di lamentele, preghiere e divertiti «Ah-ha, hai promesso!», Dixie aveva tentato il tutto per tutto raggomitolandosi sotto le coperte e fingendo di essersi addormentata.
Nonostante il respiro regolato per essere pesante e cadenzato, come quando dormiva, Ruth non ci aveva creduto nemmeno per un istante. Aveva deciso comunque di reggerle il gioco e si era premurata di spalancare le finestre e strapparle via le coperte. «Giù dalle brande, si va a correre!»
«Ruthie, ti preeeego» era stato l'ultimo lamentoso tentativo della ragazza, che fu letteralmente spinta giù dal letto. «Vestiti!»
Ed ecco che, alle quattro e trentaquattro, Ruth e Dixie erano in tenuta sportiva fuori casa, intente a correre – be', almeno la prima, perché la seconda si limitava a saltellare al suo fianco nel tentativo di starle dietro camminando. Il tutto mentre Asterix, dopo solo un centinaio di metri, già respirava a fatica e cercava in tutti i modi di interrompere quella tortura.
«Ha il nome sbagliato» sputò Dixie contrariata, per ripicca verso la punizione inflittale.
Ruth scrollò le spalle e disse: «Per l'ennesima volta, non mi importa se il cane del fumetto si chiama Idefix, il mio si chiama Asterix!»
L'altra le rivolse un'occhiata truce e sbuffò, mentre cercava di parlare, respirare e correre contemporaneamente. «Intendevo che è troppo grasso e pigro per chiamarsi Asterix» osservò. «Avresti dovuto chiamarlo...»
«Idefix è un bruttissimo nome!» insistette la prima, davvero stanca di affrontare quella discussione con l'amica; era in quelle occasioni che si chiedeva perché, tra tutti, la nerd fiscale doveva capitare proprio a lei. Dixie detestava che Ruth non conoscesse a menadito i fumetti di Asterix e Obelix e, soprattutto, che il suo cane avesse il nome del protagonista invece che quello dell'animaletto da compagnia.
«...Snorlax» concluse lei fingendo di non essersi accorta dell'interruzione.
Fu a quel punto, più o meno, che il suddetto cane puntò prepotentemente le zampe e abbaiò scontento.
«Vedi? Lui non approva» fu il rapido commento di Ruth. Poi, intenerita – chissà come– dallo sguardo – truce– di Asterix, lo prese in braccio e ricominciò a correre, prima che Dixie potesse anche solo tirare un sospiro di sollievo nell'illusione di una pausa.
Questa sbuffò, invece, e ricominciò subito a lamentarsi: «Nemmeno io approvo il jogging, va contro tutti i miei principi, però non sembra importarti».
Oh, i famosi e saldi principi morali di Violet Dixon! L'amica ridacchiò. «C'è un motivo, no?» le ricordò. «Allora, cosa mi dici di Liam Payne?» cambiò argomento e si assicurò di sottolineare il nome del ragazzo con un tono solenne e un'occhiata eloquente. Proprio il genere di cosa che sapeva dare sui nervi della coinquilina – probabilmente perché Babs invece amava ammiccare e parlare in con enfasi teatrale.
Dixie si sistemò la coda di cavallo, troppo corta per essere davvero definita tale, e sbuffò per l'ennesima volta. «Come posso evitare questo argomento?» si informò pacatamente.
Ruth in tutta risposta accarezzò col mento la testa del suo cane e fece finta di non averla sentita. «Allora?» insistette.
Così Dixie emise un lungo e sommesso gemito di frustrazione per poi prepararsi al suo racconto. Eppure, contro ogni aspettativa, non ne ebbe bisogno.
Se c'era una cosa che era Ruth ad odiare, quella era la fortuna sfacciata di Violet Dixon – che, sì, non meritava più di essere chiamata in maniera confidenziale, in quelle circostanze.
Proprio in quel momento, infatti, quando stava per avere inizio una conversazione a base di pareri, risolini, rossori e quelli che Dixie chiamerebbe "feelings", un grosso labrador saltellante corse loro incontro, costringendole a fermarsi, per poi abbaiare festoso in direzione del carlino che Ruth teneva in braccio. «Oddio!» squittì allarmata quest'ultima, mentre la sua amica combatteva tra l'impulso di ridere del latrare isterico del piccolo Asterix, gioire per aver scampato il pericolo o spaventarsi per l'incursione di quel cane – che, pur essendo un labrador, era sempre un grosso animale sconosciuto.
Bastarono pochi istanti di confusione, però, perché qualcuno corresse in loro soccorso; «Brit!», sentirono gridare una voce familiare, giusto un attimo prima che la figura slanciata di Harry Styles entrasse nel loro campo visivo facendosi riconoscere. «Brit, avanti, vieni qui! Scusate, ragazze, ora la porto via!»
Dixie, mentre il ragazzo si avvicinava, non riuscì ad evitare di stamparsi sul viso un sorriso ebete: Harry indossava una ridicola fascia per capelli fucsia, un paio di scarpe giallo fosforescente e teneva le maniche della t-shirt a fiori arrotolate sulle spalle proprio come facevano le sue compagne di classe al liceo. E, santo cielo, i suoi tatuaggi erano qualcosa di paurosamente ridicolo! Stava giusto gongolando nel notare la scarsa virilità di quell'adorabile ragazzo, quando una seconda persona lo affiancò per consegnargli un guinzaglio, respirando affannosamente.
«Dovresti stare più attento!» lo rimproverò Harry, mentre fissava il gancio al collare.
E, quando Dixie riconobbe quella persona, arrossì – per usare la sua terminologia specifica– “come una cretina”.
«Ti ricordo che l'hai fatta scappare tu, Hazza» obiettò Liam, stringendosi nelle spalle. Spalle che improvvisamente, lasciate scoperte dalla canottiera, a lei sembrarono molto più larghe e interessanti; probabilmente si sarebbe soffermata ad apprezzarle, se non fosse già stata impegnata nell'osservare le braccia. In particolare la sua attenzione si focalizzò, non appena lo notò, su un tatuaggio in particolare: «Sai di avere dei delineatori di curva* sull'avambraccio, vero?»
E Harry stava davvero per rispondere a Liam con una battuta sagace in modo da farsi bello agli occhi delle due ragazze, ma quella frase lo sorprese così tanto che finì con lo scoppiare in una risata singhiozzante delle sue – di quelle che finivano con lui che si tappava la bocca, imbarazzato – prima di riuscirci.
Grazie a quella stessa domanda, in compenso, Liam realizzò chi fossero le vittime del suo cane. «Dixie! Ciao!» esclamò sorpreso. Per un riflesso involontario – o forse no – la osservò da capo a piedi, sinceramente sorpreso di trovarla in tenuta sportiva. Be', sportiva con un inconfondibile tocco di Dixie, ovvero la felpa di Star Wars – e i pantaloni lunghi, come notò con un pizzico di delusione. «Non ti facevo un tipo sportivo, sai?»
Lei fece una smorfia enigmatica e rivolse un'occhiataccia a Ruth. «Nemmeno io» ammise.
«E corri in felpa?» si intromise Harry, sfoderando le fossette e un sorrisetto irriverente.
«Pare che sia contro i suoi principi uscire a mezze maniche in inverno» intervenne a quel punto Ruth, divertita dalla simpatica coincidenza – le erano sempre piaciute certe buffe casualità. «E ciao, ragazzi» aggiunse poi, accompagnando il saluto con un sorriso sincero e un cenno della mano.
Dopo averle sorriso a sua volta, Liam tornò presto ad osservare qualcuno di cui, onestamente parlando, gli interessava di più. Non che Ruth fosse una persona noiosa o degna di essere ignorata, questo mai; il problema era tutto di Liam, con il suo palese debole per Dixie.
Quando incrociò il suo sguardo, comunque, fu sorpreso di scoprire che lo stava guardando: «Delineatori di curva» gli ripeté quella, come a ricordargli la propria precedente domanda.
E Liam aggrottò le sopracciglia, senza capire, mentre Harry, riconosciute le ragazze che gli erano state presentate al Beard, stava già proponendo di continuare quella corsa tutti insieme, da persona socievole ed espansiva qual era.
«Non... non sono delineatori di curva» rispose, imbronciandosi leggermente. Perché quella ragazza riusciva sempre a farlo passare per un ritardato? E dire che era sempre stato orgoglioso dei propri tatuaggi. Aveva riflettuto molto prima di imprimersi sulla pelle ognuno di essi e tutto d'un tratto gli sembrava davvero stupidi.
«Ne sei proprio sicuro?» insistette lei, mentre già gli altri due si erano messi in marcia tenendo i cani – uno al guinzaglio e l'altra in braccio.
Lui fece una smorfia incerta e, «Sì, ne sono sicuro. Abbastanza» confermò.
Fu più o meno a questo punto che Dixie si rese conto di un piccolo dettaglio: si trovava ad aver finalmente la possibilità di rallentare il passo, certa che Liam non l'avrebbe lasciata indietro; d'altro canto, però, farlo significava rimanere sola con lui per la prima volta da quando aveva scoperto non si trattasse di un maniaco e la cosa la imbarazzava forse più del necessario. Anzi, decisamente più del necessario. Da quando andava in paranoia per un ragazzo?, si chiese. Non era un comportamento da lei, proprio no. Quindi, dopo quel breve momento di indugio, prese coraggio e si decise ad assecondare la propria pigrizia, abbandonando quella sottospecie di ridicolo trottare a cui si era dedicata fino a quel momento.
Liam, come previsto, rallentò fino a camminare al suo fianco. «Non ... corriamo?» chiese confuso. Era convinto che stessero facendo jogging, dopo tutto. Ciò che non aveva contato era che, proprio come sembrava aver intuito poco prima, Dixie era tutto fuorché una persona sportiva.
Ecco che dunque lei liquidò quella domanda con un'occhiata scettica e cambiò argomento. «Harry sembra proprio un tipo da Labrador» buttò lì, mentre lasciava scorrere lo sguardo sulle figure del ragazzo e di Ruth che correvano l'una accanto all'altra qualche metro più avanti.
Liam si accigliò, senza capire cosa quella frase significasse. «Un tipo da Labrador?» E dire che il cane era suo.
«Sì» continuò lei. «Sembra un ragazzo... dolce. Come i Labrador: amichevole e tenero. Uno da scene fluff, ecco» concluse con ovvietà, evitando tuttavia di guardarlo. Sì, era decisamente imbarazzante stare da sola con lui, specie se tutto ciò di cui riusciva a parlare era l'omosessualità che Harry sprizzava da tutti i pori e di tutte le scene fluff che le faceva venire in mente. In più, se quella solitudine piuttosto relatica le creava problemi, non riusciva a pensare a quanto sarebbe stato imbarazzante uscire con lui, da soli, quasi come una coppia. Non riuscì a impedirsi di arrossire e si maledì per questo.
«Oh» fu il laconico commento di Liam. Quindi Harry era tenero. Tenero era un apprezzamento, giusto? Era qualcosa di positivo. Non ne era sicuro, però, si disse quindi che avrebbe poi chiesto conferma ai ragazzi. Nel frattempo, comunque, scoprì di provare un fastidioso moto di gelosia verso il suo amico. Perché lui veniva regolarmente etichettato come sfigato, mentre Harry no? Harry piaceva a tutti, Harry attirava l'attenzione e stava simpatico a chiunque. Cosa aveva in più di lui?
Mentre camminavano, spinta da quel silenzio imbarazzante calato tra loro, Dixie azzardò un'occhiata nella sua direzione e, trovando Liam a fissare dritto davanti a sé con le sopracciglia aggrottate come se qualcosa lo turbasse, si chiese cosa poteva aver detto di male. Era possibile che avesse già combinato qualche danno, parlando troppo? Era un disastro. «Tutto bene?» si arrischiò a domandare, una leggera ruga a far capolino tra le sopracciglia, segno eloquente della sua stessa – rara– preoccupazione.
Liam sembrò riscuotersi dal torpore dei propri pensieri; la guardò come se si fosse ricordato solo in quel momento della sua presenza e abbozzò un sorriso. «Sì, certo» rispose. Optò poi per un cambio di argomento: «Come mai sei a correre con Ruth? Fare jogging non sembra piacerti molto».
Dixie non si interrogò oltre su breve e teso silenzio di poco prima, colse piuttosto la palla al balzo per sviare la conversazione, seguendo l'input suggeritole dalla sua indole spensierata. «Correre è l'attività più stupida con cui si possa sprecare energia» decretò, usando un tono solenne e convinto. «Voglio dire, che senso ha? Se almeno ci fosse della competizione, potrei capire. E anche se fosse in qualche modo divertente. Invece no, è proprio lo sport più inutile e noioso della storia degli sport».
Lui non poté fare a meno di ridere. In verità a lui correre piaceva e anche parecchio; erano poche le attività che riuscivano a rilassarlo e ad assorbirlo come la corsa, ma pensò bene di non contraddirla. «Ottimo, quindi so che venerdì non guarderemo un film sull'argomento» osservò, divertito. «Che ne dici della competizioni automobilistiche? È uscito Rush e mi piacerebbe proprio vederlo» propose invece.
Liam non notò il sobbalzo della ragazza, non notò lo sguardo perso nel vuoto né le spalle irrigidite, mentre lei le scrollava con falsa naturalezza. L'ultima cosa che voleva vedere era un film basato sulle corse automobilistiche, in cui era certo uno dei due protagonisti finisse coinvolto in un incidente. Il solo pensiero le aveva raggelato il sangue nelle vane, ma non lo diede a vedere. Le immagini dell'incidente di Gordon le sfrecciarono per un attimo nella mente, ma lei le cacciò indietro e sfoderò il suo tipico sorrisetto ironico – quello dietro a cui da sempre nascondeva le proprie paure. «Onestamente, Liam Payne, non penso proprio che al nostro primo appuntamento guarderemo un film del genere, no» gli comunicò, tornando al solito tono distaccato ed ironico. Era più forte di lei: quando qualcosa la turbava, indossava la sua seconda personalità, quella pseudo nerd – perché i nerd veri e propri non esistevano–, che conosceva il mondo solo attraverso le proprie storie e passioni e a cui bastava chiudere il libro, stoppare il film o cliccare sulla croce rossa in alto a destra per interrompere un'avventura che non le piaceva.
E Liam, come da copione, non si accorse nemmeno di quel piccolo cambiamento, troppo concentrato sul battito del suo cuore, che se già era accelerato per via della corsa, ora lo era anche di più per quel “il nostro primo appuntamento”. La cosa suonava molto bene in quei termini, sembrava ufficiale, serio. Lo faceva ben sperare. Sorrise, dunque, e si avvicinò un po' di più a Dixie, in modo che camminando le loro braccia potessero di tanto in tanto sfiorarsi – anche ostacolato dalla stoffa, non riusciva a non sentire una scossa ad ogni contatto.
Se solo ci avesse provato, avrebbe potuto indovinare con esattezza l'espressione di scherno che avrebbe preso posto sul volto di Zayn, vedendogli fare una cosa così patetica. Fortunatamente Liam aveva altro a cui pensare al momento e il suo migliore amico non l'avrebbe affatto visto comportarsi da ragazzino infatuato. Ecco perché continuò ad atteggiarsi tale, sorridendo come un ebete ogni volta che incrociava lo sguardo di quella ragazza.
 
Stava andando tutto troppo veloce, pensava Niall mentre camminava a testa bassa, con passo spedito, lungo il marciapiede. Perché stava andando tutto così veloce? Non era pronto a darsi una mossa, proprio per niente. Eppure stava andando incontro a quell'appuntamento che sembrava già fissato, nonostante non fosse stato ancora proposto da nessuno.
Tutto appariva già predisposto; la mossa successiva era già pronta, lo scacco proclamato: lui avrebbe solo dovuto spostare la pedina e vincere la partita.
Ed era proprio quello che stava andando a fare, anche se c'era qualcosa che tentava di frenarlo. Il fatto era che non l'aveva deciso lui. Nessuno l'aveva obbligato, ma la strada gli era stata indicata e, be', quello era un chiaro invito a percorrerla, no?
Niall Horan non era un ragazzo che si tirava indietro, no. Una volta presa un decisione, andava fino in fondo, anche se si rendeva conto che si trattava di una sciocchezza immane. Quando si metteva in testa qualcosa, non era affatto facile fargli cambiare idea – temperamento che gli piaceva pensare fosse dovuto al suo essere irlandese. Il problema era che questa volta stava succedendo tutto così in fretta che lui, al momento, era tutt'altro che convinto. Non era nata dal profondo del suo stomaco sempre al lavoro, non dal suo cuore, non dalla sua mente. Gli era semplicemente stata offerta la possibilità e lui stava correndo a coglierla al balzo per un riflesso spontaneo, non perché lo avesse propriamente deciso.
Nonostante ciò, comunque, quando giunse di fronte al solito pub, si fermò e ne osservò per qualche istante la porta a vetri chiusa. Entrare o non entrare? Agire o non agire? Stava rischiando di impazzire. Perché una volta uscito di casa aveva iniziato ad avere tutti quei dubbi? Anche se, a pensarci meglio, quei pensieri non gli davano pace fin da quando Dixie si era lasciata sfuddire qualche parola di troppo quella sera al Beard.
Niall gettò la testa all'indietro, le mani affondate nelle tasche dei jeans, ed inspirò a pieni polmoni l'aria – inquinata – della città. Si chiede un'ultima volta se fosse la cosa giusta da fare, ma, senza darsi una risposta, decise di buttarsi. Le ragazze dicevano che sarebbe andata bene, i ragazzi sicuramente lo avrebbero spinto a provarci, se solo avessero saputo della sua intenzione, e la sua tipica impulsività irlandese lo spingeva ad andare fino in fondo. Quindi, ignorando quell'incertezza che stava timidamente cercando di fargli notare qualcosa, “o la va o la spacca” si disse, ed entrò nel locale.
Prese posto al bancone e cominciò a guardarsi attorno in attesa che la sua cameriera preferita si avvicinasse per chiedergli l'ordinazione. O almeno per salutarlo, o prenderlo un po' in giro come le piaceva tanto fare. Ridacchiò al solo pensiero, mentre, preda in sovraccarico di energia, si trovava a tamburellare nervosamente le dita di una mano sulla propria gamba sinistra.
Lanciò una distratta occhiata al televisore che trasmetteva una partita di calcio di serie B e lasciò che questa catturasse la propria attenzione, almeno per un po'. Di ciò che succedeva sullo schermo, comunque, quasi nulla raggiungeva la sua mente, fin troppo impegnata a far... be', oggettivamente a fare nulla. La sua testa era completamente vuota, inattiva. Ogni tanto compariva un barlume di dubbio, che Niall si sforzava di cacciare via, ridacchiando tra sé: ormai era entrato, non si sarebbe tirato indietro. Cominciò a strofinare le mani sui jeans, mentre la scarica di energia si allargava fino a contagiargli le gambe portandolo a battere ritmicamente un piede per terra.
«Ehi, martello pneumatico, sei qui per bucare pavimento?»
Niall sobbalzò, quando la voce di Norah lo strappò ai suoi non-pensieri. Rise, poi, e le dedicò uno sguardo sereno di quelli che strappavano sempre un sorriso a Ruth. «Buongiorno!» salutò.
Norah soffiò una ciocca di capelli fuori dal proprio campo visivo e abbozzò un ghigno ironico. «Buongiorno anche a te, Irlanda! Siamo di buon umore oggi?»
Lui ridacchiò nervosamente e abbassò lo sguardo, mentre nascondeva le mani nelle tasche dei jeans un po' troppo larghi. «Questo dipende dalla tua risposta alla domanda che sto per farti».
La cameriera mise le mani sui fianchi e, senza riuscire ad impedirsi di arrossire nell'illusione che lui volesse proporre ciò che lei sperava, chiese: «Di quale domanda stiamo parlando, con esattezza?»
Niall stava per farsi prendere dai dubbi per l'ennesima volta, ma, prima che anche solo uno di essi potesse prendere vita nella sua testa, stava già parlando: «Ho due biglietti per la proiezione di Rush di venerdì sera. Ti va di accompagnarmi?».
Norah sgranò leggermente gli occhi, colpito, poi si aprì in un sorriso smagliante. «Mi stai chiedendo di uscire?»
Niall alzò lo sguardo limpido su di lei e si strinse nelle spalle. «Anche questo dipende dalla tua risposta» le comunicò, divertito. «Perché se mi dici di no, allora inventerò una scusa».
Lei inarcò le sopracciglia, incuriosita. «La volpe e l'uva. E se la mia risposta dipendesse dalla tua scusa?»
Quindi toccava a lui fare la prima mossa, era evidente. Non ebbe bisogno di pensarci su molto Niall: la sua madre patria gli offrì una buona ispirazione anche in quell'occasione. «Be', voi inglesi avete sempre avuto la puzza sotto il naso, ecco perché» replicò, accompagnando quelle parole con uno sguardo ironico.
«Ma davvero?» chiese retoricamente lei.
«Davvero. E siete anche scrocconi, ecco perché sono sicuro che non rifiuterai un biglietto gratis per il cinema» rincarò lui, sfoderando un sorriso smagliante.
E Norah rise di cuore, per poi attirare l'attenzione del suo collega dietro al bancone: «Devon, una pinta per il nostro amico irlandese» ordinò, prima che lui potesse dirle ciò che desiderava. Poi gli parlò un'ultima volta, prima di tornare a servire ai tavoli: «E venerdì sera alle otto cerca di farti trovare qui davanti, Niall Horan; noi inglesi, oltre che altezzosi e scrocconi, siamo anche maledettamente puntuali. E rancorosi. Ricorda l'ombrello» concluse, facendogli l'occhiolino.
E mentre Niall sorseggiava da solo la sua pinta, quel pomeriggio, non riusciva a smettere di sorridere tra sé e lanciare occhiata e Norah. Che fosse destino o meno, a quel punto non importava più: quel venerdì sera sarebbero usciti insieme. Incredibile!
 
 
(*)Punto primo: cosa sono i delineatori di curva? Se qualcuna di voi ha il patentino, dovrebbe saperlo, per non parlare dei patentati e dei work in progress. In ogni caso, sono questi: http://www.asaps.it/agg_cds_2011_online/reg/2_466.jpg e si usano, come dice il nome, per delineare le curve in strada, quindi segnalarle e indicarne la direzione di svolta. Quando sono rosse significa che sono provvisorie, ma non siamo a scuola guida. (Come fa una curva ad essere provvisoria? Non è qqquesto il punto; sostanzialmente i delineatori sono quello che Liam ha sul braccio. u.u)
Punto secondo: purtroppo l'associazione tra il segnale stradale e il tatuaggio del buon vecchio Liam James Beckham non è opera mia. È stata sfornata dalla mente di una mia carissima amica (come probabilmente altre cose che ho scritto in questa storia o scriverò) e mi ha fatto morire dal ridere. Ancora sghignazzo ogni volta che vedo il tatuaggio, ergo il merito va tutto a lei. Ciaaaao, sassy Fede! ♥
 
   Se tutto va bene, nel prossimo capitolo troveremo l'appuntamento di Liam e Dixie e quello di Norah e Niall. Che Dio ce la mandi buona, sarà terribile descriverli in una maniera decente e io con certe cose proprio non ci so fare. XD
  Oh, uhm, tutta la sequenza riguardante Niall riguarda la sua (in)decisione a proposito di Norah: Dixie e Ruth gli hanno rivelato che lei sarebbe disposta ad uscire con lui, sa che i ragazzi lo spronerebbero a farlo e quindi, senza chiedere consiglio prima a nessuno, è andato al pub ed è successo ciò che è successo. Quello che lo frena è che non è stato lui di propria spontanea volontà a decidere di farlo, ma l'occasione gli è stata offerta su un piatto d'argento e lui l'ha accettata quasi automaticamente, senza pensarci, senza davvero decidere di farlo. È un discorso un po' astratto, ma spero si capisca qual è il punto della faccenda - in caso contrario, sono disposta a spiegarmi meglio, oppure lo capirete col procedere della storia. ^^
  Spero che la rilettura e l'editing di questo capitolo abbiamo portato ad un risultato decente. Avevo promesso che lo avrei postato ieri sera, ma ho poi scoperto che oggi ci sarebbe stato sciopero dei trasporti e ho perso tempo a cercare informazioni, per poi distrarmi allegramente su Tumblr e... be', ma non importa, eccomi qui! In ritardo di una settimana, ma eccomi qui. Yay!
Spero che il capitolo piaccia a qualcuno, in caso contrario, sono sempre aperta alle critiche - e questa volta probabilmente ce n'è davvero bisogno. XD
- Per domande, chiacchiere, insulti e fangirling, mi trovi su Ask e Twitter, e di nuovo anche su Facebook
 

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Capitolo 9
*** Non c'è due senza quattro ***


Prima di tutto, buon Natale a tutti! ♥

 

Capitolo 9
Non c'è due senza quattro
 
 
Quello che stava succedendo nell'appartamento poteva essere classificato come una catastrofe naturale, probabilmente. Dixie era sul punto di allertare il governo del disastro ormai non più imminente, ma già in corso – si sarebbe giustificata dicendo che la puntualità non era mai stata il suo forte, lo aveva già deciso, e la regina in persona le avrebbe conferito un premio per il suo servigio offerto all'Inghilterra, nonostante il ritardo.
Ma quello che stava succedendo nell'appartamento poteva essere visto anche in maniera più semplice e chiara: in tutte e tre le camere da letto sembrava che gli armadi fossero esplosi, c'erano vestiti ovunque – sui letti, sulle sedie, scrivanie, pavimento, comodini – e un piccolo uragano biondo e goffo a mettere tutto sottosopra, nel tentativo di combinate il giusto outfit per un'occasione così importante.
«Ti ho detto di no. Esci dalla mia stanza, subito» stava ripetendo Dixie per la ventesima volta in tono freddo e deciso. Forse il cartello incollato con lo scotch alla porta della sua camera con su la fotografia di Babs coperta da una grossa croce rossa e la scritta “You shall not pass!” era troppo poco immediato perché lei recepisse il messaggio. Avrebbe dovuto immaginarlo.
«Che ne dici di questo, Ruth? È troppo formale?»
«Più che altro è un po'...»
«È un vestito a maniche corte, porca miseria! Siamo in inverno!»
«Troppo formale per un appuntamento al cinema, giusto. Potrei prestarle gli shorts di jeans e un paio di calze!»
«Conoscendola, Babs, congelerebbe».
«Finalmente qualcuno che ragiona! Tu, Cosa, esci di qui. Non voglio altre vittime, hai capito?»
«Calze di lana, allora».
«Non credo sia una buona idea. Perché non lasci che decida da sola cosa...?»
«Pantacalze?»
«Babs...»
«Senti, dimmi la verità: quando Dio distribuiva l'intelligenza, a te si erano incastrati i ricci nella pentola della goffaggine?»
«Smettila di farmi ridere, Dixie, sto parlando di cose serie. Oh, ho trovato! Annika mi ha regalato una camicetta fantastica per il mio compleanno. Starebbe da Dio con la tua gonna scozzese, Ruth».
«Babs, non credo che Dixie voglia...» ...Che la sua camera cada in mano al ciclone con troppi capelli? No, decisamente non voleva.
Dixie sbuffò sonoramente, sistemò gli occhiali sul naso e, stufa di essere ignorata, alzò entrambe le braccia per attirare l'attenzione delle altre due. Era davvero troppo: bisognava mettere fine a quella pagliacciata. Prima di tutto perché temeva per l'incolumità delle proprie cose e secondo perché non aveva intenzione di indossare le calze. O un vestito “troppo formale”. O un vestito qualunque. E tanto meno una gonna scozzese e una camicia ricevuta in dono da Annika che secondo quella cretina della sua coinquilina era fantastica. Chissà chi era, poi, quella Annika.
Quando finalmente ebbe tutti gli sguardi su di sé, dopo aver analizzato in fretta tutte le alternative e le possibili cose da dire, prese un respiro profondo, ne scelse una – a caso– e parlò con aria solenne: «Mi trasferisco ai Caraibi».
E quando Babs scoppiò a ridere e Ruth alzò gli occhi al cielo, Dixie sbuffò di nuovo. Perché non veniva mai presa sul serio? «Non sto scherzando, sarebbe un'ottima soluzione: questa situazione è troppo stressante. E poi è freddo qui. E non voglio vedere quella che rompe qualcos'altro in camera mia». Che era un modo come un altro per intimare alle persone che abitavano con lei di lasciarla in pace.
Era già abbastanza agitata in previsione di quella sera senza che quell'impiastro di Babs mettesse sottosopra casa – tra l'altro col cavolo che avrebbe aiutato a sistemare! Se solo Ruth avesse evitato di lasciarsi sfuggire dell'appuntamento, tutto sarebbe andato per il verso giusto. A quell'ora Dixie sarebbe stata sotto le coperte con la testa sotto il cuscino, mentre Ruth cercava a tutti i costi di tirarla giù dal letto anche se, no, no e no, lei aveva troppa ansia per andare a quell'appuntamento, avrebbe voluto darsi malata. Anche se questo, in effetti, sarebbe comunque potuto succedere.
Sentiva quella strana stretta allo stomaco, che era solita sperimentare solo prima di un esame particolarmente difficile, a mandarle in confusione l'organismo. Non riusciva a decidere se avesse fame o meno, se fosse felice o disperata, se volesse togliere definitivamente di mezzo Babs o se le bastasse che portasse la propria dannosa persona fuori dalla sua stanza. Avrebbe voluto che Niall si presentasse alla sua porta in quel momento stesso annunciandole che era in atto un'invasione aliena, o, in alternativa, che Zayn le telefonasse per dirle che Liam si era sentito poco bene e avrebbero dovuto rimandare quell'uscita al trenta febbraio del duemilamai. E lei lo avrebbe capito, che si trattava di una scusa, ma avrebbe anche capito che uscire con un disastro fangirlante come lei sarebbe stato tutto fuorché facile. Tutto d'un tratto si sentiva così sbagliata, in piedi in mezzo alle mille magliette da ragazzo con su stampe di ogni genere che Babs aveva scaraventato fuori dal suo armadio. Si sentiva poco femminile, poco adatta ad un'occasione del genere.
Stava per uscire con un ragazzo. Un ragazzo vero! Iniziava a capire perché a casa sua nessuno ci avesse creduto: al momento non riusciva a concepirlo nemmeno lei. Dixie e un ragazzo. Un ragazzo reale, esistente, umano. Un ragazzo addirittura bello, oltre che gentile ed educato. Un mezzo maniaco, per giunta, ma questa forse era la caratteristica che più si addiceva ad una svitata come lei, con una passione smodata per i casi umani.
Per di più quel folle aveva intenzione di vedere Rush e lei di certo non ne aveva alcuna voglia. Proprio no.
Sospirò per poi imbronciarsi. Basta, voleva dare forfait.
«Okay, ehm». Ruth si schiarì la voce e attirò l'attenzione dell'amica, ormai quasi del tutto dimentica dell'aggirarsi delle coinquiline nella sua stanza. «Non voglio allarmarti, Dixie, ma sembra che tu abbia...»
«Cosa?»
«Sembra che tu abbia in faccia...»
Cosa? Cosa aveva in faccia? Ci mancava solo che le fosse spuntato un brufolo enorme sulla fronte. Ovviamente come da copione. Come nelle migliori – o peggiori? - fanfiction comiche. Perfetto. Grande. Anzi, grandioso.
«Un'espressione».
Dixie la guardò stralunata. Che cosa andava farneticando?
«Oddio, eccone un'altra!» la additò Ruth per poi scoppiare a ridere dello sconcerto sul volto dell'amica. «D'accordo, scusa, ma sei rimasta impassibile tutto il giorno e non hai nemmeno video-chiamato Margot per farti dare man forte. Iniziavo a preoccuparmi».
«Chi è Margot?» domandò Babs, esaminando quale dei due paia di jeans che stava reggendo fosse più adatto al maglioncino rosa che aveva trovato chissà dove – sicuramente non nell'armadio di Dixie.
«Fatti gli affari tuoi» la freddò lei, per poi tornare a concentrarsi su Ruth: «Non è così importante».
«No, infatti. È solo un'uscita, Dixie: andrai al cinema con Liam. Liam: quello tonto. Che hai da preoccuparti?»
Giusto, che aveva da preoccuparsi?
E fu così che, emettendo uno dei suoi soliti prolungati lamenti, si gettò a faccia in giù sul letto. Continuò a gemere di frustrazione per quasi dieci minuti finché il suono di qualcosa che si schiantava sul pavimento non la destò dalla trance disperata in cui era caduta. Allora alzò la testa, mantenendo gli occhi ben chiusi, e il cuore appesantito dal timore di scoprire l'entità del danno e dall'agitazione per l'imminente appuntamento, gridò: «ESCI SUBITO DI QUI!».
 
«È proprio, proprio, proprio sicura che non vuole tornare a cambiarsi?»
Dixie sbuffò, udendo la voce di Babs attraverso la cornetta, anche se distante. «Mi fai un favore, Ruth? La uccidi entro il mio ritorno?» Camminava lungo i marciapiedi della città stretta nel solito cappotto nero, una voluminosa e vecchia sciarpa di lana avvolta attorno al collo. Al contrario di tutte le pressioni fatte da Babs, come c'era da aspettarsi, aveva indossato un paio di jeans e una felpa con su stampato Chewbecca. Non molto elegante, forse, ma in perfetto stile Dixie.
Si erano dati appuntamento di fronte al cinema meno frequentato della città, nonché più vicino alle abitazioni di entrambi, scelta che era parsa geniale, specie se volevano trascorrere una serata. Proprio lì si stava dirigendo lei, le mani che tremavano e il dubbio che a scuoterle non fosse solo il freddo. Non che Dixie non avesse mai avuto un appuntamento, mica era nata ieri! No, il punto era che non ne era più abituata. Da qualche tempo, ormai, era più abituata a leggere storie romantiche che a viverne e non ne aveva mai sentito la mancanza. Non che avesse iniziato ora a fantasticare, non sia mai. No, era solo che...
Tirò su col naso e alzò lo sguardo al cielo, ignorando la voce di Ruth che attraverso il telefono le faceva notare quanto fosse sciocca la sua ostilità nei confronti della loro coinquilina. Sì, certo, blablabla.
Era solo che Liam un po' le piaceva. Sì, le piaceva. Un po'. Era stata costretta ad ammetterlo almeno a se stessa, quando aveva scoperto di ricordare ogni cosa detta da lui, ogni momento trascorso insieme e persino il colore dei suoi occhi – senza nemmeno essersi accorta di averci prestato attenzione!
Il fatto che Liam – un po' – le piacesse la metteva a disagio. Non era più abituata a provare certe – poco importanti– cose. Cosa avrebbe dovuto fare? Avrebbe dovuto aspettarsi qualcosa? Cosa? E quell'uscita cosa doveva significare? Era tutto così complicato!
Dov'erano le note a fine capitolo che anticipavano cosa sarebbe successo di lì a breve, quando servivano? Aveva sempre odiato gli spoiler, ma al momento non gliene sarebbe affatto dispiaciuto uno.
«Sei arrivata?» le domandò Ruth.
La ragazza si guardò attorno, rendendosi conto di non aver badato alla strada fino a quel momento. Aveva l'abitudine di passare il tempo al telefono con l'amica quando era troppo nervosa per stare sola con se stessa come in quella circostanza o come quando aveva dovuto guidare fino a casa; spesso nemmeno la ascoltava parlare, si perdeva nei propri pensieri, ma la costante presenza di qualcuno in grado di capirla la rassicurava lo stesso.
Sì, era arrivata. Riusciva a scorgere la minacciosa locandina di Rush sulla porta fin da lì e sperava vivamente che Liam avesse cambiato i propri piani sul film da vedere.
Ruth ridacchiò alla frase dell'amica. «Be', guarda il lato positivo».
«Quale sarebbe?»
«In Rush c'è Chris Hemsworth».
«Chi?»
Un sospiro. «Thor».
«Ah, Thor! E chiamalo con il suo nome!»
Un altro sospiro.
Due risolini.
«D'accordo, vado. Ci sentiamo più tardi».
«Okay. Buona serata, Dixie».
 
«Quindi... cosa guardiamo?» Dixie marciava lungo la sala d'entrata del piccolo multisala, scrutando dal basso tutte le locandine dei film, saltando ostinatamente quella “con Thor in tenuta da pazzo suicida”, come l'aveva descritta a Liam.
Il ragazzo la seguiva con lo sguardo e fisicamente, senza sapere bene perché la scelta del film fosse così importante per lei. A lui bastava vederne uno, passare del tempo insieme, spiarla di nascosto nel buio della sala. Ah, questa era davvero patetica. Perché pensava certe cose? Cancella, Liam, cancella il pensiero.
«A me ne va bene uno qualunque».
«Anche I Puffi in 3D?» domandò la ragazza, sarcastica.
Liam aggrottò le sopracciglia. «Sarebbe un po' imbarazzante, ma se proprio ci tieni...»
«No», lo interruppe lei. «No, non ci tengo. Sono indecisa. Aiutami».
Così il ragazzo, preso da un moto di coraggio, la prese per le spalle obbligandola a fermarsi e la voltò in direzione delle locandine, in modo che potesse averne una visione d'insieme anche senza marciare febbrilmente. «Sì, ma calmati».
«Mi calmerò quando avremo deciso cosa guardare. Si tratta di una decisione sofferta».
Non era sicuro di voler sapere di cosa si trattasse. Non poteva certo dire di essere un esperto dei comportamenti di Dixie, ma aveva imparato a proprie spese che quella ragazza vedeva il mondo in maniera eccentrica e... strana, sì. Per questo lo sorprendeva sempre: si sentiva sempre estraniato dalla sua ottica distorta, a cui però dava un'aria estremamente logica e normale, parlandone con serietà e convinzione, al punto da far sembrare lui quello fuori dal comune. «Tra quali sei indecisa?»
«Percy Jackson e Evangelion».
«Vorresti vedere un cartone animato?» domandò confuso.
Lei lo fulminò con lo sguardo, tornando poi in fretta a studiare le locandine. «Fingerò di non averti sentito, Liam» gli comunicò in tono piccato. «Sono ancora più indecisa. Dimostrarti che non è solo un cartone animato o lasciarti nella tua misera ignoranza?»
Il ragazzo si accigliò: era un'offesa, quella? Scrollò le spalle e abbozzò un sorriso divertito. La trovava carina e buffa nella sua incomprensibile stranezza. «Proviamo la tecnica della monetina?»
«Testa o croce?»
«Esatto. E mentre la monetina è in aria, ti ritroverai a sperare nella scelta che preferisci».
Dixie rise di gusto a quella spiegazione, finendo per contagiare anche lui, nonostante non avesse ben capito il perché. «Ma scusami» osservò: «se sono indecisa, significa che non so in cosa sperare».
Liam si accigliò – effettivamente il ragionamento non faceva una piega. Si sentì tutto d'un tratto molto stupido, quindi affondò le mani nelle tasche dei jeans e domandò: «Quindi come risolviamo il problema?»
«Semplice» decretò lei dopo qualche istante di riflessivo silenzio. «Guardiamo... quello!»
E Liam era fermamente convinto che avrebbe indicato il cartone animato, quando si rese che la sua scelta era invece ricaduta su... «Un thriller».
 
«Quindi tu... tifi la ragazza bionda e il rapitore. Come una coppia. Anche se lei sta con il poliziotto» ricapitolò Liam, contando le informazioni sulla punta delle dita, la fronte corrugata per lo sforzo di ricordare termini, argomentazioni e... be', aveva rinunciato a imparare i nomi dei personaggi quando si era accorto che la loro memorizzazione sembrava comportarne la morte immediata.
Era l'intervallo, le luci nella sala praticamente vuota erano accese e Dixie era seduta a gambe incrociate accanto a Liam, gli occhiali sul naso, con un bicchiere gigantesco di pop-corn a separarli.
Inizialmente, quando la scelta era ricaduta sul film horror, - del tutto a caso, come aveva poi ammesso Dixie -, si era rallegrato. Aveva sperato in una di quelle scene da gente normale, con la ragazza terrorizzata che si rifugia tra le braccia del ragazzo forte e muscoloso, il quale poteva cogliere così l'occasione di stringerla. Ovviamente niente era andato in quel modo: l'unico a sobbalzare ai colpi di scena era lui, mentre Dixie commentava sottovoce ogni battuta e azione, etichettava i personaggi come stereotipi e usava termini incomprensibili, che durante l'intervallo si stava almeno dando la pena di spiegare.
«Li shippo. Quindi li tifo come coppia, sì. Gwen e Roger mi piacciono insieme».
Come faceva a ricordare tutti i nomi? «Io shippo il poliziotto».
«Shippare una persona sola è una cosa un po' perversa, sai?» Dixie ridacchiò. «Potresti shipparlo col suo genderswap. O con il suo clone. Dovrei chiedere a Jean se si tratta di incest, in questo caso...»
«Okay, okay, okay, frena!» Liam alzò le mani mostrandole i palmi, disarmato, le sopracciglia inarcate. «Una follia alla volta».
La ragazza arrossì appena, ridacchiando colpevole. «Shippare: tifare una coppia. Genderswap: versione di sesso opposto di un personaggio; come se il poliziotto fosse una poliziotta, per intenderci. Incest...»
«Questo so che significa, è abbastanza chiaro, sì» la fermò Liam, ridendo. Rubò una manciata di pop-corn dal contenitore, poi prese a mangiarli uno per uno direttamente dalla propria mano.
Dixie ebbe il coraggio di trovarlo tenero e si ritrovò a sorridere mentre lo osservava. Poi tornò alla propria lezione. «Ora andiamo sul difficile. Una coppia che shippi si chiama ship. Le ship hanno un nome, che di solito si crea mescolando i nomi dei due personaggi che si shippano».
Liam strinse gli occhi, spinse in fuori il labbro inferiore e si grattò la testa con la mano libera, ma annuì, come se stesse riuscendo a seguirla, nonostante la fatica. «Per esempio, Gwen e Roger potrebbero chiamarsi... Gwoger. Io shippo Gwoger».
«Gwoger» ripeté Liam poco convinto. «Sembra il nome di una falciatrice» commentò, osservazione che fece scoppiare la ragazza in una grassa e sincera risata. «Non hai tutti i torti!» singhiozzò, asciugandosi delle insolite lacrime ai lati degli occhi.
La osservò ridere a lungo, anche se gli sembrò troppo tempo, con un sorriso infantile stampato in volto. Gli piaceva quando rideva, più del solito: sembrava così... vitale, al contrario di ciò che si sarebbe detto a vederla per la prima volta.
Proprio mentre stava prendendo il coraggio per allungare un braccio e posarglielo sulle spalle, le luci della sala si spensero, facendo ricomporre entrambi. Così, mentre calava il silenzio e tornavano le scene sullo schermo, due frasi furono pronunciate in coro, sottovoce: «All'uscita ti interrogo!», «Io shippo noi due».
E, anche se finsero di essere già concentrati sul film, i sorrisi che comparvero sui loro volti e il rossore sulle guance di Dixie dimostrarono che avevano entrambi udito la battuta dell'altro.
 
«Hai finito i pop-corn!» sibilò Norah incredula, quando, tuffando la mano dentro il secchiello, lo trovò vuoto. Si voltò a fulminare Niall con lo sguardo e lui scoppiò a ridere rumorosamente, scatenando una serie di ammonimenti e “shht!” da parte del resto del pubblico in sala. A questo punto toccò alla ragazza ridere – molto più sommessamente.
La serata stava procedendo piuttosto bene, in fin dei conti. Si erano incontrati fuori dal pub all'ora prestabilita, avevano camminato fino al cinema chiacchierando del più e del meno; Norah aveva ascoltato Niall parlare a vanvera e ridere più del necessario, buffo atteggiamento che l'aveva intenerita oltre misura. Aveva pensato che quella sera sarebbe stata lei quella più in imbarazzo, ma a quanto pare il ragazzo era più timido di quanto non sembrasse – e la cosa le piaceva, molto. Una volta arrivati alla multisala, avevano comprato ognuno il proprio biglietto, un secchiello di pop-corn da condividere e si erano fiondati a vedere Rush, in preda ad un particolare entusiasmo che aveva portato entrambi a sciorinare tutte le informazioni che avevano trovato a riguardo sul web, mentre Niall continuava a ridere ad ogni scambio di battute, senza sapere nemmeno lui il perché.
E ora, prima dell'intervallo, i pop-corn erano finiti e Niall sghignazzava più del normale. «Va tutto bene, vero?» gli domandò, incerta. Perché, sì, l'irlandese era sempre stato un tipo piuttosto allegro, ma la faccenda stava sfiorando il ridicolo.
«Sì, è che... avevo fame» si giustificò, soffocando poi una risatina.
Norah alzò gli occhi al soffitto e poi li spostò nuovamente sullo schermo. Niall Horan era un caso disperato. Un adorabile caso disperato.
 
«A me è piaciuto» proclamò Liam, uscendo dalla sala. Camminavano fianco a fianco lungo il corridoio, Dixie teneva il cappotto nero piegato tra le braccia e il ragazzo non si stupiva per nulla di intravedere una faccia pelosa fare capolino sulla sua felpa scura: non si era aspettato niente di diverso da lei – niente vestiti, trucco o scarpe eleganti: solo Dixie in tutta la sua stranezza.
Sorrise quando le loro braccia si sfiorarono e inclinò il capo per poterla vedere meglio. «A me no» rispose lei con pacata sincerità e Liam non poté fare a meno di imbronciarsi un po': non si era divertita, forse? Lui era stato fin troppo bene con lei.
«Quello che voglio dire è che era fin troppo scontato. I personaggi sono piatti, il cattivo non ha un minimo di spessore. Posso capire che non abbia personalità l'eroe, perché di solito è un Gary Stu di prima categoria e non ci sono speranze nella sua sconfitta, ma di solito almeno l'antagonista si salva!»
Liam dischiuse le labbra, mentre ascoltava attentamente i commenti di Dixie. Non sapeva decidersi: preferiva scoprire chi fosse Gary Stu o continuare a guardarla roteare gli occhi e fare smorfie mentre criticava con quella che sembrava una certa padronanza della materia il film appena visto? Era interessante. La metà del tempo Liam non capiva una parola di quello che gli diceva, era sempre costretto a chiederle spiegazioni e a domandarsi se davvero parlassero entrambi inglese, ma al contempo rimaneva incantato da ogni parola. L'avrebbe volentieri ascoltata parlare a lungo, anche a costo di dover memorizzare tutti quegli strani vocaboli.
Solo quando Dixie interruppe il cammino e si voltò a guardarlo, un po' interdetta, Liam si rese conto di aver passato gli ultimi due minuti a fissarla senza dire niente. Raddrizzò le spalle, quindi, e si passò una mano sulla nuca, imbarazzato dal proprio comportamento. «Chi è Gary Stu?» soffiò, giusto per dire qualcosa.
Lei inarcò le sopracciglia, poi sorrise tra sé e, «Un personaggio maschile così perfetto da sembrare irreale. Uno di quelli di cui per sino i difetti sono adorabili. Il compare di Mary Sue», spiegò brevemente; poi distolse lo sguardo e, lasciandolo scorrere sulle locandine nell'entrata della multisala, disse: «Grazie per avermi pagato il biglietto. Non dovevi, davvero».
Liam sgranò leggermente gli occhi, poi li socchiuse, ridendo. «L'ho fatto con piacere, dopo tutto ti ho invitata io» rispose. Sbirciò l'ora sull'orologio da polso e poi prese a guardarsi attorno, a disagio. Erano solo le undici, avrebbe dovuto lasciarla andare a casa? Così presto?
«Grazie, allora» replicò lei, sorridendogli.
Liam era quasi certo di aver appena sentito le farfalle nello stomaco. Si ritrovò a sorriderle di rimando, desiderando di starle ancora più vicino di quanto non fossero. Forse però non era una grande idea avvicinarsi tanto così presto, non dopo essere passato per un maniaco al primo incontro. «Quindi, ehm... ti va di fare un giro?» propose allora, accennando alla porta con il capo. «Così mi racconti di questa Mary Jane» aggiunse, quando lesse l'incertezza negli occhi della ragazza.
E a quel punto lei rise e annuì. «Mary Sue! Sì, hai decisamente bisogno di qualche altra delucidazione».
«Sono tutt'orecchi!» esclamò Liam prontamente, aiutandola ad indossare il cappotto.
 
«Non credo che sia una buona idea, Niall» osservò la ragazza, dondolando sui talloni all'ingresso del parco buio e deserto. Non le era mai piaciuto andare in giro di notte, a piedi, da sola. Non che con Niall fosse da sola, ma solitamente era abituata a vagare per le strade della città solo con un branco di amici, mai in coppia. Non che le zone fossero malfamate, non che non si fidasse di Niall, ma l'idea di passeggiare per un parco buio e completamente sola con lui la metteva a disagio. Era una cosa da coppiette e l'idea le sembrava parecchio prematura, specie se si considerava che tutti i suoi tentativi di conversazione, al di fuori dei commenti sul film, erano stati ricambiati con risate isteriche e racconti di episodi vissuti con Dixie e Ruth.
Ridere, Ruth, ridere, Dixie, ridere, Ruth, Zayn, Ruth e Dixie, ridere, Harry, ridere, Dixie e Ruth e Liam. Ridere, ridere, ridere. La sua risata aveva smesso di essere tenera prima della fine del film.
Niall, dal canto proprio, non capiva cosa ci fosse di così sbagliato nell'attraversare il parco. «Perché?» domandò senza capire. Si faceva molto prima ad arrivare al pub, passando di lì, e Norah aveva detto esplicitamente di aver lasciato la macchina lì di fronte.
La ragazza strinse le labbra a quella domanda. «Perché lì ci vanno le coppiette, di solito» spiegò chiaro e tondo, strofinandosi le mani sulle maniche del giubbotto, sperando di generare così un po' di calore.
Niall rise, per l'ennesima volta quella sera, e infilò le mai nelle tasche dei jeans appena un po' troppo larghi. «Possiamo attraversarlo di corsa!» propose come – secondo lui – valida alternativa.
Norah inarcò un sopracciglio con aria di sfida, ma incrociando il suo sguardo limpido non poté che scoppiare a ridere, intuendo che parlasse seriamente. Lui, senza capire cosa ci fosse di divertente, ridacchiò imbarazzato e si scompigliò i capelli con una mano, per poi riportarla al calduccio nella tasca. «Se facessimo il giro da fuori ci impiegheremmo un'eternità» osservò poi, senza preoccuparsi del fatto che quella frase potesse suonare un po' scortese. Niall non era il tipo da fare caso a certe cose: non aveva fretta di tornare a casa e non gli passava nemmeno per la testa che il suo interlocutore potesse capire qualcosa di diverso da ciò che lui voleva effettivamente dire.
Norah, d'altro canto, strinse di nuovo le labbra incassando quel piccolo segnale con una punta di irritazione. Forse Niall non voleva offenderla, ma era chiaro che avesse voglia di liberarsi di lei. Così prese un respiro profondo, si sistemò la sciarpa affinché le coprisse meglio il collo e il volto e «D'accordo, allora» accettò, preparandosi ad una passeggiata imbarazzante da coppiette pomicianti. L'atmosfera era tutto d'un tratto tesa tra loro, forse perché la ragazza si era stancata di fingere che quell'appuntamento fosse stato proprio ciò che si aspettava, che lui fosse ciò che lei si aspettava. Dov'era finito l'irlandese buffo e disinibito che faceva figure di merda e le strizzava l'occhio ordinando una Guinness?
Fu solo per un colpo di fortuna se l'attenzione di Niall fu poi catturata da due passanti che camminavano lungo quello stesso marciapiede, distogliendolo dal suo proposito di attraversare il parco.
«Ehi, Liam!» gridò infatti in segno di saluto, quando riconobbe il volto dell'amico. Scoppiò poi in una risata genuina, di sorpresa. «Che ci fai qui, amico?»
«Grazie della considerazione, Niall» gli disse in risposta una voce che Noah conosceva bene. Alzando lo sguardo provò un po' di sollievo: quella era Dixie!
 
«Ma quella non è Norah?» sussurrò Liam sottovoce, mentre agitava una mano in segno di saluto.
Si era forse perso qualcosa? Perché sembrava proprio che i loro tentativi di avvicinare quei due fossero andati a buon fine - prima ancora che quei tentativi iniziassero, addirittura!
Dixie si accigliò e scosse il capo. «Ma certo che no, Niall ce lo avrebbe detto se... Ma quella è Norah!» si contraddisse, sconvolta, quando riconobbe l'amica. Quella arrossì leggermente, portandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio; salutò poi con sorriso appena abbozzato in volto e un timido cenno della mano.
Non sembrava molto entusiasta, osservò Dixie, ma non si soffermò molto sulla questione, perché il fatto che quei due fossero usciti insieme le premeva molto di più. Un po' perché non capiva come fosse venuto in mente a Niall di non dirlo a nessuno e un po' perché sembrava proprio che la sua nuova OTP fosse giunta ad una svolta significativa: stava diventando canon. Ancora prima che potesse dare voce ai propri pensieri, «Come si chiama la coppia Norah e Niall?» domandò Liam tutto d'un fiato e Dixie si esibì in un sorriso smagliante. «Vedo che cominci a capire!» commentò con una punta di orgoglio nella voce, assieme all'insolito e palese entusiasmo. Ci pensò su un istante e poi decretò: «Norall», proprio mentre si stavano fermando di fronte agli altri due.
«Be', li shippo» farfugliò comunque Liam tra i denti un attimo prima di fare un cenno di saluto anche a Norah.
I diretti interessati ebbero il buon senso di non fare domande in proposito; solo Niall, scoppiando di nuovo a ridere, commentò: «Non ci credo, ti ha contagiato, Payno?».
 
C'era qualcosa di strano in quella situazione, anche se Liam non avrebbe saputo dire cosa. A parte il fatto che stessero camminando in fila lungo il vialetto di un parco buio e deserto – se non si contavano le poche coppiette sedute su qualche panchina o nascoste nella penombra tra gli alberi. La zona era silenziosa, tranquilla; gli unici suoni erano le loro risate – soprattutto quelle di Niall – e le chiacchiere che si scambiavano con naturalezza, ma di certo non era questo a sembrargli strano, no: il fatto che Norah e Niall si trovassero ai lati opposti della formazione, accuratamente lontani l'uno dall'altra, come se proprio non volessero stare vicini più del necessario. Una cosa del genere era possibile? Dopo tutto erano usciti insieme, in segreto. Una cosa del genere era tutto fuorché naturale, a meno che non volessero mantenere la propria relazione segreta.
Liam non era mai stato il tipo da farsi troppi problemi: quando ad un dubbio riusciva a trovare una soluzione soddisfacente, se ne accontentava. Ecco perché non cercò di avvicinare Norah e Niall, anche se gli sarebbe tanto piaciuto farlo, vista la sua propensione a ficcare il naso negli affari di cuore altrui; anzi, si accontentò di passeggiare al fianco di Dixie, con le braccia che di tanto in tanto si sfioravano facendogli percepire quel piacevole tepore sul lato del corpo più vicino a lei, che stava raccontando alla sua amica il film appena guardato.
«Come è andata la serata, amico?» sussurrò Niall nella speranza che le ragazze non potessero sentire, accompagnando quelle parole con una strizzata d'occhio. Liam non era però altrettanto speranzoso, per cui si limitò a sorridere raggiante, cosa che all'altro bastò come commento positivo. Rise di nuovo, quindi, anche se questa volta di gioia, e Dixie giurò a se stessa – non senza una nota di sconvolgimento – di aver appena sentito Norah sbuffare in risposta a quel suono.
Prima che la nostra fangirl preferita, però, potesse anche solo iniziare ad interrogarsi sulla stranezza di quel gesto, un altro suono a lei familiare attirò la sua attenzione, mentre la tasca del suo stesso cappotto iniziava a vibrare insistentemente. Vi tuffò una mano all'interno, dunque, scoprendo una chiamata in arrivo sul cellulare, il cui mittente pareva essere... «Noah? È successo qualcosa?» domandò preoccupata. Era ormai mezzanotte ed era piuttosto insolito che suo fratello le telefonasse a quell'ora.
L'attenzione di tutti si spostò per un attimo su di lei, poi però, quando la sua espressione corrucciata si distese, la compagnia pensò bene di non origliare la conversazione e tornò a farsi gli affari propri. O almeno tutti tranne Liam, che non smise di controllare di sottecchi le sue reazioni. La aspettò, seppure a debita distanza, quando lei rimase volutamente indietro per poter avere un po' di privacy.
Questo obbligò Norah e Niall a camminare di nuovo l'uno al fianco dell'altra, ma a Liam non dispiacque particolarmente lasciarli soli – anzi, si disse, forse era meglio lasciar loro un po' di spazio per concludere al meglio quella serata.
 
«Non hai dimenticato niente a casa quando sei ripartita?» stava chiedendo Noah. La sua domanda era chiaramente retorica, ma la sorella davvero non aveva la minima idea di cosa lui stesse parlando. «Perché sono uscito con degli amici e quando sono tornato nel parcheggio sul retro ho messo la macchina accanto ad una che è proprio identica...»
A quelle parole, prima che lui potesse concludere la frase, lei capì: «Porca vacca» esordì, schiaffeggiandosi la fronte. Non poteva essere successo davvero!
«...alla tua».
Come aveva potuto dimenticare la macchina a casa dei suoi? Stupida, stupida, stupida Dixie!
«C'è qualcosa che devi dirmi?» aggiunse in tono d'accusa il fratello maggiore.
Violet si morse il labbro inferiore, mentre cercava di prendere tempo per decidere cosa rispondere. Dopo aver passato tutto il giorno con i propri fratelli, specialmente con Gordon, era tornata alla macchina con l'intenzione di guidare fino all'appartamento che condivideva con Ruth, ma non ce l'aveva fatta. Non era nemmeno riuscita a metterla in moto e, al terzo spegnimento del motore, era scoppiata in un pianto rabbioso. In quelle lacrime aveva sfogato i ricordi di tutti gli anni passati, quando Gordon poteva rincorrerla su e giù per le scale, senza che qualche gradino potesse metterla in salvo, dimostrandosi un ostacolo insormontabile per lui; aveva buttato fuori gli atroci sensi di colpa che accompagnavano ogni visita al fratello, la nostalgia, i rimorsi. E non ce l'aveva fatta a guidare in quelle condizioni, no: si era asciugata gli occhi, era scesa e poi aveva camminato fino alla stazione ed era tornata fino in città in treno, senza dir nulla a nessuno.
Si era poi del tutto dimenticata di tornare a prenderla, troppo presa dal pensiero di Liam e dell'appuntamento. Non si aspettava che uno dei suoi fratelli la riconoscesse e le telefonasse.
«Io... l'ho dimenticata» si giustificò – e in parte era anche vero.
«Hai dimenticato la macchina?»
La domanda era più che lecita, osservò Dixie. Si guardò attorno alla ricerca di qualcosa da rispondere e, quando il suo sguardo incontrò quello di Liam, le parole le uscirono da sole: «Un amico è venuto a prendermi e ho dimenticato di tornare a prenderla». Impiegò qualche istante per rendersi conto di aver appena spudoratamente mentito a suo fratello. Si sentì in colpa per averlo fatto.
Il silenzio che seguì fu la prova che Noah non ci aveva creduto e Violet ne fu sollevata, perché per qualche motivo questo la faceva sentire meno meschina, come se la mancata riuscita del suo inganno potesse cancellarne anche l'intenzione.
«Già» commentò per nulla convinto. «Senti, cerca di venire a prenderla prima che anche mamma o papà la notino, okay? Magari loro potrebbero anche credere alla faccenda dell'amico che ti dà un passaggio, ma Gordon non ci cascherebbe nemmeno per un attimo» continuò in tono severo. «D'accordo?»
Dixie sospirò. «D'accordo. Ora devo andare, sono in giro con...» Il suo sguardo ancora fisso in quello di Liam, pur a debita distanza, la fece arrossire: come definire il loro rapporto? Erano amici? Solo conoscenti? Più che amici? Uscivano insieme? Avrebbe dovuto smettere di farsi certe domande. Decise di lasciare in sospeso la frase e Noah non insistette perché la continuasse.
«Va bene, ci sentiamo nei prossimi giorni. Vieni a prendere la macchina, però. Buona serata».
«Okay. Buonanotte». Chiuse così la chiamata e avanzò verso il ragazzo che la stava ancora aspettando.
 
Niall camminava con le mani nelle tasche e il suo solito passo leggermente ondeggiante che gli dava un'aria un po' svagata. Erano di nuovo rimasti soli, perché Liam sembrava del tutto intenzionato a non mollare Dixie per un attimo, cosa che da un lato inteneriva e dall'altro irritava Norah, di nuovo costretta a passare del tempo da sola con Niall. Il silenzio che li accompagnava, però, era quasi piacevole, tanto che stava allontanando almeno per un po' dalla sua mente tutto l'imbarazzo che quella sera era calato tra loro. Perché, sì, se Niall aveva riso tanto e lei non aveva saputo di cosa parlare con lui, il motivo era solo l'imbarazzo. Si era sempre detto che con una persona che le interessava qualcosa da dire lo avrebbe sempre trovato. Tra loro, invece, dopo l'iniziale entusiasmo dovuto al film, gli argomenti di conversazione sembravano essersi esauriti – il che, oggettivamente, era parecchio triste.
Ma il silenzio andava bene, secondo Norah. Il silenzio era insolito, sì, ma intimo. Non c'erano risposte di cortesia da dare per forza, non c'erano pause imbarazzanti o incomprensioni. Era solo silenzio, pace. Si trattava di un bel niente e le piaceva pensare che ci volesse complicità per saper condividere quel nulla.
A Niall, però, il silenzio non piaceva affatto. Ecco che, infatti, dopo essersi guardato attorno per diversi minuti alla ricerca di qualcosa da dire, nell'attesa che Liam e Dixie tornassero a far loro compagnia, parlò: «Ruth viene sempre a correre in questo parco. A volte cerca di convincere anche Dixie a venire, ma non ci riesce quasi mai. Solo per ricatto. Lei è davvero troppo pigra per questo genere di cose: detesta correre. Ruth invece no. È una ragazza molto attiva, anche se non si direbbe. Sa fare un sacco di cose e non sta mai ferma con le mani in mano».
Norah alzò gli occhi al cielo, non vista, grazie alla penombra che oscurava il parco. «Ma davvero?» domandò, cercando di non suonare troppo sarcastica. Non aveva sentito parlar d'altro che delle sue amiche, da quando avevano concluso i commenti al film. Be', aveva sentito quello e la sua risata chiassosa, che probabilmente si sarebbe sognata persino la notte.
«Davvero!» Niall, d'altro canto, non aveva mai compreso molto bene ironia e sarcasmo; ecco perché continuò imperterrito nel suo tentativo di conversazione: «Pensa che una volta Ruth ha dovuto prometterle di lavare i piatti al posto suo per un mese per convincere Dixie ad accompagnarla qui a correre!»
Norah sbuffò silenziosamente e alzò gli occhi al cielo. L'attraversata di quel parco non le era mai sembrata così lunga come quella sera.
 
«Sono carini, non trovi?»
«Non sono sono carini, Liam: sono praticamente canon. Il che vuol dire tutto e niente, ma è positivo».
«Che vuol dire “canon”?»
«In parole povere... ufficiale».
«Ah, ho capito. E, ehm, chi era era al telefono?»
«Era... era mio fratello».
«Ah. Tutto a posto, vero?»
«Sì, sì, certo».
«Meglio così».
«Liam?»
«Sì?»
«Ho un enorme favore da chiederti».
«Tutto quello che vuoi».



Oooora, ringrazio Greenshamrock per il betareading, ringrazio chi ha letto, chi ha seguito la storia finora e chi ha già mollato da un po', ma noi gli vogliamo bene lo stesso.
Ringrazio xmela, che mi scrive sempre su twitter, anqis, che a pelle mi sembra una ragazza adorabile, e la mia Aries per aver recensito lo scorso capitolo. Se quando starete leggendo non vi avrò ancora risposto, significa che mi hanno chiamato a cena e lo farò appena tornerò al pc. Grazie davvero. ♥
Non so che dire di questo capitolo, ad essere sincera. Ci sono dei passi che mi piacciono, altri molto meno, ma spero più che altro che il capitolo sia piaciuto a voi. 
Be', mi auguro che abbiate passato un gran bel Natale e che tutte le feste non possano essere da meno! :3 Felice anno nuovo a tutte, se non ci sentiamo prima. :)
Se avete voglia di fare due chiacchiere, mi trovate su Twitter (@yvaine0mich), Ask.fm (@Yvaine0Mich), su facebook qui, per gli aggiornamenti sulle fanfiction, e qui per fare quattro chiacchiere (ma vi avviso che cancellerò tutte le persone con cui non ho mai avuto contatti, dopo un po' di tempo, quindi aggiungetemi solo se vi interessa davvero conoscermi).

 

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Capitolo 10
*** Insicurezze - niente più, niente meno ***


Capitolo 10
Insicurezze –niente più, niente meno
 
 
Il treno correva lungo le rotaie attraverso il nord dell'Inghilterra, alle nove di mattina del giorno seguente, diretto a Sheffield.
Violet Dixon, seduta accanto al finestrino di uno dei vagoni, tamburellava nervosamente le dita sul bracciolo del proprio sedile, lo sguardo perso nel paesaggio che correva veloce e il labbro inferiore stretto tra i denti.
«Tutto bene?» domandò Liam seduto di fronte a lei, le sopracciglia leggermente aggrottate a manifestarne la sincera preoccupazione.
La ragazza annuì, trovando persino il coraggio di abbozzare un sorriso. In realtà, non andava tutto bene; non tutto, sicuramente. Si sentiva estremamente stupida ad aver chiesto proprio a Liam di accompagnarla fino a casa per recuperare la macchina, ma una parte di lei sapeva che non avrebbe trovato il coraggio di chiederlo a nessun altro. In una nuova conoscenza c'è sempre quel pizzico di libertà in più, quella consapevolezza che la persona che si trovava davanti non si aspettava assolutamente nulla da lei, perché doveva ancora scoprirla e ci avrebbe messo del tempo per imparare a conoscerla. Il fatto che Ruth e Niall conoscessero Dixie così bene le rendeva difficile lasciare che loro intravedessero anche Violet, che notassero il lato premuroso e insicuro dietro quell'atteggiamento distaccato e scostante da fangirl. In questi momenti, in cui i suoi tormenti repressi tornavano a galla rischiando di palesarsi davanti a tutti, sentiva di aver bisogno dei suoi amici, ma allo stesso tempo non riusciva a mostrar loro quel lato di sé che aveva sperato di lasciarsi alle spalle, rinchiuso dentro le mura della casa in cui era cresciuta.
Certe volte Violet andava a far visita alla nuova se stessa– più o meno ogni volta che uno dei suoi fratelli decideva di farsi vivo–, mettendo sottosopra la sua nuova vita e tutto il castello di carta in cui aveva preso dimora stabile. Si trattava di un nascondiglio precario, forse, ma era quello il meglio di cui era stata capace; quel rifugio si dimostrava piuttosto solido e accogliente, almeno finché le due Dixie erano rimaste separate.
Poi era arrivato Liam. Liam che aveva iniziato a guardare il suo castello di carte da fuori, con sospetto, cercando di capire, con le sopracciglia aggrottate e il labbro inferiore sporto all'infuori, come facesse a stare in piedi senza avere alcuna solidità. Era naturale, secondo lei, che non lo avesse capito: era ancora troppo inesperto per comprendere a fondo la potenza dello shipping, del fandom e della realtà alternativa in cui lei viveva.
Liam era però riuscito a trovare un varco nelle mura di carta e aveva sbirciato all'interno; aveva visto Dixie di fronte al suo amato pc, in contatto con persone provenienti da mezza Inghilterra, intente tutte insieme a delirare a proposito di questa o quella coppia di personaggi immaginari –e non. Si era mostrato per ciò che era veramente, un imbranato di prima di categoria, e a lei era piaciuto; lo aveva guidato per quel gioco di shipping, in cui loro erano i Cupidi e Norah e Niall la coppia fanon da rendere canon. E, sì, lei lo sapeva che lui non aveva idea di cosa quei termini volessero dire, ma andava bene così ad entrambi.
Si erano divertiti, in fin dei conti, tanto che Dixie aveva iniziato a lasciare la porta del suo castello aperta, sperando che a lui venisse voglia di entrare a fargli compagnia. Lui l'aveva fatto ed era stato proprio in una di quelle occasioni che aveva assistito ad un crollo –la sera precedente. Anche in quel momento, in treno, continuava a vedere le carte cadere, fluttuando tristemente a mezz'aria, per poi scivolare placide al suolo; vedeva il castello tremare ed infrangersi senza poter far niente per evitarlo.
Ma a Dixie andava bene anche così. La sua presenza al proprio fianco, la sera precedente e in quel momento, il suo sguardo rassicurante e il suo discreto interessamento la convincevano che dopo tutto lui era disposto a starle accanto, anche mentre tutto il castello crollava loro addosso, anche se non la capiva, anche se non riusciva mai a raggiungerla, anche se non sapeva cosa aspettarsi da lei, anche se non la conosceva. Nonostante tutto, lui era lì e lei gliene era grata.
Non aveva dovuto pensarci su molto prima di chiedergli di accompagnarla, ad essere sinceri: semplicemente lui aveva preso il discorso e lei si era finalmente aperta con qualcuno, chiedendogli quel favore che mai e poi mai sarebbe riuscita a domandare a Ruth o Niall. A loro no, ma a Liam sì; perché lui era buffo, imbranato, impiccione e incredibilmente sfigato, ma Dixie sentiva di potersi fidare.
«Ne sei sicura?» insistette, turbato dall'incessante picchiettare nervoso delle dita della ragazza sul bracciolo del sedile. Dixie irradiava agitazione da tutti i pori fin da quando era uscita di casa decisamente prima del solito, mentre probabilmente le sue coinquiline ancora dormivano.
L'unica risposta che ricevette fu uno sguardo a metà tra il divertito e il rassegnato e bastò. «Tornare a casa mi mette agitazione».
«Per via dell'incidente?» azzardò lui, dopo solo qualche attimo di silenzio.
Dixie prese un respiro profondo e annuì. «Sì, anche. Ma... diciamo che sono cambiata molto, da quando non abito più lì. I miei genitori non sembrano rendersene conto, però».
Niall e Ruth sapevano a grandi linee ciò che era successo a suo fratello, sapevano del suo terrore della guida, sapevano che non le piaceva guidare da sola per via di ciò che era accaduto. Liam invece la sera precedente era stato messo al corrente ogni cosa: era a conoscenza delle sue pressioni perché i genitori regalassero a Gordon quella stupida moto, dell'amicizia con Olly, dell'innata complicità tra lei e il fratello, della festa, dell'incidente, dei sensi di colpa e della fobia per la guida. Sapeva anche della fuga di quella mattina, senza avvisare nessuno della sua imminente partenza, della paura che i suoi scoprissero dell'attacco d'ansia per cui aveva preferito prendere il treno e lasciare l'auto nel parcheggio dietro casa. Gli aveva raccontato tutti i dettagli che aveva celato persino ai propri più cari amici, confidando a qualcuno per la prima volta in quegli anni come realmente si sentisse a riguardo.
Liam non aveva detto una parola, si era limitato ad ascoltare, mentre Dixie giocherellava con le chiavi dell'appartamento, di fronte al portone del palazzo; era rimasto in ascolto per quasi due ore senza emettere un fiato – rapito, confuso, turbato e sempre più consapevole di ciò che le frullava per la testa. All'una e cinquanta si erano salutati con un timido sorriso e la promessa di rivedersi cinque ore dopo per andare a recuperare l'automobile. Senza stare a pensarci troppo, prima di andarsene, Liam l'aveva abbracciata, poi si era incamminato verso casa, la testa piena di nuove informazioni su cui riflettere.
«Dixie, perché l'hai chiesto proprio a me? Perché non a Niall o a Ruth?»
«Perché... Ho fiducia in te».
 
Quanto Dixie era tornata a casa, quel sabato pomeriggio, aveva trovato Ruth in lacrime, seduta sul divano di fronte ad una televendita, con una barretta di cioccolata aperta accanto e un cuscino stretto tra le braccia. L'aveva sgridata, Ruth, perché era stata così cretina da uscire all'alba senza avvisare, dopo essere rientrata così tardi che sia lei che Babs si erano già pesantemente addormentate, facendosi trovare con il telefono scarico, totalmente irraggiungibile. Le aveva fatto una ramanzina in piena regola, con il volto umido e arrossato, gli occhi gonfi e lucidi e tra le mani un fazzoletto sporco che usava per pulirsi il naso al termine di ogni frase –se Dixie non fosse stata spiazzata e impietosita da quella scenata, probabilmente le avrebbe riso in faccia.
Poi però, una volta che la sua amica si era calmata, era riuscita a chiederle che cose le fosse successo, e Ruth era scoppiata di nuovo in lacrime. Le aveva spiegato tra i singhiozzi che quella mattina, non essendo riuscita a contattarla in nessun modo, era andata al pub per chiedere sue notizie a Norah; qui aveva scoperto dall'altro cameriere che quella si era presa una giornata libera dopo essere uscita con il “rumoroso biondino irlandese”. Ruth, be', semplicemente non aveva retto il colpo.
 
Era ormai domenica pomeriggio ed erano due giorni che Dixie si alzava dal divano della sala solo per portare qualcosa da mangiare a Ruth, sostituire il DVD nel lettore e andare in bagno. Aveva cacciato Babs con una buona dose di sarcasmo dopo che aveva proclamato, a mo' di consolazione, che “il mare è pieno di pesci, tesoro”. Aveva abbracciata Ruth ogni volta che scoppiava a piangere; le aveva raccontato nei dettagli di Liam, del loro appuntamento, del viaggio in treno e del successivo in macchina – pur tralasciando tutti i particolari riguardanti la propria famiglia.
Ruth aveva pianto tutte le sue lacrime, invece. Aveva passato la fase della disperazione, quella della rabbia, del rifiuto, del totale taglio dei ponti. Aveva giurato che non avrebbe più rivolto la parola a Norah né Niall, che sarebbe tornata a casa dei suoi il prima possibile e avrebbe saltato tutte le lezioni del semestre pur di non vederlo.
Poi era entrata in fase di autocommiserazione, chiedendosi perché fosse stata così sciocca da non accorgersi prima dei propri sentimenti, perché non avesse nemmeno provato a farsi avanti finché ne aveva la possibilità.
In seguito si era arrabbiata, perché quello stupido irlandese non aveva alcun diritto di stravolgere così la sua vita, visto che non potevano nemmeno considerarsi amici, se non aveva detto loro di aver intenzione di uscire con quella ragazza.
Infine era scoppiata di nuovo a piangere, mentre Dixie avviava il quinto film d'animazione Disney di fila, su espressa richiesta della sua amica.
Avevano dormito sul divano e ricominciato a parlare di ogni cosa, la domenica mattina, come ormai non facevano più da un po' di tempo. Se da una parte quei due giorni di isolamento e depressione erano stati tragici, dall'altra avevano permesso loro di ritrovare quell'amicizia che sembrava essere stata sepolta dalla valanga di novità dell'ultimo periodo.
«Ma... ti ha baciata?» domandò Ruth con un filo di voce, il volto affondato in un cuscino che Dixie si era mentalmente annotata di non toccare mai più, per via di tutto il moccio che doveva aver assorbito durante quei due giorni.
Dixie arrossì e scosse il capo, un po' impacciata. Nonostante la confidenza riscoperta, continuava a sentirsi a disagio a parlare dei propri sentimenti con qualcuno –checché ne dicesse, infatti, parlare di feelings e di sentimenti era completamente differente. «No, ma mi ha abbracciata, prima di andarsene».
«Ti ha abbracciata
«Sì».
«Un abbraccio come quelli di Niall?» Ruth nascose il naso in un fazzoletto, sperando intimamente che il suo tono lamentoso fosse passato inosservato.
Mentre la sua amica guardava in alto nel tentativo di non lasciar scendere di nuovo le lacrime, Dixie non riuscì a reprimere del tutto un sorrisetto sognante. «No, è del tutto diverso. Molto più... caldo. Niall è caloroso di temperamento. Liam invece è... caldo».
Ruth le lanciò un'occhiata divertita. «Caldo» ripeté ridacchiando in modo un po' stridulo mentre si soffiava il naso. «Caldo!» esclamò di nuovo e inarcò un sopracciglio in modo eloquente.
Dixie non riuscì a non ridere, visto il fraintendimento causato dalle sue stesse parole. «Se avessi voluto dire “sexy”, avrei detto “sexy”».
«No, non l'avresti fatto».
La ragazza fece schioccare la lingua, seccata, e alzò gli occhi al soffitto. «Okay, forse non avrei usato quel termine, ma avrei reso meglio il concetto. Quello che voglio dire è che...»
«Che?»
«Che mi ha scaldata».
«So hot!»
Dixie arrossì vistosamente; per quale motivo non riusciva a spiegarsi in maniera decente? Non che Liam non fosse “caldo” anche in quel senso, ma non era questo il concetto che voleva esprimere al momento. «Oh, avanti, non è questo che voglio dire!» protestò, sapendo che l'amica aveva capito cosa intendeva, ma si stava divertendo a prendersi gioco di lei, una volta tanto.
Anche Ruth ridacchiò, strofinandosi un occhio con il pugno chiuso. «Allora cosa?»
«È stato un abbraccio caldo. Nel senso di accogliente, mi ha fatta sentire... bene» ammise infine, lo sguardo fisso sul pavimento ormai coperto di fazzoletti sporchi e il capo leggermente inclinato da un lato, mentre incrociava le gambe sul divano.
Ruth, dopo qualche istante di silenzio, scoppiò di nuovo a piangere perché, insomma, si trattava di «una cosa così tenera!». E Dixie sospirò, non vedendo l'ora, per la prima volta in vita sua, che fosse lunedì per poter andare a lezione e staccare la spina almeno qualche ora da quel continuo piagnisteo.
 
Ogni domenica casa Payne-Malik diventava un centro di ritrovo per “tutti i poveri idioti annoiati e troppo pigri per studiare che capitavano nei paraggi”, come a Louis piaceva etichettarli. A questa definizione non rispondevano altri che i nostri cinque amici, stretti quel giorno sul piccolo divano dello spoglio appartamento condiviso da Liam e Zayn, armati di bottiglie di birra, cartoni ormai mezzi vuoti di pizza da asporto e un paio di pacchetti di patatine formato famiglia.
«Quello, signori miei, è un fuoriclasse» commentò Harry indicando col collo della bottiglia l'uomo nel televisore, che aveva appena mandato la pallina da golf in buca con un solo colpo.
«No», si premurò di correggerlo Louis: «questa è una rottura di scatole immensa».
Harry per un attimo provò persino ad offendersi per quel commento, ma la sua espressione mutò da offesa a profondamente divertita nel giro di un paio di secondi.
Fu allora che Niall Horan trovò acuto osservare che «Il golf è un gioco che solo i veri uomini sanno apprezzare», cosa che avrebbe dovuto colpire Louis molto più di quanto in realtà non fece.
Lui infatti scoppiò a ridere e con un gesto incurante della mano lo zittì. «Sei davvero simpatico, Niall» tagliò corto; si sistemò a sedere più diritto sul divano ignorando le risate di Zayn e Harry, con il suo tipico atteggiamento di superiorità. Allo stesso modo pensò bene di confermare la propria mascolinità con un quasi casuale commento sul sabato sera appena trascorso: «Eleanor non si è affatto lamentata della mia virilità».
«Eleanor?» Harry, ormai quasi del tutto affondato sul divano, ne riemerse con espressione curiosa e si gettò sulle gambe di Zayn così da poter vedere Louis più da vicino. «Eleanor la cameriera di Starbucks?»
«Cosa?» Louis finse teatralmente di aver appena distolto l'attenzione dalla poco interessante partita a golf, giusto per non dimostrarsi troppo interessato ai propri amici. «Oh, sì, proprio lei».
«Le hai chiesto di uscire? Quando?»
«Sabato mattina passavo di lì e...»
Zayn sghignazzò, guadagnandosi occhiate interrogative o complici da parte degli altri. «Passavi di lì per caso» commentò, marcando di incredulità le ultime due parole.
Louis lo guardò male. «Non faccio mai niente per caso, per tua norma e regola» decretò celando la stizza dietro un sorrisetto ironico.
Il sarcastico «Ovviamente» di Zayn venne soffocato dalla risata divertita di Niall e dalle domande di Harry: «Dove l'hai portata? Che avete fatto? Sei arrivato al dunque?»
«Al ristorante, naturalmente. Che abbiamo fatto? Abbiamo...»
La risata di Niall coprì nuovamente ogni suono; «Che vuoi che abbiano fatto, Harry? L'ha rincoglionita di chiacchiere!»
Louis alzò gli occhi al cielo e si allungò oltre Zayn e Harry per rifilare una sberla all'irlandese: abbiamo già parlato di quanto odi essere interrotto? «Gesù, Niall, e tu che diavolo ci hai fatto al cinema con la tizia del pub? L'hai imbottita di pop-corn, rincoglionita di risate e riaccompagnata a casa subito dopo il film?»
Lui rise ancora, un po' più forte, poi piano piano sempre meno, fino a smettere del tutto. Aveva decisamente fatto centro.
«La ragazza del pub?» Harry saltò indietro fino a rimettersi dritto, rischiando nel mentre di dare una testata sul mento di Zayn, per poter vedere Niall dritto in faccia. «Sei uscito con una cameriera anche tu? Perché avete tutti una ragazza cameriera e io non ne so niente?»
«Perché sei un cameriere...» commentò Liam divertito, ma nessuno gli prestò attenzione.
Niall si scompigliò i capelli mentre scambiava occhiate colpevoli con gli amici. «No, non direi proprio che ho una ragazza. No».
Louis scoppiò a ridere di gusto: «Non dirmi che ho indovinato!»
«Più o meno. La stavo riaccompagnando a casa subito dopo il cinema, ma abbiamo incontrato Liam e Dixie, quindi...»
«Dixie?» lo interruppe Harry; ora era steso sulle gambe di Niall per poter guardare Liam dritto negli occhi. «Quella Dixie che abbiamo incontrato mentre correva al parco con l'amica?» chiese con lo stesso sorrisetto curioso di poco prima.
Niall si accigliò: «Correva?» domandò incredulo, le sopracciglia aggrottate in segno di confusione. Nessuno fece molto caso a lui, comunque: ora il centro dell'attenzione era qualcun altro.
«Davvero sei uscito con lei? E non hai detto niente?» sbottò Louis a gran voce, evidentemente contrariato – non bastava che lo ignorassero, ora gli tenevano persino segrete le cose!
«Sì, io...» Liam arrossì. Perché tutto d'un tratto si stava parlando di lui? «Abbiamo guardato un thriller orribile al cinema e poi abbiamo fatto quattro passi finché non abbiamo incontrato Niall e Norah».
«E come è stato?» insistette Harry, che proprio non aveva intenzione di accontentarsi di quel breve resoconto. Era sempre stato molto curioso, e anche un po' pettegolo, ma sosteneva fosse perfettamente normale quando si cresceva tra sole donne – teoria di cui Louis sembrava essere la conferma, nonostante tutti i tentativi di smentire quella diceria.
Liam si strofinò il collo con una mano, poi lasciò cadere la mano sulla coscia e si gettò contro lo schienale del divano. «Un po' strano, ma penso sia andata bene. Questa mattina l'ho accompagnata a casa dei suoi perché...»
Questa volta fu Niall ad interrompere il racconto: «A casa dei suoi genitori?». Che non riuscisse a crederci era piuttosto evidente a giudicare dalla sua espressione, così sconvolta che Zayn si trovò a ridere solo guardandolo in faccia.
«Che c'è di così strano?»
Di strano c'era che Dixie non aveva mai portato nessuno nella sua città, a malapena parlava loro della propria famiglia. Niall sapeva solo che aveva un sacco di fratelli, uno di essi si chiamava Noah e le telefonava spesso, mentre un altro era in sedia a rotelle; sapeva che sua madre era a momenti alterni eccessivamente apprensiva o del tutto disinteressata, che suo padre sembrava essere quasi del tutto assente o privo di personalità, perché semplicemente non veniva mai nominato, nemmeno per sbaglio. E, sì, magari Ruth conosceva qualche dettaglio in più sulla famiglia di Dixie, perché le femmine sanno sempre qualcosa in più dei maschi (di questo si rendeva conto persino lui), ma comunque poco. Questo accadeva perché Dixie sembrava voler tenere amici e famiglia ben separati e Niall, nonostante non avesse idea del perché, non si era mai opposto a questa sua decisione.
«Chissà cosa nasconde!» esclamò Harry in tono sognante, come se già nella sua testa stesse vedendo il film della sua personale interpretazione dell'oscuro passato di quella bizzarra e divertente ragazza. La proiezione fu però interrotta dallo sbuffo sonoro di Louis. «Nemmeno io vi ho mai lasciato vedere le mie sorelle, non vuol dire nulla» decretò, deciso a mettere fine a quella parentesi e a riportare l'attenzione su di sé: aveva una serata coi fiocchi e i contro-fiocchi da raccontare!
Prima che qualcun altro potesse contraddirlo, Liam fece una smorfia e disse la sua: «In ogni caso non vuol dire niente: non ho visto i suoi familiari, non stiamo insieme, non l'ho nemmeno baciata. Lei stravede per Harry» decretò, imbronciandosi.
Il diretto interessato si rizzò sul posto e sgranò gli occhi, sconvolto da quella rivelazione. «In che senso?» domandò confuso. Non voleva mica dire che la ragazza di Liam aveva una cotta per lui, vero? Sarebbe stato piuttosto imbarazzante. E improbabile: non si erano nemmeno mai rivolti la parola direttamente!
«Nel senso che...» stava rispondendo lui, ma la risata fragorosa di Niall coprì del tutto la sua voce, costringendolo a rinunciare alle spiegazioni. «Stronzate!» abbaiò, tornando poi a ridersela di gusto, come se fosse stato l'unico a comprendere il passaggio fondamentale di tutto il ragionamento. Un passaggio discretamente comico, oltre tutto.
Louis, dal canto proprio, sembrava contrariato dalla mancata attenzione ai propri problemi; ecco perché, punto sul vivo da quella noncuranza nei suoi confronti, sibilò: «Si può sapere che hai da ridere tanto?»
Niall lo guardò, lo sguardo velato da lacrime ilari, e si rese conto di avere tutti gli occhi puntati su di sé. «Possibile che non capiate?» Forse solo Zayn capiva, indovinò notando l'espressione a metà tra il divertito e lo sconsolato sul viso dell'amico.
«Capire cosa?» chiese Harry. Non capiva cosa ci fosse di così divertente: lui era probabilmente invischiato in un bizzarro triangolo con un caro amico e una sconosciuta stramba, tutto ciò era... terribilmente imbarazzante. Okay, magari un po' divertente lo era, ma solo se lo si guardava con gli occhi di un sadico.
«Dixie non ha un debole per lui: ne è ossessionata».
Liam si pietrificò sul posto; Harry sprofondò sul divano, scoraggiato. Grandioso, pensarono entrambi, mentre le sopracciglia degli altri due scattavano verso l'alto.
Niall non si spiegava il perché di quei musi lunghi e dei cipiglio scettici di Louis e Zayn, per cui ripeté mentalmente la frase appena detta. Quando decise che il senso era più che chiaro e non sarebbe stato in grado di esprimere meglio il concetto, si strinse nelle spalle. «È una cosa positiva» commentò con ovvietà, come a dar loro il via: ora potevano tranquillizzarsi.
Louis a quel punto si schiarì la voce. «Lascia che te lo dica: non so come funzioni nella tua madrepatria, amico, ma usare il cervello non è un reato perseguibile dalla legge inglese» trovò carino ricordargli. Possibile che, tra tutte le cose che avrebbe potuto dire, Niall Horan avesse deciso proprio di smontare ogni speranza a cui Liam avrebbe potuto appigliarsi? Non era solito prendere a cuore le storie d'amore degli altri, ma era palese che Dixie e Liam sarebbero potuti essere la coppia più esilarante del secolo– quindi perché farla scoppiare ancora prima che si formasse? Tutto ciò era ridicolo e dannatamente irritante. Niall Horan era dannatamente irritante. E, sì, forse addirittura gli dispiaceva vedere il volto di un suo amico trasfigurato in quello di un cucciolo abbandonato. «E tu fammi il favore di toglierti quell'espressione dalla faccia!» sputò, acido, puntando un dito proprio contro a quest'ultimo.
Vista l'improvvisa– be', più accentuata del solito– isteria di Louis, il sesto senso di Niall si attivò, partorendo un minuscolo senso di colpa; «Perché, che ho fatto?» si informò, infatti, trovando in fretta rifugio nello sguardo di Zayn.
Lui, dopo aver preso un profondissimo respiro, scosse il capo e prese le sue difese: «Avete presente quel genere di nerd che passa tutta la giornata davanti al pc o alla consolle? Il genere di asociale che parla sempre e solo dei suoi videogiochi preferiti, anche quando non sembra?»
Louis lo fulminò con lo sguardo. «Non ti sembra un po' megalomane parlare di te stesso in terza di persona?»
«Tranquilla, principessa, poi ci racconterai della tua Eleanor» lo freddò Zayn, con sommo divertimento di Harry, senza nemmeno cambiare tono. «Dixie è una fangirl: a loro non piacciono le cose, loro si ossessionano» concluse poi.
«Ecco!» esclamò Niall, felice che qualcuno avesse finalmente capito il suo punto di vista. Era così complicato?
Ora, Louis Tomlinson non era mai stato una persona paziente, mai e poi mai da quando era venuto al mondo; per cui quando si sentiva preso in giro tendeva a rispondere a tono, pur mantenendo sempre un certo contegno volto a denotare la propria superiorità rispetto a qualunque altro essere vivente. Un sorrisetto di scherno era il suo strumento di difesa preferito, mentre per l'offesa prediligeva il sarcasmo. C'erano momenti in cui, però, le situazioni erano così ridicole che lui non aveva bisogno dell'uno né dell'altro, perché le persone sembravano insultarsi da sé.
Ecco, probabilmente quello era uno di quei momenti; di fatto Louis scoppiò a ridere fragorosamente, del tutto incurante –anzi compiaciuto– della palese irritazione che il volto di Zayn Malik manifestava. Il tutto, com'era ovvio, mentre Harry si guardava intorno corrucciato, chiedendosi se non fosse l'unico a non aver capito come le spiegazioni dei suoi amici avrebbero dovuto tirar su loro il morale, e Liam pregava intimamente il cielo di fulminarlo.
«Si può sapere qual è il tuo problema?» domandò Zayn, in un tono pacato così pacato da rendere più che lampante la sua rabbia –cosa che divertì a dismisura il caro Louis.
«Niente, niente, continuate pure a scavare la fossa, Liam vi ringrazierà!»
Zayn sbuffò, contrariato, e si rivolse al suo migliore amico: «Lei si ossessiona con le persone e ci scrive fanfiction. Questo non vuol dire che ne sia innamorata».
«Solo artisticamente, dice lei» aggiunse Niall, per rendere il concetto ancora più chiaro – forse, perché iniziava a dubitare della propria capacità di espressione.
Harry alzò una mano e attese il permesso di parlare, mentre con l'altra si grattava la testa con aria concentrata. «È una cosa normale?»
«Be', sì» sghignazzò Niall, mentre «Assolutamente no» lo contraddiceva Zayn. «Dixie è Dixie» conclusero in coro.
«Ah». Harry pensò bene di fingere di aver capito, mentre Louis ancora si contorceva dalle risate sul divano.
Liam, in ogni caso, non aveva capito niente: «Quindi?». Era molto interessante vedere Louis e Zayn battibeccare come due vecchie comari, sul serio, ma in certi momenti arrivavano ad essere davvero, davvero, davvero irritanti. Tipo in quel momento. Si sentiva così... così... frustrato e loro non facevano che punzecchiarsi. Sospirò e spinse il fuori il labbro inferiore, le sopracciglia già aggrottate dallo sforzo di raccapezzarsi tra tutti quei deliri.
«Quindi puoi stare tranquillo, Payno!» lo rassicurò Niall, battendogli forte una mano sulla spalla in segno di incoraggiamento.
«E io? Io posso stare tranquillo?»
«Tu che c'entri, Hazza?»
«Non lo so. Magari è una stalker».
Zayn sghignazzò. «No, non più di Liam».
Più a meno a quel punto le proprie risate spinsero Louis giù dal divano, cosa che lo riscosse abbastanza da riprendere un minimo di lucidità e il controllo della situazione. Quasi. «La vostra stupidità è uno spasso, altro che il golf!»
«Il golf è uno sport da veri uomini» gli ricordò Harry, che ci rimaneva sempre un po' male quando qualcuno criticava una delle sue attività preferite. O qualunque attività: lui le amava tutte, che fosse capace o meno.
«Lo pensi solo perché a calcio fai schifo, Harreh».
 
 

 
Morale della favola: se non capisci quel che il tuo amico cerca di dirti, fa' finta di niente e cambia argomento. LOL
La seconda parte del capitolo è un totale delirio, ma è la parte che preferisco. Lo so, lo so: non hanno finito nemmeno uno dei discorsi che hanno iniziato, ma cosa vi aspettavate? Ho quest'ossessione per i battibecchi Zouis che... aw! Gneh. Okay, basta. La cosa importante, comunque, è che Liam è ancora convinto che Dixie abbia un debole per Harry, perché, be', tonto!Liam is the way. (Almeno per me.)
Chiedo scusa per il ritardo, durante le vacanze avrei dovuto portarmi avanti (con lo studio o la scrittura, almeno una delle due cose!) e invece mi sono lasciata coinvolgere in tremila altre faccende e... niente, ho poltrito.
Secondo i miei calcoli a questo punto mancano solo due capitoli (oppure uno + prologo, in base a come riesco ad organizzarmi) alla fine della storia. Quindi visti i miei tempi di aggiornamento ci metterò tranquillamente tra i cento e centocinquant'anni, tranquille. XD
Oggi voglio fare spam, vi scoccia? Voglio consigliarvi una One Shot che una mia amica ha scritto a quattro mani con la sua migliore amica: Iris di telepatia. L'ho letta di notte, perché di giorno ero troppo impegnata a cazzeggiare, ma vi assicuro che è davvero, davvero carina! Het con OC, tutti i ragazzi sono presente e sono tutti - tutti! - meravigliosamente caratterizzati. Ho riso tanto e fangirlato anche più, leggendola. 
Poi, uhm, già che ci sono vi indirizzerei a Inevitabile, che invece è totalmente diverse: Zayn/OC, un mix di angst e fluff allo stato pure che prima o poi mi ucciderà di feelings.
Basta, vado a studiare un po' di grammatica latina per l'imminente esame - feels like Dixie, ew. Okay. 
Ringrazio tutti coloro che sono arrivati fino a qua, grazie di aver letto la mia storia, grazie del supporto silenzioso. Anche se siete pochi, vi sono molto grata - anzi, ho meno persone tra cui spartirla, quindi a voi ne tocca di più. <3

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Capitolo 11
*** Allarme rosso: invasione in corso! ***


Ringrazio tantissimo la cara Rigmarole (e l'ho scritto giusto al primo colpo!) per aver betato il capitolo,
salvandovi così dai miei lollosi errori di distrazione (e di qualunque altro tipo). ♥



 

Capitolo 11
Allarme rosso: invasione in corso!

 
 
Era giovedì diciannove dicembre e, come tutti i giovedì che si rispettassero, era giorno da pub. O meglio: come tutti i giovedì meritevoli di questo nome avrebbe dovuto essere giorno da pub, ma non quella volta. Un po' perché dall'appuntamento “Norall” le abitudini del gruppo erano leggermente cambiate e un po' perché quella data era segnata in rosso sulle agende di tutti gli studenti di Storia dell'Arte del secondo anno – sì, anche su quella scassata ma dalle pagine praticamente immacolate abbandonata non si sa bene dove nella camera da letto di Niall Horan – come quella della “fine delle lezioni”.
Una giornata fuori dal comune, insomma, ma forse non così tanto da cambiare l'oziosa routine dei nostri beniamini.
Un grido di giubilo esplose nel salotto dell’appartamento, subito seguito da un sonoro sbuffo e una chiassosa risata di scherno: «Ti sei fatto fregare!» latrò Niall, mentre annaspava e si contorceva sul divano in preda ad un attacco di ridarella in grande stile.
«Chiudi il becco, Horan».
«Fatto fregare? Stai insinuando che io abbia barato, forse?»
«Certo che no! Solo che Louis ha perso!»
«Non ho perso, l'ho lasciata vincere».
Dixie ridacchiò compiaciuta e per niente colpita dall'ultimo commento di Louis Tomlinson. Si stiracchiò, dunque e «Quindi non ti dispiacerebbe giocare un'altra partita e vedere come ti straccio di nuovo, immagino» osservò, per poi correggersi: «Scusa, volevo dire “come mi lascerai vincere”».
Il ragazzo strinse le labbra contrariato, poi però indossò il suo solito sorrisetto di scherno. «Una seconda chance non si nega a nessuno, madame» accettò.
Sul volto di Dixie balenò un'espressione entusiasta. «D'accordo!» trillò, per poi far scrocchiare le dita e riprendere in mano il gamepad dell'Xbox. «Fatti sotto, se hai coraggio».
«Coraggio? Io direi compassione» la corresse Louis con naturalezza mentre si rimboccava le maniche.
Era curioso come alla corte della fangirl – come l'aveva definita qualcuno, dando decisamente poca importanza agli altri abitanti della casa – la legge non fosse uguale per tutti: il solo chiamarsi “Babs” faceva di qualcuno uno stolto reietto della società, nonostante questo qualcuno avesse le migliori intenzioni del mondo e pagasse regolarmente la propria parte di affitto; era però più che lecito chiamarsi Louis Tomlinson, avere la puzza sotto il naso, presentarsi a casa altrui senza alcun invito e piazzarsi sul divano con la pretesa di essere servito, riverito e di poter giocare con l'Xbox che qualcun altro aveva portato da casa propria. Non solo era lecito, ma si otteneva con facilità la benedizione della padrona di casa, oltre che la sua simpatia.
Ruth giunse in quel momento dalla cucina, portando un sacchetto di biscotti. «Le patatine sono finite perché qualcuno ha pensato bene di fare uno spuntino, questa notte» si scusò, porgendolo poi a Niall, che non ci pensò due volte prima di rubarne uno e ficcarselo in bocca.
«Chi? Babs?» domandò mentre masticava, già pregustando la serie di acidi commenti di Dixie riguardo alla coinquilina cui, come da copione, non perdonava mai nemmeno il più piccolo errore.
Ruth ridacchiò e scosse il capo. «Non proprio».
Prima che Niall potesse avanzare qualche altra ipotesi, Dixie prese la parola: «Se è per questo ho finito anche la nostra scorta di caffè. Oggi Jean non andava a scuola, quindi abbiamo fatto una maratona notturna di Doctor Who» dichiarò.
«Ora, ditemi, secondo voi cosa dovrei fare io con lei?»
Una risatina irriverente. «Se il mio parere conta, fossi in te comprerei dell'altro caffè».
«No, non conta» la freddò Ruth. «Non dovevi uscire con Liam, oggi?» le ricordò invece, mentre si sedeva sul bracciolo del divano, proprio accanto a Niall.
Inutile dire che da quando era uscito con Norah, la sua presenza al solito pub era stata molto saltuaria, cosa che aveva notevolmente tirato su il morale di Ruth. Tra loro non doveva essere andata molto bene se lui si vergognava a incontrarla, no? («Non trovi sia meschino remare contro la mia OTP?», «Non trovi sia meschino che la tua OTP coinvolga il ragazzo per cui ho una cotta e un'altra ragazza?», «Touché!») Di fatto, tutti i suoi propositi di tagliare i conti con Niall erano ben presto svaniti, mentre i loro soliti incontri si erano spostati al Beard, dove Dixie passava ore a chiacchierare con Ed e a fangirlare su Harry Styles e Ruth doveva dividere le attenzioni dell'irlandese solo con la birra e la musica.
«Certo che no» s’intromise Louis, senza nemmeno staccare gli occhi dallo schermo. «Oggi Liam è con noi. Giornata tra uomini».
«Che cosa
Perché la quattrocchi sembrava così sconvolta da quella notizia? Probabilmente aveva frainteso. «No, non vi sto dando degli uomini, se te lo stai chiedendo».
Ruth inarcò le sopracciglia. «Anche perché dubito tu abbia voce in capitolo. – Sorrise, compiaciuta dalla risata sguaiata di Niall, poi riprese: – Quello che voglio dire è: Liam ha dato buca a Dixie per... voi
«Prima gli amici, poi le ragazze» decretò il più grande della compagnia con aria solenne.
Niall annuì e, masticando rumorosamente i biscotti, rincarò: «È la regola».
Dixie invece rise, sorprendendo tutti. «Non dovevamo uscire» corresse l'amica con tranquillità. «Volevo fargli vedere Doctor Who – ed è il motivo per cui ho fatto la maratona con Jean: all'inizio stavamo solo scegliendo quale episodio fosse migliore, ma ci siamo fatte prendere la mano. Questa mattina si è ricordato di una partita di calcio che devono guardare tutti insieme e abbiamo rimandato a domani».
«Domani? Quindi non torni a casa?» La sorpresa di Ruth a quella rivelazione era piuttosto palese. Lei aveva già le valigie pronte, sarebbe partita il giorno seguente e di certo nei suoi piani non c'era quello di lasciare la sua amica a casa da sola con Babs – per il bene di Babs e dell'appartamento, per lo meno.
«No, grazie a Dio sembra che i miei abbiano degli impegni per il weekend, quindi me ne vado la prossima settimana». D'altro canto, alla sua amica non sembrava affatto dispiacere. Era più concentrata sulla partita che sulla conversazione. Probabilmente, indovinò Ruth, non aveva minimamente preso in considerazione l'ipotesi di rimanere lì da sola con la loro coinquilina; lasciandosi guidare dall'istinto di conservazione, comunque, pensò bene di non rivelarle quel piccolo dettaglio, che tanto avrebbe scoperto ben presto.
Fu nel momento stesso in cui Dixie segnò il primo goal della nuova partita che Louis mise il gioco in pausa e si stiracchiò pigramente. «A proposito di andarsene, che ore sono?» domandò. Non attese che qualcuno gli rispondesse, però: controllò il proprio costoso orologio da polso e schioccò la lingua. «Credo proprio sia ora di andare, Nialler».
Dixie lo guardò con un sopracciglio inarcato. «Te la dai a gambe, Mr. Tommo?» lo provocò con aria soddisfatta – stava vincendo di nuovo, come era ovvio: doveva ancora nascere l'imbellettato figlio di papà in grado di battere Dixie Dixon, cresciuta con tre fratelli maschi più uno acquisito, ad un qualunque videogioco.
Louis si alzò in piedi e si sistemò i pantaloni, prima di guardarla dall'alto con aria di superiorità. «No, madame. Come precedentemente annunciato, ho un impegno».
Niall ridacchiò; «Ti sta prendendo in giro» trovò opportuno farle notare, ma alla diretta interessata non sembrava interessare più di tanto quel tentativo di prendersi gioco di lei. Anzi, aveva voglia di rincarare la dose: «Paura, eh?»
La risatina sprezzante del ragazzo venne a sommarsi a quelle divertite di Ruth e Niall. «Noia, più che altro».
«Oh, perdere ti annoia?»
«Sinceramente? Da morire» rispose Louis e, una volta tanto, non c'era sarcasmo nella sua voce. «Forza, Horan! Alza il culo, il tuo amato Derby ci aspetta! Pronto a un'altra sconfitta?»
La risata del ragazzo si smorzò di colpo, udendo quelle parole. «Sei proprio un bastardo» lo apostrofò, obbedendo tuttavia; si alzò dal divano, tirò su i pantaloni troppo larghi con entrambe le mani, non senza un piccolo saltello, e recuperò il cellulare dal tavolino. «Torno domani per prendere la consolle» annunciò. «Ruthie, hai bisogno di uno strappo fino al centro commerciale?» aggiunse, mentre indossava in fretta la giacca.
La ragazza chiamata in causa sgranò gli occhi e batté diverse volte le palpebre, disorientata. «Cosa?» Centro commerciale?
Niall sistemò la giacca e poi si passò una mano tra i capelli, guardandola confuso. «Credevo che volessi andare a far spesa».
Lei impiegò qualche istante per realizzare che lui si stava riferendo all'invito di Dixie a far rifornimento di caffè, quindi sorrise e scrollò le spalle. «Ma sì, dai, dammi un minuto per mettermi le scarpe e sono pronta» annunciò. Dopotutto si trattava di un po' di tempo in più trascorso con Niall, come avrebbe potuto rifiutare una simile offerta? Specie considerato che nessuno sarebbe stato in grado di scollare la sua amica dalla consolle per le prossime ore.
Così, mentre Ruth correva in camera a prendere le proprie Converse, Louis alzò gli occhi al cielo e sbuffò spazientito; «Fammi capire, mi hai preso per un taxi? Quella è la mia macchina».
Niall si limitò a stringersi nelle spalle e con tutta la noncuranza del mondo gli rivolse un sorriso smagliante: «Chiudi il becco, Tommo» lo zittì, per poi ridere della sua espressione colpita – ma pur sempre accuratamente distaccata.
 
Main Street era ingombra di gente ad ogni ora del giorno e della notte, non era una novità per tutti gli abitanti della città; si trattava di una regola mai decretata di cui tutti erano però a conoscenza – non era un caso, a conti fatti, che quella strada si chiamasse “Main Street”, no?
Per qualche strana ragione, però, quel sovraffollamento di gente sembrava particolarmente interessante agli occhi di un piccolo gruppetto di persone proveniente dalla periferia di Sheffield, una zona in cui, quando c'era traffico, le macchine sulla strada erano cinque.
«Quanta gente! Secondo voi c'è qualcosa di interessante da vedere nei paraggi?» In particolare agli occhi di un ragazzo, tra loro, che sembrava sinceramente entusiasmato dalla concentrazione di persone. Per quanto la camicia bianca, le bretelle e la peluria facciale gli dessero un'aria matura, il suo comportamento aveva dell'infantile: trotterellava, praticamente, tra la gente, guardandosi attorno con l'aria sognante e curiosa di chi non aveva mai visto una grande città come quella prima di allora. E, in effetti, le cose stavano esattamente così.
«Oliver, per l'amor del cielo, smettila di comportarti come un bambino».
«Mi dispiace, signora!» Nella maniera più educata possibile, Oliver si scusò con la signora Dixon, di cui era ospite – indirettamente – quel giorno, ma il suo entusiasmo non sembrò affatto smorzarsi.
L'attenzione della donna fu richiamata dalla risata sguaiata di un altro membro della ristretta compagnia. «Ma', Olly non è tuo figlio, non puoi dargli ordini» trovò difatti conveniente osservare il ragazzo seduto sulla sedia a rotelle, armandosi di un sorrisetto impertinente.
«Non è stata una sua idea far venire con noi il ritardato» intervenne in sua difesa un altro dei ragazzi, scrollando le spalle con noncuranza. Non che gli importasse difendere le opinioni della madre, che sia chiaro: ad Adam bastava lamentarsi di quella sorta di gita cui era stato costretto a partecipare.
L'ultimo dei Dixon diede una rapida e non troppo indolore sberla sulla nuca del minore dei propri fratelli come punizione per la frase appena pronunciata. «E chi ha voluto lasciare a casa la tua buona educazione?»
«Ben detto, Noah!» approvò Gordon, ridendo subito dopo assieme al migliore amico di una vita. «Ti ha chiamato ritardato, sai?» aggiunse poi, rivolto al migliore amico.
Olly aggrottò le sopracciglia e sorrise sornione. «L'ho notato, sai?»
«Davvero? Non l'avrei mai detto. Significa che hai portato con te il cervello?»
«Sono abbastanza sicuro che mi sarebbero bastate le orecchie per accorgermene, ma sì, per fortuna ho messo in valigia anche quell-»
«Ragazzi, per l'amor del cielo, smettetela di fare i bambini! Dobbiamo trovare questa benedetta casa!» L'esclamazione esasperata della signora Dixon, riportò la quiete nella ristretta compagnia, interrompendo in un colpo solo lo scherzoso battibecco in atto tra Gordon e Olly e anche le indignate lamentele di Adam. Presa dall'urgenza del momento, la donna affrettò il passo e distanziò tutti gli altri, decisa a trovare per prima il luogo che stavano cercando.
A seguire il – relativo – silenzio fu un pesante e stanco sospiro proveniente da niente meno che il capofamiglia. «Sì, vi prego, ragazzo» sussurrò implorante, rivolto ai figli e ben attento a non farsi sentire dalla moglie. «Siamo già al settimo “per l'amor del cielo” da quando siamo scesi dal treno, non sono sicuro di essere pronto a sentirlo dire un'altra volt-»
«Per l'amor del cielo, siamo arrivati! La strada è quella!»
Il seguente sospiro del signor Dixon suonò terribilmente simile a una richiesta di essere riportato subito a casa.
 
Erano le quattro del pomeriggio e dall'interno dell'appartamento provenivano solo le risate sommesse di Dixie, che sterminava gioiosamente soldati nazisti a Metal Slug, e i rumori del videogioco quando l'inno irlandese prese a suonare, con la propria inconfondibile maestosità, nel bel mezzo salotto – da sopra al tavolino, a voler essere precisi.
Niall aveva sempre trovato estremamente divertente cambiarle la suoneria del cellulare mentre lei era impegnata con qualche consolle, questo Dixie lo sapeva bene, e sapeva altrettanto bene che l'unica persona a poter aver bisogno di lei, avendo dimenticato le chiavi di casa, era Babs, motivo per cui non si prese il disturbo di rispondere alla chiamata, certa che si trattasse proprio di quest'ultima. D'altra parte, rimanere chiusi fuori era un'ottima punizione per la sua impareggiabile stupidità, a modesto parere di Dixie.
Quando, dopo essersi fermato, l'inno ricominciò a suonare, la ragazza pensò bene di alzare il volume del televisore per non sentirlo, poiché poteva essere bello quanto Niall voleva, ma era un po' angosciante sentire quella voce bassa e gracchiante cantare in gaelico senza sosta quando si era a casa da soli. E, sì, forse avrebbe fatto meglio a rispondere (quanto meno per evitare di sentire quella voce agghiacciante), ma non in quel momento: era impegnata della distruzione del mostro di fine livello e non poteva proprio permettersi di fermarsi – non ora che stava per battere un record, per l'amor del cielo!
Rabbrividì, rendendosi conto di aver appena utilizzato l'esclamazione preferita di sua madre. Non poteva credere di averlo fatto. Per rimediare, sussurrò a mezza voce una serie di colorite imprecazioni che aveva sentito Niall gridare al televisore l'ultima volta che al Beard avevano visto il suo amato Derby perdere miseramente (“Musica, maestro!” aveva esclamato Ed, per poi offrire una birra di consolazione all'amico compatriota). Un ottimo modo per sciacquarsi la bocca, non c'era alcun dubbio.
La faccenda sembrò diventare più impegnativa nel momento in cui sentì bussare alla porta. Prima una volta sola – che pensò bene d’ignorare–, poi una seconda, finché gli insistenti colpi non iniziarono a diventare irritanti e Dixie decise di gettare la spugna. Mise in pausa la partita, dunque, e si alzò lentamente in piedi, non senza lamentarsi: «Si può sapere perché non prendi le chiavi? Se io non fossi in casa, cretina, potresti sbuffare anche due anni e...»
Quando aprì, però, le parole le morirono in gola. Quel gruppo di persone non era affatto Babs – anche se forse avrebbe addirittura preferito la sua compagna a quell'invasione.
«Per l'amor del cielo, Dixie, che cosa stavi facendo? Non si usa più aprire la porta agli ospiti?»
«Guarda la sua faccia!»
«La sua? Guarda quella di papà».
«Ehi, Vi!»
«Non chiedere come abbiamo fatto a farmi salire le scale: è imbarazzante».
«Ecco perché io suggerirei di chiederlo».
«Per l'amor del cielo, ragazzi, che confusione!»
«Ciao, tesoro».
Dixie, immobile con ancora una mano sulla maniglia, fu tentata di richiudere la porta finché erano ancora tutti fuori. Doveva essere un incubo. Lo era? Stava sognando?
Chiuse gli occhi, sperando con tutta se stessa che una volta riaperti l'allegra compagnia sarebbe sparita.
Ma non fu così, motivo per cui tentò l'impresa una seconda volta, cercando di ignorare i commenti idioti dei suoi fratelli.
«Si può sapere che cosa stai facendo?»
Prima che potesse aprire gli occhi, un colpo alle caviglie la fece cadere in avanti, praticamente tra le braccia di suo fratello.
«Gordon! Le fai male! Violet non è un animale come voi altri!» sbottò indignata la signora Dixon, bellamente ignorata da tutti al di fuori di Oliver, che «No, lei è un animale leggermente diverso» osservò – commento che gli valse un'occhiataccia dalla donna.
«Vi, se non ti sposti non ci passo!» si lamentò Gordon, il solito sorriso irriverente stampato in volto mentre, dopo aver aiutato la sorella a rialzarsi, la investiva di nuovo con la sedia a rotelle.
«Vuoi smetterla?» lo rimproverò lei, saltando da un lato per evitare di essere colpita una terza volta sulle caviglie dai sostegni per i piedi.
Il ragazzo rise. «Oh, siamo permalosi oggi!» disse, mentre sfilava all'interno senza che la padrona gli avesse mai dato il permesso di farlo.
«Disturbiamo?» domandò Noah, seguito da Adam e Oliver, mentre avanzavano verso il salotto.
«Per l'amor del cielo, ragazzi, vi siete già impossessati dei videogiochi?»
«Ciao, tesoro».
Quando anche i genitori ebbero fatto il loro ingresso, Dixie li seguì con lo sguardo. Gli bastò un attimo per analizzare la scena: i suoi genitori, fratelli e Olly avevano appena invaso il salotto di casa sua. Non sembrava un sogno, avrebbe potuto tenere gli occhi chiusi tutto il pomeriggio, ma loro non sarebbero spariti nel nulla. Come diavolo era saltato loro in mente di arrivare e invaderle casa senza il minimo preavviso? Si trattava di una sorpresa? Be', ai suoi occhi era più simile a un trauma.
Dixie e Violet stavano per entrare in collisione e lei di certo non aveva alcuna voglia di assistere alla scena. Se solo avesse potuto Smaterializzarsi altrove...
«Ehilà? Disturbiaaaaaamooooo?» ripeté Noah, rivolgendosi a chissà chi – ma sicuramente non a lei.
«Non c'è nessun altro in casa» mise subito in chiaro. Le stava già venendo mal di testa. Perché capitavano tutte a lei? Babs sarebbe tornata presto ed era un miracolo che Ruth non fosse già di ritorno, visto che era solo uscita a far spesa. Sarebbe stato un enorme casino. Continuava a far balzare da un suo familiare all'altro, mentre tutti parlavano contemporaneamente tra loro e con lei. In quella casa regnava il caos, ma non la solita confusione concreta, bensì una nuova – acustica, psicologica: un sovraffollamento inatteso e inappropriato di persone.
«Che cosa ci fate qui?» domandò a suo padre, l'unico che non sembrava impegnato in tre conversazioni in una volta sola.
Il signor Dixon, armandosi d’innata pazienza, sorrise. «Volevamo farti una sorpresa. L'idea è stata di mamma».
«Ah, ma certo» sussurrò Dixie con stizza, ma l'uomo la ignorò.
«Non ci hai mai invitati a vedere l'appartamento da quando stai qui e non conosciamo nemmeno uno dei suoi amici. I ragazzi erano curiosi e volevano vederti».
Un'idea davvero molto gentile, ma del tutto inappropriata.
«Perché non mi avete avvisato? Avrei potuto essere a lezione!»
«Oggi non era l'ultimo giorno?»
«Sì, ma...» Avrebbe potuto essere in qualunque altro luogo. Avrebbe dovuto essere con Liam, ecco dove. Non avrebbe dovuto permettergli di annullare l'appuntamento. Avrebbero potuto anticiparlo o posporlo.
«Ehi, Vi, possiamo giocare?» domandò Gordon. Dixie si voltò: Adam aveva già riavviato la partita e stava mandando al diavolo il suo tentativo di battere il proprio record personale. Quella visione bastò a farla tornare in sé: «Ma sei un cretino! Che cosa hai fatto?»
«Cosa? Che c'è?» L'imputato sobbalzò, preso alla sprovvista da quella reazione.
«Avevo quasi stabilito un nuovo record!»
Gordon rise forte, coprendo così le stizzite proteste del fratello minore. «Questo vuol dire che lo stabiliremo in doppio! Addie, molla il gamepad, è roba per persone grandi questa!»
Okay. Forse – ma solo forse – quell'incursione non sarebbe stata così disastrosa. Almeno finché in casa non c'era nessuno. Se i ragazzi erano tutti insieme, nella peggiore delle ipotesi sarebbe stata Ruth a incontrare la sua famiglia e lei era proprio il genere di persona che avrebbe compreso senza infierire. Niente era perduto – super punteggio a parte.
 
Nel salotto spoglio dell'appartamento Payne-Malik, tanto per cambiare, troppe persone erano stipate sullo stesso divano troppo piccolo per tutti, mentre Niall Horan urlava il proprio disappunto ai giocatori dentro al televisore e Louis si premurava di infierire con acidi commenti a mezza voce. Zayn, stranamente di buon umore, rideva assieme a Harry della scena, non perdendo una sola occasione per scoccare qualche frecciatina a Louis, giusto per ricordargli di non tirare troppo la corda.
L'unico che non partecipava al tifo era Liam. Continuava a contorcersi sul divano in preda a quelli che avevano tutta l'aria di essere sensi di colpa. L'idea di aver dato buca a Dixie lo tormentava – come aveva potuto dimenticarsi della partita e dei ragazzi? Non avrebbe dovuto prendere un impegno con lei e poi annullarlo. Che razza di...
«Se non smetti di muoverti, ti butto giù dal divano» gli comunicò candidamente Zayn, accompagnando quelle parole con uno sguardo truce. Erano già abbastanza stretti tutti e cinque su un divano da due posti senza che lui si girasse e rigirasse senza sosta. Non che non capisse il suo tormento – Zayn lo aveva intuito dal momento stesso in cui gli aveva ricordato la partita –, ma, davvero, quell'irrequietudine fisica era troppo. «Se vuoi andare da Dixie, vai» gli disse a voce bassa, per non coinvolgere tutti in quella conversazione che fondamentalmente riguardava solo il suo amico.
A quelle parole Liam sussultò, toccato sul vivo, e balbettò qualcosa d’incomprensibile, che fu poi costretto a ripetere con più chiarezza. Non sarebbe stato corretto abbandonare gli amici per una ragazza; era ormai una tradizione trovarsi insieme appena potevano per guardare lo sport in tv: chi era lui per interromperla?
«Non è una tradizione» soffiò Zayn contrariato: «Loro si auto-invitano a casa nostra quando non hanno nulla da fare!» sottolineò. Solo in quel momento distolse lo sguardo da Liam e si rese conto di avere tutti gli occhi puntati addosso.
Niall ridacchiò, mentre lui scrollava le spalle con costruita noncuranza, volendo celare l'imbarazzo. «Be', sei un bell'ingrato, amico».
«Già» lo appoggiò Harry, sorridendo sornione. «Noi ti trattiamo come un fratello e tu... tu ci consideri degli scrocconi» aggiunse nel tono eccessivamente strascicato di quando scherzava.
«Se non ci vuoi qui, basta dirlo» rincarò Louis, impassibile. «Anche se tanto non mi muoverei di qui solo per farti un dispetto».
«Sei così melodrammatico, Tommo».
«E tu uno stronzo» intervenne in sua difesa – incredibilmente – Niall.
Zayn sospirò, messo alle strette dalla serrata alleanza dei suoi amici. Alzò dunque le mani in segno di resa e «Okay, ma qui non si parla di me» svicolò, posando lo sguardo su Liam. E, al di là di ogni logica, tutti i presenti sembrarono trovarsi d'accordo con lui.
«Bene, Liam, facciamo un discorsetto» decretò Louis, facendo scrocchiare le dita con un'aria tanto minacciosa che il povero interpellato non riuscì a non deglutire sonoramente, spaventato.
 
Nell'appartamento regnava il caos. L'invasione dei Dixon era ancora in corso alle cinque e quaranta, quando il campanello suonò allegramente rischiando di far venire un colpo a Dixie tramite la consapevolezza che Ruth, di ritorno, avrebbe di lì a poco incontrato tutta la sua famiglia in una volta sola. Sopportare i genitori, tre fratelli e un migliore amico svitati era troppo per chiunque.
Da quando aveva fatto il loro ingresso in casa, l'allegra compagnia non aveva smesso un istante di ciarlare: Gordon e Olly si punzecchiavano, Noah li rimproverava, la signora Dixon raccontava aneddoti e commentava i suoi stessi discorsi dando prova della propria impareggiabile logorrea, mentre il marito sembrava l'unico ad ascoltarla e Adam lamentava petulante l'indecenza della propria famiglia di invasati.
Dixie sentiva le tempie pulsare e la testa dolorante, mentre si alzava in piedi per andare ad aprire la porta. Se doveva essere del tutto sincera con se stessa – e le costava ogni volta un grossissimo sforzo esserlo –, le ultime due ore non erano state poi così terribili; la presenza dei fratelli e di Olly l'aveva fatta sentire a casa, alleggerendo in fretta la tensione dovuta allo sconvolgimento dei suoi equilibri, le chiacchiere della madre non erano risultate poi così invadenti e fastidiose, mentre la presenza del padre aveva semplicemente fatto da contorno e chiusura il tutto. Insomma, non che fosse particolarmente piacevole (fingere di) ascoltare le avventure della signora Peterson e del suo cagnolino smarrito, ma non era nemmeno tragico come aveva immaginato.
Quando aprì la porta dell'appartamento – e perché diamine tutti si presentavano direttamente alla porta senza citofonare? Chi aveva lasciato il portone del palazzo aperto? – e si trovò davanti la figura alta e ciondolante di Liam, sentì il cuore fare una capriola e poi capitombolare goffamente giù fino ai piedi. Porca miseria, e adesso?
«Ciao!» lo salutò in un soffio, incredula. Cosa ci faceva lui lì? Non doveva essere con i ragazzi? Perché tra tutte le persone esistenti era arrivato proprio Liam?
«Ciao» ripeté lui. Si portò una mano sulla nuca con fare imbarazzato, prima di inclinare la testa da un lato e sorriderle timidamente. «Disturbo? Io, ehm... Ho pensato che... Sì, insomma... Visto che dovevamo vederci...»
Quell'eccessivo numero di tentennamenti in una sola frase lasciata per giunta in sospeso mosse una quantità indefinibile di quelli che, se solo quel ragazzo non fosse stato lì di fronte a lei, avrebbe chiamato feelings nel petto di Dixie, che si ritrovò a mordersi il labbro inferiore per trattenere un sorriso intenerito.
L'aveva detto giusto quella mattina a Ruth: «Liam è così infinitamente sfigato, senza nemmeno rendersene conto, che potrei davvero essermi innamorata di lui». La sua amica aveva riso a quelle parole, perché loro erano così: non si capivano mai, ma in fondo si comprendevano sempre.
In quel momento Dixie ripensò quella stessa frase e, senza nemmeno pensarci su, si ritrovò a dire: «Vuoi entrare?». Vedendo Liam indugiare, aggiunse: «Salvami da questo delirio».
E a quel punto lo spirito cavalleresco del ragazzo ebbe la meglio su qualunque suo timore, quindi entrò sorridendo con cortesia alla padrona di casa. Ciò che non si aspettava era la calorosa accoglienza – né il sovraffollamento di persone – che ricevette una volta giunto in sala.
«Ehilà!» esclamò Gordon, sfrecciando (per quanto possibile) sulla sua sedia a rotelle in loro direzione. «E tu chi sei?» domandò con fare amichevole.
Liam indugiò solo un istante durante il quale, in preda a un sorprendente lampo di lucidità, capì che quelle persone non erano altri che la famiglia di Dixie – quella stessa famiglia che Niall aveva detto di non aver mai conosciuto. Non si lasciò però travolgere dall'imbarazzo (non più di tanto) o dall'emozione, ma sfoderò la propria impareggiabile cortesia e strinse la mano a tutti i presenti, eccetto quelli impegnati nella partita all'Xbox, presentandosi solo come “Liam”.
«Liam?» ripeté la signora Dixon quando fu il proprio turno; rivolse una lunga occhiata densa di sottintesi alla figlia, poi tornò a rivolgersi al ragazzo: «Gran bel nome! Da dove vieni, caro?»
«Wolverhampton».
«E cosa studi?»
«Mamma...» Dixie alzò gli occhi al soffitto, lasciandosi cadere stancamente sul divano tra lui e Oliver. Perché sua madre doveva proprio fargli il terzo grado?
«Logopedia. Qui in città. Be', ovviamente studio in città, altrimenti cosa ci farei qui?» Liam ridacchiò imbarazzato, dopo aver sciorinato quelle parole così velocemente che quasi fu difficile captarle. Continuava a ridere; era evidente che si sentisse a disagio, eppure non sembrava aver intenzione di fuggire a gambe levate da un momento all'altro – e Dixie lo avrebbe capito, se lui lo avesse fatto.
Mentre lei analizzava i comportamenti di Liam commentandoli mentalmente, Olly osservava i suoi. Ecco perché dopo aver dato di gomito a Gordon, sogghignò e «È il tuo ragazzo?» le domandò ammiccante, senza la minima delicatezza.
A Dixie si mozzò il fiato in gola, presa alla sprovvista, ma si riprese in fretta; fulminò con lo sguardo entrambi, mentre se la ridevano, e strinse le labbra in una smorfia di disappunto – perché quei due impiccioni dovevano sempre ficcare il naso? Non era nemmeno sicura di come avrebbe dovuto rispondere a quella domanda. Lei e Liam non stavano insieme, non si erano nemmeno mai baciati, ma era evidente che tra loro ci fosse del tenero. Si frequentavano ormai da diverso tempo, ma non era ancora successo nulla di concreto. Così optò per rispondere con una mezza verità: «È un amico di Niall, usciamo spesso tutti insieme». Poi fu colta da un'illuminazione, che oltretutto l'avrebbe con facilità trascinata fuori da quella scomoda conversazione: «Ehi, Liam! Olly non somiglia da morire a Niall?»
Glielo si leggeva in faccia che a Liam no, non sembrava che Olly somigliasse a Niall, ma era altrettanto evidente che non avesse alcuna intenzione di contraddire la ragazza. Per cui si limitò ad alternare occhiate confuse tra Oliver e Dixie, cercando qualcosa da dire.
«Allora?» insistette lei, saltellando entusiasta sul posto.
Poi, proprio quando Liam non sapeva più che pesci prendere, Olly levò un solo sopracciglio stringendo le labbra in un'espressione scettica e lui vide la luce: «Oh mio Dio, hai ragione!» esclamò sconvolto da quell'improvvisa somiglianza. Non si trattava, di fatto, di un'affinità estetica, ma comportamentale e caratteriale, come avrebbe capito nel corso di quella breve convivenza.
Dixie rise forte, battendo le mani con aria infantile e allegra. «L'avevo detto io!» esultò, per poi fare una linguaccia a Gordon. «E tu che non ci credevi!»
Gordon roteò gli occhi con aria di sufficienza. «Non ho mai detto di non crederci, semplicemente ne dubitavo!» la corresse.
La sorella gli rise in faccia. «Il che è la stessa cosa!»
«No, invece!»
«Sì, invece!»
«Oh, ragazzi, vi prego, non ricominciate...»
«No!»
«Sì!»
«No, punto e basta».
«Ti dico di no».
«Sìì!»
«A-ha, ti ho fregato!» Così, mentre Dixie esultava per la piccola vittoria, Olly distrasse Liam dalla sua trance contemplativa – era così strano vederla ridere e scherzare come una bambina, senza che si parlasse di, ehm, come si chiama? Ah, già: fandom.
«Ho appena perso la mia unicità. È un colpo al cuore». Ridacchiò, poi gli fece l'occhiolino: «Tu ne sai qualcosa, di affari di cuore?» domandò in tono confidenziale.
Liam preso in contropiede, arrossì e farfugliò una risposta sconnessa che suonò tanto simile a «N-sì. Cioè no. Cioè sì. Ehm, forse?», che fece tanto ridere quel bizzarro ragazzo con le bretelle e la camicia bianca.
Fu più o meno a quel punto che Noah fu sconfitto a PES da Adam, concludendo così il loro turno alla consolle. A dare loro il cambio furono Gordon e Dixie, che giocando continuarono a portare avanti la conversazione con gli altri. Non solo, perché contemporaneamente discutevano tra loro e inveivano contro i calciatori nel videogioco, con un'abilità che Liam aveva creduto di poter riconoscere in vita sua solo a Dixie – a quanto pare, però, suo fratello non era da meno. Parlarono di Niall, della sua presunta ma ormai confermata somiglianza con Olly, di Norah, della loro ship che era tristemente passata da “praticamente canon” a “crack” durante un solo appuntamento.
Noah, sconvolto dal fatto che anche Liam fosse a conoscenza del delirante linguaggio usato da sua sorella, cercò di scusarsi e di sapere con quale strana tortura lo aveva convinto a entrare nel fandom; lui, con estrema sincerità e un pizzico d’imbarazzo, rispose che non credeva nemmeno si potesse entrare e uscire in una cosa del genere. E sì, quella risposta era del tutto insensata, ecco perché Dixie rise fino alle lacrime permettendo così a Gordon di segnare il goal della vittoria.
Quando Violet pretese una rivincita, lui patteggiò: «Te la concedo solo se ci dici qualcosa di quel ragazzo con cui stai uscendo».
Dixie trattenne il fiato, Liam si strozzò con la saliva, Olly sogghignò tra sé.
«Perché avevi detto che c'era un ragazzo. Un ragazzo vero. Non l'hai fatto scappare, vero?» rincarò la dose Adam, un sorrisetto di scherno a incurvargli le labbra.
Lei boccheggiò qualcosa, ma non rispose. Si alzò in piedi di scatto, esterrefatta, e fulminò i suoi fratelli con lo sguardo uno per uno. «Perché non vi fate gli affari vostri?»
«Oh sì, Violet, perché non ci racconti di quel giovanotto?» chiese la signora Dixon, improvvisamente non più così impegnata a commentare l'arredamento come faceva da ormai venti minuti.
Liam aggrottò le sopracciglia. Violet? Chi era Violet? E da quando Dixie usciva con qualcuno?
«Eddai!» la intimò Noah con un sorriso gentile. «L'ultima richiesta di amicizia che hai inviato su facebook è di Harry Styles. Sarà mica lui? L'ultima volta che abbiamo controllato, non l'aveva accettata».
«Avete spiato il mio profilo facebook?! Ma che cosa vi salta in mente? Come... come cavolo sapete la mia password?»
«Oh, avanti, tu non ci racconti mai niente» si giustificò Gordon, imbronciandosi. «Allora, è questo Harry?»
«Dove avete trovato la password?!»
«Abbiamo le nostre fonti. Quindi, è questo Harry? Per questo ti scaldi tanto?»
«Lo sapevo, ci abbiamo visto giusto!»
«Dalle foto sembra frocio» commentò Adam per manifestare il suo completo disinteresse, ma dimostrando così di aver partecipato alla ricerca.
La ragazza si passò le dita tra i capelli biondi, portandoli all'indietro. «Voi siete pazzi!» proclamò, spalancando le braccia. Non riusciva a credere che i suoi fratelli non rispettassero la sua privacy. Non che le cose scritte su facebook fossero segrete o che la richiesta di amicizia a Harry fosse qualcosa di così eclatante, ma il solo pensiero che avessero letto i messaggi privati che si era scambiata con Jean le metteva i brividi. Come avevano ottenuto la parola d'accesso? Com’era anche solo saltato loro in mente di fare una cosa del genere?
Era esterrefatta. E delusa. E spaventata al pensiero che qualcuno avesse sbirciato tra i suoi dati personali. Non che avesse molti segreti, ma c'erano comunque cose che aveva preferito tenere per sé e sarebbero state difficili da ammettere di fronte ad altri.
«Punto primo: non azzardatevi mai più a fare una cosa del genere» scandì rivolta a Gordon, che sapeva essere la mente di quella bravata. Cercava di mantenere la calma, ma con scarsi risultati: il suo tono tradiva tutta la rabbia. «Punto secondo: non sono affari vostri con chi esco. Punto terzo: Harry non è frocio». Purtroppo, avrebbe aggiunto, se solo non fosse stata così furiosa.
«Violet, cosa sono queste parole?»
«Oh, andiamo, non te la sarai presa!»
«Io, ehm, devo andare».
Quando sentì la voce di Liam pronunciare quelle parole, Dixie dimenticò in un attimo i suoi fratelli. «Cosa? Perché?» chiese, smarrita. Non poteva andarsene, lei aveva bisogno di lui. La sua presenza al proprio fianco l'aveva aiutata a cacciare l'insicurezza che l'aveva attanagliata prima del suo arrivo, così come la paura che qualcuno dei suoi amici potesse arrivare da un momento all'altro.
Liam si alzò dal divano e si lisciò la camicia a quadri – un po' meno abbottonata del solito, cosa che lei notava solo ora – mentre i ragazzi continuavano a discutere, questa volta tra loro, incolpandosi a vicenda dell'accaduto. «Devo, ehm... Devo andare in un posto» rispose, senza guardarla negli occhi.
Dixie non seppe cosa dire, colpita dall'elusività di Liam, per cui si limitò ad annuire e ad accompagnarlo alla porta. «Va tutto bene?» gli domandò comunque, sulla soglia.
Lui, la testa basta e la mente assente, annuì distrattamente e uscì sul pianerottolo. «Sì, io... devo andare» ripeté, guardando ovunque fuorché nella sua direzione.
«Va bene. Ci sentiamo presto, giusto?» Frase decisamente poco nel suo stile, ma era davvero preoccupata – non solo le importava, ma si stava addirittura preoccupando! – da quello strano comportamento.
Liam annuì e le fece un cenno di saluto con la mano, mentre imboccava le scale. A quel punto lei chiuse la porta e sospirò, corrucciata.
 
Non riusciva a crederci, pensava scendendo le scale a una lentezza snervante; aveva frainteso tutto. Louis gli aveva fatto una ramanzina di venti minuti per convincerlo che, se lei gli piaceva davvero, loro avrebbero fatto lo sforzo di non offendersi se lui se ne fosse andato. Aveva anche aggiunto che “Sareste a casa da soli, oltre tutto, perché Welma è a fare shopping con Riccioli d'Oro” (anche se, a dirla tutta, Liam non aveva capito a chi si riferisse); “quindi vai, forse è la buona volta che succede qualcosa!”.
Be', sì, qualcosa era successo: aveva avuto la conferma della cotta di Dixie per Harry. Come se le insinuazioni dei fratelli Dixon non fossero state abbastanza chiare, lei si era addirittura indispettita, correndo a prendere le difese del suo amico.
Se solo fosse stato un altro ragazzo, Liam probabilmente sarebbe stato furioso con entrambi, ma, trattandosi di lui, era ovvio che se la prendesse solo con se stesso: come aveva potuto fraintendere tutto dall'inizio alla fine? I suoi amici erano stati gentili a cercare di smentire, quando lui aveva avanzato il proprio dubbio, ma avrebbero fatto meglio a dirgli la verità senza troppi giri di parole. Probabilmente sarebbe stato un po' meno doloroso di quanto lo era in quel momento, no? Si sarebbe illuso un po' di meno, avrebbe lasciato perdere tutto molto prima.
Il danno ormai era fatto, comunque. Tutto ciò che poteva fare era tornare a casa a leccarsi le ferite e a metabolizzare la sconfitta. Riusciva già a sentire il “Friendzoned!” che Louis gli avrebbe molto probabilmente urlato in faccia, una volta sentito il racconto di com’erano andate le cose, bruciargli sulla pelle. “È un amico di Niall, giriamo spesso tutti insieme”. Era stato davvero friendzonato. Perché queste cose succedevano sempre a lui?
A turbarlo più di ogni altra cosa rimaneva la consapevolezza di aver fatto tutto da solo: lui l'aveva cercata, lui aveva cercato il suo aiuto, lui le aveva chiesto di uscire, lui aveva cercato di entrare nel suo mondo, lui aveva organizzato tutte le uscite, lui l'aveva trascinata fuori di casa praticamente ogni giorno, lui le aveva fatto conoscere Harry, lui si era intestardito e sempre lui si era innamorato.
 
Un paio di minuti più tardi, Dixie era ancora nascosta in cucina, lontano dai propri chiassosi familiari, intenta a riflettere su cosa fosse appena accaduto. Aveva la fortissima sensazione di aver combinato un guaio, ma non riusciva a capire di che cosa si trattasse. La fuga improvvisa di Liam era di certo stata causata da una sua qualche gaffe, ma anche analizzando diverse volte la conversazione non era stata capace di riconoscerla.
Al momento non le importava più molto della violazione della privacy subita dai propri fratelli, dei commenti delusi di sua madre nello scoprire che Liam non era il suo ragazzo – purtroppo – ed era arrivato all'appartamento solo perché le aveva promesso che avrebbero guardato Doctor Who insieme.
Se ne stava quindi seduta sul mobile della cucina, tra i fornelli e il lavabo, un bicchiere di succo di mela mezzo vuoto stretto tra le mani e quasi del tutto dimenticato. Faceva dondolare i piedi avanti e indietro, colpendo ritmicamente coi talloni lo sportello della credenza sottostante, e rifletteva sull'indefinito guaio combinato.
Quando Gordon entrò lentamente nella stanza e la chiamò, Violet sussultò per lo spavento. «Ehi» rispose alla chiamata, l'espressione attonita di chi era appena stato strappato ai propri pensieri.
«Posso farti una domanda in confidenza?» si sentì chiedere, mentre le ruote della sedia a rotelle percorrevano silenziose lo spazio che separava i due fratelli.
Quando si trovava solo con Gordon, diventava un'altra persona. Non una terza persona, differente da Violet e Dixie, ma un insieme delle due. La stessa persona che anche Liam aveva imparato a conoscere – ed era il solo, oltre a Gordon e, in parte, Ruth.
«Io... Dimmi». La sua incertezza era stata subito soppiantata dalla consapevolezza di non saper negare nulla al fratello.
Lui sorrise sornione, alzò il mento e assottigliò lo sguardo. «Il ragazzo con cui uscivi... è lui?» Dal suo atteggiamento era chiaro che sapesse già la risposta, ma questo non le impedì di arrossire e annuire in conferma.
Allora Gordon schioccò la lingua contro il palato e strinse il labbro inferiore tra i denti in un'espressione sofferente. «Ahia» commentò; «mi sa che abbiamo fatto un guaio».
Dixie sospirò, non sapendo bene cosa rispondere: poteva essere colpa loro, come poteva essere solo sua. Non era nemmeno sicura di cosa fosse preso a Liam, ma il fatto che persino qualcuno che l'aveva appena incontrato per la prima volta si fosse reso conto che nel suo comportamento qualcosa non andava le metteva un po' d'ansia. «Forse» farfugliò, lo sguardo basso. Cosa avrebbe dovuto fare ora?
«Be', meglio ripararlo in fretta, no?» propose dunque Gordon, abbandonando il tono pacato con cui aveva parlato fino a quel momento per rimpiazzarlo con uno più allegro e cospiratorio.
«Come?»
Il ragazzo rise, poi le strizzò l'occhio. «Facciamo come ai vecchi tempi, okay? Solo al contrario: tu agisci e io li distraggo».
 
Liam camminava lungo il marciapiede diretto verso casa, il cellulare all'orecchio che squillava pigramente mentre attendeva che Zayn, dall'altra parte, prendesse la linea. Era rimasto davanti al portone del palazzo in cui abitavano Dixie e Ruth per quasi dieci minuti, combattuto tra l'idea di tornare su e non sprecare l'opportunità di passare del tempo con la ragazza nonostante avesse capito di non interessarle e quella di fuggire a gambe levate il più lontano possibile da lì. Alla fine si era incamminato verso casa e aveva digitato sul telefono il numero del migliore amico sperando che lui sapesse in qualche modo incoraggiarlo.
«Pronto
«Zayn, sono io. Ascolta...»
«Liam!» Il ragazzo interruppe la marcia assieme alla frase, sentendosi chiamare, e si voltò a controllare chi lo stesse cercando.
«Liam? Che c'è?»
Aggrottò le sopracciglia per la sorpresa quando riconobbe la figura snella di Dixie correre – correre! – nella sua direzione, i capelli che le ricadevano scompostamente sul viso e gli occhiali stretti nel pugno per evitare che cadessero durante la corsa.
«Ehi, cosa... Cosa ci fai qui?» domandò nel momento stesso in cui lei lo raggiunse, lanciando involontariamente un'occhiata al condominio a una ventina di metri di distanza.
La ragazza passò le dita tra i capelli, portandoli all'indietro e respirò a fondo un paio di volte per riprendere fiato. «Io...» annaspò, in cerca d'aria; alzò una mano in una muta richiesta di attesa, per poi inspirare aria sufficiente e dire: «Dobbiamo mettere in chiaro le cose».
Gli cadde la mascella udendo quelle parole. Era scesa di corsa e l'aveva seguito, per di più di corsa, solo per dirgli che aveva una cotta per Harry? Be', non era necessario, davvero; preferiva metabolizzare la cosa da solo senza che la verità gli venisse ulteriormente spiattellata in faccia.
«Liam? Con chi stai parlando?»
«Riguardo a cosa?»
«A...» La ragazza inspirò ed espirò profondamente un'ultima volta, riuscendo così a calmare il proprio respiro. «A noi due». Abbassò il capo e, incerta, fece qualche passo avanti per avvicinarsi di più a lui.
«Dixie, davvero, non credo ce ne sia bisogno, insomma...», ma Liam non fece in tempo a concludere la frase, perché l'istante seguente lei gli aveva messo le mani sulle spalle e, rossa in volto, aveva sorriso. «Anche secondo me» confermò, per poi baciarlo.
La scena di per sé sarebbe anche stata romantica, forse, se non fosse stato per la voce di Zayn che fece loro fa colonna sonora dal momento stesso in cui Liam, accortosi di cosa stava succedendo, aveva ficcato in fretta il cellulare in tasca per poter stringere Dixie a sé, premendo per errore il tasto del vivavoce.
Per cui, mentre Dixie e Liam si beavano dei loro primi baci, il loro sottofondo era più o meno questo: «Amico, che diavolo stai facendo? Ti sembra uno scherzo divertente? Se non rispondi entro due secondi, io riaggancio. Mi hai sentito, Payne? Ora riaggancio. Sei un idiota, lo sai? Un grandissimo idiota. Non sei divertente. Vaffanculo, Liam».
Quando il “tu-tu” della chiamata terminata prese il posto della voce di Zayn, Dixie si discostò appena dalle labbra del ragazzo per ridere. «Credo si sia arrabbiato» osservò, sorridendo felice.
Liam strofinò il naso a patata contro quello all'insù di lei. «Credo che ora siamo canon».
E a quelle parole Dixie non poté che baciarlo di nuovo con slancio, in preda a un moto di orgoglio, consapevolezza ed emozione. Una volta tanto, Liam era giunto alla conclusione giusta.




Trombino le squillo!  Squillino le trombe! 
Signore e signori, ebbene sì, Dixie e Liam sono finalmente canon! Delusi? All'inizio abbiamo tutti (sì, anche io) avuto un po' di dubbi su quali sarebbero state le coppie alla fine della fiera, spero solo che nessuno ci sia rimasto troppo male vedendo come è finita. C'è ancora la questione Niall, comunque, quindi magari l'ultimo capitolo vi darà qualche informazione a riguardo. 
Come ho accennato distrattamente su facebook, quello che avete appena letto è l'ultimo capitolo della storia vera e propria. Il prossimo sarà una specie di epilogo, un - uhm - esempio di come andranno le cose d'ora in avanti. 
Tra l'altro, spero di tornare presto con questo nuovo e ultimo - definitivamente - capitolo. :)
Che dire, spero che il capitolo vi sia piaciuto!
In linea generale, per avvisi, spoiler e qualunque cosa riguardo alle mie storie (LC compresa), tenete d'occhio la mia pagina Facebook: Yvaine0.
Se invece avete - per qualche assurdo motivo - voglia di parlare con me (o di farvi gli affari miei XD), potete trovarmi su facebook, twitter, Ask.fm e tumblr.
Okay, a questo punto vi saluto. Grazie a tutti quelli che sono arrivati fino a qui! Alla prossima. :D

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Capitolo 12
*** Nerdily ever after ***


Dedico questo capitolo a tutti coloro che sono arrivati fino a qui. 
Grazie! 


 

Capitolo 12
Nerdily ever after

 
 
«Dixie, hai ospiti!» si sentì gridare Ruth dal salotto dell'appartamento. La ragazza in questione si sistemò gli occhiali sul naso e lanciò un'occhiata distratta alla porta chiusa della propria stanza, per poi tornare a concentrarsi sullo schermo del pc. Un trillo sommesso le annunciò l'arrivo di un nuovo messaggio nella chat di Skype; la aprì, rispose e richiuse tutto in un attimo, gli occhi che già stavano cercando la riga cui si era fermata prima che Ruth la interrompesse. Visite? Il mercoledì sera? Assurdo. Anzi, era del tutto impossibile: tutti i suoi amici (e parenti) erano a conoscenza del fatto che il mercoledì fosse un momento intoccabile della sua settimana. A niente e nessuno era consentito frapporsi tra lei e l'aggiornamento di tre – tre in una volta sola, corpo di mille balene! – delle sue fanfiction preferite. Fatta eccezione per Jean, in effetti, perché, si sa, una fangirl ha bisogno di un sostegno morale, qualcuno con cui sfogare tutti i propri feelings scatenati dai passaggi più intensi di una certa storia.
Presa dalla lettura nemmeno se ne accorse, quando Liam fece il suo ingresso nella camera; sobbalzò spaventata, anzi, quando lui le posò un bacio sulla testa a mo' di saluto. «Liam» sibilò invece, quando ebbe metabolizzato la sua presenza, marcando la prima vocale con tutta l'esasperazione che cui era capace. Fece quindi un enorme sforzo: distolse lo sguardo dallo schermo, ruotò lentamente verso di lui sulla sedia girevole, con la testa inclinata da un lato e le labbra strette in una smorfia di disappunto e cercò di mantenere la calma. «Si può sapere che cosa ci fai qui?» gli domandò.
Il ragazzo le sorrise con dolcezza, poi si gettò mollemente a sedere, tra le lenzuola disordinate, sul letto di Dixie. «Ti va di uscire con me?» propose e, prospettando di alzarsi per andarsene con lei, posò i palmi delle mani ai propri lati pronto a farsi poi leva.
Dixie si prese un momento per analizzare i tratti somatici di Liam; scrutò attentamente la barba appena rifatta, i capelli accuratamente sistemati, lo sguardo allegro e sincero. Abbozzò quindi un sorriso intenerito mentre si sistemava a gambe incrociate sulla sedia girevole. «Sei adorabile, davvero, ma oggi è mercoledì».
Liam inarcò le sopracciglia, preso in contropiede da quell'osservazione. «E allora?» gli venne spontaneo chiedere. Ricapitolò, rapido ed efficiente come sapeva essere solo di rado, tutti gli impegni che aveva fissato sull'agenda per quella settimana, e da quella breve analisi non risultò nessun appuntamento importante per quel giorno – niente, nada, nichts; erano liberi come l'aria.
Dixie tuttavia non sembrava affatto pensarla così. Infatti, congiunse le mani in grembo e vi incollò lo sguardo nel tentativo di mantenere la calma. Non riusciva proprio a credere che lui si fosse presentato a casa sua proprio quella sera. «Farò finta di non aver sentito questa domanda».
«P-perché?» balbettò lui senza capire. Si guardò attorno spaesato, come se qualcosa in quella stanza potesse suggerirgli cosa avesse dimenticato – perché che avesse dimenticato qualcosa era più che palese. «Cosa succede oggi?» Di certo non si trattava di un anniversario, perché era passato troppo poco tempo da quando si erano messi insieme; era abbastanza sicuro che non ricorresse nemmeno qualche mese dal loro primo bacio o appuntamento. Nessuna data importante, insomma, ne era – quasi, perché non si sa mai – certo.
Lei rimase in silenzio qualche istante, mentre cercava di capire se lui fosse serio; quando capì che no, non stava scherzando, prese un lento e profondo respiro e fece appello a tutta la – poca – pazienza che aveva in corpo per rispondere: «È mercoledì, e il mercoledì è serata di fanfiction. Hanno aggiornato SherLocked-In, Lady_Who, GordonBleu e credo che anche Jean abbia intenzione di postare una One Shot in serata. Sono impegnata» mise in chiaro in tono tranquillo. Quando vide Liam spingere in fuori il labbro inferiore con aria ferita, però, non poté che pensare di essere comunque stata un po' brusca. «Mi dispiace» aggiunse infatti, anche se era vero solo a metà. Non che non gli facesse piacere uscire col suo ragazzo, di solito, ma, insomma, era mercoledì sera!
«Non ti preoccupare. Insomma, devi leggere?» volle un ultimo chiarimento – forse prima di mettersi il cuore in pace e tornare a casa, pensò Dixie.
«Be', sì» rispose quindi con naturalezza. Qualcosa le diceva che avrebbe dovuto sentirsi un po' stupida nel preferire le fanfiction alla compagnia di Liam, ma a lei non era mai piaciuto prestare attenzione a quella vocetta fastidiosa chiamata buon senso – non quando c'erano di mezzo le fanfiction, per lo meno.
«E Jean è Margot?» aggiunse.
Sembrava sinceramente interessato; trovava quasi commovente il fatto che Liam sembrasse sempre curioso di scoprire qualche dettaglio in più sulla sua vita da fangirl. Chissà perché Ruth e Niall non prendevano esempio da lui! Lei sarebbe stata un'ottima insegnante; da esperta in materia li avrebbe istruiti a dovere e tutti insieme avrebbero fangirlato facendo maratone di Doctor Who, Sherlock, Merlin, Game of Thrones, Star Trek... per non parlare de Il Signore degli Anelli, Star Wars, Harry Potter, Batman, Iron Man, Thor, Capitan America, The Avengers...
«Esatto» confermò di nuovo, accompagnando questa volta le parole con un sorriso gentile. Spostò lo sguardo su di lui per accertarsi che non si fosse offeso e si stupì nel trovarlo a fissarla intensamente. «Che ti prende?»
Le labbra di Liam si distesero in un sorriso soddisfatto, mentre lui si alzava in piedi; camminò fino alla sedia, posò le mani sui braccioli e si chinò su di lei, senza smettere di guardarla dritto negli occhi. «Ho un'idea. Ho un patto da proporti» le comunicò.
Dixie era una ragazza di sani principi, con i nervi saldi e una forza di volontà d'acciaio. Sarebbe stata una menzogna se avesse detto che avere Liam a una così infima distanza, con le labbra proprio davanti agli occhi, mentre parlava come al solito troppo velocemente, non le faceva alcun effetto. Gliene faceva eccome; aveva una gran voglia di sporgersi in avanti, annullare la ridicola distanza tra loro e baciarlo, ma il suo sesto senso di fangirl – nonché di unica femmina cresciuta tra quattro ragazzi ruffiani – l'aveva appena messa in allarme: “È una trappola!”, gridavano i suoi sensi di ragno (e, sì, preferiva di gran lunga dare ascolto a questi ultimi piuttosto che al banale buon senso di cui si parlava poco fa).
«Che tipo di patto?» chiese dunque ostentando tranquillità, mentre si sforzava di guardarlo dritto negli occhi. In tutta probabilità, oltretutto, Liam non era nemmeno consapevole di star mettendo alla prova il suo autocontrollo, adorabilmente tonto com'era. O almeno lo sperava. In ogni caso, aveva nel tempo imparato a proprie spese che non era mai il caso di mostrare a un uomo il potere che esercitava su di lei o quello avrebbe finito per montarsi la testa, oltre che per utilizzare quell'influenza a proprio favore.
«Stavo pensando che ora potresti finire di leggere questo capitolo e poi uscire con me. Più tardi ti riaccompagnerò a casa e ti ascolterò leggere la – ehm, come si chiama? One – ...be', quella cosa che ha scritto Margot».
A Dixie venne spontaneo ridere, dopo che lui ebbe sciorinato in tono concitato, frettoloso e incerto il proprio piano d'attacco. Era così tenero! «Sì, be', ma gli altri due aggiornamenti?» obiettò lei con ovvietà.
«Non scappano mica! Le leggerai appena avrai un po' di tempo».
La ragazza sospirò e alzò gli occhi al soffitto; non poteva averlo detto davvero. Non si parlava di storielle qualunque, ma di tre delle sue storie preferite in assoluto, che erano state aggiornate con sorprendente puntualità tutte lo stesso giorno; era un miracolo che quel pomeriggio avesse continuato a studiare anziché interrompersi per leggere. In più c'era Jean, che avrebbe messo online una one shot appena sfornata di lì a poco – come resistere alla tentazione di fiondarsi a scoprire di cosa si trattasse, visto e considerato che lei si decideva a pubblicare online così di rado? Liam non poteva capire.
«Non avrò tempo tanto presto».
«Domani?»
«Ho lezione e devo studiare. Ed è giovedì: giornata da pub».
«Venerdì?»
«Studio, poi torneo di PES. Dovresti saperlo, partecipi anche tu» osservò in tono piccato: come poteva dimenticare una cosa del genere?
Liam fece un passo indietro e si passò una mano sulla nuca, a disagio; le cose stavano prendendo la piega sbagliata. «Sì, certo, me lo ricordavo. Sabato, allora».
«Sabato si potrebbe, se solo Ruth non si fosse impuntata con questa faccenda delle pulizie. Continua a dire che Babs non può sobbarcarsi il mio turno anche questa volta – ma, hey, se lei non ha niente in contrario perché non lasciarla fare?, dico io».
Il ragazzo sospirò e mise il broncio. «Quindi non uscirai con me» si arrese, incrociando le braccia al petto.
A Dixie venne da ridere, vedendo un ragazzo grande e grosso come lui tenere il muso. «È mercoledì, Liam» gli ricordò a mo' di scusa.
Mettendosi con lei, lui aveva praticamente firmato un contratto a tempo indeterminato che le assicurava un giorno libero a settimana e gli straordinari, si sa, vanno pagati; giusto in quel momento, infatti, le era tornata in mente una cosa di cui le aveva parlato Jean poco prima e...
«Però forse possiamo giungere a un compromesso».
A quel punto Liam lasciò cadere le braccia lungo i fianchi e inclinò la testa da un lato, attento. «Ti ascolto».
«Be',» cominciò lei, mentre si allungava distrattamente le maniche della felpa grigia e sformata di uno dei suoi fratelli in modo che le coprissero le mani – prima che arrivasse al punto, Liam fece tempo a decidere che avrebbe dovuto regalarle una delle proprie magliette, perché, insomma, sarebbe stato carino, no? «L'otto e il nove Marzo c'è il Newcastle Film and Comic Con...»
«Che cosa?»
Dixie alzò la testa di scatto per incontrare lo sguardo confuso di Liam. «Cosa?» ripeté, sperando di aver frainteso la domanda.
«Che cos'è?»
No, purtroppo aveva capito benissimo. Sgranò gli occhi, prese un respiro profondo e poi sbuffò forte. Perché stava con un cretino simile? «Okay, concentrati: Film and Comic Con – spiegò, scandendo bene parola per parola, come se stesse parlando a uno straniero. – “Con” sta per “convention”. Mi segui?» chiese conferma, sorridendogli incoraggiante.
Liam batté le palpebre un paio di volte – doveva sentirsi preso in giro, per caso? –, poi però si lasciò influenzare dal sorriso della sua ragazza e annuì; «Fino in capo al mondo». Non appena si accorse di averlo detto, sgranò gli occhi, mortificato. Che razza di cretino era? Zayn e Louis gli avevano ripetuto milioni di volte di non sputare fuori certe frasette idiote solo perché gli venivano in mente. Se avesse potuto premere il tasto rewind e ricominciare la conversazione, di certo si sarebbe morso la lingua a sangue piuttosto che...
Il volto di Dixie s’illuminò. «Davvero?» squittì entusiasta, saltando in piedi.
Oh. Ne era contenta? Ripensandoci, forse non aveva giocato una carta così pessima. Forse. «Io... sì. No. Sì. Cioè, cosa?»
La ragazza rise allegramente; la osservò incrociare le dita e nasconderle nella tasca della felpa. «Mi accompagnerai?»
Be', non era proprio questo che intendeva con quella frase, ma in fin dei conti l'idea non gli dispiaceva nemmeno un po'. Non poteva essere così male, no? «Sì, perché no?»
Allora Dixie si morse il labbro inferiore cercando di impedire al proprio sorriso di allargarsi troppo; abbassò il capo spiandolo di sottecchi, mentre attendeva una risposta al proprio: «In cosplay?»
«Cos-...?»
In preda ad un altro repentino cambio d'umore, la ragazza roteò gli occhi: Liam l'avrebbe portata all'esasperazione! Poi però ricordò che, in effetti, Liam si stava offrendo di portarla al Newcastle Film and Comic Con, e non all'esasperazione, dunque riacquistò l'entusiasmo di poco prima. «Cosplay. In parole povere, significa travestirsi da un certo personaggio. Si fa per le convention».
Liam ci pensò su qualche istante, poi strinse le labbra e le incurvò verso il basso annuendo. «Sembra figo! Noi da chi ci travestiamo?»
Dixie saltellò un paio di volte sul posto mentre rideva e batteva le mani, poi lo afferrò per un braccio e lo trascinò a sedersi di nuovo sul letto, incrociando le gambe in posizione yoga accanto a lui. «Ti ho mai detto che sei adorabile?»
Liam ridacchiò, sorpreso dall'improvviso buon umore della sua ragazza, che aveva persino abbandonato il PC con le sue fanfiction pur di parlare con lui di quel, uhm, ritrovo per nerd. «No, ma mi hai detto che ci shippi e mi basta. Potrei essere David Beckham e tu puoi fare Victoria...» stava dicendo, annuendo tra sé con convinzione, mentre un briciolo di entusiasmo cominciava a farsi largo dentro di lui.
Dixie strabuzzò gli occhi e rise, interrompendolo: «Beckham?! Sei serio?»
Lui aprì la bocca per ribattere e la richiuse un paio di volte mentre l'altra se la rideva della grossa. «Sì, perché?» domandò, leggermente offeso. «Dicono tutti che gli somiglio» aggiunse. E lo dicevano davvero. I suoi genitori e le sue sorelle glielo ripetevano continuamente (“Sei diventato grande, guardati! Sembri Beckham!”), e lo stesso valeva per Ed del Beard e un paio di suoi compagni di corso; persino Louis una volta lo aveva ammesso, aggiungendo che «Ma tu vali un decimo come calciatore, Payno».
A quelle parole, Dixie rise più forte, incredula. Possibile che Liam somigliasse davvero all'idolo dei suoi fratelli? Era impossibile che pur avendo trascorso anni con quel volto a guardarla dalle pareti della stanza di Gordon non avesse notato un'eventuale somiglianza col proprio ragazzo, no? «Okay, vediamo» gli concesse, senza nemmeno curarsi di nascondere il proprio scetticismo. Lo guardò dunque, prima con e poi senza occhiali, per finire con l'enunciare il suo responso: «No, non mi pare» e ricominciò a sghignazzare, scuotendo il capo.
Il ragazzo sbuffò e incrociò di nuovo le braccia, imbronciato. «Va bene, ho capito, niente Beckham. Che ne dici di Batman e Cat Woman, allora?» Avrebbe insistito sulla propria proposta se solo non si fosse sentito offeso: non era carino da parte di Dixie ridere di lui in quel modo, proprio per niente.
Lei, d'altra parte, non sembrava curarsene più di tanto; continuava a parlare, gesticolando e facendo buffe espressioni a imitazione di chissà chi, a proposito di qualcosa che Liam mentre la osservava non si era ricordato di ascoltare. Quando se ne rese conto, tutto ciò che comprese fu la conclusione: «...abbiamo optato per gli X-Men».
Liam gonfiò le guance e annuì, mentre cercava qualche plausibile risposta da dare. Fortunatamente, proprio quando stava per ammettere di non aver ascoltato nulla, lei ricominciò a parlare: «Jean e la sua amica hanno litigato per chi dovesse fare Jean Grey, quindi la farò io, anche se mi toccherà cercare una parrucca. Quindi Jean porterà il cosplay di Rogue e la sua amica quello di Tempesta. Olly e Gordon vogliono portare Magneto e Xavier. Pensavamo di allargare ancora un po' il gruppo, convincendo Ruth a interpretare Mystica e poi...»
«Io posso fare Wolverine?» domandò Liam, prima di perdere di nuovo il filo della conversazione. «Sì, insomma, se tu fai la rossa, io posso...»
«Ecco, in realtà pensavamo di chiedere a Harry di fare Wolverine. Non trovi che sarebbe perfetto con quei capelli? Certo, non ha la giusta espressione agguerrita, ma ce ne faremo una ragione. Sapevi che lui e Jean sono vicini di casa a Holmes Chapel? E lei non me l'ha mai detto! Continua a giustificarsi dicendo che...»
E Liam si perse di nuovo nei propri pensieri, cercando di non sporgere in fuori il labbro inferiore come faceva ogni volta che qualcosa non andava nel verso che credeva quello giusto. Harry, eh? Avrebbe dovuto immaginarlo. Sembrava un segno del destino, probabilmente di lì a poco Dixie gli avrebbe proposto di essere Ciclope. Il che sarebbe stato davvero il colmo visto che, come Zayn amava ribadire ogni volta che lo costringeva a guardare qualche film della saga, Scott era un personaggio personale, peccato che alla fine la sua compagna avesse un palese debole per il Wolverine.
«Non mi stai ascoltando».
Sembrava una persecuzione. Alla fine ogni volta sbucava Harry dal nulla e attirava tutta l'attenzione su di sé; chi avrebbe preferito il noioso e testardo Liam a quel ragazzo con gli occhi verdi e le fossette? Dopotutto l'unica interessante particolarità di cui poteva vantarsi era la somiglianza con Beckham, e la sua ragazza gli aveva appena riso in faccia al solo nominarla. Probabilmente i ragazzi avevano ragione: era solo uno sfigato. Perché intestardirsi così su...
Un bacio a fior di labbra lo riportò alla realtà, lasciandolo con gli occhi sgranati per la sorpresa. Prima che potesse decidere se avvicinarsi a Dixie e baciarla a sua volta o chiederle spiegazioni, si ritrovò invischiato nel suo sguardo allegro. «Stavi di nuovo farneticando, vero?»
Liam dischiuse le labbra e arretrò leggermente, colto con le mani nel sacco. «No, io... Non è che stessi farneticando, no. Stavo solo pensando che forse, insomma… Sì, lo stavo facendo. Posso fare Ciclope, se vuoi» concluse poi in tono grave, chinando il capo con fare penitente.
La ragazza scoppiò a ridere e raccolse le ginocchia al petto, per poi abbracciarle e posarvi sopra la testa. Non c'era bisogno che lui le dicesse a cosa stava pensando, perché era fin troppo prevedibile: Niall le aveva raccontato del suo timore che lei avesse una cotta per Harry e, sebbene sul momento ne avessero riso entrambi, riparlandone con Ruth aveva trovato la cosa tenera e anche un po' lusinghiera. «Ho sempre shippato Wolverine con Rogue, lo sai? Scott e Jean sono OTP».
Liam alzò lo sguardo per incontrare quello di lei e un attimo dopo, raggiante, si tuffò su di lei per abbracciarla; le risate di Dixie giunsero così forti fino alla cucina che Ruth dovette trattenere Babs per un braccio, per evitare che andasse a controllare cosa stesse succedendo di tanto divertente.
 
«Come l'hai convinta a uscire, si può sapere?» Niall tornò a prendere posto al tavolo subito dopo averci posato sopra la propria bottiglia di birra, per assicurarsi che non facesse una brutta fine in caso di inciampo – non sarebbe stata la prima volta che quella sera qualcuno gli levava la sedia da sotto un attimo prima che si sedesse. Si era lamentato un quarto d'ora perché Harry non ne voleva sapere di passare per la quarta volta a prendere le ordinazioni, tanto che alla fine si era deciso ad alzarsi lui stesso per prendere l'ennesima birra della serata. Prima che Liam potesse rispondere e lui impossessarsi della bottiglia per gustarne il contenuto, lo fece Louis. «Grazie, Irlanda!» esclamò quest'ultimo, un attimo prima di iniziare a sorseggiarla.
A Niall cadde la mascella a quella vista; rimase a fissare il suo amico con aria intontita per un po', mentre Liam, Zayn e le ragazze ridevano, poi diede un pugno sul tavolo e «Sei una merda, Tommo!» latrò, offeso.
«Sono un uomo dalle mille risorse» rispose Liam nel frattempo, raddrizzando le spalle per sembrare più grosso. «So come trattare la mia ragazza».
Dixie alzò gli occhi al cielo e fece per ribattere, ma fu battuta sul tempo da Zayn: «Ci ha venduti, Nialler. Ci trascinerà al Newcastle Film and Comic Con, questo traditore».
Niall fece scattare in alto le sopracciglia, totalmente ignaro dell'argomento e decisamente stordito dall'alcol. Si voltò verso Ruth con gli occhi azzurri sgranati, in cerca di qualche chiarimento, e lei corse subito in suo aiuto: «Sai quella convention di nerd...»
«Quante volte devo dirti che i nerd non esistono?»
«...di cui parla sempre? Sta cercando di convincermi a travestirmi da Mystica ormai da mesi».
«Mystica sarebbe quella blu che gira nuda?»
Ruth fece una smorfia. «Proprio lei».
Allora Niall si spalmò sul tavolo per avvicinarsi alla ragazza e la guardò dal basso con gli occhi acquosi e le guance arrossate. «E perché non hai ancora accettato?» le domandò. L'attimo dopo, tutti gli uomini seduti al tavolo stavano ridendo dell'espressione sconcertata di Ruth, oltre che della faccia tosta del loro amico ubriaco. Solo Dixie rimase a fissare a bocca aperta il ragazzo biondo, come se avesse appena capito qualcosa di estremante importante.
«Perché non lo fai tu al posto mio? Sarebbe originale» sibilò Ruth in risposta, seccata. Come se la sua sbandata per quell'irlandese cretino – e adorabile – non fosse abbastanza, lui si metteva a far pseudo apprezzamenti su di lei in preda ai fumi dell'alcol. Era assurdo! «Ho bisogno di un drink» decretò con aria stanca, per poi indossare di nuovo la maschera d’impassibilità dietro cui era solita nascondere il turbamento, quando si sentiva in imbarazzo.
«Anche io» piagnucolò Niall, affondando la testa tra le braccia. «Tommo, sei un bastardo».
Louis ridacchiò tranquillamente, senza smettere di mostrare a Zayn («Come se non avessi già bevuto abbastanza...») le foto scattate col cellulare l'ultima volta che era uscito con Eleanor.
Ruth sbuffò, per poi arrendersi: «Cosa vuoi? Vado a prendertelo io» propose, alzandosi.
«Offro io!» Niall risorse dalle proprie ceneri, saltò in piedi, facendo cadere la sedia, e abbracciò la ragazza di slancio. «Grazie, grazie, grazie, grazie!»
«Sì, certo, va bene» borbottò lei, mentre cercava debolmente di scrollarselo di dosso – anche se non era certa di volerlo. Fu quando Niall le stampò un bacio umido sulla guancia, farfugliando un confuso «Ti voglio bene, birra, lo sai?», che Ruth, rossa in volto, si divincolò dalla presa e si diresse a grandi passi verso il bancone, fuggendo da lui.
In tutto questo, Dixie stava ancora fissando Niall con gli occhi sgranati, sotto lo sguardo confuso di Liam. «Che succede?» le chiese infatti quest'ultimo, preoccupato.
Quel richiamo, riportò la ragazza alla realtà; degnò appena Liam di un'occhiata distratta, poi posò i pugni e si voltò verso l'amico irlandese, che nel frattempo si era di nuovo seduto e spalmato sul tavolo ingombro dei bicchieri che lui stesso aveva svuotato nel corso della serata. «Nialler, c'è qualcosa che devi dirmi?»
Lui alzò la testa per guardarla, poi le fece una linguaccia e tornò a nascondersi tra le proprie braccia, canticchiando tra sé l'inno nazionale inglese.
Fu Zayn a impedirle di insistere nel tentativo di farlo ragionare: «Dixie, ormai è andato».
«Infatti» confermò Louis: «canta l'inno inglese senza sbagliare le parole, dev'essere proprio fuori».
Ma se Liam era un ragazzo caparbio, Violet Dixon non era certo da meno. Liquidò infatti i ragazzi con un'occhiata sprezzante e si sedette vicino al suo amico; bussò quindi sulla sua spalla, cercando di non perdere la pazienza – insomma, si trattava di una cosa importante!– quando lui «Chi è?» chiese ridacchiando.
«Nialler. Ti piace Ruth?»
Zayn sbuffò rumorosamente e spinse indietro la propria sedia. «No, ragazzi. Non di nuovo!» sbottò, ignorato da tutti.
L'interrogato ridacchiò, poi, con calma, si voltò verso la sua amica. «Mi piace la birra».
«E a parte la birra?»
«Davvero, Dixie, dovresti smetterla!»
«Mi piace Ruth» rispose Niall. Poi si rizzò sul posto, coprendosi la bocca con la mano ad occhi sbarrati, come se si fosse appena accorto di aver appena detto qualcosa che avrebbe dovuto tenere per sé. Si guardò attorno, come a verificare se gli altri lo avessero sentito, e infine posò lo sguardo su Dixie. «Non devi dirglielo, però» sussurrò dispiaciuto; probabilmente si stava intimamente rimproverando per ciò che aveva fatto.
Lei gli sorrise. «Promesso», disse, giusto in tempo prima che lui tornasse a stendersi sul tavolo in attesa della successiva dose d'alcol. «Andiamo a ballare dopo?» mormorò, del tutto inascoltato.
A quel punto Dixie si era già girata verso il suo ragazzo: «Liam!»
«Cosa?»
«Hai sentito?»
«Io... sì, credo. A Niall piace Ruth. Oh! A Niall piace Ruth! Ma è fantastico!»
Zayn sbuffò di nuovo. «Ragazzi, smettetela subito». Non avrebbe lasciato che succedesse un'altra volta; quei due avevano ficcato il naso abbastanza nella vita sentimentale altrui.
Liam alzò le mani. «Non abbiamo fatto niente!»
«Per ora» lo corresse Dixie, entusiasta, prima che potesse dirlo l'altro.
«Si può sapere di che cosa state parlando?» domandò Louis, le braccia spalancate, come arrendendosi all'evidenza di essersi perso qualcosa.
Zayn lo guardò di sottecchi. «Di qualcosa in cui questi due invasati non interferiranno» decretò in tono perentorio.
«Oh, chiudi il becco. – lo zittì la ragazza, – Ho una nuova OTP!» esultò, afferrando le mani di Liam nelle sue.
«Ma è fanon».
«Ancora per poco. Potremmo organizzare loro un appuntamento al buio».
«O potreste farvi gli affari vostri!»
«Andiamo, Zayn, sono affari nostri! Loro sono i miei migliori amici!»
«Devono sbrigarsela da soli. L'ultima volta che avete interferito...»
«L'appuntamento è una buona idea – valutò la ragazza, tornando a guardare Liam. – Come ci organizziamo?»
«Ehm, io non...» Lui s’interruppe quando Zayn, alzati gli occhi al soffitto e incrociate le braccia, chiese: «Dixie, perché non mi stai ascoltando?»
Louis ridacchiò. «Oh, ti sta ascoltando, solo che ti ignora» osservò, guadagnandosi un'occhiataccia.
«Potresti aiutarmi, anziché infierire» suggerì il moro, stizzito.
L'altro sogghignò divertito. «E perché? È esilarante vedere come le cose ti sfuggano di mano».
Zayn fece per replicare, poi però ci ripensò. A che pro sprecare fiato con loro? Tolse dunque con un gesto brusco la bottiglia di Niall dalla mano di Louis, e prima di scolarsela si tolse lo sfizio di dire ciò che pensava: «Sapete qual è il vostro problema? Siete un branco di psicopatici ficcanaso, nessuno escluso. Non so nemmeno perché io perda ancora tempo con voi».
E Niall a quelle parole scoppiò a ridere fragorosamente senza un motivo apparente; rise, rise, rise, fino a contagiare anche Liam, Louis, Dixie e persino Zayn. Rise così tanto che, contorcendosi, cadde sul pavimento trascinando con sé anche il tavolino.
Quando Ruth tornò con due bottiglie di birra in mano, si paralizzò sul posto, sconvolta dalla scena cui si trovava di fronte: Niall sul pavimento abbracciato al tavolino rovesciato che Liam stava cercando di rimettere in piedi, Louis piegato in due dal ridere, Dixie che dava sfoggio della propria fangirlante logorrea con Zayn, il quale ad occhi socchiusi sembrava sull'orlo del suicidio. S’interrogò per un attimo sulla sanità mentale delle persone con cui usciva e che ormai considerava una seconda famiglia, poi decise che era meglio non porsi grandi interrogativi. Scosse il capo e sorridendo, propose: «Forse è arrivato il momento di finirla qui, che ne dite?»
 



***


Sì, dai, chiudiamola qui. :)
Come avevo precedentemente avvisato, questo -dodicesimo- è l'ultimo capitolo di Let's Cupid!
Voglio fare un po' la sentimentale, me lo permettete? Tanto l'avete già notato, col romanticismo non ci so fare ergo non vi farò cariare i denti, meglio che mi occupi di altri tipi di sentimenti.
Parto con una riflessione (del tutto superflua): scrivendo questa storia ho capito di essere un po' come Dixie, perché anche io mi rifugio in rete o tra le pagine di un libro o di un quaderno per sfuggire alla realtà. Lo facciamo tutti almeno un po' e, se lo facciamo in maniera contenuta, non c'è niente di male. Il punto è che si tratta di un'arma a doppio taglio: la fuga non è quasi mai il miglior modo di risolvere i problemi, bisogna affrontare le proprie paure. Dixie non l'ha fatto, non ancora, ma grazie a Liam sta iniziando a far combaciare le due metà di se stessa: la Dixie disinteressata e svitata con la Violet fragile ed emotiva. Lei non cambierà mai del tutto, non smetterà mai di essere una fangirl – non smetterà di shippare i suoi amici tra loro, Harry in primis; non abbandonerà le serie TV né le fanfiction e tanto meno i suoi amati videogiochi –, questo è chiaro; ma imparerà, un giorno o l'altro, a bilanciare le due cose, a non anteporre il fandom a tutto il resto. Anche lei, povera anima, deve costruirsi un futuro, prendere in mano la propria vita e, be', ha un tonto!Liam di cui occuparsi – geloso, oltre tutto! Senza contare la nuova ship da far diventare canon – insomma, una migliore amica da aiutare.
Essere appassionati di qualcosa e condividere il proprio interesse con altri è un bene, ma bisogna rimanere coi piedi per terra, senza dimenticarci della realtà. Quindi lo ricordo anche a voi, oltre che a me stessa: non perdete il contatto con la realtà, fermatevi un attimo e cercate di capire se lo state facendo o meno, poi agite di conseguenza (ho avuto una conversazione seria a riguardo con un po' di gente nell'ultimo periodo e ci ho riflettuto, ecco perché rompo le palle u.u).
 
Detto questo, passiamo alla seconda fase sentimentale, quella delle ship. La storia si è conclusa con Dixie/Liam, Louis/Eleanor e una sfumatura di Niall/Ruth. Delusi? 
Mi avete elencato nel tempo tutte le coppie che avete shippato e, be', è giunto il momento di confessarvi che anche io ho shippato tutto e tutti, nel corso della stesura della fanfiction. In particolare ho shippato da morire:
• Ruth/Zayn (♥)
• Olly/Dixie (tantotantissimodamorire. Sono stata tentata di scrivere una one shot a riguardo.)
• Zayn/Dixie (E, uhm, nell'idea originaria il protagonista maschile avrebbe dovuto essere proprio lui.)
• Niall/Norah (povera Norah, la odiate tutti! XD).
Ma ho gongolato anche per:
• Dixie/Niall
• Dixie/Harry
• Ruth/Harry
• Louis/Harry
• Zayn/Liam
• Zayn/Niall
• Zayn/Louis (aw, Zouis del mio cuore! ♥)
• Louis/Dixie
• Harry/Margot (mi sono accorta troppo tardi di non aver inserito che un paio di riferimenti al loro conoscersi. Mi spiace, mi è passato di mente > <, ma mi sembra che qualcuno se ne sia comunque accorto, quando ho scritto che Margot “Jean” vive nel Cheshire.)
• Ed/Dixie
• Ed/Harry
e credo di aver persino avuto un (breve) momento
• Harry/Babs.
L'animo da shipper di Dixie mi ha influenzato troppo, lo so. Ma anche le vostre recensioni mi hanno creato problemi (in senso buono), sappiatelo. XD In particolare credo sia stato grazie al vostro amore per la Niall/Ruth se alla fine Niall scopre di avere effettivamente una cotta per lei – e ce l'ha, non stava solo vaneggiando: "in vino veritas"!
 
Ed eccoci alla terza parte sentimentale, quella dei ringraziamenti.
Voglio molto bene a questa storia – più ai primi capitoli che agli ultimi, anche se al momento li odio tutti indistintamente, come succede con tutte le mie storie quando giungono alla fine–. Spero che a voi sia piaciuta almeno la metà di quanto a me inizialmente piaceva l'idea di scriverla.
Mi auguro che con lo scorrere del tempo i capitoli non siano peggiorati (anche se ho questa sensazione) e non vi abbiano delusi. Quel che è certo è che un po' lo stile è cambiato e non ha mantenuto la forma che avrei voluto, ma ormai è andata così.
Insomma, spero che vi sia piaciuto arrivare fino a qui.
Chiedo scusa, perché – ormai me lo dicono sempre – non so concludere le storie, mi limito a troncare la narrazione. (È anche vero che col romanticismo non ci so fare, se non in premestruo, e quindi è meglio finirla qui, invece che far casini.)
Vorrei ringraziarvi tutti per il feedback che mi avete mandato, comunque più di quello che mi aspettassi.
Ringrazio AnneC, anqis, Aries Pevensie, birri, Blues Girls, BreezyLeveret, Cocomero_, directioner232013, Ellie__, El_ly, fiery, FioccoDiNeve, Firelight_, gandgay, jas_, KiddMePanda, MadnessAlice, Martowl, Mary_, mrtgbb, NuvolaBlu, Oysh_more than me, Peaches, Rigmarole, Wintara, xjNiall e zaynmistakes caty per aver seguito la storia.
Ringrazio Oudemia e lilith93, oltre ad alcune ragazze che ho già citato sopra, per averla inserita tra le ricordate. 
E ringrazio tanto anche 21MAGGIO2O13, blueballon, Flamel_, gingi__devishina e walls per averla messa tra i preferiti.
Mi permetto di riservare un grazie speciale a Aries, Wintara, Cocomero_, Breezy, Anqi, Oudemia, Oysh__more than me, NuvolaBlu, El_ly, Fla e Mart per avermi lasciato un commento (o più). E un grazie speciale anche a Rigmarole, che ha betato gli ultimi due capitoli! :3
In generale, grazie di cuore a tutti voi, se siete arrivati fino a qua!
Fa sempre piacere sapere che qualcuno si diverte a leggere ciò che scrivo. :)
Grazie a tutti!
 
Vi ricordo che se volete fare quattro chiacchiere con me, mi trovate su Facebook come “Michela Yvaine” e sulla pagina “Yvaine0”, dove ogni tanto condivido spoiler, comunicazioni sugli aggiornamenti, stronzate random che faccio pur di non studiare (per esempio gli scambi di SMS tra i personaggi di LC che ho postato qualche giorno fa- sto ancora ridendo da sola).
 
Grazie a tutti di avermi fatto compagnia lungo questo percorso! ♥

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